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martedì 14 febbraio 2012

Max Jacob


Max Jacob
funambolo di Dio

***

Max Jacob si nasconde dietro a Picasso

Due ritratti di Max Jacob eseguiti da Amedeo Modigliani

Un ritratto di Jacob di Pablo Picasso

Un autoritratto di Max Jacob, intitolato "Mon véritable cirque", 1919

L'ultimo fotografia di Jacob, scattata poco prima del suo arresto, nel 1944
 
      
«Lo seppellirono al cimitero d’Ivry, col rosario che gli trovarono in tasca, fra centinaia d’esili croci, prima di trasportarlo nell’amata Saint-Benoit-sur-Loire: e qui, da sessant’anni, riposa il corpo del poeta e pittore Max Jacob, dopo la morte avvenuta il 5 marzo del 1944 nel campo di concentramento nazista di Drancy. Era nato nel 1876 a Quimper, in Bretagna, da una famiglia ebraica di sarti e antiquari. Compagno di stanza di Picasso, amico di Apollinaire e Jabés, figura controversa dell’estrosa Parigi bohémienne d’inizio secolo, Jacob destò scandalo con la sua conversione, fra le più stravaganti di quell’eroica stagione. Negli stessi anni in cui Claudel, Huysmans, Péguy, Maritain e molti altri intellettuali francesi approdavano al cattolicesimo, Max Jacob fece l’esperienza di una folgorante apparizione del Cristo: “Dopo un tranquillo lavoro alla Biblioteca Nazionale, a Parigi, me ne tornavo a casa, con una grossa busta di pelle sottobraccio piena di note e manoscritti. Ero vestito come si usava allora, con un cappello alto e la redingote. Dato che faceva caldo, non vedevo l’ora di rimettermi in libertà. Mi ero tolto il cappello e stavo per infilarmi le pantofole, da buon borghese, quando gettai un grido. Sul muro vi era l’Ospite. Caddi in ginocchio, gli occhi mi si empirono di lacrime. E subito, appena s’incontrarono con l’Essere ineffabile, mi sentii colmato solo da due parole: morire, nascere”. Furono in pochi, a prestar fede al “saltimbanco di rue Ravignan”. Il battesimo, le ripetute visioni, tutto venne colto quasi fosse un’estrema provocazione artistica, almeno fino al momento in cui il poeta non decise di ritirarsi presso una vecchia sacrestia, a Saint-Benoit-sur-Loire, in un esilio volontario rotto solo dalle poche visite degli amici. Lontano dai rumori e dal bel mondo di Parigi, Jacob persegue una ferrea disciplina: accostarsi quotidianamente all’Eucaristia, stilare una meditazione ogni mattina (secondo il modello di san Francesco di Sales), nutrire una fittissima corrispondenza (fino a sei lettere al giorno), dedicarsi ad un’intensa attività letteraria e apostolica. "Acrobata assoluto”, “funambolo di Dio”, “clown mistico”: le definizioni per la sua leggenda volatile e leggera non si contano, e hanno spesso contribuito a nascondere un’opera di valore discontinuo, ma con tratti di grande spessore (e assai poco nota, in Italia, se non fosse per qualche editore coraggioso, come Marietti e La Locusta). La sua Arte poetica, improntata a un terso classicismo, presenta ad esempio passaggi di una luminosità avvolgente. Durante il suo viaggio verso la morte, Jacob trovò poi il tempo di scrivere le sue ultime, toccanti righe, indirizzandole a un amico sacerdote: “Caro Signor Curato, scusate questa lettera da naufrago, scritta per la compiacenza dei gendarmi. Tengo a dirvi che sarò a Drancy fra pochissimo. Ho delle conversioni in corso. Ho fiducia in Dio e nei miei amici. Lo ringrazio del martirio che comincia. Rispettosamente e amichevolmente, Max Jacob. Non dimentico nessuno nelle mie continue preghiere”. Se è vero che un albero si vede dai frutti, non vi dovrebbero esser dubbi sulla bontà di quell’apparizione, nel lontano settembre del 1909. Per chi non crede, resta l’umile testimonianza, in parole ed in sangue, di un poeta che giunse al martirio come ebreo e come cattolico».
 Max Jacob era un grande scrittore: giocava con la fantasia, l’emozione, le immagini insolite.
Egli ha avuto un destino singolare: in quanto poeta, faceva parte della bohème di Montmartre.
Era ebreo, ma in seguito a un’illuminazione si è convertito al Cattolicesimo, andandosi a
ritirare nel 1921 in un’abbazia benedettina sulla Loira. Ed è lì che sono venuti ad arrestarlo i
tedeschi nel febbraio del 1944, in quanto ebreo: è morto qualche giorno poco nel campo di
internamento di Drancy. A Drancy, ha scritto delle poesie, tra cui questa
Agonie
Mon Dieu! Que je suis las d’être sans espérance,
De rouler le tonneau lourd de ma déchéance
Et sans moyens d’en finir avec la terre.
[...]
Je tourne chaque nuit mes visions vers les morts
Je frappe avec mon crâne aux rochers de l’enfer
Et les draps de mon lit sont en paille de fer.
Souvent dans mon sommeil la même île électrique
Marque en couteau de sang mes noms patronymiques
Sur ma peau. Membres, paquets d’anguilles
Qu’avec un gai rictus les diables échenillent.
Agonia
(Dio mio ! Come son lasso di esser senza speranza,
Di rotolare la botte greve del mio avvilimento
E senza possibilità di farla finita con la terra.
[...]
Volgo ogni notte le mie visioni verso i morti
Sbatto con il mio cranio alle rupi dell’inferno
E le lenzuola nel letto sono in paglia di ferro.
Sovente nel sonno la stessa isola elettrica
Imprime con coltello di sangue i miei patronimici
Sulla pelle. Membra, fasci di anguille
Che con un gaio ghigno i diavoli sfrondano.)

"Diceva la Vergine lavando il suo Bambino:
 "Bisognerà comprare un'altra spugna
 e un catino di smalto che sia nuovo".
 "Aspetta!", le risponde il nuovo Nato,
"la spugna servirà per il fiele,  
e il catino smaltato per il sangue!"".
                                http://www.noveporte.it/


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