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venerdì 17 febbraio 2012

marcel


La fedeltà implica la coscienza del sacro
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"la fedeltà implica la coscienza del sacro. Io m’impegno con te a non abbandonarti, e questo impegno è tanto più sacro ai miei occhi quanto più libera­mente io lo sottoscrivo e quanto meno possibilità tu avrai d’appellarti contro di me se io dovessi venirgli meno. So d’al­tronde che, per il fatto stesso d’essermi legato in un modo così assoluto, mi sarà senza dubbio dato il mezzo di restare effettivamente fedele; il giuramento, sebbene all’origine e nella sua essenza sia mio atto, o proprio perché è il mio atto, diviene così la diga più resistente contro tutto ciò che in me tende al rilassamento e al dissolvimento.
Io non ho tuttavia il diritto di legarmi in questo modo se non in casi rarissimi, in base a un’intuizione con la quale mi è dato di riconoscere che io devo e che io voglio mettermi a tua disposizione, e questo senza sminuirmi ai miei occhi, anzi onorandomi e come innalzandomi con questo stesso atto. Non si può dunque vendere, o svilire la fedeltà e il giura­mento. Forse va detto che difatto la fedeltà non può mai essere assoluta, tranne quando si tratti della Fede, ma va aggiunto che essa aspira a divenire assoluta, come se il mio giuramento comportasse questa preghiera: «Voglia il cielo che io non sia indotto in tentazione, cioè che i fatti non mi spingano a credermi autorizzato a denunciare il mio impegno, col pretesto che le condizioni sulle quali si basa si sono tra­sformate in un modo che non potevo prevedere quando l’ho assunto». Forse non posso andare al di là di questa preghiera senza presumere troppo delle mie forze; inoltre occorre ch’essa sia realmente sincera e che mantenga in me la volontà di lottare contro questa tentazione, se mai si presentasse.
Generalmente è vero che la tempra d’un essere si rico­nosce e si prova dalla fedeltà di cui è capace; ma occorre aggiungere che esistono probabilmente fedeltà nascoste, invi­sibili, e che nessuno è autorizzato ad affermare che un altro sia totalmente infedele. Del resto, umanamente parlando, non si può esigere la fedeltà, come non si può esigere l’amore o la vita. Io non posso esigere da un altro che mi risponda, non posso nemmeno esigere ragionevolmente ch’egli mi ascolti, e mi è sempre lecito pensare che, se non mi risponde, ciò signi­fica che non mi ha ascoltato. Le prescrizioni in una simile sfera non possono andare al di là del come se, e riguardano solo il comportamento. Io ti ordino di comportarti con me come se tu m’avessi giurato fedeltà. Ma si vede la fragilità d’una simile finzione. La fedeltà, come la stessa libertà, trascende infinitamente i limiti del prescrittibile proprio perché è creatrice. Creatrice, quand’è autentica, la fedeltà lo è sempre in sostanza, perché possiede il misterioso potere di rinnovare non soltanto colui che la esercita, ma anche il suo oggetto, per quanto indegno di lei questo abbia inizialmente potuto essere, come se la fedeltà avesse la probabilità — e in questo non c’è proprio nulla di fatale — di renderlo alla lunga per­meabile al soffio che pervade l’anima interiormente consa­crata. In forza di ciò la fedeltà rivela la sua vera natura che consiste nell’essere una testimonianza, un’attestazione; in forza di ciò anche un’etica che ne faccia il proprio fulcro è portata ad aggrapparsi a qualcosa di sovrumano, a quella volontà d’incondizionalità che in noi è l’esigenza e il segno stesso dell’Assoluto."
 

Gabriel Marcel Le Peuch marzo 1942

testo integrale:
marcel

Postato da: giacabi a 23:01 | link | commenti
marcel

domenica, 06 gennaio 2008


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«Ama chi dice all’altro:     tu non puoi morire»
Gabriel Marcel

Postato da: giacabi a 07:54 | link | commenti
amicizia, marcel

giovedì, 03 gennaio 2008

L’atteggiamento del cristiano
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 « Osserviamo anzitutto che il significato stesso della parola servire è ambiguo e va segnalata la differenza di livello spirituale esistente fra servire e servire a. In presenza d’un arnese o d’una macchina la cui destinazione m’è ignota chiederò: a che serve questo? Si tratta solo di strumenti di cui dispongono esseri dotati di volontà persone che lavorano alla realizzazione di fini ben determinati. C’è perciò qualcosa di scandaloso nel chiedere ad un essere umano: a che servi? Appunto perché significherebbe paragonarlo ad una cosa. Notiamo del resto che una rappresentazione strumentalista dell’essere umano finisce per provocare inevitabilmente conseguenze gravissime come la soppressione degli infermi e degli incurabili; non “servono piú a nulla” dunque bisogna gettarli via: perché prendersi la briga di mantenere e alimentare macchine fuori uso?
Non ci sarebbe al contrario nulla d’offensivo se allo stesso individuo – se si ha una certa intimità con lui – si domandasse: che cosa servi? o chi servi? E se egli si offendesse per una simile domanda dimostrerebbe di non capire il senso profondo della vita. È chiaro infatti che ogni vita è un servizio il che non significa beninteso che si debba spenderla per un individuo determinato ma soltanto che per sua natura deve essere consacrata a (a Dio ovvero a un valore superiore come la conoscenza o l’arte ecc. ovvero a un fine sociale volutamente scelto). Servire in questo secondo senso significa mettersi al servizio di. E qui l’accento va posto sulla particella si sul pronome riflessivo. Vivere nel senso pieno della parola non significa esistere o sussistere limitarsi a esistere o a sussistere ma disporre di sé darsi.
È purtroppo manifesto che spiriti malati o deformi hanno di fatto mirato a confondere questi due significati cosí nettamente distinti. Un’idea aberrante s’è imposta a masse sempre crescenti d’individui disseminati. L’idea secondo cui servire umilia colui che serve. La persona vedendo sempre piú sé stessa nella veste di uno che ha da fare delle rivendicazioni di un “io” assoluto s’è cosí incaponita non soltanto nei suoi diritti nelle sue prerogative ma anche nei sentimenti d’invidia che le ispiravano i vantaggi di cui altri le sembravano godere indebitamente. “Perché lui perché non io?”. Il risentimento che indubbiamente ha sempre covato sotto un egualitarismo che certi odiosi psicologi si sono ben guardati per molto tempo dal mettere a nudo ha cosí indotto innumerevoli coscienze a respingere la nozione d’una gerarchia qualsiasi e ad insorgere contro l’idea di dovere da parte loro servire qualcuno. È giusto soggiungere che coloro capi o dirigenti che hanno lasciato inaridire nel loro fondo il senso delle loro responsabilità hanno contribuito in proporzioni incredibili a preparare questa crisi della nozione di servizio.»

G. Marcel Homo viator Borla Torino 1967 pagg. 147-156

Postato da: giacabi a 14:03 | link | commenti
marcel, cristianesimo

giovedì, 15 novembre 2007

Senza Cristo
la persona diviene individuo
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Il nostro tempo mi sembra caratterizzato dall'eccedenza dell'idea di funzione. L'individuo tende ad apparire a se stesso ed agli altri come un semplice fascio di funzioni. L'individuo è stato indotto a considerarsi come una aggregato di funzioni la cui gerarchia gli appare come problematica e comunque soggetta alle interpretazioni più contraddittorie...
Mi accade spesso di chiedermi con una specie di ansia quale possa essere per esempio la vita di un impiegato della metropolitana: l'uomo che apre le porte o quello che fora i biglietti. Bisogna riconoscere che sia in lui che fuori di lui tutto concorre a determinare l'identificazione di quest'uomo con le sue funzioni, non dico soltanto la sua funzione di impiegato, di aderente ad un sindacato, di elettore, ma anche le sue funzioni vitali. L'espressione, in fondo infelicissima, «impiego del tempo» trova qui la sua piena utilizzazione. Tante ore sono dedicate a determinate funzioni. Anche il sonno è una funzione da assolvere per poter assolvere le altre.
E cosi il riposo, lo svago. Vediamo cosi precisarsi una specie di formulario vitale, i cui particolari variano naturalmente secondo i paesi, gli usi e i costumi... Ma l'importante è che vi sia un formulario.
Senza dubbio possono manifestarsi i principi di disordine, di rottura: l'incidente sotto tutte le forme, la malattia. Si comprenderà benissimo allora, ed è quello che accade spesso in America e credo in Russia, come l'individuo venga sottoposto come un orologio a verifiche periodiche. La clinica appare allora come una casa di controllo o un'officina di riparazioni. E, sempre da questo punto di vista del funzionamento, vedremo considerati problemi essenziali come quello della limitazione delle nascite ...
Non v'è quasi bisogno di insistere sull'impressione di soffocante tristezza che promana da un uomo tutto imperniato sulla funzione. Mi limito a ricordare la figura del pensionato, e l'immagine connessa delle domeniche in città, quando i passanti danno appunto la sensazione di essere dei pensionati della vita. In un mondo siffatto la tolleranza di cui gode il pensionato ha qualcosa di derisorio e di sinistro.
Da questo punto di vista obiettivo e funzionale, la morte appare come un mettere fuori uso, un rendere inutilizzabile, un ridurre a rottame.
G. Marcel, Approcci al mistero ontologico.


Postato da: giacabi a 15:51 | link | commenti
marcel, persona

martedì, 13 novembre 2007

Uomo e perdita di identità

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Forse assistiamo oggi alla più vasta crisi d’identità che l’uomo abbia mai attraversato, crisi in cui molti secolari fondamenti dell’esistenza sono messi in discussione o vengono trascurati. Le parole che Max Scheler scrisse quasi mezzo secolo fa, non sembrano aver perduto nulla della loro attualità:
 “Nella storia di  oltre  diecimila anni noi   siamo la prima epoca in cui l’ uomo è diventato per se stesso radicalmente ed universalmente problematico: l’ uomo non sa più chi egli sia e si rende pure conto di non saperlo più. Soltanto facendo tabula rasa di tutte le tradizioni che riguardano questo problema, contemplando con estremo rigore metodologico ed estrema meraviglia quell’ essere che si chiama uomo, si potrà nuovamente giungere a dei giudizi fondati”.
 Martin Heidegger, parlando dell’antropologia di Kant fa eco a queste parole di Scheler:
Nessun’ epoca ha saputo conquistare tante e così svariate conoscenze sull’ uomo come la nostra […]. Eppure nessuna epoca ha conosciuto l’ uomo così poco come la nostra”.
La stessa idea, in termini pressa poco identici, viene ripresa da Gabriel Marcel, quando prende l’uomo dalla baracca, diseredato ed emarginato dalla cultura odierna, come modello dell’ uomo contemporaneo il quale non sa più chi egli sia e perché esista.
In questo contesto di perdita d’identità, d’ incertezza e di smarrimento riguardo all’immagine dell’ uomo, la riflessione filosofica, critica e sistematica, sull’ essere e sul significato dell’ uomo diventa uno fra i compiti più urgenti del nostro tempo.
                                                                    (Gevaert, Il problema dell’ uomo)

 


Postato da: giacabi a 19:06 | link | commenti
marcel, persona, heidegger

giovedì, 03 agosto 2006

 
L’abolizione dell’uomo
Ho trovato interessante questo pensiero di Gabriel Marcel
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Avvilita la nozione della vita, tutto il resto viene di conseguenza, sarebbe lecito chiedersi se l’uomo della tecnica non finisca per considerare la vita stessa come  una tecnica del tutto imperfetta e in cui il lavoro abborracciato costituisca la regola. In tali condizioni come non potrebbe arrogarsi il diritto di intervenire nel corso stesso della vita, al modo stesso che si regola il corso di un fiume?
 Prima di sapere se sia il caso di mettere “in viaggio” un figlio, si faranno dei calcoli come se si trattasse di acquistare una motocicletta o una Simca: si calcolerà il piu esattamente possibile il suo costo annuo; nel primo caso saranno da prevedere i guasti e i conti del meccanico, nel secondo le malattie e le prescrizioni del medico. Molto spesso si ripiegherà sul cagnolino che costa meno, e se i conti del veterinario saranno troppo salati, vi sarà sempre la possibilità di disfarsene.
Soluzione che non si è ancora giunti a prendere in considerazione per i figli.     ( Gabriel Marcel, Gli uomini contro l’umano)bambino o cagnolino


marcel

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