Razzismo ed eugenetica
nascono nell’ateismo materialista
***
Negare
Dio, significa innanzitutto negare l’uomo. La storia lo ha dimostrato
fin troppo bene. Per i naturalisti, i materialisti, i riduzionisti, i
positivisti, per tutti coloro che ritengono non ci sia un Legislatore
ultimo a cui rendere conto, che senso ha la vita morale degli individui?
Se non esiste un criterio superiore di giustizia, può esistere una
legge vera, giusta, che valga per tutti perché superiore, precedente
all’uomo? No. Per un ateo non esiste il concetto che una cosa è sempre
bene oppure è sempre male, la sua fede gli impone di credere che ogni
uomo ha il diritto di decidere lui cosa è bene e cosa è male, di
costruirsi la sua morale, la sua etica.
1. Introduzione
2. Illuminismo e razzismo
3. Darwinismo e razzismo
4. Ateismo, nazismo e razzismo
5. Eugenetica e ateismo nel ’900
6. Condanna della Chiesa Cattolica
7. Conclusione
2. Illuminismo e razzismo
3. Darwinismo e razzismo
4. Ateismo, nazismo e razzismo
5. Eugenetica e ateismo nel ’900
6. Condanna della Chiesa Cattolica
7. Conclusione
Scriveva molto coerentemente l’ateo J.P. Sartre (1905-1980): «Non
può più esserci un bene a priori perché non vi è nessuna coscienza
infinita e perfetta per pensarlo. Non sta scritto da nessuna parte che
il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire e per
questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente
uomini»1.
Aveva pienamente ragione il grande esistenzialista Sartre: se Dio non
esiste tutto è permesso, non sta scritto da nessuna parte infatti ciò
che è bene e ciò che è male. Il razzismo è proprio dimostrativo di tutto
ciò. ieri la cultura laicista lo riteneva in piena sintonia con il
darwinismo, con l’assoluto diritto dell’uomo di creare una società più
pura e forte. Oggi la stessa cultura, per fortuna (anche se ci sono
parecchie eccezioni), ne ha preso ampiamente le distanze. Al contrario
il cristianesimo è rimasto radicato, ieri come oggi, nella sua profonda
opposizione alla concezione di razze adatte e meno adatte, pure e meno
pure, basata sul libero arbitrio e sulla genesi biblica dell’uomo,
figlio di un solo Padre e quindi fratello del “nero” come del “giallo”.
Come contriburremo a dimostrare, il razzismo e l’eugenetica si
nutriranno di una visione assolutamente atea, teoricamente o
praticamente, della vita, in cui non vi è alcuno spazio per un Dio
creatore, ma solo l’esistenza di popoli “superiori” ed “inferiori”, di
sangue, di luoghi, di colore della pelle, di forme e volumi cranici
(frenologia), di predisposizioni genetiche al di sopra della libertà
umana ecc.. Lo storico ebreo del razzismo, Lèon Poliakov (1910-1997),
nota come i primi teorici del razzismo, per lo più poligenisti,
deterministi e negatori del libero arbitrio umano, partirono spesso
dalla contestazione esplicita del racconto genealogico della Bibbia per
fondare in ottica materialistica, la psicologia sulla fisiologia, e così
«sbarazzarsi dei pregiudizi religiosi su cui era fondata» sino ad allora. Aggiunge poi: »Il
rifiuto di vedere l’uomo creato a immagine di Dio, fu in buona parte
alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo». Infatti, «la
tradizione giudaico-cristiana era “antirazzista” e “antinazionalista”.
Per questo l’antropologia della Chiesa ha sempre giocato un ruolo di un
freno estremo alle teorie razziste»2.
L’uomo
nella visione materialista è concepito come un animale in-cosciente,
regolato dall’istinto, un elemento naturale, un aggregato di materia
senz’anima, un meccanismo geneticamente determinato. E’ così che i
positivisti atei, come Émile Zola (1840–1902),
ritennero lecito studiare, analizzare, abusare, sezionare l’uomo come
si farebbe con un «ciottolo della strada», non essendo, in fondo, nulla
di più. E’ così che i criminologi atei come Cesare Lombroso (1835-1909),
ritennero giusto e scientifico catalogare i «crani deficienti», volendo
rinchiudere la personalità, la libertà, l’originalità di ogni singolo
uomo nelle sue caratteristiche fisionomiche, “credendo” che l’uomo si
esaurisca in ciò che si vede e si tocca, dall’ampiezza del cranio dalla
lunghezza degli arti ecc. Esattamente come faranno i primi teorici del
razzismo, che riterranno, ad esempio, che la dimensione ridotta del
cranio della donna sia un segno della sua inferiorità rispetto all’uomo.
L’Illuminismo è sicuramente il momento di rinascita dell’ateismo filosofico3 e il razzismo è sicuramente figlio dell’Illuminismo. Il celebre storico contemporaneo George Mosse (1913-1999)
lo definisce una «religione laica», nata dall’Illuminismo e basata
essenzialmente sul materialismo biologico. Lo conferma anche il già
citato Poliakov, che sottolinea a lungo la stretta correlazione fra il pensiero illuminista e la genesi del razzismo4. Ad esempio Voltaire (1694-1778), il
famoso “apostolo della tolleranza” riteneva che l’idea cattolica,
secondo cui gli uomini sarebbero tutti “fratelli” essendo creature di
un’unico Padre, sarebbe una sciocchezza assolutamente antiscientifica.
Al monogenismo biblico, che esclude di per sè qualsiasi razzismo,
Voltaire sostituì il poligenismo, cioè l’idea secondo cui i diversi
gruppi umani discendevano da numeri e diversi antenati. Spiegò: «Checchè
ne dica un uomo vestito di un lungo e nero abito talare [il prete
N.d.A.], i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli
asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo
stesso uomo»5.
Continuava situando i negri nel gradino più basso della scala,
definendoli animali, dando credito all’idea mitica di matrimoni tra le
negre e le scimmie, e considerando i bianchi «superiori a questi negri, come i negri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche»6.
In relazione a queste idee finiva poi per elaborare giustificazioni
“naturali” allo schiavismo e al colonialismo. Altri famosi illuministi
atei, come Diderot e D’Alambert (per i quali l’uomo era figlio del caso, «nel numero dei possibili»), scrissero nell’Encyclopédie (1772), compendio dei valori illuministici, che «all’animale
più evoluto, la scimmia, viene unito il tipo d’uomo ritenuto inferiore,
il negro: per il pallido europeo, infatti, questi trascina un’esistenza
semiferina, alinea dal pensiero razionale e dalla civile convivenza». I negri vengono poi dipinti come viziosi e «per lo più inclini al libertinaggio, alla vendetta, al furto, alla menzogna»7.
Nel 1800, dal preambolo illuminista, si sviluppò quello che gli storici chiamano il «razzismo scientifico»8,
una visione scientifica sviluppatasi in Europa e nelle Americhe in
ambienti universitari, basata su studi antropologici e comportamentali
mescolati a teorie derivanti da particolari rami della criminologia,
sociologia, biologia, medicina e genetica. Inoltre, la
strumentalizzazione da parte dei positivisti atei della teoria
evoluzionistica di Darwin, nel tentativo di screditare la visione
cristiana e biblica dell’uomo come creatura unica ed irripetibile,
produsse crimini disumani, troppo spesso dimenticati. Lo ammette il
genetista darwinista e divulgatore scientifico Edoardo Bonicelli: «Un
certo modo di vedere l’evoluzione è stato alla base di alcune delle
teorie più aberranti sul presente e sul futuro della specie umana e
sulla struttura dell’umanità in razze e strati sociali»9.
Calando totalmente l’uomo nella natura animale, misconoscendogli
qualsiasi altra natura, cioè spirituale, riducendolo alla biologia e
alla genetica, per la cultura atea, scientista e positivista, divenne
inevitabile connettere ogni differenza tra popoli a superiorità o
inferiorità di tipo biologico.
Alla
genesi di questa cultura, in piena continuità con le speculazioni
illuministiche, contribuirono, volenti o nolenti, anche uomini come Darwin, tanto venerato dalla cultura laicista, e Thomas Huxley. Nonostante i suoi grandi e meritati elogi per la teoria darwinistica, Charles Darwin (1809-1882)
è anche riconosciuto come uno dei primi teorici del razzismo moderno.
Vissuto nel secolo dell’esplosione atea, anch’egli era imbevuto di
credenze materialistiche tanto da essere convinto che l’intelligenza
maturata nel riflettere sull’evoluzione aveva modificato la forma del
suo stesso cranio: «E’ probabile che il mio cervello si sia
sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio:
lo dimostra un’osservazione di mio padre, quando la prima volta che mi
vide dopo il viaggio, si volse alle mie sorelle ed esclamò: “Guardate,
gli è cambiata la forma della testa”.10. Oltre a queste schiocchezze, scrisse anche di peggio: «Si
crede generalmente che la donna superi l’uomo nell’imitazione, nel
rapido apprendimento e forse nell’intuizione, ma almeno alcune di tali
facoltà sono caratteristiche delle razze inferiori e quindi di un più
basso e ormai tramontato grado di civiltà. La distinzione principale nei
poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge
più avanti della donna, qualunque azione intraprenda, sia che essa
richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione o semplicemente
l’uso delle mani e dei sensi [...]. In questo modo alla fine l’uomo è
divenuto superiore alla donna». A conferma di ciò, Darwin citava una frase del materialista ateo Carl Vogt (1817-1895): «E’
una circostanza notevole che la differenza tra i due sessi per quanto
riguarda la cavità cranica, aumenti con lo sviluppo della razza, così
che il maschio europeo supera la femmina più di quanto un negro non
superi la negra»11. E ancora: «Noi
uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di
eliminazione: costruiamo asili per i pazzi, storpi e malati; istituiamo
leggi per i poveri e i nostri medici esercitano al massimo la loro
abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo
per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli
che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto il
vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro
genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli
animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso
per la razza umana [...]. Dobbiamo quindi sopportare l’effetto
indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino
il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante,
impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i
sani»12. Il grande e stimato naturalista chiudeva così una delle sue opere di maggior successo: «I
più poveri e negligenti, che sono spesso degradati dal vizio, quasi
invariabilmente si sposano per primi, mentre i prudenti e i frugali, si
sposano in tarda età. L’irlandese imprevidente, squallido, senza
ambizioni, si moltiplica come i conigli; lo scozzese frugale,
previdente, pieno di autorispetto [...] trascorre i suoi migliori anni
nella lotta e nel celibato [...]. Nell’eterna lotta per l’esistenza è la
razza inferiore e meno favorita che ha prevalso e non ad opera delle
sue buone qualità ma dei suoi difetti»13. Dal canto suo Thomas Huxley (1825-1895), il cosiddetto “mastino di Darwin”, affermava: «Nessun
uomo razionale, che abbia cognizione dei fatti, crede che l’uomo negro
medio sia uguale o meno che mai superiore all’uomo bianco. Se questo è
vero, non è assolutamente credibile che, quando siano stati eliminati
tutti i suoi svantaggi e ottenute le condizioni di parità senza più
oppressori, il nostro prognato parente possa competere con il suo rivale
dal cervello più grande e dalle mascelle meno pronunciate. I gradi più
alti di civiltà non saranno mai alla portata dei nostri cugini di pelle
scura»14.
Al contrario, il diretto collega di Darwin, Alfred Russel Wallace (1823-1913),
co-scopritore della teoria evoluzionistica basata sulla selezione
naturale, non si volle mai rassegnare all’idea che l’uomo fosse una
semplice evoluzione della bestia, e affermò la superiorità dello spirito
sulla materia, ammettendo l’esistenza di un Dio trascendente: «Un’intelligenza
superiore ha guidato lo sviluppo dell’uomo in una direzione definita e
per uno scopo speciale, proprio come l’uomo guida lo sviluppo di molte
forme animali e vegetali»15. Nel 1912 arrivò addirittura a condannare l’eugenetica originata dalla cultura ateistica, ritenendola «null’altro che l’invadente interferenza di un’arrogante casta scientifica»16.
Fu questa sua posizione teistica e non riduzionista a permettergli di
non cadere nel razzismo e nell’eugenetica, a differenza di moltissimi
evoluzionisti materialisti.
Uno di essi fu Ernst Haeckel, (1834-1919) ateo, materialista e amico personale di Darwin, membro nel 1905 della “Società internazionale dell’igiene razziale” («destinata a promuovere la qualità della razza bianca»17). Haeckel -spiega lo storico della scienza Federico Di Trocchio- riteneva il darwinismo la negazione «del vecchio dogma dell’immortalità dell’anima personale»18.
Per dimostrare le sue tesi non eistò a proporre falsificazioni a ritmo
continuo (si vedano ad esempio le tre figure di embrione di cane e i
ventidue anelli dalla “monera” all’uomo). Haeckel era anche convinto
della superiorità della razza indogermanica e della bontà del modello
spartano (dove i bambini malformati e malati venivano gettati da una
rupe perché poco idonei alla guerra). e della credenza in un Dio
creatore
Il già citato socialista ateo Cesare Lombroso (1835-1909),
padre dell’antropologia criminale, riteneva invece che i criminali
fossero espressioni di regressioni evolutive, tipi somigliante al
“negroide” o al “mongolico”, in cui determinate conformazioni del cranio
e del corpo avrebbero determinato l’onestà o meno di una persona. Il
suo figlioccio più noto, Enrico Ferri (1856-1929),
ateo, senatore di estrema sinistra e darwinista convinto, negava
l’esistenza del libero arbitrio e sosteneva che il delinquente giungesse
al delitto necessariamente spinto da causa antropologiche, fisiche e
sociali, cioè dalle caratteristiche genetiche di cui era schiavo.
Sosteneva anche la teoria del “tipo napoletano”, cioè l’idea che il
popolo meridionale avesse un’iinata propensione a delinquere a causa di
un’inferiorità biologica atavica (da qui l’idea di non mescolare le
razze del Nord con quelle del Sud)19
Il grande evoluzionista Stephen Jay Gould (1941-2002) ha raccontato in alcuni suoi saggi del famoso “processo alla scimmia” del 1925 contro l’insegnante di biologia John Scopes
(che in realtà stava sostituendo il collega biologo, essendo lui
un’insegnante di ginnastica), reo di aver esposto il darwinismo ai suoi
alunni di una scuola del Tennessee (Stati Uniti). Gould spiega che il
divieto di insegnamento della teoria darwinistica era dovuto al fatto
che biologi, etologi e filosofi della natura, uscendo dal terreno
scientifico, sostenevano una “visione marziale” del darwinismo, un’idea
razzista dell’umanità, divisa tra superiori e inferiori, in nome della
selezione del più forte, dello scontro inevitabile tra le nazioni,
dell’animalità inevitabilmente aggressiva degli uomini. Questa era la
modalità di esporre le teorie di Darwin nei libri di testo scolastici,
politici e militari, come -scrive Gould-«la piena giustificazione
della guerra e di progetti altamente organizzati di politica nazionale
in cui la dottrina della forza divenne la dottrina del diritto»20. E’ ciò che verrà chiamato darwinismo sociale,
cioè il desumere comportamenti morali dalla teoria darwinistica.
Sopratutto in Germania, ma anche in America, si cercava di veicolare,
attraveso l’evoluzionismo, un concetto non scientifico come il
determinismo biologico. Propio nel libro adottato da Scopes, “A civic biology”, di G.W. Hunter (1914), è contenuta «l’affermazione
a chiare lettere che la scienza possiede la risposta morale a questioni
sul ritardo mentale o sulla povertà sociale». Gould spiega che nel
testo scolastico si proponeva l’idea di impedire il matrimonio,
attraverso la sterilizzazione o segregazione, di quanti potevano essere
considerati «parassiti della società», a causa di una tendenza innata, genetica ed ereditaria alla povertà, al crimine, al vagabondaggio21.
Il culmine comunque lo toccò Francis Galton (1822-1911),
cugino di Darwin, ateo e fondatore dell’eugenetica moderna, per la
quale tutto ciò che un uomo è, è determinato dai suoi geni, che decidono
anche del suo essere ricco o povero, onesto o meno. L’eugenetica nasce
dall’antico sogno ateistico di creare un’umanità perfetta,
assolutamente sana e senza macchia, che non abbisogni di un Dio
Salvatore e di una Redenzione. Le teorie di Galton vennero attuate con
sistematicità e scientificità negli Stati Uniti alla fine
dell’Ottocento, prima di essere riprese da Hitler per il suo programma
eutanasico.
Chiamiamo in causa ancora uno fra i massimi storici del razzismo, Lèon Poliakov,
il quale ricorda nel suo celeberrimo studio che la seduzione del mito
ariano si fondava in gran parte sul desiderio di distanziarsi
dall’antropologia biblica e dalle «favole ebraiche»: «La
teoria ariana si iscrive dunque bene nella tradizione anticlericale e
antioscurantista e fa parte dei primi tentativi delle scienze umane, che
cercando di fondare i loro metodi sul modello delle scienze esatte, si
impegnavano in quest’epoca nel loro secolare impasse meccanicistico e
determinista»22.
Infatti anche la visione razzista di Hitler era definita dalle
caratteristiche fisiche e biologiche. Il Führer toglieva ogni spazio
alla libertà, alla crescita morale, all’anima esattamente secondo i
dettami del determinismo positivista e materialista di un Comte o di un Zola. Scriveva: «E’
chiaro che le qualità peculiari dell’individuo sono innate in esso: chi
è egoista resta sempre tale, chi è idealista, lo sara sempre. Il
crimnale nato rimarrà sempre un criminale»23. Come accennato sopra, Hitler riprenderà le dottrine razziste dell’antropologo ateo Francis Galton,
il primo a proporre sistematicamente l’idea di matrimoni selettivi, di
segregazione dei disgenici, di sterilizzazione di barboni, poveri,
malati, idioti, persone «inferiori», convinto che le caratteristiche «sia fisiche che mentali delle persone sono ereditarie».
Tutto divenne spiegabile con l’ereditarietà, dalla prostituzione alla
disoccupazione, dall’alcolismo alla improduttività, selezionava così
«adatti» e «inadatti» affinché il loro patrimonio genetico non si
diffondesse. Il fine di Galton -spiega Cristian Fuschetto dell’Istituto Italiano di Bioetica- «era
quello di guidare attraverso l’eugenetica il corso dell’evoluzione al
fine di raggiungere nessun altro scopo se non il bene dell’umanità
intera», sacrificando, se necessario, i singoli individui. Galton arrivò a negare la dottrina del peccato originale e «trovò
nell’eugenetica un sostituto scientifico dell’ortodossia clericale, una
sorta di fede secolarizzata, capace di avverare concretamente il sogno
di un miglioramento del genere umano, prospettando un paradiso
eugenetico dove l’ordine e la felicità sono garantiti dalla segregazione
dei malati (disgenici) e dall’accoppiamento dei migliori (eugenici)»24.
Si discute se Galton abbia preso o meno spunto da suo cugino Darwin
(anche se abbiamo visto che il grande naturalista non era affatto
lontano da queste convinzioni), anche perché entrambi si citavano a
vicenda a mò di conferma. Lo storico della scienza Andrè Pichot sottolinea comunque che «Darwin
sembra essere stato in buon accordo con suo cugino Galton, e se non ha
parlato propriamente di eugenetica è stato verosimilmente perché
l’eugenetica è stata teorizzata dopo la sua morte»25. La
convergenza tra Darwin e Galton anche su tematiche razziste ed
eugenetiche è stato comunque confermato anche da una fitta
corrispondenza tra i due e dal racconto di Alfred Russel Wallace,
il quale, durante una delle sue ultime discussioni con Darwin, lo trovò
davvero preoccupato del fatto che nella moderna società, i più adatti
non sopravvivessero, mostrandosi totalmente d’accordo con le previsioni
di Galton.
Tornando al nazismo, è pienamente dimostrato che Hitler ereditò le convinzioni di Galton e Darwin. Il premio Nobel per la Medicina, James Watson, conferma che «nel
1933, i nazisti avevano promulgato una legge completa sulla
sterilizzazione esplicitamente basata sulle teorie di Galton. Nell’arco
di tre anni furono sterilizzate 225 persone»26. Nel Mein Kampf, dopo aver spiegato che lo Stato «dovrà impedire ai malati o ai difettosi di procreare», Hitler scriveva: «Basterebbe
per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di
spirito per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla a una
condizione di sanità oggi pressoché incredibile»27. Oggi il neodarwinista e leader dell’ateismo scientista, Richard Dawkins, oltre ad entusiasmarsi per Galton28, non sembra distanziarsi di molto: «Se
un paese volesse vincere la gara di salto in alto alle Olimpiadi entro
un paio di secoli basterebbe far accoppiare saltatori in alto esperti,
maschi e femmine, e si potrebbe fare lo stesso per i matematici e i
musicisti. Ma non è mai stato fatto. C’è una diffusa ostilità verso
questa idea purtroppo. Credo che in larga misura provenga
dall’esperienza del nazismo. Hitler era entusiasta di questa idea e
quindi da allora essa ha goduto di pessima fama»29. Gli stessi nazisti, come Rudolf Hess
(1894-1987), definivano la loro ideologia una «biologia applicata»,
perché fondata su una visione di controllo assoluto dei processi
biologici. Utilizzando il termine darwiniano “selezione”, essi cercarono
di sostituirsi alla natura (selezione naturale) e a Dio, per essere
loro a dirigere e controllare l’evoluzione umana. E così nacquero leggi
razziali sul matrimonio, luoghi in cui ariani e ariane di particolare
bellezza e forza venivano spinti a procreare una discendenza “superiore”
(come si augura ancora oggi Dawkins), sterilizzazioni forzate,
eliminazioni tramite eutanasia di determinate categorie di inadatti e
improduttivi, aborti per donne tedesche gravide di bambini non “puri”
ecc.
Alle loro dottrine razziste, non rispose alcun intellettuale laico,
nessun profeta dell’ateologia, ma soltanto i “soliti” Pio XI,
nell’enciclica Mit brennender Sorge (1937) e Pio XII, nella Summi pontificatus (1939), dove si ribadiva l’errore insito nella volontà di dimenticare «quella
legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta [...]
dalla comune origine e dell’uguaglianza della natura razionale in tutti
gli uomini, a qualunque popolo appartengano. [...] E’ necessario
contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio
[...] nell’unità della natura, ugualmente costituita in tutti di corpo
materiale e di anima spirituale e immortale».
L’appoggio concesso alle teorie razziste di Galton da parte di Charles Darwin e da personaggi assai noti come il matematico Bertrand Russel, padre dell’ateologia moderna, e lo scrittore George Bernard Shaw
(il quale specificò letteralmente nel suo testamento di non voler che
alcun monumento pubblico o alcuna opera d’arte suggerisca che lui abbia
accettato i principi di una qualsiasi chiesa o religione, né desidera
essere ricordato sotto alcun simbolo che abbia la forma di una croce30),
portarono alla veloce diffusione dell’eugenetica in molti paesi:
Inghilterra, USA, Belgio, Svizzera, Svezia, Olanda, Norvegia, Danimarca,
Finlandia, tutti paesi, non a caso, in cui la voce della Chiesa
cattolica era debole o quasi nulla. Galton, scrive l’evoluzionista S.J. Gould, «era considerato all’epoca uno dei massimi intelletti del suo tempo»,
voleva dimostrare scientificamente la naturale inferiorità dei neri e
la superiorità della razza anglosassone. Nel 1902 ricevette la “Darwin Medal of the Royal Society” e nel 1910, sempre per i suoi scritti sull’eugenetica, ottenne la “Copley Medal of the Royal Society”, che però, a causa della sua salute inferma, venne ritirata per suo conto da Sir George Darwin (1845-1912), figlio del padre dell’evoluzionismo ed eugenista convinto, come del resto suo fratello Leonard Darwin (1850-1943), presidente della britannica Eugenics Education Society.
Dopo il “Primo Congresso Internazionale di Eugenetica” del 1912, le
riviste più prestigiose, da «Nature» al «Times», si contendevano i suoi
articoli: le sue disquisizioni sulla necessità di sostituire il vecchio
libero arbitrio col più aggiornato determinismo andavano letteralmente
“a ruba”. Negli Stati Uniti l’eugenetica raggiunse l’apice della
diffusione: i milioni di immigrati provenienti dall’Europa divennero,
assieme ai ritardati, ai poveri, alle prostitute e agli alcolisti, i
principali bersagli dell’eugenetica. L’obiettivo, anche qui, era
migliorare l’umanità per arrivare alla selezione di individui perfetti.
Nel 1917 quindici Stati degli USA adottarono una legislazione in campo
eugenetico (sterilizzazioni, segregazioni e restrizioni), nel 1944
divennero trenta (la Virginia, nel 1979, fu l’ultimo Stato a rimuovere
la legge sulla sterilizzazione forzata). Nel 1928 l’eugenetica divenne
un corso universitario in 328 college, tra cui Yale, Harvard e Stanford31. Il già citato James Dewey Watson, scrive che fu sopratutto la sinistra liberale ad abbraciare in massa le teorie razziste. L’ateo Bernard Shaw (1856-1950) scrisse ad esempio: «Oggi
non esiste alcune scusa ragionevole per rifiutarsi di affrontare il
dato di fatto che nulla, se non una religione eugenetica, può salvare la
nostra civiltà»32. L’eugenismo -continua Watson- era
d’obbligo anche nel nascente movimento femminista: la paladine della
contraccezione, come l’atea britannica Marie Stopes33), considerava l’eugenetica una forma di controllo delle nascite. Negli Stati Uniti, Margaret Sanger (1879-1966), l’atea fondatrice di Planned Parenthood (ancor oggi la più influente associazione abortista del mondo) scriveva: «Più
figli da chi è dotato e meno da chi non lo è: questo è il primo punto
per il controllo delle nascite. Il problema più urgente oggi è come
limitare e scoraggiare l’iper fertilità di quelli mentalmente e
fisicamente inferiori. E’ possibile che metodi drastici e spartani siano
inevitabili per la società americana, se si continua a incoraggiare con
compiacenza la procreazione casuale e caotica che nasce dal nostro
stuipido e crudele sentimentalismo»34. In Svezia i primi provvedimente eugenetici nascono sotto l’impulso delle teorie del premio Nobel Alva Myrdall (1902-1986, atea e aderente al partito socialistademocratico35).
L’eugenetica divenne una vera ossessione in quegli anni, anche in
Italia, dove però fu mitigata dalla cultura cattolica e non riuscì mai a
tradursi in provvedimenti legislativi concreti. (1880-1950, abortista e
fan accanita di Adolf Hitler
Già
nel VI secolo la Chiesa aveva cominciato ad opporsi alla schiavitù e
per la fine del X secolo era riuscita ad eliminarla in gran parte
d’Europa. Quando però gli spagnoli conolizzarono le isole Canarie, nel
1435, Eugenio IV (1383-1487), con la bolla Sicut dudum,
sotto la minaccia di scomunica, concesse a chi era coinvolto nello
schiavismo, quindici giorni dal ricevimento della bolla per «riportare
alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i
sessi una volta residenti delle dette isole Canarie»36. I papi successivi, Pio II e Sisto IV ribadirono l’illiceità della schiavitù37. Nel 1537, con la bolla Veritas Ipsa, papa Paolo III (1468-1549), scontrandosi duramente con le autorità laiche, «stabiliva
il principio della pari razionalità e quindi della piena uguaglianza e
dignità di tutti gli uomini, compresi gli indigeni, condannando la
schiavitù»38. Emise tre decreti contro la schiavitù nel Nuovo Mondo e dichiarò che «gli
stessi indiani in verità sono uomini autentici, perciò secondo la
nostra Autorità Apostolica decretiamo e dichiariamo che gli stessi
indiani e tutti gli altri popoli anche se non appartenenti alla nostra
religione [...] non dovrebbero essere privati della loro libertà o delle
loro proprietà». Urbano VIII (1568-1644), nel 1639 emise la bolla Commissum Nobism,
nella quale riaffermava la scomunica di Paolo III a coloro che erano
coinvolti nella tratta degli schiavi. Lo storico delle religioni, Rodney Stark, ricorda: «Nel
Nuovo Mondo era illegale pubblicare queste bolle antischiaviste, come
qualsiasi altra dichiarazione papale, senza il consenso del re, che non
fu mai concesso. Quando i gesuiti lessero in pubblico la bolla di Urbano
VIII, a Rio de Janeiro, si scatenò una rivolta che provocò il
saccheggio del loro collegio locale e il ferimento di diversi sacerdoti.
A Santos, la folla travolse il vicario generale gesuita quando tentò di
pubblicare la bolla. Nel 1767 i gesuiti vennero brutalmente espulsi dal
Nuovo Mondo per aver continuato ad opporsi alla schiavitù e aver dato
vita, con successo, a comunità di nativi notevolmente avanzate»39. Papa Benedetto XIV (1675-1758), nel 1741, attraverso la bolla “Immensa Pastorum principis”, continuò la dura opposizione allo schiavismo nelle Americhe40.
Nel
XX° secolo, quando le aberranti considerazioni promosse dalla cultura
atea materialista crebbero ed esplosero, anche a seguito delle già
citate strumentalizzazioni scientifiche, la Chiesa tornò ad opprosi
fermamente. Lo fece con l’enciclica Casti connubii (1930), nella quale Pio XI (1857-1939),
condannò duramente l’aborto e la pretesa dell’autorità pubblica di
vietare ad alcuni il matrimonio, o sterilizzare quanti venissero
ritenuti a rischio di «prole difettosa». Occorre, scriveva il papa,
provare a dissuadere dalla procreazione coloro che rischiano di avere
figli malati, ma «le pubbliche autorità non hanno alcuna potestà diretta sulla membra dei sudditi» e «non
possono mai, in alcun modo, ledere direttamente o toccare l’integrità
del corpo, nè per ragioni eugenetiche, nè per qualsiasi altra cagione». Le reazione della cultura laicista ed eugenetica? La stessa che sarebbe avvenuta oggi: «Bisogna
tristemente riconoscere che da qui in avanti non ci può essere nessuna
tregua tra noi, che cerchiamo la salvezza a modo nostro, e i crociati di
Roma. Poiché in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di più che
un invito a regredire al Medioevo, ci troviamo di fronte a un invito
alla crociata contro la libertà di pensiero e di azione dalla Stato
moderno» scrisse la rivista «Eugenics Review» nel 193141.
Insomma, la solita intromissione della Chiesa che si oppone allo
sviluppo scientifico e alle onorevoli iniziative della cultura laicista:
sterilizzazione di massa, razzismo biologico, segregazioni, isolamento
ed eliminazione dei ceppi umani di qualità inferiore, controllo delle
nascite ecc…
Cedere
ad una deriva laicista, atea, materialista e riduzionista (come
purtroppo toccò anche al grande Darwin) porta inevitabilmente a perdere
di vista l’unicità dell’uomo, riducendolo ad un semplice animale, solo
quantitativamente e non qualitativamente, diverso dagli altri. Si
dimentica violentemente l’altra dimensione umana, quella spirituale, si
censura l’esistenza dell’anima e si abbandona l’insegnamento evangelico e
della Chiesa. L’uomo diventa oggetto, cavia per indagine scientifica
come qualsiasi altro animale, credendo di poter studiare
scientificamente il pensiero, la volontà, la libertà, l’amore, la
moralità, la fede ecc. L’uomo
che vuole creare una società senza Dio, mettendosi al suo posto, ha
dimostrato troppe volte di saper solo produrre disastri e tragedie
disumane. All’inizio del ’900, il convertito Gilbert Keith Chesterton (1874-1936)«Uomini
che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e
dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur
di combattere la Chiesa»42. commentò egregiamente:
dal bel sito: http://www.uccronline.it
Bibliografia fondamentale
F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, il fallimento dell’ideologia che ha rifiutato Dio, Piemme 2009Note
1 J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo, Mursia 1963, pag. 46
2 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 245,246,370,371
3 si veda ad esempio C. Tamagnone, L’illuminismo e la rinascita dell’ateismo filosofico, Clinamen 2008
4 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori riuniti 1999
5 Voltaire, Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni, 1756
6 Ibid.
7 citato in F. Castradori, Le radici dell’odio, Xenia 1991, pag. 52,53 e M. Marsilio, Razzismo, un’origine illuminata, Vallecchi 2006
9 E. Bonicelli, Le forme della vita, Einaudi 2006, pag. 165
10 C. Darwin, Autobiografia, Einaudi 2006
11 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 936,937
12 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 628
13 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 631
14 citato in R. Dawkins, The God Delusion, Bantahm Books 2006, pag. 263.
15 citato in G. Scarpelli, Il cranio di cristallo, Bollati Boringhieri 1993
16 citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45
17 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori riuniti 1999, pag. 337
18 F. Di Trocchio, Le bugie della scienza, Mondadori 1993, pag. 254,256
19 A. Gaspari, Da Malthus al razzismo verde, XXI Secolo 2000, pag. 94,95
20 S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 186
21 S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 189
22 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 370,371 e G. Mosse, Il razzismo in Europa, Mondadori 1992
23 A. Hitler, Mein Kampf, La Lucciola 1992, pag. 39
24 C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004, pag. 27
25 citato in C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004, pag. 28,29
26 J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45
27 A. Hitler, Main Kampf, La Lucciola 1992, pag. 30
28 si veda R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori 2006, pag. 68
29 Intervista a Dawkins, in R. Stannard, La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag.95-96
30 dal The Times 4/12/1950
31 V. Costa, L’origine anglosassone dell’eugenetica, Trento 2007
32 citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33,45
34 citato in E. Roccella – L. Scaraffia, Contro il cristianesimo, Piemme 2005, pag. 85
35 Judith Stiehm, Champions for peace: women winners of the Nobel Peace Prize, Rowman & Littlefield Publishers 2006, pag. 104 e L. Dotti, L’utopia genetica del welfare state svedese, Rubettino 2004
36 da Wikipedia/SicutDudum e R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 299-300
37 da Wikipedia/SicutDudum
38 M. Viglione – E. Nistri – R. De Mattei, Alle radici del domani, Sedes 2004, pag. 74 e Wikipedia/VeritasIpsa
39 R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 300, e Wikipedia/CommissusNobis
41 citato su Il Foglio, 23/9/04
42 Chesterton, Ortodossia, 1908
Postato da: giacabi a 14:55 |
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illuminismo, razzismo, voltaire
L'Illuminismo ha inventato il razzismo
ACCECATI DAI LUMI
ACCECATI DAI LUMI
Il
vero mito fu quello del “selvaggio difettoso”. Da “rettificare”,
rigenerare. Jean de Viguerie racconta l’antropologia eugenetica di certi
“virtuosi”
di Marco Respinti
I negri sono brutti, i brasiliani sono bestie e gli ebrei puzzano. Non è il Mein Kampf, ma la summula del pensiero antropologico illuminista così come descritta dallo storico francese Jean de Viguerie, autore, fra l’altro, di Louis XVI, le roi bienfaisant (Éditions du Rocher, Monaco 2003), Christianisme et révolution: cinq leçons d’historie de la révolution française (NEL-Nouvelle Éditions Latines, Parigi 2000), Histoire et dictionnaire du temps de Lumières, 1715-1789 (Laffont, Parigi 1995) e Le catholicisme des français dans l’ancienne France (NEL 1988). Le “razze” umane, infatti, nascono da Voltaire, con tanto di annessi e connessi.
A partire da un seminario di ricerca su Les lumières et les peuples condotto nell’anno accademico 1992-1993 all’Università di Lilla III (dove insegna), De Viguerie è venuto raccogliendo e mettendo in parallelo numerosi documenti sulle concezioni antropologiche del siècle français. Oggi le ripropone in una efficace sintesi sul trimestrale Nova Historica (n.8, 2004), diretto a Roma da Roberto de Mattei – docente di Storia moderna all’Università di Cassino e vicedirettore del Consiglio Nazionale delle Ricerche – ed edito per i tipi di Pagine (tel. 06/39738665).
Nella lingua francese, il termine “specie” è stato adoperato fino al Seicento solo in ambito medico o farmacologico e mai in relazione agli esseri umani. È il Settecento che ne inaugura l’uso biologico. Da qui l’espressione passa poi all’antropologia e così si parla per la prima volta di “specie umane” a loro volta suddivise in altre “specie” più... specifiche, altrimenti dette “varietà”. O – come fa François Marie Arouet detto Voltaire (1694 - 1778) nell’Essai sur les mœurs et l’esprit des nations et sur les principaux faits de l’histoire depuis Charlemagne jusqu’à Louis XIII (1756) – “razze”. Ciò che accomuna i rappresentanti della “specie umana” è, per Voltaire, l’avere «tutti gli stessi organi vitali, dei sensi e del movimento»; eppure «solo un cieco può mettere in dubbio che i bianchi, i negri, gli albini, gli ottentotti, i lapponi, i cinesi e gli americani siano razze completamente diverse».
Contro i “primitivi”
Il postulato voltaireano «la razza dei negri è una specie d’uomo diversa dalla nostra» viene illustrato da Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales (1741-1816) e da George-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), che peraltro adoperano sempre solo il termine “varietà”.
In De la philosophie de la nature ou Traité de morale pour l’espèce humaine. Tiré de la philosophie et fondé sur la nature (la cui «troisième édition et la seule conforme au manuscrit original» fu pubblicata a Londra in 6 volumi nel 1777), Delisle de Sales nota che la natura «non fa altro che produrre una serie d’individui in cui ciascuno rappresenta solamente un anello della lunga catena di esseri che compongono le varietà della specie umana». Ma, nell’Histoire de l’Homme – parte dei 15 volumi della sua Histoire naturelle (1749-1767) –, Buffon aggiunge che le varietà individuali degli uomini si sono cristallizzate in «varietà della specie umana» le quali con il tempo «si sono perpetuate».
Vale a dire: i singoli uomini nascono con determinate caratteristiche fisiche (Delisle de Sales), nei secoli questi si raggruppano in base a quelle caratteristiche (Buffon) e queste sono le “razze” in cui si suddividono quelli che chiamiamo genericamente “uomini” in ragione di alcune loro somiglianze morfologiche (Voltaire). L’orizzonte globale è di tipo esclusivamente biologico (ciò che viene definito “morale” ne è infatti solo by-product o al massimo offshoot) e tali sono quindi pure la natura dell’essere umano così come le differenze fra singoli e “razze”.
«Ciò significa – commenta De Viguerie – che il carattere dipende dal fisico e che lo “spirito delle nazioni” caro agli umanisti, ma anche a Montesquieu, non c’entra niente. Gli usi e i costumi, e il naturel di un popolo sono caratteristiche razziali legate a un aspetto fisico, al colore della pelle». Si è, insomma, «pigri perché si è negri, oppure si è più o meno civilizzati perché si è bianchi» giacché «i popoli sono divenuti razze».
Per Voltaire, del resto, tutti i selvaggi sono brutti e stupidi, in specie i negri e gli ebrei, ma non da meno sono i paysan suoi compatrioti. Quanto ai primi, «gli occhi tondi, il naso camuso, le orecchie dalla strana conformazione, i capelli crespi e il livello della loro intelligenza producono tra loro e le altre specie di uomini una differenza sorprendente». I secondi – così alla voce Juifs del Dictionnaire philosophique del 1764 – vengono definiti «solo un popolo ignorante e barbaro, che coniuga da lungo tempo l’avarizia più sordida alla superstizione più odiosa e all’odio più irrefrenabile per i popoli che li tollerano e che li arricchiscono». I terzi, nell’Essai sur les mœurs, sono descritti come «zotici che vivono in capanne con le proprie donne e qualche bestia [...], i quali parlano un gergo mai sentito nelle città»; a loro sono addirittura superiori gli autoctoni «del Canada e i cafri».
Così ammaestrati (anche per Buffon i contadini francesi del nord sono «grossolani, pesanti, mal fatti, stupidi» e le loro mogli «quasi tutte brutte»), i giacobini del 1793 e 1794 ci metteranno poco a decretare lo sterminio totale della race maudite della Vandea.
I calmucchi poi... E gli ebrei...
Per Buffon il top sono quindi gli europei: gli uomini (così ne sintetizza il pensiero De Viguerie) «più belli, più bianchi e meglio fatti su tutta la Terra». Fuori dal Vecchio Continente qualcuno pur si salva (grosso modo i popoli che una “scienza” posteriore definirà di ceppo ariano), la Cina e il Giappone ancora passano perché vi abitano uomini più o meno sapienti ancorché non belli, ma quello che proprio non va è il resto del mondo, popolato di esseri affetti da tare fisiche o morali (che è sostanzialmente lo stesso). I tartari, per esempio: del tutto sproporzionati. O alcuni indù, pure fuori misura e per di più gialli. Ma certo nessuno batte i calmucchi, «il cui aspetto ha qualcosa di spaventoso». A Timor, poi, sono pigrissimi, gli egiziani oziosi e i negri della Sierra Leone capiscono solo di femmine e di non-far-nulla. Gli arabi, che sono più belli, «si fanno onore dei propri vizi».
Più parco con l’aggettivo “brutto” è Guillaume-Thomas-François Raynal (1713-1796), parroco a Saint-Sulpice di Parigi (e da lì cacciato per ignoti motivi), autore dell’Histoire philosophique et politique des établissemens et du commerce des Européens dans les deux Inde (1774). Eppure per lui, a parte i cinesi, tutti gli orientali sono viziosi. E così pure sono i brasiliani.
Ma il pezzo forte dell’illuminismo restano comunque i negri e gli ebrei.
Johann Heinrich Samuel Formey (1711-1797), ministro di culto protestante franco-tedesco (tant’è che è noto pure come Jean Henri etc.) scrisse la voce Nègre dell’Encyclopédie; così: «se ci si allontana dall’Equatore verso l’Antartico, il nero si schiarisce, ma la bruttezza rimane».
Sugli ebrei s’incentra invece specificamente l’attenzione di Baptiste-Henri Grégoire (1750-1831), il famoso “abbé Grégoire” che fu il primo, nel 1790, a giurare fedeltà a quella scismatica Costituzione civile del clero che costò la vita a molti suoi confratelli e che lo creò “vescovo”. Pubblicò un Essai sur la régénération physique, morale et politique des Juifs, vantata come «ouvrage couronné par la Société royale des Sciences et des Arts de Metz, le 23 Août 1788» di cui l’autore era membro. In essa Grégoire afferma che la «maggior parte delle fisionomie ebree sono di rado abbellite dal colorito della salute e dai tratti della bellezza. [...] Essi hanno un colorito smorto, il naso adunco, gli occhi infossati, il mento prominente», inoltre «sono arcigni e molto soggetti alle malattie», e per di più «esalano costantemente cattivo odore». Insomma, «sono piante parassite che succhiano la sostanza dell’albero al quale si attaccano finendo con esaurirlo o distruggerlo».
E se in mano illuminista negri ed ebrei piangono, certo i lapponi e gli ottentotti non ridono. I primi sono per Formey «termini estremi della razza dell’uomo» e per Delisle de Sales «aborti della razza umana»; i secondi «hanno qualcosa della sporcizia e della stupidità degli animali che rigovernano» per Raynal, «si tratta di uomini imperfetti» per Delisle de Sales e sono un «popolo spregevole» per Buffon.
Ma c’è addirittura dell’altro.
Uomini come renne e licheni
Viziose e turpi, molte “razze” non sono nemmeno pienamente umane.
Voltaire afferma che la natura produce una tal varietà qui e un’altra là. Volatili, licheni o uomini, sono tutti il prodotto del territorio su cui vivono: «la natura che ha posto solo renne o rangiferi in una contrada sembra aver prodotto i lapponi». Diversi i terreni, diversi gli abitanti. Le caratteristiche fisiche, cioè, che gl’individui possiedono per natura, le quali poi generano i popoli secondo l’idea che il simile sta con il simile, da cui si esplicitano infine le differenze anche morali fra le “razze”, sono solo il prodotto materiale di un determinato luogo geografico. Inutile chiedersi da dove derivi l’uomo: lo sprigiona la terra che poi egli abita. Non a caso, però, ma secondo una catena gerarchica dell’essere, «un sistema – indica De Viguerie – che comporta livelli intermedi fra uomo e animale».
Al tempo si credeva che gli albini fossero una “razza” di “negri bianchi”: ebbene, per Voltaire «sono al di sotto dei negri per la forza del corpo e dell’intendimento, e la natura li ha forse collocati dopo i negri e gli ottentotti, e sopra le scimmie, come uno dei livelli che scendono dall’uomo verso le scimmie». E poi, nel settimo dialogo dell’A.B.C. Dialogues et anedoctes philosophiques (1768), sempre Voltaire scrive: «il brasiliano è un animale che non ha ancora raggiunto la maturazione della propria specie».
Né dal sistema antropologico illuministico è assente il concetto di “degenerazione”. Per questo Grégoire può auspicare la «rettificazione» degli ebrei. Attorno al 1790, infatti, il termine “rigenerazione” cominciò ad assumere connotati sia antropologici sia politici. La Grande Révolution, del resto, fu intesa proprio così: una colossale palingenesi dell’umanità, finalmente liberata dai propri difetti. Era insomma una natura sbagliata quella che aveva prodotto piante, bestie e una catena dell’essere tanto rabberciata; ma l’analisi degli “scienziati” e l’action dei virtuosi della République corresse il tiro.
Nel febbraio 1757, sul Journal économique, tale «M. le C**» propose di arruolare «dei reggimenti di gobbi, di storpi e di guerci, facendo diminuire nello stesso modo l’estinzione di uomini forti tolti dalle campagne e che, servendo le truppe, non sarebbero in seguito più in grado di sposarsi». Venne poi l’Essai d’éducation nationale (1763) con cui Louis-René Caradeuc de La Chalotais (1701-1785) si chiese: «Esiste un’Arte per cambiare la razza degli animali, non ce ne sarebbe una per perfezionare quella degli uomini?». Gli rispose, nel 1883, Sir Francis Galton (1822-1911), cugino di Charles R. Darwin, coniando il neologismo: eugenetica.
Le magnifiche sorti e progressive avevano la strada spianata. Anzi, illuminata.
Postato da: giacabi a 14:50 |
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illuminismo, razzismo, voltaire
HMEMAN/Quel cristianesimo che permette di innamorarsi ma non di amare***Romano Scalfivenerdì 5 marzo 2010 Da: http://www.ilsussidiario.net«I russi non amano, ma si innamorano». Troviamo questa affermazione nel diario di padre Aleksandr Shmeman, uno dei più noti pensatori dell’emigrazione russa, scomparso nel 1983. L’innamoramento,dice Shmeman, si distingue dall’amore perché indebolisce le facoltà intellettuali concentrandole su un particolare staccato dal tutto. Se l’autentica cultura mette il particolare in rapporto con l’assoluto, la subcultura ha come caratteristica l’esaltazione del particolare chiuso in se stesso e preso come assoluto. Così la libertà, slegata dalla vita diventa arbitrio, la felicità si disintegra nelle voglie, la scienza si chiude nella specializzazione, l’arte diventa una tecnica, l’economia venerata come idolo prepara inesorabilmente la crisi, il progresso è condannato al degrado, e così di seguito. Shmeman vede l’origine storica di questa “frantumazione” nel Rinascimento, letto come rivolta contro il cristianesimo in nome della persona. L’autonomia della persona, passata attraverso l’illuminismo, il razionalismo, lo scientismo, è giunta a maturazione diventando un idolo, e com’è destino di ogni idolo, si è autodissolta nel relativismo. In questo processo di frantumazione i cristiani hanno una precisa responsabilità. Se infatti il Rinascimento è stato una rivolta contro il cristianesimo è anche perché i cristiani avevano collaborato a “frantumare” la fede in tante devozioni particolari che mettevano in ombra “Cristo tutto in tutti”. «Sono degli innamorati, ma non sanno più amare». Le singole parti hanno il sopravvento sul Tutto.Ed evidentemente questo discorso non vale soltanto per i russi. La cosa più tremenda nella storia attuale è la quasi completa assenza del cristianesimo come concezione capace di illuminare tutti gli aspetti della vita, di creare storia, di esaltare le potenzialità umane. Ci sono stati due momenti di svolta nella dissoluzione della presenza del cristianesimo nella coscienza umana, il primo, come si è detto, è stata la rivolta in nome della persona nel Rinascimento. Il secondo, nel nostro secolo, è stato la rivolta contro il cristianesimo “in nome dell’impersonalità”, quando la persona, trasformata in idolo, nella sua arbitrarietà si è frammentata e per garantirsi un’improbabile sopravvivenza, si è aggrappata all’ultima traballante sponda: esaltare ogni frammento particolare come se costituisse il significato sufficiente del tutto. Shmeman sottolinea che anche quest’ultima rivolta del laicismo moderno contro il cristianesimo è, più in profondità, una rivolta contro il tradimento operato dal cristianesimo contro se stesso. Ciò che il cristianesimo aveva rivelato come novità assoluta, verità assoluta, bene assoluto, felicità autentica, i cristiani non sono stato capaci di viverlo. «Hanno trasformato il cristianesimo in una religione», peggio, in una religione burocratica. I cristiani hanno tradito il cristianesimo delle origini: allora tutto scaturiva dalla conoscenza di Cristo, dal suo amore, «oggi invece tutto nasce dal desiderio di santificarsi». Alle origini si approdava alla comunione attraverso la sequela di Cristo, oggi si tende a ridurre Cristo a puntello dei nostri progetti, magari spirituali; lo usiamo per condannare ciò che noi deploriamo, a destra come a sinistra, non ha importanza. Per Shmeman non si tratta semplicemente di tornare al passato. Anche il tradizionalismo, esattamente come il progressismo, può diventare un idolo e il cristianesimo può diventare semplicemente un puntello. La tradizione vale se restaura la centralità di Cristo in tutti i tempi e per tutte le scelte. Se la verità è Cristo, è soltanto in lui che la vita fiorisce in tutti i suoi aspetti. «Tu che sei presente in ogni luogo ed ogni cosa porti a compimento, vieni ad abitare in noi» dice la Liturgia bizantina invocando lo Spirito.In questo modo il particolare non è sacrificato a Cristo, al contrario, soltanto in Lui può raggiungere la sua piena maturazione. «Ogni cosa che da Lui si allontana invecchia, e ogni cosa che a Lui si avvicina si rinnova. E sorprendentemente la sua novità deriva da ciò per cui Egli è l’Antico»diceva l’abate Guerrico nel XII secolo. In Cristo tradizione e progresso non sono termini contradditori, ma semplicemente antinomici, cioè più profondamente veri. |
Postato da: giacabi a 21:25 |
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illuminismo, cristianesimo
Il libro nero della Rivoluzione francese.
Culla della moderna democrazia
o feroce strage?
***
Fa discutere il volume sulla Francia giacobina. Culla della moderna democrazia o feroce strage? Gli autori: la politica della ghigliottina è l’antenata del comunismo. «Il governo rivoluzionario è debitore, nei confronti dei buoni cittadini, di tutto l’appoggio della nazione, mentre ai nemici del popolo deve nient’altro che la morte». Così Robespierre difese il Terrore il 25 dicembre 1793, davanti alla Convenzione nazionale. Cosa fu il Terrore: necessaria difesa della Repubblica o macchina di morte manovrata da una élite sanguinaria? Deviazione dai princìpi del 1789 che ispirarono la "Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino" o loro figlio legittimo? Un libro appena uscito in Francia riapre la discussione. "Le livre noir de la Révolution francaise" (Editions du Cerf, pp. 882, euro 44) richiama ovviamente quel "Libro nero del comunismo" che una decina d’anni fa fu accolto con fastidio dall’intellighenzia progressista europea. Non a caso uno dei 47 studiosi che ha dato vita a questa monumentale opera collettiva è Stéphan Courtois, curatore di quell’atto d’accusa al totalitarismo "rosso". Questa volta si tratta di rimettere in prospettiva il fenomeno storico, pressati da una domanda: perché una Rivoluzione che si pretendeva figlia dei Lumi e di Voltaire (quello che diceva «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire») finì per celebrare le virtù della ghigliottina? La dissuasione dei Vandeani Per rispondere all’interrogativo, i contributi dei vari autori smontano pezzo per pezzo il puzzle costruito dalla mitologia républicaine. I massacri della Vandea, anzitutto. I contadini di questa regione insorsero, nel marzo 1793, contro la decisione della Convenzione di arruolare a forza 300 mila uomini da gettare nella guerra contro Austria e Prussia. Un rapporto della Convenzione diceva a chiare lettere che «non c’è alcun mezzo di riportare la calma in quella regione che facendone uscire quelli che non sono colpevoli, sterminandone il resto, e rimpiazzandolo con dei repubblicani che difenderanno il loro Paese». Perfino Bertrand Barère, il membro "ondeggiante" del Comitato di Salute pubblica, perde il suo proverbiale sangue freddo e intima: «Distruggete la Vandea!». Il generale in capo dell’Armata dell’Est, Turreau, conferma gelido: «La Vandea deve diventare un cimitero nazionale». Il giacobino Jean-Baptiste Carrier esplode quasi esasperato: «Che non ci si venga più a parlare di umanità verso questi feroci vandeani: devono essere tutti sterminati!». E sterminio fu. Si portano in giro le teste mozzate. Jean Tulard, docente alla Sorbona e all’Istituto di Studi politici di Parigi, fra gli autori del "Livre noir", ha spiegato in un’intervista alla rivista AF2000: «Il Terrore è irriducibile agli "eccessi". Dal 14 luglio, quando la folla porta a spasso la testa di Launay (governatore della Bastiglia, ndr), ha il solo scopo di azzerare le resistenze. Quando si conducono i condannati dentro una carretta per chilometri prima di arrivare al patibolo, noi abbiamo già a che fare con un sistema terrorista». Anche gli annegamenti degli oppositori a Nantes (circa 3 mila persone), pianificati dallo stesso Carrier che inneggiava al macello in Vandea, furono "dissuasivi": «Quando i pescatori seduti sulle rive della Loira hanno visto passare i cadaveri a pelo d’acqua hanno dovuto temperare i loro sentimenti contro-rivoluzionari». C’è naturalmente la persecuzione contro la Chiesa. Migliaia di teste cadute all’interno del clero "refrattario", quello cioè che non aveva prestato il giuramento di fedeltà al documento di "Costituzione civile del clero" approvato dall’Assemblea Costituente nel 1790. Le ceneri di Montesquieu In parallelo, la furia rivoluzionaria si accanì anche contro il patrimonio artistico francese, colpevole di rinviare troppo all’Ancien Régime. A Parigi ne fecero le spese la chiesa des Bernardins, la biblioteca di Saint-Germaindes-Prés, le statue dei re sulla facciata di Notre Dame. Le ceneri di molti grandi uomini furono gettate nella Senna o nelle fogne. Anche quelle di Montesquieu, non a caso teorico dello Stato liberale basato sull’"equilibrio" dei poteri. Altro tasto su cui battono gli autori del "Livre noir": le analogie con i totalitarismi del Novecento, il nazismo ma soprattutto il comunismo di stampo sovietico. Sistematizzazione della politica del Terrore, omicidi delle famiglie regnanti, attacchi contro i religiosi, utilizzo della guerra per militarizzare e purgare la società, sacralizzazione della violenza. Tutte arti in cui i bolscevichi andranno oltre, ma fu Lenin a richiamare il precedente come esempio da superare: «La ghigliottina non era che uno spauracchio che spezzava la resistenza attiva. Questo non basta. Noi non dobbiamo solo spaventare i capitalisti, cioè far loro dimenticare l’idea di una resistenza attiva contro di esso. Noi dobbiamo spezzare anche la loro resistenza passiva». Dalla ghigliottina al Gulag. Ovvio che tesi del genere abbiano scatenato un polverone Oltralpe. Dove la retorica repubblicana è bipartisan. Anche Le Figaro, giornale della destra francese, ha stroncato le "Livre noir", chiedendosi: «Lo spirito totalitario non è morto. Bisogna prendersi il rischio di risvegliarne il cadavere rianimando un dibattito che era stato vinto (una volta tanto) dal campo liberale e chiarito?». La risposta alle polemiche Il radical-chic Le Nouvel Observateur ha invece attaccato frontalmente il libro, con lo sferzante titolo "Non, Danton n’est pas Hitler!" (No, Danton non è Hitler), pur ammettendo che c’è un fondo di verità. Alle critiche ha risposto tra gli altri lo storico Jean Sévillia, autore di uno dei contributi al testo: «L’iconografia ufficiale, quella dei manuali scolastici, quella della televisione, mostra gli avvenimenti del 1789 e degli anni seguenti come il momento fondatore della nostra società, cancellandone tutto ciò che vogliono occultare: il Terrore, la persecuzione religiosa, la dittatura di una minoranza, il vandalismo artistico». Da cui l’idea-base del "Livre noir": «Mostrare l’altra faccia della realtà e ricordare che c’è sempre stata un’opposizione alla Rivoluzione francese, ma senza tradire la Storia». La Storia, per inciso, dice che dal caos rivoluzionario scaturì il primo dittatore moderno, Napoleone Bonaparte. di Giovanni Sallusti - 04/05/2009 Fonte: Libero 9 marzo 2008) |
Postato da: giacabi a 14:44 |
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illuminismo
Quale futuro senza Dio?
***
Sant'
Agostino aveva ragione: l'esclusione di Dio dalla società porta alla
morte dell' uomo. Molti cattolici sprovveduti non lo hanno capito. Il
nuovo imbarbarimento.
Nel
secolo che sta per concludersi, abbiamo visto in atto - per la prima
volta nella storia in dimensioni così gigantesche - il
tentativo di costruire delle società umane facendo a meno di Dio e
della sua legge, anzi in opposizione esplicita alla sua legge.
Donde l'origine di tale tentativo? Va
ricercata nella grande filosofia anticristiana tedesca, la quale a
partire da Hegel e passando per Feuerbach, Marx e Nietzsche, ha
portato alla proclamazione della "morte di Dio". Tutte le immense
stragi del nostro secolo sia comuniste che naziste - sono derivate in
via diretta da quella filosofia. Ovviamente l'esclusione di Dio dalle società comuniste e da quella nazista non ha portato alla Sua morte. Constatiamo
che ha portato alla morte di un numero sterminato di esseri umani.
Non dobbiamo stancarci di ricordare le statistiche di quelle stragi:
25 milioni di vittime nell'ambito nazista; mentre nell'ambito
comunista 60 milioni in Russia, 150 in Cina, da 2 a 3 milioni in
Cambogia, 2 milioni in Corea del Nord, 1 in Vietnam, 1.700.000 in
Africa, 1.500.000 in Afganistan, 1 milione nell'Europa dell'Est.
Un numero così inconcepibile di morti, i non cristiani non riescono a
spiegarselo, come non riescono a spiegarsi un secolo Ventesimo
improvvisamente tornato alle caverne, dopo un Diciannovesimo tutto
sommato civile.
Le
spiegazioni proposte dai "laici" infatti - per esempio, il culto
della personalità di Stalin, o che Hitler fosse un gangster, come
suggerisce Brecht non spiegano assolutamente niente. Ai cristiani
invece non è difficile individuare in quel terribile processo storico
l'alterno sovrapporsi delle due "città", che stanno nella visione
cristiana della storia formulata e trasmessaci dal filosofo Agostino.
La "città (o società) terrena", che esclude Dio dal proprio ambito, e
la "città (o società) celeste", che invece gli fa spazio, e cerca di
costruirsi secondo i suoi insegnamenti. Di solito, dice il filosofo,
le due società si presentano mescolate tra loro, secondo proporzioni
che variano. Ed è appunto la prevalenza alterna dell'una o dell'altra a
costituire il vero filo conduttore di tutta la storia degli uomini.
Avverte ancora Agostino: i costruttori della "città terrena" -
indipendentemente dalle loro intenzioni finiscono sempre col
comportarsi alla maniera del "principe di questo mondo" di cui parla
il Vangelo, cioè, piaccia o non piaccia, del demonio.
Ora noi sappiamo, perchè ce lo dice il Vangelo, che gli attributi specifici del demonio sono di essere "omicida", "menzognero", e "scimmia di Dio".
Ecco: nel nostro secolo in due distinti ambiti, appunto quello
comunista e quello nazista, è stata portata avanti la costruzione di
due società "terrene" senza quasi mescolanze con società "celesti"
che, se anche imperfette, avrebbero come in passato costituito un
ritegno. In particolare, senza più la presenza del timor di Dio, del
quale era stata proclamata la "morte". Per questo in tali due ambiti
si sono verificati anzitutto quegli omicidi su scala così
inconcepibile; in secondo luogo vi sono comparse delle menzogne
sistematiche, addirittura due articolati, giganteschi sistemi di
menzogne, presentati come modernissima scienza della società: ed erano
tali sistemi ad alimentare di continuo gli omicidi; in terzo luogo si
è preteso di imporre ai cittadini quei coacervi di errori e menzogne
in sostituzione della fede portataci da Cristo: il che fu, nè più nè
meno, comportamento da "scimmie di Dio".
Oggi,
la scarsa presenza della cultura cristiana nel dibattito culturale
mondiale (incredibile, dopo che la storia ha dimostrato in pieno, nel
nostro secolo, la fondatezza di tutti i suoi assunti) è causata
soprattutto dall'azione di molti cattolici che si sono idealmente e
politicamente schierati a fianco dei comunisti e dei 'laici" di
sinistra. Tali cattolici, chiudendo gli occhi sulle
terrificanti cose che tutti abbiamo vissuto, preferiscono seguire le
indicazioni di alcuni falsi maestri ormai scomparsi (capifila
Maritain, e per l'Italia Dossetti) e vedono nei comunisti e nelle
sinistre "laiche" i più efficaci difensori degli interessi dei poveri e
della gente meno difesa. L'amore evangelico (adesso si usa dire "la
solidarietà") per i poveri, determina perciò quei cattolici alla
collaborazione sistematica coi comunisti e i loro eredi, e con le
sinistre in genere, verso cui - soprattutto certi sprovveduti - assumono
atteggiamenti quasi da discepolo a maestro.
I
più provveduti d'intelletto, mossi dal bisogno (sempre inteso
evangelicamente, ahimè) di farsi "lievito" nel mondo delle sinistre, e
determinati, in quanto cristiani, a condurre con onestà un "dialogo"
con tale mondo, accettano sinceramente dal comunismo e dal laicismo
progressista tutto ciò che abbia una parvenza di meno pericoloso per
la fede, creandosi così una fede propria, che raggiunge livelli di
ambiguità atroce, e la propugnano.
La
Chiesa, e per essa la gerarchia, sebbene in gravi angustie per la
situazione creatasi (si veda il recente libro Meglio il martirio del
coraggioso vescovo di Como mons. Maggiolini), non si risolve a
sconfessarli, anche perchè diversi pastori, non senza fondamento,
considerano la mentalità "laica" talmente preponderante che temono, se
le si schierassero contro, di ridurre la Chiesa in uno stato di
ostracismo tale da non poter neppure più esercitare la parte di
magistero che oggi le è concessa. Intanto il processo di
scristianizzazione non si arresta. Così nuovi cadaveri hanno cominciato
ad accumularsi: prodotti adesso dalla droga, e soprattutto dall'aborto
(già milioni ogni anno).
Ma
sta forse per affacciarsi anche qualcosa di più propriamente
barbarico: sembra infatti che stia prendendo corpo una sorta
d'imbestiamento nuovo, via via più diffuso tra le giovani generazioni
private degli ideali cristiani, e ormai di qualsiasi ideale
(non potendosi dire tali quelli del consumismo: cioè per i giovani il
sesso, l'abbigliamento più o meno eccentrico, la motocicletta e lo
sport). Di tale imbestiamento ci sembrano essere indizio, in più d'un
paese d'Europa, a cominciare dall'Inghilterra, le lotte a coltello tra
bande di giovani (i cosiddetti "uligani", termine non a caso
d'origine russa), che si riducono a livello di bruti tramite
ubriacature in occasione di comuni gare sportive (e non solo di
queste, tanto che in diversi luoghi la gente non si arrischia più a
uscire di casa la sera). In America si sono andati sviluppando altri
tipi di selvaggi scontri tra gruppi giovanili, tali da costringere ad
esempio il sindaco della capitale Washington a imporre il coprifuoco
sui giovani. In Italia e apparso un fenomeno più modesto, ma pure a
suo modo indicativo: quello dell'imbrattamento crescente dei muri delle
città fino ad altezza d'uomo (macroscopico a Milano) ad opera in
genere di minorenni. I quali, evidentemente vuoti di tutto, e in
particolare di ritegni, cercano d'imporre all'ambiente circostante
l'abbrutimento che sentono crescere in se stessi. Sono per ora
soltanto indizi, degni però d'attenzione. Solo
il ritorno della prevalenza della "città di Dio", ove la Religione
sia tenuta nella giusta considerazione e la legge di Dio rispettata ed
osservata, consentirà di uscire dal baratro nel quale ci ha gettato
questo secolo.
E` questo il fine della Nuova Evangelizzazione, che sta così a cuore a
Papa Giovanni Paolo II. E` questa la sola alternativa alla nuova
barbarie dilagata nel mondo.
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Postato da: giacabi a 08:28 |
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illuminismo
Garibaldi: la vergogna d’Italia
*** |
Postato da: giacabi a 18:38 |
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illuminismo
L’involuzione
***
« Presentando il suo volume all’Università Cattolica di Milano qualche giorno fa, Ol’ga Sedakova ha raccontato di aver visto in Germania una interessante galleria di ritratti di letterati;
mentre quelli del Settecento appaiono come uomini maturi e certi della loro ragione illuminista,
quelli del secolo successivo appaiono come giovani romantici, sognatori e un po’ svagati;
quelli del Novecento hanno invece il volto tipico degli adolescenti arrabbiati coi genitori e con la vita tutta.
I nostri contemporanei, infine, assomigliano a dei bambini piccoli piccoli, che non sono ancora capaci di fare niente.
È
evidente la traiettoria regressiva di una ragione presuntuosa. Ma non
è la fine; ha detto con determinazione la Sedakova. Molte volte nella
storia si è pronosticata la fine della civiltà, ma in realtà essa
prosegue, sempre e sorprendentemente. E solo il poeta, il sapiente, ne
coglie lo sviluppo; e lo sa collegare con l’immensa eredità del
passato. ».
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Postato da: giacabi a 13:19 |
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illuminismo
Il razionalismo
***
“Il razionalismo è la contraddizione che riunisce nella sua unità suprema tutte le altre contraddizioni. Infatti, il razionalismo è, al tempo stesso, deismo, panteismo, umanismo, manicheismo, fatalismo, scetticismo, ateismo”.
Donoso Cortes
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Postato da: giacabi a 20:16 |
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illuminismo
L’oscurantismo del progresso
***
“se oggi c’è un oscurantismo che imperversa in Europa, è precisamente l’oscurantismo del progresso.
La posizione di questi scienziati, biologi e ginecologi procede da una
confusione fra dominio e libertà. Più si domina, più si è liberi, ci ha
insegnato l’Illuminismo. Ma oggi il nostro compito è proprio quello di
rimettere in discussione questa lezione”
(Alain Finkielkraut)
grazie a: http://fontanavivace2.altervista.org/
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Postato da: giacabi a 12:39 |
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illuminismo, finkielkraut
L'illuminismo
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“L'illuminismo
nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da
sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli
padroni, ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di una trionfale sventura, gli uomini pagano l'accrescimento del loro potere con l'estraniazione da ciò su cui lo esercitano. L'Illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini, che conosce in quanto è in grado di manipolarli.
Ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura,
cade tanto più profondamente nella coazione naturale: è questo il corso
della civiltà europea" ».
Adorno da: Dialettica dell'Illuminismo
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Postato da: giacabi a 14:42 |
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illuminismo, adorno
I positivisti
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“"veramente io li ammiro, tutti questi grandi filosofi di quei sistemi nichilisti oggi così prosperi. Noialtri, pazienti scrutatori della natura, ricchi delle scoperte dei nostri predecessori muniti
degli strumenti più delicati,armati del severo metodo sperimentale
incespichiamo in ogni passo alla ricerca della verità, e ci accorgiamo
che il mondo materiale fin nella sua minima manifestazione,è quasi sempre diverso da quelle che avevamo presentito. Ed essi, completamente in balia dello spirito del sistema, come fanno a sapere?”
L. Pasteur discorso per l’elezionae all’accademia di Francia
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Postato da: giacabi a 12:19 |
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illuminismo, scienza - articoli
Morte di Dio, morte dell'uomo
***
(..)
Secondo una suddivisione oggi purtroppo accettata in tutto l'Occidente,
la storia degli ultimi millecinquecento anni viene distinta in due
parti. La prima, dalla fine dell'Impero Romano al Rinascimento,
corrisponde ad un unico periodo, chiamato Medioevo, nel quale vengono
fatti coesistere i secoli oscuri della prevalenza barbarica e i successivi
secoli della Res Publica Christiana e del Sacro Romano Impero, gli
unici, questi, in cui il cristianesimo ha permeato in qualche modo la
vita della società. Si tratterebbe in sostanza di un unico periodo
regressivo per l'umanità.
La seconda parte comincia con il Rinascimento, che rappresenta l'inizio dell'età moderna, o del progresso. In
realtà nel Rinascimento ha avuto luogo la rinascita del paganesimo, non
più però nella sua versione antica, che dava anche spazio a Dio, o almeno agli dei, tanto che Cicerone poteva scrivere: “Apud
nos omnia religione reguntur” (presso di noi tutto si regge sulla
religione), e nel quale potevano comparire figure come Virgilio
naturaliter christianus. Il
nuovo paganesimo rinascimentale, invece, dopo aver conosciuto Cristo,
lo respingeva: era dunque contro Cristo e contro Dio. Partendo appunto
da lì si è arrivati nel nostro secolo alla proclamata “morte di Dio”,
che costituisce il nucleo caratterizzante la filosofia laicista
contemporanea.
Quella
esclusione di Dio dalla vita concreta della società ha prodotto fin da
subito frutti amari: anzitutto, durante lo stesso Rinascimento, ha
prodotto un primo piccolo Hitler o Stalin, con il Duca Valentino, che è
stato assunto da Macchiavelli come il modello della politica nuova e
razionale, quella del fine che giustifica i mezzi.
Non a caso ai nostri giorni Gramsci, fornendo il più moderno studio
della politica preconizzata dal comunismo, ha dato al Partito il nome di
“Nuovo Principe”.
Più tardi, un secondo frutto tipico dell'esclusione di Dio dalla società degli uomini è stato, durante la Rivoluzione
francese, il tremendo massacro vandeano, che ha presentato
caratteristiche di genocidio e di menzogna molto simili a quelle
comparse poi su scala molto maggiore nel nostro secolo.
Infine il frutto maggiore, almeno fino ad oggi, è costituito appunto dalle
stragi naziste e comuniste nel nostro secolo, che hanno comportato
milioni e milioni di morti. La “morte di Dio”, infatti, comporta come
stretta conseguenza la nullificazione dell'uomo. Di tutto questo la gente sa ben poco, perchè il nostro è il tempo delle mezze verità, cioè in conclusione della menzogna. (..)
Eugenio Corti da un'intervista a Tracce , maggio 1997
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Postato da: giacabi a 14:39 |
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illuminismo, laicismo
La catastrofe
della coscienza umanistica areligiosa
***
C'e comunque una catastrofe già in corso: la catastrofe della coscienza umanistica areligiosa.
Questa coscienza ha fatto dell'uomo la misura di ogni cosa sulla Terra; dell'uomo
imperfetto, mai esente dall'orgoglio, dalla cupidigia, dall'invidia,
dalla vanità e da decine di altri difetti. Ed ecco che gli errori,
sotto- stimati all'inizio del cammino, oggi si prendono una poderosa
rivincita. II cammino che abbiamo percorso a partire dal Rinascimento ha arricchito la nostra esperienza, ma ci
ha fatto anche perdere quel Tutto, quel Più alto che un tempo
costituiva un limite alle nostre passioni e alla nostra irresponsabilità. Abbiamo
riposto troppe speranze nelle trasformazioni politico-sociali e il
risultato e che ci viene tolto ciò che abbiamo dl più prezioso: la
nostra vita interiore. All'Est è il bazar del Partito a calpestarli all'Ovest la fiera del commercio. Quello che fa paura, della crisi attuale, - non e neanche il fatto della spaccatura del mondo, quanto che i frantumi più importanti siano colpiti da un'analoga malattia.
Se
l’'uomo fosse nato, come sostiene I'umanesimo, solo per la felicità,
non sarebbe nato anche per la morte. Ma poiché e corporalmente votato
alla morte,
il suo compito su questa Terra non può essere che ancor più spirituale:
non l'ingozzarsi di quotidianità, non la ricerca del sistemi migliori
di acquisizione, e poi di spensierata dilapidazione, del beni materiali,
ma il compimento di un duro e permanente dovere, cosi che l’intero
cammino della nostra vita diventi l'esperienza di un'ascesa soprattutto
morale: che ci trovi al termine del cammino, creature più elevate dl quanto non fossimo nell'intraprenderlo. Inevitabilmente, dovremo rivedere la scala del valori universalmente acquisita e stupirci della sua inadeguatezza e erroneità.
Solzenicyn da:Un mondo in frantumi
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Postato da: giacabi a 20:29 |
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illuminismo, solzenicyn
L’umanesimo ateo
***
« La coscienza umanistica, autodesignatasi a nostra guida, ha negato la presenza del male all'interno dell'uomo, non gli ha riconosciuto compito più elevato dell'acquisizione della felicita terrena e ha posto alla base della civiltà occidentale moderna la pericolosa tendenza a prosternarsi davanti all'uomo e ai suoi bisogni materiali.
. Al
di fuori del benessere fisico e dell'accumulazione del beni materiali,
tulle le altre particolarità, tutti gli altri bisogni, più elevati e
meno elementari dell'uomo, non sono stati presi in considerazione dai sistemi statali e dalle strutture sociali come se l'uomo non avesse un significato più nobile da dare alla vita. E così in questi edifici sono stati lasciati vuoti pericolosi attraverso i quali oggi scorrazzano liberamente in ogni direzione le correnti del male.
Da sola, la libertà pura e semplice non e assolutamente in grado dl
risolvere tutti i problemi dell'esistenza umana, e anzi può soltanto
porne di nuovi.
Tuttavia, nelle prime democrazie, compresa quella americana alla sua nascita, tutti i diritti venivano riconosciuti alla persona umana solo in quanta creatura di Dio: In altre parole la libertà veniva conferita al singolo solo sotto condizione, presumendo una sua permanente responsabilità religiosa: tanto sentita era ancora l'eredità del millennio precedente.
Solo duecento anni fa, ma anche cinquanta, in America sarebbe parso
impossibile accordare all'uomo una libertà senza freni, cosi, per il
soddisfacimento delle sue passioni. Tuttavia, da allora, in tutti i paesi occidentali questi limiti e condizionamenti sono stati erosi, ci si
è definitivamente liberati dell'eredità morale del secoli cristiani con
le loro immense riserve di pietà e di sacrifico e i sistemi sociali
hanno assunto connotati materialistici sempre più compiuti. In ultima analisi si può dire che l'Occidente
abbia si difeso con successo, e perfino con larghezza, i diritti
dell'uomo ma che nell'uomo si sia intanto, completamente spenta la
coscienza della sua responsabilità davanti a Dio e alla società. Durante questi ultimi decenni l’egoismo legalistico della filosofia occidentale ha prevalso definitivamente e il mondo si ritrova In un'acuta crisi spirituale e in un vicolo cieco politico. E tutti i successi tecnici, cosmo compreso, del tanto celebrato Progresso non sono stati in grado dl riscattare la miseria morale nella quale e piombato il XX secolo e che non era stato possibile prevedere, neanche a partire dal XIX secolo.
Solgenitzin da: Il mondo in frantumi
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Postato da: giacabi a 21:49 |
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illuminismo, solzenicyn
L’uomo al posto di Dio
***
“Fino al Trecento
-o all'incirca, si tratta di un punto di riferimento, che può essere
spostato nel tempo, prima in Italia o dopo in Spagna ad esempio -, Dio era il personaggio principale della storia. La
storia ruotava intorno a lui come la città intorno alla cattedrale: Dio
dominava il pensiero, I'arte, la vita sociale e la vita privata. La sua creatura era una persona fatta «a sua immagine e somiglianza », e,
poiché una persona vale di più di un mucchio di pietre, c' era spesso
nella pittura sproporzione tra le persone e lo scenario: il signore
sovrastava dall' alto le mura del proprio castello e il santo teneva la
propria chiesa nel cavo della mano. La stessa sproporzione si
ripeteva in tutti i campi, compresi i costumi, che potevano variate
dalla crudeltà alla poesia, secondo che l'essere umano, della sua
somiglianza con Dio, privilegiasse il potere che credeva venirgli da
lui, o si sentisse da questa vincolato alla misericordia e all'amore. Il Medioevo non e stato un'epoca di tenebre, ha acceso al contrario una vivida luce sull'uomo e sulle grandezze, debolezze, slanci e dissonanze che ne agitavano I'anima,
come traspare dai colori variegati e contrastanti degli abiti o dalla
stravaganza dei copricapo : in uso. Questi estremi sono simbolizzati dal
guanto di ferro del guerriero e dalla mano di san Francesco bucata
dalle stimmate.
A partire dal Quattrocento -un po' prima, o un po' dopo, si tratta sempre di un riferimento mobile sulla mappa delle correnti dello spirito -l'uomo si sottrae alla fascinazione di Dio, rivolge lo sguardo al mondo: perderà un Padre troverà una Madre, la natura, come conferma l’ espressione « madre natura », formula che diventa corrente nella conversazione.
È
l'epoca delle grandi scoperte, e l'uomo incontra suI suo cammino Ie
divinità pagane che dormivano con un ‘occhio solo avvolte «nel loro
sudario di porpora ». L 'uomo ordina la creazione non più intorno a Dio, ma intorno al proprio essere: nella pittura, la prospettiva dispone lo scenario in rapporto all'occhio del pittore. L
'uomo si giudica degno a un tempo di ammirazione, per la superiorità
che la ragione gli conferisce sulle altre creature, e di derisione, per
il posto minuscolo che occupa nel vortice dell'universo.
II quadro di Brueghel La caduta di Icaro
da un'idea della nuova situazione: occorre quasi una lente per scorgere
il tuffo dell' eroe nell'immensità dello scenario che lo circonda; l’avventura di Icaro si conclude con un ridicolo sputo nell'acqua. L'
essere umano ha cessato di costituire una persona, poichè la persona è
in noi ciò che dialoga con Dio; è diventato un individuo e parlerà
spesso di «liberta individuale», mai di «liberta personale ».
Questa
mutazione e riscontrabile, con dovizia di prove, nella letteratura del
secolo dei « Lumi », in cui si combinano in maniera impressionante
esaltazione della specie e disprezzo dei suoi rappresentanti.
L 'uomo e l'unica coscienza in atto in tutto l'universo, e l'essere
supremo: rende omaggio su omaggio al proprio genio, pur acquisendo un
sentimento sempre più deprimente della propria insignificanza materiale;
gli scrittori abbandonano l'eroe del passato per dedicarsi alla
descrizione minuziosa delle infermità della specie e delle meschinità
della vita quotidiana.
Nel
frattempo la conoscenza delle leggi della natura faceva passi da
gigante; l' ateismo avanzava con lei, mentre ogni nuova scoperta
sembrava rendere sempre più vicino il momento ideale in cui la natura
sarebbe stata tanto cortese da spiegarsi da sola.
Si procedette cosi
fino alla metà del ventesimo secolo, epoca in cui ha avuto luogo una di
quelle rivoluzioni sotterranee di cui ci si accorge solo quando sono
già avvenute e che insidiano, mutandola profondamente, l'intera mentalità di un'epoca: da
una ventina d'anni le « leggi della natura » hanno cessato di avere
forza di legge. Le barriere che opponevano alla volontà umana stanno
infatti cedendo una dopo l' altra, a causa delle correzioni e delle
deroghe che hanno subito ad opera del progresso della tecnica; Ie «leggi
della natura » non forniscono più dei punti di riferimento alla
ragione, che dipende ormai solo da se stessa, data che nessuno può dire
che uso essa farà del potere inebriante e fatale di cui disporrà domani.
Io ritengo che la «legge naturale » secondo la Chiesa non sia una dottrina ricavata dall'esame delle «leggi della natura ». La «legge naturale»
è l'insieme degli obblighi e delle responsabilità che derivano all'uomo
dalla propria natura di essere creato «a immagine e somiglianza. di
Dio». In ultima analisi ,
la legge naturale è fondata sul principio per
cui Dio e l'uomo sono indissociabili e che l'uomo, di conseguenza, ha
il potere esorbitante di implicare Dio nei propri atti, che ne abbia o
meno coscienza.”
Andreè Frossard da: Dio Le domande dell’uomo ed. Mondadori
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Postato da: giacabi a 18:02 |
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illuminismo, frossard
Il rimedio dell'uomo moderno:
Cristo, Redentore dell’uomo, Centro del cosmo e della storia.
***.
“ La Chiesa e l’Europa.
Sono due realtà intimamente legate nel loro essere e nel loro destino.
Hanno fatto insieme un percorso di secoli e rimangono marcate dalla
stessa storia. L’Europa è
stata battezzata dal cristianesimo; e le nazioni europee, nella loro
diversità, hanno dato corpo all’esistenza cristiana. Nel
loro incontro si sono mutuamente arricchite di valori che non solo sono
divenuti l’anima della civiltà europea, ma anche patrimonio dell’intera
umanità. Se nel corso di crisi successive la cultura europea
ha cercato di prendere le sue distanze dalla fede e dalla Chiesa, ciò
che allora è stato proclamato come una volontà di emancipazione e di
autonomia, in realtà era una crisi interiore alla stessa coscienza
europea, messa alla prova e tentata nella sua identità profonda, nelle
sue scelte fondamentali e nel suo destino storico.
L’Europa
non potrebbe abbandonare il cristianesimo come un compagno di viaggio
diventatole estraneo, così come un uomo non può abbandonare le sue
ragioni di vivere e di sperare senza cadere in una crisi drammatica.
È
per questo che le trasformazioni della coscienza europea spinte fin
alle più radicali negazioni dell’eredità cristiana rimangono pienamente
comprensibili solo in riferimento essenziale al cristianesimo. Le
crisi dell’uomo europeo sono le crisi dell’uomo cristiano. Le crisi
della cultura europea sono le crisi della cultura cristiana.
È estremamente significativo esaminare la metamorfosi subìta dallo spirito europeo in quest’ultimo secolo. L’Europa
è oggi attraversata da correnti, ideologie, ambizioni che si vorrebbero
estranee alla fede, quand’anche non direttamente opposte al
cristianesimo. Ma è interessante rilevare come, partendo da sistemi e da
scelte che intendevano assolutizzare l’uomo e le sue conquiste terrene,
si è arrivati oggi a mettere in discussione precisamente l’uomo stesso,
la sua dignità ed i suoi valori intrinseci, le sue certezze eterne e la
sua sete di assoluto. Dove sono oggi i solenni proclami di un certo
scientismo che prometteva di dischiudere all’uomo spazi indefiniti di
progresso e di benessere? Dove sono le speranze che l’uomo, proclamata
la morte di Dio, si sarebbe finalmente collocato al posto di Dio nel
mondo e nella storia, avviando un’era nuova in cui avrebbe vinto da solo
tutti i propri mali?
Le
tragiche vicende di questo secolo, che hanno insanguinato il suolo
d’Europa in spaventosi conflitti fratricidi; l’ascesa di regimi
autoritari e totalitari, che hanno negato e negano la libertà e i
diritti fondamentali dell’uomo; i dubbi e le riserve che pesano su un
progresso che, mentre manipola i beni dell’universo per accrescere
l’opulenza ed il benessere, non solo intacca l’“habitat” dell’uomo, ma
costruisce anche tremendi ordigni di distruzione; l’epilogo fatale delle
correnti filosofico-culturali e dei movimenti di liberazione chiusi
alla trascendenza: tutto questo ha finito per disincantare l’uomo
europeo, spingendolo verso lo scetticismo, il relativismo, se non anche
facendolo piombare nel nichilismo, nella insignificatezza e
nell’angoscia esistenziale.
Questa contraddizione e questo sbocco drammatico e imprevisto sembrano paradossali e difficili da spiegare. Certuni
diranno che si tratta di una crisi di crescita, legata alla natura
dell’uomo essenzialmente caratterizzata dalla finitezza e dalla
storicità della sua condizione. Ma il dramma sembra racchiudere un
significato più recondito, che spetta a voi di svelare pienamente,
dandone l’interpretazione spirituale alla luce di una teologia della
storia che vede l’uomo in un dialogo di libertà con Dio e con il suo
progetto salvifico.
4.
In questa luce, il cristianesimo può scoprire nell’avventura dello
spirito europeo le tentazioni, le infedeltà ed i rischi che sono propri
dell’uomo nel suo rapporto essenziale con Dio in Cristo. Ancor più
profondamente, possiamo affermare che queste prove, queste tentazioni e
questo esito del dramma europeo non solo interpellano il Cristianesimo e
la Chiesa dal di fuori come una difficoltà o un ostacolo esterno da
superare nell’opera di evangelizzazione, ma in un senso vero sono interiori al Cristianesimo e alla Chiesa. L’ateismo
europeo è una sfida che si comprende nell’orizzonte di una coscienza
cristiana; è più una ribellione a Dio e una infedeltà a Dio che una
semplice negazione di Dio. Il secolarismo, che l’Europa ha diffuso nel
mondo col pericolo di inaridire rigogliose culture dei popoli di altri
continenti, si è alimentato e si alimenta alla concezione biblica della
creazione e del rapporto uomo-cosmo.
L’impresa
scientifico-tecnica di assoggettare il mondo non sta forse nella linea
biblica del compito che Dio ha affidato all’uomo? E la volontà di potere
e di possedere non è la tentazione dell’uomo e del popolo sotto il
segno dell’alleanza con Dio?
Potremmo continuare nella nostra analisi. E scopriremo, forse non senza meraviglia, che la crisi e la tentazione dell’uomo europeo e dell’Europa sono crisi e tentazioni del Cristianesimo e della Chiesa in Europa.
Ma
se è vero che le difficoltà e gli ostacoli all’evangelizzazione in
Europa trovano appiglio nella stessa Chiesa e nello stesso
Cristianesimo, i rimedi e le soluzioni andranno cercati all’interno della Chiesa e del Cristianesimo, e cioè nella verità e nella grazia di Cristo, Redentore dell’uomo, Centro del cosmo e della storia.
La Chiesa stessa deve allora auto-evangelizzarsi per rispondere alle sfide dell’uomo d’oggi.
Se l’ateismo è una tentazione della fede, sarà con l’approfondimento e la purificazione della fede che esso sarà vinto.
Se
il secolarismo chiama in causa la concezione dell’uomo nel mondo e
l’utilizzazione dell’universo, l’evangelizzazione dovrà riproporre
quella teologia e spiritualità cosmica che, fondata biblicamente e
presente nella liturgia, ha ricevuto illuminanti prospettive dal
Concilio Vaticano II (cf. Gaudium et Spes, 37).
Se
la rivoluzione industriale, nata in Europa, ha dato origine a un tipo
di economia, a rapporti sociali e a movimenti che sembrano opporsi alla
Chiesa e ostacolare l’evangelizzazione, sarà vivendo, annunciando e
incarnando il Vangelo della giustizia, della fraternità e del lavoro,
che restituiremo al mondo del lavoro un mondo umano e cristiano.
Potremo
continuare ad applicare questi concetti a realtà così importanti, come
la famiglia, la gioventù, le zone di povertà e i “nuovi poveri” in
Europa, le minoranze etniche e religiose, i rapporti tra Europa e Terzo
Mondo.
Far
appello alla fede e alla santità della Chiesa per rispondere a questi
problemi e a queste sfide non è una volontà di conquista o di
restaurazione, ma è il cammino obbligato che va fino in fondo alle sfide
e ai problemi.
La
Chiesa, per rispondere alla sua missione oggi in Europa deve aver
coscienza che, lungi dall’essere estranea all’uomo europeo o tanto meno
sentirsi inutile e impotente a risolvere le crisi e i problemi
dell’Europa, porta invece in se stessa i rimedi alle difficoltà e la
speranza del domani.
E
sarà con l’essere fedele fino in fondo a Cristo e divenendo sempre più,
con la santità di vita e con le virtù evangeliche, trasparenza di
Cristo, che la Chiesa entrerà nell’animo e nel cuore dell’Europa.
5.
La nostra responsabilità e la nostra missione nei riguardi dell’Europa
sono quindi ben grandi, così come grande è la speranza di cui siamo
portatori.
Le
nostre comunità, evangelizzate nella prima ora della storia della
Chiesa, hanno ricevuto talenti preziosi da amministrare. Non possiamo
certo, come gli operai della parabola evangelica, vantare meriti nei
confronti delle Chiese novelle degli altri continenti. Dobbiamo anzi,
con sincera umiltà, chiedere perdono delle nostre infedeltà, delle
nostre divisioni e delle malattie che abbiamo diffuso nel mondo.
Ma, insieme, dobbiamo intraprendere, con rinnovata convinzione, la missione che Dio oggi ci affida in ordine all’Europa.
Noi non abbiamo ricette economiche né programmi politici da proporre. Ma abbiamo un Messaggio e una Buona Novella da annunciare.
Dipenderà
anche da noi se l’Europa si rinchiuderà nelle sue piccole ambizioni
terrestri, nei suoi egoismi e soccomberà all’angoscia e
all’insignificatezza, rinunciando alla sua vocazione e al suo ruolo
storico, oppure ritroverà la sua anima nella civiltà della vita,
dell’amore e della speranza.”
GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI AL V SIMPOSIO DEL CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D'EUROPA
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Postato da: giacabi a 07:34 |
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nichilismo, illuminismo, ideologia, giovanni paoloii
L’errore della filosofia moderna sta nell’aver tolto una “r”
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Da «Cogitor, ergo sum». Karl Barth
«Sono pensato (da Dio ) quindi sono ». a
a + «Cogito, ergo sum». Cartesio
«Penso, quindi sono»
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Postato da: giacabi a 09:17 |
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illuminismo, ideologia
Il dio dell’illuminismo*
***
« Ma che Demone ottuso, che strano Mago avete dunque insediato nel vostro cielo,voi che oggi , osate definirlo deserto? E perché sotto un cielo vuoto cercate un mondo sensato e buono?»
Emmanuel Lévinas
* lager e gulag
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Postato da: giacabi a 15:28 |
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comunismo, illuminismo, ideologia, levinas
Il frutto dell’ideologia
***
«La
causa di questa terribile catastrofe è l'incarnarsi delle utopie
socialiste dell'Illuminismo nel tessuto della vita contemporanea. L'uomo
dell'Illuminismo respinse Dio con irrisione e si pose il suo posto. Si
considerava detentore quasi divino delle verità assolute e ricettacolo
della coscienza del mondo. Questa
certezza lo spinse a istruire le masse e diventò sorgente di una
colossale forza interiore, di quello slancio paternalistico che cercava
di disperdere le tenebre dei pregiudizi clericali e nazionali con la
luce sfolgorante della verità dell'unica ideologia scientifica. Dal
momento però che questi pregiudizi erano radicati ontologicamente nella
storia, benedetti dalla chiesa, avevano una profonda e reale vitalità, e
quindi mal cedevano il passo all'azione illuminatrice; e
l'illuminatore, desiderando essere padrone delle menti del popolo, creò
efficienti strumenti di demagogia, rafforzati (perché fossero più
convincenti) da uno sbalorditivo terrore. Il
messianismo millenarista dell'ideologia tardo illuminista, prendendo il
potere nelle proprie mani, cominciò a sacrificare all'idolo del radioso
avvenire milioni di propri compatrioti. E
mentre il mondo batteva le mani ai giganteschi sforzi illuministici, le
popolazioni, irrigidite nella loro incapacità di accogliere la grande
ideologia di salvezza, inzuppavano con il sangue le zone dell'Arcipelago.
Ma
il volontarismo tardo illuminista non poté costringere uomini a
edificare il loro mondo interiore secondo una sua immagine e non creò
una nuova antropologia, ma offuscò la coscienza popolare in una
atmosfera di sinistro terrore. La Russia cadde nel silenzio. Accanto a noi stanno generazioni mute. Esse attraversarono in silenzio la vita, portando con sé nella tomba il grido inespresso. E sopra il mondo avvolto nel terrore, come un fungo atomico si levò il fantasma nebbioso del socialismo.
E
noi che viviamo all'ombra di tali tremendi avvenimenti ci apriamo un
varco nel mondo degli spettri socialisti verso la realtà e la storia.
Respingendo il conformismo, ci siamo decisi a misure estreme:
l'abnegazione, salvare la nostra anima dall'autodissoluzione e dalla
morte sotto le volte sante della Chiesa»
editoriale scritto da una comunità di giovani ortodossi russi convertitisi dall'ateismo ed arrestati prima che la loro rivista potesse essere divulgata.
Da: Russia Cristiana, n° 166
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Postato da: giacabi a 08:55 |
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comunismo, illuminismo, ideologia
L’uomo dio
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In questa scarsa scrupolosità nella scelta dei mezzi, in questo eroico "tutto è permesso"
(predetto da Dostoevskij in "Delitto e castigo" e nei "Demoni") si
manifesta nel grado piú alto la natura umano-divina dell’eroismo
intellettualoide, la sua insita autodivinizzazione, il
suo porsi al posto di Dio, al posto della Provvidenza, non solo negli
scopi e nei piani ma anche nelle vie e nei mezzi di realizzazione. Io
realizzo la mia idea e per essa mi libero dai legami della morale
usuale, io mi permetto d’esercitare il mio diritto non solo sulla
proprietà ma anche sulla vita e la morte degli altri, se ciò è
necessario per la mia idea. In ogni massimalista si nasconde un piccolo
Napoleone, socialista o anarchico. L’amoralismo, o secondo l’antica
espressione il nihilismo, è la necessaria conseguenza
dell’autodivinizzazione; qui sta in agguato il pericolo
dell’autodistruzione,
lo attende il fallimento inevitabile. Le amare delusioni da molti
provate durante la rivoluzione, le scene indimenticabili di arbitrio, le
espropriazioni, il terrore in massa, non s’è manifestato a caso, ma è
stato invece uno scoprirsi delle potenze spirituali che necessariamente
si calano nella psicologia dell’autodivinizzazione.
S.
Bulgakov, L’eroe laico e l’asceta - in: AA. VV., La svolta. Vechi,
L’intelligencija russa tra il 1905 e il 17, Jaka Book, Milano, 1970.
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Postato da: giacabi a 21:10 |
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nichilismo, illuminismo, bulgakov, ideologia
Il rimorso cattolico
***
Queste riportate qui sotto sono le parole dello scrittore, poeta, drammaturgo e critico d'arte belga, Alexis Curvers
(1906-1992); restano, purtroppo, ancora attuali, anche se qualcosa è
cambiato nell'atteggiamento di molti cattolici che hanno iniziato a
prendere coscienza della loro storia e della loro identità e ad andarne
fieri.
«È in atto da gran tempo, ma oggi
si è rafforzata, una campagna in grande stile per minare la saldezza
morale della Chiesa con l’ipertrofia del sentimento più morboso e vano:
quello della colpevolezza. Il punto è di importanza capitale, perché il mezzo più sicuro per spingere al suicidio un qualsiasi organismo consiste nell'inoculargli il veleno del rimorso.
Una cosa è il pentimento lucido e creatore che supera e ripara il male
col bene che vi sostituisce; altra cosa e' il rimorso che rode, che
talvolta segretamente si compiace del suo inferno, abitato dai fantasmi
di una vergogna che porta alla disperazione. Il
rimorso non compensa nulla. Al contrario, distrugge tutto. Compie
l'opera del peccato rendendola in qualche modo eterna, togliendo al
peccatore la fiducia e il coraggio necessari al suo raddrizzamento e
alla sua difesa. Quel
rimorso è il germe di morte che un'impresa dì sovversione insinua da
tempo, in mille maniere, nell'anima della Chiesa e di quella Europa che
così profondamente
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Postato da: giacabi a 16:57 |
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nichilismo, illuminismo, curvers a
La Rivoluzione Francese
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intervista a Pierre CHAUNU:
Come l'89 c'è solo Hitler
tratto da Il Sabato, 29.4.1989, n. 17, p. 72-76
Di Antonio Socci
"Un'aula della Sorbona, a Parigi. Fuori un tiepido gennaio. Dentro comincia la prima lezione dell'anno 1989. Sulla cattedra è il professor
Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro
dell'Institut de France, con una sessantina di titoli al suo attivo.
Esordisce
in tono sarcastico: "Dunque questa è la prima lezione dell'anno: voi
sapete che cadono nell'89 una quantità di anniversari importanti". E
snocciola una filza di eventi storici, scientifici, economici, ma
neanche una parola sulla Grande Commemorazione, quella che infiamma la
Francia da otto anni: "Ho dimenticato qualcosa?" chiede beffardo il
professor Chaunu, "no, non mi sembra ci sia altro di importante da
ricordare". È stato il Grande Guastafeste del bicentenario della
Rivoluzione. Brillante, corrosivo, preparatissimo, ha appena dato alle
stampe un libro di fuoco, La révolution declassée, dove fa a pezzi il
mito della Rivoluzione dell'89 e soprattutto il conformismo degli
intellettuali di corte e la retorica di regime di questo bicentenario. I
suoi stessi avversari non osano contestarlo: persino Max Gallo, obtorto collo, lo ha definito "un ottimo storico". Ed è praticamente invulnerabile, non essendo né cattolico, né reazionario (è infatti protestante e liberale). C'è una lunga tradizione liberale di critica aspra alla Rivoluzione, che comincia addirittura a fine Settecento con l'inglese Edmund Burke.
Ma Chaunu si è spinto oltre. Ha guidato le ricerche di alcuni giovani e
brillanti storici francesi fra documenti e dossier finora rimossi dalla
storiografia ufficiale, e ne sono venuti fuori libri esplosivi,
sconvolgenti, come quelli di Reynald Secher sul genocidio della Vandea.
Incontriamo Chaunu nella sua casa di Caen.
- Professore, il suo libro è uscito in Francia a marzo, già da alcuni anni lei si è ribellato al coro degli intellettuali e alle ingiunzioni del potere politico, contestando la legittimità di queste celebrazioni. Perché? - È una mascherata indecente, un'operazione politica che sfrutta le stupidaggini che la scuola di Stato insegna sulla Rivoluzione. Pensi alle bétises del ministro della Cultura Lang: "L'89 segna il passaggio dalle tenebre alla luce". Ma quale luce? Stiamo commemorando la rivoluzione della menzogna, del furto e del crimine. Ma trovo scioccante soprattutto che, alle soglie del '92, anche tutto il resto d'Europa festeggi un periodo dove noi ci siamo comportati da aggressori verso tutti i nostri vicini, saccheggiando mezza Europa e provocando milioni di morti. Cosa c'è da festeggiare? Eppure qua in Francia ogni giorno una celebrazione, il 3 aprile, il 5, il 10. È grottesco. - Ma è stato comunque un evento che ha cambiato la storia. - Certo, come la peste nera del 1348, ma nessuno la festeggia. Ad un giornalista tedesco ho chiesto: perché voi tedeschi non festeggiate la nascita di Hitler? Quello è sobbalzato sulla sedia. Ma non è forse la stessa cosa? - Dica la verità, lei è diventato reazionario. Ce l'ha con la modernità? - Io sono liberale, con una certa simpatia per l'illuminismo tedesco e inglese. Ma proprio questa è la grande menzogna che pare impossibile poter estirpare: tu sei contro la Rivoluzione, dunque tu sei contro la modernità, sei per la lampada a petrolio e per la carrozza a cavalli. Al contrario. Io sono contro la Rivoluzione francese proprio perché sono per la modernità, per la penicillina, per il vaccino contro il vaiolo. Perché non festeggiamo Jenner che con la sua scoperta, dal '700 a oggi, ha salvato più di un miliardo di vite umane? Questo è il progresso. La Rivoluzione ha semmai bloccato il cammino verso la modernità; ha distrutto in pochi anni gran parte di ciò che era stato fatto in mille anni. E la Francia, che fino al 1788 era al primo posto in Europa, dalla Rivoluzione non si è più sollevata. - Ma lei lo può dimostrare? - Guardi, circa trent'anni fa ho contribuito a fondare la storia economica quantitativa, e oggi, con i modelli econometrici, chiunque può arrivare a queste conclusioni. Sono fatti e cifre. Tutte le curve di crescita del mio Paese si bloccano alla Rivoluzione. Era un Paese di 28 milioni di abitanti, il più sviluppato, creativo, evoluto, con un trend da primato: la Rivoluzione, insieme alle devastazioni sull'apparato produttivo, ha scavato un abisso di due milioni di morti, un crollo di generazioni che ha accompagnato il crollo economico. Nella produzione media pro-capite, Francia e Inghilterra, i due Paesi più sviluppati del mondo, avevano rispettivamente, nel 1780, un indice 110 e 100. Ebbene nel 1815 la Francia era precipitata a 60, contro 100 dell'Inghilterra, che da allora non ha avuto più concorrenti. È stato il prezzo della Rivoluzione. - Ce ne spieghi almeno un motivo. - Attorno al '93 - e per un decennio - la Francia ha cominciato a vivere al 78 per cento del prelievo sul capitale e per il 22 per cento sulle tasse e le rendite, che non venivano reinvestite, ma consumate, bruciate e rubate per arricchire la Nomenklatura. È stata una dilapidazione spaventosa, un impoverimento storico. Quando Chateaubriand è tornato in Francia, nel 1800, ha avuto un'intuizione fulminante: "è strano: da quando sono partito non hanno più pitturato persiane e porte". Quando le finestre sono sverniciate e le latrine non funzionano può star certo che c'è stata una rivoluzione. - Ma comunque la Rivoluzione ha spalancato il pensiero umano. - Oh, santo cielo! Ma è stata una colossale distruzione di intelligenze e di ricchezze. Se lei taglia la testa a Lavoisier, il fondatore della chimica moderna, a 37 anni, il costo per l'umanità è enorme. Moltiplichi quel caso per cento. Come finì tutta l'élite scientifica e intellettuale? Quelli che non sono emigrati sono stati massacrati. Una perdita gigantesca. Sarebbe questa la conquista della civiltà? Il 43 per cento dei francesi, nel 1788, sapeva firmare, sapeva scrivere. Dopo la Rivoluzione si crolla al 39 per cento, perché si erano sottratti i beni alla Chiesa (che per secoli aveva educato il popolo) e si erano distribuiti alla Nomenklatura. - E le chiese trasformate in porcili e i tesori d'arte devastati. - È vero: fecero a pezzi le statue di Notre Dame, distrussero Cluny, e quasi tutte le chiese romaniche e gotiche... Le ripeto: furto, menzogna e crimine, questa è la vera trilogia della Rivoluzione, che ha messo a ferro e fuoco l'Europa. I francesi sono persuasi che la democrazia sia nata nell'89 e che l'umanità abbia imitato loro. È pazzesco! In realtà la sola rivoluzione da festeggiare sarebbe quella inglese del 1668: da lì è venuto il sistema rappresentativo e il governo parlamentare, lo Stato liberale che tutta Europa ha imitato. - Ma qualcosa di buono ci sarà pur stato: per esempio la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. - Quello fu l'inganno più perverso. Le due Costituzioni più democratiche che siano mai state fatte sono quella sovietica di Stalin del 1936 e quella dei ghigliottinatori francesi del 1793. I loro frutti furono orrendi. Al contrario, il Paese che ha fondato la libertà, l'Inghilterra, non ha mai avuto Costituzioni. Delle Dichiarazioni io me ne infischio! E d'altra parte libertà, fraternità e uguaglianza non esistono che davanti a Dio. Le dirò che il miglior giudizio sulla Dichiarazione dei diritti dell'uomo lo formulò Fustelle de Coulange, il più grande storico francese dell'800 e mio predecessore all'Accademia di scienze morali e politiche. Egli disse: questi principi hanno mille anni, semmai la Dichiarazione li formula in modo un po' astratto. Ma una cosa nuova c'è: hanno spacciato dei principi antichi per una scoperta loro e l'hanno usata come un'arma contro il passato. Questo è perverso. - La conseguenza politica della Filosofia dei Lumi, no? - No. L'Illuminismo c'è stato in tutta Europa. Kant non era certo da meno di Voltaire. Ma la Rivoluzione c'è stata solo qui da noi. Non si può certo credere che i francesi fossero gli unici a pensare, in Europa. Dunque non c'è un nesso storico. È una menzogna anche parlare di fatalità storica, inevitabile. La persecuzione contro la Chiesa e il progetto di sradicare il cristianesimo dalla Francia ebbe come sua prima causa degli interessi finanziari, non questioni metafisiche. - Ci spieghi, professore. - Nel XVII secolo tutti gli Stati europei hanno istituzioni rappresentative. La Francia però, a poco a poco, le lasciò cadere in desuetudine. Per questo divenne una sorta di paradiso fiscale, perché - è noto - non si possono aumentare le imposte senza istituzioni rappresentative. Un esempio: la pressione fiscale fra 1670 e 1780 in Francia rimane ad un indice 100, mentre in Inghilterra sale da 70 a 200, in proporzione. La Francia si trova così ad avere uno Stato moderno, un moderno esercito, 450mila uomini, una potenza di prim'ordine, ma con risorse finanziarie vicino alla bancarotta perché per poterle mantenere come l'Inghilterra dovrebbe aumentare le tasse del 100 per cento. - Dunque viene chiamata ad affrontare la questione la rappresentanza del popolo, gli Stati generali. - Sì, i rappresentanti eletti però sono la più colossale assemblea di dementi che la storia abbia mai visto. Irresponsabili. Sfrenati solo nelle pretese, perché nessuno voleva farsi carico dei sacrifici (basti pensare che fra i deputati del Terzo stato c'erano un banchiere, 30 imprenditori e 622 avvocati senza causa). Non capiscono nulla di economia, hanno chiaro solo che a pagare devono essere gli altri. Così cominciano a vedere cosa possono confiscare: prima sopprimono la decima alla Chiesa, che nessuno nel popolo chiedeva di sopprimere perché significava sopprimere i finanziamenti per le scuole e gli ospedali. Si confiscano i beni del clero, donati alla Chiesa nel corso dei secoli, che ammontavano però solo al 7-8 per cento delle terre. Si comincia a diffondere l'idea che la Chiesa nasconda i suoi tesori, si confiscano i beni delle Abbazie. - E l'operazione si dà pure una maschera ideologica. - Certo. Si impone la Costituzione civile del clero, perché senza modificare e manomettere la struttura della Chiesa non avrebbero potuto rubare. I beni della Chiesa, che da secoli mantenevano scuole e ospedali, vengono accaparrati da una masnada di 80mila famiglie di ladri, nobili e borghesi, destra e sinistra: è per questo che tuttora la Rivoluzione in Francia è intoccabile! Perché fu una Grande Ruberia a vantaggio della classe dirigente. Il furto ha bisogno della menzogna e della persecuzione perché non era facile imporre ai preti e al popolo il sopruso. Per questo si impose il giuramento ai preti e chi non giurò fu massacrato. La Rivoluzione è stata una guerra di religione. - E in Vandea cos'è accaduto? - Il popolo si ribellò per difendere la sua fede. Il Direttorio voleva imporre la coscrizione militare obbligatoria (è una loro invenzione perché fino ad allora solo i nobili andavano a far la guerra e per il tributo del sangue erano esonerati dalle tasse). Nello stesso giorno chiudono tutte le loro chiese. I contadini vandeani si sono ribellati: allora tanto vale morire per difendere la nostra libertà. Hanno imposto ai nobili, assai refrattari, di mettersi al comando dell'esercito cattolico di Vandea e sono andati al massacro, perché sproporzionata era la loro preparazione al confronto di quella dell'esercito di Clébert. Così la Vandea è stata schiacciata senza pietà. Ma vorrei ricordare che sotto le insegne del Sacro Cuore combatterono anche dei battaglioni dei paesi protestanti della Vandea. Cattolici, protestanti ed ebrei affrontarono insieme la ghigliottina, per esempio a Montpellier, per difendere la libertà. - Ma in Vandea non finisce così. - Questo è il capitolo più orrendo. Nel dicembre 1793 il governo rivoluzionario dà ordine di sterminare la popolazione delle 778 parrocchie: "Bisogna massacrare le donne perché non riproducano e i bambini perché sarebbero i futuri briganti". Questo scrissero. Firmato dal ministro della Guerra del tempo Lazare Carnot. Il generale Clébert si è rifiutato di eseguire quell'ordine: "Ma per chi mi prendete? Io sono un soldato non un macellaio". Allora hanno mandato Turreau, un cretino, alcolizzato, con un'armata di vigliacchi. - Fu il massacro? - Nove mesi dopo il generale Hoche, nominato comandante, arrivò in Vandea. Restò inorridito. Scrisse una lettera memorabile e ammirabile al governo della Convenzione: "Non ho mai visto nulla di così atroce. Avete disonorato la Repubblica! Avete disonorato la Rivoluzione! Io porto alla vostra conoscenza che a partire da oggi farò fucilare tutti quelli che obbediranno ai vostri ordini...". Cosa aveva visto? 250.000 massacrati su una popolazione di 600.000 abitanti, paesi e città rase al suolo e bruciate, donne e bambini orrendamente straziati. A Evreux e a Les Mains si ghigliottinavano a decine colpevoli solo di essere nati a Fontaine au Campte. Questo fu il genocidio vandeano. È questo che festeggiamo? - Fece scandalo, nel 1983, quando lei, per la prima volta, usò la parola genocidio, imputando la Rivoluzione. Perché? - I fatti parlano. Nessuno ha saputo negarli. E nulla può giustificare un simile orrore. Ma prima di me, nel 1894, fu un rivoluzionario socialista, Babeuf, che denunciò "il popolicidio della Vandea" (in un libro introvabile che noi abbiamo fatto ristampare). Non c'è differenza alcuna fra ciò che ha fatto il governo rivoluzionario in Vandea e ciò che ha fatto Hitler. Anzi una c'è. Hitler era scaltro e non dette mai per scritto l'ordine di eliminazione degli ebrei. Questi dell'89, oltreché assassini, erano anche stupidi e dettero l'ordine per scritto e lo pubblicarono perfino su Le Moniteur. - Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità. - Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione, Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."
Antonio Socci
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Postato da: giacabi a 15:11 |
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illuminismo, socci, ideologia
L’ILLUMINISMO
GENERA TOTALITARISMO
***
“..L'Illuminismo, che sottrae -come dice Kant -l'uomo dallo stato di minorità, sceglie per la lotta contro Dio.
Si badi: l'illuminismo è anche genuina conquista di valori umani:
diritti dell'uomo, peso ed importanza della ragione, della scienza,
lotta ai pregiudizi, eccetera. Tuttavia, se lo consideriamo dal punto di
vista del nostro tema, l'Illuminismo
con Rousseau (e altri) rende esplicito: se Dio non serve per la
costruzione della città terrena, Dio è inutile per l'uomo. Cosi, negando il dogma del peccato d'origine, per salvare l'uomo non è più necessario l'intervento di un Dio. Il
male (Reimarus sul piano teologico, poi Rousseau su quello filosofico) è
soltanto di superficie: ed è da imputarsi: a) all'educazione (Rousseau:
Contratto sociale); b) alla Società (Marx: Il Capitale). Quindi per liberare l'uomo occorrerà agire sia sulla sua educazione, sia sulle strutture politiche.
Il punto è: come agire?
Eliminato
Dio, l'uomo dovrà agire fondandosi su se stesso. La ragione sarà cosi
ragione scissa dal mistero e si strutturerà come ragione «scientifica» a
cui nulla può sfuggire (il progresso è ineluttabile e irreversibile: la
Luce [Illuminismo] rischiarerà le tenebre). Mediante questa ragione
scientifica l'uomo conosce: a) la natura; b) l'uomo stesso; c) la società.
Nell'illuminismo nascono le « scienze umane »: sociali e psicologiche e pedagogiche e politiche. Conosciuto l'uomo, l'uomo stesso può elaborare un progetto di salvezza: piano educativo e piano politico. Potrà
-in modo particolare -elaborare un piano politico generale mediante un «
contratto », cioè una convenzione arbitraria. Arbitraria perché spetta
soltanto all'uomo (che si fonda
su se stesso) dire qual è il valore. Non vi è più infatti possibilità di
un riferimento assiologico né a Dio, né ad eterni valori presunti
naturali (giusnaturalismo).
In conclusione: mentre
l'Umanesimo tentava di realizzare la democrazia in stretta comunione,
pur nell'autonomia della sua natura di strumento temporale, con la
religione, l'Illuminismo realizza la democrazia rompendo con la
religione. Questi gli estremi di un processo che vede nel Cinquecento e nel Seicento le due tappe intermedie.
Così se l'Umanesimo poteva essere epoca di « democrazia e religiosità », l’illuminismo è epoca di «democrazia e ateismo ».
Il totalitarismo post-illuminista e contemporaneo
Un
nota bene: l'epoca moderna ha fornito elementi tali che permettono
-letti alla luce del cristianesimo -di comprendere con maggior
profondità la dignità, umana. Tuttavia, come detto, la linea di fondo
della Modernità conduce all'antiumano e all'antidemocrazia.
Spieghiamo: il
Razionalismo e l'illuminismo ritenevano che il singolo individuo fosse
perfetto. Ma l'individuo muore: Rousseau muore. E muore la Rivoluzione
francese. Hegel è il primo che denuncia la « finitezza » dell'intelletto illuminista e di tutta la sua visione dell'uomo e della società.
Allora.
La nuova via -tenuto
fermo l'assioma dell'antropocentrismo immanentista ed ateo -è: non
l'individuo è perfetto, eterno, ma lo Stato, sorta di nuovo individuo
integrale, totale. Gli individui veri e propri sono soltanto delle
finitezze, espressioni dello Stato. Il valore è lo Stato. Lo Stato è Dio: lo Stato può tutto.
In
altri termini: se l'uomo è valore a sé stesso, l'uomo può dire chi
l'uomo sia, cioè quale sia la natura dell'uomo. Perciò, se l'individuo
vero è lo Stato, è lo Stato che dice chi siano gli uomini singoli. E
quindi lo stato può dire come gli individui possano divenire veramente
uomini: lo Stato dice la «morale », dice la via per realizzarsi. Ma una
morale, se non ha un riferimento ad una natura eterna diviene
arbitraria, quindi viene assimilata integralmente dalla politica. La
morale è ridotta a politica. Lo
Stato così è attore unico dell’esistenza: da lui tutto dipende. È bene
quel che giova allo Stato; è male quel che ostacola il suo incremento di
essere, cioè di potenza.
In
tal senso lo Stato moderno tenderà sempre più a ridurre a fatti
sporadici e privi di incidenza sociale le singole esperienze «private»
di gruppi di cittadini. La contrapposizione tra pubblico e privato sta
proprio a significare il tentativo di svuotamento della ricchezza
personale umana. E, poiché in fondo, lo Stato non può snaturare del
tutto l'uomo, tende a ricacciare in ambiti precisi e controllabili (il
privato) quel che non riesce a funzionalizzare allo suo scopo.
Cosi ha luogo il «totalitarismo »: lo Stato è tutto, l'individuo -come dice Hegel -merita di morire.
Il
connubio di democrazia e di ateismo, che nella mente dei padri
generatori doveva essere un togliere l'uomo e la città terrena agli
abusi di un__Dio-padrone. e di una religione oscurantista e
schiavizzante la natura umana, si converte non solo nel non saper
realizzare un individuo ricco di determinazioni (il singolo è solo
«funzione », «ruota di un ingranaggio », «numero », eccetera), ma anzi
annichila totalmente l'uomo e la città terrena. L'ateismo non genera «
democrazia ». Il controllo razionaI-scientifico della convivenza genera
totalitarismo.
Bakunin:
«È finito il regno di Dio. : È venuto il regno dell'uomo »: certo,
l'uomo senza Dio può costruire la città terrena, ma alla fine questa si
rivelerà essere contro l'uomo stesso (cfr. D. Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo).
Prospettive per una rinascita della democrazia
Occorre
saper salvare il valore. Quanto scoperto dal giusnaturalismo,
dall'illuminismo, dal liberalismo e anche dal marxismo non può essere
rifiutato in blocco. La natura umana va salvaguardata sia dal punto di
vista del singolo irripetibile individuo, sia dal punto di vista del suo
essere un individuo sociale e storico e lavoratore.
Però: tutti
i valori presenti nell'epoca moderna e che hanno sempre una radice
cristiana (è il Cristianesimo che scopre la dignità dell 'uomo) possono
essere salvati se vengono levati dal campo immanentistico
antropocentrico ed ateo in cui si trovano e trasposti in un campo in cui
l'umano e il religioso non si contrappongano. Indicazioni a questo proposito ci vengono fornite da Maritain, in «Cristianesimo e democrazia ». La
democrazia non è nemica della religione, anzi soltanto aprendosi al
mistero della propria persona di fronte a Dio, l'uomo può costruire una
città terrena realmente umana. Infatti, la crisi attuale è senza dubbio
crisi « politica », crisi « economica », crisi « culturale », e se si
vuole, crisi di « civiltà ». Ma soprattutto « crisi dell'uomo ». L'uomo
non sa più chi egli sia. Soltanto recuperando l'identità integrale umana
si può costruire una democrazia.
In conclusione dovremmo correggere il titolo così: « democrazia o ateismo », in cui la disgiunzione è netta e irrevocabile. La via per la costruzione è quella di una autonomia dell'umano, autonomia però organica al mistero di Dio….”
Luigi Negri vescovo di S. Marino
(il mio vescovo preferito)
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Postato da: giacabi a 22:09 |
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illuminismo, negri
L’INIZIO DEL PROCESSO DELLA DECADENZA
CRISTIANA E DELL’UMANITÀ
Nel
secolo XIV si può cominciare a osservare, nell’Europa cristiana, una
trasformazione di mentalità che nel corso del secolo XV diventa sempre
più chiara. Il
desiderio dei piaceri terreni si va trasformando in bramosia. I
divertimenti diventano sempre più frequenti e più sontuosi. Gli uomini
se ne curano sempre più. Negli abiti, nei modi, nel linguaggio, nella
letteratura e nell’arte, l’anelito crescente a una vita piena dei
diletti della fantasia e dei sensi va producendo progressive
manifestazioni di sensualità e di mollezza. Si verifica un lento deperimento della serietà e dell’austerità dei tempi antichi. Tutto tende al gaio, al grazioso, al frivolo.
I cuori si distaccano a poco a poco dall’amore al sacrificio, dalla
vera devozione alla Croce e dalle aspirazioni alla santità e alla vita
eterna. La Cavalleria ,
in altri tempi una delle più alte espressioni dell’austerità cristiana,
diventa amorosa e sentimentale, la letteratura d’amore invade tutti i
paesi, gli eccessi del lusso e la conseguente avidità di guadagni si estendono a tutte le classi sociali. Questo clima
morale, penetrando nelle sfere intellettuali, produsse chiare
manifestazioni di orgoglio, come per esempio il gusto per le dispute
pompose e vuote, per i ragionamenti sofistici e inconsistenti, per le
esibizioni fatue di erudizione, ed elogiò oltre misura vecchie tendenze
filosofiche, delle quali la Scolastica aveva trionfato, e che ormai, essendosi rilassato l’antico zelo per l’integrità della fede, rinascevano sotto nuove forme. L’assolutismo
dei legisti, che si pavoneggiavano nella conoscenza vanitosa del
diritto romano, trovò in prìncipi ambiziosi un’eco favorevole. E di pari
passo si andò estinguendo nei grandi e nei piccoli la fibra d’altri
tempi per contenere il potere regale nei legittimi limiti vigenti al
tempo di san Luigi di Francia e di san Ferdinando di CastigliaQuesto
nuovo stato d’animo conteneva un desiderio possente, sebbene più o meno
inconfessato, d’un ordine di cose fondamentalmente diverso da quello
che era giunto al suo apogeo nei secoli XII e XIII. L’ammirazione
esagerata, e non di rado delirante, per il mondo antico, servì da mezzo
d’espressione a questo desiderio. Cercando molte volte di non urtare
frontalmente la vecchia tradizione medioevale, l’Umanesimo e il
Rinascimento tesero a relegare in secondo piano la Chiesa , il soprannaturale ed i valori morali della religione.
Il tipo umano, ispirato ai moralisti pagani, che quei movimenti
introdussero come ideale in Europa, e la cultura e la civiltà coerenti
con questo tipo umano, erano soltanto i legittimi
precursori dell’uomo avido di guadagni, sensuale, laico e pragmatista
dei nostri giorni, della cultura e della civiltà materialistiche in cui
ci andiamo immergendo sempre più. Gli sforzi per un
Rinascimento cristiano non giunsero a distruggere nel loro germe i
fattori dai quali derivò il lento trionfo del neopaganesimo. In
alcune parti d’Europa esso si sviluppò senza portare all’apostasia
formale. Notevoli resistenze gli si opposero. E anche quando s’insediava
nelle anime, non osava chiedere loro — almeno all’inizio — una rottura
formale con la fede.Ma in altri paesi attaccò apertamente la Chiesa. L ’orgoglio e la sensualità, nel cui soddisfacimento consiste il piacere della vita pagana, suscitarono il protestantesimo. L’orgoglio diede origine allo spirito di dubbio, al libero esame, all’interpretazione naturalistica della Scrittura. Produsse la rivolta contro l’autorità ecclesiastica,
espressa in tutte le sette con la negazione del carattere monarchico
della Chiesa universale, cioè con la rivolta contro il papato. Alcune,
più radicali, negarono anche quella che si potrebbe chiamare l’alta
aristocrazia della Chiesa, ossia i vescovi, suoi prìncipi. Altre ancora negarono
lo stesso sacerdozio gerarchico, riducendolo a una semplice delegazione
da parte del popolo, unico vero detentore del potere sacerdotale. Sul piano morale, il trionfo della sensualità nel protestantesimo si affermò con la soppressione del celibato ecclesiastico e con l’introduzione del divorzio.
Postato da: giacabi a 16:41 |
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illuminismo, ideologia, correa
Ancora sul libro: “La cacciata di Cristo”
di Rosa Alberoni
Parti di un intervista rilasciata a www.radiomaria.it
…..Sorbi – Perché
forse lei professoressa individua l’Occidente come terra del declino.
Perché forse c’è un omicida che lei probabiilmente individua in Cartesio
e Russeau. Perché questi due “omicidi”?
Alberoni – Questi sono gli antenati degli Anticristo, perché Cartesio ha rovesciato tutto: prima l’essere umano era al centro, cioè, “io esisto”… Ma è così, lo si capisce anche con il buon senso, chiunque di noi lo capisce. Noi prima esistiamo, siamo concepiti, veniamo al mondo, nasciamo, poi, quando arriviamo davvero a pensare, a saper ragionare?
A vent’anni? Mentre Cartesio, cosa ha fatto? Ha rovesciato. Ha messo prima c’è il pensiero. Al centro c’è il pensiero, perché dici: “Io penso, dunque esisto”… no, in realtà io esisto prima e quindi vengo da… sono stato creato da Dio, e solo dopo penso.
Capisce la conseguenza? È uno spostamento. È una sorta di rivoluzione
copernicana veramente!Quindi, mettendo al centro il pensiero, Cartesio
ha fatto questa equazione. Rousseau nelle sue opere non parla di nessuna divinità. Non c’è Dio, non ci sono neanche gli dei pagani del passato. Non c’è nessun dio. L’uomo è sulla terra, appartiene alla terra. È una sorte di animale. Il selvaggio è un animale che non ha coscienza morale di nessun tipo.
Gironzola
nel bosco, si accoppia a caso… cioè, segue le pulsioni, segue
l’istinto. Capisce? È stata una cosa… non so perché non se ne sono
accorti. Io me ne sono accorta di Rousseau, però e stato Giovanni Paolo
II che mi ha illuminato,
con
Cartesio, con due righe. E io li ho trovato la chiave, mi si è aperta
una via luminosa… e dico: “Ecco perché è accaduto tutto ciò!”. Nel senso
che poi Rousseau è stato applicato alla lettera da Robespierre. Quindi senza Dio… non a caso il tempio della dea Ragione,
quindi al pensiero. Ecco perché torna Cartesio. Cristo non c’era. Ecco
perché c’è stata la ghigliottina, c’è stato un grande mattatoio. Quindi là dove si caccia Cristo si possono distruggere gli esseri umani. Ma
questo poi si è ripetuto anche col comunismo. La stessa cosa, perché il
totalitarismo comunista, basato su Rousseau, ha scartato Cristo, ha
scartato Dio. Non c’è Dio, non c’era nessun dio, c’era solo la materia! Si era figli della terra. E quando non c’è la fede, quando non c’è Cristo, al centro dell’esistenza ci sono gli stati totalitari. E il comunismo ha potuto fare quei cento milioni di morti e passa, per questo motivo. La stessa cosa ha fatto Hitler.
Cristo non c’era, anche se non l’ha detto apertamente. Ma noi sappiamo
qual’era il suo progetto… parlava di razza. Quindi ancora – come vede la
terra. Radicati alla terra. La razza, il sangue e la terra… e noi sappiamo cosa ha fatto Hitler, gli abominevoli campi di sterminio coi quali tentò di sterminare il popolo ebraico. Capisce? Cristo, Dio, diventa una zanzara… si può uccidere l’uomo senza nessuno scrupolo…
…….Sorbi -
Ecco, mi scusi, professoressa, è proprio per questo suo ragionamento,
sia filosofico che sociologico che ritengo che questo libro sia molto
utile per gli insegnanti che vogliono smascherare questi due soggetti
dell’ “omicidio”dell’identità cristiana in Europa.
Alberoni – In realtà i personaggi sono quattro, perché bisogna aggiungere anche Carlo Marx e Hitler
Sorbi- Ecco,
ecco. Senta, proprio su questa attualità della coscienza morale lei ha
approfondisce – specialmente nelle ultime parti del libro – questa
enorme realtà dello scientismo. Ecco, ci faccia capire bene perché lei
ne vede – oltre all’aspetto di grande utilità – anche una minaccia?
Alberoni
– Bisogna spiegare agli ascoltatori che la scienza è un prodotto
dell’uomo, e dev’essere al servizio dell’uomo. Lo e sempre stato. La
scienza è un valore! Quando parliamo di scientismo diciamo questo, che ci sono
alcuni scienziati – non tutti – alcuni, che rinnegano Dio, e che si
vogliono mettere al posto di Dio. Vogliono tentare di creare loro
l’uomo. Questa è la cosa aberrante, se ci pensiamo, perché vogliono
andare a toccare la matrice umana.
Tant’è
vero che alcuni politici, movimenti, gente comune, che difendono gli
animali, c’è chi non vuole che si usino i topi per gli esperimenti… e io
ho sempre detto, ma cosa vuole, che usino i bambini? Ma certo che si
deve usare il topo, e non i bambini! E invece questi signori non hanno
nessuno scrupolo di usare l’embrione – e tutti siamo stati embrione– per
mettere in atto i loro esperimenti, magari capaci un domani di produrre
mostri, mentre difendono gli animali.
Questa
per me è una cosa che mi fa tremare il cuore. Mi trema il cuore alla
sola idea. Tant’è vero che se poi andiamo a vedere cosa è capitato negli
stati totalitari dove l’aborto è stato ammesso subito, possiamo
osservare come nell’Unione Sovietica la legge sull’aborto è entrate in
vigore nel 1920. Quindi, tra gli scientisti e gli abortisti, noi vediamo
che su lpianeta abbiamo sterminato più noi, in modo subdolo, tanti
esseri umani, con l’aborto, quanto ne abbia fatto la guerra.
Capisce? Le due guerre mondiali. E anche i morti a causa del comunismo, anche in Cina. È una cosa subdola. Noi, e qui aveva ragione Giovanni Paolo II, come ha ragione Papa Ratzinger adesso, che è una minaccia così subdola… e
chi pretende, chi vuole la libertà di cercare, di poter usare gli
embrioni, pretende dallo Stato una cosa assurda. C’è la licenza di
uccidere… Ma non si può dare questo! Non si può
fare! Qui ci dobbiamo ribellare, perché in modo nascosto si uccide così,
tranquillamente, e non si paga presso. Poi si parla dell’orrore della
prima o della seconda guerra mondiale… Certo che sono degli orrori! Sono
dei mostri che abbiamo prodotto. Pero non ci facciamo belli. Nell’epoca
di guerra, quanti bambini abbiamo sterminato?
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