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venerdì 17 febbraio 2012

manzoni


L'AMORE DI CRISTO
***

 
cap. XXIII
Il cardinal Federigo, intanto che aspettava l'ora d'andar in chiesa a celebrar gli ufizi divini, stava studiando, com'era solito di fare in tutti i ritagli di tempo; quando entrò  il cappellano crocifero, con un viso alterato.
"Una strana visita, strana davvero, monsignore illustrissimo!"
"Chi è?" domandò il cardinale.
"Niente meno che il signor..." riprese il cappellano, e spiccando le sillabe con una gran significazione, proferì quel nome che noi non possiamo scrivere ai nostri lettori. Poi soggiunse: "è qui fuori in persona; e chiede nient'altro che d'esser introdotto da vossignoria illustrissima."
"Lui!" disse il cardinale, con un viso animato, chiudendo il libro, e alzandosi da sedere: "venga! venga subito!"
"Ma..." replicò il cappellano, senza moversi: "vossignoria illustrissima deve sapere chi è costui: quel bandito, quel famoso..."
"E non è una fortuna per un vescovo, che a un tal uomo sia nata la volontà di venirlo a trovare?"
"Ma..." insistette il cappellano: "noi non possiamo mai parlare di certe cose, perché monsignore dice che le son ciance: però quando viene il caso, mi pare che sia un dovere... Lo zelo fa de' nemici, monsignore; e noi sappiamo positivamente che piú d'un ribaldo ha osato vantarsi che, un giorno o l'altro..."
"E che hanno fatto?" interruppe il cardinale.
"Dico che costui è un appaltatore di delitti, un disperato, che tiene corrispondenza co' disperati piu furiosi, e che può esser mandato..."
"Oh, che disciplina è codesta," interruppe ancora sorridendo Federigo, "che i soldati esortino il generale ad aver paura?" Poi, divenuto serio e pensieroso, riprese: "san Carlo non si sarebbe trovato nel caso di dibattere se dovesse ricevere un tal uomo: sarebbe andato a cercarlo. Fatelo entrar subito: ha già aspettato troppo."
Il cappellano si mosse, dicendo tra sé: "non c'è rimedio: tutti questi santi sono ostinati."
Aperto l'uscio, e affacciatosi alla stanza dov'era il signore e la brigata, vide questa ristretta in una parte, a bisbigliare e a guardar di sott'occhio quello, lasciato solo in un canto. S'avviò verso di lui; e intanto squadrandolo, come poteva, con la coda dell'occhio, andava pensando che diavolo d'armeria poteva esser nascosta sotto quella casacca; e che, veramente, prima d'introdurlo, avrebbe dovuto proporgli almeno... ma non si seppe risolvere. Gli s'accostò, e disse: "monsignore aspetta vossignoria. Si contenti di venir con me." E precedendolo in quella piccola folla, che subito fece ala, dava a destra e a sinistra occhiate, le quali significavano: "cosa volete? non lo sapete anche voi altri, che fa sempre a modo suo?"
Appena introdotto l'innominato, Federigo gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a una persona desiderata, e fece subito cenno al cappellano che uscisse: il quale ubbidì.
I due rimasti stettero alquanto senza parlare, e diversamente sospesi. L'innominato, ch'era stato come portato lì per forza da una smania inesplicabile, piuttosto che condotto da un determinato disegno, ci stava anche come per forza, straziato da due passioni opposte, quel desiderio e quella speranza confusa di trovare un refrigerio al tormento interno, e dall'altra parte una stizza, una vergogna di venir lì come un pentito, come un sottomesso, come un miserabile, a confessarsi in colpa, a implorare un uomo: e non trovava parole, né quasi ne cercava. Però, alzando gli occhi in viso a quell'uomo, si sentiva sempre piú penetrare da un sentimento di venerazione imperioso insieme e soave, che, aumentando la fiducia, mitigava il dispetto, e senza prender l'orgoglio di fronte, l'abbatteva, e, dirò così, gl'imponeva silenzio. 
La presenza di Federigo era infatti di quelle che annunziano una superiorità, e la fanno amare. Il portamento era naturalmente composto, e quasi involontariamente maestoso, non incurvato né impigrito punto dagli anni; l'occhio grave e vivace, la fronte serena e pensierosa; con la canizie, nel pallore, tra i segni dell'astinenza, della meditazione, della fatica, una specie di floridezza verginale: tutte le forme del volto indicavano che, in altre età, c'era stata quella che piú propriamente si chiama bellezza; l'abitudine de' pensieri solenni e benevoli, la pace interna d'una lunga vita, l'amore degli uomini, la gioia continua d'una speranza ineffabile, vi avevano sostituita una, direi quasi, bellezza senile, che spiccava ancor piú in quella magnifica semplicità della porpora. 

Tenne anche lui, qualche momento, fisso nell'aspetto dell'innominato il suo sguardo penetrante, ed esercitato da lungo tempo a ritrarre dai sembianti i pensieri; e, sotto a quel fosco e a quel turbato, parendogli di scoprire sempre piú qualcosa di conforme alla speranza da lui concepita al primo annunzio d'una tal visita, tutt'animato, "oh!" disse: "che preziosa visita è questa! e quanto vi devo esser grato d'una sì buona risoluzione; quantunque per me abbia un po' del rimprovero!"
"Rimprovero!" esclamò il signore maravigliato, ma raddolcito da quelle parole e da quel fare, e contento che il cardinale avesse rotto il ghiaccio, e avviato un discorso qualunque.
"Certo, m'è un rimprovero," riprese questo, "ch'io mi sia lasciato prevenir da voi; quando, da tanto tempo, tante volte, avrei dovuto venir da voi io."
"Da me, voi! Sapete chi sono? V'hanno detto bene il mio nome?" 

"E questa consolazione ch'io sento, e che, certo, vi si manifesta nel mio aspetto, vi par egli ch'io dovessi provarla all'annunzio, alla vista d'uno sconosciuto? Siete voi che me la fate provare; voi, dico, che avrei dovuto cercare; voi che almeno ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto pregato; voi, de' miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che avrei piú desiderato d'accogliere e d'abbracciare, se avessi creduto di poterlo sperare. Ma Dio sa fare Egli solo le maraviglie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza de' suoi poveri servi." 
L'innominato stava attonito a quel dire così infiammato, a quelle parole, che rispondevano tanto risolutamente a ciò che non aveva ancor detto, né era ben determinato di dire; e commosso ma sbalordito, stava in silenzio. "E che?" riprese, ancor piú affettuosamente, Federigo: "voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?"
"Una buona nuova, io? Ho l'inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio." 
"Che Dio v'ha toccato il cuore, e vuol farvi suo," rispose pacatamente il cardinale. 
"Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questo Dio?" 
"Voi me lo domandate? voi? E chi piú di voi l'ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v'opprime, che v'agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v'attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d'una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l'imploriate?" 
"Oh, certo! ho qui qualche cosa che m'opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c'è questo Dio, se è quello che dicono, cosa volete che faccia di me?" 

Queste parole furon dette con un accento disperato; ma Federigo, con un tono solenne, come di placida ispirazione, rispose: "cosa può far Dio di voi? cosa vuol farne? Un segno della sua potenza e della sua bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Che il mondo gridi da tanto tempo contro di voi, che mille e mille voci detestino le vostre opere..." (l'innominato si scosse, e rimase stupefatto un momento nel sentir quel linguaggio così insolito, piú stupefatto ancora di non provarne sdegno, anzi quasi un sollievo); "che gloria," proseguiva Federigo, "ne viene a Dio? Son voci di terrore, son voci d'interesse; voci forse anche di giustizia, ma d'una giustizia così facile, così naturale! alcune forse, pur troppo, d'invidia di codesta vostra sciagurata potenza, di codesta, fino ad oggi, deplorabile sicurezza d'animo. Ma quando voi stesso sorgerete a condannare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora! allora Dio sarà glorificato! E voi domandate cosa Dio possa far di voi? Chi son io pover'uomo, che sappia dirvi fin d'ora che profitto possa ricavar da voi un tal Signore? cosa possa fare di codesta volontà impetuosa, di codesta imperturbata costanza, quando l'abbia animata, infiammata d'amore, di speranza, di pentimento? Chi siete voi, pover'uomo, che vi pensiate d'aver saputo da voi immaginare e fare cose piu grandi nel male, che Dio non possa farvene volere e operare nel bene? Cosa può Dio far di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? e compire in voi l'opera della redenzione? Non son cose magnifiche e degne di Lui? Oh pensate! se io omiciattolo, io miserabile, e pur così pieno di me stesso, io qual mi sono, mi struggo ora tanto della vostra salute, che per essa darei con gaudio (Egli m'è testimonio) questi pochi giorni che mi rimangono; oh pensate! quanta, quale debba essere la carità di Colui che m'infonde questa così imperfetta, ma così viva; come vi ami, come vi voglia Quello che mi comanda e m'ispira un amore per voi che mi divora!" 
A misura che queste parole uscivan dal suo labbro, il volto, lo sguardo, ogni moto ne spirava il senso. La faccia del suo ascoltatore, di stravolta e convulsa, si fece da principio attonita e intenta; poi si compose a una commozione piú profonda e meno angosciosa; i suoi occhi, che dall'infanzia piu non conoscevan le lacrime, si gonfiarono; quando le parole furon cessate, si coprì il viso con le mani, e diede in un dirotto pianto, che fu come l'ultima e piu chiara risposta.
"Dio grande e buono!" esclamò Federigo, alzando gli occhi e le mani al cielo: "che ho mai fatto io, servo inutile, pastore sonnolento, perche Voi mi chiamaste a questo convito di grazia, perche mi faceste degno d'assistere a un sì giocondo prodigio!" Così dicendo, stese la mano a prender quella dell'innominato. 
"No!" gridò questo, "no! lontano, lontano da me voi: non lordate quella mano innocente e benefica. Non sapete tutto ciò che ha fatto questa che volete stringere." 
"Lasciate," disse Federigo, prendendola con amorevole violenza, "lasciate ch'io stringa codesta mano che riparerà tanti torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici." 
"E' troppo!" disse, singhiozzando, l'innominato. "Lasciatemi, monsignore; buon Federigo, lasciatemi. Un popolo affollato v'aspetta; tant'anime buone, tant'innocenti, tanti venuti da lontano, per vedervi una volta, per sentirvi: e voi vi trattenete... con chi!" 
"Lasciamo le novantanove pecorelle," rispose il cardinale: "sono in sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch'era smarrita. Quell'anime son forse ora ben piú contente, che di vedere questo povero vescovo. Forse Dio, che ha operato in voi il prodigio della misericordia, diffonde in esse una gioia di cui non sentono ancora la cagione. Quel popolo è forse unito a noi senza saperlo: forse lo Spirito mette ne' loro cuori un ardore indistinto di carità, una preghiera ch'esaudisce per voi, un rendimento di grazie di cui voi siete l'oggetto non ancor conosciuto." Così dicendo, stese le braccia al collo dell'innominato; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da quell'impeto di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sull'omero di lui il suo volto tremante e mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora incontaminata di Federigo; e le mani incolpevoli di questo stringevano affettuosamente quelle membra, premevano quella casacca, avvezza a portar l'armi della violenza e del tradimento. 
L'innominato, sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: "Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure...! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!" 
"E' un saggio," disse Federigo, "che Dio vi dà per cattivarvi al suo servizio, per animarvi ad entrar risolutamente nella nuova vita in cui avrete tanto da disfare, tanto da riparare, tanto da piangere!" "Me sventurato!" esclamò il signore, "quante, quante... cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho d'intraprese, d'appena avviate, che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, disfare, riparare." 

Federigo si mise in attenzione; e l'innominato raccontò brevemente, ma con parole d'esecrazione anche piú forti di quelle che abbiamo adoprato noi, la prepotenza fatta a Lucia, i terrori, i patimenti della poverina, e come aveva implorato, e la smania che quell'implorare aveva messa addosso a lui, e come essa era ancor nel castello...
"Ah, non perdiam tempo!" esclamò Federigo, ansante di pietà e di sollecitudine. "Beato voi! Questo è pegno del perdono di Dio! far che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevate esser di rovina. Dio vi benedica! Dio v'ha benedetto! Sapete di dove sia questa povera nostra travagliata?"


Postato da: giacabi a 19:53 | link | commenti (2)
manzoni

mercoledì, 17 febbraio 2010

Il decalogo di Manzoni

***

 Sentir, riprese, e meditar: di poco
Esser contento: da la meta mai
Non torcer gli occhi:
conservar la mano
Pura e la mente: de le umane cose
Tanto sperimentar, quanto ti basti
Per non curarle:
non ti far mai servo:
Non far tregua coi vili: il santo Vero
Mai non tradir: né proferir mai verbo,
Che plauda al vizio o la virtù derida

Alessandro Manzoni




Postato da: giacabi a 10:31 | link | commenti
manzoni

sabato, 19 settembre 2009

 

 ***
 "Due cose io ho avute principalmente di mira nelle osservazioni precedenti: l'una di porre in salvo la morale della Chiesa cattolica da ogni eccezione, di provare che ella è perfetta, e che tutti i mali morali fuori ed entro la Chiesa vengono dall'ignorarla, dal non seguirla, dall'interpretarla a rovescio. L'altra che nelle accuse di fatto che si danno alla disciplina pratica dei cattolici, conviene andar guardinghi prima di creder tutto, perché molte sono dettate da spirito di parte, e ricevute inconsideratamente per un falso spirito d'imparzialità, quasiché per essere imparziale si dovesse stare a tutto ciò che si ode di contrario alla propria causa. Molte di queste accuse sono esaggerate, molte sono assolutamente false, molte, benché vere, sono ingiuste nelle conseguenze perché si attribuiscono ai soli cattolici, molte nascono dal desiderio di trovare guasti tutti i frutti per condannar l'albero e gittarlo al fuoco".
Alessandro Manzoni
grazie a: Amadigi
 


Postato da: giacabi a 16:37 | link | commenti
chiesa, manzoni

giovedì, 17 settembre 2009


L’incontro ha una portata conoscitiva
 ***
oh! - disse: - che preziosa visita è questa! E quanto vi devo esser grato d'una sì buona risoluzione; quantunque per me abbia un po' del rimprovero!
- Rimprovero! - esclamò il signore meravigliato, ma raddolcito da quelle parole e da quel fare, e contento che il cardinale avesse rotto il ghiaccio, e avviato un discorso qualunque.
- Certo, m'è un rimprovero, - riprese questo, - ch'io mi sia lasciato prevenir da voi; quando, da tanto tempo, tante volte, avrei dovuto venir da voi io.
- Da me, voi! Sapete chi sono? V'hanno detto bene il mio nome?
- E questa consolazione ch'io sento, e che, certo, vi si manifesta nel mio aspetto, vi par egli ch'io dovessi provarla all'annunzio, alla vista d'uno sconosciuto? Siete voi che me la fate provare; voi, dico, che avrei dovuto cercare; voi che almeno ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto pregato; voi, de' miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che avrei più desiderato d'accogliere e d'abbracciare, se avessi creduto di poterlo sperare. Ma Dio sa fare Egli solo le meraviglie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza de' suoi poveri servi.
L'innominato stava attonito a quel dire così infiammato, a quelle parole, che rispondevano tanto risolutamente a ciò che non aveva ancor detto, né era ben determinato di dire; e commosso ma sbalordito, stava in silenzio.
- E che? - riprese, ancor più affettuosamente, Federigo: - voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?
- Una buona nuova, io? Ho l'inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio.
- Che Dio v'ha toccato il cuore, e vuol farvi suo, - rispose pacatamente il cardinale.
- Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questo Dio?
- Voi me lo domandate? Voi? E chi più di voi l'ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v'opprime, che v'agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v'attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d'una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l'imploriate?
- Oh, certo! Ho qui qualche cosa che m'opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c'è questo Dio, se è quello che dicono, cosa volete che faccia di me?
Queste parole furon dette con un accento disperato; ma Federigo, con un tono solenne, come di placida ispirazione, rispose:
- cosa può far Dio di voi? Cosa vuol farne? Un segno della sua potenza e della sua bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Che il mondo gridi da tanto tempo contro di voi, che mille e mille voci detestino le vostre opere... - (l'innominato si scosse, e rimase stupefatto un momento nel sentir quel linguaggio così insolito, più stupefatto ancora di non provarne sdegno, anzi quasi un sollievo); - che gloria, - proseguiva Federigo, - ne viene a Dio? Son voci di terrore, son voci d'interesse; voci forse anche di giustizia, ma d'una giustizia così facile, così naturale! Alcune forse, pur troppo, d'invidia di codesta vostra sciagurata potenza, di codesta, fino ad oggi, deplorabile sicurezza d'animo. Ma quando voi stesso sorgerete a condannare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora! Allora Dio sarà glorificato! E voi domandate cosa Dio possa far di voi? Chi son io pover'uomo, che sappia dirvi fin d'ora che profitto possa ricavar da voi un tal Signore? cosa possa fare di codesta volontà impetuosa, di codesta imperturbata costanza, quando l'abbia animata, infiammata d'amore, di speranza, di pentimento? Chi siete voi, pover'uomo, che vi pensiate d'aver saputo da voi immaginare e fare cose più grandi nel male, che Dio non possa farvene volere e operare nel bene? Cosa può Dio far di voi? E perdonarvi? E farvi salvo? E compire in voi l'opera della redenzione? Non son cose magnifiche e degne di Lui? Oh pensate! Se io omiciattolo, io miserabile, e pur così pieno di me stesso, io qual mi sono, mi struggo ora tanto della vostra salute, che per essa darei con gaudio (Egli m'è testimonio) questi pochi giorni che mi rimangono; oh pensate! Quanta, quale debba essere la carità di Colui che m'infonde questa così imperfetta, ma così viva; come vi ami, come vi voglia Quello che mi comanda e m'ispira un amore per voi che mi divora!
A misura che queste parole uscivan dal suo labbro, il volto, lo sguardo, ogni moto ne spirava il senso. La faccia del suo ascoltatore, di stravolta e convulsa, si fece da principio attonita e intenta; poi si compose a una commozione più profonda e meno angosciosa; i suoi occhi, che dall'infanzia più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono; quando le parole furon cessate, si coprì il viso con le mani, e diede in un dirotto pianto, che fu come l'ultima e più chiara risposta. - Dio grande e buono! - esclamò Federigo, alzando gli occhi e le mani al cielo: - che ho mai fatto io, servo inutile, pastore sonnolento, perche Voi mi chiamaste a questo convito di grazia, perche mi faceste degno d'assistere a un sì giocondo prodigio! - Così dicendo, stese la mano a prender quella dell'innominato.
- No! - gridò questo, - no! Lontano, lontano da me voi: non lordate quella mano innocente e benefica. Non sapete tutto ciò che ha fatto questa che volete stringere.
- Lasciate, - disse Federigo, prendendola con amorevole violenza, - lasciate ch'io stringa codesta mano che riparerà tanti torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici.
- È troppo! - disse, singhiozzando, l'innominato. - Lasciatemi, monsignore; buon Federigo, lasciatemi. Un popolo affollato v'aspetta; tant'anime buone, tant'innocenti, tanti venuti da lontano, per vedervi una volta, per sentirvi: e voi vi trattenete... con chi!
- Lasciamo le novantanove pecorelle, - rispose il cardinale: - sono in sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch'era smarrita. Quell'anime son forse ora ben più contente, che di vedere questo povero vescovo. Forse Dio, che ha operato in voi il prodigio della misericordia, diffonde in esse una gioia di cui non sentono ancora la ragione. Quel popolo è forse unito a noi senza saperlo: forse lo Spirito mette ne' loro cuori un ardore indistinto di carità, una preghiera ch'esaudisce per voi, un rendimento di grazie di cui voi siete l'oggetto non ancor conosciuto -.
Così dicendo, stese le braccia al collo dell'innominato; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da quell'impeto di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sul braccio di lui il suo volto tremante e mutato.
Le sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora incontaminata di Federigo; e le mani incolpevoli di questo stringevano affettuosamente quelle membra, premevano quella casacca, avvezza a portar l'armi della violenza e del tradimento. L'innominato, sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò:

- Dio veramente grande! Dio veramente buono! Io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure...! Eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!

È un saggio, - disse Federigo, - che Dio vi dà per attrarvi al suo servizio, per animarvi ad entrar risolutamente nella nuova vita in cui avrete tanto da disfare, tanto da riparare, tanto da piangere! - Me sventurato! - esclamò il signore, - quante, quante... cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho d'intraprese, d'appena avviate, che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, disfare, riparare.”
A. Manzoni da: I promessi sposi

Postato da: giacabi a 13:30 | link | commenti
manzoni

domenica, 25 maggio 2008


Regala ciò che non hai
***


Occupati dei guai,
dei problemi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni,
le esigenze di chi ti sta vicino.


Regala agli altri la luce che non hai,
la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te,
la fiducia di cui sei privo.
Illuminali dal tuo buio.
Arricchiscili con la tua povertà
.

Regala un sorriso
Quando hai voglia di piangere.
Produci serenità
Dalla tempesta che hai dentro.
“Ecco quello che non ho ,te lo do”
Questo è il tuo paradosso.


Ti accorgerai che la gioia
a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua
nella misura in cui
l’avrai regalata agli altri
.

Alessandro Manzoni

Postato da: giacabi a 16:46 | link | commenti
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giovedì, 01 maggio 2008

SUL NOME DI MARIA

***
 

                        Santo nome, in fra i mortali
            Quale è il nome che ti avanza?
            Tu sei nome di speranza,
            Tu sei nome di pietà.
5                      Se d'Adamo il pazzo orgoglio
            Al Signor ci fa ribelli,
            Per te, o Madre, siam fratelli
            Di Colui che ci creò.
                        Per te ancora al Ciel perduto
10        Nostra mente si solleva;
            Tu ci togli al fallo d'Eva,
            Tu ci torni al primo onor.
                        Quando pesa sul cuor mio
            L'ingiustizia dei mortali,
15        Quando a me verranno i mali,
            Il tuo nome invocherò.
                        Se dei troppi falli miei
            Caggio sotto all'empie some,
            Ripetendo il tuo bei nome
20        Io mi sento confortar.
                        Egli è umìl non men che mondo,
            Questo giglio delle valli;
            Né perch'Ella è senza falli
            Mai rigetta chi fallì.
25                    Ché ben sa che s'Ella intatta
            Tutto corse il tristo esigilo,
            È sol grazia del suo Figlio,
            Che la volle preservar.
                        Tu se' gioia ai cuori afflitti,
30        Tu se' guida ai passi erranti,
            Tu se' stella ai naviganti,
            Tu se' grazia ai regnator.
                        Se la vita è un tristo calle
            Tutto sparso di ruine,
35        Questa rosa in fra le spine
            Il cammino allegrerà.
                        Tu conosci 1 nostri guai:
            Per noi dunque il Figliuol prega;
            Se ad ogni uom Egli si piega,
40        Per la Madre che farà?
                        Non ti chieggo della terra
            Le delizie passeggere,
            Ne lo scettro del potere
            Ne la febbre degli onor;
45                    Prega Lui che alle nostre alme
            Verso il Ciel dia corso e lena,
            E la polvere terrena
            Ci dia forza a disprezzar.
                        Fa che sempre io mi ricordi
50        Il colpevol viver mio,
            Onde alfin, placato e pio,
            Lo dimentichi il Signor;
                        Onde possa, ancor che indegno,
            Rimirarlo senza velo,
55        E udir gli angioli del Cielo
            Il tuo nome risuonar.
Alessandro Manzoni [Settembre 1823]

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giovedì, 06 dicembre 2007

 Il cardinal Federico e l’Innominato
***


[…] – Una buona nuova, io? Ho l’inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate  da un par 
mio.
- Che Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo, - rispose pacatamente il cardinale.
- Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?
- Voi me lo domandate? Voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’implorate?

(Alessandro Manzoni promessi sposi

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manzoni

martedì, 30 ottobre 2007

La misericordia di Dio  
***
«Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.». Manzoni  I Promessi sposi


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chiesa, dio, manzoni

lunedì, 15 ottobre 2007


La gioia
***

Ed ecco, appunto sull'albeggiare, pochi momenti dopo che Lucia s'era addormentata, ecco che, stando così immoto a sedere, sentì arrivarsi all'orecchio come un'onda di suono non bene espresso, ma che pure aveva non so che d'allegro. Stette attento, e riconobbe uno scampanare a festa lontano; e dopo qualche momento, sentì anche l'eco del monte, che ogni tanto ripeteva languidamente il concento, e si confondeva con esso. Di lì a poco, sente un altro scampanìo più vicino, anche quello a festa; poi un altro.
«Che allegria c'è? cos' hanno di bello tutti costoro?» Saltò fuori da quel covile di pruni; e vestitosi a mezzo, corse a aprire una finestra, e guardò. Le montagne eran mezze velate di nebbia; il cielo, piuttosto che nuvoloso, era tutto una nuvola cenerognola; ma, al chiarore che pure andava a poco a poco crescendo, si distingueva, nella strada in fondo alla valle, gente che passava, altra che usciva dalle case, e s'avviava, tutti dalla stessa parte, verso lo sbocco, a destra del castello, tutti col vestito delle feste, e con un'alacrità straordinaria.
«Che diavolo hanno costoro? che c'è d'allegro in questo maledetto paese? dove va tutta quella canaglia? ». E data una voce a un bravo fidato che dormiva in una stanza accanto, gli domandò qual fosse la cagione di quel movimento. Quello, che ne sapeva quanto lui, rispose che anderebbe subito a informarsene. Il signore rimase appoggiato alla finestra, tutto intento al mobile spettacolo. Erano uomini, donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; uno, raggiungendo chi gli era avanti, s'accompagnava con lui; un altro, uscendo di casa, s'univa col primo che rintoppasse; e andavano insieme, come amici a un viaggio convenuto. Gli atti indicavano manifestamente una fretta e una gioia comune; e quel rimbombo non accordato ma consentaneo delle varie campane, quali più, quali meno vicine, pareva, per dir così, la voce di que' gesti, e il supplimento delle parole che non potevano arrivar lassù. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa.
Alessandro Manzoni Da “I Promessi Sposi” – Cap. 21


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felicità, manzoni

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