Cristo non è qui per raffreddare le nostre passioni
***
«Tra i metodi
per dissuaderci dall’amare smodatamente i nostri simili ce n’è uno che
mi vedo costretto a respingere in partenza. E lo faccio non senza
turbamento, poiché l’ho trovato proposto nelle pagine di un grande santo
e pensatore, verso il quale nutro un debito incalcolabile. Con parole
che ancor oggi hanno il potere di commuovermi, Sant’Agostino descrive la
desolazione in cui lo sprofondò la morte dell’amico Nebridio
(Confessioni 4, 10). Da ciò egli trae una morale: questo è quanto
accade, egli ci dice, a donare il nostro cuore a qualcuno che non sia
Dio. Tutte le cose umane trapassano; non lasciamo che la nostra felicità
dipenda da qualcosa che potremmo perdere. Se vogliamo che l’amore sia
una benedizione, e non un tormento, dobbiamo indirizzarlo soltanto a
quel bene che non tramonterà mai. Questo è un ragionamento di certo
dettato dal buon senso: non imbarcare i tuoi beni su un vascello che fa
acqua; non spendere denaro su una casa da cui ti potranno cacciare.
Nessun uomo al mondo meglio di me sa apprezzare e far tesoro di queste
sagaci massime. Sono una creatura che guarda, prima di tutto alla
propria sicurezza. Di tutte le argomentazioni contro l’amore, nessuna ha
più presa su di me di quella che raccomanda: «Prudenza! Questo potrebbe
poi farti soffrire». Questo, dicevo, in rapporto al mio carattere e
alle mie disposizioni naturali, ma non alla mia coscienza.Quando io rispondo a questo appello, mi sento lontano mille miglia da Cristo. Se di qualcosa sono certo, è che il suo insegnamento non ha mai avuto il fine di rafforzare la mia già innata preferenza per gli investimenti sicuri e le responsabilità limitate. Direi quasi che nulla, in me, gli è meno gradito. E chi potrebbe seriamente incominciare ad amare Dio partendo da questi prudenti presupposti – perché questo sembra offrirci, per così dire, sufficienti garanzie? Chi si sentirebbe persino di includere questo motivo tra quelli che ci spingono ad amarlo? È con questo spirito che scegliereste una moglie, un amico, o addirittura un cane? Per essere capaci di un simile calcolo bisogna essere davvero al di fuori della dimensione dell’amore, o di qualunque altro affetto. L’eros, l’eros che si ribella alle regole, che preferisce l’amata alla felicità, è allora più simile a colui che è l’amore stesso. (il neretto non è di Lewis, nda). Penso che questo passo delle Confessioni debba essere considerato più come un residuo delle aristocratiche filosofie pagane in cui Sant’Agostino fu educato, che non come una parte del suo credo cristiano. È qualcosa di più vicino alla “apatia” degli stoici o al misticismo neoplatonico, che non alla carità. Noi siamo seguaci di colui che pianse su Gerusalemme e davanti alla tomba di Lazzaro, e che, pur amando tutti, ebbe tuttavia un discepolo cui si sentiva legato da un affetto speciale. San Paolo ci parla con un’autorità che fa presa su di noi più di quella di Sant’Agostino: San Paolo non cerca affatto di darci a intendere che non avrebbe sofferto come un uomo qualunque né che sarebbe stato ingiusto soffrire, se Epafrodito fosse morto (Fil. 2, 27).
Ammesso che la miglior politica da adottare fosse quella di assicurarci contro il rischio di avere il cuore spezzato, siamo poi sicuri che Dio ci offre questa possibilità? Sembrerebbe proprio di no: Cristo, prossimo alla fine, è arrivato a dire: «Perché mi hai abbandonato?». Non c’è possibilità di fuga lungo la strada che Sant’Agostino ci suggerisce, né lungo altre strade. Non esiste investimento sicuro: amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno – al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto – esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile. L’alternativa al rischio di una tragedia, è la dannazione. L’unico posto, oltre al cielo, dove potreste stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore è l’inferno. Sono convinto che il più sregolato e smodato degli affetti contrasta meno la volontà di Dio di una mancanza di amore volontariamente ricercata per autoproteggerci. È lo stesso che nascondere un talento in una buca sotto terra, e per le stesse ragioni: «So che tu sei un uomo duro». Cristo non ha sofferto per noi né ci ha dato i suoi insegnamenti affinché diventassimo, persino nei nostri affetti naturali, più preoccupati della nostra felicità personale. Se un uomo non riesce a non essere calcolatore nei confronti delle persone di questa terra che ama e conosce, è assai più improbabile che riesca ad esserlo verso Dio, che non ha mai conosciuto. Non è cercando di evitare le sofferenze inevitabili dell’amore che ci avvicineremo di più a Dio, ma accettandole e offrendole a lui: gettando lontano la cotta di protezione. Se è stabilito che il nostro cuore debba spezzarsi, e se egli ha scelto questa via per farlo, così sia».
C. S. Lewis I quattro amori, Jaca Book
Postato da: giacabi a 20:42 |
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lewis, amore
Il veleno del soggettivismo
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Una
causa di miseria e di vizio è sempre presente in noi, nell’avidità e
nell’orgoglio dell’uomo, ma in certe epoche storiche questa viene molto
accresciuta dalla prevalenza temporanea di qualche falsa filosofia.
Il pensare corretto non rende buoni gli uomini cattivi; ma un errore
puramente teorico può rimuovere le restrizioni ordinarie verso il male e
privare la buona volontà del suo supporto naturale. Un errore di questo
tipo si sta diffondendo oggi. Non mi riferisco alle filosofie della
forza degli stati totalitari, ma a qualcosa di più profondo e diffuso e
che ha veramente dato a queste filosofie della forza il loro momento
d’oro. Mi riferisco al soggettivismo.Dopo aver studiato il suo ambiente, l’uomo ha incominciato a guardare dentro di sé. Fino a quel momento egli aveva accettato la sua ragione e attraverso essa vedeva tutte le altre cose. Ora la sua ragione è diventata l’oggetto: è come se ci togliessimo gli occhi per osservarli. Studiata così, la ragione gli appare come un epifenomeno che accompagna gli eventi chimici o elettrici in una corteccia cerebrale che è di per sé un sottoprodotto di un cieco processo evolutivo.
La sua logica, fino a quel momento la regina a cui gli eventi di tutti i mondi possibili dovevano obbedire, diventa puramente soggettiva. Non vi è ragione per ritenere che sia una via per la verità. Fino a quando questo declassamento si limita alla sola ragione teorica, non può essere percepito in tutta la sua logica (nella maniera forte e risoluta di Platone o Spinoza) perfino per dimostrare che è puramente soggettiva, e quindi può solo avvicinarsi al soggettivismo. È pur vero che questo avvicinamento a volte è notevole.
Mi dicono che vi sono scienziati moderni che hanno eliminato le parole “verità” e “realtà” dal loro vocabolario e che ritengono che l’unico scopo della loro attività non sia la conoscenza di ciò che c’è, ma il raggiungimento di risultati puramente pratici. Il soggettivismo è però, in generale, un compagno molto scomodo per la ricerca, tanto che il pericolo, in questo ambito, viene di continuo neutralizzato.
Ma quando ci rivolgiamo alla ragion pratica troviamo che gli effetti disastrosi sono operanti in tutta la loro forza. Per ragione pratica intendo i nostri giudizi sul bene e sul male. Se siete sorpresi del fatto che io li includa sotto la fattispecie della ragione, lasciatemi ricordare che la vostra sorpresa è di per sé un risultato del soggettivismo che sto analizzando.
Nessun pensatore di rango, fino ai tempi moderni, osò mettere in discussione il fatto che i nostri giudizi sui valori fossero giudizi razionali o che ciò che essi scoprivano fosse oggettivo. Era considerato scontato che, nelle tentazioni, la passione si opponesse alla ragione e non al sentimento. Pensavano così Platone, e poi Aristotele, Hooker, Butler e Johnson.
Il punto di vista moderno è radicalmente cambiato. Non crede che i giudizi sui valori siano veri giudizi. Sono sentimenti, o complessi, o inclinazioni, prodotti da una comunità attraverso l’influenza dell’ambiente e delle tradizioni, e diversi a seconda delle realtà sociali. Dire che qualcosa è buono significa esprimere un sentimento in merito, e il nostro sentimento in merito è condizionato dalla società in cui viviamo. Se è così, allora noi potremmo essere stati condizionati a sentire diversamente. “Forse” pensa il riformatore o l’esperto in pedagogia, “sarebbe meglio che lo fossimo. Cerchiamo di migliorare la nostra moralità”.
Da questa idea apparentemente innocua deriva il germe che, se non viene eliminato, porterà la nostra specie all’estinzione (e, dal mio punto di vista, rovinerà le nostre anime): è quella superstizione fatale che ritiene che gli uomini possano creare valori, che una comunità possa scegliere un’ideologia, come la gente sceglie i vestiti. Tutti si indignano quando i tedeschi definiscono la giustizia come ciò che obbedisce all’interesse del Terzo Reich. Ma spesso si dimentica che è un interesse del tutto senza fondamento se noi stessi consideriamo la moralità come un sentimento soggettivo che può variare a nostro piacimento.
A meno che non vi sia un parametro oggettivo di ciò che è bene, che sovrasta i tedeschi, i giapponesi e noi, sia se lo osserviamo o no, allora è naturale che i tedeschi possano creare la loro ideologia, tanto quanto la possiamo creare noi. Se il “bene” e il “meglio” sono termini che derivano unicamente dalle ideologie dei singoli popoli, allora è certo che non si può dire che un’ideologia sia migliore di un’altra. A meno che il metro di misurazione sia indipendente dalle cose da misurare, non si può fare nessuna misurazione. Per la stessa ragione è inutile paragonare le idee morali delle diverse epoche: il progresso e la decadenza sono ugualmente concetti senza senso.
Tutto questo è così ovvio che potrebbe venire sintetizzato in poche parole. Ma non viene colto con molta facilità se si pensa ai metodi del riformatore della morale che, dopo aver sostenuto che il “bene” è sinonimo di “ciò da cui siamo condizionati”, sostiene senza difficoltà che forse sarebbe “meglio” se noi venissimo condizionati da qualcos’altro. Ma che cosa mai intende per “migliorare”?
Di solito, nei meandri della sua mente, troviamo la convinzione che se si eliminano i giudizi morali tradizionali, si troverà qualcos’altro, qualcosa di più “reale” e “concreto” su cui basare un nuovo schema di valori. Dirà, per esempio, che “dobbiamo abbandonare i tabù e fondare i nostri valori sul bene della comunità”, quasi che la massima “Dovrai promuovere il bene della comunità” fosse qualcosa di più di una variante polisillabica del motto eterno che si pretenderebbe sostituire, ossia: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12).
Oppure si sforzerà di basare i suoi valori sulla biologia, dicendoci di comportarci in un certo modo per preservare la specie. In apparenza non anticipa l’interrogativo del perché la specie dovrebbe essere preservata. Lo considera scontato in quanto in realtà si riferisce alla moralità tradizionale. Se partisse, come pretende, da una tabula rasa, non arriverebbe mai a quel concetto. A volte cerca di giustificarsi basandosi sull’istinto, a scapito di tutti gli altri impulsi che vanno in direzione contraria rispetto alla preservazione della specie? Il riformatore sa che qualche istinto è più importante degli altri solo perché giudica basandosi su uno standard, il quale altro non è, ancora una volta, se non la morale tradizionale che pretende di rimpiazzare.
È ovvio che gli istinti, di per sé, non possono fornirci un fondamento su cui stabilire una gerarchia. Se non si ha già una conoscenza della loro rispettiva importanza mentre li si studia, non si può far derivare tale sapere da loro. Questo tentativo complessivo di gettare a mare la morale tradizionale considerandola qualcosa di soggettivo e sostituirla con un nuovo sistema di valori è sbagliato. È come cercare di sollevarsi facendo leva sul proprio bavero della giacca.
da C.S. Lewis, Riflessioni cristiane, Gribaudi, Torino, 1997, pp.105-108
Postato da: giacabi a 14:33 |
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laicismo, lewis
L'amicizia
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Gli amanti e gli amici desiderano due cose: di amarsi al punto di entrare l'uno nell'altro e diventare un solo essere e di amarsi al punto che la loro unione non ne soffra, quand'anche fossero divisi dalla metà del globo terrestre.***
(Simone Weil)
***
Trova il tempo di essere amico: è la strada della felicità.(Madre Teresa di Calcutta
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[L'amicizia] Unica tra tutti gli affetti, essa sembra innalzare l'uomo al livello degli dèi, o degli angeli. Clive Staples Lewis
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L'amicizia percorre danzando la terra, recando a noi tutti l'appello di aprire gli occhi sulla felicitàEpicuro
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Quaggiù
non c'è nulla di più santo da desiderare, nulla di più utile da
cercare, nulla più difficile da trovare, niente più dolce da provare,
niente più fruttuoso da conservare dell'amicizia.Rievaulx
All'amico si deve dire la verità; senza di essa il nome di amicizia non vale più nulla.
Rievaulx
***
L'uomo d'animo sincero vive soprattutto nella saggezza e nell'amicizia, l'una bene mortale, l'altra bene immortale.Epicuro
Postato da: giacabi a 14:54 |
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amicizia, madre teresa, lewis, weil, aelredo
Dio si è fatto uomo per trasformare delle creature in figli
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Dio
si è fatto uomo per trasformare delle creature in figli: non per
produrre uomini migliori del vecchio tipo ma per produrre un nuovo tipo
di uomo. Non è come insegnare a un cavallo a saltare sempre meglio, ma
come trasformare un cavallo in una creatura alata. Ed è
ovvio che il cavallo, quando avrà le ali, si librerà alto sopra steccati
che prima non avrebbe mai potuto saltare, e così batterà il cavallo
«naturale» al suo stesso gioco. Ma può esserci un periodo, mentre le ali
cominciano appena a spuntare, in cui ciò non gli sarà possibile; in
quella fase le protuberanze sulle sue spalle (nessuno direbbe,
vedendole, che diventeranno ali) potranno dargli perfino un aspetto
goffo e impacciato.Ma forse ci siamo già soffermati troppo a lungo su questo tema. Se ciò che volete è un argomento contro il cristianesimo (e io ricordo bene con quanto zelo cercavo argomenti simili quando cominciavo a temere che il cristianesimo fosse vero), vi sarà facile trovare qualche cristiano ottuso e scadente, e dire: «Dunque questo sarebbe il vantato uomo nuovo! Preferisco il vecchio modello». Ma se avete cominciato a vedere che altre ragioni rendono il cristianesimo probabile, saprete in cuor vostro che state solo eludendo il problema. Cosa possiamo sapere realmente delle anime altrui, delle loro tentazioni, delle loro opportunità, delle loro lotte? Un’anima sola, in tutta la creazione, ci è dato conoscere: ed è l’unica la cui sorte sta nelle nostre mani. Se c’è un Dio, noi siamo, in un certo senso, soli con Lui. Non possiamo liberarcene almanaccando sul vicino di casa o sui ricordi di ciò che abbiamo letto nei libri. Cosa conteranno tutte queste chiacchiere e dicerie (saremo in grado, perfino, di ricordarle?) quando la nebbia anestetica che chiamiamo «natura» o «mondo reale» si dissiperà, e la Presenza davanti alla quale siamo sempre stati diventerà tangibile, immediata e inevitabile?
Clive Staples Lewis
Postato da: giacabi a 14:14 |
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lewis
LETTURE/ Lewis, Berlicche e quel "falso" cristianesimo che ama la morale ma non la vita
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venerdì 1 aprile 2011
Ci
sono libri che vengono rifilati fin da bambini, fatti ingurgitare a
forza tra i banchi o in estati troppo afose. Ne abbiamo un ricordo
piatto di inutilità celata. Quasi libri di precetti religiosi e buoni
propositi, che finche si è piccini possono essere ancora letti, ma una
volta raggiunta l’età della ragione cadono nel dimenticatoio. È il caso
delle Lettere di Berlicche di Lewis in cui viene riportato il
carteggio fra due diavoli: Malacoda apprendista alle prese con il suo
primo paziente,e lo zio Berlicche dispensatore di consigli utili per
evitare la conversione dell’uomo in questione.
Lewis abbandonerà la fede all’età di dodici anni intraprendendo una vita da esteta, dedicandosi con successo e senza patemi alla cultura, al successo, alle donne. Ma succederà che “dentro ad ogni esperienza pura” continuerà a percepire “qualcosa che non può essere spiegato”. Dirà nella sua autobiografia di che cosa si tratta: “Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate, ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello giusto. Potete aver ingannato voi stessi, ma l’esperienza non sta ingannando voi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente”.
Con questo pungolo Lewis farà i conti per tutta la vita cercando di metterlo a nudo nelle sue opere, e ci riuscirà nell’ultimo romanzo A viso scoperto dove nelle parole del protagonista sembra di rivedere lo stesso scrittore. “Proprio perché tutto era così bello nasceva dentro di me un desiderio, sempre lo stesso: da qualche parte doveva esserci qualcosa di ancora più bello. Tutto sembrava dirmi, Vieni! Ma io non potevo andare... Mi sentivo come un uccello in gabbia, che vede gli altri uccelli della sua specie volare verso casa”.
Lo scrittore non accetta la visione di cristianesimo che passa nell’occidente liberale dei nostri giorni, in cui Dio è visto come: “il tipo di persona che sta sempre a spiare se uno se la spassa, e poi cerca di impedirglielo”. Anzi rilancia la questione nelle lettere di Berlicche dicendo che si è veramente cristiani in virtù e non nonostante i propri desideri più profondi: “Hai permesso al paziente di leggere un libro che veramente gli piaceva, del quale veramente godeva. In secondo luogo gli hai permesso di fare una passeggiata fino al vecchio mulino e prendervi il tè. Una passeggiata attraverso un paesaggio che veramente gli piaceva e fatta da solo. In altre parole gli hai offerto due veri e positivi piaceri. Sei stato davvero così ignorante da non vederne il pericolo?”.
Lewis abbandonerà la fede all’età di dodici anni intraprendendo una vita da esteta, dedicandosi con successo e senza patemi alla cultura, al successo, alle donne. Ma succederà che “dentro ad ogni esperienza pura” continuerà a percepire “qualcosa che non può essere spiegato”. Dirà nella sua autobiografia di che cosa si tratta: “Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate, ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello giusto. Potete aver ingannato voi stessi, ma l’esperienza non sta ingannando voi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente”.
Con questo pungolo Lewis farà i conti per tutta la vita cercando di metterlo a nudo nelle sue opere, e ci riuscirà nell’ultimo romanzo A viso scoperto dove nelle parole del protagonista sembra di rivedere lo stesso scrittore. “Proprio perché tutto era così bello nasceva dentro di me un desiderio, sempre lo stesso: da qualche parte doveva esserci qualcosa di ancora più bello. Tutto sembrava dirmi, Vieni! Ma io non potevo andare... Mi sentivo come un uccello in gabbia, che vede gli altri uccelli della sua specie volare verso casa”.
Lo scrittore non accetta la visione di cristianesimo che passa nell’occidente liberale dei nostri giorni, in cui Dio è visto come: “il tipo di persona che sta sempre a spiare se uno se la spassa, e poi cerca di impedirglielo”. Anzi rilancia la questione nelle lettere di Berlicche dicendo che si è veramente cristiani in virtù e non nonostante i propri desideri più profondi: “Hai permesso al paziente di leggere un libro che veramente gli piaceva, del quale veramente godeva. In secondo luogo gli hai permesso di fare una passeggiata fino al vecchio mulino e prendervi il tè. Una passeggiata attraverso un paesaggio che veramente gli piaceva e fatta da solo. In altre parole gli hai offerto due veri e positivi piaceri. Sei stato davvero così ignorante da non vederne il pericolo?”.
Lewis non concepisce il cristianesimo come castrazione della personalità ma come una sua esaltazione: “In
fondo Egli è un edonista.Tutti quei digiuni, quelle vigilie, come i
roghi e le croci, sono facciata. O soltanto come la spuma sul lido del
mare. Laggiù in alto mare, nel Suo mare, c’è il piacere, e sempre
maggior piacere. Ha riempito tutto il Suo mondo di piaceri. Vi sono cose
che gli essere umani possono fare tutto il giorno senza che egli vi
badi ne tanto ne poco: dormire, lavarsi, mangiare, bere, fare all’amore,
giocare, pregare, lavorare. Ogni cosa deve essere distorta prima che ci
serva in qualche modo”.
Per questo vale la pena di rispolverare questo libro, magari leggerlo, da soli, con onestà quasi da bambini. Perché si tratta di inno alla vita e al valore, alla dimensione di ogni piccolo gesto, con gli occhi di chi ha scritto che “incontrare Dio è la cosa più scomoda al mondo, perché egli sta costruendo una casa tutta diversa da quella che avevate in mente voi. Pensavate di costruire una casetta ammodo: ma Lui sta costruendo un palazzo. Intende venirci a vivere Lui stesso”. Buona lettura.
Per questo vale la pena di rispolverare questo libro, magari leggerlo, da soli, con onestà quasi da bambini. Perché si tratta di inno alla vita e al valore, alla dimensione di ogni piccolo gesto, con gli occhi di chi ha scritto che “incontrare Dio è la cosa più scomoda al mondo, perché egli sta costruendo una casa tutta diversa da quella che avevate in mente voi. Pensavate di costruire una casetta ammodo: ma Lui sta costruendo un palazzo. Intende venirci a vivere Lui stesso”. Buona lettura.
Postato da: giacabi a 14:32 |
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lewis
La Bellezza
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Noi non ci accontentiamo di vedere la Bellezza, anche se il Cielo sa che gran dono sia questo. Noi vogliamo qualcos'altro, che è difficile esprimere a parole. Vogliamo sentirci uniti alla bellezza che vediamo, trapassarla, riceverla dentro di noi, immergerci in essa, diventarci parte.
C.S Lewis il peso della gloria
Postato da: giacabi a 21:49 |
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bellezza, lewis
Il peccato di Satana
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“Non appena abbiamo un io, c’è la possibilità che mettiamo questo io al primo posto, che vogliamo essere il centro – che vogliamo, di fatto, essere Dio. Questo fu il peccato di Satana; ed è il peccato che egli insegnò al genere umano. […] Ciò che Satana mise nella mente dei nostri progenitori fu l’idea che essi potevano «essere come dèi»: che potevano regolarsi a modo loro come se si fossero creati da soli, essere padroni di se stessi, inventare una felicità per se stessi al di fuori di Dio, prescindendo da Dio”
C.S. Lewis
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Postato da: giacabi a 15:25 |
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lewis
Amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno ad un animale. Proteggetelo
avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo
di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno; o nella bara
del vostro egoismo.
C. S. Lewis
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Postato da: giacabi a 20:30 |
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lewis
Don Calabria e il carteggio con C.S. Lewis
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"...nel settembre 1953, don Calabria chiede un «dono» allo scrittore: «Vorrei
che lei, per l’affetto che nutre verso di me, si degnasse di scrivermi
cosa pensa riguardo alla situazione morale del nostro tempo,
qual è la sua opinione sulla causa e sull’origine delle difficoltà,
sulla divisione degli uomini tra di loro, sulle ansie per la salvezza
del mondo… ecc; quello che il Signore le ispirerà».
Lewis gli risponde: «Padre carissimo … Queste
cose capitano perché la maggior parte dell’Europa consuma l’apostasia
dalla fede cristiana. Da ciò è derivato uno stato peggiore di quello in
cui eravamo prima di ricevere la fede. Nessuno infatti dal Cristianesimo ritorna allo stato che ebbe prima del Cristianesimo, ma ad una condizione peggiore (...) Infatti la fede perfeziona la natura, ma la fede perduta corrompe la natura. Dunque
la maggior parte degli uomini del nostro tempo ha perduto non solo il
lume soprannaturale ma anche quel lume naturale che ebbero i pagani. Ma Dio, che è il Dio delle misericordie, non ha ancora abbandonato del tutto il genere umano (…). È
necessario richiamare molti alla legge naturale prima di parlare di
Dio. Cristo infatti promette la remissione dei peccati: ma in
che modo ciò può riguardare coloro che, ignorando la legge naturale,
non sanno di aver peccato? Chi accetterà il medico se non sa di essere
malato?»."
da: http://tracce.it/ di marzo 09
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Postato da: giacabi a 09:28 |
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lewis, don calabria
Il volto di Dio
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“Non ci verrà chiesto di abbandonare quei visi così familiari per rivolgerci a uno sconosciuto. Quando vedremo il volto di Dio, capiremo di averLo sempre conosciuto.
Egli ha fatto parte di tutte le nostre innocenti esperienze d'amore
terreno, creandole, sostenendole, e muovendole, istante dopo istante,
dall'interno. Tutto ciò che in esse era autentico amore, anche qui sulla terra, è stato più suo che nostro, e nostro soltanto perché suo. In cielo non ci sarà l'angoscia, né il dovere di staccarci dalle persone che abbiamo amato sulla terra. Prima di tutto perché ci saremo già staccati da loro, volgendoci dai ritratti all'Originale,
dai rivoletti alla fonte, dalle creature rese amabili a Colui che è
l'amore stesso. In secondo luogo, perché li ritroveremo tutti, in lui. Amando lui più di loro, li ameremo di più di quanto non facciamo ora"
C. S. Lewis
Grazie a : http://toliveonfire.blogspot.com/
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Postato da: giacabi a 18:29 |
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lewis
Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che Gli somigli.
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Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che Gli somigli.
Voglio H., e non qualcosa che sia simile a lei. Una fotografia
veramente bella potrebbe alla fine diventare una trappola, un orrore, e
un ostacolo.
Le
immagini, devo supporre, hanno una loro utilità, o non sarebbero così
diffuse. (Non fa differenza che siano dentro o fuori la mente, ritratti e
statue oppure costrutti dell'immaginazione). Ma per me è più evidente
il loro pericolo. Le immagini del Sacro diventano facilmente immagini
sacre, sacrosante. La
mia idea di Dio non è un'idea divina. Deve essere continuamente mandata
in frantumi. Ed è Lui stesso a farlo. Lui è il grande iconoclasta. Non
potremmo quasi dire che questa frantumazione è uno dei segni della Sua
presenza? L'esempio
supremo è l'Incarnazione, che lascia distrutte dietro di sé tutte le
precedenti idee del Messia. I più sono « offesi» dall'iconoclastia; e
beati quelli che non lo sono. Ma la stessa cosa accade nelle nostre preghiere private.Tutta
la realtà è iconoclastica. L'amata terrena, già in questa vita, trionfa
incessantemente sulla semplice idea che abbiamo di lei. E noi vogliamo
che sia così: la vogliamo con tutte le sue resistenze, i suoi difetti,
la sua imprevedibilità. Ossia, nella sua realtà solida e indipendente.
Ed è questo, e non un'immagine, o un ricordo, che dobbiamo continuare ad
amare, dopo che è morta.”
C.S. Lewis DIARIO DI UN DOLORE ADELPHI 2000
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Postato da: giacabi a 15:01 |
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lewis
Il cuore desidera l’Infinito
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“Le
creature non nascono con un desiderio, se di quel desiderio non esiste
una soddisfazione. Un bimbo ha fame: esiste il cibo. Un anatroccolo
vuole nuotare: esiste l’acqua e così via. Se trovo in me un desiderio che nessuna esperienza di questo mondo è in grado di soddisfare, la spiegazione più probabile è che io sia stato creato per un altro mondo”.
C. Lewis
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Postato da: giacabi a 21:30 |
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lewis, senso religioso
Dobbiamo morire a noi stessi per risorgere in Lui
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L'idea
comune che abbiamo tutti prima di diventare cristiani è la seguente.
Noi prendiamo come punto di partenza il nostro io ordinario, con i suoi
vari desideri e interessi. Poi ammettiamo che qualcos'altro - si chiami
"morale", "correttezza" o il "bene della società" - avanza delle pretese
su questo io: pretese che interferiscono con i suoi desideri. Ciò che
intendiamo per "essere buoni" è cedere a tali pretese. Alcune cose, che
l'io ordinario desiderava fare risultano "sbagliate": bene, dobbiamo
rinunciarvi. Altre cose, che l'io non aveva voglia di fare, risultano
"giuste": bene, dovremo farle. Ma continuiamo a sperare che una volta
soddisfatte tutte queste pretese, il povero io naturale avrà ancora
qualche possibilità, e un po' di tempo, per vivere a modo suo e fare ciò
che gli piace. Di fatto, assomigliamo molto a un onest'uomo che paga le
tasse: le paga puntualmente, ma spera che gli resti abbastanza per
vivere. Perché prendiamo ancora il nostro io naturale come punto di
partenza.
Fino a quando la penseremo così, otterremo probabilmente uno di questi due risultati: o rinunceremo al tentativo di essere buoni, o saremo infelicissimi. Infatti, siatene certi: all'io naturale, se davvero cercherete di soddisfare tutte le richieste che gli vengono fatte, non resterà abbastanza di che vivere. Più obbedite alla vostra coscienza, più la coscienza esigerà da voi. E il vostro io naturale, affamato, ostacolato e tartassato a ogni piè sospinto, cadrà in preda a una rabbia crescente. Alla fine, o smetterete di tentare di essere buoni, oppure diventerete una di quelle persone che, come si suol dire, "vivono per gli altri": ma sempre scontente, brontolando, chiedendosi sempre perché gli altri non ne tengano maggior conto, considerandosi sempre dei martiri. E una volta diventati così, sarete per chiunque debba vivere con voi un tormento molto peggiore che se foste rimasti francamente egoisti. La via cristiana è diversa: più difficile, e più facile. Cristo dice: "Dammi tutto. Io non voglio un tanto del tuo tempo e un tanto del tuo denaro e un tanto del tuo lavoro: voglio te. Non sono venuto a tormentare il tuo io naturale, ma a ucciderlo. Le mezze misure non servono. Non voglio tagliare un ramo qui e uno là, voglio abbattere tutto l'albero. Non voglio trapanare il dente, incapsularlo, otturarlo, ma estrarlo. Deponi tutto il tuo io naturale, tutti i desideri, quelli che ti paiono innocenti come quelli che ti paiono malvagi - tutto quanto. In cambio ti darò un nuovo io. Ti darò, in realtà, me stesso: la mia volontà diventerà la tua"
C.S. Lewis, Il cristianesimo così com'è, Milano, Adelphi, 1997, 236-238
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Postato da: giacabi a 14:49 |
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lewis
La realtà
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“Di solito la realtà è qualcosa che non si sarebbe mai potuta immaginare”
C.S. Lewis
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Postato da: giacabi a 20:15 |
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reale, lewis
L'uomo nel Nulla
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I Cristiani descrivono il Nemico come uno "senza il quale Nulla è forte". E il
Nulla è assai forte: è tanto da rubare all'uomo gli anni migliori non
in dolci peccati, ma in una terribile volubilità della mente che si
aggira in non sa che cosa senza saperne il perchè, nell'appagamento di
curiosità così deboli che ne è consapevole soltanto a metà, nel fare il
tamburiello con le dita e battersi i tacchi, nello zufolare ariette che
non gli piacciono, o nel lungo, oscuro labirinto di sogni privi perfino
di quel piacere o di quell'ambizione che diano loro un certo gusto, ma
che, una volta che un incontro fortuito abbia dato il via, la creatura è
troppo debole e troppo intossicata per scrollarli da sè. Dirai
che questi sono peccati veniali. Senza dubbio, come tutti i tentatori
giovani, tu hai una gran voglia di poter fare un rapporto con qualche
delitto spettacolare. Ma ricordati che la
sola cosa che ha importanza è la distanza con la quale riuscirai a
separare il giovanotto dal nemico. La piccolezza dei peccati non ha
importanza, purchè il loro effetto cumulativo scacci l'uomo nel Nulla,
lontano dalla Luce. Un assassinio non è migliore delle carte da gioco, se le carte riescono a fare il gioco. La
strada più sicura per l'Inferno, ricordalo, è quella graduale - è il
dolce pendio, il soffice suolo, senza brusche voltate, senza pietre
miliari, senza indicazioni. Tuo affezionatissimo Zio. Berlicche.
Clive Staples Lewis 1898-1963, Le Lettere di berlicche, 1942
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Postato da: giacabi a 16:07 |
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lewis
L’inquisitore
***
Se e’ inevitabile avere un tiranno, “un barone ladrone” e’ assai meglio di un inquisitore. La
crudeltà del barone può talvolta assopirsi, la sua cupidigia saziarsi; e
poiché intuisce confusamente di far male, potrebbe anche pentirsi. Ma
l’inquisitore, che scambia la propria crudeltà e sete di potenza e di
terrore con la voce celeste, ci tormenterà all’infinito perché ci
tormenta con l’approvazione della propria coscienza, e i suoi impulsi
migliori gli appariranno come tentazioni.”
C.S.Lewis
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Postato da: giacabi a 21:47 |
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lewis
Brave persone o uomini nuovi?
***
“Non
dobbiamo meravigliarci, dunque, se alcuni, benché cristiani, sono
tuttavia persone «inamabili» e poco «perbene». C’è perfino, a pensarci,
un motivo per aspettarsi che costoro si volgano a Cristo più numerosi
delle persone amabili e «perbene». Proprio questo veniva rimproverato a Cristo durante la Sua vita sulla terra: che Egli sembrava attirare «certa gentaglia».
E un’obiezione che viene fatta anche oggi, e lo sarà sempre. Non
vedete perché? Cristo ha detto «beati i poveri», ha detto quanto è
difficile per i ricchi entrare nel Regno: e senza dubbio Egli intendeva
anzitutto gli economicamente ricchi e gli economicamente poveri. Ma le
Sue parole non valgono anche per un altro genere di ricchezza e di
povertà? Uno dei pericoli dell’avere molti soldi è di essere
soddisfatti del genere di felicità che il denaro può dare, e quindi di
non rendersi conto del bisogno che si ha di Dio. Se ci sembra di poter
avere tutto semplicemente firmando degli assegni, forse dimenticheremo
che in ogni momento dipendiamo totalmente da Dio. Ebbene,
è chiaro che le doti naturali portano con sé un rischio analogo. Se hai
nervi saldi, intelligenza, salute, popolarità, buona educazione, è
probabile che tu sia soddisfatto della tua persona così com’è. «Perché
tirare in ballo Dio?» chiederai. Un certo livello di buon
comportamento ti riesce abbastanza facile. Non sei una di quelle
sciagurate creature sempre alle prese col sesso, l’alcool, il
nervosismo, il malumore. Tutti
ti considerano una persona amabile e come si deve, e tu (detto fra
noi) sei d’accordo con loro. E molto probabile che tu sia convinto che
tutta questa amabilità è opera tua: ed è facile che tu non senta il
bisogno di un tipo migliore di bontà. Spesso chi è dotato di queste
buone qualità naturali non arriva a riconoscere il proprio bisogno di
Cristo, finché un bel giorno la bontà naturale lo abbandona e il suo
autocompiacimento va in frantumi. In altre parole, è difficile per chi è
“ricco” in questo senso entrare nel Regno.
Le cose stanno molto diversamente per le persone «inamabili» — le nature grame, meschine, timide, viziate, fiacche, solitarie, o le nature passionali, sensuali, squilibrate. Se costoro fanno tanto di provare a essere buoni, imparano, due volte più alla svelta, di avere bisogno di aiuto. Per loro, è Cristo o niente. Prendere la croce e seguirLo — oppure disperare. Sono le pecore smarrite: Egli è venuto specialmente per loro. Sono (in un senso molto reale e terribile) i «poveri»: Egli li ha benedetti. Sono la «gentaglia» con cui Egli va in giro; e naturalmente i farisei dicono ancora, come dicevano all’inizio: «Se nel cristianesimo ci fosse qualcosa di buono, gente simile non sarebbe cristiana ». Qui c’è un monito, o un incoraggiamento, per ognuno di noi. Se sei una brava persona, «come si deve», se la virtù ti riesce facile, stai in guardia! Molto ci si aspetta da coloro a cui molto è stato dato. Se scambi per tuoi meriti quelli che sono in realtà doni ricevuti da Dio tramite la natura, e se ti accontenti di essere semplicemente una brava persona, sei ancora un ribelle, e tutti quei doni non faranno che rendere la tua caduta ancora più terribile, la tua corruzione più intricata, il tuo cattivo esempio più disastroso. Il Diavolo un tempo era un arcangelo: le sue doti naturali erano superiori alle tue quanto le tue sono superiori a quelle di uno scimpanzé. Ma se sei una povera creatura — avvelenata da una trista educazione in una casa piena di volgari gelosie e di insensati litigi; afflitta, non per tua scelta, da qualche repellente perversione sessuale; tormentata giorno dopo giorno da un complesso di inferiorità che ti fa trattare con asprezza i tuoi migliori amici — ebbene, non disperare. Dio sa tutto questo. Tu sei uno dei poveri che Egli ha benedetto. Egli sa quale miserabile macchina tu cerchi di guidare. Tieni duro. Fa’ quello che puoi. Un giorno (forse in un altro mondo, ma forse molto prima) Egli la getterà tra i rottami e te ne darà una nuova. E allora tu potrai stupire noi tutti — e non da ultimo te stesso: perché avrai imparato a guidare a una dura scuola. (Alcuni degli ultimi saranno i primi e alcuni dei primi saranno gli ultimi). Una buona indole, una personalità sana e integra, è un’ottima cosa. Dobbiamo cercare, con tutti i mezzi in nostro potere sanitari, scolastici, economici, politici di produrre un mondo in cui il maggior numero possibile di persone cresca ricco di buone qualità; così come dobbiamo cercare di produrre un mondo in cui tutti abbiano da mangiare in abbondanza. Ma non dobbiamo supporre che anche se riuscissimo a rendere tutti buoni in questo senso, avremmo salvato le loro anime. Un mondo di brave persone, contente delle loro buone qualità, che non cercano altro, che hanno voltato le spalle a Dio, sarebbe altrettanto disperatamente bisognoso di salvezza quanto un mondo miserabile — e salvarlo potrebbe essere ancora più difficile. Il semplice miglioramento, infatti, non è redenzione, sebbene la redenzione migliori sempre le persone, anche qui e ora, e alla fine le migliorerà fino a un punto che noi non possiamo ancora immaginare. Dio si è fatto uomo per trasformare delle creature in figli: non per produrre uomini migliori del vecchio tipo ma per produrre un nuovo tipo di uomo. Non è come insegnare a un cavallo a saltare sempre meglio, ma come trasformare un cavallo in una creatura alata. Ed è ovvio che il cavallo, quando avrà le ali, si librerà alto sopra steccati che prima non avrebbe mai potuto saltare, e così batterà il cavallo «naturale» al suo stesso gioco. Ma può esserci un periodo, mentre le ali cominciano appena a spuntare, in cui ciò non gli sarà possibile; in quella fase le protuberanze sulle sue spalle (nessuno direbbe, vedendole, che diventeranno ali) potranno dargli perfino un aspetto goffo e impacciato. Ma forse ci siamo già soffermati troppo a lungo su questo tema. Se ciò che volete è un argomento contro il cristianesimo (e io ricordo bene con quanto zelo cercavo argomenti simili quando cominciavo a temere che il cristianesimo fosse vero), vi sarà facile trovare qualche cristiano ottuso e scadente, e dire: «Dunque questo sarebbe il vantato uomo nuovo! Preferisco il vecchio modello». Ma se avete cominciato a vedere che altre ragioni rendono il cristianesimo probabile, saprete in cuor vostro che state solo eludendo il problema. Cosa possiamo sapere realmente delle anime altrui, delle loro tentazioni, delle loro opportunità, delle loro lotte? Un’anima sola, in tutta la creazione, ci è dato conoscere: ed è l’unica la cui sorte sta nelle nostre mani. Se c’è un Dio, noi siamo, in un certo senso, soli con Lui. Non possiamo liberarcene almanaccando sul vicino di casa o sui ricordi di ciò che abbiamo letto nei libri. Cosa conteranno tutte queste chiacchiere e dicerie (saremo in grado, perfino, di ricordarle?) quando la nebbia anestetica che chiamiamo «natura» o «mondo reale» si dissiperà, e la Presenza davanti alla quale siamo sempre stati diventerà tangibile, immediata e inevitabile?".
C.S.Lewis, da Il cristianesimo così com’è Adelphi,
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Postato da: giacabi a 14:49 |
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cristianesimo, lewis
Amicizia
***
Nel caso dell'amicizia, poiché siamo liberi da questi vincoli, pensiamo di aver scelto autonomamente i nostri pari.
In realtà, qualche anno di differenza nelle date di nascita, qualche
chilometro di distanza tra due case, la scelta di un'università
piuttosto che un'altra, la destinazione a un reggimento invece che a un
altro, il caso
che ci ha fatto parlare di un argomento, la prima volta che ci siamo
incontrati, invece di tacere - una qualsiasi di queste circostanze
avrebbe potuto farci restare separati. Ma per
un cristiano, non si può parlare, a rigor di termine, di fatalità. Un
segreto maestro delle cerimonie ha lavorato per noi. Cristo, che disse
ai suoi discepoli: "Non siete voi che vi siete scelti, ma sono Io che ho
scelto voi", può
veramente dire a ogni gruppo di amici cristiani: "Non siete voi che vi
siete scelti, ma sono Io che ho scelto voi, gli uni per gli altri". L'amicizia non è una ricompensa per il discernimento e il buon gusto che abbiamo dimostrato di possedere trovandoci vicendevolmente. Essa
è lo strumento attraverso il quale Dio rivela a ciascuno le bellezze
degli altri, che non sono, certamente superiori alle bellezze di un
altro migliaio di persone; con l'amicizia Dio ci apre gli occhi su di
loro.
C. S. Lewis, da: I quattro amori a M.
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Postato da: giacabi a 18:27 |
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amicizia, lewis
Se vuoi essere te stesso abbandonati a Lui
***
I
nostri veri “io” sono tutti in attesa di noi in Lui. Non giova cercare
di “essere me stesso” senza di Lui. Più io Gli resisto e cerco di vivere
per conto mio, più divento succube della mia eredità, educazione,
ambiente, desideri naturali.
Ciò che io chiamo orgogliosamente “me stesso” diventa in effetti solo
il punto d’incontro di sequele di eventi a cui io non ho dato origine e
che non posso fermare. Quelli
che chiamo “miei desideri” diventano soltanto i desideri suscitati dal
mio organismo fisico o inculcati in me da pensieri altrui, o magari
suggeritimi da esseri diabolici. Uova, alcool e una buona notte
di sonno saranno la vera origine della decisione (che io mi lusingo di
credere personalissima e ponderata) di amoreggiare con la ragazza seduta
di fronte a me in uno scompartimento ferroviario. La propaganda sarà la vera origine di quelle che io considero mie personali idee politiche.
Nel mio stato naturale, io sono una persona molto meno di quanto amo
credere: gran parte di ciò che chiamo “me stesso” può essere spiegata
molto facilmente. E’
quando mi volgo a Cristo, quando mi abbandono alla Sua Personalità, che
comincio ad avere una vera personalità mia... Ho detto che in Dio ci
sono delle Personalità. Ora andrò oltre: non ci sono vere personalità altrove. Finché non Gli avrai dato tutto te stesso non sarai veramente te stesso. L’uniformità si trova soprattutto tra gli uomini più “naturali”, non tra quelli che si arrendono a Cristo. Come sono monotonamente simili tutti i grandi tiranni e conquistatori, come sono gloriosamente differenti i santi!
Ma ci deve essere una reale rinuncia al proprio io. Devi gettarlo via, per così dire, “alla cieca”. Cristo ci darà una vera personalità: ma non dobbiamo andare a Lui con questo fine. Finché ciò che ci preme è la nostra personalità, non andiamo affatto a Lui. Il primo passo è tentare di dimenticare completamente noi stessi. Il nostro io nuovo e vero (che è di Cristo e anche nostro, e nostro perché Suo) non verrà fin tanto che lo cerchiamo. Verrà quando cerchiamo Lui. Sembra una stranezza? Lo stesso principio, sapete, vale per cose più banali. Anche nella vita sociale, non faremo mai una buona impressione agli altri finché continuiamo a preoccuparci dell’impressione che facciamo. Anche nella letteratura e nell’arte, chi si preoccupa dell’originalità non sarà mai originale, mentre se uno cerca semplicemente di dire la verità (senza curarsi né punto né poco di quante volte sia già stata detta) diventerà, in nove casi su dieci, originale, senza nemmeno accorgersene. Questo principio pervade tutta la vita, da cima a fondo. Rinuncia a te stesso, e troverai il tuo vero io. Perdi la tua vita e la salverai. Sottomettiti alla morte – alla morte, ogni giorno, delle tue ambizioni e dei tuoi desideri prediletti e alla morte di tutto il tuo corpo alla fine; sottomettiti con ogni fibra del tuo essere, e troverai la vita eterna. Non trattenere nulla. Soltanto ciò che avrai donato sarà realmente tuo. Soltanto ciò che in te è morto risorgerà dai morti. Cerca te stesso, e al lungo andare troverai solo odio, solitudine, disperazione, rabbia, rovina, disfacimento. Ma cerca Cristo e Lo troverai, e con Lui tutto il resto per soprappiù.
C. S. Lewis da: Il cristianesimo così com’è
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Postato da: giacabi a 15:25 |
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cristianesimo, lewis
LA BELLEZZA
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«Noi non ci accontentiamo di vedere la Bellezza, anche se il Cielo sa che gran dono sia questo. Noi vogliamo qualcos'altro, che è difficile esprimere a parole. Vogliamo sentirci uniti alla bellezza che vediamo, trapassarla, riceverla dentro di noi, immergerci in essa, diventarci parte.».
C.S. Lewis, Il peso della gloria
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Postato da: giacabi a 20:10 |
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bellezza, lewis
Julián Carrón su “EL MUNDO” alla manifestazione per la famiglia del 30 dicembre 2007, festa della “Sacra Famiglia”.
***
Indiscutibile.
L’appello
a intervenire alla manifestazione di questa domenica (30 dicembre)
nella Plaza de Colón di Madrid ha suscitato un moto di adesione in
moltissime persone,desiderose di riunirsi per testimoniare gioiosamente
davanti a tutti il bene che per loro significa la famiglia. Non dovremmo
sottovalutare questa risposta. Da
decenni continuiamo a ricevere messaggi che vanno nella direzione
opposta: molte serie televisive, film e molta letteratura ci mettono
davanti il contrario. Davanti a questo impressionante spiegamento di mezzi, parrebbe normale che la famiglia avesse smesso di interessare.
Invece c’è qualcosa che siamo costretti a riconoscere quasi con sorpresa: questo impressionante apparato ha dimostrato di non essere più potente dell’esperienza elementare che ciascuno di noi ha vissuto nella propria famiglia, l’esperienza di un bene. Un bene del quale siamo grati e che vogliamo trasmettere ai nostri figli per condividerlo con loro.
Qual è l’origine di questo bene di cui siamo così grati?
È l’esperienza cristiana.
Non
è sempre stato così, come testimonia la reazione dei discepoli la prima
volta che sentirono Gesù parlare del matrimonio. “Allora gli si
avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “è
lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Ed
egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò
maschio e femmina?”. E aggiunse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e
sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola. Quello
dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. I discepoli gli
dissero: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non
conviene sposarsi”. (Mt 19,3-6.10)
Non dobbiamo sorprenderci, quindi.
La stessa cosa che a tanti oggi, e spesso a noi stessi, appare impossibile, tale appariva anche ai discepoli. Solo
la grazia di Cristo ha reso possibile vivere la natura originale della
relazione fra l’uomo e la donna. È importante guardare a questa origine
per poter rispondere alle sfide che dobbiamo affrontare.
Noi cattolici non siamo diversi dai più; molti fra noi hanno problemi
nella vita familiare. Dolorosamente constatiamo come fra noi vi siano
molti amici che non sono perseveranti di fronte alle numerose difficoltà
esterne e interne che attraversano. E quanto a noi, non è sufficiente
conoscere la vera dottrina sul matrimonio per resistere a tutte le
tentazioni della vita. Ce lo ha ricordato il Papa: “Le buone strutture
aiutano, ma da sole non bastano. L’uomo non può mai essere redento
semplicemente dall’esterno” (Spe salvi, 25).
Dobbiamo far nostro quello che abbiamo ricevuto per poterlo vivere nella nuova situazione che siamo tenuti ad affrontare, come ci invita Goethe: “Ciò che hai ereditato dai tuoi padri devi conquistarlo di nuovo per possederlo veramente”. Per riappropriarci veramente dell’esperienza della famiglia dobbiamo imparare che “la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna – come ha detto Benedetto XVI – affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da quì. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? che cosa è l’uomo?”. Davvero la persona amata ci rivela “il mistero eterno del nostro essere”. Nulla ci risveglia talmente, e ci rende così coscienti del desiderio di felicità che ci costituisce, quanto l’esperienza di essere amato. La sua presenza è un bene così grande che ci fa rendere conto della profondità e della vera dimensione di questo desiderio: un desiderio infinito. Le parole di Cesare Pavese sul piacere si possono applicare alla relazione amorosa: “Quello che l’uomo cerca nel piacere è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito”. Un io e un tu limitati si suscitano reciprocamente un desiderio infinito e si scoprono lanciati dal proprio amore verso un desiderio infinito. In questa esperienza, a entrambi si svela la propria vocazione. Per questo i poeti hanno visto nella bellezza della donna un “raggio divino”, ossia un segno che rimanda più oltre, a un’altra cosa più grande, divina, incommensurabile rispetto al suo limite naturale. La sua bellezza grida di fronte a noi: “Non sono io. Io sono solo un promemoria. Guarda! Guarda! Che cosa ti ricordo?”. Con queste parole il genio di C. S. Lewis ha sintetizzato la dinamica del segno, di cui la relazione fra l’uomo e la donna costituisce un esempio commovente. Se non comprende questa dinamica, l’uomo cede all’errore di fermarsi alla realtà che ha suscitato il desiderio. E la relazione finisce per diventare insopportabile. Come diceva Rilke, “questo è il paradosso nell’amore tra l’uomo e la donna: due infiniti trovano due limiti. Due infinitamente bisognosi di essere amati trovano due fragili e limitate capacità di amare. Solo nell’orizzonte di un Amore più grande non si divorano nella pretesa, né si rassegnano, ma camminano insieme verso la pienezza di cui l’altro è segno”.
La più bella esperienza, innamorarsi
In
questo contesto si può comprendere l’inaudita proposta di Gesù perché
l’esperienza più bella della vita, innamorarsi, non decada sino a
trasformarsi in una pretesa soffocante. “Chi ama il padre o la madre più
di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è
degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà
perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,37.39). Con queste
parole Gesù rivela la portata della speranza che la sua persona
costituisce per coloro che lo lasciano entrare nella propria vita. Non
si tratta di una ingerenza nei rapporti più intimi, ma della più grande
promessa che l’uomo ha potuto ricevere: se
non si ama Cristo – la Bellezza fatta carne – più della persona amata,
questo rapporto appassisce. È Lui la verità di questo rapporto, la
pienezza alla quale i due reciprocamente si rinviano e nella quale il
loro rapporto si realizza pienamente. Solo permettendogli di entrare in
essa, è possibile che la relazione più bella che accade nella vita non
decada e col tempo muoia. Noi sappiamo bene che tutto l’impeto col quale uno si innamora non basta a impedire che l’amore, col tempo, si corrompa.
Questa è l’audacia della sua pretesa. Appare quindi in tutta la sua importanza il compito della comunità cristiana: favorire una esperienza del cristianesimo per la pienezza della vita di ciascuno. Solo nell’ambito di questa relazione più grande è possibile non divorarsi, perché ciascuno trova in essa il suo compimento umano, sorprendendo in se stesso una capacità di abbracciare l’altro nella sua diversità, di una gratuità senza limiti, di un perdono sempre rinnovato. Senza comunità cristiane capaci di accompagnare e sostenere gli sposi nella loro avventura, sarà difficile, se non impossibile, che la portino a compimento felicemente. Gli sposi, a loro volta, non possono esimersi dal lavoro di una educazione – della quale sono i protagonisti principali –, pensando che appartenere all’ambito della comunità ecclesiale li liberi dalle difficoltà. In questo modo si rivela pienamente la natura della vocazione matrimoniale: camminare insieme verso l’unico che può rispondere alla sete di felicità che l’altro risveglia costantemente in me, cioè verso Cristo. Così si eviterà di passare, come la Samaritana, di marito in marito (cfr. Gv 4,18) senza riuscire a soddisfare la propria sete. La coscienza della sua incapacità a risolvere da sola il proprio dramma, nemmeno cambiando cinque volte marito, le ha fatto percepire Gesù come un bene così desiderabile da non poter fare a meno di gridare: “Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete” (Gv 4,15). Senza l’esperienza di pienezza umana che Cristo rende possibile, l’ideale cristiano del matrimonio si riduce a qualcosa di impossibile da realizzare. L’indissolubilità del matrimonio e l’eternità dell’amore appaiono come chimere irraggiungibili. E in realtà esse sono frutti tanto gratuiti di una intensità di esperienza di Cristo che appaiono agli stessi sposi come una sorpresa, come la testimonianza che “a Dio nulla è impossibile”. Solo una tale esperienza può mostrare la razionalità della fede cristiana, come una realtà che corrisponde totalmente al desiderio e alle esigenze dell’uomo, anche nel matrimonio e nella famiglia. Un rapporto vissuto in questo modo costituisce la migliore proposta educativa per i figli. Attraverso la bellezza della relazione fra i genitori, essi vengono introdotti, quasi per osmosi, al significato dell’esistenza. Nella stabilità di questa relazione la loro ragione e la loro libertà vengono costantemente sollecitate a non perdere una tale bellezza. È la stessa bellezza, che risplende nella testimonianza degli sposi cristiani, che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare.
Julián Carrón
Siamo di fronte a un fatto strano. |
Postato da: giacabi a 20:17 |
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famiglia, rilke, lewis, carron
Presepe e Dio lontano
***
"Spero,
caro Farfarello, che tu non ti sia lasciato sfuggire l'occasione,
durante queste ultime feste natalizie, di ammirare qualcuno dei presepi
che in molte case ancora si usa allestire per la gioia dei bambini e dei
vecchi. Ce n'è di tutti i tipi, dal legno alla cartapesta, dal
cristallo al bronzo, dalla terracotta al plexiglas...
Io amo i presepi. Dirai che sono un vecchio sentimentale... Ebbene, di' pure, se vuoi. Prima però, senti quello che ho da dirti in proposito. Da secoli ormai un'idea mi frulla per il capo alla sola vista di un presepe, e te la voglio confidare in segno di stima. Ebbene, io credo che la grande quantità di energia che noi diavoli abbiamo sempre profuso per inventare argomentazioni seducenti contro Dio sia, in gran parte fatica sprecata. Noi non dobbiamo creare nuovi argomenti: possiamo usare pari pari i loro. E' il cuore che decide, e spesso decide male. Pensa alle figuri minori del presepe: c'è un solo Giuseppe, una sola Maria, un solo Gesù bambino. Un solo bue, un solo asino. Gli altri sono tutte comparse, compresi i Magi. Ogni uomo al mondo è una figura minore del presepe... Seguimi bene. Dopo aver reso omaggio al Messia, che fanno tutte queste comparse? Se ne tornano, semplicemente, al loro lavoro. Il carrettiere al suo carretto, il panettiere al suo pane, e così via. C'è qualcosa, in tutto ciò, che mi manda in confusione, che mi stordisce e mi umilia: ciascuno torna lieto al suo mestiere, anzi: se prima il lavoro gli pesava, ora gli pesa molto meno, perché ha visto il Messia. Che ira! Tutto diviene accettabile, amabile... Ma poi, passata l'ira, ecco l'idea! La grande idea! Quella che è la più grande dimostrazione dell'esistenza di Dio, la quotidianità, eccola trasformata, senza che apparentemente nulla cambi, nella più grande delle bestemmie! Che cos'è mai il tuo Dio? Un'emozione momentanea prima di riprendere il solito tran tran. Un bambinello che ti salva finché resti in estatica contemplazione, ma poi? Immaginiamo quei poveri pastori al momento del congedo. Un inchino, un altro inchino, mettiamoci pure un terzo inchino. Ma poi le spalle dovranno pur voltare, e tornarsene alle loro pecore, non è vero? E allora noi diavoli pronti, in coro, a soffiar nelle loro orecchie: dalle obiezioni più collaudate ("come può Dio, nella sua bontà, permettere il dolore innocente?") alle migliori invenzioni della modernità (l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio si trasforma nell'egalité giacobina, che è il suo opposto), e via dicendo. Tutte le obiezioni contro Dio nascono dall'idea di un Dio lontano, che non vuole salvare concretamente gli uomini. Ma questa idea nasce, a sua volta, dalla comodità: un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino. E' questa, Farfarello, la nostra carta vincente. Da sempre. Un abbraccio dal tuo Malacoda".
C. S. Lewis Lettere di Berlicche
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Postato da: giacabi a 14:55 |
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natale, lewis
Carità
***
Vediamo,
anzitutto, il significato del termine. Oggi “carità” equivale in
massima a ciò che una volta si chiamava “elemosina”: cioè, dare ai
poveri. Originariamente il significato era molto più ampio. (E’ facile
capire come la parola abbia assunto il senso attuale. Una della azioni
più ovvie, per chi ha “carità”, è appunto dare ai poveri; e così si è
finito per parlare come se tutta la carità consistesse in questo. Allo
stesso modo, la rima è in poesia la cosa più ovvia, e così molti
intendono per “poesia” semplicemente dei versi rimati e niente più).
Carità significa “amore, nel senso cristiano”. Ma
l’amore in senso cristiano non è un’emozione. E’ uno stato non dei
sentimenti ma della volontà: quello stato della volontà che noi abbiamo
naturalmente verso noi stessi, e che dobbiamo imparare ad avere verso
gli altri.
Nel capitolo sul perdono ho osservato che il nostro amore per noi stessi non significa che ci piacciamo, bensì che desideriamo il nostro bene. Allo stesso modo l’amore cristiano (o carità) per il prossimo è altra cosa dalla simpatia o dall’affetto. Proviamo simpatia e affetto per alcune persone, e non per altre. Occorre capire che
questa “simpatia” naturale non è né un peccato né una virtù, come non
lo è la nostra preferenza per certi cibi: è solo un dato di fatto. Peccaminoso o virtuoso è invece l’uso che ne facciamo.
La simpatia, l’affetto naturale per una persona facilità l’essere “caritatevole” verso di essa.
Perciò è normalmente doveroso incoraggiare i nostri affetti, provare il
più possibile simpatia per gli altri (così come è spesso nostro dovere
incoraggiare la nostra inclinazione all’esercizio fisico o al cibo
sano): non perché questa simpatia si identifichi con la virtù della carità, ma perché è un aiuto verso la carità.
D’altro canto, è anche necessario stare bene attenti che la nostra
simpatia per qualcuno non ci renda poco caritatevoli e magari ingiusti
verso qualcun altro. Si dà anche il caso che il nostro affetto contrasti con la carità verso la persona a cui vogliamo bene.
Per esempio, una madre troppo amorosa può essere tentata dall’affetto
naturale a viziare il figlio; ossia a soddisfare i propri impulsi
affettuosi a spese, più avanti, della vera felicità del figlio medesimo.
Ma
se le simpatie e gli affetti naturali sono normalmente da incoraggiare,
sarebbe un errore credere che per diventare caritatevoli convenga
mettersi d’impegno a confezionare sentimenti affettuosi. Certuni
sono “freddi” per temperamento; può essere, per loro, una disgrazia, ma
non è un peccato più di quanto lo sia una cattiva digestione, e non li
esclude dalla possibilità, né li esonera dal dovere di imparare la
carità. La regola per noi tutti è semplicissima. Non perdere tempo a domandarti se “ami” il prossimo: agisci come se lo amassi. Subito,
così facendo, scopriremo un grande segreto: quando ci comportiamo con
qualcuno come se lo amassimo, ben presto arriviamo ad amarlo.
Se offendi uno per cui provi antipatia, ti troverai a provare per lui
un’antipatia ancora maggiore; se gli fai del bene, ti diventerà meno
antipatico. C’è invero, un’eccezione. Se
gli fai del bene non per piacere a Dio e per obbedire alla legge della
carità, ma per mostrargli quanto tu sia generoso e magnanimo, e per
rendertelo obbligato, e poi stai ad aspettare la sua “gratitudine”,
probabilmente rimarrai deluso. (La gente non è stupida: coglie al volo cose come l’affettazione o la condiscendenza). Ma quando
facciamo del bene a qualcuno solo perché è una persona creata (come
noi) da Dio, e desideriamo la sua felicità come desideriamo la nostra,
avremo imparato ad amarla un poco di più, o almeno a esserle meno
ostili.
Di conseguenza la
carità cristiana, sebbene appaia una cosa molto fredda a gente con la
testa imbottita di sentimentalismo, e sia una cosa ben distinta
dall’affetto, porta tuttavia all’affetto. La differenza tra un
cristiano e un uomo “mondano” non è che quest’ultimo abbia soltanto
affetti o “simpatie” e il cristiano soltanto “carità”. Il mondano tratta
gentilmente certe persone perché ha “simpatia” per loro; il
cristiano, cercando di trattare gentilmente tutti scopre man mano di
provare simpatia per un numero sempre maggiore di persone – comprese
persone che all’inizio non avrebbe immaginato di trovare simpatiche.
Questa
stessa legge spirituale agisce in modo terribile nel senso inverso.
Forse i tedeschi, dapprima, trattarono in modo crudele gli ebrei perché
li odiavano; in seguito li odiarono molto di più perché avevano
incrudelito su di loro. Più si è crudeli, più si odia; e più si odia,
più si diventa crudeli – e così via in un perpetuo circolo vizioso.
Bene
e male crescono a interesse composto. Per questo le piccole decisioni
che prendiamo ogni giorno sono così importanti. La minima buona azione
di oggi è la conquista di una posizione strategica da cui, tra qualche
mese, potremo forse ottenere vittorie mai sognate. Un cedimento
apparentemente veniale alla lussuria o all’ira è la perdita di un
crinale, di una linea ferroviaria o di una testa di ponte da cui il
nemico potrà lanciare un attacco altrimenti impossibile.
Alcuni
usano la parola carità per descrivere non solo l’amore cristiano tra
esseri umani, ma l’amore di Dio per l’uomo e l’amore dell’uomo per Dio.
Riguardo a quest’ultimo, spesso
la gente si tormenta. Sa che dovrebbe amare Dio, ma non riesce a
trovare dentro di sé questo sentimento. Che fare? La risposta è la
stessa di prima. Agisci come se questo sentimento tu lo avessi; non
cercare di fabbricarlo. Domandati: “Se fossi sicuro di amare Dio, che
cosa farei?”.
Quando
avrai trovato la risposta, agisci di conseguenza. Nel complesso, è
molto meglio pensare all’amore di Dio per noi che al nostro amore per
Lui. Nessuno può avere sempre sentimenti devoti; e anche se fosse possibile, i sentimenti non sono ciò che a Dio più importa. L’amore
cristiano, verso Dio o verso l’uomo, è cosa della volontà. Se cerchiamo
di fare la Sua volontà, obbediamo al comandamento “Ama il Signore Dio
tuo”. I sentimenti d’amore Dio ce li darà, se crede. Non possiamo
crearceli per conto nostro, né dobbiamo rivendicarli come un diritto. Ma
la cosa più importante da ricordare è che se i nostri sentimenti vanno e
vengono, il Suo amore per noi non fa altrettanto. Non è logorato dai
nostri peccati, né dalla nostra indifferenza; e perciò non cessa mai di
volere che di quei peccati noi si abbia a guarire, a qualunque costo per
noi, a qualunque costo per Lui.
Clive Staples Lewis Il cristianesimo così com’è
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Postato da: giacabi a 15:45 |
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lewis
Senza Cristo niente a senso
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Alcuni
dicono che comportarsi bene, se non significa fare ciò che giova a un
determinato individuo in un determinato momento, significa tuttavia fare
ciò che giova all'insieme del genere umano; e che quindi in questo non
c'è niente di misterioso.
Gli esseri umani, in fin dei conti, non sono privi di senno, e
capiscono che si può essere veramente sicuri o felici soltanto in una
società nella quale ognuno agisca correttamente; per questo cercano di
comportarsi bene. Ora, è
verissimo che sicurezza e felicità possono derivare soltanto
dall'onestà, equità e gentilezza reciproca degli individui, classi e
nazioni. E' una delle verità più importanti del mondo. Ma come
spiegazione del nostro modo di sentire riguardo al giusto e
all'ingiusto, alla ragione e al torto, è fuor di proposito. Se
io chiedo: "Perché dovrei essere altruista?" e voi rispondete: "Perché
giova alla società", io posso ribattere: "Perché dovrei curarmi di ciò
che giova alla società, quando non giova a me personalmente?"; e voi
allora dovrete dire: "Perché bisogna essere altruisti", il che ci
riporta al punto di partenza. Dite una cosa vera, ma non fate un passo
avanti
Clive Staples Lewis, Il cristianesimo così com'è, Adelphi
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Postato da: giacabi a 18:29 |
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nichilismo, lewis
Io ho bisogno di Cristo
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“Le prove non sono esperimenti che Dio fa sulla mia fede…Lui, questa, già la conosce; ero io che non la conoscevo… Lui l’ha sempre saputo che il mio tempio era un castello di carte. L’unico modo per far sì che lo capissi anch’io era di buttarlo giù”.
“Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che Gli somigli…Non la mia idea di Dio, ma Dio… La mia idea di Dio non è un’idea divina. Deve essere
continuamente mandata in frantumi. Ed è Lui
stesso a farlo. Lui è il grande iconoclasta.
Non potremmo quasi dire che questa frantumazione è uno dei segni della Sua presenza?”.
Lewis
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Postato da: giacabi a 17:08 |
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gesù, lewis
Cerca Cristo e troverai tutto
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”È quando mi volgo a Cristo, quando mi abbandono alla Sua Personalità, che comincio ad avere una vera personalità mia… Finché non Gli avrai dato tutto te stesso non sarai veramente te stesso… Rinuncia a te stesso e troverai il tuo vero io. Perdi la tua vita e la salverai. Cerca te stesso, e a lungo andare troverai solo odio, solitudine, disperazione, rabbia, rovina,disfacimento. Ma cerca Cristo e Lo troverai, e con Lui tutto il resto per soprappiù”.
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Postato da: giacabi a 18:58 |
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gesù, lewis
Diventare Santi
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" Già gli uomini nuovi sono sparsi in tutta la terra. Alcuni sono ancora difficilmente riconoscibili; ma altri possiamo riconoscerli. Di tanto in tanto li incontriamo. Le loro voci e le loro facce sono diverse dalle nostre: più forti, più calme, più liete, più raggianti. Questi uomini partono da dove i più di noi si arrestano. Sono riconoscibili, ma dobbiamo sapere cosa cercare. Non attirano l'attenzione su di sé. Tu immagini di far loro del bene, mentre sono loro a fartene. Ti amano più di quanto ti amino gli altri uomini, ma hanno meno bisogno di te. Sembrano, di solito, avere una quantità di tempo a disposizione, e tu ti domandi da dove gli venga. Quando abbiamo riconosciuto uno di essi, riconoscere il successsivo ci riesce molto più facile. E io sospetto molto fortemente (ma come faccio a saperlo?) che
essi si riconoscano tra loro immediatamente e infallibilmente, al di là
di ogni barriera di colore, sesso, classe, età, e anche dottrina.
Diventare santi è un po' come aderire a una società segreta. Per dirla
in termini molto riduttivi dev'essere un gran divertimento.”
C.S. Lewis
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Postato da: giacabi a 14:06 |
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santi, lewis
La miseria dell’uomo
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"Nessuno sa quanto sia malvagio fino a che non ha tentato con tutte le sue forze di essere buono"
C. Lewis
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Postato da: giacabi a 15:22 |
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lewis
Gli idoli
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"Chi pone il gioco del calcio o la sua motocicletta al centro della propria vita, o la donna che concentra tutti i suoi pensieri nei vestiti o nella partita di bridge o nel suo cane, è altrettanto intemperante di chi si ubriaca ogni sera. Naturalmente
questo tipo di intemperanza non è così evidente come quella del bere;
le manie del bridge e del calcio non fanno stramazzare nessuno in mezzo
alla strada. Ma Dio non si lascia ingannare dalle apparenze"
(C. Lewis).
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Postato da: giacabi a 14:44 |
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lewis
La scommessa su Dio
Un aiuto per scommettere
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Nel bridge, mi dicono,
si deve giocare a soldi,"altrimenti il gioco non è serio". Qui è la stessa cosa, a quanto pare. La dichiarazione - Dio o nessun Dio, Dio buono o Sadico Cosmico, vita eterna o nulla - non è seria se non c'è una posta di qualche valore. E solo fino a che punto sia seria lo si scopre solo quando le puntate diventano paurosamente alte, quando si capisce che la posta in gioco non è un pugno di gettoni o di monetine, ma la nostra intera ricchezza. Niente che sia meno di questo può scuotere l'uomo (non, almeno, un uomo come me) dalle sue riflessioni meramente verbali e dalle sue convinzioni meramente immaginarie. C.S.Lewis Diaro di un dolore |
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