“L’essenziale è invisibile agli occhi”
*** Saint Exupery
Le cose più belle al mondo non possono essere viste o toccate: vanno sentite dentro al cuore.
Helen Keller divenuta cieca e sorda 19 mesi dopo la nascita
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Postato da: giacabi a 07:53 |
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bellezza, keller
La conoscenza del linguaggio porta all’amore
***
“Luce, datemi la luce” – era il grido inarticolato dell’anima mia, e proprio in quell’ora la luce dell’amore brillò su di me. Sentii dei
passi
che si avvicinavano e tesi la mano credendo fosse la mamma. Qualcuno la
strinse ed io fui sollevata e chiusa fra le braccia di colei che mi
avrebbe svelato l’universo e, soprattutto, mi avrebbe amata.
La
mattina dopo, la maestra mi portò nella sua stanza e mi regalò una
bambola. Me la mandava una piccola cieca dell’Istituto Perkins ed era
stata vestita da Laura Bridgman ma tutto questo lo seppi molto più
tardi. Allora io giocai un po’ con la bambola mentre la signorina Sullivan scandiva sulla mia mano la parola “b a m b o l a”
Subito
mi interessai al gioco delle sue dita cercando di imitarlo e quando
finalmente riuscii a formare correttamente la parola mi gonfiai di
orgoglio e di gioia infantile. Corsi giù dalla mamma e tenendola per mano formai le lettere della parola bambola. Non
sapevo di compitare una parola, anzi non sapevo neppure che esistessero
ma muovevo le dita, imitando i gesti come una scimmia... nei giorni
seguenti imparai a compitare molte parole ... mi ci vollero parecchie settimane prima di arrivare a rendermi conto che ogni cosa aveva un nome ...
Un
giorno mentre giocavo con la bambola nuova, la signorina mi mise in
grembo anche la mia grossa bambola di stoffa e compitò “b a m b o l a“ e
cercò di farmi capire che quella parola si riferiva a tutte e due.
Pochi
giorni dopo avemmo uno scontro per le parole tazza e acqua. La
signorina aveva cercato di imprimermi bene in mente che “t a z z a” é
tazza e “a c q u a” é acqua ma io continuavo a confondere le due cose. Allora la signorina accantonò la questione per riprenderla al momento opportuno... ma
i suoi reiterati tentativi mi irritarono al punto che scaraventai per
terra la bambola nuova ... quando sentii ai miei piedi i pezzi della
bambola fracassata, mi sentii sollevata e serena senza il minimo
pentimento o rimorso per la mia violenza. Non volevo bene alla bambola: in quel mondo oscuro e silenzioso non c’era posto per i sentimenti e la tenerezza ... la
signorina mi portò il cappello ed io capii che saremmo andate a godere
il tepore del sole ... ci avviammo al sentiero che conduceva al pozzo
... qualcuno attingeva l’acqua e la maestra mise la mia mano sotto il
getto, poi, mentre la corrente fresca mi scorreva sulla mano, scandì
sull’altra la parola acqua, dapprima lentamente e poi sempre più presto
... io stavo lì immobile tutta intenta al movimento delle sue dita. All’improvviso
ebbi la oscura percezione di qualcosa di dimenticato – un fremito per
la ricomparsa di un pensiero sopito – e mi si svelò il mistero del
linguaggio. Capii che “a c q u a” significava quella frescura
meravigliosa che scorreva sulla mia mano. Le parole vivificatrici
risvegliavano l’anima mia, la illuminavano, la allietavano, le donavano
speranza. Le barriere c’erano ancora, è vero, ma col
tempo sarebbero state abbattute. Mi allontanai dal pozzo tutta presa
dall’ansia di imparare. Tutte
le cose avevano un nome ed ogni nome faceva nascere un nuovo pensiero.
Tornata a casa mi sembrava che ogni oggetto che toccavo vibrasse di
nuova vita. Era perché io vedevo tutto con la strana vista che avevo
appena ricevuta. Sulla porta d’ingresso mi
ricordai della bambola che avevo rotta. Corsi al caminetto e raccolsi i
pezzi, cercando inutilmente di metterli insieme. Allora i miei occhi si
empirono di lacrime perché capii quel che avevo fatto e per la prima
volta provai il pentimento e il dolore.
Quel
giorno imparai tante parole nuove ... so che tra l’altro imparai:
madre, padre, sorella, maestra, parole che fecero fiorire il mondo per
me, come la verga di Aronne ...
Estate
1887 ... non facevo altro che esplorare ogni cosa con le mani e
imparare il nome degli oggetti che toccavo: e più cose maneggiavo
imparandone il nome e l’uso, più cresceva in me, lieto e fiducioso, il
senso di fraternità con il resto del mondo ...
...
la signorina Sullivan attraverso i campi che gli uomini stavano
preparando per la semina, mi condusse agli argini del Tennessee. Là mentre eravamo sedute sull’erba intiepidita dal sole, mi impartì la prima lezione sulla bontà della natura.
Appresi
allora che il sole e la pioggia fanno crescere dal suolo le piante, che
rallegrano l’uomo con la loro bellezza e servono a nutrirlo. Imparai
pure come vivono gli uccelli, che si fabbricano il nido sulle piante e
come si procurano il cibo, dove si rifugiano gli scoiattoli, il cervo,
il leone e tutti gli altri animali ... ma verso quell’epoca una nuova
esperienza mi insegnò che la natura non é sempre clemente ... mi accorsi
che il cielo era nero perché ogni calore era scomparso e dalla terra
saliva uno strano odore che riconobbi per quello che precede il
temporale. Una paura senza nome mi serrò il cuore, mi sentii
completamente sola, tagliata fuori ... avevo imparato una nuova lezione e
cioè che la natura “muove guerra aperta ai suoi figli e sotto le tenere
carezze nasconde l’artiglio”... passò parecchio tempo prima che potessi
arrampicarmi di nuovo su un albero. il solo pensiero mi riempiva di
terrore. Fu l’incontro di una mimosa in fiore a vincere tutte le paure. ... una bella mattina di primavera ... avvertii nell’aria una
fragranza
sottile meravigliosa ... che é, mi chiesi e un minuto dopo riconobbi
l’odore della mimosa ... sembrava un albero del paradiso trapiantato
sulla terra ... mi aprii il varco fino al grosso tronco ... cominciai a
salire ... rimasi lassù sognando di essere una fata seduta su una nuvola
rosa. Da allora tornai parecchie volte sul mio albero del paradiso a
sognare fiabe fantasiose e luminose visioni.
Ormai
possedevo la chiave del linguaggio e non vedevo l’ora di adoperarla. I
bambini normali imparano a parlare senza uno sforzo particolare perché
afferrano al volo le parole che escono dalle labbra altrui, ma il
piccolo sordo le percepisce solo attraverso un processo lento e spesso
penoso.
Quale che sia questo processo, il risultato è sempre meraviglioso.
Man
mano che si procede nella conoscenza dei nomi delle cose, si supera, un
passo dietro l’altro, la distanza sconfinata che separa il nostro
balbettìo da un alato verso di Shakespeare.
Da principio avevo pochi problemi, le mie idee erano vaghe e il vocabolario inadeguato. Ma
quando le mie cognizioni crebbero ed incominciai a conoscere molte
parole, il mio campo di indagine si allargò. Tornavo più volte sullo
stesso argomento cercando avidamente altre informazioni ... mi
ricordo della mattina nella quale imparai il significato della parola
“amore” ... avevo trovato un po’ di violette, le prime, nel giardino e
le avevo portate alla maestra la quale cercò di darmi un bacio. Ma a
quell’epoca io accettavo baci solo dalla mamma. Allora la signorina
Sullivan mi circondò amorosamente le spalle con un braccio e mi compitò
nella mano: Io amo Helen. Cosa vuol dire “amo”? Ella mi strinse a sé più
vicina e disse: è qui. E mi toccò il cuore di cui avvertii i battiti
per la prima volta. Le sue parole mi incuriosirono assai perché allora
non capivo se non quello che potevo toccare con le mani ...
Pochi giorni dopo stavo infilando perle di differente grandezza in gruppi simmetrici, due grandi, tre piccole e così via ...
facevo parecchi sbagli che la signorina correggeva ogni volta con
gentilezza e pazienza. Alla fine mi accorsi di un errore molto evidente
nella righe e per un istante mi concentrai sul mio lavoro cercando di
pensare come disporre le perle. La signorina Sullivan mi toccò la fronte e compitò con precisione: Pensa !
In
un attimo capii che quella parola era il nome del processo che si stava
svolgendo nella mia testa. Fu quella la prima percezione cosciente di
un’idea astratta ... tu non puoi
toccare l’amore ma senti la dolcezza che diffonde in tutte le cose ...
per la prima volta avvertivo la presenza di legami invisibili tra il mio
spirito e quello degli altri.
Helen Keller La storia della mia vita, ed. Paoline, Roma, 1981
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