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martedì 14 febbraio 2012

illuminismo


Razzismo ed eugenetica
nascono nell’ateismo materialista

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Negare Dio, significa innanzitutto negare l’uomo. La storia lo ha dimostrato fin troppo bene. Per i naturalisti, i materialisti, i riduzionisti, i positivisti, per tutti coloro che ritengono non ci sia un Legislatore ultimo a cui rendere conto, che senso ha la vita morale degli individui? Se non esiste un criterio superiore di giustizia, può esistere una legge vera, giusta, che valga per tutti perché superiore, precedente all’uomo? No. Per un ateo non esiste il concetto che una cosa è sempre bene oppure è sempre male, la sua fede gli impone di credere che ogni uomo ha il diritto di decidere lui cosa è bene e cosa è male, di costruirsi la sua morale, la sua etica.
 
Introduzione.
Scriveva molto coerentemente l’ateo J.P. Sartre (1905-1980): «Non può più esserci un bene a priori perché non vi è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo. Non sta scritto da nessuna parte che il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire e per questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente uomini»1. Aveva pienamente ragione il grande esistenzialista Sartre: se Dio non esiste tutto è permesso, non sta scritto da nessuna parte infatti ciò che è bene e ciò che è male. Il razzismo è proprio dimostrativo di tutto ciò. ieri la cultura laicista lo riteneva in piena sintonia con il darwinismo, con l’assoluto diritto dell’uomo di creare una società più pura e forte. Oggi la stessa cultura, per fortuna (anche se ci sono parecchie eccezioni), ne ha preso ampiamente le distanze. Al contrario il cristianesimo è rimasto radicato, ieri come oggi, nella sua profonda opposizione alla concezione di razze adatte e meno adatte, pure e meno pure, basata sul libero arbitrio e sulla genesi biblica dell’uomo, figlio di un solo Padre e quindi fratello del “nero” come del “giallo”. Come contriburremo a dimostrare, il razzismo e l’eugenetica si nutriranno di una visione assolutamente atea, teoricamente o praticamente, della vita, in cui non vi è alcuno spazio per un Dio creatore, ma solo l’esistenza di popoli “superiori” ed “inferiori”, di sangue, di luoghi, di colore della pelle, di forme e volumi cranici (frenologia), di predisposizioni genetiche al di sopra della libertà umana ecc.. Lo storico ebreo del razzismo, Lèon Poliakov (1910-1997), nota come i primi teorici del razzismo, per lo più poligenisti, deterministi e negatori del libero arbitrio umano, partirono spesso dalla contestazione esplicita del racconto genealogico della Bibbia per fondare in ottica materialistica, la psicologia sulla fisiologia, e così «sbarazzarsi dei pregiudizi religiosi su cui era fondata» sino ad allora. Aggiunge poi: »Il rifiuto di vedere l’uomo creato a immagine di Dio, fu in buona parte alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo». Infatti, «la tradizione giudaico-cristiana era “antirazzista” e “antinazionalista”. Per questo l’antropologia della Chiesa ha sempre giocato un ruolo di un freno estremo alle teorie razziste»2.
L’uomo nella visione materialista è concepito come un animale in-cosciente, regolato dall’istinto, un elemento naturale, un aggregato di materia senz’anima, un meccanismo geneticamente determinato. E’ così che i positivisti atei, come Émile Zola (1840–1902), ritennero lecito studiare, analizzare, abusare, sezionare l’uomo come si farebbe con un «ciottolo della strada», non essendo, in fondo, nulla di più. E’ così che i criminologi atei come Cesare Lombroso (1835-1909), ritennero giusto e scientifico catalogare i «crani deficienti», volendo rinchiudere la personalità, la libertà, l’originalità di ogni singolo uomo nelle sue caratteristiche fisionomiche, “credendo” che l’uomo si esaurisca in ciò che si vede e si tocca, dall’ampiezza del cranio dalla lunghezza degli arti ecc. Esattamente come faranno i primi teorici del razzismo, che riterranno, ad esempio, che la dimensione ridotta del cranio della donna sia un segno della sua inferiorità rispetto all’uomo.


Illuminismo e razzismo.
L’Illuminismo è sicuramente il momento di rinascita dell’ateismo filosofico3 e il razzismo è sicuramente figlio dell’Illuminismo. Il celebre storico contemporaneo George Mosse (1913-1999) lo definisce una «religione laica», nata dall’Illuminismo e basata essenzialmente sul materialismo biologico. Lo conferma anche il già citato Poliakov, che sottolinea a lungo la stretta correlazione fra il pensiero illuminista e la genesi del razzismo4. Ad esempio Voltaire (1694-1778), il famoso “apostolo della tolleranza” riteneva che l’idea cattolica, secondo cui gli uomini sarebbero tutti “fratelli” essendo creature di un’unico Padre, sarebbe una sciocchezza assolutamente antiscientifica. Al monogenismo biblico, che esclude di per sè qualsiasi razzismo, Voltaire sostituì il poligenismo, cioè l’idea secondo cui i diversi gruppi umani discendevano da numeri e diversi antenati. Spiegò: «Checchè ne dica un uomo vestito di un lungo e nero abito talare [il prete N.d.A.], i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo stesso uomo»5. Continuava situando i negri nel gradino più basso della scala, definendoli animali, dando credito all’idea mitica di matrimoni tra le negre e le scimmie, e considerando i bianchi «superiori a questi negri, come i negri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche»6. In relazione a queste idee finiva poi per elaborare giustificazioni “naturali” allo schiavismo e al colonialismo. Altri famosi illuministi atei, come Diderot e D’Alambert (per i quali l’uomo era figlio del caso, «nel numero dei possibili»), scrissero nell’Encyclopédie (1772), compendio dei valori illuministici, che «all’animale più evoluto, la scimmia, viene unito il tipo d’uomo ritenuto inferiore, il negro: per il pallido europeo, infatti, questi trascina un’esistenza semiferina, alinea dal pensiero razionale e dalla civile convivenza». I negri vengono poi dipinti come viziosi e «per lo più inclini al libertinaggio, alla vendetta, al furto, alla menzogna»7.


Darwinismo e razzismo.
Nel 1800, dal preambolo illuminista, si sviluppò quello che gli storici chiamano il «razzismo scientifico»8, una visione scientifica sviluppatasi in Europa e nelle Americhe in ambienti universitari, basata su studi antropologici e comportamentali mescolati a teorie derivanti da particolari rami della criminologia, sociologia, biologia, medicina e genetica. Inoltre, la strumentalizzazione da parte dei positivisti atei della teoria evoluzionistica di Darwin, nel tentativo di screditare la visione cristiana e biblica dell’uomo come creatura unica ed irripetibile, produsse crimini disumani, troppo spesso dimenticati. Lo ammette il genetista darwinista e divulgatore scientifico Edoardo Bonicelli: «Un certo modo di vedere l’evoluzione è stato alla base di alcune delle teorie più aberranti sul presente e sul futuro della specie umana e sulla struttura dell’umanità in razze e strati sociali»9. Calando totalmente l’uomo nella natura animale, misconoscendogli qualsiasi altra natura, cioè spirituale, riducendolo alla biologia e alla genetica, per la cultura atea, scientista e positivista, divenne inevitabile connettere ogni differenza tra popoli a superiorità o inferiorità di tipo biologico.
Alla genesi di questa cultura, in piena continuità con le speculazioni illuministiche, contribuirono, volenti o nolenti, anche uomini come Darwin, tanto venerato dalla cultura laicista, e Thomas Huxley. Nonostante i suoi grandi e meritati elogi per la teoria darwinistica, Charles Darwin (1809-1882) è anche riconosciuto come uno dei primi teorici del razzismo moderno. Vissuto nel secolo dell’esplosione atea, anch’egli era imbevuto di credenze materialistiche tanto da essere convinto che l’intelligenza maturata nel riflettere sull’evoluzione aveva modificato la forma del suo stesso cranio: «E’ probabile che il mio cervello si sia sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra un’osservazione di mio padre, quando la prima volta che mi vide dopo il viaggio, si volse alle mie sorelle ed esclamò: “Guardate, gli è cambiata la forma della testa”.10. Oltre a queste schiocchezze, scrisse anche di peggio: «Si crede generalmente che la donna superi l’uomo nell’imitazione, nel rapido apprendimento e forse nell’intuizione, ma almeno alcune di tali facoltà sono caratteristiche delle razze inferiori e quindi di un più basso e ormai tramontato grado di civiltà. La distinzione principale nei poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge più avanti della donna, qualunque azione intraprenda, sia che essa richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione o semplicemente l’uso delle mani e dei sensi [...]. In questo modo alla fine l’uomo è divenuto superiore alla donna». A conferma di ciò, Darwin citava una frase del materialista ateo Carl Vogt (1817-1895): «E’ una circostanza notevole che la differenza tra i due sessi per quanto riguarda la cavità cranica, aumenti con lo sviluppo della razza, così che il maschio europeo supera la femmina più di quanto un negro non superi la negra»11. E ancora: «Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione: costruiamo asili per i pazzi, storpi e malati; istituiamo leggi per i poveri e i nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto il vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana [...]. Dobbiamo quindi sopportare l’effetto indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani»12. Il grande e stimato naturalista chiudeva così una delle sue opere di maggior successo: «I più poveri e negligenti, che sono spesso degradati dal vizio, quasi invariabilmente si sposano per primi, mentre i prudenti e i frugali, si sposano in tarda età. L’irlandese imprevidente, squallido, senza ambizioni, si moltiplica come i conigli; lo scozzese frugale, previdente, pieno di autorispetto [...] trascorre i suoi migliori anni nella lotta e nel celibato [...]. Nell’eterna lotta per l’esistenza è la razza inferiore e meno favorita che ha prevalso e non ad opera delle sue buone qualità ma dei suoi difetti»13. Dal canto suo Thomas Huxley (1825-1895), il cosiddetto “mastino di Darwin”, affermava: «Nessun uomo razionale, che abbia cognizione dei fatti, crede che l’uomo negro medio sia uguale o meno che mai superiore all’uomo bianco. Se questo è vero, non è assolutamente credibile che, quando siano stati eliminati tutti i suoi svantaggi e ottenute le condizioni di parità senza più oppressori, il nostro prognato parente possa competere con il suo rivale dal cervello più grande e dalle mascelle meno pronunciate. I gradi più alti di civiltà non saranno mai alla portata dei nostri cugini di pelle scura»14.
Al contrario, il diretto collega di Darwin, Alfred Russel Wallace (1823-1913), co-scopritore della teoria evoluzionistica basata sulla selezione naturale, non si volle mai rassegnare all’idea che l’uomo fosse una semplice evoluzione della bestia, e affermò la superiorità dello spirito sulla materia, ammettendo l’esistenza di un Dio trascendente: «Un’intelligenza superiore ha guidato lo sviluppo dell’uomo in una direzione definita e per uno scopo speciale, proprio come l’uomo guida lo sviluppo di molte forme animali e vegetali»15. Nel 1912 arrivò addirittura a condannare l’eugenetica originata dalla cultura ateistica, ritenendola «null’altro che l’invadente interferenza di un’arrogante casta scientifica»16. Fu questa sua posizione teistica e non riduzionista a permettergli di non cadere nel razzismo e nell’eugenetica, a differenza di moltissimi evoluzionisti materialisti.
Uno di essi fu Ernst Haeckel, (1834-1919) ateo, materialista e amico personale di Darwin, membro nel 1905 della “Società internazionale dell’igiene razziale” («destinata a promuovere la qualità della razza bianca»17). Haeckel -spiega lo storico della scienza Federico Di Trocchio- riteneva il darwinismo la negazione «del vecchio dogma dell’immortalità dell’anima personale»18. Per dimostrare le sue tesi non eistò a proporre falsificazioni a ritmo continuo (si vedano ad esempio le tre figure di embrione di cane e i ventidue anelli dalla “monera” all’uomo). Haeckel era anche convinto della superiorità della razza indogermanica e della bontà del modello spartano (dove i bambini malformati e malati venivano gettati da una rupe perché poco idonei alla guerra). e della credenza in un Dio creatore
Il già citato socialista ateo Cesare Lombroso (1835-1909), padre dell’antropologia criminale, riteneva invece che i criminali fossero espressioni di regressioni evolutive, tipi somigliante al “negroide” o al “mongolico”, in cui determinate conformazioni del cranio e del corpo avrebbero determinato l’onestà o meno di una persona. Il suo figlioccio più noto, Enrico Ferri (1856-1929), ateo, senatore di estrema sinistra e darwinista convinto, negava l’esistenza del libero arbitrio e sosteneva che il delinquente giungesse al delitto necessariamente spinto da causa antropologiche, fisiche e sociali, cioè dalle caratteristiche genetiche di cui era schiavo. Sosteneva anche la teoria del “tipo napoletano”, cioè l’idea che il popolo meridionale avesse un’iinata propensione a delinquere a causa di un’inferiorità biologica atavica (da qui l’idea di non mescolare le razze del Nord con quelle del Sud)19
Il grande evoluzionista Stephen Jay Gould (1941-2002) ha raccontato in alcuni suoi saggi del famoso “processo alla scimmia” del 1925 contro l’insegnante di biologia John Scopes (che in realtà stava sostituendo il collega biologo, essendo lui un’insegnante di ginnastica), reo di aver esposto il darwinismo ai suoi alunni di una scuola del Tennessee (Stati Uniti). Gould spiega che il divieto di insegnamento della teoria darwinistica era dovuto al fatto che biologi, etologi e filosofi della natura, uscendo dal terreno scientifico, sostenevano una “visione marziale” del darwinismo, un’idea razzista dell’umanità, divisa tra superiori e inferiori, in nome della selezione del più forte, dello scontro inevitabile tra le nazioni, dell’animalità inevitabilmente aggressiva degli uomini. Questa era la modalità di esporre le teorie di Darwin nei libri di testo scolastici, politici e militari, come -scrive Gould-«la piena giustificazione della guerra e di progetti altamente organizzati di politica nazionale in cui la dottrina della forza divenne la dottrina del diritto»20. E’ ciò che verrà chiamato darwinismo sociale, cioè il desumere comportamenti morali dalla teoria darwinistica. Sopratutto in Germania, ma anche in America, si cercava di veicolare, attraveso l’evoluzionismo, un concetto non scientifico come il determinismo biologico. Propio nel libro adottato da Scopes, “A civic biology”, di G.W. Hunter (1914), è contenuta «l’affermazione a chiare lettere che la scienza possiede la risposta morale a questioni sul ritardo mentale o sulla povertà sociale». Gould spiega che nel testo scolastico si proponeva l’idea di impedire il matrimonio, attraverso la sterilizzazione o segregazione, di quanti potevano essere considerati «parassiti della società», a causa di una tendenza innata, genetica ed ereditaria alla povertà, al crimine, al vagabondaggio21.
Il culmine comunque lo toccò Francis Galton (1822-1911), cugino di Darwin, ateo e fondatore dell’eugenetica moderna, per la quale tutto ciò che un uomo è, è determinato dai suoi geni, che decidono anche del suo essere ricco o povero, onesto o meno. L’eugenetica nasce dall’antico sogno ateistico di creare un’umanità perfetta, assolutamente sana e senza macchia, che non abbisogni di un Dio Salvatore e di una Redenzione. Le teorie di Galton vennero attuate con sistematicità e scientificità negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, prima di essere riprese da Hitler per il suo programma eutanasico.


Ateismo, nazismo e razzismo.
Chiamiamo in causa ancora uno fra i massimi storici del razzismo, Lèon Poliakov, il quale ricorda nel suo celeberrimo studio che la seduzione del mito ariano si fondava in gran parte sul desiderio di distanziarsi dall’antropologia biblica e dalle «favole ebraiche»: «La teoria ariana si iscrive dunque bene nella tradizione anticlericale e antioscurantista e fa parte dei primi tentativi delle scienze umane, che cercando di fondare i loro metodi sul modello delle scienze esatte, si impegnavano in quest’epoca nel loro secolare impasse meccanicistico e determinista»22. Infatti anche la visione razzista di Hitler era definita dalle caratteristiche fisiche e biologiche. Il Führer toglieva ogni spazio alla libertà, alla crescita morale, all’anima esattamente secondo i dettami del determinismo positivista e materialista di un Comte o di un Zola. Scriveva: «E’ chiaro che le qualità peculiari dell’individuo sono innate in esso: chi è egoista resta sempre tale, chi è idealista, lo sara sempre. Il crimnale nato rimarrà sempre un criminale»23. Come accennato sopra, Hitler riprenderà le dottrine razziste dell’antropologo ateo Francis Galton, il primo a proporre sistematicamente l’idea di matrimoni selettivi, di segregazione dei disgenici, di sterilizzazione di barboni, poveri, malati, idioti, persone «inferiori», convinto che le caratteristiche «sia fisiche che mentali delle persone sono ereditarie». Tutto divenne spiegabile con l’ereditarietà, dalla prostituzione alla disoccupazione, dall’alcolismo alla improduttività, selezionava così «adatti» e «inadatti» affinché il loro patrimonio genetico non si diffondesse. Il fine di Galton -spiega Cristian Fuschetto dell’Istituto Italiano di Bioetica- «era quello di guidare attraverso l’eugenetica il corso dell’evoluzione al fine di raggiungere nessun altro scopo se non il bene dell’umanità intera», sacrificando, se necessario, i singoli individui. Galton arrivò a negare la dottrina del peccato originale e «trovò nell’eugenetica un sostituto scientifico dell’ortodossia clericale, una sorta di fede secolarizzata, capace di avverare concretamente il sogno di un miglioramento del genere umano, prospettando un paradiso eugenetico dove l’ordine e la felicità sono garantiti dalla segregazione dei malati (disgenici) e dall’accoppiamento dei migliori (eugenici)»24. Si discute se Galton abbia preso o meno spunto da suo cugino Darwin (anche se abbiamo visto che il grande naturalista non era affatto lontano da queste convinzioni), anche perché entrambi si citavano a vicenda a mò di conferma. Lo storico della scienza Andrè Pichot sottolinea comunque che «Darwin sembra essere stato in buon accordo con suo cugino Galton, e se non ha parlato propriamente di eugenetica è stato verosimilmente perché l’eugenetica è stata teorizzata dopo la sua morte»25. La convergenza tra Darwin e Galton anche su tematiche razziste ed eugenetiche è stato comunque confermato anche da una fitta corrispondenza tra i due e dal racconto di Alfred Russel Wallace, il quale, durante una delle sue ultime discussioni con Darwin, lo trovò davvero preoccupato del fatto che nella moderna società, i più adatti non sopravvivessero, mostrandosi totalmente d’accordo con le previsioni di Galton.
Tornando al nazismo, è pienamente dimostrato che Hitler ereditò le convinzioni di Galton e Darwin. Il premio Nobel per la Medicina, James Watson, conferma che «nel 1933, i nazisti avevano promulgato una legge completa sulla sterilizzazione esplicitamente basata sulle teorie di Galton. Nell’arco di tre anni furono sterilizzate 225 persone»26. Nel Mein Kampf, dopo aver spiegato che lo Stato «dovrà impedire ai malati o ai difettosi di procreare», Hitler scriveva: «Basterebbe per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla a una condizione di sanità oggi pressoché incredibile»27. Oggi il neodarwinista e leader dell’ateismo scientista, Richard Dawkins, oltre ad entusiasmarsi per Galton28, non sembra distanziarsi di molto: «Se un paese volesse vincere la gara di salto in alto alle Olimpiadi entro un paio di secoli basterebbe far accoppiare saltatori in alto esperti, maschi e femmine, e si potrebbe fare lo stesso per i matematici e i musicisti. Ma non è mai stato fatto. C’è una diffusa ostilità verso questa idea purtroppo. Credo che in larga misura provenga dall’esperienza del nazismo. Hitler era entusiasta di questa idea e quindi da allora essa ha goduto di pessima fama»29. Gli stessi nazisti, come Rudolf Hess (1894-1987), definivano la loro ideologia una «biologia applicata», perché fondata su una visione di controllo assoluto dei processi biologici. Utilizzando il termine darwiniano “selezione”, essi cercarono di sostituirsi alla natura (selezione naturale) e a Dio, per essere loro a dirigere e controllare l’evoluzione umana. E così nacquero leggi razziali sul matrimonio, luoghi in cui ariani e ariane di particolare bellezza e forza venivano spinti a procreare una discendenza “superiore” (come si augura ancora oggi Dawkins), sterilizzazioni forzate, eliminazioni tramite eutanasia di determinate categorie di inadatti e improduttivi, aborti per donne tedesche gravide di bambini non “puri” ecc. Alle loro dottrine razziste, non rispose alcun intellettuale laico, nessun profeta dell’ateologia, ma soltanto i “soliti” Pio XI, nell’enciclica Mit brennender Sorge (1937) e Pio XII, nella Summi pontificatus (1939), dove si ribadiva l’errore insito nella volontà di dimenticare «quella legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta [...] dalla comune origine e dell’uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualunque popolo appartengano. [...] E’ necessario contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio [...] nell’unità della natura, ugualmente costituita in tutti di corpo materiale e di anima spirituale e immortale».


Eugenetica e ateismo nel ’900.
L’appoggio concesso alle teorie razziste di Galton da parte di Charles Darwin e da personaggi assai noti come il matematico Bertrand Russel, padre dell’ateologia moderna, e lo scrittore George Bernard Shaw (il quale specificò letteralmente nel suo testamento di non voler che alcun monumento pubblico o alcuna opera d’arte suggerisca che lui abbia accettato i principi di una qualsiasi chiesa o religione, né desidera essere ricordato sotto alcun simbolo che abbia la forma di una croce30), portarono alla veloce diffusione dell’eugenetica in molti paesi: Inghilterra, USA, Belgio, Svizzera, Svezia, Olanda, Norvegia, Danimarca, Finlandia, tutti paesi, non a caso, in cui la voce della Chiesa cattolica era debole o quasi nulla. Galton, scrive l’evoluzionista S.J. Gould, «era considerato all’epoca uno dei massimi intelletti del suo tempo», voleva dimostrare scientificamente la naturale inferiorità dei neri e la superiorità della razza anglosassone. Nel 1902 ricevette la “Darwin Medal of the Royal Society” e nel 1910, sempre per i suoi scritti sull’eugenetica, ottenne la “Copley Medal of the Royal Society”, che però, a causa della sua salute inferma, venne ritirata per suo conto da Sir George Darwin (1845-1912), figlio del padre dell’evoluzionismo ed eugenista convinto, come del resto suo fratello Leonard Darwin (1850-1943), presidente della britannica Eugenics Education Society. Dopo il “Primo Congresso Internazionale di Eugenetica” del 1912, le riviste più prestigiose, da «Nature» al «Times», si contendevano i suoi articoli: le sue disquisizioni sulla necessità di sostituire il vecchio libero arbitrio col più aggiornato determinismo andavano letteralmente “a ruba”. Negli Stati Uniti l’eugenetica raggiunse l’apice della diffusione: i milioni di immigrati provenienti dall’Europa divennero, assieme ai ritardati, ai poveri, alle prostitute e agli alcolisti, i principali bersagli dell’eugenetica. L’obiettivo, anche qui, era migliorare l’umanità per arrivare alla selezione di individui perfetti. Nel 1917 quindici Stati degli USA adottarono una legislazione in campo eugenetico (sterilizzazioni, segregazioni e restrizioni), nel 1944 divennero trenta (la Virginia, nel 1979, fu l’ultimo Stato a rimuovere la legge sulla sterilizzazione forzata). Nel 1928 l’eugenetica divenne un corso universitario in 328 college, tra cui Yale, Harvard e Stanford31. Il già citato James Dewey Watson, scrive che fu sopratutto la sinistra liberale ad abbraciare in massa le teorie razziste. L’ateo Bernard Shaw (1856-1950) scrisse ad esempio: «Oggi non esiste alcune scusa ragionevole per rifiutarsi di affrontare il dato di fatto che nulla, se non una religione eugenetica, può salvare la nostra civiltà»32. L’eugenismo -continua Watson- era d’obbligo anche nel nascente movimento femminista: la paladine della contraccezione, come l’atea britannica Marie Stopes33), considerava l’eugenetica una forma di controllo delle nascite. Negli Stati Uniti, Margaret Sanger (1879-1966), l’atea fondatrice di Planned Parenthood (ancor oggi la più influente associazione abortista del mondo) scriveva: «Più figli da chi è dotato e meno da chi non lo è: questo è il primo punto per il controllo delle nascite. Il problema più urgente oggi è come limitare e scoraggiare l’iper fertilità di quelli mentalmente e fisicamente inferiori. E’ possibile che metodi drastici e spartani siano inevitabili per la società americana, se si continua a incoraggiare con compiacenza la procreazione casuale e caotica che nasce dal nostro stuipido e crudele sentimentalismo»34. In Svezia i primi provvedimente eugenetici nascono sotto l’impulso delle teorie del premio Nobel Alva Myrdall (1902-1986, atea e aderente al partito socialistademocratico35). L’eugenetica divenne una vera ossessione in quegli anni, anche in Italia, dove però fu mitigata dalla cultura cattolica e non riuscì mai a tradursi in provvedimenti legislativi concreti. (1880-1950, abortista e fan accanita di Adolf Hitler


Condanna della Chiesa cattolica.
Già nel VI secolo la Chiesa aveva cominciato ad opporsi alla schiavitù e per la fine del X secolo era riuscita ad eliminarla in gran parte d’Europa. Quando però gli spagnoli conolizzarono le isole Canarie, nel 1435, Eugenio IV (1383-1487), con la bolla Sicut dudum, sotto la minaccia di scomunica, concesse a chi era coinvolto nello schiavismo, quindici giorni dal ricevimento della bolla per «riportare alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i sessi una volta residenti delle dette isole Canarie»36. I papi successivi, Pio II e Sisto IV ribadirono l’illiceità della schiavitù37. Nel 1537, con la bolla Veritas Ipsa, papa Paolo III (1468-1549), scontrandosi duramente con le autorità laiche, «stabiliva il principio della pari razionalità e quindi della piena uguaglianza e dignità di tutti gli uomini, compresi gli indigeni, condannando la schiavitù»38. Emise tre decreti contro la schiavitù nel Nuovo Mondo e dichiarò che «gli stessi indiani in verità sono uomini autentici, perciò secondo la nostra Autorità Apostolica decretiamo e dichiariamo che gli stessi indiani e tutti gli altri popoli anche se non appartenenti alla nostra religione [...] non dovrebbero essere privati della loro libertà o delle loro proprietà». Urbano VIII (1568-1644), nel 1639 emise la bolla Commissum Nobism, nella quale riaffermava la scomunica di Paolo III a coloro che erano coinvolti nella tratta degli schiavi. Lo storico delle religioni, Rodney Stark, ricorda: «Nel Nuovo Mondo era illegale pubblicare queste bolle antischiaviste, come qualsiasi altra dichiarazione papale, senza il consenso del re, che non fu mai concesso. Quando i gesuiti lessero in pubblico la bolla di Urbano VIII, a Rio de Janeiro, si scatenò una rivolta che provocò il saccheggio del loro collegio locale e il ferimento di diversi sacerdoti. A Santos, la folla travolse il vicario generale gesuita quando tentò di pubblicare la bolla. Nel 1767 i gesuiti vennero brutalmente espulsi dal Nuovo Mondo per aver continuato ad opporsi alla schiavitù e aver dato vita, con successo, a comunità di nativi notevolmente avanzate»39. Papa Benedetto XIV (1675-1758), nel 1741, attraverso la bolla “Immensa Pastorum principis”, continuò la dura opposizione allo schiavismo nelle Americhe40.
Nel XX° secolo, quando le aberranti considerazioni promosse dalla cultura atea materialista crebbero ed esplosero, anche a seguito delle già citate strumentalizzazioni scientifiche, la Chiesa tornò ad opprosi fermamente. Lo fece con l’enciclica Casti connubii (1930), nella quale Pio XI (1857-1939), condannò duramente l’aborto e la pretesa dell’autorità pubblica di vietare ad alcuni il matrimonio, o sterilizzare quanti venissero ritenuti a rischio di «prole difettosa». Occorre, scriveva il papa, provare a dissuadere dalla procreazione coloro che rischiano di avere figli malati, ma «le pubbliche autorità non hanno alcuna potestà diretta sulla membra dei sudditi» e «non possono mai, in alcun modo, ledere direttamente o toccare l’integrità del corpo, nè per ragioni eugenetiche, nè per qualsiasi altra cagione». Le reazione della cultura laicista ed eugenetica? La stessa che sarebbe avvenuta oggi: «Bisogna tristemente riconoscere che da qui in avanti non ci può essere nessuna tregua tra noi, che cerchiamo la salvezza a modo nostro, e i crociati di Roma. Poiché in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di più che un invito a regredire al Medioevo, ci troviamo di fronte a un invito alla crociata contro la libertà di pensiero e di azione dalla Stato moderno» scrisse la rivista «Eugenics Review» nel 193141. Insomma, la solita intromissione della Chiesa che si oppone allo sviluppo scientifico e alle onorevoli iniziative della cultura laicista: sterilizzazione di massa, razzismo biologico, segregazioni, isolamento ed eliminazione dei ceppi umani di qualità inferiore, controllo delle nascite ecc…


Conclusione.
Cedere ad una deriva laicista, atea, materialista e riduzionista (come purtroppo toccò anche al grande Darwin) porta inevitabilmente a perdere di vista l’unicità dell’uomo, riducendolo ad un semplice animale, solo quantitativamente e non qualitativamente, diverso dagli altri. Si dimentica violentemente l’altra dimensione umana, quella spirituale, si censura l’esistenza dell’anima e si abbandona l’insegnamento evangelico e della Chiesa. L’uomo diventa oggetto, cavia per indagine scientifica come qualsiasi altro animale, credendo di poter studiare scientificamente il pensiero, la volontà, la libertà, l’amore, la moralità, la fede ecc. L’uomo che vuole creare una società senza Dio, mettendosi al suo posto, ha dimostrato troppe volte di saper solo produrre disastri e tragedie disumane. All’inizio del ’900, il convertito Gilbert Keith Chesterton (1874-1936)«Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa»42. commentò egregiamente:
Bibliografia fondamentale
1 J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo, Mursia 1963, pag. 46
2 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 245,246,370,371
3 si veda ad esempio C. Tamagnone, L’illuminismo e la rinascita dell’ateismo filosofico, Clinamen 2008
4 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori riuniti 1999
5 Voltaire, Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni, 1756
6 Ibid.
7 citato in F. Castradori, Le radici dell’odio, Xenia 1991, pag. 52,53 e M. Marsilio, Razzismo, un’origine illuminata, Vallecchi 2006
9 E. Bonicelli, Le forme della vita, Einaudi 2006, pag. 165
10 C. Darwin, Autobiografia, Einaudi 2006
11 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 936,937
12 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 628
13 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 631
14 citato in R. Dawkins, The God Delusion, Bantahm Books 2006, pag. 263.
15 citato in G. Scarpelli, Il cranio di cristallo, Bollati Boringhieri 1993
16 citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45
17 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori riuniti 1999, pag. 337
18 F. Di Trocchio, Le bugie della scienza, Mondadori 1993, pag. 254,256
19 A. Gaspari, Da Malthus al razzismo verde, XXI Secolo 2000, pag. 94,95
20 S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 186
21 S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 189
22 L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 370,371 e G. Mosse, Il razzismo in Europa, Mondadori 1992
23 A. Hitler, Mein Kampf, La Lucciola 1992, pag. 39
24 C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004, pag. 27
25 citato in C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004, pag. 28,29
26 J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45
27 A. Hitler, Main Kampf, La Lucciola 1992, pag. 30
28 si veda R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori 2006, pag. 68
29 Intervista a Dawkins, in R. Stannard, La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag.95-96
31 V. Costa, L’origine anglosassone dell’eugenetica, Trento 2007
32 citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33,45
34 citato in E. Roccella – L. Scaraffia, Contro il cristianesimo, Piemme 2005, pag. 85
35 Judith Stiehm, Champions for peace: women winners of the Nobel Peace Prize, Rowman & Littlefield Publishers 2006, pag. 104 e L. Dotti, L’utopia genetica del welfare state svedese, Rubettino 2004
36 da Wikipedia/SicutDudum e R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 299-300
38 M. Viglione – E. Nistri – R. De Mattei, Alle radici del domani, Sedes 2004, pag. 74 e Wikipedia/VeritasIpsa
39 R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 300, e Wikipedia/CommissusNobis
41 citato su Il Foglio, 23/9/04
42 Chesterton, Ortodossia, 1908

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illuminismo, razzismo, voltaire

L'Illuminismo ha inventato il razzismo

ACCECATI DAI LUMI

Il vero mito fu quello del “selvaggio difettoso”. Da “rettificare”, rigenerare. Jean de Viguerie racconta l’antropologia eugenetica di certi “virtuosi”

di Marco Respinti

I negri sono brutti, i brasiliani sono bestie e gli ebrei puzzano. Non è il Mein Kampf, ma la summula del pensiero antropologico illuminista così come descritta dallo storico francese Jean de Viguerie, autore, fra l’altro, di Louis XVI, le roi bienfaisant (Éditions du Rocher, Monaco 2003), Christianisme et révolution: cinq leçons d’historie de la révolution française (NEL-Nouvelle Éditions Latines, Parigi 2000), Histoire et dictionnaire du temps de Lumières, 1715-1789 (Laffont, Parigi 1995) e Le catholicisme des français dans l’ancienne France (NEL 1988). Le “razze” umane, infatti, nascono da Voltaire, con tanto di annessi e connessi.
A partire da un seminario di ricerca su Les lumières et les peuples condotto nell’anno accademico 1992-1993 all’Università di Lilla III (dove insegna), De Viguerie è venuto raccogliendo e mettendo in parallelo numerosi documenti sulle concezioni antropologiche del siècle français. Oggi le ripropone in una efficace sintesi sul trimestrale Nova Historica (n.8, 2004), diretto a Roma da Roberto de Mattei – docente di Storia moderna all’Università di Cassino e vicedirettore del Consiglio Nazionale delle Ricerche – ed edito per i tipi di Pagine (tel. 06/39738665).

Nella lingua francese, il termine “specie” è stato adoperato fino al Seicento solo in ambito medico o farmacologico e mai in relazione agli esseri umani. È il Settecento che ne inaugura l’uso biologico. Da qui l’espressione passa poi all’antropologia e così si parla per la prima volta di “specie umane” a loro volta suddivise in altre “specie” più... specifiche, altrimenti dette “varietà”. O – come fa François Marie Arouet detto Voltaire (1694 - 1778) nell’Essai sur les mœurs et l’esprit des nations et sur les principaux faits de l’histoire depuis Charlemagne jusqu’à Louis XIII (1756) – “razze”. Ciò che accomuna i rappresentanti della “specie umana” è, per Voltaire, l’avere «tutti gli stessi organi vitali, dei sensi e del movimento»; eppure «solo un cieco può mettere in dubbio che i bianchi, i negri, gli albini, gli ottentotti, i lapponi, i cinesi e gli americani siano razze completamente diverse».

Contro i “primitivi”
Il postulato voltaireano «la razza dei negri è una specie d’uomo diversa dalla nostra» viene illustrato da Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales (1741-1816) e da George-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), che peraltro adoperano sempre solo il termine “varietà”.
In De la philosophie de la nature ou Traité de morale pour l’espèce humaine. Tiré de la philosophie et fondé sur la nature (la cui «troisième édition et la seule conforme au manuscrit original» fu pubblicata a Londra in 6 volumi nel 1777), Delisle de Sales nota che la natura «non fa altro che produrre una serie d’individui in cui ciascuno rappresenta solamente un anello della lunga catena di esseri che compongono le varietà della specie umana». Ma, nell’Histoire de l’Homme – parte dei 15 volumi della sua Histoire naturelle (1749-1767) –, Buffon aggiunge che le varietà individuali degli uomini si sono cristallizzate in «varietà della specie umana» le quali con il tempo «si sono perpetuate».
Vale a dire: i singoli uomini nascono con determinate caratteristiche fisiche (Delisle de Sales), nei secoli questi si raggruppano in base a quelle caratteristiche (Buffon) e queste sono le “razze” in cui si suddividono quelli che chiamiamo genericamente “uomini” in ragione di alcune loro somiglianze morfologiche (Voltaire). L’orizzonte globale è di tipo esclusivamente biologico (ciò che viene definito “morale” ne è infatti solo by-product o al massimo offshoot) e tali sono quindi pure la natura dell’essere umano così come le differenze fra singoli e “razze”.

«Ciò significa – commenta De Viguerie – che il carattere dipende dal fisico e che lo “spirito delle nazioni” caro agli umanisti, ma anche a Montesquieu, non c’entra niente. Gli usi e i costumi, e il naturel di un popolo sono caratteristiche razziali legate a un aspetto fisico, al colore della pelle». Si è, insomma, «pigri perché si è negri, oppure si è più o meno civilizzati perché si è bianchi» giacché «i popoli sono divenuti razze».
Per Voltaire, del resto, tutti i selvaggi sono brutti e stupidi, in specie i negri e gli ebrei, ma non da meno sono i paysan suoi compatrioti. Quanto ai primi, «gli occhi tondi, il naso camuso, le orecchie dalla strana conformazione, i capelli crespi e il livello della loro intelligenza producono tra loro e le altre specie di uomini una differenza sorprendente». I secondi – così alla voce Juifs del Dictionnaire philosophique del 1764 – vengono definiti «solo un popolo ignorante e barbaro, che coniuga da lungo tempo l’avarizia più sordida alla superstizione più odiosa e all’odio più irrefrenabile per i popoli che li tollerano e che li arricchiscono». I terzi, nell’Essai sur les mœurs, sono descritti come «zotici che vivono in capanne con le proprie donne e qualche bestia [...], i quali parlano un gergo mai sentito nelle città»; a loro sono addirittura superiori gli autoctoni «del Canada e i cafri».
Così ammaestrati (anche per Buffon i contadini francesi del nord sono «grossolani, pesanti, mal fatti, stupidi» e le loro mogli «quasi tutte brutte»), i giacobini del 1793 e 1794 ci metteranno poco a decretare lo sterminio totale della race maudite della Vandea.

I calmucchi poi... E gli ebrei...
Per Buffon il top sono quindi gli europei: gli uomini (così ne sintetizza il pensiero De Viguerie) «più belli, più bianchi e meglio fatti su tutta la Terra». Fuori dal Vecchio Continente qualcuno pur si salva (grosso modo i popoli che una “scienza” posteriore definirà di ceppo ariano), la Cina e il Giappone ancora passano perché vi abitano uomini più o meno sapienti ancorché non belli, ma quello che proprio non va è il resto del mondo, popolato di esseri affetti da tare fisiche o morali (che è sostanzialmente lo stesso). I tartari, per esempio: del tutto sproporzionati. O alcuni indù, pure fuori misura e per di più gialli. Ma certo nessuno batte i calmucchi, «il cui aspetto ha qualcosa di spaventoso». A Timor, poi, sono pigrissimi, gli egiziani oziosi e i negri della Sierra Leone capiscono solo di femmine e di non-far-nulla. Gli arabi, che sono più belli, «si fanno onore dei propri vizi».
Più parco con l’aggettivo “brutto” è Guillaume-Thomas-François Raynal (1713-1796), parroco a Saint-Sulpice di Parigi (e da lì cacciato per ignoti motivi), autore dell’Histoire philosophique et politique des établissemens et du commerce des Européens dans les deux Inde (1774). Eppure per lui, a parte i cinesi, tutti gli orientali sono viziosi. E così pure sono i brasiliani.
Ma il pezzo forte dell’illuminismo restano comunque i negri e gli ebrei.
Johann Heinrich Samuel Formey (1711-1797), ministro di culto protestante franco-tedesco (tant’è che è noto pure come Jean Henri etc.) scrisse la voce Nègre dell’Encyclopédie; così: «se ci si allontana dall’Equatore verso l’Antartico, il nero si schiarisce, ma la bruttezza rimane».

Sugli ebrei s’incentra invece specificamente l’attenzione di Baptiste-Henri Grégoire (1750-1831), il famoso “abbé Grégoire” che fu il primo, nel 1790, a giurare fedeltà a quella scismatica Costituzione civile del clero che costò la vita a molti suoi confratelli e che lo creò “vescovo”. Pubblicò un Essai sur la régénération physique, morale et politique des Juifs, vantata come «ouvrage couronné par la Société royale des Sciences et des Arts de Metz, le 23 Août 1788» di cui l’autore era membro. In essa Grégoire afferma che la «maggior parte delle fisionomie ebree sono di rado abbellite dal colorito della salute e dai tratti della bellezza. [...] Essi hanno un colorito smorto, il naso adunco, gli occhi infossati, il mento prominente», inoltre «sono arcigni e molto soggetti alle malattie», e per di più «esalano costantemente cattivo odore». Insomma, «sono piante parassite che succhiano la sostanza dell’albero al quale si attaccano finendo con esaurirlo o distruggerlo».
E se in mano illuminista negri ed ebrei piangono, certo i lapponi e gli ottentotti non ridono. I primi sono per Formey «termini estremi della razza dell’uomo» e per Delisle de Sales «aborti della razza umana»; i secondi «hanno qualcosa della sporcizia e della stupidità degli animali che rigovernano» per Raynal, «si tratta di uomini imperfetti» per Delisle de Sales e sono un «popolo spregevole» per Buffon.
Ma c’è addirittura dell’altro.


Uomini come renne e licheni
Viziose e turpi, molte “razze” non sono nemmeno pienamente umane.
Voltaire afferma che la natura produce una tal varietà qui e un’altra là. Volatili, licheni o uomini, sono tutti il prodotto del territorio su cui vivono: «la natura che ha posto solo renne o rangiferi in una contrada sembra aver prodotto i lapponi». Diversi i terreni, diversi gli abitanti. Le caratteristiche fisiche, cioè, che gl’individui possiedono per natura, le quali poi generano i popoli secondo l’idea che il simile sta con il simile, da cui si esplicitano infine le differenze anche morali fra le “razze”, sono solo il prodotto materiale di un determinato luogo geografico. Inutile chiedersi da dove derivi l’uomo: lo sprigiona la terra che poi egli abita. Non a caso, però, ma secondo una catena gerarchica dell’essere, «un sistema – indica De Viguerie – che comporta livelli intermedi fra uomo e animale».
Al tempo si credeva che gli albini fossero una “razza” di “negri bianchi”: ebbene, per Voltaire «sono al di sotto dei negri per la forza del corpo e dell’intendimento, e la natura li ha forse collocati dopo i negri e gli ottentotti, e sopra le scimmie, come uno dei livelli che scendono dall’uomo verso le scimmie». E poi, nel settimo dialogo dell’A.B.C. Dialogues et anedoctes philosophiques (1768), sempre Voltaire scrive: «il brasiliano è un animale che non ha ancora raggiunto la maturazione della propria specie».

Né dal sistema antropologico illuministico è assente il concetto di “degenerazione”. Per questo Grégoire può auspicare la «rettificazione» degli ebrei. Attorno al 1790, infatti, il termine “rigenerazione” cominciò ad assumere connotati sia antropologici sia politici. La Grande Révolution, del resto, fu intesa proprio così: una colossale palingenesi dell’umanità, finalmente liberata dai propri difetti. Era insomma una natura sbagliata quella che aveva prodotto piante, bestie e una catena dell’essere tanto rabberciata; ma l’analisi degli “scienziati” e l’action dei virtuosi della République corresse il tiro.
Nel febbraio 1757, sul Journal économique, tale «M. le C**» propose di arruolare «dei reggimenti di gobbi, di storpi e di guerci, facendo diminuire nello stesso modo l’estinzione di uomini forti tolti dalle campagne e che, servendo le truppe, non sarebbero in seguito più in grado di sposarsi». Venne poi l’Essai d’éducation nationale (1763) con cui Louis-René Caradeuc de La Chalotais (1701-1785) si chiese: «Esiste un’Arte per cambiare la razza degli animali, non ce ne sarebbe una per perfezionare quella degli uomini?». Gli rispose, nel 1883, Sir Francis Galton (1822-1911), cugino di Charles R. Darwin, coniando il neologismo: eugenetica.
Le magnifiche sorti e progressive avevano la strada spianata. Anzi, illuminata.

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illuminismo, razzismo, voltaire

venerdì, 05 marzo 2010

HMEMAN/

Quel cristianesimo che permette di innamorarsi ma non di amare

 ***

Romano Scalfi


venerdì 5 marzo 2010  

Da: http://www.ilsussidiario.net

 
 «
I russi non amano, ma si innamorano». Troviamo questa affermazione nel diario di padre Aleksandr Shmeman, uno dei più noti pensatori dell’emigrazione russa, scomparso nel 1983. L’innamoramento,dice Shmeman, si distingue dall’amore perché indebolisce le facoltà intellettuali concentrandole su un particolare staccato dal tutto. Se l’autentica cultura mette il particolare in rapporto con l’assoluto, la subcultura ha come caratteristica l’esaltazione del particolare chiuso in se stesso e preso come assoluto. Così la libertà, slegata dalla vita diventa arbitrio, la felicità si disintegra nelle voglie, la scienza si chiude nella specializzazione, l’arte diventa una tecnica, l’economia venerata come idolo prepara inesorabilmente la crisi, il progresso è condannato al degrado, e così di seguito.
Shmeman vede l’origine storica di questa “frantumazione” nel Rinascimento, letto come rivolta contro il cristianesimo in nome della persona. L’autonomia della persona, passata attraverso l’illuminismo, il razionalismo, lo scientismo, è giunta a maturazione diventando un idolo, e com’è destino di ogni idolo, si è autodissolta nel relativismo.
In questo processo di frantumazione i cristiani hanno una precisa responsabilità. Se infatti il Rinascimento è stato una rivolta contro il cristianesimo è anche perché i cristiani avevano collaborato a “frantumare” la fede in tante devozioni particolari che mettevano in ombra “Cristo tutto in tutti”. «Sono degli innamorati, ma non sanno più amare». Le singole parti hanno il sopravvento sul Tutto.Ed evidentemente questo discorso non vale soltanto per i russi.
La cosa più tremenda nella storia attuale è la quasi completa assenza del cristianesimo come concezione capace di illuminare tutti gli aspetti della vita, di creare storia, di esaltare le potenzialità umane.
Ci sono stati due momenti di svolta nella dissoluzione della presenza del cristianesimo nella coscienza umana, il primo, come si è detto, è stata la rivolta in nome della persona nel Rinascimento. Il secondo, nel nostro secolo, è stato la rivolta contro il cristianesimo “in nome dell’impersonalità”, quando la persona, trasformata in idolo, nella sua arbitrarietà si è frammentata e per garantirsi un’improbabile sopravvivenza, si è aggrappata all’ultima traballante sponda: esaltare ogni frammento particolare come se costituisse il significato sufficiente del tutto. Shmeman sottolinea che anche quest’ultima rivolta del laicismo moderno contro il cristianesimo è, più in profondità, una rivolta contro il tradimento operato dal cristianesimo contro se stesso. Ciò che il cristianesimo aveva rivelato come novità assoluta, verità assoluta, bene assoluto, felicità autentica, i cristiani non sono stato capaci di viverlo. «Hanno trasformato il cristianesimo in una religione», peggio, in una religione burocratica. I cristiani hanno tradito il cristianesimo delle origini: allora tutto scaturiva dalla conoscenza di Cristo, dal suo amore, «oggi invece tutto nasce dal desiderio di santificarsi». Alle origini si approdava alla comunione attraverso la sequela di Cristo, oggi si tende a ridurre Cristo a puntello dei nostri progetti, magari spirituali; lo usiamo per condannare ciò che noi deploriamo, a destra come a sinistra, non ha importanza.
Per Shmeman non si tratta semplicemente di tornare al passato. Anche il tradizionalismo, esattamente come il progressismo, può diventare un idolo e il cristianesimo può diventare semplicemente un puntello. La tradizione vale se restaura la centralità di Cristo in tutti i tempi e per tutte le scelte. Se la verità è Cristo, è soltanto in lui che la vita fiorisce in tutti i suoi aspetti. «Tu che sei presente in ogni luogo ed ogni cosa porti a compimento, vieni ad abitare in noi» dice la Liturgia bizantina invocando lo Spirito.In questo modo il particolare non è sacrificato a Cristo, al contrario, soltanto in Lui può raggiungere la sua piena maturazione. «Ogni cosa che da Lui si allontana invecchia, e ogni cosa che a Lui si avvicina si rinnova. E sorprendentemente la sua novità deriva da ciò per cui Egli è l’Anticdiceva l’abate Guerrico nel XII secolo. In Cristo tradizione e progresso non sono termini contradditori, ma semplicemente antinomici, cioè più profondamente veri.
 


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illuminismo, cristianesimo

sabato, 27 febbraio 2010

Il libro nero della Rivoluzione francese.

Culla della moderna democrazia

o feroce strage?

***

Fa discutere il volume sulla Francia giacobina.
Culla della moderna democrazia o feroce strage? Gli autori: la politica della ghigliottina è l’antenata del comunismo.
«Il governo rivoluzionario è debitore, nei confronti dei buoni cittadini, di tutto l’appoggio della nazione, mentre ai nemici del popolo deve nient’altro che la morte». Così Robespierre difese il Terrore il 25 dicembre 1793, davanti alla Convenzione nazionale. Cosa fu il Terrore: necessaria difesa della Repubblica o macchina di morte manovrata da una élite sanguinaria? Deviazione dai princìpi del 1789 che ispirarono la "Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino" o loro figlio legittimo?
Un libro appena uscito in Francia riapre la discussione. "Le livre noir de la Révolution francaise" (Editions du Cerf, pp. 882, euro 44) richiama ovviamente quel "Libro nero del comunismo" che una decina d’anni fa fu accolto con fastidio dall’intellighenzia progressista europea. Non a caso uno dei 47 studiosi che ha dato vita a questa monumentale opera collettiva è Stéphan Courtois, curatore di quell’atto d’accusa al totalitarismo "rosso".
Questa volta si tratta di rimettere in prospettiva il fenomeno storico, pressati da una domanda: perché una Rivoluzione che si pretendeva figlia dei Lumi e di Voltaire (quello che diceva «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire») finì per celebrare le virtù della ghigliottina?
 La dissuasione dei Vandeani
Per rispondere all’interrogativo, i contributi dei vari autori smontano pezzo per pezzo il puzzle costruito dalla mitologia républicaine. I massacri della Vandea, anzitutto. I contadini di questa regione insorsero, nel marzo 1793, contro la decisione della Convenzione di arruolare a forza 300 mila uomini da gettare nella guerra contro Austria e Prussia. Un rapporto della Convenzione diceva a chiare lettere che «non c’è alcun mezzo di riportare la calma in quella regione che facendone uscire quelli che non sono colpevoli, sterminandone il resto, e rimpiazzandolo con dei repubblicani che difenderanno il loro Paese».
Perfino Bertrand Barère, il membro "ondeggiante" del Comitato di Salute pubblica, perde il suo proverbiale sangue freddo e intima: «Distruggete la Vandea!». Il generale in capo dell’Armata dell’Est, Turreau, conferma gelido: «La Vandea deve diventare un cimitero nazionale». Il giacobino Jean-Baptiste Carrier esplode quasi esasperato: «Che non ci si venga più a parlare di umanità verso questi feroci vandeani: devono essere tutti sterminati!». E sterminio fu.
 Si portano in giro le teste mozzate.
 Jean Tulard, docente alla Sorbona e all’Istituto di Studi politici di Parigi, fra gli autori del "Livre noir", ha spiegato in un’intervista alla rivista AF2000: «Il Terrore è irriducibile agli "eccessi". Dal 14 luglio, quando la folla porta a spasso la testa di Launay (governatore della Bastiglia, ndr), ha il solo scopo di azzerare le resistenze. Quando si conducono i condannati dentro una carretta per chilometri prima di arrivare al patibolo, noi abbiamo già a che fare con un sistema terrorista».
Anche gli annegamenti degli oppositori a Nantes (circa 3 mila persone), pianificati dallo stesso Carrier che inneggiava al macello in Vandea, furono "dissuasivi": «Quando i pescatori seduti sulle rive della Loira hanno visto passare i cadaveri a pelo d’acqua hanno dovuto temperare i loro sentimenti contro-rivoluzionari».
C’è naturalmente la persecuzione contro la Chiesa. Migliaia di teste cadute all’interno del clero "refrattario", quello cioè che non aveva prestato il giuramento di fedeltà al documento di "Costituzione civile del clero" approvato dall’Assemblea Costituente nel 1790.
Le ceneri di Montesquieu
 In parallelo, la furia rivoluzionaria si accanì anche contro il patrimonio artistico francese, colpevole di rinviare troppo all’Ancien Régime. A Parigi ne fecero le spese la chiesa des Bernardins, la biblioteca di Saint-Germaindes-Prés, le statue dei re sulla facciata di Notre Dame. Le ceneri di molti grandi uomini furono gettate nella Senna o nelle fogne. Anche quelle di Montesquieu, non a caso teorico dello Stato liberale basato sull’"equilibrio" dei poteri.
Altro tasto su cui battono gli autori del "Livre noir": le analogie con i totalitarismi del Novecento, il nazismo ma soprattutto il comunismo di stampo sovietico. Sistematizzazione della politica del Terrore, omicidi delle famiglie regnanti, attacchi contro i religiosi, utilizzo della guerra per militarizzare e purgare la società, sacralizzazione della violenza.
Tutte arti in cui i bolscevichi andranno oltre, ma fu Lenin a richiamare il precedente come esempio da superare: «La ghigliottina non era che uno spauracchio che spezzava la resistenza attiva. Questo non basta. Noi non dobbiamo solo spaventare i capitalisti, cioè far loro dimenticare l’idea di una resistenza attiva contro di esso. Noi dobbiamo spezzare anche la loro resistenza passiva». Dalla ghigliottina al Gulag.
Ovvio che tesi del genere abbiano scatenato un polverone Oltralpe. Dove la retorica repubblicana è bipartisan. Anche Le Figaro, giornale della destra francese, ha stroncato le "Livre noir", chiedendosi: «Lo spirito totalitario non è morto. Bisogna prendersi il rischio di risvegliarne il cadavere rianimando un dibattito che era stato vinto (una volta tanto) dal campo liberale e chiarito?».
La risposta alle polemiche
Il radical-chic Le Nouvel Observateur ha invece attaccato frontalmente il libro, con lo sferzante titolo "Non, Danton n’est pas Hitler!" (No, Danton non è Hitler), pur ammettendo che c’è un fondo di verità.
Alle critiche ha risposto tra gli altri lo storico Jean Sévillia, autore di uno dei contributi al testo: «L’iconografia ufficiale, quella dei manuali scolastici, quella della televisione, mostra gli avvenimenti del 1789 e degli anni seguenti come il momento fondatore della nostra società, cancellandone tutto ciò che vogliono occultare: il Terrore, la persecuzione religiosa, la dittatura di una minoranza, il vandalismo artistico».
Da cui l’idea-base del "Livre noir": «Mostrare l’altra faccia della realtà e ricordare che c’è sempre stata un’opposizione alla Rivoluzione francese, ma senza tradire la Storia».
La Storia, per inciso, dice che dal caos rivoluzionario scaturì il primo dittatore moderno, Napoleone Bonaparte.
di Giovanni Sallusti - 04/05/2009

Fonte: Libero 9 marzo 2008)

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illuminismo

giovedì, 17 dicembre 2009
Quale futuro senza Dio?
***
Sant' Agostino aveva ragione: l'esclusione di Dio dalla società porta alla morte dell' uomo. Molti cattolici sprovveduti non lo hanno capito. Il nuovo imbarbarimento.
Nel secolo che sta per concludersi, abbiamo visto in atto - per la prima volta nella storia in dimensioni così gigantesche - il tentativo di costruire delle società umane facendo a meno di Dio e della sua legge, anzi in opposizione esplicita alla sua legge.
Donde l'origine di tale tentativo? Va ricercata nella grande filosofia anticristiana tedesca, la quale a partire da Hegel e passando per Feuerbach, Marx e Nietzsche, ha portato alla proclamazione della "morte di Dio". Tutte le immense stragi del nostro secolo sia comuniste che naziste - sono derivate in via diretta da quella filosofia. Ovviamente l'esclusione di Dio dalle società comuniste e da quella nazista non ha portato alla Sua morte. Constatiamo che ha portato alla morte di un numero sterminato di esseri umani. Non dobbiamo stancarci di ricordare le statistiche di quelle stragi: 25 milioni di vittime nell'ambito nazista; mentre nell'ambito comunista 60 milioni in Russia, 150 in Cina, da 2 a 3 milioni in Cambogia, 2 milioni in Corea del Nord, 1 in Vietnam, 1.700.000 in Africa, 1.500.000 in Afganistan, 1 milione nell'Europa dell'Est. Un numero così inconcepibile di morti, i non cristiani non riescono a spiegarselo, come non riescono a spiegarsi un secolo Ventesimo improvvisamente tornato alle caverne, dopo un Diciannovesimo tutto sommato civile.
Le spiegazioni proposte dai "laici" infatti - per esempio, il culto della personalità di Stalin, o che Hitler fosse un gangster, come suggerisce Brecht non spiegano assolutamente niente. Ai cristiani invece non è difficile individuare in quel terribile processo storico l'alterno sovrapporsi delle due "città", che stanno nella visione cristiana della storia formulata e trasmessaci dal filosofo Agostino. La "città (o società) terrena", che esclude Dio dal proprio ambito, e la "città (o società) celeste", che invece gli fa spazio, e cerca di costruirsi secondo i suoi insegnamenti. Di solito, dice il filosofo, le due società si presentano mescolate tra loro, secondo proporzioni che variano. Ed è appunto la prevalenza alterna dell'una o dell'altra a costituire il vero filo conduttore di tutta la storia degli uomini. Avverte ancora Agostino: i costruttori della "città terrena" - indipendentemente dalle loro intenzioni finiscono sempre col comportarsi alla maniera del "principe di questo mondo" di cui parla il Vangelo, cioè, piaccia o non piaccia, del demonio.
Ora noi sappiamo, perchè ce lo dice il Vangelo, che gli attributi specifici del demonio sono di essere "omicida", "menzognero", e "scimmia di Dio". Ecco: nel nostro secolo in due distinti ambiti, appunto quello comunista e quello nazista, è stata portata avanti la costruzione di due società "terrene" senza quasi mescolanze con società "celesti" che, se anche imperfette, avrebbero come in passato costituito un ritegno. In particolare, senza più la presenza del timor di Dio, del quale era stata proclamata la "morte". Per questo in tali due ambiti si sono verificati anzitutto quegli omicidi su scala così inconcepibile; in secondo luogo vi sono comparse delle menzogne sistematiche, addirittura due articolati, giganteschi sistemi di menzogne, presentati come modernissima scienza della società: ed erano tali sistemi ad alimentare di continuo gli omicidi; in terzo luogo si è preteso di imporre ai cittadini quei coacervi di errori e menzogne in sostituzione della fede portataci da Cristo: il che fu, nè più nè meno, comportamento da "scimmie di Dio".
Oggi, la scarsa presenza della cultura cristiana nel dibattito culturale mondiale (incredibile, dopo che la storia ha dimostrato in pieno, nel nostro secolo, la fondatezza di tutti i suoi assunti) è causata soprattutto dall'azione di molti cattolici che si sono idealmente e politicamente schierati a fianco dei comunisti e dei 'laici" di sinistra. Tali cattolici, chiudendo gli occhi sulle terrificanti cose che tutti abbiamo vissuto, preferiscono seguire le indicazioni di alcuni falsi maestri ormai scomparsi (capifila Maritain, e per l'Italia Dossetti) e vedono nei comunisti e nelle sinistre "laiche" i più efficaci difensori degli interessi dei poveri e della gente meno difesa. L'amore evangelico (adesso si usa dire "la solidarietà") per i poveri, determina perciò quei cattolici alla collaborazione sistematica coi comunisti e i loro eredi, e con le sinistre in genere, verso cui - soprattutto certi sprovveduti - assumono atteggiamenti quasi da discepolo a maestro.
I più provveduti d'intelletto, mossi dal bisogno (sempre inteso evangelicamente, ahimè) di farsi "lievito" nel mondo delle sinistre, e determinati, in quanto cristiani, a condurre con onestà un "dialogo" con tale mondo, accettano sinceramente dal comunismo e dal laicismo progressista tutto ciò che abbia una parvenza di meno pericoloso per la fede, creandosi così una fede propria, che raggiunge livelli di ambiguità atroce, e la propugnano.
La Chiesa, e per essa la gerarchia, sebbene in gravi angustie per la situazione creatasi (si veda il recente libro Meglio il martirio del coraggioso vescovo di Como mons. Maggiolini), non si risolve a sconfessarli, anche perchè diversi pastori, non senza fondamento, considerano la mentalità "laica" talmente preponderante che temono, se le si schierassero contro, di ridurre la Chiesa in uno stato di ostracismo tale da non poter neppure più esercitare la parte di magistero che oggi le è concessa. Intanto il processo di scristianizzazione non si arresta. Così nuovi cadaveri hanno cominciato ad accumularsi: prodotti adesso dalla droga, e soprattutto dall'aborto (già milioni ogni anno).
Ma sta forse per affacciarsi anche qualcosa di più propriamente barbarico: sembra infatti che stia prendendo corpo una sorta d'imbestiamento nuovo, via via più diffuso tra le giovani generazioni private degli ideali cristiani, e ormai di qualsiasi ideale (non potendosi dire tali quelli del consumismo: cioè per i giovani il sesso, l'abbigliamento più o meno eccentrico, la motocicletta e lo sport). Di tale imbestiamento ci sembrano essere indizio, in più d'un paese d'Europa, a cominciare dall'Inghilterra, le lotte a coltello tra bande di giovani (i cosiddetti "uligani", termine non a caso d'origine russa), che si riducono a livello di bruti tramite ubriacature in occasione di comuni gare sportive (e non solo di queste, tanto che in diversi luoghi la gente non si arrischia più a uscire di casa la sera). In America si sono andati sviluppando altri tipi di selvaggi scontri tra gruppi giovanili, tali da costringere ad esempio il sindaco della capitale Washington a imporre il coprifuoco sui giovani. In Italia e apparso un fenomeno più modesto, ma pure a suo modo indicativo: quello dell'imbrattamento crescente dei muri delle città fino ad altezza d'uomo (macroscopico a Milano) ad opera in genere di minorenni. I quali, evidentemente vuoti di tutto, e in particolare di ritegni, cercano d'imporre all'ambiente circostante l'abbrutimento che sentono crescere in se stessi. Sono per ora soltanto indizi, degni però d'attenzione. Solo il ritorno della prevalenza della "città di Dio", ove la Religione sia tenuta nella giusta considerazione e la legge di Dio rispettata ed osservata, consentirà di uscire dal baratro nel quale ci ha gettato questo secolo. E` questo il fine della Nuova Evangelizzazione, che sta così a cuore a Papa Giovanni Paolo II. E` questa la sola alternativa alla nuova barbarie dilagata nel mondo.
 
Eugenio Corti
Fonte:
Il Timone n. 5 gennaio/febbraio 2000

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illuminismo

mercoledì, 16 dicembre 2009
Garibaldi: la vergogna d’Italia
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illuminismo

domenica, 13 dicembre 2009
L’involuzione
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« Presentando il suo volume all’Università Cattolica di Milano qualche giorno fa, Ol’ga Sedakova ha raccontato di aver visto in Germania una interessante galleria di ritratti di letterati;
mentre quelli del Settecento appaiono come uomini maturi e certi della loro ragione illuminista,
quelli
del secolo successivo appaiono come giovani romantici, sognatori e un po’ svagati;
quelli del Novecento hanno invece il volto tipico degli adolescenti arrabbiati coi genitori e con la vita tutta.
 I nostri contemporanei, infine, assomigliano a dei bambini piccoli piccoli, che non sono ancora capaci di fare niente.
 È evidente la traiettoria regressiva di una ragione presuntuosa. Ma non è la fine; ha detto con determinazione la Sedakova. Molte volte nella storia si è pronosticata la fine della civiltà, ma in realtà essa prosegue, sempre e sorprendentemente. E solo il poeta, il sapiente, ne coglie lo sviluppo; e lo sa collegare con l’immensa eredità del passato. ».

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illuminismo

domenica, 30 agosto 2009
Il razionalismo
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Il razionalismo è la contraddizione che riunisce nella sua unità suprema tutte le altre contraddizioni. Infatti, il razionalismo è, al tempo stesso, deismo, panteismo, umanismo, manicheismo, fatalismo, scetticismo, ateismo”.
Donoso Cortes

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illuminismo

venerdì, 21 agosto 2009
L’oscurantismo del progresso
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“se oggi c’è un oscurantismo che imperversa in Europa, è precisamente l’oscurantismo del progresso. La posizione di questi scienziati, biologi e ginecologi procede da una confusione fra dominio e libertà. Più si domina, più si è liberi, ci ha insegnato l’Illuminismo. Ma oggi il nostro compito è proprio quello di rimettere in discussione questa lezione”  
 (Alain Finkielkraut)

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illuminismo, finkielkraut

martedì, 24 marzo 2009
 L'illuminismo
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L'illuminismo nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni, ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di una trionfale sventura, gli uomini pagano l'accrescimento del loro potere con l'estraniazione da ciò su cui lo esercitano. L'Illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini, che conosce in quanto è in grado di manipolarli. Ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura, cade tanto più profondamente nella coazione naturale: è questo il corso della civiltà europea" ».
Adorno da: Dialettica dell'Illuminismo  

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illuminismo, adorno

sabato, 15 novembre 2008
 I positivisti
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"veramente io li ammiro, tutti questi grandi filosofi di quei sistemi nichilisti oggi così prosperi. Noialtri, pazienti scrutatori della natura, ricchi delle scoperte dei nostri predecessori muniti degli strumenti più delicati,armati del severo metodo sperimentale incespichiamo in ogni passo alla ricerca della verità, e ci accorgiamo che  il mondo materiale fin nella  sua minima manifestazione,è quasi sempre diverso da quelle che avevamo presentito. Ed essi, completamente in balia dello spirito del sistema, come fanno a sapere?”
L. Pasteur discorso per l’elezionae all’accademia di Francia

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illuminismo, scienza - articoli

lunedì, 10 novembre 2008
Morte di Dio, morte dell'uomo
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(..) Secondo una suddivisione oggi purtroppo accettata in tutto l'Occidente, la storia degli ultimi millecinquecento anni viene distinta in due parti. La prima, dalla fine dell'Impero Romano al Rinascimento, corrisponde ad un unico periodo, chiamato Medioevo, nel quale vengono fatti coesistere i secoli oscuri della prevalenza barbarica e i successivi secoli della Res Publica Christiana e del Sacro Romano Impero, gli unici, questi, in cui il cristianesimo ha permeato in qualche modo la vita della società. Si tratterebbe in sostanza di un unico periodo regressivo per l'umanità.

La seconda parte comincia con il Rinascimento, che rappresenta l'inizio dell'età moderna, o del progresso. In realtà nel Rinascimento ha avuto luogo la rinascita del paganesimo, non più però nella sua versione antica, che dava anche spazio a Dio, o almeno agli dei, tanto che Cicerone poteva scrivere:  “Apud nos omnia religione reguntur” (presso di noi tutto si regge sulla religione), e nel quale potevano comparire figure come Virgilio naturaliter christianus. Il nuovo paganesimo rinascimentale, invece, dopo aver conosciuto Cristo, lo respingeva: era dunque contro Cristo e contro Dio. Partendo appunto da lì si è arrivati nel nostro secolo alla proclamata “morte di Dio”, che costituisce il nucleo caratterizzante la filosofia laicista contemporanea.
Quella esclusione di Dio dalla vita concreta della società ha prodotto fin da subito frutti amari: anzitutto, durante lo stesso Rinascimento, ha prodotto un primo piccolo Hitler o Stalin, con il Duca Valentino, che è stato assunto da Macchiavelli come il modello della politica nuova e razionale, quella del fine che giustifica i mezzi. Non a caso ai nostri giorni Gramsci, fornendo il più moderno studio della politica preconizzata dal comunismo, ha dato al Partito il nome di “Nuovo Principe”.
Più tardi, un secondo frutto tipico dell'esclusione di Dio dalla società degli uomini è stato, durante la Rivoluzione francese, il tremendo massacro vandeano, che ha presentato caratteristiche di genocidio e di menzogna molto simili a quelle comparse poi su scala molto maggiore nel nostro secolo.
Infine il frutto maggiore, almeno fino ad oggi, è costituito appunto dalle stragi naziste e comuniste nel nostro secolo, che hanno comportato milioni e milioni di morti. La “morte di Dio”, infatti, comporta come stretta conseguenza la nullificazione dell'uomo. Di tutto questo la gente sa ben poco, perchè il nostro è il tempo delle mezze verità, cioè in conclusione della menzogna. (..)
  Eugenio Corti  da un'intervista a Tracce , maggio 1997

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illuminismo, laicismo

domenica, 17 febbraio 2008
La catastrofe
della coscienza umanistica areligiosa

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C'e comunque una catastrofe già in corso: la catastrofe della coscienza umanistica areligiosa.
Questa coscienza ha fatto dell'uomo la misura di ogni cosa sulla Terradell'uomo imperfetto, mai esente dall'orgoglio, dalla cupidigia, dall'invidia, dalla vanità e da decine di altri difetti. Ed ecco che gli errori, sotto- stimati all'inizio del cammino, oggi si prendono una poderosa rivincita. II cammino che abbiamo percorso a partire dal Rinascimento ha arricchito la nostra esperienza, ma ci ha fatto anche perdere quel Tutto, quel Più alto che un tempo costituiva un limite alle nostre passioni e alla nostra irresponsabilità. Abbiamo riposto troppe speranze nelle trasformazioni politico-sociali e il risultato e che ci viene tolto ciò che abbiamo dl più prezioso: la nostra vita interiore. All'Est è il bazar del Partito a calpestarli all'Ovest la fiera del commercio. Quello che fa paura, della crisi attuale, - non e neanche il fatto della spaccatura del mondo, quanto che i  frantumi più importanti siano colpiti da un'analoga malattia.
Se l’'uomo fosse nato, come sostiene I'umanesimo, solo per la felicità, non sarebbe nato anche per la morte. Ma poiché e corporalmente votato alla morte, il suo compito su questa Terra non può essere che ancor più spirituale: non l'ingozzarsi di quotidianità, non la ricerca del sistemi migliori di acquisizione, e poi di spensierata dilapidazione, del beni materiali, ma il compimento di un duro e permanente dovere, cosi che l’intero cammino della nostra vita diventi l'esperienza di un'ascesa soprattutto morale: che ci trovi al  termine del cammino, creature più elevate dl quanto non fossimo nell'intraprenderlo. Inevitabilmente, dovremo rivedere la scala del valori universalmente acquisita e stupirci della sua inadeguatezza e erroneità.
Solzenicyn  da:Un mondo in frantumi

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illuminismo, solzenicyn

sabato, 16 febbraio 2008
L’umanesimo ateo
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« La coscienza umanistica, autodesignatasi a nostra guida, ha negato la presenza del male all'interno dell'uomo, non gli ha riconosciuto compito più elevato dell'acquisizione della felicita terrena e ha posto alla base della civiltà occidentale moderna la pericolosa  tendenza a prosternarsi davanti all'uomo e ai suoi bisogni materiali.
. Al di fuori del benessere fisico e dell'accumulazione del beni materiali, tulle le altre particolarità, tutti gli altri bisogni, più elevati e meno elementari dell'uomo, non sono stati presi in considerazione dai sistemi statali e dalle strutture sociali  come se l'uomo non avesse un significato più nobile da dare alla vita. E così in questi edifici sono stati lasciati vuoti pericolosi attraverso i quali  oggi scorrazzano liberamente in ogni direzione le correnti del male. Da sola, la libertà pura e semplice non e assolutamente in grado dl risolvere tutti i problemi dell'esistenza umana, e anzi può soltanto porne di nuovi.
Tuttavia, nelle prime democrazie, compresa quella americana alla sua nascita, tutti i diritti venivano riconosciuti alla persona umana solo in quanta creatura di Dio: In altre parole la libertà veniva conferita al singolo solo sotto condizione, presumendo una sua permanente responsabilità religiosa: tanto sentita era ancora l'eredità del millennio precedente. Solo duecento anni fa, ma anche cinquanta, in America sarebbe parso impossibile accordare all'uomo una libertà senza freni, cosi, per il soddisfacimento delle sue passioni. Tuttavia, da allora, in tutti i paesi occidentali questi limiti e condizionamenti sono stati erosi, ci  si è definitivamente liberati dell'eredità morale del secoli cristiani con le loro immense riserve di pietà e di sacrifico e i sistemi sociali hanno assunto connotati  materialistici  sempre più compiuti. In ultima analisi si può dire che l'Occidente abbia si difeso con successo, e perfino con larghezza, i diritti dell'uomo ma che nell'uomo si sia intanto, completamente spenta la coscienza della sua responsabilità davanti  a Dio e alla società. Durante questi ultimi  decenni l’egoismo legalistico della filosofia occidentale ha prevalso definitivamente e il mondo si  ritrova In un'acuta crisi spirituale e in un vicolo cieco politico. E tutti i successi tecnici, cosmo compreso, del tanto celebrato Progresso non sono stati in grado dl riscattare la miseria  morale nella quale e piombato il XX secolo e che non era stato possibile  prevedere, neanche a partire dal XIX secolo.

Solgenitzin da: Il mondo in frantumi

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martedì, 12 febbraio 2008
L’uomo al posto di Dio
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Fino al Trecento -o all'incirca, si tratta di un punto di riferimento, che può essere spostato nel tempo, prima in Italia o dopo in Spagna ad esempio -, Dio era il personaggio principale della storia. La storia ruotava intorno a lui come la città intorno alla cattedrale: Dio dominava il pensiero, I'arte, la vita sociale e la vita privata. La sua creatura era una persona fatta «a sua immagine e somiglianza », e, poiché una persona vale di più di un mucchio di pietre, c' era spesso nella pittura sproporzione tra le persone e lo scenario: il signore sovrastava dall' alto le mura del proprio castello e il santo teneva la propria chiesa nel cavo della mano. La stessa sproporzione si ripeteva in tutti i campi, compresi i costumi, che potevano variate dalla crudeltà alla poesia, secondo che l'essere umano, della sua somiglianza con Dio, privilegiasse il potere che credeva venirgli da lui, o si sentisse da questa vincolato alla misericordia e all'amore. Il Medioevo non e stato un'epoca di tenebre,  ha acceso al contrario una vivida luce sull'uomo e sulle grandezze, debolezze, slanci e dissonanze che ne agitavano I'anima, come traspare dai colori variegati e contrastanti degli abiti o dalla stravaganza dei copricapo : in uso. Questi estremi sono simbolizzati dal guanto di ferro del guerriero e dalla mano di san Francesco bucata dalle stimmate.
A partire dal Quattrocento -un po' prima, o un po' dopo, si tratta sempre di un riferimento mobile sulla mappa delle correnti dello spirito -l'uomo si sottrae  alla fascinazione di Dio, rivolge lo sguardo al mondo:  perderà  un Padre  troverà una Madre, la natura, come conferma l’ espressione           « madre natura », formula che diventa corrente nella conversazione.
È l'epoca delle grandi scoperte, e l'uomo incontra suI suo cammino Ie divinità pagane che dormivano con un ‘occhio solo avvolte «nel loro sudario di porpora ». L 'uomo ordina la creazione non più intorno a Dio, ma intorno al proprio essere: nella pittura, la prospettiva dispone lo scenario in rapporto all'occhio del pittore. L 'uomo si giudica degno a un tempo di ammirazione, per la superiorità che la ragione gli conferisce sulle altre creature, e di derisione, per il posto minuscolo che occupa nel vortice dell'universo.
II quadro di Brueghel  La caduta di Icaro da un'idea della nuova situazione: occorre quasi una lente per scorgere il tuffo dell' eroe nell'immensità dello scenario che lo circonda;   l’avventura di Icaro si conclude con un ridicolo sputo nell'acqua. L' essere umano ha cessato di costituire una persona, poichè la persona è in noi ciò che dialoga con Dio; è diventato un individuo e parlerà spesso di «liberta individuale», mai di «liberta personale ».
Questa mutazione e riscontrabile, con dovizia di prove, nella letteratura del secolo dei « Lumi », in cui si combinano in maniera impressionante esaltazione della specie e disprezzo dei suoi rappresentanti. L 'uomo e l'unica coscienza in atto in tutto l'universo, e l'essere supremo: rende omaggio su omaggio al proprio genio, pur acquisendo un sentimento sempre più deprimente della propria insignificanza materiale; gli scrittori abbandonano l'eroe del passato per dedicarsi alla descrizione minuziosa delle infermità della specie e delle meschinità della vita quotidiana.
Nel frattempo la conoscenza delle leggi della natura faceva passi da gigante; l' ateismo avanzava con lei, mentre ogni nuova scoperta sembrava rendere sempre più vicino il momento ideale in cui la natura sarebbe stata tanto cortese da spiegarsi da sola.
Si procedette cosi fino alla metà del ventesimo secolo, epoca in cui ha avuto luogo una di quelle rivoluzioni sotterranee di cui ci si accorge solo quando sono già  avvenute e che insidiano, mutandola profondamente, l'intera mentalità di un'epoca: da una ventina d'anni le « leggi della natura » hanno cessato di avere forza di legge. Le barriere che opponevano alla volontà umana stanno infatti cedendo una dopo l' altra, a causa delle correzioni e delle deroghe che hanno subito ad opera del progresso della tecnica; Ie «leggi della natura » non forniscono più dei punti di riferimento alla ragione, che dipende ormai solo da se stessa, data che nessuno può dire che uso essa farà del potere inebriante e fatale di cui disporrà domani.
Io ritengo che la «legge naturale » secondo la Chiesa non sia una dottrina ricavata dall'esame delle «leggi della natura ». La «legge naturale» è l'insieme degli obblighi e delle responsabilità che derivano all'uomo dalla propria natura di essere creato «a immagine e somiglianza. di Dio». In ultima analisi ,
 la legge naturale è fondata sul principio  per cui Dio e l'uomo sono indissociabili e che l'uomo, di conseguenza, ha il potere esorbitante di implicare Dio nei propri atti, che ne abbia o meno coscienza.”
Andreè Frossard da: Dio Le domande dell’uomo ed. Mondadori

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illuminismo, frossard

domenica, 06 gennaio 2008
Il rimedio dell'uomo moderno:
   Cristo, Redentore dell’uomo,     Centro del cosmo e della storia.
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La Chiesa e l’Europa. Sono due realtà intimamente legate nel loro essere e nel loro destino. Hanno fatto insieme un percorso di secoli e rimangono marcate dalla stessa storia. L’Europa è stata battezzata dal cristianesimo; e le nazioni europee, nella loro diversità, hanno dato corpo all’esistenza cristiana. Nel loro incontro si sono mutuamente arricchite di valori che non solo sono divenuti l’anima della civiltà europea, ma anche patrimonio dell’intera umanità. Se nel corso di crisi successive la cultura europea ha cercato di prendere le sue distanze dalla fede e dalla Chiesa, ciò che allora è stato proclamato come una volontà di emancipazione e di autonomia, in realtà era una crisi interiore alla stessa coscienza europea, messa alla prova e tentata nella sua identità profonda, nelle sue scelte fondamentali e nel suo destino storico.
L’Europa non potrebbe abbandonare il cristianesimo come un compagno di viaggio diventatole estraneo, così come un uomo non può abbandonare le sue ragioni di vivere e di sperare senza cadere in una crisi drammatica.
È per questo che le trasformazioni della coscienza europea spinte fin alle più radicali negazioni dell’eredità cristiana rimangono pienamente comprensibili solo in riferimento essenziale al cristianesimo. Le crisi dell’uomo europeo sono le crisi dell’uomo cristiano. Le crisi della cultura europea sono le crisi della cultura cristiana.
È estremamente significativo esaminare la metamorfosi subìta dallo spirito europeo in quest’ultimo secolo. L’Europa è oggi attraversata da correnti, ideologie, ambizioni che si vorrebbero estranee alla fede, quand’anche non direttamente opposte al cristianesimo. Ma è interessante rilevare come, partendo da sistemi e da scelte che intendevano assolutizzare l’uomo e le sue conquiste terrene, si è arrivati oggi a mettere in discussione precisamente l’uomo stesso, la sua dignità ed i suoi valori intrinseci, le sue certezze eterne e la sua sete di assoluto. Dove sono oggi i solenni proclami di un certo scientismo che prometteva di dischiudere all’uomo spazi indefiniti di progresso e di benessere? Dove sono le speranze che l’uomo, proclamata la morte di Dio, si sarebbe finalmente collocato al posto di Dio nel mondo e nella storia, avviando un’era nuova in cui avrebbe vinto da solo tutti i propri mali?
Le tragiche vicende di questo secolo, che hanno insanguinato il suolo d’Europa in spaventosi conflitti fratricidi; l’ascesa di regimi autoritari e totalitari, che hanno negato e negano la libertà e i diritti fondamentali dell’uomo; i dubbi e le riserve che pesano su un progresso che, mentre manipola i beni dell’universo per accrescere l’opulenza ed il benessere, non solo intacca l’“habitat” dell’uomo, ma costruisce anche tremendi ordigni di distruzione; l’epilogo fatale delle correnti filosofico-culturali e dei movimenti di liberazione chiusi alla trascendenza: tutto questo ha finito per disincantare l’uomo europeo, spingendolo verso lo scetticismo, il relativismo, se non anche facendolo piombare nel nichilismo, nella insignificatezza e nell’angoscia esistenziale.
Questa contraddizione e questo sbocco drammatico e imprevisto sembrano paradossali e difficili da spiegare. Certuni diranno che si tratta di una crisi di crescita, legata alla natura dell’uomo essenzialmente caratterizzata dalla finitezza e dalla storicità della sua condizione. Ma il dramma sembra racchiudere un significato più recondito, che spetta a voi di svelare pienamente, dandone l’interpretazione spirituale alla luce di una teologia della storia che vede l’uomo in un dialogo di libertà con Dio e con il suo progetto salvifico.
4. In questa luce, il cristianesimo può scoprire nell’avventura dello spirito europeo le tentazioni, le infedeltà ed i rischi che sono propri dell’uomo nel suo rapporto essenziale con Dio in Cristo. Ancor più profondamente, possiamo affermare che queste prove, queste tentazioni e questo esito del dramma europeo non solo interpellano il Cristianesimo e la Chiesa dal di fuori come una difficoltà o un ostacolo esterno da superare nell’opera di evangelizzazione, ma in un senso vero sono interiori al Cristianesimo e alla Chiesa. L’ateismo europeo è una sfida che si comprende nell’orizzonte di una coscienza cristiana; è più una ribellione a Dio e una infedeltà a Dio che una semplice negazione di Dio. Il secolarismo, che l’Europa ha diffuso nel mondo col pericolo di inaridire rigogliose culture dei popoli di altri continenti, si è alimentato e si alimenta alla concezione biblica della creazione e del rapporto uomo-cosmo.
L’impresa scientifico-tecnica di assoggettare il mondo non sta forse nella linea biblica del compito che Dio ha affidato all’uomo? E la volontà di potere e di possedere non è la tentazione dell’uomo e del popolo sotto il segno dell’alleanza con Dio?
Potremmo continuare nella nostra analisi. E scopriremo, forse non senza meraviglia, che la crisi e la tentazione dell’uomo europeo e dell’Europa sono crisi e tentazioni del Cristianesimo e della Chiesa in Europa.
Ma se è vero che le difficoltà e gli ostacoli all’evangelizzazione in Europa trovano appiglio nella stessa Chiesa e nello stesso Cristianesimo, i rimedi e le soluzioni andranno cercati all’interno della Chiesa e del Cristianesimo, e cioè nella verità e nella grazia di Cristo, Redentore dell’uomo, Centro del cosmo e della storia.
La Chiesa stessa deve allora auto-evangelizzarsi per rispondere alle sfide dell’uomo d’oggi.
Se l’ateismo è una tentazione della fede, sarà con l’approfondimento e la purificazione della fede che esso sarà vinto.
Se il secolarismo chiama in causa la concezione dell’uomo nel mondo e l’utilizzazione dell’universo, l’evangelizzazione dovrà riproporre quella teologia e spiritualità cosmica che, fondata biblicamente e presente nella liturgia, ha ricevuto illuminanti prospettive dal Concilio Vaticano II (cf. Gaudium et Spes, 37).
Se la rivoluzione industriale, nata in Europa, ha dato origine a un tipo di economia, a rapporti sociali e a movimenti che sembrano opporsi alla Chiesa e ostacolare l’evangelizzazione, sarà vivendo, annunciando e incarnando il Vangelo della giustizia, della fraternità e del lavoro, che restituiremo al mondo del lavoro un mondo umano e cristiano.
Potremo continuare ad applicare questi concetti a realtà così importanti, come la famiglia, la gioventù, le zone di povertà e i “nuovi poveri” in Europa, le minoranze etniche e religiose, i rapporti tra Europa e Terzo Mondo.
Far appello alla fede e alla santità della Chiesa per rispondere a questi problemi e a queste sfide non è una volontà di conquista o di restaurazione, ma è il cammino obbligato che va fino in fondo alle sfide e ai problemi.
La Chiesa, per rispondere alla sua missione oggi in Europa deve aver coscienza che, lungi dall’essere estranea all’uomo europeo o tanto meno sentirsi inutile e impotente a risolvere le crisi e i problemi dell’Europa, porta invece in se stessa i rimedi alle difficoltà e la speranza del domani.
E sarà con l’essere fedele fino in fondo a Cristo e divenendo sempre più, con la santità di vita e con le virtù evangeliche, trasparenza di Cristo, che la Chiesa entrerà nell’animo e nel cuore dell’Europa.
5. La nostra responsabilità e la nostra missione nei riguardi dell’Europa sono quindi ben grandi, così come grande è la speranza di cui siamo portatori.
Le nostre comunità, evangelizzate nella prima ora della storia della Chiesa, hanno ricevuto talenti preziosi da amministrare. Non possiamo certo, come gli operai della parabola evangelica, vantare meriti nei confronti delle Chiese novelle degli altri continenti. Dobbiamo anzi, con sincera umiltà, chiedere perdono delle nostre infedeltà, delle nostre divisioni e delle malattie che abbiamo diffuso nel mondo.
Ma, insieme, dobbiamo intraprendere, con rinnovata convinzione, la missione che Dio oggi ci affida in ordine all’Europa.
Noi non abbiamo ricette economiche né programmi politici da proporre. Ma abbiamo un Messaggio e una Buona Novella da annunciare.
Dipenderà anche da noi se l’Europa si rinchiuderà nelle sue piccole ambizioni terrestri, nei suoi egoismi e soccomberà all’angoscia e all’insignificatezza, rinunciando alla sua vocazione e al suo ruolo storico, oppure ritroverà la sua anima nella civiltà della vita, dell’amore e della speranza.”
GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI AL V SIMPOSIO DEL CONSIGLIO DELLE       CONFERENZE EPISCOPALI D'EUROPA

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nichilismo, illuminismo, ideologia, giovanni paoloii

giovedì, 27 dicembre 2007
L’errore della filosofia moderna sta nell’aver tolto una “r”
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Da      «Cogitor, ergo sum».  Karl Barth
      «Sono pensato (da Dio ) quindi  sono ». a
+  «Cogito, ergo sum».  Cartesio
          «Penso, quindi sono»

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illuminismo, ideologia

martedì, 27 novembre 2007
Il dio dell’illuminismo*
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« Ma che Demone ottuso, che strano Mago avete dunque insediato nel vostro cielo,voi che oggi , osate definirlo deserto? E perché sotto un cielo vuoto cercate un mondo sensato e buono?»
Emmanuel  Lévinas

*  lager e gulag

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comunismo, illuminismo, ideologia, levinas

domenica, 04 novembre 2007

Il frutto dell’ideologia
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«La causa di questa terribile catastrofe è l'incarnarsi delle utopie socialiste dell'Illuminismo nel tessuto della vita contemporanea. L'uomo dell'Illuminismo respinse Dio con irrisione e si pose il suo posto. Si considerava detentore quasi divino delle verità assolute e ricettacolo della coscienza del mondo. Questa certezza lo spinse a istruire le masse e diventò sorgente di una colossale forza interiore, di quello slancio paternalistico che cercava di disperdere le tenebre dei pregiudizi clericali e nazionali con la luce sfolgorante della verità dell'unica ideologia scientifica. Dal momento però che questi pregiudizi erano radicati ontologicamente nella storia, benedetti dalla chiesa, avevano una profonda e reale vitalità, e quindi mal cedevano il passo all'azione illuminatrice; e l'illuminatore, desiderando essere padrone delle menti del popolo, creò efficienti strumenti di demagogia, rafforzati (perché fossero più convincenti) da uno sbalorditivo terrore. Il messianismo millenarista dell'ideologia tardo illuminista, prendendo il potere nelle proprie mani, cominciò a sacrificare all'idolo del radioso avvenire milioni di propri compatrioti. E mentre il mondo batteva le mani ai giganteschi sforzi illuministici, le popolazioni, irrigidite nella loro incapacità di accogliere la grande ideologia di salvezza, inzuppavano con il sangue le zone dell'Arcipelago.
Ma il volontarismo tardo illuminista non poté costringere uomini a edificare il loro mondo interiore secondo una sua immagine e non creò una nuova antropologia, ma offuscò la coscienza popolare in una atmosfera di sinistro terrore. La Russia cadde nel silenzio. Accanto a noi stanno generazioni mute. Esse attraversarono in silenzio la vita, portando con sé nella tomba il grido inespresso. E sopra il mondo avvolto nel terrore, come un fungo atomico si levò il fantasma nebbioso del socialismo.
E noi che viviamo all'ombra di tali tremendi avvenimenti ci apriamo un varco nel mondo degli spettri socialisti verso la realtà e la storia. Respingendo il conformismo, ci siamo decisi a misure estreme: l'abnegazione, salvare la nostra anima dall'autodissoluzione e dalla morte sotto le volte sante della Chiesa»

editoriale scritto da una comunità di giovani ortodossi russi convertitisi dall'ateismo ed arrestati prima che la loro rivista potesse essere divulgata.
Da: Russia Cristiana, n° 166

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comunismo, illuminismo, ideologia

domenica, 26 agosto 2007
L’uomo dio
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In questa scarsa scrupolosità nella scelta dei mezzi, in questo eroico "tutto è permesso" (predetto da Dostoevskij in "Delitto e castigo" e nei "Demoni") si manifesta nel grado piú alto la natura umano-divina dell’eroismo intellettualoide, la sua insita autodivinizzazione, il suo porsi al posto di Dio, al posto della Provvidenza, non solo negli scopi e nei piani ma anche nelle vie e nei mezzi di realizzazione. Io realizzo la mia idea e per essa mi libero dai legami della morale usuale, io mi permetto d’esercitare il mio diritto non solo sulla proprietà ma anche sulla vita e la morte degli altri, se ciò è necessario per la mia idea. In ogni massimalista si nasconde un piccolo Napoleone, socialista o anarchico. L’amoralismo, o secondo l’antica espressione il nihilismo, è la necessaria conseguenza dell’autodivinizzazione; qui sta in agguato il pericolo dell’autodistruzione, lo attende il fallimento inevitabile. Le amare delusioni da molti provate durante la rivoluzione, le scene indimenticabili di arbitrio, le espropriazioni, il terrore in massa, non s’è manifestato a caso, ma è stato invece uno scoprirsi delle potenze spirituali che necessariamente si calano nella psicologia dell’autodivinizzazione.
S. Bulgakov, L’eroe laico e l’asceta - in: AA. VV., La svolta. Vechi, L’intelligencija russa tra il 1905 e il 17, Jaka Book, Milano, 1970.

 

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nichilismo, illuminismo, bulgakov, ideologia

martedì, 17 luglio 2007
Il rimorso cattolico
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Queste riportate qui sotto sono le parole dello scrittore, poeta, drammaturgo e critico d'arte belga, Alexis Curvers (1906-1992); restano, purtroppo, ancora attuali, anche se qualcosa è cambiato nell'atteggiamento di molti cattolici che hanno iniziato a prendere coscienza della loro storia e della loro identità e ad andarne fieri.
«È in atto da gran tempo, ma oggi si è rafforzata, una campagna in grande stile per minare la saldezza morale della Chiesa con l’ipertrofia del sentimento più morboso e vano: quello della colpevolezza. Il punto è di importanza capitale, perché il mezzo più sicuro per spingere al suicidio un qualsiasi organismo consiste nell'inoculargli il veleno del rimorso. Una cosa è il pentimento lucido e creatore che supera e ripara il male col bene che vi sostituisce; altra cosa e' il rimorso che rode, che talvolta segretamente si compiace del suo inferno, abitato dai fantasmi di una vergogna che porta alla disperazione. Il rimorso non compensa nulla. Al contrario, distrugge tutto. Compie l'opera del peccato rendendola in qualche modo eterna, togliendo al peccatore la fiducia e il coraggio necessari al suo raddrizzamento e alla sua difesa. Quel rimorso è il germe di morte che un'impresa dì sovversione insinua da tempo, in mille maniere, nell'anima della Chiesa e di quella Europa che così profondamente la Chiesa stessa ha contribuito a creare. I duemila anni di storia della cristianità non sono certo immuni da macchie. Ma sono macchie antiche, che non hanno impedito al fulgore di manifestarsi di nuovo. Eppure, quelle chiazze sbiadite sono di continuo ravvivate, segnate con segni indelebili, mostrate senza posa agli occhi dei credenti, e, in genere, degli europei di tradizione cristiana, in modo tale che ciò che dovrebbe costituire solo un ricordo deplorevole, si fissi nelle coscienze e vi diventi un'ossessione. Inquisizione, colonialismo, invasione delle Americhe. Galileo, antisemitismo, collusioni col fascismo: per sempre, si grida, voi siete responsabili o almeno solidali con questi crimini; gli equivalenti dei quali, tra l'altro, purché non siano imputabili alla Chiesa e all'Europa, purché anzi essi ne siano le vittime, godono di tutte le indulgenze. Inventate e gestite da persone intelligenti, lucide nel loro programma di distruzione del cristianesimo e propagate da una folla di sciocchi, di disinformati, di masochisti all'interno stesso della Chiesa, queste mitologie, queste "leggende nere" trionfano in un organismo ecclesiale in cui si è inoculato il germe del rimorso. Tutte le tecniche di condizionamento degli spiriti contribuiscono all'impresa di infezione morale, magistralmente abbozzata fin dalla scuola elementare e sorretta dal sistema dei media concepiti espressamente per distogliere dalla possibilità di saper leggere e, per conseguenza, pensare. Il terreno così trattato è pronto a ricevere le sementi della propaganda e a centuplicarle: tanto che i seminatori della zizzania del rimorso, vedendo levarsi una bella messe, tentano oggi (validamente aiutati da "cristiani”, da "cattolici") di strappare dal suolo tutto quanto resiste ancora alla loro opera di disarmo degli spiriti, di affievolimento delle ultime capacità di resistenza della fede»

 

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nichilismo, illuminismo, curvers a

sabato, 14 luglio 2007
La Rivoluzione Francese

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intervista a Pierre CHAUNU:
Come l'89 c'è solo Hitler
tratto da Il Sabato, 29.4.1989, n. 17, p. 72-76
Di Antonio Socci
"Un'aula della Sorbona, a Parigi. Fuori un tiepido gennaio. Dentro comincia la prima lezione dell'anno 1989. Sulla cattedra è il professor Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro dell'Institut de France, con una sessantina di titoli al suo attivo.
Esordisce in tono sarcastico: "Dunque questa è la prima lezione dell'anno: voi sapete che cadono nell'89 una quantità di anniversari importanti". E snocciola una filza di eventi storici, scientifici, economici, ma neanche una parola sulla Grande Commemorazione, quella che infiamma la Francia da otto anni: "Ho dimenticato qualcosa?" chiede beffardo il professor Chaunu, "no, non mi sembra ci sia altro di importante da ricordare". È stato il Grande Guastafeste del bicentenario della Rivoluzione. Brillante, corrosivo, preparatissimo, ha appena dato alle stampe un libro di fuoco, La révolution declassée, dove fa a pezzi il mito della Rivoluzione dell'89 e soprattutto il conformismo degli intellettuali di corte e la retorica di regime di questo bicentenario. I suoi stessi avversari non osano contestarlo: persino Max Gallo, obtorto collo, lo ha definito "un ottimo storico". Ed è praticamente invulnerabile, non essendo né cattolico, né reazionario (è infatti protestante e liberale). C'è una lunga tradizione liberale di critica aspra alla Rivoluzione, che comincia addirittura a fine Settecento con l'inglese Edmund Burke. Ma Chaunu si è spinto oltre. Ha guidato le ricerche di alcuni giovani e brillanti storici francesi fra documenti e dossier finora rimossi dalla storiografia ufficiale, e ne sono venuti fuori libri esplosivi, sconvolgenti, come quelli di Reynald Secher sul genocidio della Vandea.
Incontriamo Chaunu nella sua casa di Caen.

- Professore, il suo libro è uscito in Francia a marzo, già da alcuni anni lei si è ribellato al coro degli intellettuali e alle ingiunzioni del potere politico, contestando la legittimità di queste celebrazioni. Perché?
- È una mascherata indecente, un'operazione politica che sfrutta le stupidaggini che la scuola di Stato insegna sulla Rivoluzione. Pensi alle bétises del ministro della Cultura Lang: "L'89 segna il passaggio dalle tenebre alla luce". Ma quale luce? Stiamo commemorando la rivoluzione della menzogna, del furto e del crimine. Ma trovo scioccante soprattutto che, alle soglie del '92, anche tutto il resto d'Europa festeggi un periodo dove noi ci siamo comportati da aggressori verso tutti i nostri vicini, saccheggiando mezza Europa e provocando milioni di morti. Cosa c'è da festeggiare? Eppure qua in Francia ogni giorno una celebrazione, il 3 aprile, il 5, il 10. È grottesco.

- Ma è stato comunque un evento che ha cambiato la storia.
- Certo, come la peste nera del 1348, ma nessuno la festeggia. Ad un giornalista tedesco ho chiesto: perché voi tedeschi non festeggiate la nascita di Hitler? Quello è sobbalzato sulla sedia. Ma non è forse la stessa cosa?

- Dica la verità, lei è diventato reazionario. Ce l'ha con la modernità?
- Io sono liberale, con una certa simpatia per l'illuminismo tedesco e inglese. Ma proprio questa è la grande menzogna che pare impossibile poter estirpare: tu sei contro la Rivoluzione, dunque tu sei contro la modernità, sei per la lampada a petrolio e per la carrozza a cavalli. Al contrario. Io sono contro la Rivoluzione francese proprio perché sono per la modernità, per la penicillina, per il vaccino contro il vaiolo. Perché non festeggiamo Jenner che con la sua scoperta, dal '700 a oggi, ha salvato più di un miliardo di vite umane? Questo è il progresso. La Rivoluzione ha semmai bloccato il cammino verso la modernità; ha distrutto in pochi anni gran parte di ciò che era stato fatto in mille anni. E la Francia, che fino al 1788 era al primo posto in Europa, dalla Rivoluzione non si è più sollevata.

- Ma lei lo può dimostrare?
- Guardi, circa trent'anni fa ho contribuito a fondare la storia economica quantitativa, e oggi, con i modelli econometrici, chiunque può arrivare a queste conclusioni. Sono fatti e cifre. Tutte le curve di crescita del mio Paese si bloccano alla Rivoluzione. Era un Paese di 28 milioni di abitanti, il più sviluppato, creativo, evoluto, con un trend da primato: la Rivoluzione, insieme alle devastazioni sull'apparato produttivo, ha scavato un abisso di due milioni di morti, un crollo di generazioni che ha accompagnato il crollo economico. Nella produzione media pro-capite, Francia e Inghilterra, i due Paesi più sviluppati del mondo, avevano rispettivamente, nel 1780, un indice 110 e 100. Ebbene nel 1815 la Francia era precipitata a 60, contro 100 dell'Inghilterra, che da allora non ha avuto più concorrenti. È stato il prezzo della Rivoluzione.

- Ce ne spieghi almeno un motivo.
- Attorno al '93 - e per un decennio - la Francia ha cominciato a vivere al 78 per cento del prelievo sul capitale e per il 22 per cento sulle tasse e le rendite, che non venivano reinvestite, ma consumate, bruciate e rubate per arricchire la Nomenklatura. È stata una dilapidazione spaventosa, un impoverimento storico. Quando Chateaubriand è tornato in Francia, nel 1800, ha avuto un'intuizione fulminante: "è strano: da quando sono partito non hanno più pitturato persiane e porte". Quando le finestre sono sverniciate e le latrine non funzionano può star certo che c'è stata una rivoluzione.

- Ma comunque la Rivoluzione ha spalancato il pensiero umano.
- Oh, santo cielo! Ma è stata una colossale distruzione di intelligenze e di ricchezze. Se lei taglia la testa a Lavoisier, il fondatore della chimica moderna, a 37 anni, il costo per l'umanità è enorme. Moltiplichi quel caso per cento. Come finì tutta l'élite scientifica e intellettuale? Quelli che non sono emigrati sono stati massacrati. Una perdita gigantesca. Sarebbe questa la conquista della civiltà? Il 43 per cento dei francesi, nel 1788, sapeva firmare, sapeva scrivere. Dopo la Rivoluzione si crolla al 39 per cento, perché si erano sottratti i beni alla Chiesa (che per secoli aveva educato il popolo) e si erano distribuiti alla Nomenklatura.

- E le chiese trasformate in porcili e i tesori d'arte devastati.
- È vero: fecero a pezzi le statue di Notre Dame, distrussero Cluny, e quasi tutte le chiese romaniche e gotiche... Le ripeto: furto, menzogna e crimine, questa è la vera trilogia della Rivoluzione, che ha messo a ferro e fuoco l'Europa. I francesi sono persuasi che la democrazia sia nata nell'89 e che l'umanità abbia imitato loro. È pazzesco! In realtà la sola rivoluzione da festeggiare sarebbe quella inglese del 1668: da lì è venuto il sistema rappresentativo e il governo parlamentare, lo Stato liberale che tutta Europa ha imitato.

- Ma qualcosa di buono ci sarà pur stato: per esempio la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.
- Quello fu l'inganno più perverso. Le due Costituzioni più democratiche che siano mai state fatte sono quella sovietica di Stalin del 1936 e quella dei ghigliottinatori francesi del 1793. I loro frutti furono orrendi. Al contrario, il Paese che ha fondato la libertà, l'Inghilterra, non ha mai avuto Costituzioni. Delle Dichiarazioni io me ne infischio! E d'altra parte libertà, fraternità e uguaglianza non esistono che davanti a Dio. Le dirò che il miglior giudizio sulla Dichiarazione dei diritti dell'uomo lo formulò Fustelle de Coulange, il più grande storico francese dell'800 e mio predecessore all'Accademia di scienze morali e politiche. Egli disse: questi principi hanno mille anni, semmai la Dichiarazione li formula in modo un po' astratto. Ma una cosa nuova c'è: hanno spacciato dei principi antichi per una scoperta loro e l'hanno usata come un'arma contro il passato. Questo è perverso.

- La conseguenza politica della Filosofia dei Lumi, no?
- No. L'Illuminismo c'è stato in tutta Europa. Kant non era certo da meno di Voltaire. Ma la Rivoluzione c'è stata solo qui da noi. Non si può certo credere che i francesi fossero gli unici a pensare, in Europa. Dunque non c'è un nesso storico. È una menzogna anche parlare di fatalità storica, inevitabile. La persecuzione contro la Chiesa e il progetto di sradicare il cristianesimo dalla Francia ebbe come sua prima causa degli interessi finanziari, non questioni metafisiche.

- Ci spieghi, professore.
- Nel XVII secolo tutti gli Stati europei hanno istituzioni rappresentative. La Francia però, a poco a poco, le lasciò cadere in desuetudine. Per questo divenne una sorta di paradiso fiscale, perché - è noto - non si possono aumentare le imposte senza istituzioni rappresentative. Un esempio: la pressione fiscale fra 1670 e 1780 in Francia rimane ad un indice 100, mentre in Inghilterra sale da 70 a 200, in proporzione. La Francia si trova così ad avere uno Stato moderno, un moderno esercito, 450mila uomini, una potenza di prim'ordine, ma con risorse finanziarie vicino alla bancarotta perché per poterle mantenere come l'Inghilterra dovrebbe aumentare le tasse del 100 per cento.

- Dunque viene chiamata ad affrontare la questione la rappresentanza del popolo, gli Stati generali.
- Sì, i rappresentanti eletti però sono la più colossale assemblea di dementi che la storia abbia mai visto. Irresponsabili. Sfrenati solo nelle pretese, perché nessuno voleva farsi carico dei sacrifici (basti pensare che fra i deputati del Terzo stato c'erano un banchiere, 30 imprenditori e 622 avvocati senza causa). Non capiscono nulla di economia, hanno chiaro solo che a pagare devono essere gli altri. Così cominciano a vedere cosa possono confiscare: prima sopprimono la decima alla Chiesa, che nessuno nel popolo chiedeva di sopprimere perché significava sopprimere i finanziamenti per le scuole e gli ospedali. Si confiscano i beni del clero, donati alla Chiesa nel corso dei secoli, che ammontavano però solo al 7-8 per cento delle terre. Si comincia a diffondere l'idea che la Chiesa nasconda i suoi tesori, si confiscano i beni delle Abbazie.

- E l'operazione si dà pure una maschera ideologica.
- Certo. Si impone la Costituzione civile del clero, perché senza modificare e manomettere la struttura della Chiesa non avrebbero potuto rubare. I beni della Chiesa, che da secoli mantenevano scuole e ospedali, vengono accaparrati da una masnada di 80mila famiglie di ladri, nobili e borghesi, destra e sinistra: è per questo che tuttora la Rivoluzione in Francia è intoccabile! Perché fu una Grande Ruberia a vantaggio della classe dirigente. Il furto ha bisogno della menzogna e della persecuzione perché non era facile imporre ai preti e al popolo il sopruso. Per questo si impose il giuramento ai preti e chi non giurò fu massacrato. La Rivoluzione è stata una guerra di religione.

- E in Vandea cos'è accaduto?
- Il popolo si ribellò per difendere la sua fede. Il Direttorio voleva imporre la coscrizione militare obbligatoria (è una loro invenzione perché fino ad allora solo i nobili andavano a far la guerra e per il tributo del sangue erano esonerati dalle tasse). Nello stesso giorno chiudono tutte le loro chiese. I contadini vandeani si sono ribellati: allora tanto vale morire per difendere la nostra libertà. Hanno imposto ai nobili, assai refrattari, di mettersi al comando dell'esercito cattolico di Vandea e sono andati al massacro, perché sproporzionata era la loro preparazione al confronto di quella dell'esercito di Clébert. Così la Vandea è stata schiacciata senza pietà. Ma vorrei ricordare che
sotto le insegne del Sacro Cuore combatterono anche dei battaglioni dei paesi protestanti della Vandea. Cattolici, protestanti ed ebrei affrontarono insieme la ghigliottina, per esempio a Montpellier, per difendere la libertà.

- Ma in Vandea non finisce così.
- Questo è il capitolo più orrendo.
Nel dicembre 1793 il governo rivoluzionario dà ordine di sterminare la popolazione delle 778 parrocchie: "Bisogna massacrare le donne perché non riproducano e i bambini perché sarebbero i futuri briganti". Questo scrissero. Firmato dal ministro della Guerra del tempo Lazare Carnot. Il generale Clébert si è rifiutato di eseguire quell'ordine: "Ma per chi mi prendete? Io sono un soldato non un macellaio". Allora hanno mandato Turreau, un cretino, alcolizzato, con un'armata di vigliacchi.

- Fu il massacro?
- Nove mesi dopo il generale Hoche, nominato comandante, arrivò in Vandea. Restò inorridito. Scrisse una lettera memorabile e ammirabile al governo della Convenzione: "Non ho mai visto nulla di così atroce. Avete disonorato la Repubblica! Avete disonorato la Rivoluzione! Io porto alla vostra conoscenza che a partire da oggi farò fucilare tutti quelli che obbediranno ai vostri ordini...". Cosa aveva visto? 250.000 massacrati su una popolazione di 600.000 abitanti, paesi e città rase al suolo e bruciate, donne e bambini orrendamente straziati. A Evreux e a Les Mains si ghigliottinavano a decine colpevoli solo di essere nati a Fontaine au Campte. Questo fu il genocidio vandeano. È questo che festeggiamo?

- Fece scandalo, nel 1983, quando lei, per la prima volta, usò la parola genocidio, imputando la Rivoluzione. Perché?
- I fatti parlano. Nessuno ha saputo negarli. E nulla può giustificare un simile orrore. Ma prima di me, nel 1894, fu un rivoluzionario socialista, Babeuf, che denunciò "il popolicidio della Vandea" (in un libro introvabile che noi abbiamo fatto ristampare). Non c'è differenza alcuna fra ciò che ha fatto il governo rivoluzionario in Vandea e ciò che ha fatto Hitler. Anzi una c'è. Hitler era scaltro e non dette mai per scritto l'ordine di eliminazione degli ebrei. Questi dell'89, oltreché assassini, erano anche stupidi e dettero l'ordine per scritto e lo pubblicarono perfino su Le Moniteur.

- Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità.
- Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione, Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."
Antonio Socci

 

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illuminismo, socci, ideologia

sabato, 16 giugno 2007
L’ILLUMINISMO
GENERA TOTALITARISMO
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“..L'Illuminismo, che sottrae -come dice Kant -l'uomo dallo stato di minorità, sceglie per la lotta contro Dio. Si badi: l'illuminismo è anche genuina conquista di valori umani: diritti dell'uomo, peso ed importanza della ragione, della scienza, lotta ai pregiudizi, eccetera. Tuttavia, se lo consideriamo dal punto di vista del nostro tema, l'Illuminismo con Rousseau (e altri) rende esplicito: se Dio non serve per la costruzione della città terrena, Dio è inutile per l'uomo. Cosi, negando il dogma del peccato d'origine, per salvare l'uomo non è più necessario l'intervento di un Dio. Il male (Reimarus sul piano teologico, poi Rousseau su quello filosofico) è soltanto di superficie: ed è da imputarsi: a) all'educazione (Rousseau: Contratto sociale); b) alla Società (Marx: Il Capitale). Quindi per liberare l'uomo occorrerà agire sia sulla sua educazione, sia sulle strutture politiche.
Il punto è: come agire?
Eliminato Dio, l'uomo dovrà agire fondandosi su se stesso. La ragione sarà cosi ragione scissa dal mistero e si strutturerà come ragione «scientifica» a cui nulla può sfuggire (il progresso è ineluttabile e irreversibile: la Luce [Illuminismo] rischiarerà le tenebre). Mediante questa ragione scientifica l'uomo conosce: a) la natura; b) l'uomo stesso; c) la società.
Nell'illuminismo nascono le « scienze umane »: sociali e psicologiche e pedagogiche e politiche. Conosciuto l'uomo, l'uomo stesso può elaborare un progetto di salvezza: piano educativo e piano politico. Potrà -in modo particolare -elaborare un piano politico generale mediante un « contratto », cioè una convenzione arbitraria. Arbitraria perché spetta soltanto all'uomo  (che si fonda su se stesso) dire qual è il valore. Non vi è più infatti possibilità di un riferimento assiologico né a Dio, né ad eterni valori presunti naturali (giusnaturalismo).
In conclusione: mentre l'Umanesimo tentava di realizzare la democrazia in stretta comunione, pur nell'autonomia della sua natura di strumento temporale, con la religione, l'Illuminismo realizza la democrazia rompendo con la religione. Questi gli estremi di un processo che vede nel Cinquecento e nel Seicento le due tappe intermedie.
Così se l'Umanesimo poteva essere epoca di « democrazia e religiosità », l’illuminismo è epoca di «democrazia e ateismo ».
Il totalitarismo post-illuminista e contemporaneo
Un nota bene: l'epoca moderna ha fornito elementi tali che permettono -letti alla luce del cristianesimo -di comprendere con maggior profondità la dignità, umana. Tuttavia, come detto, la linea di fondo della Modernità conduce all'antiumano e all'antidemocrazia.
Spieghiamo: il Razionalismo e l'illuminismo ritenevano che il singolo individuo fosse perfetto. Ma l'individuo muore: Rousseau muore. E muore la Rivoluzione francese.  Hegel è il primo che denuncia la « finitezza » dell'intelletto illuminista e di tutta la sua visione dell'uomo e della società.
Allora.
La nuova via -tenuto fermo l'assioma dell'antropocentrismo immanentista ed ateo -è: non l'individuo è perfetto, eterno, ma lo Stato, sorta di nuovo individuo integrale, totale. Gli individui veri e propri sono soltanto delle finitezze, espressioni dello Stato. Il valore è lo Stato. Lo Stato è Dio: lo Stato può tutto.
In altri termini: se l'uomo è valore a sé stesso, l'uomo può dire chi l'uomo sia, cioè quale sia la natura dell'uomo. Perciò, se l'individuo vero è lo Stato, è lo Stato che dice chi siano gli uomini singoli. E quindi lo stato può dire come gli individui possano divenire veramente uomini: lo Stato dice la «morale », dice la via per realizzarsi. Ma una morale, se non ha un riferimento ad una natura eterna diviene arbitraria, quindi viene assimilata integralmente dalla politica. La morale è ridotta  a politica. Lo Stato così è attore unico dell’esistenza: da lui tutto dipende. È bene quel che giova allo Stato; è male quel che ostacola il suo incremento di essere, cioè di potenza.
In tal senso lo Stato moderno tenderà sempre più a ridurre a fatti sporadici e privi di incidenza sociale le singole esperienze «private» di gruppi di cittadini. La contrapposizione tra pubblico e privato sta proprio a significare il tentativo di svuotamento della ricchezza personale umana. E, poiché in fondo, lo Stato non può snaturare del tutto l'uomo, tende a ricacciare in ambiti precisi e controllabili (il privato) quel che non riesce a funzionalizzare allo suo scopo.
Cosi ha luogo il «totalitarismo »: lo Stato è tutto, l'individuo -come dice Hegel -merita di morire.
Il connubio di democrazia e di ateismo, che nella mente dei padri generatori doveva essere un togliere l'uomo e la città terrena agli abusi di un__Dio-padrone. e di una religione oscurantista e schiavizzante la natura umana, si converte non solo nel non saper realizzare un individuo ricco di determinazioni (il singolo è solo «funzione », «ruota di un ingranaggio », «numero », eccetera), ma anzi annichila totalmente l'uomo e la città terrena. L'ateismo non genera « democrazia ». Il controllo razionaI-scientifico della convivenza genera totalitarismo.
Bakunin: «È finito il regno di Dio. : È venuto il regno dell'uomo »: certo, l'uomo senza Dio può costruire la città terrena, ma alla fine questa si rivelerà essere contro l'uomo stesso (cfr. D. Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo).
Prospettive per una rinascita della democrazia
Occorre saper salvare il valore. Quanto scoperto dal giusnaturalismo, dall'illuminismo, dal liberalismo e anche dal marxismo non può essere rifiutato in blocco. La natura umana va salvaguardata sia dal punto di vista del singolo irripetibile individuo, sia dal punto di vista del suo essere un individuo sociale e storico e lavoratore.
Però: tutti i valori presenti nell'epoca moderna e che hanno sempre una radice cristiana (è il Cristianesimo che scopre la dignità dell 'uomo) possono essere salvati se vengono levati dal campo immanentistico antropocentrico ed ateo in cui si trovano e trasposti in un campo in cui l'umano e il religioso non si contrappongano. Indicazioni a questo proposito ci vengono fornite da Maritain, in «Cristianesimo e democrazia ». La democrazia non è nemica della religione, anzi soltanto aprendosi al mistero della propria persona di fronte a Dio, l'uomo può costruire una città terrena realmente umana. Infatti, la crisi attuale è senza dubbio crisi « politica », crisi « economica », crisi « culturale », e se si vuole, crisi di « civiltà ». Ma soprattutto « crisi dell'uomo ». L'uomo non sa più chi egli sia. Soltanto recuperando l'identità integrale umana si può costruire una democrazia.
In conclusione dovremmo correggere il titolo così: « democrazia o ateismo », in cui la disgiunzione è netta e irrevocabile. La via per la costruzione è quella di una autonomia dell'umano, autonomia però organica al mistero di Dio….”
Luigi Negri vescovo di S. Marino
(il mio vescovo preferito)

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illuminismo, negri

martedì, 25 luglio 2006
L’INIZIO DEL PROCESSO DELLA DECADENZA
CRISTIANA  E  DELL’UMANITÀ
da: Rivoluzione e Contro-Rivoluzione di Plinio Corrêa de Oliveira
Nel secolo XIV si può cominciare a osservare, nell’Europa cristiana, una trasformazione di mentalità che nel corso del secolo XV diventa sempre più chiara. Il desiderio dei piaceri terreni si va trasformando in bramosia. I divertimenti diventano sempre più frequenti e più sontuosi. Gli uomini se ne curano sempre più. Negli abiti, nei modi, nel linguaggio, nella letteratura e nell’arte, l’anelito crescente a una vita piena dei diletti della fantasia e dei sensi va producendo progressive manifestazioni di sensualità e di mollezza. Si verifica un lento deperimento della serietà e dell’austerità dei tempi antichi. Tutto tende al gaio, al grazioso, al frivolo. I cuori si distaccano a poco a poco dall’amore al sacrificio, dalla vera devozione alla Croce e dalle aspirazioni alla santità e alla vita eterna. La Cavalleria, in altri tempi una delle più alte espressioni dell’austerità cristiana, diventa amorosa e sentimentale, la letteratura d’amore invade tutti i paesi, gli eccessi del lusso e la conseguente avidità di guadagni si estendono a tutte le classi sociali. Questo clima morale, penetrando nelle sfere intellettuali, produsse chiare manifestazioni di orgoglio, come per esempio il gusto per le dispute pompose e vuote, per i ragionamenti sofistici e inconsistenti, per le esibizioni fatue di erudizione, ed elogiò oltre misura vecchie tendenze filosofiche, delle quali la Scolastica aveva trionfato, e che ormai, essendosi rilassato l’antico zelo per l’integrità della fede, rinascevano sotto nuove forme. L’assolutismo dei legisti, che si pavoneggiavano nella conoscenza vanitosa del diritto romano, trovò in prìncipi ambiziosi un’eco favorevole. E di pari passo si andò estinguendo nei grandi e nei piccoli la fibra d’altri tempi per contenere il potere regale nei legittimi limiti vigenti al tempo di san Luigi di Francia e di san Ferdinando di CastigliaQuesto nuovo stato d’animo conteneva un desiderio possente, sebbene più o meno inconfessato, d’un ordine di cose fondamentalmente diverso da quello che era giunto al suo apogeo nei secoli XII e XIII.  L’ammirazione esagerata, e non di rado delirante, per il mondo antico, servì da mezzo d’espressione a questo desiderio. Cercando molte volte di non urtare frontalmente la vecchia tradizione medioevale, l’Umanesimo e il Rinascimento tesero a relegare in secondo piano la Chiesa, il soprannaturale ed i valori morali della religione. Il tipo umano, ispirato ai moralisti pagani, che quei movimenti introdussero come ideale in Europa, e la cultura e la civiltà coerenti con questo tipo umano, erano soltanto i legittimi precursori dell’uomo avido di guadagni, sensuale, laico e pragmatista dei nostri giorni, della cultura e della civiltà materialistiche in cui ci andiamo immergendo sempre più. Gli sforzi per un Rinascimento cristiano non giunsero a distruggere nel loro germe i fattori dai quali derivò il lento trionfo del neopaganesimo.  In alcune parti d’Europa esso si sviluppò senza portare all’apostasia formale. Notevoli resistenze gli si opposero. E anche quando s’insediava nelle anime, non osava chiedere loro — almeno all’inizio — una rottura formale con la fede.Ma in altri paesi attaccò apertamente la Chiesa. L’orgoglio e la sensualità, nel cui soddisfacimento consiste il piacere della vita pagana, suscitarono il protestantesimo. L’orgoglio diede origine allo spirito di dubbio, al libero esame, all’interpretazione naturalistica della Scrittura. Produsse la rivolta contro l’autorità ecclesiastica, espressa in tutte le sette con la negazione del carattere monarchico della Chiesa universale, cioè con la rivolta contro il papato. Alcune, più radicali, negarono anche quella che si potrebbe chiamare l’alta aristocrazia della Chiesa, ossia i vescovi, suoi prìncipi. Altre ancora negarono lo stesso sacerdozio gerarchico, riducendolo a una semplice delegazione da parte del popolo, unico vero detentore del potere sacerdotale. Sul piano morale, il trionfo della sensualità nel protestantesimo si affermò con la soppressione del celibato ecclesiastico e con l’introduzione del divorzio.
La gaia decadenza
 

Postato da: giacabi a 16:41 | link | commenti (4)
illuminismo, ideologia, correa

venerdì, 21 luglio 2006

Ancora sul libro: “La cacciata di Cristo”
di Rosa Alberoni
Parti di  un intervista rilasciata a www.radiomaria.it
…..Sorbi – Perché forse lei professoressa individua l’Occidente come terra del declino. Perché forse c’è un omicida che lei probabiilmente individua in Cartesio e Russeau. Perché questi due “omicidi”?
Alberoni – Questi sono gli antenati degli Anticristo, perché Cartesio ha rovesciato tutto: prima l’essere umano era al centro, cioè, “io esisto”… Ma è così, lo si capisce anche con il buon senso, chiunque di noi lo capisce. Noi prima esistiamo, siamo concepiti, veniamo al mondo, nasciamo, poi, quando arriviamo davvero a pensare, a saper ragionare?
A vent’anni? Mentre Cartesio, cosa ha fatto? Ha rovesciato. Ha messo prima c’è il pensiero. Al centro c’è il pensiero, perché dici: “Io penso, dunque esisto”… no, in realtà io esisto prima e quindi vengo da… sono stato creato da Dio, e solo dopo penso. Capisce la conseguenza? È uno spostamento. È una sorta di rivoluzione copernicana veramente!Quindi, mettendo al centro il pensiero, Cartesio ha fatto questa equazione. Rousseau nelle sue opere non parla di nessuna divinità. Non c’è Dio, non ci sono neanche gli dei pagani del passato. Non c’è nessun dio. L’uomo è sulla terra, appartiene alla terra. È una sorte di animale. Il selvaggio è un animale che non ha coscienza morale di nessun tipo.
Gironzola nel bosco, si accoppia a caso… cioè, segue le pulsioni, segue l’istinto. Capisce? È stata una cosa… non so perché non se ne sono accorti. Io me ne sono accorta di Rousseau, però e stato Giovanni Paolo II che mi ha illuminato,
con Cartesio, con due righe. E io li ho trovato la chiave, mi si è aperta una via luminosa… e dico: “Ecco perché è accaduto tutto ciò!”. Nel senso che poi Rousseau è stato applicato alla lettera da Robespierre. Quindi senza Dio… non a caso il tempio della dea Ragione, quindi al pensiero. Ecco perché torna Cartesio. Cristo non c’era. Ecco perché c’è stata la ghigliottina, c’è stato un grande mattatoio. Quindi là dove si caccia Cristo si possono distruggere gli esseri umani. Ma questo poi si è ripetuto anche col comunismo. La stessa cosa, perché il totalitarismo comunista, basato su Rousseau, ha scartato Cristo, ha scartato Dio. Non c’è Dio, non c’era nessun dio, c’era solo la materia! Si era figli della terra. E quando non c’è la fede, quando non c’è Cristo, al centro dell’esistenza ci sono gli stati totalitari. E il comunismo ha potuto fare quei cento milioni di morti e passa, per questo motivo. La stessa cosa ha fatto Hitler. Cristo non c’era, anche se non l’ha detto apertamente. Ma noi sappiamo qual’era il suo progetto… parlava di razza. Quindi ancora – come vede la terra. Radicati alla terra. La razza, il sangue e la terra… e noi sappiamo cosa ha fatto Hitler, gli abominevoli campi di sterminio coi quali tentò di sterminare il popolo ebraico. Capisce? Cristo, Dio, diventa una zanzara… si può uccidere l’uomo senza nessuno scrupolo…
…….Sorbi - Ecco, mi scusi, professoressa, è proprio per questo suo ragionamento, sia filosofico che sociologico che ritengo che questo libro sia molto utile per gli insegnanti che vogliono smascherare questi due soggetti dell’ “omicidio”dell’identità cristiana in Europa.
Alberoni – In realtà i personaggi sono quattro, perché bisogna aggiungere anche Carlo Marx e Hitler
Sorbi-   Ecco, ecco. Senta, proprio su questa attualità della coscienza morale lei ha approfondisce – specialmente nelle ultime parti del libro – questa enorme realtà dello scientismo. Ecco, ci faccia capire bene perché lei ne vede – oltre all’aspetto di grande utilità – anche una minaccia?
Alberoni – Bisogna spiegare agli ascoltatori che la scienza è un prodotto dell’uomo, e dev’essere al servizio dell’uomo. Lo e sempre stato. La scienza è un valore! Quando parliamo di scientismo diciamo questo, che ci sono alcuni scienziati – non tutti – alcuni, che rinnegano Dio, e che si vogliono mettere al posto di Dio. Vogliono tentare di creare loro l’uomo. Questa è la cosa aberrante, se ci pensiamo, perché vogliono andare a toccare la matrice umana.
Tant’è vero che alcuni politici, movimenti, gente comune, che difendono gli animali, c’è chi non vuole che si usino i topi per gli esperimenti… e io ho sempre detto, ma cosa vuole, che usino i bambini? Ma certo che si deve usare il topo, e non i bambini! E invece questi signori non hanno nessuno scrupolo di usare l’embrione – e tutti siamo stati embrione– per mettere in atto i loro esperimenti, magari capaci un domani di produrre mostri, mentre difendono gli animali.
Questa per me è una cosa che mi fa tremare il cuore. Mi trema il cuore alla sola idea. Tant’è vero che se poi andiamo a vedere cosa è capitato negli stati totalitari dove l’aborto è stato ammesso subito, possiamo osservare come nell’Unione Sovietica la legge sull’aborto è entrate in vigore nel 1920. Quindi, tra gli scientisti e gli abortisti, noi vediamo che su lpianeta abbiamo sterminato più noi, in modo subdolo, tanti esseri umani, con l’aborto, quanto ne abbia fatto la guerra.
Capisce? Le due guerre mondiali. E anche i morti a causa del comunismo, anche in Cina. È una cosa subdola. Noi, e qui aveva ragione Giovanni Paolo II, come ha ragione Papa Ratzinger adesso, che è una minaccia così subdola… e  chi pretende, chi vuole la libertà di cercare, di poter usare gli embrioni, pretende dallo Stato una cosa assurda. C’è la licenza di uccidere… Ma non si può dare questo! Non si può fare! Qui ci dobbiamo ribellare, perché in modo nascosto si uccide così, tranquillamente, e non si paga presso. Poi si parla dell’orrore della prima o della seconda guerra mondiale… Certo che sono degli orrori! Sono dei mostri che abbiamo prodotto. Pero non ci facciamo belli. Nell’epoca di guerra, quanti bambini abbiamo sterminato?

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