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venerdì 17 febbraio 2012

laicismo


SE CI DIMENTICHIAMO DI DIO
***
«Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatu-ra al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti natu-rali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, com-mettendo atti ignominiosi uomini con uomini, rice-vendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono d'ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia».
San Paolo

Postato da: giacabi a 09:25 | link | commenti
nichilismo, laicismo

sabato, 05 novembre 2011

Principi non negoziabili,
sostenerli è un dovere
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Bagnasco
di Piero Gheddo
04-11-2011


In riferimento al discorso del card. Angelo Bagnasco al Forum dei cattolici in politica a Todi (Perugia) il 17 ottobre scorso, un amico mi telefona per chiedermi di spiegare quali sono e perché la Chiesa insiste nel proclamare i suoi “valori irrinunziabili”. Ecco in breve.


Per la Chiesa, i “valori irrinunziabili” (o “non negoziabili”) sono tre:


  1. la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, quindi contro l’aborto, l’eutanasia e la manipolazione del gene umano;
  2. la difesa del matrimonio monogamico tra uomo e donna, cioè la condanna del riconoscimento giuridico dell’unione tra omosessuali e delle coppie di conviventi; la difesa della famiglia comporta il terzo valore irrinunziabile:
  3. la difesa della libertà di educazione, cioè il diritto della famiglia di scegliere come educare i propri figli, quindi la parità tra scuola pubblica e scuola privata paritaria, perché il compito di educare i figli spetta anzitutto ai genitori, non allo stato.

Perché questi valori irrinunziabili? Una delle grandi novità della Caritas in Veritate di Benedetto XVI (2009) è questa: per la prima volta in un’enciclica sociale, viene presentato il diritto alla vita come valore prioritario dello sviluppo “plenario” (cioè non solo economico) di ogni popolo e dell’umanità (n. 28). La "questione antropologica", su cui tanto insistono la Santa Sede e la Cei, diventa a pieno titolo "questione sociale" (nn. 28, 44, 75).

La crisi dell’Occidente è una “crisi antropologica”: cioè si perde il concetto di uomo creato da Dio, si vuole manipolare il Dna dell’uomo, si vuole creare l’uomo sano e senza difetti fisici, si distrugge il matrimonio e la famiglia monogamica, ecc. Tutto questo, anche se molti non lo sanno o non ci credono, porta alla barbarie. L’uomo padrone di se stesso, l’uomo padrone della vita e della morte è l’anticamera per nuovi Auschwitz e nuovi Khmer rossi, che possono nascere da questa cultura orientata a produrre la morte. La Chiesa condanna il controllo delle nascite, l'aborto, le sterilizzazioni, l'eutanasia, le manipolazioni dell'identità umana e la selezione eugenetica non solo per la loro intrinseca immoralità, ma anche perchè lacerano e degradano il tessuto sociale, corrodono la famiglia e rendono difficile l'accoglienza dei più deboli e innocenti: «Nei paesi economicamente sviluppati - scrive Benedetto XVI (CV 28) - le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi… L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo…».

L'enciclica spiega che per lo sviluppo dell'economia e della società occorre impostare programmi di sviluppo non di tipo utilitaristico e individualistico, ma che tengano “sistematicamente conto della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito”. Dalla Humanae Vitae di Paolo VI (1968) ad oggi, spesso l’insistenza del Papa e dei vescovi su questi concetti non è compresa nemmeno dai cattolici, una parte dei quali pensano che la difesa della vita e della famiglia passa in secondo piano di fronte alle drammatiche urgenze della fame, della miseria, delle ingiustizie a livello mondiale e nazionale. Non capiscono il valore profetico di quanto dicono il Papa e i vescovi, che denunziano le conseguenze nefaste di certi orientamenti culturali e legislativi anche per la soluzione dei problemi sociali. Se nella cultura comune e nelle legislazioni nazionali, come anche negli organismi dell’Onu e della Comunità Europea, prevale l’egoismo dell’individuo, com’è possibile pensare che poi, nell’accoglienza del più povero e del diverso, quest’uomo egoista diventi altruista?

Tra opere sociali e difesa della vita non esiste alcuna contraddizione, ma anzi c’è un’integrazione vicendevole, si richiamano a vicenda, l’una non sta senza l’altra. La protesta per la fame nel mondo e per l’aborto hanno eguale significato e valore di difesa della vita. Ma i No Global anche cattolici hanno fatto molte proteste contro la fame, nessuna contro gli aborti, nessuna contro le coppie di fatto, i divorzi, le separazioni, i matrimoni tra gay! Accettiamo tranquillamente che in queste situazioni vinca l’egoismo umano e poi chiediamo che nella lotta contro la fame nel mondo prevalga l’altruismo. Dov’è la logica?

Nel suo discorso a Todi, il card. Bagnasco ha parlato dei “principi irrinunciabili” e ha detto: «Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nel momento di maggior fragilità. Ogni altro valore necessario al bene della persona e della società, infatti, germoglia e prende linfa dai primi, mentre, staccati dall’accoglienza in radice della vita, potremmo dire della “vita nuda”, i valori sociali inaridiscono. “Ecco perchè – continua il presidente della CEI - nel “corpus” del bene comune non vi è un groviglio di equivalenze valoriali da scegliere a piacimento, ma esiste un ordine e una gerarchia costitutiva. Nella coscienza universale, sancita dalle Carte costituzionali, è espressa una acquisita sensibilità verso i più poveri e deboli della famiglia umana, e quindi è affermato il dovere di mettere in atto ogni efficace misura di difesa, sostegno e promozione…. Ma, ci chiediamo, chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto (alla vita)? Vittime invisibili, ma reali! La presa in carico dei più poveri e indifesi non esprime forse il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento? E non modella la forma di pensare e di agire – il costume – di un popolo, il suo modo di rapportarsi nel proprio interno? Questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti propri dei singoli, ma anche della società e dello Stato, manifesta il livello di umanità o, per contro, di cinismo paludato di un popolo, di una Nazione».

Insomma, se si concepisce l’uomo in modo individualistico, come oggi si tende a fare, come si potrà costruire una comunità solidale dove si chiede il dono e il sacrificio di sé? Quando si sfascia la famiglia, si dissolve anche la società, come purtroppo stiamo sperimentando in Italia. Non si capisce come mai una verità così evidente è snobbata da chi appoggia altri tipi di famiglia (tra i gay ad esempio) e toglie ai coniugi lo stimolo di un patto d’amore da consacrare di fronte alla società col matrimonio, favorendo le coppie che si uniscono e si separano liberamente con il divorzio, le separazioni e ormai il “divorzio rapido” della Spagna di Zapatero che si realizza in 15 giorni. Leggi come queste favoriscono l’egoismo individuale, ma disgregano la società. Il credente in Cristo non può sostenerle.

Postato da: giacabi a 13:00 | link | commenti
laicismo, aborto, gheddo

martedì, 01 novembre 2011

L'IMBROGLIO DELLE BANCHE
 
 
 
 
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Postato da: giacabi a 13:48 | link | commenti
nichilismo, laicismo

domenica, 04 settembre 2011


Prefazione del Card. J. Ratzinger a:
M. Schooyans,
Nuovo disordine mondiale.
La grande trappola per ridurre il numero
dei commensali
alla tavola dell’umanità
,

Ed. San Paolo 2000.



Sin dagli inizi dell'Illuminismo, la fede nel progresso ha sempre messo da parte l'escatologia cristiana, finendo di fatto per sostituirla completamente.
La promessa di felicità non è più legata all'aldilà, bensì a questo mondo.
Emblematico della tendenza dell'uomo moderno è l'atteggiamento di Albert Camus, il quale alle parole di Cristo "il mio regno non è di questo mondo" oppone con risolutezza l'affermazione "il mio regno è di questo mondo".

Nel XIX secolo, la fede nel progresso era ancora un generico ottimismo che si aspettava dalla marcia trionfale delle scienze un progressivo miglioramento della condizione del mondo e l'approssimarsi, sempre più incalzante, di una specie di paradiso; nel XX secolo, questa stessa fede ha assunto una connotazione politica.
Da una parte, ci sono stati i sistemi di orientamento marxista che promettevano all'uomo di raggiungere il regno desiderato tramite la politica proposta dalla loro ideologia: un tentativo che è fallito in maniera clamorosa.
Dall'altra, ci sono i tentativi di costruire il futuro attingendo, in maniera più o meno profonda, alle fonti delle tradizioni liberali.

Questi tentativi stanno assumendo una configurazione sempre più definita, che va sotto il nome di Nuovo Ordine Mondiale; trovano espressione sempre più evidente nell'ONU e nelle sue Conferenze internazionali, in particolare quelle del Cairo e di Pechino, che nelle loro proposte di vie per arrivare a condizioni di vita diverse, lasciano trasparire una vera e propria filosofia dell'uomo nuovo e del mondo nuovo.
Una filosofia di questo tipo non ha più la carica utopica che caratterizzava il sogno marxista; essa è al contrario molto realistica, in quanto fissa i limiti del benessere, ricercato a partire dai limiti dei mezzi disponibili per raggiungerlo e raccomanda, per esempio, senza per questo cercare di giustificarsi, di non preoccuparsi della cura di coloro che non sono più produttivi o che non possono più sperare in una determinata qualità della vita.
Questa filosofia, inoltre, non si aspetta più che gli uomini, abituatisi oramai alla ricchezza e al benessere, siano pronti a fare i sacrifici necessari per raggiungere un benessere generale, bensì propone delle strategie per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell'umanità, affinchè non venga intaccata la pretesa felicità che taluni hanno raggiunto.

La peculiarità di questa nuova antropologia, che dovrebbe costituire la base del Nuovo Ordine Mondiale, diventa palese soprattutto nell'immagine della donna, nell'ideologia dell' "Women's empowerment", nata dalla conferenza di Pechino.
Scopo di questa ideologia è l'autorealizzazione della donna: principali ostacoli che si frappongono tra lei e la sua autorealizzazione sono però la famiglia e la maternità. Per questo, la donna deve essere liberata, in modo particolare, da ciò che la caratterizza, vale a dire dalla sua specificità femminile. Quest'ultima viene chiamata ad annullarsi di fronte ad una "Gender equity and equality", di fronte ad un essere umano indistinto ed uniforme, nella vita del quale la sessualità non ha altro senso se non quello di una droga voluttuosa, di cui sì può far uso senza alcun criterio.

Nella paura della maternità che si è impadronita di una gran parte dei nostri contemporanei entra sicuramente in gioco anche qualcosa di ancora più profondo: l'altro è sempre, in fin dei conti, un antagonista che ci priva di una parte di vita, una minaccia per il nostro io e per il nostro libero sviluppo.
Al giorno d'oggi, non esiste più una "filosofia dell'amore", bensì solamente una "filosofia dell'egoismo".
Il fatto che ognuno di noi possa arricchirsi semplicemente nel dono di se stesso, che possa ritrovarsi proprio a partire dall'altro e attraverso l'essere per l'altro, tutto ciò viene rifiutato come un'illusione idealista. E proprio in questo che l'uomo viene ingannato. In effetti, nel momento in cui gli viene sconsigliato di amare, gli viene sconsigliato, in ultima analisi, di essere uomo.

Per questo motivo, a questo punto dello sviluppo della nuova immagine di un mondo nuovo, il cristiano - non solo lui, ma comunque lui prima di altri - ha il dovere di protestare.
Bisogna ringraziare Michel Schooyans per aver energicamente dato voce, in questo libro, alla necessaria protesta.
Schooyans ci mostra come la concezione dei diritti dell'uomo che caratterizza l'epoca moderna, e che è così importante e così positiva sotto numerosi aspetti, risenta sin dalla sua nascita del fatto di essere fondata unicamente sull'uomo e di conseguenza sulla sua capacità e volontà di far si che questi diritti vengano universalmente riconosciuti.

All'inizio, il riflesso della luminosa immagine cristiana dell'uomo ha protetto l'universalità dei diritti; ora, man mano che questa immagine viene meno, nascono nuovi interrogativi.
Come possono essere rispettati e promossi i diritti dei più poveri quando il nostro concetto di uomo si fonda così spesso, come dice l'autore, "sulla gelosia, l'angoscia, la paura e persino l'odio"? "Come può un'ideologia lugubre, che raccomanda la sterilizzazione, l'aborto, la contraccezione sistematica e persino l'eutanasia come prezzo di un pansessualismo sfrenato, restituire agli uomini la gioia di vivere e la gioia di amare?" (capitolo VI).

È a questo punto che deve emergere chiaramente ciò che di positivo il cristiano può offrire nella lotta per la storia futura.
Non è infatti sufficiente che egli opponga l'escatologia all'ideologia che è alla base delle costruzioni "postmoderne" dell'avvenire.
È ovvio che deve fare anche questo, e deve farlo in maniera risoluta: a questo riguardo, infatti, la voce dei cristiani si è fatta negli ultimi decenni sicuramente troppo debole e troppo timida.
L'uomo, nella sua vita terrena, è "una canna al vento" che rimane priva di significato se distoglie lo sguardo dalla vita eterna.
Lo stesso vale per la storia nel complesso.
In questo senso, il richiamo alla vita eterna, se fatto in maniera corretta, non si presenta mai come una fuga. Esso da semplicemente all'esistenza terrena la sua responsabilità, la sua grandezza e la sua dignità. Tuttavia, queste ripercussioni sul "significato della vita terrena" devono essere articolate.

E' chiaro che la storia non deve mai essere semplicemente ridotta al silenzio: non è possibile, non è permesso ridurre al silenzio la libertà. E’ l'illusione delle utopie.
Non si può imporre al domani modelli di oggi, che domani saranno i modelli di ieri.
È tuttavia necessario gettare le basi di un cammino verso il futuro, di un superamento comune delle nuove sfide lanciate dalla storia.
Nella seconda e terza parte del suo libro, Michel Schooyans fa proprio questo: in contrasto con la nuova antropologia, propone innanzitutto i tratti fondamentali dell'immagine cristiana dell'uomo, per applicarli poi in maniera concreta ai grandi problemi del futuro ordine mondiale (in modo particolare nei capitoli X-XII).
Fornisce in questo modo un contenuto concreto, politicamente realistico e realizzabile, all'idea, così spesso espressa dal Papa, di una "civiltà dell'amore".

Per questo, il libro di Michel Schooyans entra nel vivo delle grandi sfide del presente momento storico con vivacità e grande competenza.
C'è da sperare che molte persone di diversi orientamenti lo leggano, che esso susciti una vivace discussione, contribuendo in questo modo a preparare il futuro sulla base di modelli degni della dignità dell'uomo e capaci di assicurare anche la dignità di coloro che non sono in grado di difendersi da soli.

Roma, 25 aprile 1997
+ Joseph Card. Ratzinger


Postato da: giacabi a 08:59 | link | commenti
laicismo, benedettoxvi

venerdì, 19 agosto 2011

IL RISANAMENTO MORALE
NON DALLO STATO MA DALLA CULTURA CRISTIANA
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«È una vecchia dottrina quella dello Stato amorale: Machiavelli e Hobbes credettero di leggerla nella realtà e la maggior parte degli uomini politici operano secondo essa, anche senza riconoscervisi del tutto. Per lungo tempo l'amoralità politica trovò un contrappeso nell'idea cristiana. Quanto più forti furono i mezzi di dominio e la giurisdizione dell'attività dello Stato, tanto più pericolosa fu quella dottrina. Lo Stato che si eleva a norma di tutte le cose e nello stesso tempo proclama il carattere amorale della sua politica è il meno indicato alla guida etica di un popolo. Quando lo Stato pretende di essere al dei sopra della morale dichiara l'ambito della sua azione come fonte del male e formalmente attira lo scatenarsi della malvagità umana, sempre uguale a se stessa. È mia intima convinzione che la dottrina dello Stato amorale costituisce una ferita aperta nel corpo della nostra cultura. Una ferita che fa incancrenire il corpo».
«Se il risanamento morale della cultura non possiamo attenderlo dallo Stato come tale, di dove potrebbe venire? Potrebbe evidentemente avere inizio dalla diffusione di una genuina, profonda fede, da una pura e viva fede. Da lì potrebbe prender le mosse la semplificazione della cultura, che ci sembra sempre più indispensabile, e il suo radicarsi consapevolmente nei fondamenti della nostra via spirituale.
Per l'Occidente questa fede non potrebbe essere che quella cristiana. La nostra cultura, nonostante ogni apostasia e ogni rinnegamento, è cultura cristiana. La concezione cristiana del mondo rimane l'atmosfera di vita di tutti i popoli dell'Occidente. Coloro che, senza un'appartenenza confessionale o un'esplicita concezione filosofica del mondo e della vita, percorsero per un tratto più di una via del pensiero, trovarono, alla fine dei loro percorsi, che la più adeguata espressione del rapporto umano con la realtà sta nell'etica cristiana e nei fondamentali concetti religiosi della grazia e della redenzione. E, se anche ciò fosse per alcuni soltanto un presentimento e una speranza, ciò basterebbe a conferire alla loro vita dignità e valore».

Huizinga  "L'uomo e la cultura", 

Postato da: giacabi a 17:42 | link | commenti
laicismo

mercoledì, 17 agosto 2011

Il veleno del soggettivismo
***

Una causa di miseria e di vizio è sempre  presente in noi, nell’avidità e nell’orgoglio dell’uomo, ma in certe epoche storiche questa viene molto accresciuta dalla prevalenza temporanea di qualche falsa filosofia. Il pensare corretto non rende buoni gli uomini cattivi; ma un errore puramente teorico può rimuovere le restrizioni ordinarie verso il male e privare la buona volontà del suo supporto naturale. Un errore di questo tipo si sta diffondendo oggi. Non mi riferisco alle filosofie della forza degli stati totalitari, ma a qualcosa di più profondo e diffuso e che ha veramente dato a queste filosofie della forza il loro momento d’oro. Mi riferisco al soggettivismo.
Dopo aver studiato il suo ambiente, l’uomo ha incominciato a guardare dentro di sé. Fino a quel momento egli aveva accettato la sua ragione e attraverso essa vedeva tutte le altre cose. Ora la sua ragione è diventata l’oggetto: è come se ci togliessimo gli occhi per osservarli. Studiata così, la ragione gli appare come un epifenomeno che accompagna gli eventi chimici o elettrici in una corteccia cerebrale che è di per sé un sottoprodotto di un cieco processo evolutivo.
La sua logica, fino a quel momento la regina a cui gli eventi di tutti i mondi possibili dovevano obbedire, diventa puramente soggettiva. Non vi è ragione per ritenere che sia una via per la verità. Fino a quando questo declassamento si limita alla sola ragione teorica, non può essere percepito in tutta la sua logica (nella maniera forte e risoluta di Platone o Spinoza) perfino per dimostrare che è puramente soggettiva, e quindi può solo avvicinarsi al soggettivismo. È pur vero che questo avvicinamento a volte è notevole.
Mi dicono che vi sono scienziati moderni che hanno eliminato le parole “verità” e “realtà” dal loro vocabolario e che ritengono che l’unico scopo della loro attività non sia la conoscenza di ciò che c’è, ma il raggiungimento di risultati puramente pratici. Il soggettivismo è però, in generale, un compagno molto scomodo per la ricerca, tanto che il pericolo, in questo ambito, viene di continuo neutralizzato.
Ma quando ci rivolgiamo alla ragion pratica troviamo che gli  effetti disastrosi sono operanti in tutta la loro forza. Per ragione pratica intendo i nostri giudizi sul bene e sul male. Se siete sorpresi del fatto che io li includa sotto la fattispecie della ragione, lasciatemi ricordare che la vostra sorpresa è di per sé un risultato del soggettivismo che sto analizzando.
Nessun pensatore di rango, fino ai tempi moderni, osò mettere in discussione il fatto che i nostri giudizi sui valori fossero giudizi razionali o che ciò che essi scoprivano fosse oggettivo. Era considerato scontato che, nelle tentazioni, la passione si opponesse alla ragione e non al sentimento. Pensavano così Platone, e poi Aristotele, Hooker, Butler e Johnson.
Il punto di vista moderno è  radicalmente cambiato. Non crede che i giudizi sui valori siano veri giudizi. Sono sentimenti, o complessi, o inclinazioni, prodotti da una comunità attraverso l’influenza dell’ambiente e delle tradizioni, e diversi a seconda delle realtà sociali. Dire che qualcosa è buono significa esprimere un sentimento in merito, e il nostro sentimento in merito è condizionato dalla società in cui viviamo. Se è così, allora noi potremmo essere stati condizionati a sentire diversamente. “Forse” pensa il riformatore o l’esperto in pedagogia, “sarebbe meglio che lo fossimo. Cerchiamo di migliorare la nostra moralità”.
Da questa idea apparentemente innocua deriva il germe che, se non viene eliminato, porterà la nostra specie all’estinzione (e, dal mio punto di vista, rovinerà le nostre anime): è quella superstizione fatale che ritiene che gli uomini possano creare valori, che una comunità possa scegliere un’ideologia, come la gente sceglie i vestiti. Tutti si indignano quando i tedeschi definiscono la giustizia come ciò che obbedisce all’interesse del Terzo Reich. Ma spesso si dimentica che è un interesse del tutto senza fondamento se noi stessi consideriamo la moralità come un sentimento soggettivo che può variare a nostro piacimento.
A meno che non vi sia un parametro oggettivo di ciò che è bene, che sovrasta i tedeschi, i giapponesi e noi, sia se lo osserviamo o no, allora è naturale che i tedeschi possano creare la loro ideologia, tanto quanto la possiamo creare noi. Se il “bene” e il “meglio” sono termini che derivano unicamente dalle ideologie dei singoli popoli, allora è certo che non si può dire che un’ideologia sia migliore di un’altra. A meno che il metro di misurazione sia indipendente dalle cose da misurare, non si può fare nessuna misurazione. Per la stessa ragione è inutile paragonare le idee morali delle diverse epoche: il progresso e la decadenza sono ugualmente concetti senza senso.
Tutto questo è così ovvio che potrebbe venire sintetizzato in poche parole. Ma non viene colto con molta facilità se si pensa ai metodi del riformatore della morale che, dopo aver sostenuto che il “bene” è sinonimo di “ciò da cui siamo condizionati”, sostiene senza difficoltà che forse sarebbe “meglio” se noi venissimo condizionati da qualcos’altro. Ma che cosa mai intende per “migliorare”?
Di solito, nei meandri della sua mente, troviamo la convinzione che se si eliminano i giudizi morali tradizionali, si troverà qualcos’altro, qualcosa di più “reale” e “concreto” su cui basare un nuovo schema di valori. Dirà, per esempio, che “dobbiamo abbandonare i tabù e fondare i nostri valori sul bene della comunità”, quasi che la massima “Dovrai promuovere il bene della comunità” fosse qualcosa di più di una variante polisillabica del motto eterno che si pretenderebbe sostituire, ossia: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12).
Oppure si sforzerà di basare i suoi valori sulla biologia, dicendoci di comportarci in un certo modo per preservare la specie. In apparenza non anticipa l’interrogativo del perché la specie dovrebbe essere preservata. Lo considera scontato in quanto in realtà si riferisce alla moralità tradizionale. Se partisse, come pretende, da una tabula rasa, non arriverebbe mai a quel concetto. A volte cerca di giustificarsi basandosi sull’istinto, a scapito di tutti gli altri impulsi che vanno in direzione contraria rispetto alla preservazione della specie? Il riformatore sa che qualche istinto è più importante degli altri solo perché giudica basandosi su uno standard, il quale altro non è, ancora una volta, se non la morale tradizionale che pretende di rimpiazzare.
È ovvio che gli istinti, di per sé, non possono fornirci un fondamento su cui stabilire una gerarchia. Se non si ha già una conoscenza della loro rispettiva importanza mentre li si studia, non si può far derivare tale sapere da loro. Questo tentativo complessivo di gettare a mare la morale tradizionale considerandola qualcosa di soggettivo e sostituirla con un nuovo sistema di valori è sbagliato. È come cercare di sollevarsi facendo leva sul proprio bavero della giacca.

da C.S. Lewis, Riflessioni cristiane, Gribaudi, Torino, 1997, pp.105-108

Postato da: giacabi a 14:33 | link | commenti
laicismo, lewis

venerdì, 29 luglio 2011

l Cristianesimo non ha mai detto:
“Anzitutto amatevi”
(Parte 1)

I cattolicucci alla chitarra. Il Dio veltronizzato. La nevrosi del sentimentalismo applicata al cristianesimo. Dall’eresia luterana della salvezza per “sola fide” a quella dei buonisti della salvezza per solo “amore”. Eppure la chiesa primitiva alla quale si appellano non ha mai detto in primis amiamoci come fratelli. Cristo ridotto a un bonzo. Non criticano il fatto che la Chiesa ha la morale che ha: contestano che ne abbia una.

di Antonio Margheriti Mastino,
da
Papale Papale (14/06/2011)



IL SOLITO CATTOLICUCCIO (ALLA CHITARRA) DA SACRESTIA
Spesso per vedere a che punto è la notte, basta guardare i commenti dei “cattolici” su internet quando si è verificato un evento controverso, specie quegli eventi che vanno a toccare la morale cattolica. Che molti, troppi, tutti non sanno che non è affatto un’opinione variabile come il tempo, ma al contrario è infallibilmente e immutabilmente espressa dal Magistero. Cioè è prodotto purissimo di tutta la ininterrotta millenaria sapienza cristiana e successione apostolica, con tanto di giustificazione nella Scrittura e Tradizione.

L’altro ieri il caso Eluana e l’eutanasia; ieri Malta e il divorzio; oggi il blasfemo gaypride di Roma fuoriosamente anticattolico; e tutti gli altri giorni messi assieme aborto per tutti e ovunque. Chi vuol esser lieto lieto sia… A ognuna di queste cose viene affibbiata sempre l’etichetta DOC del buonismo: quella della giustificazione per amoreee, o del si ami purchessia.

Qualunque di questi eventi accada, dinanzi alle doverose stigmatizzazioni dei cattolici che un po’ di dottrina e comandamenti li han mandati a memoria, comparirà immancabilmente il commento del cattolicuccio da sacrestia online che dirà, come oggi: “A me è stato insegnato di non giudicare, di non scagliare pietre e di pensare che tutti gli uomini sono uguali e fratelli perchè figli di Dio… mi è stato insegnato che bisogna sempre voler bene e che non bisogna mai spargere odio… altro non so dire”.

Hai detto pure troppo.

DAL “SOLA FIDE” DEL DIO LUTERANO, AL SOLO “AMORE” DEL DIO VELTRONIZZATO
“Tanto Dio ci ama tutti”. I guai iniziano proprio da questo momento. Qui chi si è dimenticato la differenza fra peccato e peccatore, paradossalmente non sono tanto (i pochi) cattolici intransigenti, forcaioli nominali: se l’è dimenticata chi questo assioma lo sbandiera da mezzo secolo, i cattolici nominali dai buoni sentimenti, i cattolici alla chitarra. Assioma che ormai è diventato il richiamo della foresta, la grande giustificazione di massa a ogni licenza e orrore: siamo all’ognuno faccia come gli pare ché ci si salva tutti ugualmente perchè tanto Dio “ci ama”… e insomma, capirà!

Se Lutero, artefice della Prima Rivoluzione (quella protestante), aveva escogitato l’eresia del “ci si salva per sola fide”, la nuova eresia strisciante seguita alla fase finale della Quarta e ultima Rivoluzione (quella radical-sessuale iniziata dal ’68), è: “ci si salva per solo amore”. Giustificazione per fede e giustificazione per amore. Qui pure: “amore” di Dio verso di noi, non amore nostro verso di Lui.

Veramente, pure a leggere e rileggere le Scritture, mettendoci anche la buona volontà, tutto questo non risulta da nessuna parte. Anzi, le parole che vengono usate nelle Scritture contro l’omicidio e la sodomia, per dirne alcune, sono spaventose. Dov’è allora questo Dio veltronizzato? Io vedo un Dio che persino nell’Apocalisse si abbatte come una folgore con parole terrificanti non solo sugli assassini, i ladri, i pervertiti, gli idolatri, ma anche su quella categoria che può sembrare la più incolpevole, la meno imputabile, quelli che, ok, non han fatto niente di male ma neppure il bene, quelli che appunto ad evitar di esacerbare animi hanno rinunciato ad esprimersi, a dire sì o no, per non turbare alcuno, non compromettere se stessi: oggi direbbero “per non spargere odio”. Come se a portare all’odio tanto temuto fosse la Verità e non invece la menzogna, o l’ammutolire dinanzi ad essa. Soggetti questi persino suscettibili di attirare la nostra simpatia, diciamocelo. Eppure questo Cristo veltronizzato dice tutt’altro: “A voi mediocri, a voi né caldi né freddi”, né carne né pesce, “a voi io vi vomiterò dalla mia bocca”. È lo stesso Cristo che impugna lo scudiscio e caccia furibondo i mercanti dal Tempio. Chiametelo buonista!

Dice: Cristo non sarà buonista, ma è amore. Ci risiamo: si è smarrito da tempo qui, nella Chiesa più che mai, il senso proprio delle parole fin da sopra i pulpiti, a furia di sproloqui dolciastri e terapeutici, di fraseologia da telenovelas. Evidente che l’equivoco semantico genera mostri, tragici fraintentimenti con effetti catastrofici sull’orbe cattolico. È così che si confonde l’amore che è carità con lo psicologismo, i sentimenti col sentimentalismo, la misericordia con la condiscendenza, la bontà col buonismo, la libertà col libertinismo, appunto il peccato col peccatore, il pentimento con l’autogiustificazione, la concretezza del peccato soggettivo con l’astrattezza della colpa sociale. Alla fine col tutto uguale a tutto, il tutto che giustifica tutto, dunque, il colpo scuro finale, già denunciato dal cardinale Ratzinger nella Missa pro eligiendo romano pontifice, della “dittatura delle voglie”.

Quante volte nelle prediche alla messa della domenica abbiam visto la pretaglia triturare, macerare, rimpolpare i nostri maroni, e infine saltarci sopra con sadica gioia, blaterando per 40 minuti buoni (la consacrazione magari te la buttano lì in 30 secondi) in modo estenuante di amore amore amore e sociologici ricchi&poveriiiii? E ti accorgi anche tu che lo scadente oratore monomaniaco queste cose ormai le va ripetendo avendo perduto egli stesso il senso proprio e reale di quelle parole. Finchè qualcuno avvinto non cede prima all’apatia poi alla catalessi, infine allo stato soporifero e comatoso. Altri, come il sottoscritto, pur di non farsi nevrotizzare oltre, hanno preferito andarsene alle messe in rito antico ché li le prediche, se mai le fanno, durano 5 minuti e si attengono rigidamente alla dottrina, soprattutto non annoiano. Siamo giunti a questo punto: che ci sorprendiamo che in una predica si parli di Dio nudo e crudo, tanto da sembrarci una novità eclatante ciò che dovrebbe essere risaputo da almeno due millenni praticamente. Se non avessi la certezza dell’eternità della chiesa, direi che è alla frutta.

IL CRISTIANESIMO NON HA MAI DETTO “AMIAMOCI COME FRATELLI”
Ma cosa è questo maledetto “amore” odierno, il quale pare a tutto ci autorizzi? Ma davvero è l’amore di Cristo? Il discorso è lungo. Allora non potendo qui parlare di cos’è l’amore, limitiamoci a dire quel che non è. Non dovrebbe almeno.

E la prima cosa da dire è: l’amore non esiste. È una cazzata. Una superstizione. Un alibi. È letteratura. Una licenza ad uccidere sentendosi la coscienza apposto. Perché l’amore di Cristo non è l’amore del mondo.

L’amore del mondo. È per questo amore che è stato invocato l’aborto; per amore il divorzio e la distruzione della famiglia; per amore non ci si sposa più; per amore si è scambiato, e invocato, il sesso libero; per amore si sono inaugurate tutte le rivoluzioni; per amore che si acconsente all’eutanasia; per amore che si ribalta la stessa legge naturale un tempo rispettata pure dai pagani; per amore ci è imposta la dittatura dell’ideologia di genere e il culto dell’omosessualismo; per amore che si consegnano dei bambini innocenti a due papà o a due mamme; per il solo amore assistiamo a donne che si ingravidano da sole in laboratorio a 55 anni o altre che prestano uteri a bambini di nessuna madre e ignoto padre; per amore e solo per amore abbiamo inaugurato l’era della sessuomania di massa a tutti i costi; per amore si riduce la stessa Chiesa ad esser quel che non è mai stata, non è, mai dovrà essere; per amore che si giustifica ogni sacrilegio e ogni oscenità che coarta l’applauso del mondo; per amore ormai si tappa la bocca a chiunque non si rassegni a questo amoreggiare mondano, ossia a chi non la pensi come questi innamorati cronici: per amore si mette il mondo sottosopra e ciò che era sopra sta sotto e ciò che stava sotto è sopra.


Di nuovo: ma tutto questo che c’entra con l’Amore di Cristo? Questo amore mondano è il massimo capolavoro di Lucifero. È l’amore secondo lo spirito del mondo.

Taluni cattolici dai buoni sentimenti è circa mezzo secolo che invocano il ritorno all’amore fraterno dei primi tempi, come nella chiesa primitiva: non trovando rispondenze filologiche nell’attuale magistero, se le vanno a cercare in un fantomatico magistero “altro”, più puro, più essenziale, più vicino alla Verità, lontano nel tempo. E prendono un grande abbaglio. Non sanno che proprio quell’essenziale li spazzerebbe via in un nanosecondo, proprio loro. Non sanno neppure che quei primi tempi cristiani, furono anche i più controversi, lacerati da mille defezioni ed eresie le più tremende. Né sospettano quanto un insospettabile per antonomasia come il gesuita Carlo M. Martini, disse sapendo bene quel che diceva, quand’era ancora cattolico perché non era ancora arcivescovo di Milano: “Stiamoci attenti, perché non è mai esistito un cristianesimo primitivo che abbia affermato come primo messaggio amiamoci gli uni gli altri, siamo tutti fratelli, Dio è padre di tutti, impregnatevi per la pace e l’eguaglianza tra gli uomini e cose del genere”. L’essenziale era altrove: nel credere al fatto storico della morte e resurrezione di Cristo, accettare la Storia della Salvezza nel suo complesso. Il resto era solo moltiplicazione di pani e pesci.

L’eresia strisciante, che si manifestò sotto diverse forme, e nella chiesa primitiva e nell’Ottocento con rinnovato fulgore, specie ad opera di
Ernest Renan
, sibila tuttora. Ed è piuttosto pigramente assimilata nel bagaglio del cattolico medio e dai buoni sentimenti, in genere attivista politico, ecologista, sponsor dei “nuovi diritti”, dell’ecumenismo depravato facilone e liquidatorio ma tanto tanto buono da essere buonista. La teoria di Renan, del Cristo-bonzo, “saggio soave e incomparabile”, dunque. In altri termini: non più Dio, non più colui che è venuto a salvare dal peccato, morendo sulla croce e risorgendo. Ma il buon vecchio saggio amico Gesù: che fa niente se magari proprio Dio non è, se magari non è propriamente esistito, se è solo leggenda… ma è tanto simpatico lo stesso, così inoffensivo povero ragazzo, con tanti bei consigli per tutti sul come vivere sani e belli, fraternamente, amandoci liberamente. Qualcosa di molto simile a quel che il cardinale Ratzinger definì “l’autoerotismo buddista”. I cattolici dai buoni sentimenti, sono sempre in prima linea ormai nel difendere questo amore mondanissimo. E sempre più radicalmente anticristiano. E non sai mai se lo sanno oppure no. Nessuno al giorno d’oggi compie tante sanguinose apostasie quotidiane quanto i cattolici alla chitarra, da sacrestia, da Azione Cattolica, da partito democristiano. Non ci sono nemici più sordidi e pericolosi per la chiesa di loro, neppure fra i peggio radical-chic.

NON SIAMO CONTRO LA MORALE CATTOLICA. SIAMO CONTRO LA MORALE
Occorre ammetterlo. Forse per caso, forse per incantesimo, forse dopo lunghe operazioni a tavolino in tal senso, il liberalismo, persino il radicalismo alla fine si è fuso con una parte consistente del messaggio cristiano, neutralizzandolo.

In un primo tempo si era tentata la stessa operazione alchemica, in parte riuscita in parte abortita entro pochi anni, con le dottrine socialiste. Mostro che abortito o meno, ha lasciato comunque nel cattolicesimo i suoi strascichi virali; virus che poi sono mutati appunto da socialisti in liberal-radicali, e nell’ultima evoluzione con forti striature sincretistiche infettando la dottrina professata da tanti cattolici. Liberalismo, sincretismo, psicologismo, religione fai da te. Insomma far dire a un indeterminato Dio tutto privato e su misura di ciascuno ciò che più ci conviene. In genere quel che ricalca il nostro pensiero, che a sua volta altro non è che lo squallido riflesso della vita che abbiamo condotto. Come lasciare ai ladri riscrivere il codice penale alla voce “furto”.

Alla fine il messaggio che vien fuori da questa fusione a freddo fra cristianesimo e liberalismo, che neutralizza il primo elemento, è che si deve contestare non la morale cristiana nelle sue varie parti, ma proprio l’esistenza di una morale, cristiana o meno. Non deve proprio esisterne una. Il fatto che il cristianesimo ne ha una, questo lo rende doppiamente colpevole agli occhi di Sodoma e Gomorra. Soprattutto agli occhi del liberalismo, che è il massimo divinizzatore più che dell’uomo dell’individualismo, dell’opinione, della schiavitù irresolubile del secondo me, del metro del gusto personale per giudicare la giustezza e la liceità di ogni cosa. È giusto, ammissibile, lecito tutto quel che secondo me e per me lo è; è divino ciò che a me piace. La morale della barzelletta sta tutta qua. E non è una morale cristiana neppure se la osservi dal retto anale.

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giovedì, 28 luglio 2011

FEDE ASTRATTA E LAICISMO

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La religione non c'entra con la politica;
la religione non c'entra con l'educazione;
la religione non c'entra con l'industria, il commercio ed il lavoro;
la religione non c'entra con la scuola;
la religione non c'entra con l'arte ecc ...,
tutte queste frasi sono espressioni di dualismo,
di una rottura fra la fede e la vita, con le sue esigenze ed i suoi bisogni.
C'è una parola che indica questa concezione dell'uomo e della società,
in cui la fede è rotta, separata dalle esigenze della vita: si chiama laicismo.
Il secolarismo è la conseguenza del laicismo:
laddove la fede non è stata vissuta dentro le esigenze e le urgenze della vita,
allora la vita ha incominciato ad andare per suo conto,
e la fede è scivolata sempre più lontano, divenendo sempre più astratta.
(Luigi Giussani durante una conferenza presso la parrocchia di San Nicola a Milano, 10 ott 1985)

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venerdì, 06 maggio 2011

La “religiosità borghese”
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«Nietzsche ci ha avvertito da tempo che la morte di Dio è
perfettamente compatibile con una “religiosità borghese” [...]. Egli non
ha pensato neppure per un momento che la religione fosse finita. Ciò che
egli metteva in discussione è la capacità della religione di muovere la
persona [cioè di risvegliare l’io] e aprire la sua mente [...]. La religione
è divenuta un prodotto di consumo, una forma di intrattenimento tra le
altre, una fonte di conforto per i deboli [...] o una stazione di servizi
emotivi, destinata ad appagare alcuni bisogni irrazionali che essa è in
grado soddisfare meglio di ogni altra cosa.
Per quanto possa suonare
unilaterale, la diagnosi di Nietzsche colpiva nel segno».

E.L. Fortin, «The regime of Separatism: Theoretical Considerations on the Separation of Church
and State», in Id. Human Rights, Virtue, and the Common Good, U.S.A. 1996, p. 8.

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laicismo

martedì, 04 gennaio 2011

L'inesistenza dell'etica laica
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L'etica laica è fondata sull'utilità. Essere etici conviene, è utile. Conviene all'intera umanità, e quindi anche a ogni singolo individuo.
Eppure quel singolo individuo potrebbe chiedersi: Per quale motivo non dovrei agire direttamente per la mia utilità, per il mio interesse personale, anche se in contrasto con l'interesse dell'umanità?
Un'etica che si fonda sull'utilità è la negazione di se stessa. Semplicemente non esiste. 
Il laicismo, da sempre, maschera il proprio vuoto morale con un moralismo ipocrita, che si vanta di non avere certezze se non quella di essere onesto. Un moralismo che assume di volta in volta le forme dell'ambientalismo, del pacifismo o del giustizialismo, e che per convincere se stesso e gli altri di esistere ha bisogno di condannare. E di usare violenza.
La morale, quella vera, non si nutre di condanne, ma della Misericordia e dell'Amore di un Padre, se non ci fosse il quale non potremmo mai essere, come siamo, fratelli. 



    Giorgio Roversi     

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laicismo, bobbio

lunedì, 18 gennaio 2010

IL VALORE DELLA VITA UMANA NEL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II
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Nel Magistero dei suoi Pontefici la Chiesa esprime la sua fede e la sua testimonianza alla Verità di Cristo. Per questa ragione, l’autore della lettera agli Ebrei raccomanda ai suoi destinatari di vedere nella varietà delle persone che lo rappresentano, il Cristo che rimane sempre lo stesso: ieri, oggi e sempre, non lasciandosi così sviare da insegnamenti vaghi e peregrini (cfr. Ebr 13,8).
Ma è precisamente la permanenza della Verità di Cristo nella Chiesa ad esigere dai suoi Pastori di richiamare la coscienza dell’uomo soprattutto sulle verità evangeliche che, a seconda delle situazioni, sono maggiormente contestate. Ed è fuori dubbio che oggi il valore della vita umana lo sia particolarmente. La testimonianza al Vangelo della vita è pertanto centrale nel Magistero di Giovanni Paolo II. Testimonianza che ha trovato il suo momento più alto e teologicamente più qualificato nella Lett. Enc. Evangelium Vitae del 25 marzo 1995. (da ora in poi EV).
1. La certezza di base
 Possiamo iniziare la nostra riflessione da un’affermazione di sconcertante semplicità, ma di decisiva importanza. Quale è la certezza di base, la radice più profonda della difesa della vita umana da parte del Magistero della Chiesa? La certezza che l’esistenza di ogni uomo è sempre e comunque un bene. Di fronte a una persona umana nessuno ha il diritto di dire: “è un male che tu ci sia!”. Al contrario, di fronte a qualsiasi persona ciascuno deve dire: “è un bene che tu ci sia!”. E’ la certezza, assoluta ed incondizionata, che “la vita è sempre un bene” (EV. 34,1).
 
La certezza della Chiesa si radica sull’affermazione che al principio di ogni esistenza umana c’è un atto di intelligenza e di libertà divine: c’è un atto creativo di Dio: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato (Ger. 1,5): l’esistenza di ogni individuo, fin dalle origini, è nel disegno di Dio” (EV. 44,3: sott. nel testo). La Chiesa esclama di fronte ad ogni essere umano vivente: “è un bene che tu ci sia, poiché Dio ti ha pensato e voluto (cioè creato)”. La difesa del valore di ogni vita umana è sempre implicata nella confessione del primo articolo della fede cristiana: Dio Creatore  e la Sua glorificazione (cfr. EV. 34 e 36).

2. Il «test» decisivo: la vita umana concepita non ancora nata
 La certezza del valore di ogni vita umana accompagna il Magistero di Giovanni Paolo II così costantemente, che è impossibile riassumerlo in poco spazio. Vorrei allora attirare l’attenzione soprattutto su un capitolo del suddetto Magistero: quello riguardante la vita umana già concepita e non ancora nata. La ragione di questa scelta sarà spiegata più avanti.
 La prima domanda che il Magistero di Giovanni Paolo II si pone è la seguente: quale è l’atto eticamente degno di dare origine ad una persona umana o - il che equivale - quando la persona umana è concepita in modo adeguato alla sua dignità? La seconda domanda è coerentemente correlativa alla prima: quando il valore della vita umana è negato nel suo stesso concepimento? Il Magistero di Giovanni Paolo II ha dunque il momento della proposta positiva, quindi di conseguenza diventa denuncia delle ferite inferte, già a questo livello originario, alla dignità della persona umana.
 
L’atto eticamente degno di dare origine ad una persona umana è l’atto sessuale coniugale. Si tratta di un’affermazione centrale nel Magistero del S. Padre. Dignità etica significa che solo l’atto coniugale ha in sé la capacità di istituire un rapporto col possibile concepito, adeguato alla dignità di questi. Quali sono le ragioni profonde di quest’affermazione? Ne troviamo diverse nel Magistero di Giovanni Paolo II. Mi limito alle due fondamentali, fra loro strettamente connesse.
La prima. L’atto di porre le condizioni del concepito di una nuova persona umana è una cooperazione con l’attività creativa di Dio (cfr. EV. 43 ad anche Es. ap. post-sinodale Familiaris consortio 28 e Lett. alle famiglie Gratissimum sane 9). Una cooperazione che deve essere la più simile possibile all’amore creativo di Dio. La seconda ragione è che, all’infuori di questo modo di porre le condizioni del concepimento della nuova persona, non esiste che la possibilità di un’azione di carattere tecnico che istituisce un rapporto ingiusto col concepito: possiamo produrre le cose, non le persone (cfr. Congregazione per la Dottrina delle Fede Istr. Donum vitae  22/02/87, soprattutto n. 4).
Dall’affermazione dottrinale, secondo la quale l’unica culla degna del concepimento di una persona è l’atto coniugale, deriva la conseguenza che ogni procedimento tecnico che si sostituisca all’atto coniugale nel porre le condizioni del concepimento, è da ritenersi moralmente illecito, in quanto non rispettoso della persona umana. Quando Giovanni Paolo II emise un giudizio negativo sulla fecondazione in vitro, ed allora era solo omologa, non mancò chi, anche fra cattolici, parlò di un “nuovo caso Galileo” che si poteva aprire; né mancò chi avrebbe preferito che il S. Padre si limitasse a dare orientamenti solo generali. Ma il futuro della procreatica, quello che oggi viviamo, ha dato ragione al Magistero pontificio. Certo può sembrare strano, ed a molti è sembrato e sembra tale, questo giudizio negativo: proprio in rapporto al valore della vita umana. Sembra logico che la difesa, così intransigente nel Magistero di Giovanni Paolo II, della vita umana e l’esaltazione del suo valore comporti l’accoglienza di procedimenti, i quali precisamente rendono possibile il sorgere di una nuova vita umana altrimenti impossibile: almeno all’interno di una coppia legittimamente sposata. Il punto è importante, perché ci aiuta a capire la vera, intima natura della testimonianza del S. Padre al valore della vita umana. Non si tratta, infatti, di una generica valutazione della vita, di una indistinta affermazione. E’ la vita della persona che è un valore etico, non la vita come tale. La vita di una pianta, di un animale non ha in sé alcuna preziosità di carattere propriamente etico, ma solo di carattere utilitaristico al servizio dell’uomo (cfr. EV 34,3), E’ la persona vivente il valore etico, poiché essa è la Gloria di Dio. C’è un abisso a separare la Chiesa dai movimenti ecologici, da questo punto di vista. La condanna dei procedimenti procreativi artificiali non è altro che l’affermazione della dignità della persona. Non ogni modo di dare origine alla vita è eticamente accettabile, così come non ogni modo di prolungarla comunque: è la «persona vivente» al centro delle preoccupazioni del Magistero, non in quanto vivente, ma in quanto persona.
E’ nella sua difesa che Giovanni Paolo II ha raggiunto, dal punto di vista della qualificazione teologica, il vertice del suo Magistero (cfr. EV
. 57,3).
3. Il delitto abominevole dell’aborto
 Durante gli ultimi trent’anni la legislazione permissiva dell’aborto è stata massicciamente promulgata: anche nei paesi di più lunga tradizione umanistica e cristiana. E’ difficile esprimere brevemente tutto il Magistero di Giovanni Paolo II su questo fatto, di incalcolabile portata. Mi limiterò all’essenziale accenno di alcuni temi che mi sembrano i più importanti.
 In primo luogo l’abdicazione da parte dello Stato di difendere quella persona umana, la persona umana già concepita e non ancora nata, è in realtà l’abdicazione dello Stato alla sua ragione d’essere stessa, nel piano della Provvidenza divina. In una parola: è l’abdicazione alla sua propria dignità. Rifiutando intatti la difesa a chi può far appello per essere rispettato unicamente alla sua appartenenza all’umanità, al fatto di essere una persona umana, ritenendo che questo non sia sufficiente per meritare un rispetto assoluto ed incondizionato, lo Stato diventa il garante dell’interesse dei più forti. Ed è in questo che ha perduto ogni sua dignità. In una parola: o la legge difende e promuove la dignità di ogni persona umana semplicemente perché tale o essa diventa l’espressione della volontà del più forte. Che sia una sola persona a promulgare tali leggi o che sia una maggioranza parlamentare è indifferente (cfr. EV 72).
 La difesa della vita concepita si inserisce pertanto nel contesto di un richiamo forte all’uomo di non tradire la propria identità, tradendo la propria coscienza morale. Mi spiego. La negazione del valore della vita umana, quale si ha nella legittimazione dell’aborto, è la corruzione totale della sorgente stessa del sociale umano. La prima originaria forma del sociale umano, cioè la società coniugale, si “supera”, si apre, costituendo così tutto il sociale umano nel suo germinare, quando la donna, per prima, si rende conto di aver concepito un uomo. (cfr. EV 43,3). Dal sociale duale (un uomo-una donna) si esce per aprirsi in un sociale che non ha limite. Se si legittima il principio secondo il quale il concepito è uomo perché la donna lo riconosce come tale e non il contrario, la donna riconosce il concepito come uomo perché tale egli è, per ciò stesso si legittima il principio che l’accesso all’umanità, alla dignità umana è condizionato dal consenso di un altro. Si legittima il principio che il sociale umano è posto in essere dalla convergenza degli interessi e non dalla partecipazione di tutti e ciascuno alla e nella stessa umanità. Si cambia la definizione stessa di «prossimità umana»: non «mio prossimo perché partecipe della stessa umanità», ma «mio prossimo perché non contrasta la mia utilità». Cioè: la fondazione ultima del sociale umano non è costituito dal legame nella stessa umanità, ma dalla contrattazione sugli interessi degli individui (cfr. EV 20).
 Posta alla base del sociale umano questa «ontologia» , il principio utilitarista e non la norma personalista ne diviene la base etica colla conseguenza che l’esistenza di chi non può, non ha la forza di difendere il proprio utile, viene inesorabilmente distrutto.
Alla radice di questa corruzione totale del sociale umano sta l’oscurarsi della verità sul bene nella nostra coscienza morale. Questa viene impedita di vedere in ogni persona umana qualcuno di incondizionato valore: impedita di vedere il bene morale come tale. Il bene morale infatti si mostra concretamente nella persona umana.
 Nel magistero di Giovanni Paolo II anche la difesa della vita umana contro i sacerdoti dell’idolo scienza al quale vorrebbero sacrificarla, usando embrioni umani per la ricerca scientifica, è sempre fatta nella luce abbagliante della certezza di fondo: l’esistenza di ogni uomo è sempre e comunque un bene inviolabile perché “nell’uomo risplende un riflesso della stessa realtà di Dio” (EV 34,2),

4. Nel cuore del dramma
 “Occorre giungere al cuore del dramma vissuto dall’uomo contemporaneo”: scrive il S. Padre (EV 21,1). Esso consiste nella «eclissi del senso di Dio e dell’uomo» (ivi).
 Spezzando il rapporto con Dio come ragione del proprio essere, l’uomo ha voluto fondarsi su se stesso: essere ragione lui stesso del proprio essere. Si deve notare che non stiamo parlando di quell’atto di libertà che è il peccato e che implica sempre una “aversio a Deo”. Stiamo parlando di un evento spirituale diverso, e più radicale e sconvolgente: voler essere se stesso, fondando se stesso su se stesso, e non più sulla Potenza che ci fonda. Sotto questo peso l’uomo è crollato ed è giunto ormai alla rassegnata noia di un esistere che non sa più donde viene e dove va: si accontenta solo di esserci. Il magistero di Giovanni Paolo II fa notare quasi ad ogni pagina che questa vicenda spirituale non poteva che generare una cultura di morte. Una cultura in cui si è giunti perfino ad “attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri” (EV 20,4). Le coordinate essenziali di questa cultura della morte sono due forme di disperazione. Una disperazione per ostinazione (Kierkegaard): non voler essere ciò che si è, cioè indegni della morte;  una disperazione per debolezza: non poter essere ciò che si è, e quindi chiamare la morte una conquista di civiltà (come si è fatto per l’aborto e si sta facendo per l’eutanasia).

Conclusione: il bacio della misericordia
 Non sono così grande!” sembra dire l’uomo di oggi alla Chiesa che gli annuncia il Vangelo della vita. L’uomo, si dice, non è assolutamente indegno della morte, e quindi non si può esigere che non sia violata la vita di nessuno in nessuna circostanza. E’ la disperazione per debolezza, appunto. Che cosa fa allora la Chiesa a questo uomo disperato più per debolezza che per ostinazione? Ciò che Cristo fece al grande Inquisitore, che pure rinfacciava a Cristo di nutrire troppa stima per l’uomo. Lo bacia col bacio che è la Misericordia di Dio, e per questo gli annuncia il Vangelo della vita.
Card. Caffarra
 


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nichilismo, laicismo, caffarra, giovanni paoloii

mercoledì, 14 ottobre 2009

La Spagna cattolica ha un nuovo araldo:
 Juan Manuel de Prada
***
Da scrittore affermato a strenuo apologeta della Chiesa e del papa, anche su "L'Osservatore Romano". La sua è una delle tante storie di conversione dall'incredulità alla fede cristiana, in Europa. Contro la "tirannia" progressista

di Sandro Magister

 

ROMA, 12 ottobre 2009 – È nelle librerie da alcuni giorni in Italia una raccolta di interviste con dei convertiti alla fede cattolica, alcuni di grande notorietà: dal francese Jean-Claude Guillebaud alla norvegese Janne Haaland Matlary, già viceministro degli esteri del suo paese ed autrice di libri tradotti in più lingue, uno dei quali con la prefazione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger.

La raccolta di interviste, edita da Lindau, ha per autore Lorenzo Fazzini e per titolo: "Nuovi cristiani d'Europa. Dieci storie di conversione tra fede e ragione".

Ma anche "L'Osservatore Romano", il giornale della Santa Sede, ha tra le sue firme di spicco un celebre convertito.

È lo scrittore spagnolo Juan Manuel de Prada, qui sopra fotografato con la copertina-manifesto del romanzo che nel 2003 ne consacrò definitivamente il successo: "La vida invisible".

De Prada, 39 anni, ha raccolto nel suo ultimo libro gli articoli "di battaglia" che egli ha scritto in difesa del cattolicesimo non solo sui giornali spagnoli "ABC" e "XL Semanal", ma anche su "L'Osservatore Romano", di cui è collaboratore dal 2007. In soli cinque mesi il libro è giunto in Spagna alla quinta edizione. Da un mese, de Prada è anche una delle voci principali di "Cope", la più importante radio cattolica spagnola.


Il 2 ottobre scorso "L'Osservatore Romano" ha tradotto e riprodotto la prefazione del libro. In essa, de Prada ricorda come e quando in lui "cambiò il corso della vita".

Era la primavera del 2005, erano i giorni della morte di Giovanni Paolo II. De Prada si trovava a Roma e "all'improvviso" volle aderire definitivamente a quella "vecchia libertà" che è il tesoro religioso e culturale della Chiesa cattolica: una libertà che è "l'antidoto contro tutte le tirannie del mondo".

Il libro, infatti, si intitola proprio così: "La nueva tiranía. El sentido común frente al Mátrix progre".

La "Matrice progressista" è il nome che de Prada dà al grande inganno che egli vede in opera nella cultura dominante in Europa: "Le dittature del passato reprimevano le libertà personali. Quelle moderne inducono l'uomo ad adorare se stesso e a negare così la sua natura".

E ancora scrive:

"La battaglia che oggi s'ingaggia tende a restituire agli uomini la loro autentica natura. Se si vincesse
– se la Matrice fosse disattivata – gli uomini scoprirebbero che non hanno bisogno di costruire torri per raggiungere il cielo, per il semplice motivo che il cielo è già dentro di loro, anche se la nuova tirannia cerca di strapparglielo".

Ecco qui di seguito la traduzione integrale – a cura de "L'Osservatore Romano" – della prefazione a "La nueva tiranía". Il testo originale è nell'edizione spagnola di questa stessa pagina di www.chiesa.

De Prada ha dedicato questo suo libro all'amico Giovanni Maria Vian, direttore del "giornale del papa".

__________



La matrice progressista della nuova tirannia


di Juan Manuel de Prada



"
Come si può parlare di 'nuova tirannia', quando mai prima d'ora gli uomini hanno goduto di tanta libertà e tanti diritti?", potrebbe chiedersi un lettore sprovveduto. Le tirannie classiche, in effetti, si caratterizzavano per il fatto di reprimere la libertà e negare i diritti. Gli uomini avevano coscienza di tale usurpazione perché, privati di qualcosa che apparteneva loro per natura, si sentivano sminuiti.

La nuova tirannia a cui ci riferiamo, invece, esalta l'uomo fino all'adorazione, dandogli l'opportunità di trasformare i propri interessi e i propri desideri in libertà e diritti, che però non sono più inerenti alla sua natura, ma diventano "gentili concessioni" di un potere che li consacra legalmente. E così, trasformato in un bambino che contempla i suoi capricci mentre vengono ingigantiti e soddisfatti, l'uomo del nostro tempo è più che mai ostaggio di istanze di potere che gli garantiscono il godimento di una libertà onnicomprensiva e diritti in continua espansione. Nelle tirannie classiche al suddito restava almeno la consolazione di sapersi oppresso da un potere che violentava la sua natura; chi è sottomesso a questa nuova tirannia non ha invece altra consolazione che la protezione dello stesso potere che lo ha innalzato sull'altare dell'adorazione. E così l'uomo è divenuto, senza neanche rendersene conto, uno strumento nelle mani di chi lo accudisce con minuziosa cura, come le formiche accudiscono i gorgoglioni prima di mungerli.

In cambio di queste "gentili concessioni", l'uomo accetta una visione egemonica del mondo che gli viene imposto e lo trasforma in oggetto d'ingegneria sociale. Chiameremo Matrice progressista questa visione egemonica: un miraggio, una grande illusione o trompe-l'oeil che viene accettata con spirito gregario. Chi osa mettere in dubbio il trompe-l'oeil è immediatamente raggiunto da anatemi, è considerato un reprobo o un blasfemo, un nemico dell'adorazione dell'uomo. La Matrice progressista, utilizzata dalla sinistra, è stata assimilata anche dalla destra, che ha rinunciato a dare battaglia laddove il confronto con l'avversario risulterebbe efficace e lusinghiero: nell'ambito dei principi. Nel suo claudicare, la destra si limita a introdurre varianti insignificanti nel funzionamento della grande macchina, ma non osa utilizzarne gli ingranaggi. Il che è come arare senza buoi.

La Matrice progressista è così diventata una specie di fede messianica; ha instaurato un nuovo ordine, ha imposto paradigmi culturali inattaccabili, ha stabilito una nuova antropologia che, promettendo all'uomo la liberazione finale, gli riserva solo il futuro suicidio. E contro questo nuovo ordine, si erge solo l'ordine religioso, che restituisce all'uomo la sua vera natura e gli propone una visione corretta del mondo che mina le fondamenta del trompe-l'oeil su cui poggia la nuova tirannia, dissolvendo le sue falsificazioni. Una visione che il potere combatte con grande sforzo, essendo l'ordine religioso l'unica fortezza che gli resta da espugnare prima che il suo trionfo sia completo.

Il laicismo rampante accusa la Chiesa di mischiarsi nella politica, adducendo a pretesto quella sentenza evangelica che sono soliti sbandierare quanti non leggono il Vangelo: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Ma, cos'è proprio di Cesare? Le cose temporali, le realtà terrene; ma non, naturalmente, i principi di ordine morale che nascono dalla stessa natura umana, non i fondamenti etici dell'ordine temporale. La nuova tirannia, tanto attenta a espandere le "libertà" dei suoi sudditi, nega alla Chiesa quella di giudicare la moralità delle azioni temporali, poiché sa che tale giudizio include un radicale sovvertimento del trompe-l'oeil su cui sui fonda la sua stessa esistenza. Il potere anela una Chiesa farisaica e corrotta che rinunci a restituire all'umanità la sua vera natura e accetti quel "mistero d'iniquità" che è l'adorazione dell'uomo; spera in una Chiesa posta in ginocchio dinanzi a Cesare, trasformata in quella "grande meretrice che fornica con i re della terra" di cui parla l'Apocalisse.

Oggi in Occidente si sta ingaggiando questo grande scontro, che la nuova tirannia maschera molto abilmente da "battaglia ideologica". Ma se questa fosse veramente una "battaglia ideologica", il potere non la considererebbe un sovvertimento; poiché l'ideologia è proprio il terreno fertile che favorisce il suo dominio, in quanto instaura una "demo-rissa", cioè una lotta "democratica" di tutti contro tutti, capace di trasformare gli uomini in bambini indispettiti che lottano per le loro "libertà" e i loro "diritti", così come i costruttori di Babele lottavano, in mezzo alla confusione, per erigere una torre che raggiungesse il cielo.

La battaglia che oggi s'ingaggia non è ideologica, ma antropologica, poiché tende a restituire agli uomini la loro autentica natura, permettendo loro di uscire dalla confusione babelica fomentata dall'ideologia, fino a raggiungere il cammino che conduce ai principi originali. Se si vincesse – se la Matrice fosse disattivata – gli uomini scoprirebbero che non hanno bisogno di costruire torri per raggiungere il cielo, per il semplice motivo che il cielo è già dentro di loro, anche se la nuova tirannia cerca di strapparglielo.

Gli articoli raccolti in questo volume sono bollettini di questa battaglia, emessi dalle tribune che benevolmente il giornale "ABC" e la rivista "XL Semanal" mi concedono ormai da più di 13 anni, e che "L'Osservatore Romano", "Capital" e "Padres y Colegios" hanno inaugurato da poco. Il lettore curioso constaterà che in questi "bollettini di battaglia" convivono la diatriba e l'introspezione, l'invettiva e l'elegia, la riflessione di indole politica e la divagazione artistica; troverà persino una selezione di cronache scritte
in una primavera romana che cambiò il corso della mia vita, poiché fu allora – nei giorni che seguirono la morte di Giovanni Paolo II – che aderii definitivamente alla "vecchia libertà", l'antidoto contro tutte le tirannie del mondo. In un'epoca di incertezze che lasciano l'uomo smarrito in un oceano d'inquietudini, Roma si erse dinanzi a me, all'improvviso, come uno scoglio di salvezza: non mi riferisco solo alla salvezza religiosa, ma anche a quella culturale, poiché considero la fede di Roma una fortezza che chiarisce i termini della nostra genealogia spirituale e ci difende dalle intemperie nelle quali vorrebbe gettarci la nuova tirannia. Rinnegare questo illimitato possesso equivale a firmare un atto di morte sociale; assumerlo come proprio non costituisce un atto di sottomissione, ma di orgogliosa e gioiosa libertà.

La rivoluzione eterna del cristianesimo consiste nel rivelarci il significato della vita, restituendoci la nostra natura; da questa scoperta nasce una gioia senza data di scadenza. Quando a questa gioia si aggiunge una minima sensibilità artistica, la vita diviene una festa dell'intelligenza. Scriveva Chesterton che la gioia, che è la piccola pubblicità del pagano, diveniva il gigantesco segreto del cristiano. Io, che sono un cristiano un po' impudico, ho cercato di rendere pubblico in questi articoli, o almeno di far intravedere, questo segreto gigantesco che m'invade e mi trascende.

Madrid, marzo 2009
da:www.chiesa.espressonline.it

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laicismo, cristianesimo

domenica, 03 maggio 2009

L'Italia tra la sfida islamica e la “dittatura del desiderio
di Domenico Bonvegna             ***da:  http://www.mascellaro.it
Quali sono le sfide che dovrebbero preoccupare maggiormente gli italiani? Alfredo Mantovano nel 1° Congresso Nazionale del PdL ha dedicato il suo intervento a due sfide, che il nostro Paese sta affrontando e sempre più dovrà affrontare: la prima è quella del fondamentalismo islamico provocata dall'immigrazione, più o meno selvaggia di migliaia di uomini e donne che per la loro cultura, la religione, creano problemi al nostro Paese.

Di fronte a questa sfida ci siamo noi, italiani, europei che abbiamo forti difficoltà a capire qual è la nostra
Identità, inoltre stiamo sempre più diventando un Paese di vecchi, non si fanno più figli e quindi, rischiamo seriamente di estinguerci. Non solo ma a causa della mentalità che abbiamo acquisito in questi ultimi decenni, che Mantovano chiama, dittatura del desiderio, siamo diventati amanti della morte e non della vita, è la seconda sfida.

La cosa grave è che questi problemi hanno poca cittadinanza nel dibattito politico odierno, nessuno escluso da quello locale a quello nazionale. Ho presente certi amministratori locali della mia provincia che si dimenano tra "salsicciate"e giornate varie, senza minimamente porsi altri problemi ben più gravi.

Mantovano utilizza due fotogrammi, inerenti a episodi accaduti nei primi tre mesi di quest'anno: il primo riguarda la preghiera islamica in
piazza Duomo a Milano, analogo episodio davanti al Colosseo a Roma, dove centinaia di musulmani hanno pregato occupando quei luoghi-simbolo del nostro paese. Attenzione, quella preghiera, sostiene Mantovano, non è l'esercizio di un diritto religioso e neanche una semplice provocazione e qualcosa di più e più grave di una manifestazione religiosa, si tratta di un blitz simbolico, per rivendicare come proprio un territorio che si trova in Occidente. E' la manifestazione di un Islam che non separa lo Stato dalla moschea, che rivendica l'islamizzazione di Milano, di Roma e dell'Italia. L'altro fotogramma riguarda un giovane figlio francese che teneva la madre morta in casa per ricevere la pensione e qui non si tratta di un espediente per truffare allo Stato la pensione della madre.

E' un'immagine coerente con l'Europa di oggi
che spesso preferisce vivere con i morti piuttosto che far nascere i bambini. Un'Europa che subisce una morte demografica, piuttosto che affrontare i problemi della vita.

Per Mantovano le immagini sono collegate e segnalano la difficoltà dell'Europa di capire qual'è la sua identità.
C'è un equivoco che va sciolto - afferma Mantovano - è che quando si parla di questi argomenti, il dibattito è bloccato su due posizioni, da un lato il Laicismo, dall'altro il fondamentalismo con la conclusione obbligatoria che se io non aderisco all'opzione laicista sono automaticamente schierato con le falangi del fondamentalismo e non importa la mia confessione religiosa di appartenenza.

In base a questo schema,
tra me e l'imam di viale Jenner concettualmente non c'é differenza. Invece le opzioni sono tre: certamente quella laicista, la fondamentalista (il radicalismo islamico) c'è una terza opzione quella dell' et et, coerente con la nostra tradizione italiana che non conosce una radicale separazione tra fede, cultura e politica, ma che coglie una opportuna distinzione, quella che è stata chiamata laicità positiva. In pratica esistono dei principi di diritto naturale riconoscibili da chiunque sui quali si fonda il nostro vivere occidentale. Questi principi, secondo Mantovano sono negati sia dal laicismo sia dal fondamentalismo.

Il sottosegretario ricorda che queste riflessioni non sono cose astratte, sono invece le questioni più importanti che toccano la vita, la morte, la sicurezza di ciascuno di noi, quelle della nostra vita quotidiana. I pericoli dell'opzione fondamentalista radicale, tutto sommato sono note, ma quelle laiciste si dimostrano contraddittorie e spesso sfociano anch'esse nel fondamentalismo.

Nella nostra società, per Mantovano, esiste una sorta di
Dittatura del desiderio, espressione di un fondamentalismo che è diventato un vero e proprio regime dittatoriale che agita il nostro vivere quotidiano. Voglio qualcosa, la tecnica mi deve procurare gli strumenti per attuarla a qualsiasi costo, anche della vita. La legge deve permetterlo, se non lo fa, diventa una legge oppressiva, dunque va cancellata, magari anche con il sostegno armato della Magistratura, com' è avvenuto con il caso Eluana.

"E' o non è espressione di fondamentalismo laicista questa rinuncia a guardare in faccia la realtà del continente in cui viviamo. Un continente che con l'attuale trend demografico nel giro di qualche decennio rischia di essere a maggioranza musulmana, - insiste Mantovano - rischia di far sì che quelle immagini davanti al duomo di Milano e davanti al Colosseo, diventino le immagini più normali.

Il diritto a morire diventa una sinistra rivendicazione, espressione di fondamentalismo laicista . Ma la morte non é un diritto, è un fatto, tragico. I diritti, che invece bisogna riconoscere sono quelli a non essere abbandonati, a non considerare rifiuti i disabili. Quando di fronte ad un capo di stato iraniano o un capo di Hezbollah che proclamano la distruzione di Israele, o quando sostengono che la sharia va applicata ovunque in modo letterale e rigoroso, non reagire, non è fondamentalismo laicista e multiculturalista. Quando ogni giorno le comunità che anche da noi si richiamano agli ordini della sharia soprattutto nei confronti delle donne, quando si uccide una donna di ventanni perché non vuole lasciare il fidanzato italiano.

Il risultato di questo fondamentalismo procura l'indebolimento della nostra identità, che non deve essere intesa come la porta blindata di casa nostra. Bisogna giocare in attacco, afferma Mantovano. Il PdL deve convincersi che vi è uno spazio pubblico della nostra vita civile e politica nel quale certi principi devono essere riconosciuti tutelati, rilanciati.

Riferendosi a una frase di Zapatero, l'onorevole conclude il suo intervento: "La Religione è il tabacco del popolo", è una frase che richiama a quella più celebre: "oppio del popolo", Zapatero la aggiorna in maniera più soft. Oggi il tabacco è escluso da qualsiasi spazio pubblico, Parlamento, scuole, ristoranti…Se qualcuno proprio vuole fumare deve farlo di nascosto, in luoghi appartati. Nell'ottica di Zapatero al tabacco bisogna sostituire la Religione intesa in quel senso ampio di principi oggettivi di diritto naturale, va trattata alla stessa maniera del tabacco, va tenuta a distanza dei luoghi pubblici, va etichettata come gravemente nociva alla salute, ne va vietata la vendita soprattutto ai minori. A questo punto si auspica che il PdL impedisca che la Legge Sirchia sia estesa a quei principi per i quali vale la pena lottare vivere e impostare l'impegno politico per questo nasce il PdL.
Domenico Bonvegna
domenicobonvegna[chiocciola]alice.it
Il Mascellaro.it
Grazie ad : anna vercors

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laicismo

lunedì, 23 marzo 2009

La “minaccia” della Chiesa cattolica e l’Aids
di Bernardo Cervellera

Il condom non risolve il flagello dell’Aids, anzi lo peggiora: lo dice il papa, ma anche la ricerca scientifica. I dati del Sud Africa, Uganda Thailandia, Filippine. Dietro gli attacchi al pontefice, la lobby neocoloniale della rivoluzione sessuale, portata avanti da frange dell’Onu e Ue.

Roma (AsiaNews) - “Non si può risolvere il flagello [dell’Aids] con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema”. Da giorni questa frase di Benedetto XVI viene accusata di insensibilità verso la tragica epidemia che colpisce molte parti del mondo, ma soprattutto l’Africa.
Il ministro olandese Bert Koenders ha detto che le parole del pontefice sono “estremamente pericolose e molto gravi” e che il papa “rende le cose più difficili”; il ministero francese degli esteri ha detto che i commenti di Benedetto XVI sono “una minaccia alla salute pubblica e al dovere di salvare vite umane”; il ministro tedesco della sanità ha giudicato “irresponsabile” il privare del preservativo  i “più poveri dei poveri”.
Tanto (falso) umanitarismo di rappresentanti di governi europei è anzitutto irrazionale e per nulla scientifico. La stessa agenzia Onu per la lotta all’Aids ha dovuto confessare – in uno studio del 2003 - che il condom fallisce in almeno il 10% dei casi. Altri studi dimostrano che le percentuali di fallimento nel fermare l’epidemia raggiungono anche il 50%. In Thailandia, il dott. Somchai Pinyopornpanich, vicedirettore generale del dipartimento per il controllo delle malattie a Bangkok, afferma che si ammala di Aids il 46,9% di uomini che usano il preservativo e il 39,1% delle donne.
Anche l’affermazione del papa che “il rischio è di aumentare il problema” è confermato dalle statistiche. Paesi come il Sud Africa, che hanno abbracciato in pieno la campagna sul “sesso sicuro” con l’uso del condom, sostenuta dall’Onu, l’Unione europea e varie organizzazioni non governative, hanno visto uno spaventoso incremento della diffusione dell’Aids. Al contrario, Paesi dove si spingeva alla responsabilità, all’astinenza e alla fedeltà, hanno visto una riduzione dell’epidemia.
Valga per tutti lo studio del dott. Edward Green del Centro sulla popolazione e lo sviluppo di Harvard che ha verificato il programma ABC (Abstinence; Be faithful; Condom, cioè astinenza, fedeltà, preservativo) applicato in Uganda dal 1986 e che, dal 1991, ha visto un declino delle infezioni dal 21% al 6%. Non va dimenticato che Green era un sostenitore del “sesso sicuro” con il condom e invece è divenuto un sostenitore dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.
Molti studi – anche quelli promossi dall’Onu – hanno dimostrato che le nazioni che più hanno fatto uso di preservativi sono pure quelli con le maggiori percentuali di infetti da Aids. Norman Hearst, medico ed epidemiologo dell’università della California, uno studioso del settore, ha ammesso una volta: “La promozione di condom in Africa è stata un disastro”.
E tanto per vedere la “pericolosità” dell’influenza cattolica sulla diffusione dell’Aids, basta citare il caso delle Filippine, Paese cattolico all’85% dove la percentuale di malati di Aids è dello 0,01%.
Lo stesso New York Times, che in questi giorni ha attaccato il papa per la sua frase “pericolosa”, ha dovuto ammettere la vittoria sull’Aids nelle Filippine, dovuta alla moralità tradizionale, basata sull’astinenza e sulla fedeltà. In un articolo del 20 aprile 2003 definiva l’arcipelago filippino come un luogo in cui “un bassissimo uso dei condom e una bassissima percentuale di infezioni da Hiv sembrano andare mano nella mano. Gli sforzi di prevenzione dell’Aids sono spesso focalizzati sull’uso del preservativo, ma qui non sono facilmente reperibili – e in maggioranza disprezzati – in questa nazione di cattolici conservatori”.
Davanti a tutti questi dati ci si può domandare come mai personalità dell’Onu, dell’Ue e organizzazioni “umanitarie” continuino a sbandierare la necessità dell’uso dei condom e bastonano la Chiesa cattolica per la sua sottolineatura sull’importanza dell’educazione, dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.
È possibile che lo facciano per guadagnare? Che abbiano tutti delle azioni nelle ditte che producono preservativi? Forse no. Credo che questo accanimento sul condom e contro la Chiesa cattolica e il papa siano solo un’ultima edizione di una forma di neocolonialismo. Anzitutto – come ha detto un missionario del Pime in Africa da decenni – si pensa che l’uomo africano non possa essere educato alla responsabilità e per questo ridurre il “sesso sicuro” alla tecnica è la risposta più facile.
E non bisogna dimenticare che eliminando la responsabilità e la fedeltà dal rapporto di coppia si spinge a un uso strumentale il corpo della donna africana, e non solo. Avviene così che i più accaniti femministi, sventolando i condom, divengano i propugnatori di un nuovo schiavismo.
Ma il neocolonialismo più pericoloso è quello di far passare con la lotta all’Aids una rivoluzione pansessuale, dove manchi qualunque riferimento ideale e rimangano ferme solo due cose: l’autonomia e il narcisismo della rivoluzione sessuale e la cura contro l’Aids. Da anni l’Onu e l’Ue stanno cercando di promuovere un documento chiamato “Linee guida sull’Aids e diritti umani” in cui si suggerisce che se in ogni nazione non si cambiano le leggi sulla sessualità, l’Aids non potrà essere sconfitto. Le “Linee guida internazionali” chiedono una completa libertà sessuale dove  vengano riformate le leggi che “proibiscono atti sessuali (compresi adulterio, sodomia, fornicazione e incontri di commercio sessuale) fra adulti consenzienti e in privato”, ma anche con minori (pedofilia). In tal modo le Linee guida salvano quegli atteggiamenti che sono causa della diffusione dell’Aids, ma si premuniscono chiedendo che ogni nazione metta a disposizione medicine e cure. Esse richiedono la legalizzazione internazionale del matrimonio omosessuale;  l’aborto possibile ovunque e per ogni donna; ma suggeriscono che contraccettivi, condom e cure anti-Aids siano distribuiti a tutti, anche a minori usati nel commercio sessuale, (cfr. http://data.unaids.org/Publications/IRC-pub07/jc1252-internguidelines_en.pdf).
La lotta mondiale all’Aids a colpi di condom è in realtà la lotta per questa ideologia.

 da: http://new.asianews.it/


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laicismo

domenica, 22 febbraio 2009

La vita per i disperati
***
"La vita è una malattia che si contrae con il rapporto sessuale ed è mortale al cento per cento".
grazie ad : Anna Vercors

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laicismo

lunedì, 22 dicembre 2008

SPAGNA/ La storia della “guerra” che la sinistra di Zapatero ha innescato alla ricerca del potere  *** 
Fernando De Haro mercoledì 17 dicembre 2008


Il filosofo Gustavo Bueno, che si dichiara ateo, sostiene che «è assurdo togliere i crocefissi». «Il crocefisso - afferma uno dei più autorevoli pensatori spagnoli - è un simbolo storico, teologico e artistico che fa parte della nostra cultura. Togliere il crocefisso è come togliersi un vestito. Chi sostiene questa battaglia manca di conoscenza. Basterebbe leggere Hegel, e non San Tommaso, per sapere che il crocefisso non si può togliere».

Il leader della scuola del materialismo filosofico ha anche sostenuto che «la Chiesa cattolica ha salvato la ragione nella storia dell’Europa. Di fronte all’Islam, che in realtà è un’eresia del cristianesimo, un’eresia ariana, e di fronte al gnosticismo, la Chiesa ha mantenuto i criteri della filosofia greca che ha incorporato nella teologia dogmatica».

Bueno ha inoltre assicurato che sono stati invertiti i termini: «La gente dice che non crede nella Chiesa, ma che crede in Dio. In verità la cosa è al contrario. Credere in Dio è qualcosa di metafisico, la Chiesa è qualcosa di storico. Bisogna stare nella realtà e sapere ciò che ha rappresentato la Chiesa nella storia».
Secondo Gustavo Bueno, in Spagna il potere ha indotto un conflitto tra la sinistra e la destra. «L’opposizione tra la sinistra e la destra è antecedente al XIX secolo. Non c’è tale distinzione in senso politico. La destra è divenuta socialista da molto tempo. Si è indirizzata alla questione sociale dai tempi di Maura e dopo ha proseguito con Primo de Rivera e Franco. La sinistra è rimasta senza programma».
«Dalla Transizione (periodo di passaggio dal regime franchista alla democrazia, ndr) e dalla Costituzione - ha detto ancora il filosofo - è stata superata la distinzione tra la sinistra e la destra. Ma dalla seconda vittoria di Aznar, quando la sinistra ha cominciato a temere di non tornare più al governo, ha reinventato il mito della destra e della sinistra, delle due Spagne di Machado (Poeta spagnolo che, con la proclamazione della Repubblica, parlò di una Spagna popolare viva e di una Spagna putrefatta legata al gesuitismo, ndr). In realtà si tratta di un meccanismo elettorale per identificare il Partito Popolare con Franco. È un conflitto indotto dal potere, che approfitta dell’ignoranza della gente che continua a leggere sempre meno».

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laicismo

domenica, 21 dicembre 2008

Mai più il Sacro Cuore
***
di Pierluigi Battista


Ipotesi: un mondo laico (e inaridito?) senza crocefissi e crocirosse. Senza natali nè ospedali. E privo di bestemmie, per non offendere certe dignità.

La rimozione dei crocifissi dalle pareti delle scuole e degli ospedali ha dato vita a una ammirevole opera di bonificazione di tutti quei simboli della prepotenza cristo-occidentale che avrebbero potuto offendere crudelmente la sensibilità delle sue molteplici vittime. Sono stati accolti con gioia e speranza i tecnici che hanno scalpellato dall'esterno dell'ateneo milanese la sfrontata scritta: Università Cattolica del Sacro Cuore.
Entusiasmo per la cancellazione in tutta Italia di ogni riferimento a quel Sacro Cuore che rischia, con la sua cruenta spudoratezza, di intimorire bambini e cardiopatici con sane tendenze ateistiche. I pittori che hanno dato una mano di bianco su quel simbolo arrogante della Croce Rossa che un tempo deturpava le fiancate delle nostre ambulanze hanno visto la loro laica opera accompagnata dalla commossa partecipazione della popolazione cristo-perseguitata.
Le mamme hanno accompagnato con trepidazione i loro figli all'ospedale finalmente liberato dalla provocatoria scritta Bambin Gesù così offensiva per la sensibilità multiculturale.
Squadre di volenterosi addetti alla tolleranza si sono sparpagliate in tutta Italia per liberare ogni ospedale, ogni sportello bancario, ogni ambulatorio dalla deplorevole dicitura Santo Spirito che avrebbe costretto il popolo pluri-culturale ad accettare la protervia di una imposizione così sorda ai progetti di inclusione. L'ospedale Fatebenefratelli non è stato ribattezzato (pardon, rinominato) Fatemalesorelle come era stato previsto da Marcello Veneziani su Libero, bensì ospedale Nazioni Unite.
I manuali di storia sono stati ripuliti di ogni riferimento alla datazione in auge nella dittatura cristiana: via ogni avanti Cristo e dopo Cristo. Nei bar i volontari della tolleranza, riconoscibili per una fascia la braccio con i colori dell'arcobaleno, impongono la nuova disciplina lessicale: non verranno più sopportate espressioni sfacciatamente clericali come "oh, Madonna mia", "Gesù, che è accaduto", "santa pazienza", "è stato un calvario",
"povero cristiano, che gli hanno fatto", "Parigi val bene una messa", "morto un papa se ne fa un altro".
Ogni bestemmia viene bandita, per non offendere la dignità del porco.
Il 25 dicembre viene celebrato come festa laica e democratica, con relativo divieto di presepi e alberi un tempo chiamati, perdonate la cruda franchezza, "di Natale". In una ex domenica (troppo esplicito il riferimento all'antistorico Dominus) della primavera le scuole celebreranno feste laiche, previa cancellazione di ogni allusione alla, perdonate ancora la cruda franchezza, Pasqua.
Particolare euforia ha provocato la demolizione e, dove non è stato possibile, la copertura di campanili e facciate di quelle che un tempo venivano definite, perdonate la cruda franchezza, chiese e che tanto deturpavano il nostro paesaggio multiculturale. Piazze e vie, viali e corsi sono stati liberati da riferimenti oramai obsoleti. Grande gioia per la liberazione di una piazza romana dedicata ai Santi Apostoli.
Non sono stati ancora svuotati i cassetti dai privati dai crocifissi, ma presto verrà attuata una radicale purificazione nelle singole case. Non si può pretendere che tutto venga realizzato, perdonate la cruda franchezza, in un amen.

© Copyright Corriere Magazine, 4 dicembre 2008


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laicismo

lunedì, 10 novembre 2008

Senza Dio non esiste morale ***
« Io credo di avergli fortemente provato che tutte le costruzioni di leggi morali e tutte le scrupolose onestà, quando negano un qualsiasi legislatore trascendente, sono a dir poco penosamente incoerenti ».
don Lorenzo Milani

Postato da: giacabi a 19:20 | link | commenti
dio, laicismo, don milani


Morte di Dio, morte dell'uomo
***
(..) Secondo una suddivisione oggi purtroppo accettata in tutto l'Occidente, la storia degli ultimi millecinquecento anni viene distinta in due parti. La prima, dalla fine dell'Impero Romano al Rinascimento, corrisponde ad un unico periodo, chiamato Medioevo, nel quale vengono fatti coesistere i secoli oscuri della prevalenza barbarica e i successivi secoli della Res Publica Christiana e del Sacro Romano Impero, gli unici, questi, in cui il cristianesimo ha permeato in qualche modo la vita della società. Si tratterebbe in sostanza di un unico periodo regressivo per l'umanità.

La seconda parte comincia con il Rinascimento, che rappresenta l'inizio dell'età moderna, o del progresso. In realtà nel Rinascimento ha avuto luogo la rinascita del paganesimo, non più però nella sua versione antica, che dava anche spazio a Dio, o almeno agli dei, tanto che Cicerone poteva scrivere:  “Apud nos omnia religione reguntur” (presso di noi tutto si regge sulla religione), e nel quale potevano comparire figure come Virgilio naturaliter christianus. Il nuovo paganesimo rinascimentale, invece, dopo aver conosciuto Cristo, lo respingeva: era dunque contro Cristo e contro Dio. Partendo appunto da lì si è arrivati nel nostro secolo alla proclamata “morte di Dio”, che costituisce il nucleo caratterizzante la filosofia laicista contemporanea.
Quella esclusione di Dio dalla vita concreta della società ha prodotto fin da subito frutti amari: anzitutto, durante lo stesso Rinascimento, ha prodotto un primo piccolo Hitler o Stalin, con il Duca Valentino, che è stato assunto da Macchiavelli come il modello della politica nuova e razionale, quella del fine che giustifica i mezzi. Non a caso ai nostri giorni Gramsci, fornendo il più moderno studio della politica preconizzata dal comunismo, ha dato al Partito il nome di “Nuovo Principe”.
Più tardi, un secondo frutto tipico dell'esclusione di Dio dalla società degli uomini è stato, durante la Rivoluzione francese, il tremendo massacro vandeano, che ha presentato caratteristiche di genocidio e di menzogna molto simili a quelle comparse poi su scala molto maggiore nel nostro secolo.
Infine il frutto maggiore, almeno fino ad oggi, è costituito appunto dalle stragi naziste e comuniste nel nostro secolo, che hanno comportato milioni e milioni di morti. La “morte di Dio”, infatti, comporta come stretta conseguenza la nullificazione dell'uomo. Di tutto questo la gente sa ben poco, perchè il nostro è il tempo delle mezze verità, cioè in conclusione della menzogna. (..)
  Eugenio Corti  da un'intervista a Tracce , maggio 1997

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illuminismo, laicismo

sabato, 18 ottobre 2008

l’uomo moderno
***
“Per l'uomo moderno, non esiste quasi altra regola di condotta che non sia quella del piacere. Ognuno si chiude nel proprio egoismo come il granchio nella sua corazza cercando, come quello, di divorare il proprio vicino. Le relazioni sociali elementari si sono profondamente modificate; la divisione regna ovunque; il matrimonio ha cessato di essere un legame permanente tra l'uomo e la donna. Al contempo, le condizioni materiali e psicologiche dell'esistenza moderna hanno creato il clima propizio alla disintegrazione della vita famigliare. Oggi i figli sono considerati un fastidio, se non una calamità. Si realizza così l'abbandono definitivo delle regole che, nel passato, gli uomini d'Occidente ebbero il coraggio e la saggezza di imporre al loro comportamento individuale e sociale.
Alexis Carrel Riflessioni sulla condotta della vita, ed. Cantagalli

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laicismo, carrel

giovedì, 04 settembre 2008

Lo pseudo progresso
 ***
Una nube pesava sulla mente degli uomini, e gemendo passava il vento:-sì,una nube malaticcia sull'anima quando eravamo giovani tutti e due.-La scienza proclamava il nulla l'arte ammirava la decadenza:- il mondo era vecchio e finito; ma tu ed io eravamo lieti.
-
Intorno a noi, grottesca schiera, strisciavano i suoi vizi deformi: la lussuria che non sapeva più ridere, la paura che non sapeva più la vergogna.
G.K. Chesterton, "L'uomo che fu giovedì"


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laicismo, chesterton

mercoledì, 23 luglio 2008

Una persona moderna senza fede è alla deriva ***
Una persona moderna senza fede è alla deriva in un cosmo senza orientamento. Vive in un mondo appiattito, per quanto colmo di stimoli potenti e di molto rumore. Non conosce se stesso e perciò cerca di colmare la sua fame d'identità con l'immediatezza dei sensi fisici, o attraverso il potere e la manipolazione degli altri, la droga delle ideologie della rivoluzione sociale, false "spiritualità" che riempiano il vuoto aperto in lui, o dal rendere svariate cose i propri idoli.
(Michael O'Brien - Scrittore Canadese - Tracce lug/ago 2007 p.90)
Grazie a : Dixit Definitivo

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laicismo

sabato, 07 giugno 2008

La società ”moderna”
***
“La prevalenza della materia, l'utilitarismo, dogmi della religione industriale, hanno condotto all' abolizione della cultura intellettuale, della bellezza e della morale quali erano comprese dalle nazioni cristiane, madri della scienza moderna. Nello stesso tempo, le modificazioni del sistema di vita hanno portato il dissolversi dei gruppi familiari e sociali che possedevano la loro individualità, le loro tradizioni. La cultura non si è affatto mantenuta; l'enorme diffusione dei giornali, della radio e del cinema ha abbassato il livello delle classi intellettuali della società. La radiofonia soprattutto porta nella casa di ciascuno la volgarità che piace alla folla. La mancanza di buon senso si generalizza sempre più, malgrado gli ottimi corsi dei collegi e delle università e anzi spesso coesiste con forti conoscenze scientifiche. Gli scolari e gli studenti modellano il loro spirito sulla stupidità dei programmi della radio e dei cinematografi. Non solo l'ambiente sociale non favorisce lo sviluppo del l'intelligenza, ma vi si oppone; se mai è più propizio allo sviluppo del senso della bellezza. I più grandi musicisti d'Europa sono oggi in America; i musei sono meravigliosamente organizzati per mostrare i loro tesori al pubblico; l'arte industriale si sviluppa rapidamente e soprattutto l'architettura è entrata in una nuova èra: monumenti grandiosi hanno trasformato l'aspetto delle città. Ognuno può, se vuole, coltivare le sue facoltà estetiche, almeno fino a certo punto.
Per il senso morale avviene ben diversamente, dato che l'ambiente moderno lo ignora nel modo più assoluto: l'ha completamente soppresso e ispira a tutti il sentimento della propria irresponsabilità. Quelli che sanno distinguere il bene dal male, che lavorano e che risparmiano, restano poveri, vengono considerati come esseri inferiori e spesso commiserati. La donna che ha parecchi bambini e si occupa della loro educazione invece che del proprio successo mondano acquista la nomea di povera di spirito. Se un uomo ha economizzato un po' di soldi per la moglie e per l'educazione dei suoi figli, vede il suo denaro che viene rubato dai finanzieri intraprendenti o dal governo, e distribuito a coloro che per imprevidenza loro o degli industriali, dei banchieri e degli economisti sono ridotti in miseria. Gli scienziati e gli artisti che donano a tutti la prosperità, la salute e la bellezza vivono e muoiono poveri, mentre coloro che hanno rubato godono in pace il denaro altrui. I gangsters sono protetti dai poliziotti e rispettati dalla polizia: sono gli eroi che i fanciulli ammirano al cinema e che imitano nei loro giochi.
Il possesso della ricchezza è tutto e giustifica tutto. Un uomo ricco, qualunque cosa faccia, che ripudi la vecchia moglie, che abbandoni in miseria la vecchia madre, che derubi chi gli ha affidato del denaro, conserva sempre la stima degli amici. L' omosessualità fiorisce e la morale sessuale è stata abolita: uomini e donne sono guidati nei loro rapporti coniugali dagli psicanalisti. Il bene e il male, il giusto e l'ingiusto non esistono più. Nelle prigioni vi sono solo i criminali poco intelligenti o male equilibrati; gli altri, molto più numerosi, vivono in libertà e con vivono intimamente col resto della popolazione che non se ne vergogna. In simile ambiente sociale lo sviluppo del senso morale e del sentimento religioso è certamente impossibile. I pastori hanno razionalizzato anche la religione, togliendole ogni elemento mistico, ma non sono riusciti ugualmente ad attrarre gli uomini moderni: nelle chiese semivuote predicano invano una debole morale; essi sono ridotti alla funzione di gendarmi che aiutano a conservare, nell'interesse dei ricchi, la cornice della società attuale, oppure, sull'esempio degli uomini politici, essi lusingano la sentimentalità e la mancanza di intelligenza delle masse.
Alexil Carrel L’uomo questo sconosciuto, Città Armoniosa 1935

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laicismo, carrel

sabato, 24 maggio 2008

I cattolici “adulti”
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 “Se mi è permesso, come protestante, di fare questa constatazione, direi che da allora (il Concilio Vaticano II) certi ambienti cattolici, ben lungi dal lasciarsi ispirare dalla necessità di osservare i limiti dell’adattamento che non vanno superati, non si accontentano di cambiare le forme esteriori, ma prendono le stesse norme del pensiero e dell’azione cristiana, non dal Vangelo, ma dal mondo moderno. Più o meno inconsciamente, seguono così i protestanti, non in ciò che hanno di migliore, la fede dei Riformatori, ma nel cattivo esempio che loro offre un certo protestantesimo, detto moderno. Il grande colpevole non è il mondo secolarizzato, ma il falso comportamento dei cristiani riguardo a questo mondo, l’eliminazione dello ‘scandalo’ della fede. Si ha ‘vergogna del Vangelo’ (Rom. 1,16)”
Oscar Cullmann, uno dei più famosi teologi protestanti

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laicismo

martedì, 13 maggio 2008

Il grande profeta Dostoevskij
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"Guardate i laici e tutto questo mondo che si è innalzato sul popolo di Dio: il volto di Dio e la Sua verità non vi si sono deformati? Essi hanno la scienza, ma nella scienza c'è appena quello che cade sotto i sensi. Il mondo dello spirito invece, la metà superiore dell'essere umano, la si ripudia completamente, la si bandisce con una cert'aria di trionfo, anzi con odio. Il mondo, specialmente negli ultimi tempi, ha proclamato la libertà, e che cosa vediamo in questa sua libertà? Non altro che servitù e suicidio! Poiché il mondo dice: «Tu hai dei bisogni; appagali dunque, ché tu hai gli stessi diritti degli uomini più ragguardevoli e più ricchi. Non temere di appagarli, moltiplicali anzi », ecco l'odierno insegnamento del mondo. E in ciò scorgono la libertà. E che cosa mai scaturisce da questo diritto alla moltiplicazione dei bisogni? Nei ricchi l'isolamento e il suicidio spirituale, e nei poveri l'invidia e l'omicidio,perché si sono dati i diritti, ma non si sono ancora indicati i mezzi,per soddisfare i bisogni. Affermano che il mondo si unirà ogni giorno di più e formerà una comunione fraterna abbreviando le distanze, trasmettendo il pensiero attraverso l'aria. Oibò! non credete a una simile unione degli uomini. Comprendendo la libertà come moltiplicazione e pronto appagamento dei bisogni, essi deformano la propria natura, poiché fanno nascere in sé molte insensate e stolte brame e abitudini e le più assurde fantasie. Non vivono che per la reciproca invidia, per la sensualità e l'ostentazione. Pranzi, viaggi, carrozze, gradi e servitori si considerano ormai come necessità per le quali si sacrificano anche la vita, l'onore e l'amore dell'umanità, pur di soddisfarle e, se non è possibile soddisfarle, si uccide perfino. In quelli che non sono ricchi vediamo la stessa cosa, ma nei poveri l'inappagamento dei bisogni e l'invidia si soffocano ancora con l'ubriachezza. Presto però, anziché di vino, s'inebrieranno di sangue, tale è la mèta a cui li guidano. Io vi domando: è libero un uomo simile? Io conoscevo un « lottatore dell'idea », il quale raccontava che, quando in carcere gli fu tolto il tabacco, soffri tal mente per questa privazione che per poco non tradì la sua « idea », purché gli dessero del tabacco. Ebbene, costui diceva: «Vado a battermi per l'umanità ». Ma fin dove potrà giungere e di che cosa sarà capace un essere simile? Di un'azione momentanea magari, ma non di una lunga resistenza. E non è a stupire che gli uomini, in luogo della libertà, abbiano trovato la servirtù e, invece di servire la causa della fratellanza e dell'unione umana, siano caduti, al contrario, nella disunione e nell'isolamento, come mi diceva nella mia giovinezza il mio misterioso visitatore e maestro. E però in questo mondo si va sempre più spegnendo l'idea di servire l'umanità, l'idea della fratellanza e solidarietà degli uomini, e in verità questa idea è accolta perfino con lo scherno; come infatti rinunzierà alle sue abitudini e dove andrà questo prigioniero, dopo che tanto si è abituato a soddisfare gli innumerevoli bisogni che egli stesso si è creati? Egli vive nell'isolamento, e che cosa gli importa della collettività? E si è giunti a questo, che di beni materiali se n'è accumulata una maggior quantità, ma la gioia è diminuita."
Dostoevskij I fratelli Karamazov
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laicismo, dostoevskij

sabato, 22 marzo 2008

   Nella soluzione progressista l'io non ha risposta, è alienato
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"Io ho creduto (nel futuro radioso dell'umanità), e perciò voglio vedere anch'io, e se allora sarò già morto mi devono risuscitare, perchè se tutto accadesse senza di me sarebbe avvilente. Non ho sofferto per concimare con le mie colpe e le mie sofferenze una armonia futura in favore di chissà chi! Voglio vederlo coi miei occhi il daino che gioca accanto al leone, e l'ucciso che si rialza e abbraccia l'uccisore. Voglio esserci anch'io, quando tutti sapranno finalmente perché le cose sono andate così”
Dostoevskij I fratelli Karamazov



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laicismo, dostoevskij

sabato, 09 febbraio 2008


Il laicismo
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«Il laicismo intende impedire che in politica qualcuno faccia appello alla sua fede, che adotti ragioni religiose per le sue posizioni. Tutto ciò è essenzialmente comico, perchè in questo modo il laicismo fa della neutralità religiosa dello Stato una vera e propria religione, trascurando il fatto che anche l'ateismo - a sua volta posizione religiosa - contraddice la neutralità religiosa dello Stato. Lo stato moderno deve stare molto attento a non trasformare il laicismo in una nuova religione di Stato. »
Nikolaus Lobkowicz


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laicismo

martedì, 15 gennaio 2008

Ma a processare Galileo è stato un anarchico ateo
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Postato il Martedì, 15 gennaio @ 09:36:08 CET di Peppone

PER ATTACCARE IL PAPA
I BARONI ROSSI RINNEGANO MARX
Pur di scagliarsi contro di lui, i critici del Pontefice gli rinfacciano le frasi dei loro maestri comunisti...
di ANTONIO SOCCI


Un gruppo di professori dell'Università di Roma, in nome della "tolleranza", vuole che il Papa non parli nell'ateneo romano (l'intervento era stato richiesto dalle autorità accademiche). Strana idea di tolleranza. Il Pontefice sarebbe una figura che non ha niente a che fare con l'università? A parte il fatto che a fondare l'università romana è stato proprio il papa. Praticamente è casa sua. Si legge infatti nello stesso sito internet dell'ateneo: «L'atto di nascita della Università di Roma reca la data del 20 aprile 1303; in questo giorno venne infatti promulgata da Papa Bonifacio VIII Caetani la Bolla In Supremae praeminentia Dignitatis, con la quale veniva proclamata la fondazione in Roma dello "Studium Urbis"». Cosa ovvia, essendo la Chiesa all'origine di gran parte delle nostre istituzioni culturali. A parte poi il fatto che Joseph Ratzinger è appunto un docente universitario, anzi un luminare, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo, ed è casomai lui che fa onore all'Università di Roma intervenendo, e non l'Università che fa un favore al Papa. A parte il fatto, infine, che i laici ogni tre secondi citano Voltaire («non condivido ciò che dici, ma mi batterò fino alla fine perché tu possa dirlo») e poi lo contraddicono nella pratica. Ma l'aspetto più paradossale è un altro. Perché quello che viene imputato al Papa è di aver citato - in un discorso tenuto quando era cardinale - un intellettuale laico-agnostico, un antidogmatico, un libertario, uno che insegnava a Berkeley dove cominciò la contestazione e che - da anarchico - applaudì alla rivolta, insomma uno dei loro, il celebre epistemologo Paul Feyerabend. Ecco la sua frase citata dall'allora cardinale Ratzinger: «All'epoca di Galileo, la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina di Galilei. Il suo processo contro Galilei era razionale e giusto, mentre la sua attuale revisione si può giustificare solo con motivi di opportunità politica».
IL PARADOSSO

In effetti la vicenda Galilei fu molto più complessa di quanto racconti la storia a fumetti che vede un Sant'Uffizio tenebroso che opprime l'illuminato scienziato. E il cardinale Bellarmino, peraltro grande uomo di cultura, aveva le sue ragioni. Questo intendeva dire il filosofo Feyerabend. La sua provocazione sul processo non era condivisa da Ratzinger che, oltretutto, fu colui che volle la revisione del "caso Galileo" con Giovanni Paolo II. Quindi è l'ultimo a poter essere oggi accusato per questo. Ma - da studioso - ricostruendo il complesso dibattito moderno su quel caso, per far capire la complessità dei problemi e la pluralità delle posizioni, Ratzinger citò anche la celebre pagina di Feyerabend. Quindi Ratzinger viene oggi "scomunicato" in base non al proprio pensiero, ma al pensiero di un altro. Che oltretutto è uno "scettico", uno della loro stessa area culturale laica (ma lui è coerente e rifiuta tutti i dogmi, anche i loro). «Sono parole», scrivono i professori romani, «che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano». Ma - chiediamo,
illustri professori - vi rendete conto che queste "parole" da voi citate e "scomunicate" appartengono non al Papa, ma ad un vostro illustre collega epistemologo che ha insegnato nei maggiori atenei? E come potete attribuire all'uno le parole dell'altro? No, i professori non sentono ragioni. E sentenziano: «In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato». Quindi, «in nome del rispetto di ogni credo» chiedono che non sia fatto parlare Benedetto XVI. Tutti, ma non lui. Se non fossero fatti preoccupanti, ci sarebbe da ridere. Perché in quel discorso tenuto a Parma il 15 marzo 1990, evocato e "scomunicato" dai professori, il cardinale Ratzinger insieme a Feyerabend citava - su una linea analoga - anche un altro filosofo, il "marxista romantico" Ernst Bloch su cui sarebbe interessante sentire il parere dei professori della Sapienza. Secondo Bloch sia il geocentrismo sia l'eliocentrismo si fondano su presupposti indimostrabili perché la relatività di Einstein ha spazzato via l'idea di uno spazio vuoto e tranquillo: «Pertanto» ha scritto Bloch «con l'abolizione di uno spazio vuoto e tranquillo, non accade nessun movimento verso di esso, ma solo un movimento relativo dei corpi l'uno in relazione agli altri e la loro stabilità dipende dalla scelta dei corpi presi come punti fissi di riferimento: dunque, al di là della complessità dei calcoli che ne deriverebbero, non appare affatto improponibile accettare, come si faceva nel passato, che la Terra sia stabile e che sia il Sole a muoversi». Il filosofo marxista non tornava certo all'universo tolemaico, né alle conoscenze scientifiche del tempo di Bellarmino e di Copernico, per i quali si potevano fare solo delle ipotesi. Bloch parlava in nome delle più avanzate scoperte scientifiche del XX secolo, esprimeva così - spiegava Ratzinger - «una concezione moderna delle scienze naturali». Infatti un'altra mente eccelsa del Novecento, grande nome del pensiero ebraico, una combattente contro il totalitarismo, Hannah Arendt, nel libro "Vita activa", scrive la stessa cosa: «Se gli scienziati precisano oggi che possiamo sostenere con egual validità sia che la Terra gira attorno al Sole, sia che il Sole gira attorno alla Terra, che entrambe le affermazioni corrispondono a fenomeni osservati, e che la differenza sta solo nella scelta del punto di riferimento, ciò non significa tornare alla posizione del cardinale Bellarmino e di Copernico, quando gli astronomi si muovevano tra semplici ipotesi. Significa piuttosto che abbiamo spostato il punto di Archimede in un punto più lontano dell'universo dove né la Terra né il Sole sono centri di un sistema universale. Significa che non ci sentiamo più legati nemmeno al Sole, scegliendo il nostro punto di riferimento ovunque convenga per uno scopo specifico».

IL SECOLO NICHILISTA

Secondo la Arendt «per le effettive conquiste della scienza moderna il passaggio dal sistema eliocentrico a un sistema senza un centro fisso è tanto importante quanto fu, in passato, quello da una visione geocentrica del mondo a una eliocentrica». Ratzinger - uno dei grandi intellettuali del mondo moderno - lo ha capito molto bene e segnala, come la Arendt, la necessità di riflettere sulle conseguenze sociali di questo nuovo scenario e sull'uso che, in questa situazione, si fa della scienza. Invece il mondo accademico italiano, più provinciale e ideologizzato, sembra ancora fermo al Seicento. Penso che il professor Ratzinger si riconoscerebbe in quest'altro pensiero della Arendt: «I primi 50 anni del nostro secolo hanno assistito a scoperte più importanti di tutte quelle della storia conosciuta. Tuttavia lo stesso fenomeno è criticato con egual diritto per l'aggravarsi non meno evidente della disperazione umana o per il nichilismo tipicamente moderno che si è diffuso in strati sempre più vasti della popolazione; l'aspetto più significativo di queste condizioni spirituali è di non risparmiare nemmeno più gli scienziati». Ma vi pare che l'università italiana possa volare a queste altezze? Domina l'intolleranza, non c'è spazio per l'avventura della conoscenza e per l'inquietudine delle domande. C'è spazio solo per le piccole lotte di potere attorno al rettorato di cui ha parlato Asor Rosa al Corriere. Buonanotte Illuminismo.
www.antoniosocci.it

LIBERO 15 gennaio 2008


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SAPIENZA,
UN’ALTRA VERGOGNA
PER L’ITALIA
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I Papi hanno potuto parlare ovunque ne lmondo (Cuba,Nicaragua,Turchia, etc.).
L’unico posto dove il Papa non può parlare è La Sapienza, un’università fondata, tra l’altro, proprio da un pontefice.
Questo mette in evidenza due fatti gravissimi:
1) l’incapacità del governo italiano a garantire la possibilità di espressione sul territorio italiano di un Capo di Stato estero, nonché Vescovo di Roma e guida spirituale di un miliardo di persone.
Piccoli gruppi trovano, di fatto, protezioni anche autorevoli nell’impedire ciò che la stragrande maggioranza della gente attende e desidera;

2) la fatiscenza culturale dell’università italiana, per cui un ateneo come La Sapienza rischia di trasformarsi in una “discarica” ideologica. 
.m
Come cittadini e come cattolici siamo indignati per quanto avvenuto e siamo addolorati per Benedetto XVI, a cui ci sentiamo ancora più legati, riconoscendo in lui il difensore – in forza della sua fede – della ragione e della libertà.
Comunione e Liberazione
15 gennaio 2008


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martedì, 08 gennaio 2008

L'inesistenza dell'etica laica
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L'etica laica è fondata sull'utilità. Essere etici conviene, è utile. Conviene all'intera umanità, e quindi anche a ogni singolo individuo.
Eppure quel singolo individuo potrebbe chiedersi: “Per quale motivo non dovrei agire direttamente per la mia utilità, per il mio interesse personale, anche se in contrasto con l'interesse dell'umanità?”
Un'etica che si fonda sull'utilità è la negazione di se stessa. Semplicemente non esiste. Nulla più è morale o immorale, tutto è utile o dannoso.
Il laicismo, da sempre, maschera il proprio vuoto morale con un moralismo ipocrita, che si vanta di non avere certezze se non quella di essere onesto. Un moralismo che assume di volta in volta le forme dell'ambientalismo, del pacifismo o del giustizialismo, e che per convincere se stesso e gli altri di esistere ha bisogno di condannare. E di usare violenza.
La morale, quella vera, non si nutre di condanne, ma della Misericordia e dell'Amore di un Padre, se non ci fosse il quale non potremmo mai essere, come siamo, fratelli. 

    Giorgio Roversi     


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