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martedì 14 febbraio 2012

istintivitÃ


La regola della vita è la sequela.
***
Diciamo che la regola della vita è la sequela. Se non
vi piace la parola, come non piace a me, potete anche
lasciarla via,l'importante è tenere il concetto.
Il concetto implica:
primo, qualcosa che si ha davanti;
secondo, qualcosa di cui cerchiamo di capire le parole;
e, terzo, qualcosa di cui cerchiamo di capire come fa
a farle, a viverle. L'insieme di questo si chiama sequela;

senza sequela, senza l'intensità di una sequela la
nostra vita non ha niente davanti, non sa cosa pensare
e non sa come fare; perciò identifica con il suo
pensiero quello che gli salta in mente (la reazione dei
suoi pareri) e identifica come regola del fare quello

che gli pare e piace (vale a dire, -ha come regola
l'istintività)
:
l'alternativa alla vita come sequela
è l'istintività,
vale a dire degrada, come uomo,
verso l'animalità.

Postato da: giacabi a 16:13 | link | commenti
esperienza, giussani, istintività

domenica, 21 marzo 2010

Considerazioni sull' ateismo
 ***
Si lagna il signor Dorrel inglese (ma cattolico), che anticamente gli ateisti andavano sconosciuti per non esser trattati da empj, e da sciocchi; e che almeno, se erano infetti d'ateismo, non ardivano di comparir tali: ma che gli increduli odierni si dichiarano tali alla svelata; e si vantano, affin di acquistarsi il nome di spiriti forti, e spregiudicati, di giudicare della divinità e della religione. Col che, a ben dire, pretendono in somma di togliere ogni legge, ed ogni buon ordine di vivere; poiché tolta l'esistenza d'un Dio rimuneratore del bene e punitore del male, ed abolite le verità della religion cristiana ecco rimosso ogni freno al peccato e distrutta ogni legge ed ogni regola di morale. Sicché l'uomo diventerebbe simile e peggiore delle bestie: il senso padron della ragione: il diritto sarebbe deciso dalla forza, l'onesto dal piacere, il giusto dall'interesse, l'onore dalla vendetta. Onde tutti diverrebbero schiavi delle loro passioni, abbracciando ogni vizio, purché si affacciasse colla sembianza d'utile o dilettevole".

Sant' Alfonso Maria de Liguori


Postato da: giacabi a 09:50 | link | commenti
santi, ateismo, istintività

domenica, 30 marzo 2008

L'Eros è ragazze e teorie
***
“Scoprivamo il sesso, cioè il sacro allo stato bruto (forza divina che spinge alla vita nell'immediatezza della sensibilità) e il loro vago Cattolicesimo non vi avrebbe resistito. "Eros e Thanatos", come dice Freud: l'uomo è attratto o dall'amore o dal suicidio. Ma nell'adolescenza il suicidio si cambia nello specchio di Narciso, e invece di distruggersi l'uomo contempla se stesso e soprattutto la sua forza erotica. Gli uomini della mia generazione non hanno conosciuto il suicidio per nichilismo, come si diffonde oggi ("mi uccido perché la vita non ha senso"). Noi avevamo bruciato il nostro capitale spirituale, ma ci restava un certo slancio biologico, e così l'Eros, l'Amore, l'attrazione erotica aveva la meglio sulla sua grande sorella, la Morte, e io potevo predicare l'ateismo senza suicidarmi, e potevo anche alzare il pugno chiuso per il Fronte popolare, con il fazzoletto rosso sulla giacca. L'Eros è ragazze e teorie. E' far l'amore con una donna o con un'idea. Non si vede altro nella vita: si va dritti con entusiasmo, con senso di potenza e tranquillità. L'uso erotico della ragione diviene per un momento l'oppio che fa dimenticare il nulla. Pur di far l'amore e di non pensare ad altro, ci son dei vecchi che si fanno innestare testicoli di scimmia. Ragazze e teorie, vissute con la forza dell'erotismo sono tavole gettate sull'abisso. E si sale sulle tavole e si recita la propria parte, per un certo tempo. Fino alla mezz'ora di silenzio in cielo di cui parla l'Apocalisse (Ap 8,1), il momento della verità che ci aspetta tutti.
Oggi i nostri maestri di pensiero sorridono con pietà quando si parla di sete di assoluto. Loro sono nel relativo, e vi ci si sono sistemati anche abbastanza bene. Per me che non sono un esperto, mi sembra che io cercassi Dio nella sua negazione stessa. Ateismo ed erotismo erano il mio grido a lui. E penso che anche lui mi cercasse.
Anche io ho conosciuto le grandi spiegazioni dell'ateismo, le spiegazioni dei tre grandi "maestri del sospetto", Marx, Nietzsche e Freud. Per il marxista Dio è solo quello che l'uomo ha perduto attraverso l'alienazione sociale. Per Nietzsche, Dio è invece il mondo illusorio delle idee e dei valori, perché tutto è volontà irrazionale di forza, gioco continuo. Per chi non ha questa forza in sé, per chi non è Superuomo, Dio è allora il rifugio della debolezza e l'arma del risentimento. E per Freud, infine, Dio non è altro che la proiezione del "padre castratore", colui che ti ha istillato fin da piccolo il senso della colpevolezza, il "Super-Io", quelle regole cui tu devi obbedire, se non vuoi perderti. Mi si dice che tutto questo finalmente libera, incarna, richiama alla vera responsabilità creatrice dell'uomo, senza false paure e falsi tabù. Eppure..
Eppure tutti questi esseri lucidi si sbranano a vicenda e così ciecamente e sanno ascoltare così poco! Tutti questi "coscienti" sono così incoscienti nella loro vita quotidiana! Il relativo, ciò che passa, ciò che non conta più di tanto, si gonfia di assoluto e diviene mostruoso. La passione in cui credevamo di esaltarci (che pensavo mi facesse essere) sfocia nel nulla. Perché quello che cerchi nell'incontro d'amore - il sentirti vivo e la verità di un'altra persona, l'incontro personale - non lo raggiungi che per brevi istanti furtivi. Qualche settimana dopo non ci si ricorda più di nulla, se non di quella canzone, tra le dune, canticchiata da una sconosciuta.
Nel 1956, battezzato da poco, mentre stavo imparando a poco a poco una vita di umiltà e di perdono in cui la fedeltà diventa possibile, parlavo con un giovane rivoluzionario ungherese sull'enigmatico incontro dell'uomo e della donna. "Non c'è nessun mistero, mi disse, e la fedeltà è un intralcio senza senso". "Eppure cosa sentite ogni volta che si chiude per voi un incontro più o meno breve?". Egli rifletté un momento, la sua aggressività si era spenta: "A volte, disse, è come se avessi ucciso un uccello". E la strada è cosparsa di uccelli morti!
Oggi abbiamo soltanto l'ordine quantitativo della società industriale, il cui macchinismo ignora i ritmi profondi della vita oppure il disordine dell'istinto, la frenesia sessuale. Sembra che non abbiamo più che il nostro corpo per uscire dall'astrazione e dalla solitudine. Tuttavia la soddisfazione erotica che spegne la tensione è solo un'immagine lontana di quella morte spirituale del nostro egoismo, della tensione al nostro io, necessaria perché l'altro sia per me una persona e non soltanto un oggetto. Invece ognuno è rimandato alla sua solitudine, perché il corpo ha espresso un egoismo narcisista e non un dialogo personale. La sete di assoluto e di infinito ti porta a cercare tutto da un povero essere precario che, anche lui, ha bisogno di essere salvato. E siccome egli non può estinguere questa sete, finiamo per rivoltarci contro di lui, per ferirlo e distruggerlo. Così finisce chi trasferisce la ricerca di assoluto sul piacere stesso. E la profanazione si esaspera nelle trasgressioni, fino al sadismo: far del male all'altro per sentirsi vivi in qualche modo.. Perché solo l'Amore salverà l'amore.
Oliver Clement  "L'altro sole"

Postato da: giacabi a 21:54 | link | commenti
nichilismo, imbecillità giovanile, clement, istintività

lunedì, 28 gennaio 2008

L’istintività
mezzo per arrivare a riconoscere Cristo


***

1) L’istintività. E’ ciò che mi trovo addosso, ciò che mi determina, mi attrae, mi stimola. Proprio da questo l’uomo è introdotto al servizio della realtà: da un complesso di dati da cui non può prescindere”.
Perciò per don Giussani l’istintività non è un ostacolo, qualcosa da buttare via, ma un mezzo, una cosa di cui servirsi, da cui non si può prescindere perché è proprio da questa che l’uomo è introdotto al servizio della realtà. La prima reazione che ci viene è strapparci di dosso l’istintività. Come questa mattina il nostro bisogno lo vorremmo buttare via perché lo consideriamo una debolezza. Adesso vogliamo buttare via l’istintività perché ci spinge a prendere ciò che abbiamo davanti in modo diverso.
Don Giussani davanti a una cosa così dice: “Ma come è umana la mia umanità!”. Invece di buttarla via, la questione che l’istintività deve far sorgere è: perché mi è data questa umanità? Se Dio ha messo lì tutto questo complesso di dati, perché sono lì? È per un bene. È la positività con cui don Giussani guarda qualsiasi dato del reale, qualsiasi cosa data da un Altro, è questo sguardo di simpatia per l’umano, per tutto l’umano che c’è in noi.
“Siccome questo è un momento drammatico sempre - continua la nostra amica - io vorrei che non ci fosse neppure qualche cosa che mi attira, che passa davanti e mi colpisce, non vorrei sentire così tanto il fascino delle cose, dei volti, per non rischiare di sbagliare”. Sembra umanissimo: uno vuole amare e non
vuole sbagliare, e allora per non sbagliare la prima cosa che ci viene è non volere il fascino delle cose, dei volti, si vorrebbe cancellare la bellezza che mi attira.
Prima abbiamo fatto fuori l’istintività e adesso facciamo fuori la bellezza, sempre per lo stesso motivo:strapparci il dramma del vivere!
Guardate come don Giussani svela la verità di ciò che c’è dentro, che c’è dietro questo: se uno vuole bene a una persona, d’impeto accetta di sacrificarsi per lei, questo è naturale. Eppure per la resistenza che è in noi rifuggiamo dal sacrificio.
 La resistenza non è resistenza al sacrificio, ma è una resistenza alla bellezza,
è una resistenza al vero. Non volere il vero, questa è la presunzione sterminata del peccato originale: si chiama menzogna. La resistenza al sacrificio è per un attaccamento a una menzogna, per il cedimento a una menzogna, è perché siamo mentitori. La nostra è una resistenza alla bellezza, alla verità. Noi
cominciamo a difenderci dalla bellezza perché la bellezza ci mette in moto, ci richiama a qualcos’altro.
Giussani diceva sempre di non censurare mai la nostra umanità, anzi dice che è proprio questa che ci porta al riconoscimento di Cristo.
È vero questo perché io sono colpito se c’è un luogo che non ha paura della mia umanità. Lui ci ama e non ha paura della nostra umanità. Don Giussani dice di guardare con simpatia la nostra umanità perché questo, come abbiamo visto stamattina, è indispensabile per il riconoscimento di Cristo. Abbiamo bisogno di tutte e due le cose: della nostra umanità e del fascino di una bellezza che ci attira.
Se uno non sente il fascino delle cose e dei volti vuol dire che non sentirà neanche il fascino di Cristo. È importantissimo capire bene queste cose perché a volte davanti alla paura dello sbaglio la tentazione è far fuori la propria umanità. Ma se io faccio fuori la mia umanità divento un sasso. Se io taglio, stronco la mia umanità come posso commuovermi davanti a Cristo, come posso essere trascinato da Cristo?
Per questo non basta sostituire l’umanità con i principi, come diceva Eliot: “I nostri principi non ci rendono veramente comprensibile quel tutto che governa il nostro attaccamento alle cose più di quanto un frammento di brandello umano riesca a comunicarci quella viva bellezza della carne che tanto amiamo”. “I sensi che Dio ha creato – dice ancora Paul Claudel – sono nostri servitori che percorrono l’intero mondo fino a quando non trovano la bellezza”.
Tutto questo ci è dato per trovare la bellezza, per riconoscerla. Io non posso prescindere dalla mia umanità, dalla mia istintività perché è quello che mi determina, mi attrae, mi stimola, mi introduce al servizio della realtà.
Occorre adesso domandarsi perché mi è data.
“2) Tale attrattiva, stimolo, impulso contingente hanno un fine. Perciò il secondo fattore è la coscienza del fine proprio a questo fascio di istintività. La natura umana infatti ha come fattore del suo dinamismo non solo la sua urgenza ma anche la consapevolezza dello scopo, di quell’urgenza stessa”.
Io che ho questa istintività non sono soltanto istintività, ma ho anche la consapevolezza dello scopo per cui ce l’ho, e so che questa energia, questo impeto è fatto per un fine. L’unica cosa che non posso fare è bloccare l’impeto che mi rimanda oltre per evitare il sacrificio che comporta, il dramma in cui mi mette.
Invece tante volte quello che succede è che, come dice ancora la nostra amica: “Tante volte io riduco il desiderio a voglia e Cristo a regola”. Il desiderio ridotto a voglia, istinto, reazione. Ma se il mio desiderio è soltanto voglia senza uno scopo, se questa istintività – che per il fatto di essere all’interno del mio io ha il respiro dell’infinito – è ridotta a voglia e Cristo si riduce a regola, è normale che uno ha paura. Resta soltanto il moralismo: bloccare l’istintività per evitare di andare contro la regola!
L’uomo, a differenza degli animali e delle altre cose, è consapevole del rapporto che passa tra il suo emergente istinto e il tutto, cioè l’ordine delle cose”.
Cioè l’istinto non può essere staccato dalla totalità dell’io, con tutto il bisogno infinito che ha dentro, perciò non c’è soltanto voglia. Io sono questa istintività che ha la coscienza del fine, che ha tutta l’apertura dell’infinito. Nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito.
Qual è allora il fine di questa istintività, di questa urgenza?
L’ordinare l’istinto allo scopo (cioè al Tutto) è il fondamentale dono di sé al tutto: è il cosiddetto dovere, la cui essenza quindi non può essere che amore, cioè consegna di sé”.
Perciò questa istintività, urgenza, energia, questo complesso di dati cerca la vita per darsi, per ordinarlo al tutto, perché è nel darsi al tutto che l’uomo si ritrova, come l’esperienza amorosa suggerisce. “L’amore
– dice Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est – è estasi. Ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé”.
La questione è che la mia energia, tutto il mio desiderio di pienezza con la mia istintività trova compimento e questo soltanto, questa è la proposta, soltanto trova compimento nel darsi al tutto, nel darsi all’infinito. Siccome non c’è niente di nostro al mondo, il desiderio di possesso, la volontà di possesso diventa lo spunto per incominciare il lungo cammino al tutto.
 È questo che noi non siamo in grado tante volte di fare e perciò o scivoliamo nell’istintività o stronchiamo la nostra umanità e tante volte
come ci sembra misterioso questo cammino, questo momento in cui siamo, nel tentativo di comprenderlo pensiamo che prima c’è il distacco e poi avremo queste cose. Invece no, non prima c’è il distacco e poi c’è la verità, ma c’è la verità e quindi il distacco.
Questa è la pretesa di Cristo: che è soltanto perché c’è la verità, perché c’è la verità che compie, dove l’uomo può vedere compiuta tutta la sua vita, tutta la sua affezione, che può rapportarsi in un modo vero con tutto.
Guardate cosa racconta un universitario nostro amico della sua reazione davanti a una proposta indecente: “Era bella, stavo per dirle di sì, volevo dirle di sì, ma quando ho iniziato a risponderle mi sonovenute le lacrime agli occhi; mi sono fermato un attimo e ho pensato alla giornata d’inizio, al fatto di darsi alla compagnia dei miei amici, e così le ho detto di no perché le volevo bene ed ero convinto che era la cosa più istintiva senza ragione che potessimo fare”.
Questo non succede soltanto con il rapporto con una persona, succede con il rapporto con tutto, con il rapporto con le cose. Mi dicevano un gruppo di amici: “Davanti al tentativo di vivere il potere o gli interessi come possiamo vivere in modo da non soccombere al potere o agli interessi?”. Sapete cosa gli horisposto? Ho parlato della verginità.
È soltanto se c’è la verità, se c’è Cristo, se c’è qualcosa che compie la vita più di ogni altra cosa che uno può vivere in un rapporto di verità con tutto, con l’altro, con gli interessi, con il potere e con le cose.
Avremo il coraggio qualche volta di fare la verifica di questa proposta di Cristo? Di verificare fino in fondo se la proposta di vita che Cristo ci offre come compimento del nostro umano e perciò della nostra affezione è in grado di rispondere? È soltanto la verità, è soltanto la bellezza di qualcosa che vivo che rende possibile non cedere all’istintività. Non si tratta di stroncare o di censurare, ma di ordinare tutto allo scopo, di avere qualcosa che sia più potente, che abbia un’attrattiva più grande, per cui tutto il mio essere con tutte le mie energie sia calamitato.
Non è umano dare se stessi se non ad una persona.
Il tutto, in ultima analisi, è l’espressione di una persona: Dio. Perché? Perché l’unico che corrisponde a tutto il mio desiderio di infinito, a tutta la mia esigenza di felicità, a cui mi spinge tutta la mia umanità, è soltanto questo che può ordinare tutto. Al di sopra dell’attività dell’anima vi è qualcosa di più profondo ed essenziale: è quando questo istinto profondo è ordinato, è orientato verso Dio, allora tutto il resto è ordinato. Ma se questo istinto profondo si distoglie da Dio, tutto il resto ne è distolto, che l’uomo se ne accorga o no. Ma Dio, il Mistero, intanto rimane lontano, astratto.
Per questo occorreva l’incarnazione, occorreva, come dice Leopardi, che la Bellezza (con la B maiuscola) si “vestisse di sensibil forma”, diventasse carne; occorreva una presenza affettivamente attraente per attirare tutta la mia energia, tutta la mia affezione, tutto il mio desiderio verso di Lui.
Per questo l’unica speranza è questa: Cristo ci trae tutto, tanto è bello. Senza di questo possiamo sbagliare finché vogliamo o possiamo censurare o possiamo stroncare, ma non risolviamo niente perché né l’istintività né il moralismo possono risolvere il problema della persona umana. Il problema di qualcosa che riesca veramente a rispondere in modo adeguato a tutte le esigenze della vita. Per questo senza la bellezza di Cristo presente che ci “trae tutto” non c’è possibilità di compimento dell’umano e diventiamo persone affettivamente compiute.
La vita dell’uomo - diceva S. Tommaso - consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione. Dov’è la vera soddisfazione lì è la risposta al problema affettivo
dell’uomo, perciò è soltanto un cristianesimo come bellezza, come attrattiva l’unico in grado di rispondere alla sfida dell’uomo, l’unico in grado di fare fronte, di affrontare questa esigenza di totalitàche il cuore ha. Per questo è l’unico in grado di vincere la lontananza se il cuore cede alla sua attrattiva.
Senza Cristo non c’è pienezza e perciò non c’è verginità che consenta un rapporto vero con tutto, con le cose, con le persone, con la moglie, con i figli, con quelli che lavorano con te, senza che il potere decida tutto. Per questo è inutile tutto il moralismo perché prima o poi soccombiamo.
Per questo il Papa usa in tante occasioni la parola “attrae”: il Dio incarnato ci attrae. E ripete in continuazione il verbo attrarre, il verbo attirare. S. Agostino dice, citando Virgilio: Ciascuno è attratto dal suo piacere”, non dalla necessità ma dal piacere, non dalla costrizione ma dal diletto. A maggior ragione possiamo dire che si sente attratto da Cristo l’uomo che trova il suo diletto nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, in tutto ciò, insomma, che è Cristo.
La vita è darsi, amare Cristo, trovare in Lui soddisfazione, e per questo se ridotto soltanto a regola e non questa presenza affettivamente attraente è impossibile che compia affettivamente l’uomo.
È qui dove si vede la portata della promessa di Cristo, perché quando uno ha provato che niente soddisfa incomincia a capire che forse conviene aderire a Lui. Quando uno ha sentito parlare di una promessa di infinito e di felicità che si accende con l’innamoramento e della grave incapacità dell’altro di soddisfare questa promessa, si rende conto del fatto che da questa ferita scaturisce la domanda di Cristo.
Come scriveva la nostra amica: “Queste cose mi hanno molto toccato e non smetto di ripensarci quanto sono vere e quanto brucia la ferita di una promessa insoddisfatta. Ognuno di noi può pensare a mille situazioni, a mille conferme di questa grande verità, ma ti vorrei chiedere come si fa a tenere aperta questa ferita? Mi pare umanamente insopportabile sostenere una posizione così. Una promessa ha bisogno di essere compiuta prima o poi, e se il poi è troppo lontano nel tempo l’attesa si fa difficile. Io personalmente cado regolarmente in questi due opposti: o mi anestetizzo cercando soddisfazione in mille attività, oppure affiora il cinismo, il dubbio che una vera umanità diversa non sia possibile”.
Senza affrontare questo è impossibile che uno prima o poi non si domandi: ma Cristo la promessa è in grado di compierla? È qui che siamo di nuovo chiamati a un salto in questo rapporto con Cristo, è qui dove si vede la promessa: Gesù si presenta come il centro dell’affettività e della libertà dell’uomo e ponendo se stesso al cuore delle stesse esigenze umane si colloca con pieno diritto come la loro radice vera.
In tal modo Gesù rivela la portata della promessa: Gesù ha la pretesa perché è soltanto seguendo Lui che l’uomo può trovare veramente la risposta.
Come dice S. Gregorio di Nissa: “Solo il Bene eterno (con la B maiuscola) è veramente dolce e desiderabile e amabile. Il suo godimento diviene sempre di più l’impulso a un desiderio più grande”.
Il desiderio ogni volta che è saziato produce un nuovo desiderio di una realtà superiore. L’anima si protende in un desiderio sempre più forte. Soltanto chi la verifica  vede che non deve stroncare il suo desiderio ma che miracolosamente appare quello che dicevamo ieri: la conversione del desiderio.
Uno incomincia a desiderare di sorprendere incominciando a desiderare ciò che lo compie, incomincia a desiderare ogni volta di più quel bene, quella presenza in cui il cuore trova quella soddisfazione non per appagarlo, ma per desiderarlo sempre di più. Ma è una sfida così sconvolgente, così drammatica che
soltanto se siamo in grado di accettare questa sfida possiamo vederne il compimento.
Concludo con quello che dice Giussani alla fine di questo capitolo bellissimo:
Gesù Cristo non è venuto nel mondo per sostituirsi al lavoro umano, all’umana libertà o per eliminare l’umana prova. Egli è venuto nel mondo per richiamare l’uomo al fondo di tutte le questioni, alla sua struttura fondamentale e alla sua situazione reale… Gesù Cristo è venuto a richiamare l’uomo alla
religiosità vera, senza della quale è menzogna ogni pretesa di soluzione”.
L’amore, la politica, il lavoro, tutto diventa confuso se non si vive bene questa religiosità. Per questo la vita è un cammino, è una tensione. La concezione della vita di Gesù Cristo è essenzialmente una tensione, una lotta, un camminare. “Bestiali come sempre - dice Eliot - carnali, egoisti come sempre, interessati e
ottusi come sempre lo furono prima, eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce; spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi,tornando, eppure mai seguendo un’altra via”.
don Carron da: Esercizi della fraternità 2007

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