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martedì 14 febbraio 2012

imbecillità giovanile


Il corpo delle donne

Il corpo delle donne
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ho trovato questo bellissimo filmato  che fa capire come oggi la donna è ridotta ad oggetto
 



Postato da: giacabi a 09:11 | link | commenti
imbecillità giovanile

domenica, 11 maggio 2008


Lo svantaggio di essere cristiani
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C'è un solo svantaggio a seguire Gesù, ad essere cristiani, ad essere nella Chiesa: lo svantaggio che si è obbligati a rendersi coscienti di tutto quello che si fa, lo svantaggio di dover essere intelligenti, insomma. Ma non intelligenti nel senso della scuola, bensì intelligenti come uso dell'intelligenza che, in fondo, è dentro la frase che Cristo ripeteva sempre: «Vigilate, state all'erta».
Tutti vanno avanti con la testa nel sacco e ripetono..... Ieri andavamo in macchina e c'era lì in mezzo alla strada un ragazzo in bicicletta che aveva la lingua fuori fin qui e cantava «Oooooh!»... un troglodita. Ma la maggior parte dei ragazzi, se non sono proprio così materialmente -moltissimi sono così materialmente, sempre di più -, tutti sono così di dentro: fanno «Oooooh» dentro! Ripetono le canzoni che sentono dire o, peggio ancora, fanno solo andare la testa... vale a dire la riduzione più meccanica possibile di quel che sentono, neanche quel che sentono ripetono.
Luigi Giussani da: Si può vivere così? Rizzoli        a P.


Postato da: giacabi a 09:39 | link | commenti (2)
cristianesimo, giussani, imbecillità giovanile

domenica, 30 marzo 2008

L'Eros è ragazze e teorie
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“Scoprivamo il sesso, cioè il sacro allo stato bruto (forza divina che spinge alla vita nell'immediatezza della sensibilità) e il loro vago Cattolicesimo non vi avrebbe resistito. "Eros e Thanatos", come dice Freud: l'uomo è attratto o dall'amore o dal suicidio. Ma nell'adolescenza il suicidio si cambia nello specchio di Narciso, e invece di distruggersi l'uomo contempla se stesso e soprattutto la sua forza erotica. Gli uomini della mia generazione non hanno conosciuto il suicidio per nichilismo, come si diffonde oggi ("mi uccido perché la vita non ha senso"). Noi avevamo bruciato il nostro capitale spirituale, ma ci restava un certo slancio biologico, e così l'Eros, l'Amore, l'attrazione erotica aveva la meglio sulla sua grande sorella, la Morte, e io potevo predicare l'ateismo senza suicidarmi, e potevo anche alzare il pugno chiuso per il Fronte popolare, con il fazzoletto rosso sulla giacca. L'Eros è ragazze e teorie. E' far l'amore con una donna o con un'idea. Non si vede altro nella vita: si va dritti con entusiasmo, con senso di potenza e tranquillità. L'uso erotico della ragione diviene per un momento l'oppio che fa dimenticare il nulla. Pur di far l'amore e di non pensare ad altro, ci son dei vecchi che si fanno innestare testicoli di scimmia. Ragazze e teorie, vissute con la forza dell'erotismo sono tavole gettate sull'abisso. E si sale sulle tavole e si recita la propria parte, per un certo tempo. Fino alla mezz'ora di silenzio in cielo di cui parla l'Apocalisse (Ap 8,1), il momento della verità che ci aspetta tutti.
Oggi i nostri maestri di pensiero sorridono con pietà quando si parla di sete di assoluto. Loro sono nel relativo, e vi ci si sono sistemati anche abbastanza bene. Per me che non sono un esperto, mi sembra che io cercassi Dio nella sua negazione stessa. Ateismo ed erotismo erano il mio grido a lui. E penso che anche lui mi cercasse.
Anche io ho conosciuto le grandi spiegazioni dell'ateismo, le spiegazioni dei tre grandi "maestri del sospetto", Marx, Nietzsche e Freud. Per il marxista Dio è solo quello che l'uomo ha perduto attraverso l'alienazione sociale. Per Nietzsche, Dio è invece il mondo illusorio delle idee e dei valori, perché tutto è volontà irrazionale di forza, gioco continuo. Per chi non ha questa forza in sé, per chi non è Superuomo, Dio è allora il rifugio della debolezza e l'arma del risentimento. E per Freud, infine, Dio non è altro che la proiezione del "padre castratore", colui che ti ha istillato fin da piccolo il senso della colpevolezza, il "Super-Io", quelle regole cui tu devi obbedire, se non vuoi perderti. Mi si dice che tutto questo finalmente libera, incarna, richiama alla vera responsabilità creatrice dell'uomo, senza false paure e falsi tabù. Eppure..
Eppure tutti questi esseri lucidi si sbranano a vicenda e così ciecamente e sanno ascoltare così poco! Tutti questi "coscienti" sono così incoscienti nella loro vita quotidiana! Il relativo, ciò che passa, ciò che non conta più di tanto, si gonfia di assoluto e diviene mostruoso. La passione in cui credevamo di esaltarci (che pensavo mi facesse essere) sfocia nel nulla. Perché quello che cerchi nell'incontro d'amore - il sentirti vivo e la verità di un'altra persona, l'incontro personale - non lo raggiungi che per brevi istanti furtivi. Qualche settimana dopo non ci si ricorda più di nulla, se non di quella canzone, tra le dune, canticchiata da una sconosciuta.
Nel 1956, battezzato da poco, mentre stavo imparando a poco a poco una vita di umiltà e di perdono in cui la fedeltà diventa possibile, parlavo con un giovane rivoluzionario ungherese sull'enigmatico incontro dell'uomo e della donna. "Non c'è nessun mistero, mi disse, e la fedeltà è un intralcio senza senso". "Eppure cosa sentite ogni volta che si chiude per voi un incontro più o meno breve?". Egli rifletté un momento, la sua aggressività si era spenta: "A volte, disse, è come se avessi ucciso un uccello". E la strada è cosparsa di uccelli morti!
Oggi abbiamo soltanto l'ordine quantitativo della società industriale, il cui macchinismo ignora i ritmi profondi della vita oppure il disordine dell'istinto, la frenesia sessuale. Sembra che non abbiamo più che il nostro corpo per uscire dall'astrazione e dalla solitudine. Tuttavia la soddisfazione erotica che spegne la tensione è solo un'immagine lontana di quella morte spirituale del nostro egoismo, della tensione al nostro io, necessaria perché l'altro sia per me una persona e non soltanto un oggetto. Invece ognuno è rimandato alla sua solitudine, perché il corpo ha espresso un egoismo narcisista e non un dialogo personale. La sete di assoluto e di infinito ti porta a cercare tutto da un povero essere precario che, anche lui, ha bisogno di essere salvato. E siccome egli non può estinguere questa sete, finiamo per rivoltarci contro di lui, per ferirlo e distruggerlo. Così finisce chi trasferisce la ricerca di assoluto sul piacere stesso. E la profanazione si esaspera nelle trasgressioni, fino al sadismo: far del male all'altro per sentirsi vivi in qualche modo.. Perché solo l'Amore salverà l'amore.
Oliver Clement  "L'altro sole"

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nichilismo, imbecillità giovanile, clement, istintività

lunedì, 10 marzo 2008

Senza il cristianesimo:
il nichilismo, si aggira tra i giovani
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«conosciamo i giovani e gli adolescenti di oggi. A differenza dei loro nonni, non vogliono diventare maturi. Non desiderano entrare nella cosiddetta vita, che forse li impaurisce. La scuola è lentissima; ed essi aumentano questa lentezza tardando a laurearsi, tardando a uscire dalla casa paterna, rinviando o aggirando il matrimonio, proiettando sempre più lontano il momento del lavoro. Non sanno chi sono. Forse non vogliono saperlo… perché in realtà non desiderano avere nessun volto… Come amano indugiare!… sostare sempre davanti a una soglia che, forse, non si aprirà mai. Se compiono un lavoro, non si impegnano volentieri in uno solo: ne fanno contemporaneamente un altro, o immaginano di farlo. Non rinunciano a niente, perché non vogliono accettare la morte.
Non hanno volontà: non desiderano agire; preferiscono aderire, accogliere, lasciar affiorare in se stessi la voce degli altri, della vita e del destino. Preferiscono restare passivi, comportandosi in modo sinuoso e informe come l’acqua, trasformandosi in tutto ciò che viene loro proposto. Vivono avvolti in un misterioso torpore. Non amano il tempo. L’unico loro tempo è una serie di attimi, che non vengono legati in una catena o organizzati in una storia


Piero Citati da:Repubblica del 2 agosto 1999

Postato da: giacabi a 20:46 | link | commenti (2)
nichilismo, imbecillità giovanile


Senza il cristianesimo:
il nichilismo, si aggira tra i giovani
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..« i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui.
Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i contorni del deserto di senso.
Interrogati non sanno descrivere il loro malessere perché hanno ormai raggiunto quell’analfabetismo emotivo che non consente di riconoscere i propri sentimenti e soprattutto di chiamarli per nome. E del resto che nome dare a quel nulla che li pervade e che li affoga? Nel deserto della comunicazione, dove la famiglia non desta più alcun richiamo e la scuola non suscita alcun interesse,
tutte le parole che invitano all’impegno e allo sguardo volto al futuro affondano in quell’inarticolato all’altezza del quale c’è solo il grido, che talvolta spezza la corazza opaca e spessa del silenzio che, massiccio, avvolge la solitudine della loro segreta depressione come stato d’animo senza tempo, governato da quell’ospite inquietante che Nietzsche chiama “nichilismo”.
E perciò le parole che alla speranza alludono, le parole di tutti più o meno sincere, le parole che insistono, le parole che promettono, le parole che vogliono lenire la loro segreta sofferenza languono intorno a loro come rumore insensato.
Un po’ di musica sparata nelle orecchie per cancellare tutte le parole, un po’ di droga per anestetizzare il dolore o per provare una qualche emozione, tanta solitudine tipica di quell’individualismo esasperato, sconosciuto alle generazioni precedenti, indotto dalla persuasione che – stante l’inaridimento di tutti i legami affettivi – non ci si salva se non da soli, magari attaccandosi, nel deserto dei valori, a quell’unico generatore simbolico di tutti i valori che nella nostra cultura si chiama denaro.
Va da sé che quando il disagio non è del singolo individuo, ma l’individuo è solo la vittima di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se non addirittura di sensi e di legami affettivi, come accade nella nostra cultura, è ovvio che risultano inefficaci le cure farmacologiche cui oggi si ricorre fin dalla prima infanzia o quelle psicoterapiche che curano le sofferenze che originano nel singolo individuo.
E questo perché se l’uomo, come dice Goethe, è un essere volto alla costruzione di senso (Sinngebung), nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde il disagio non è più psicologico, ma culturale. E allora
è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna agire, perché questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un’implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime.»

Umberto  Galimberti 
L'ospite inquietante I giovani e il nichilismo  Feltrinelli

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giovedì, 27 dicembre 2007

I giovani di oggi
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Nel 1968, i giovani incarnavano la speranza, il futuro, la liberazione, l’utopia. I giovani di adesso mi appaiono tanto spesso come l’avanguardia della paura, dell’angoscia davanti al futuro. sono vittime, secondo me, di una sorte di “sindrome di Peter Pan” (…) “Sono bambini, adolescenti che si rifiutano di crescere (..). la paura e l’angoscia sono legate ad una sorta di irresponsabilità e di vittimismo(…). Tutti hanno paura di vivere senza le stampelle dello Stato, per entrare nella vita adulta”
Luc Ferry

I giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male: e non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esanguiU. Galimberti

“(I giovani) preferiscono restare passivi (...) vivono avvolti in un misterioso torpore. P. Citati
da: Tracce dicembre 2007 editoriale


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imbecillità giovanile

martedì, 11 dicembre 2007

SCHIAVI DELLA NOIA
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Non c’è mai scampo, nemmeno a vent’anni, nemmeno in paradiso, nel lungo paradiso dell’erasmus (arrivederci ragazzi, fate baldoria che poi cambia tutto, passate qualche esame, raccontate quanto è stato bello, quanta gente, quante cazzate, e com’ero libero e pazzo, e com’ero adulto e giovane insieme). Tutta la libertà e la giovinezza, tutte le possibilità, gli spinelli, le chitarre, e nessuna madre a tirarti giù dal letto e a urlare: studia deficiente, a che ora sei tornato ieri notte. Sono mesi, anni mirabili, è il periodo che nessuno scorda, quello in cui puoi diventare qualunque cosa desideri, per un po’: sciupafemmine, ribelle, zoccola, cameriera, cosmopolita, musicista da pub, fricchettone, intellettuale, semialcolizzato ma con brio. Poi si torna alla realtà e guarda non puoi capire, è stato grandioso. […]. Lei però non è tornata, l’hanna ammazzata col coltello all’inizio di un lungo weekend. […]. Ci si è infilato dentro l’orrore, stavolta. L’orrore impossibile anche da inventarsi».

 da: galatro


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imbecillità giovanile

sabato, 20 ottobre 2007

La tirannia
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"Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere dei mescitori che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, allora accade che, se i governanti resistono alle richieste dei cittadini sempre più esigenti, sono denunciati come tiranni.
   E avviene che chi si dimostra disciplinato è definito un uomo senza carattere; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come un suo pari e non è più rispettato; che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui.
   In questo clima di libertà ed in nome della medesima non vi è più riguardo né rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia".
 PLATONE




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platone, nichilismo, imbecillità giovanile

lunedì, 08 ottobre 2007


I jeans a vita bassa

delle quindicenni
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di MARCO LODOLI
INSEGNARE a scuola mette in contatto con le verità del giorno: è come raccogliere uova appena fatte, ancora calde, magari con il guscio un po' sporco. Gli storici interrogano i secoli, ma in una classe di una qualsiasi periferia italiana si ascolta il battere dei secondi. Ebbene, oggi una ragazza di quindici anni, un'allieva che non aveva mai rivelato una particolare brillantezza, ha fatto una riflessione che mi ha lasciato a bocca aperta.
Eravamo negli ultimi dieci minuti di lezione, quelli che spesso si spendono in chiacchiere con gli alunni. La ragazza raccontava di volersi comprare un paio di mutande di Dolce e Gabbana, con quei nomi stampati sull'elastico che deve occhieggiare bene in vista fuori dai pantaloni a vita bassa. Io le obiettavo che lungo la Tuscolana, alle sei di pomeriggio, passeggiano decine e decine di ragazze vestite così.
Non è un po' triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri? E da bravo professore un po' pedante le citavo una frase di Jung: "Una vita che non si individua è una vita sprecata". Insomma, facevo la mia solita parte di insegnante che depreca la cultura di massa e invita ogni studente a cercare la propria strada, perché tutti abbiamo una strada da compiere.
A questo punto lei mi ha esposto il suo ragionamento, chiaro e scioccante: "Professore, ma non ha capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l'ho capito fin da quando ero piccola così. La nostra sarà una vita inutile. Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio quel ragazzo moro o quell'altro biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo la massa informe".
Tanta disperata lucidità mi ha messo i brividi addosso. Ho protestato, ho ribattuto che non è assolutamente così, che ogni persona, anche se non diventa famosa, può realizzarsi, fare bene il suo lavoro e ottenere soddisfazioni, amare, avere figli, migliorare il mondo in cui vive. Ho protestato, mettendo in gioco tutta la mia vivacità dialettica, le parole più convincenti, gli esempi più calzanti, ma capivo che non riuscivo a convincerla. Peggio: capivo che non riuscivo a convincere nemmeno me stesso. Capivo che quella ragazzina aveva espresso un pensiero brutale, orrendo, insopportabile, ma che fotografava in pieno ciò che sta accadendo nella mente dei giovani, nel nostro mondo.

A quindici anni ci si può già sentire falliti, parte di un continente sommerso che mai vedrà la luce, puri consumatori di merci perché non c'è alcuna possibilità di essere protagonisti almeno della propria vita. Un tempo l'ammirazione per le persone famose, per chi era stato capace di esprimere - nella musica o nella letteratura, nello sport o nella politica - un valore più alto, più generale, spingeva i giovani all'emulazione, li invitava a uscire dall'inerzia e dalla prudenza mediocre dei padri. Grazie ai grandi si cercava di essere meno piccoli. Oggi domina un'altra logica: chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori per sempre. Chi fortunatamente ce l'ha fatta avrà una vita vera, tutti gli altri sono condannati a essere spettatori e a razzolare nel nulla.

Si invidiano i vip solo perché si sono sollevati dal fango, poco importa quello che hanno realizzato, le opere che lasceranno. In periferia ho conosciuto ragazzi che tenevano nel portafoglio la pagina del giornale con le foto di alcuni loro amici, responsabili di una rapina a mano armata a una banca. Quei tipi comunque erano diventati celebri, e magari la televisione li avrebbe pure intervistati in carcere, un giorno.

Questa è la sottocultura che è stata diffusa nelle infinite zone depresse del nostro paese, un crimine contro l'umanità più debole ideato e attuato negli ultimi vent'anni. Pochi individui hanno una storia, un destino, un volto, e sono gli ospiti televisivi: tutti gli altri già a quindici anni avranno solo mutande firmate da mostrare su e giù per la Tuscolana e un cuore pieno di desolazione e di impotenza.

www.repubblica.it (18 ottobre 2004)




Postato da: giacabi a 18:53 | link | commenti
imbecillità giovanile, lodoli

martedì, 25 settembre 2007

I miei ragazzi insidiati dal demone della Facilità
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Cosa sta accadendo nelle menti degli italiani, come mai ho l´impressione che lo stordimento, se non addirittura una leggera forma di demenza, stiano soffiando come scirocco in troppi cervelli, giovani e meno giovani? Quali sono le cause, se ce ne sono, di questo torpore?
Avevo raccontato, un mese fa su "Repubblica", la mia crescente ansia di fronte al silenzio dei miei studenti che sembrano non saper più ragionare. In tanti hanno risposto, mi sono arrivate molte lettere, anche dai ragazzi delle scuole. Capisco che è difficile indicare un unico responsabile, un sicuro colpevole, ma una piccola idea del perché accada tutto questo io me la sono fatta e ve la propongo.
A mio avviso da troppo tempo viviamo sotto l´influsso di una divinità tanto ammaliante quanto crudele, un uccelletto che canta soave, ma che ha un becco così sottile e feroce da mangiarci il cervello. La Facilità è la dea che divora i nostri pensieri, e di conseguenza l´intera nostra vita. La Facilità non va certo confusa con la Semplicità che, come ben sintetizzava il grande scultore Brancusi, «è una complessità risolta». La Semplicità è l´obiettivo finale di ogni nostro sforzo: noi dovremmo sempre impegnarci affinché pensieri e gesti siano semplici, e dunque armoniosi e giusti. La Semplicità è il miele prodotto dal lavoro complicato dell´alveare, è il vino squisito che dietro di sé ha la fatica della vigna. La Facilità, invece, è una truffa che rischia di impoverire tragicamente i nostri giorni. A farne le spese sono soprattutto i ragazzi più poveri e sprovveduti, ma anche noi adulti furbi e smaliziati stiamo concedendo vasti territori a questa acquerugiola che somiglia a un concime ed è un veleno.
La nostra cultura ormai scansa ogni sentore di fatica, ogni peso, ogni difficoltà: abbiamo esaltato il trash e il pulp, bastavano un rutto e una rasoiata per raccogliere attenzione e gloria; abbiamo accettato che le televisioni venissero invase da gente che imbarcava applausi senza essere capace a fare nulla; abbiamo accolto con entusiasmo ogni sbraitante analfabeta, ogni ridicolo chiacchierone, ogni comico da quattro soldi, ogni patetica "bonazza". Così un poco ogni giorno il piano si è inclinato verso il basso e noi ci siamo rotolati sopra velocemente, allegramente, fino a non capire più nulla, fino all´infelicità. Tutto è stato facile, e tutto continua a voler essere ancora più facile. Impara l´inglese giocando, laureati in due anni senza sforzo, diventa anche tu ridendo e scherzando un uomo ricco e famoso.
Spesso i miei alunni, ragazzi di quindici o sedici anni, mi dicono: «Io voglio fare i soldi in fretta per comprarmi tante cose», e io rispondo che non c´è niente di male a voler diventare ricchi, ma che bisognerà pure guadagnarseli in qualche modo questi soldi, se non si ha alle spalle una famiglia facoltosa: bisognerà studiare, imparare un buon mestiere, darsi da fare. A questo punto loro mi guardano stupiti, quasi addolorati, come se avessi detto la cosa più bizzarra del mondo. Non considerano affatto inevitabile il rapporto tra denaro e fatica, credono che il benessere possa arrivare da solo, come arriva la pioggia o la domenica. Sembra che nessuno mai li abbia avvertiti delle difficoltà dell´esistenza. Sembra che ignorino completamente quanto la vita è dura, che tutto costa fatica, e che per ottenere un risultato anche minimo bisogna impegnarsi a fondo. E per quanto io mi prodighi per spiegare loro che anche per estrarre il succo dall´arancia bisogna spremerla forte, mi pare di non riuscire a convincerli. Il mondo intero afferma il contrario, in televisione e sui manifesti pubblicitari tutti ridono felici e abbronzati e nessuno è mai sudato.
Così si diventa idioti. E´ un processo inesorabile, matematico, terribile, ed è un processo che coinvolge anche gli adulti, sia chiaro. La Facilità promette mari e monti, e il livello mentale si abbassa ogni giorno di più, fino al balbettio e all´impotenza.
«Le cose non sono difficili a farsi, ma noi, mettere noi nello stato di farle, questo sì è difficile», scriveva ancora Brancusi. Mettere noi stessi nello stato di poter affrontare la vita meglio che si può, di fare un mestiere per bene, di costruire un tavolo o di scrivere un articolo senza compiere gravi errori, questo è proprio difficile, ed è necessario prepararsi per anni, prepararsi sempre. E se addirittura volessimo avanzare di un palmo nella conoscenza di noi stessi e del mondo, trasformarci in esseri appena appena migliori, più consapevoli e sereni, dovremmo ricordarci la fatica e la pena che ogni metamorfosi pretende, come insegnano i miti classici, le vite degli uomini grandi, le parole e le posizioni dei monaci orientali. Ma
la Facilità ormai ha dissolto tante capacità intellettuali e manuali, e si parla a vanvera perché così abbiamo sentito fare ogni sera, si pensa e si vive a casaccio perché così fanno tutti.
Ben presto per i lavori più complessi dovremo affidarci alla gente venuta da fuori, da lontano, alle persone che hanno conosciuto la sofferenza e hanno coltivato una volontà di riscatto. Loro sanno che la Facilità è un imbroglio, lo hanno imparato sulla loro pelle. Noi continueremo a sperare di diventare calciatori e vallette, miliardari e attrici, indossatori e stilisti, e diventeremo solo dei mentecatti
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Marco Lodoli  Repubblica 6 novembre 2002.

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imbecillità giovanile, lodoli

sabato, 23 giugno 2007

L’OMOLOGAZIONE
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E' stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l'era della pietà, e iniziato l'era dell'edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell'irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore).
Ora, ogni apertura a sinistra sia della scuola che della televisione non è servita a nulla: la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità)”


Postato da: giacabi a 15:01 | link | commenti
pasolini, imbecillità giovanile

venerdì, 12 gennaio 2007

  • Fin dall'infanzia date al bambino tutto quello che vuole. Così crescerà convinto che il mondo abbia l'obbligo di mantenerlo.
  • Se impara una parolaccia, ridetene. Crederà d'essere divertente.
  • Non dategli alcuna educazione spirituale. Aspettate che abbia 21 anni e lasciate che allora "decida da sé".
  • Mettete in ordine tutto quello che lui lascia in giro: libri, scarpe, abiti. Fate voi quello che dovrebbe far lui in modo che s'abitui a scaricare sugli altri tutte le responsabilità.
  • Litigate spesso in sua presenza. Così non si stupirà troppo se a un certo momento vedrà disgregarsi la famiglia.
  • Date al ragazzo tutto il denaro da spendere che vi chiede. Non lasciate mai che se lo guadagni. Perché dovrebbe faticare per avere quel che vuole, come avete fatto voi?
  • Soddisfate ogni suo desiderio per il mangiare, il bere e le comodità. Negargli qualche cosa potrebbe dargli pericolosi "complessi".
  • Prendete le sue parti contro i vicini di casa, gli insegnanti, gli agenti di polizia. Sono tutti prevenuti verso vostro figlio.
  • Quando si mette in un guaio serio, scusatevi con voi stessi dicendo: "Non sono mai riuscito a farlo rigar dritto".
  • Preparatevi a una vita d'amarezze. Non vi mancheranno.

Postato da: giacabi a 21:14 | link | commenti
educazione, imbecillità giovanile

giovedì, 14 settembre 2006

L’imbecillità giovanile
Olavo de Carvalho , Jornal da Tarde, S"o Paulo, 3 abr. 1998
 
Ho creduto giá in molte menzogne, ma ce ne è una alla quale sempre sono stato immune: quella che celebra la gioventú come una epoca di ribellione, di indipendenza, di amore alla libertá. Non ho dato credito a tale scemenza neppure quando, io stesso giovane, essa mi lusingava. Al contrario, presto mi impressionarono profondamente, nella condotta dei miei compagni di generazione, lo spirito del gregge, la paura dell'isolamento, l'asservimento alla voce corrente, l'ansia di sentirsi uguali e accettati dalla maggioranza cinica e autoritaria, la disposizione a cedere tutto, a prostituire tutto in cambio di un posticino da neofita nel gruppo dei tipi "giusti".
Il giovane, è vero, si ribella molte volte contro genitori e professori, ma è perchè sa che in fondo stanno dalla sua parte e mai restituiranno le sue aggressioni con forza totale. La lotta contro i genitori è un teatrino, un gioco di carte truccate, nel quale uno dei contendenti lotta per vincere e l'altro per aiutarlo a vincere.
Molto diversa è la situazione del giovane davanti a quelli della sua generazione, che non hanno con lui le stesse compiacenze del paternalismo. Invece di proteggerlo, questa massa confusionaria e cinica riceve il novizio con disprezzo e ostilitá che gli mostrano, da subito, la necessitá di obbedire per non soccombere. » proprio dai suoi compagni di generazione che ottiene la prima esperienza di un confronto con il potere, senza la mediazione di quella differenza di etá che dá diritto a sconti e attenuanti. » il regno del piú forte, dei piú sfacciati che si afferma con tutta la sua crudezza sulla fragilitá dell'ultimo arrivato, imponendogli prove ed esigenze prima di accettarlo come membro dell'orda. A quanti riti, a quanti protocolli, a quante umiliazioni non si sottomette il postulante per sfuggire alla prospettiva terrorizzante del rifiuto, dell'isolamento... Per non essere restituito, impotente e umiliato, alle braccia della mamma, egli deve superare un esame che esige da lui flessibilitá piuttosto che coraggio, capacitá di modellarsi ai capricci della maggioranza ¾ la soppressione, insomma, della personalitá.
» vero che egli si sottomette a tutto ciò con piacere, con l'ansia dell'innamorato che fará di tutto in cambio di un sorriso compiacente. La massa dei compagni di generazione rappresenta, in fondo, il mondo, il mondo grande in cui l'adolescente, emergendo dal piccolo mondo domestico, chiede di entrare. E l'ingresso costa caro. Il candidato deve, da subito, imparare tutto un vocabolario di parole, di gesti, di sguardi, tutto un codice di parole d'ordine e simboli: il minimo errore espone al ridicolo, e la regola del gioco è in generale implicita, dovendo essere indovinata piú che conosciuta, scimmiottata piú che indovinata. Il modo di apprendimento è sempre l'imitazione ¾ letterale, servile e senza domande. L'ingresso nel mondo giovanile spara a tutta velocitá il motore di tutti gli sviamenti umani: il desiderio mimetico del quale parla Renè Girard, dove l'oggetto non attrae per le sue qualitá intrinseche ma per essere desiderato simultaneamente per un altro, che Girard chiama il mediatore.
Non deve meravigliare che il rito di ingresso nel gruppo, costando un così alto investimento psicologico, termini col portare il giovane alla completa esasperazione impedendogli però, al contempo, di spargere il suo risentimento sul gruppo stesso, oggetto dell'amore che si desidera, e che ha pertanto il dono di trasfigurare ogni impulso di rancore in un nuovo investimento amoroso.
Dove, quindi, si volgerá il rancore, se non verso la direzione meno pericolosa? La famiglia appare come il capro espiatorio provvidenziale di tutti i fallimenti del giovane nel suo rito di passaggio. Se egli non riesce ad essere accettato nel gruppo, l'ultima cosa che gli verrá in mente sará quella di attribuire la colpa alla sua situazione, alla fatuitá e al cinismo di chi lo rigetta. In una inversione crudele, la colpa delle sue umiliazioni non sará data a chi si rifiuta di accettarlo come uomo, ma a coloro che lo accettano come bambino. La famiglia, che tutto gli ha dato, pagherá per le malvagitá dell'orda che tutto gli esige. Ecco a cosa si riduce la famosa ribellione dell'adolescente: amore al piú forte che lo disprezza, disprezzo per il piú debole che lo ama.
Tutti i cambiamenti si danno nella penombra, nella zona indistinta tra l'essere e il non essere: il giovane in transito tra ciò che non è e ciò che non è ancora, è, per fatalitá, incosciente di sè, della sua situazione, delle paternitá e delle colpe di quanto si passa dentro e intorno a lui. I suoi giudizi sono quasi sempre una inversione completa della realtá. Ecco il motivo per il quale la gioventú, da quando la codardia degli adulti ha dato loro autoritá per fare il bello e il cattivo tempo, è stata sempre all'avanguardia di tutti gli errori e le perversitá del secolo: nazismo, fascismo, comunismo, sette pseudo-religiose, consumo di droga. Sono sempre i giovani che stanno un passo avanti nella direzione del peggio.
Un mondo che affida il suo futuro al discernimento dei giovani è un mondo vecchio e stanco, che giá non ha piú nessun futuro

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