Max Jacob
funambolo di Dio
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Max Jacob si nasconde dietro a Picasso Due ritratti di Max Jacob eseguiti da Amedeo Modigliani Un ritratto di Jacob di Pablo Picasso Un autoritratto di Max Jacob, intitolato "Mon véritable cirque", 1919 L'ultimo fotografia di Jacob, scattata poco prima del suo arresto, nel 1944
«Lo seppellirono al cimitero d’Ivry, col rosario che gli trovarono in tasca, fra centinaia d’esili croci, prima di trasportarlo nell’amata Saint-Benoit-sur-Loire:
e qui, da sessant’anni, riposa il corpo del poeta e pittore Max Jacob,
dopo la morte avvenuta il 5 marzo del 1944 nel campo di concentramento
nazista di Drancy. Era nato nel 1876 a Quimper, in Bretagna, da una
famiglia ebraica di
sarti e antiquari. Compagno di stanza di Picasso, amico di Apollinaire e
Jabés, figura controversa dell’estrosa Parigi bohémienne d’inizio
secolo, Jacob destò scandalo con la sua conversione, fra le più stravaganti di quell’eroica stagione.
Negli stessi anni in cui Claudel, Huysmans, Péguy, Maritain e molti
altri intellettuali francesi approdavano al cattolicesimo, Max Jacob fece l’esperienza di una folgorante apparizione del Cristo: “Dopo
un tranquillo lavoro alla Biblioteca Nazionale, a Parigi, me ne tornavo
a casa, con una grossa busta di pelle sottobraccio piena di note e
manoscritti. Ero vestito come si usava allora, con un cappello alto e la
redingote. Dato che faceva caldo, non vedevo l’ora di rimettermi in
libertà. Mi ero tolto il cappello e stavo per infilarmi le pantofole, da
buon borghese, quando gettai un grido. Sul muro vi era l’Ospite. Caddi
in ginocchio, gli occhi mi si empirono di lacrime. E subito, appena
s’incontrarono con l’Essere ineffabile, mi sentii colmato solo da due
parole: morire, nascere”. Furono in pochi, a prestar fede al “saltimbanco di rue Ravignan”. Il
battesimo, le ripetute visioni, tutto venne colto quasi fosse
un’estrema provocazione artistica, almeno fino al momento in cui il
poeta non decise di ritirarsi presso una vecchia sacrestia, a
Saint-Benoit-sur-Loire, in un esilio volontario rotto solo dalle poche
visite degli amici. Lontano dai rumori e dal bel mondo di Parigi, Jacob
persegue una ferrea disciplina: accostarsi quotidianamente
all’Eucaristia, stilare una meditazione ogni mattina (secondo il modello
di san Francesco di Sales), nutrire una fittissima corrispondenza (fino
a sei lettere al giorno), dedicarsi ad un’intensa attività letteraria e
apostolica. "Acrobata assoluto”, “funambolo di
Dio”, “clown mistico”: le definizioni per la sua leggenda volatile e
leggera non si contano, e hanno spesso contribuito a nascondere un’opera
di valore discontinuo, ma con tratti di grande spessore (e assai poco
nota, in Italia, se non fosse per qualche editore coraggioso, come
Marietti e La Locusta). La sua Arte poetica, improntata a un terso
classicismo, presenta ad esempio passaggi di una luminosità avvolgente.
Durante il suo viaggio verso la morte, Jacob trovò poi il tempo di
scrivere le sue ultime, toccanti righe, indirizzandole a un amico
sacerdote: “Caro
Signor Curato, scusate questa lettera da naufrago, scritta per la
compiacenza dei gendarmi. Tengo a dirvi che sarò a Drancy fra
pochissimo. Ho delle conversioni in corso. Ho fiducia in Dio e nei miei
amici. Lo ringrazio del martirio che comincia. Rispettosamente e
amichevolmente, Max Jacob. Non dimentico nessuno nelle mie continue
preghiere”. Se
è vero che un albero si vede dai frutti, non vi dovrebbero esser dubbi
sulla bontà di quell’apparizione, nel lontano settembre del 1909. Per
chi non crede, resta l’umile testimonianza, in parole ed in sangue, di
un poeta che giunse al martirio come ebreo e come cattolico».
Egli ha avuto un destino singolare: in quanto poeta, faceva parte della bohème di Montmartre.
Era ebreo, ma in seguito a un’illuminazione si è convertito al Cattolicesimo, andandosi a
ritirare nel 1921 in un’abbazia benedettina sulla Loira. Ed è lì che sono venuti ad arrestarlo i
tedeschi nel febbraio del 1944, in quanto ebreo: è morto qualche giorno poco nel campo di
internamento di Drancy. A Drancy, ha scritto delle poesie, tra cui questa
Agonie
Mon Dieu! Que je suis las d’être sans espérance,
De rouler le tonneau lourd de ma déchéance
Et sans moyens d’en finir avec la terre.
[...]
Je tourne chaque nuit mes visions vers les morts
Je frappe avec mon crâne aux rochers de l’enfer
Et les draps de mon lit sont en paille de fer.
Souvent dans mon sommeil la même île électrique
Marque en couteau de sang mes noms patronymiques
Sur ma peau. Membres, paquets d’anguilles
Qu’avec un gai rictus les diables échenillent.
Agonia
(Dio mio ! Come son lasso di esser senza speranza,
Di rotolare la botte greve del mio avvilimento
E senza possibilità di farla finita con la terra.
[...]
Volgo ogni notte le mie visioni verso i morti
Sbatto con il mio cranio alle rupi dell’inferno
E le lenzuola nel letto sono in paglia di ferro.
Sovente nel sonno la stessa isola elettrica
Imprime con coltello di sangue i miei patronimici
Sulla pelle. Membra, fasci di anguille
Che con un gaio ghigno i diavoli sfrondano.)
"Diceva la Vergine lavando il suo Bambino:
"Bisognerà comprare un'altra spugna
e un catino di smalto che sia nuovo".
"Aspetta!", le risponde il nuovo Nato,
"la spugna servirà per il fiele,
e il catino smaltato per il sangue!"".
Grazie a : /piccolozaccheo.splinder.com/
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"La Chiesa è il luogo dove tutte le verità si incontrano"................. Gilbert Keith Chesterton
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martedì 14 febbraio 2012
Max Jacob
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