MESSORI:
Quei dialoghi con la Madonna.
Il dilemma di Medjugorje
***
Pubblicato ilgiugno 23, 2011 dalugopress
22 giugno 2011 :: Corriere della Sera
di Vittorio Messori
Erano
i primi anni Ottanta, le autostrade erano cosa da Paese capitalista,
per attraversare l’Istria e poi scendere verso Sud, lungo la riviera
dalmata, non c’era che la vecchia strada federale, angusta e pericolosa.
Quando stavo finalmente per giungere alla meta, incappai nel posto di
blocco della Milizia comunista: domande sospettose, perquisizioni,
sequestro della Bibbia che avevo con me, ammonimenti a non fare
«proselitismo». Ero tra i primi a giungere in quel luogo aspro e remoto,
dal nome significativo: Medjugorje, in mezzo ai monti. Dal passaparola
più che dai media, che davano solo poche e imprecise notizie, avevo
saputo che un gruppo di giovanissimi affermava di «vedere la Gospa», la
Signora, la Madonna. E che la cosa stava coinvolgendo folle crescenti
nella Jugoslavia orfana di Tito da un anno e dove la religione era
ancora una sorvegliata speciale. Partii, dunque, più che da devoto, da
giornalista e da studioso del fenomeno delle apparizioni mariane, da
amico e discepolo dell’abbé Laurentin, il maggiore storico di Lourdes e
divenuto poi il più autorevole autore su Medjugorje.Così, grazie alla tempestività del viaggio, fui tra i pochi che ebbero un privilegio invidiato poi dai milioni di pellegrini che seguirono. Quello che chiamavano «l’Incontro» avveniva all’imbrunire nella sagrestia della moderna e strana chiesa del luogo: strana perché enorme, in mezzo a una sorta di deserto stepposo e pietroso, un gigantesco edificio per una parrocchia povera e minuscola, come per l’intuizione che lì sarebbero accorse delle folle. La sagrestia era stipata da gente in piedi, ma tra i francescani qualcuno aveva letto la traduzione di qualche mio libro e mi concessero di pormi in prima fila. Dovetti sgomitare per mantenere la posizione, cui non volevo rinunciare: per la prima volta potevo assistere a un fenomeno che avevo conosciuto solo su libri e documenti polverosi. Arrivarono i sei giovanissimi, dai 6 ai 16 anni, cominciarono a pregare ad alta voce, anch’essi in piedi. Non avevano davanti una statua o una immagine, guardavano verso l’alto. Ad un tratto, la preghiera si interruppe e, in sincronia, si lasciarono cadere sulle ginocchia, a corpo morto, con un tale tonfo che pensai a rotule fratturate. Invece, sul volto dei ragazzi, comparvero i segni di una enigmatica trasformazione: si illuminarono, tutti, con un sorriso e, alternandosi, cominciarono un dialogo che si intuiva dalle labbra che si muovevano, senza che noi spettatori udissimo alcun suono. Ero lì come osservatore doverosamente critico, non cedetti all’aura di misticismo che impregnava il piccolo locale sovraffollato, scrutavo il volto dei giovani, a un paio di metri di distanza. Erano, lo dicevo, in sei, inginocchiati uno accanto all’altro: la visione doveva muoversi, perché la seguivano con lo sguardo. Fissai l’attenzione sugli occhi, constatando che tutti si muovevano in sincronia e nella stessa direzione: eppure, in quella posizione, l’uno non poteva vedere l’altro, era evidente che seguivano «qualcosa» che tutti vedevano e che si spostava nell’aria, davanti a loro. Eguale sincronia nell’alternarsi dei sorrisi e delle espressioni addolorate: nel colloquio la Gospa, se davvero di Lei si trattava, alternava parole amorevoli ad avvertimenti inquietanti e i ragazzi reagivano all’unisono. Ma, lo dicevo, vista la posizione, non era possibile che si spiassero e si imitassero a vicenda. In perfetta contemporaneità fu anche la fine, dopo circa un quarto d’ora. I sei riebbero il volto di sempre, non più trasfigurato, ritrovarono la voce udibile anche da noi per una preghiera, si alzarono e si allontanarono. Raggiungevano il francescano, loro padre spirituale, che li attendeva nella casa parrocchiale e a lui davano relazione dell’incontro e comunicavano il «messaggio». Non conoscendo il croato, per giunta nella particolare forma dialettale parlata in Erzegovina, non fui in grado di constatare di persona quanto mi avevano assicurato quei religiosi. I ragazzi, cioè, venivano interrogati subito e separatamente: la coincidenza dei loro resoconti si aggiungeva alla coincidenza dei loro sguardi e delle loro mimiche facciali durante «l’Incontro».
Trent’anni sono passati da quel giugno 1981 in cui tutto ebbe inizio, non sono più tornato in quei luoghi, ma non ho cessato di informarmi e, soprattutto, di imbattermi in chi vi era stato: gente di ogni età, condizione, livello culturale. Eppure protagonisti, tutti, di un’esperienza che considerano importante e non pochi addirittura decisiva. Ho visto vite cambiate, vocazioni religiose sbocciate, pratiche religiose riscoperte. Sulla «verità» di Medjugorje non si potrebbero avere dubbi, se le si applicasse il criterio enunciato da Gesù stesso: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo… Ogni albero si riconosce dal suo frutto…» (Lc 6,43). Tre decenni di esperienza mostrano quanto sia stato e sia spiritualmente abbondante e eccellente il raccolto prodotto da quell’albero cresciuto inaspettatamente nei Balcani.
Ma, per Medjugorje, è avvenuto il contrario che per Lourdes o per Fatima, dove la negazione è giunta da atei, laicisti, anticlericali. Qui, entrambi i due vescovi succedutisi alla guida della diocesi hanno assunto un atteggiamento sempre più negativo, sino a parlare di «una delle maggiori truffe nella storia della Chiesa». Altrove, poi, la difesa delle apparizioni ha caratterizzato i cattolici tradizionalisti, mentre quelli cosiddetti «aperti» esprimevano dubbi. Anche qui, le posizioni sono invertite: sono i seguaci di mons. Lefebvre che negano polemicamente che possa essere «vera» una Madonna nei cui messaggi ravvisano quelle che chiamano «deviazioni eretiche conciliari». Credenti pubblicano dossier dal titolo Medjugorje: è tutto vero. Ma altri credenti replicano con instant book: «Medjugorje: è tutto falso». Lo stesso episcopato è diviso: vi è il vescovo (magari il cardinale, come quello di Vienna) che si reca di persona in pellegrinaggio e chi fa rispettare puntigliosamente ai suoi preti il divieto di Roma di guidare ufficialmente dei gruppi.
Per la Santa Sede, Medjugorje è un dilemma tormentoso. Da un lato si riconosce con gratitudine l’abbondanza dei frutti spirituali, dall’altro lato non si dimentica il vulnus al diritto canonico, con un tale movimento mondiale combattuto dagli ordinari del luogo, cui spetta il discernimento. Al punto in cui si è giunti, una sconfessione ufficiale della verità dei fatti da parte di Roma sarebbe una catastrofe sul piano pastorale. Ma catastrofico sarebbe anche il contrario: una smentita ufficiale, cioè, della posizione di due vescovi che negano senza esitazione la soprannaturalità e parlano non di miracoli, ma di truffe e inganni. Questo avrebbe effetti inediti e imprevedibili sul diritto ecclesiale. Non c’è da invidiare, davvero, il cardinal Ruini, responsabile della commissione ufficiale d’inchiesta: è possibile che neanche la sua lunga esperienza e la riconosciuta prudenza riusciranno a chiarire questa sorta di «mistero» del rosario che sembra, al contempo, «gaudioso» e «doloroso».
Postato da: giacabi a 10:19 |
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medjugorje, messori
Medjugorje ultimo atto
di Benedetta Frigerio
Mentre la Chiesa avvia le indagini ufficiali su uno dei fenomeni mariani più imponenti della storia, parlano i medici che condussero i primi test sui veggenti e la milanese guarita inspiegabilmente ventisei anni fa
Leggi: Intervista a padre Livio Fanzaga
Leggi: Due giorni a casa di Marija Pavlovic
Il 17 marzo scorso è stata istituita, presso la Congregazione per la dottrina della fede, la prima Commissione internazionale di inchiesta su Medjugorje, presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Inizialmente i lavori di indagine sulle apparizioni mariane in Bosnia furono affidati alla Conferenza episcopale jugoslava, ma le guerre nei Balcani li interruppero nel 1991. L’ultimo giudizio espresso dalla Conferenza dice così: «I Vescovi seguono le apparizioni tramite il vescovo della diocesi (Pavao Zanic, presule di Mostar, da sempre fra i più scettici, ndr)… non è possibile affermare che si tratta di fenomeni soprannaturali». La guerra finì nel ’95 e nel ’96 Medjugorje ritornò a essere meta di pellegrinaggi. Ma il problema, per i fedeli, non era risolto. Cosa significava il mancato riconoscimento ufficiale delle apparizioni? Il vescovo di Mostar si oppose all’organizzazione di pellegrinaggi «ufficiali», senza spiegare ai pellegrini cosa intendesse. A chiarire fu la Santa Sede tramite il portavoce Joaquín Navarro-Valls: «Il problema sta nel fatto che se si organizzano dei pellegrinaggi con la chiesa o con il vescovo si dà un verdetto canonico che la Chiesa non ha ancora emesso. Questo è diverso dall’andare in gruppo sotto la guida di un sacerdote. La Chiesa o il Vaticano hanno detto “no” a Medjugorje? No». Solo nel 2009 la Santa Sede è tornata a interrogarsi sulle apparizioni pubbliche più lunghe della storia. Se i fenomeni estatici fossero giudicati scientificamente veritieri e tuttavia inspiegabili, e se le prime guarigioni ad essi attribuite fossero dichiarate tuttora, dopo quasi trent’anni, stabili e senza ricadute, la portata dei fatti di Medjugorje assumerebbe un valore ancora più grande.
Tutto ha inizio tra il 24 e il 25 giugno del 1981. La Madonna appare sul monte Podbrdo a sei ragazzini di età compresa tra i 10 e i 17 anni, che si dividono fra scuola e attività agricola. La notizia si diffonde in Italia tramite il settimanale Il Sabato nell’ottobre 1981. Così, un medico milanese decide di andare a visitare il luogo dopo aver ottenuto una grazia per un’amica malata. Il 24 aprile 1983, mentre entra in chiesa, è chiamato per nome da una suora sconosciuta: la Madonna lo ringrazia – dice la religiosa traducendo il messaggio del veggente Jakov – per la battaglia condotta contro l’aborto. Il giorno successivo il dottore incontra Frane Franic, vescovo di Spalato, che lo spinge a tornare: «Sarebbe bello che ci aiutaste nello studio di questi fatti, anche analizzando i casi di guarigione». Da quel momento un gruppo di medici, teologi, giornalisti e studiosi iniziano a fare la spola dall’Italia alla Bosnia per analizzare il fenomeno.
E Wojtyla disse: «È tutto vero»
Nell’équipe c’è il dottor Mario Botta, chirurgo generale, ancora oggi uno dei maggiori conoscitori dei fatti di Medjugorje, che segue con attenzione fin dall’inizio. Botta, unico italiano membro stabile da trent’anni del Bureau Medical di Lourdes, medico personale di Giovanni Paolo II durante il viaggio a Lourdes nel 1983, racconta a Tempi che «nel 1986 la nostra squadra si recò dal Papa. Ci disse: “Quello che sta accadendo a Medjugorje è tutto vero e non c’è nulla che contrasti con il Vangelo”».
Tra il 1985 e il 1986 i medici sottopongono i veggenti, con il loro consenso, a diversi test. Gli esiti dei quali, già consegnati all’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger, conservati da Mario Botta e da Luigi Farina dell’Associazione Regina Pacis, ora dovranno essere visionati dalla nuova Commissione. «L’esame sul dolore fu condotto dal professor Maurizio Santini, neuropsicofarmacologo, coinvoltosi a malavoglia perché ateo», racconta Botta. Alberto Bonifacio, organizzatore dei viaggi, ricorda che Santini urlò ai medici: «Mi vergogno che scienziati come voi ci credano, ma vengo per farvi capire quanto siete imbecilli». Riprende Botta: «Santini alzò il calore della piastra termica posata sui polpastrelli dei veggenti per misurare le loro reazioni al calore durante l’estasi, quasi fino a bruciarli. E vide che non toglievano le mani. La soglia di sopportazione del dolore era aumentata del 700 per cento. Rimase impietrito. Lo vedemmo il giorno dopo confessarsi e fare la comunione». Altri esami segnalano che i veggenti durante l’apparizione hanno le vie uditive e visive aperte, «ma è come se non vedessero né sentissero. In stato normale la loro palpebra, stimolata da una setola con una pesata di 2-4 milligrammi, si chiudeva, mentre durante l’estasi, aumentata la pesata fino a 190 milligrammi, la palpebra rimaneva aperta. I sensi erano perfettamente funzionanti, ma non reagivano agli stimoli».
«Ero irriconoscibile»
Successivamente nell’équipe viene chiamato il neurofisiologo Marco Margnelli. Bonifacio ricorda che «il professore, comunista e ateo convinto, fu convocato in quanto esperto di estasi cattoliche. Davanti alle analisi disse: “Ecco, tutto quello che studio da una vita ora lo vedo. Esiste!”». E in un articolo apparso sul settimanale Epoca nel 1986 Margnelli scrive: «Non c’è dubbio, è un’estasi. La scienza la rileva ma non è in grado di spiegarla… gli stimoli uditivi in particolare erano fastidiosissimi e durante le prove inducevano reazioni… [invece] durante l’estasi non veniva avvertito nessun segnale. Si tratta di un’abolizione della sensibilità, già conosciuta per testimonianza, ma documentata scientificamente per la prima volta». Nel 1984, si uniscono al team i medici dell’Università di Montpellier: l’elettroencefalogramma esclude ogni patologia e dimostra che i ragazzi sono in stato vigile. «Cadevano a terra tutti nella stessa frazione di secondo – prosegue Botta – e le loro pupille si focalizzavano sincronicamente su un oggetto che noi non vedevamo ma che i loro occhi intercettavano. Cosa impossibile nemmeno se si fossero messi d’accordo».
C’è però un esame che non va a buon fine. Nell’estasi, i ragazzi sembrano parlare con la Vergine, pur non emettendo suoni. Con un laringofono i medici intendono verificare se le loro corde vocali vibrano o se i ragazzi fingono semplicemente muovendo le labbra. «Le vibrazioni delle corde avrebbero rivelato alla macchina anche le parole pronunciate dai veggenti. Ma l’apparecchio non funzionò. Finita l’apparizione i sei ragazzi ci comunicarono che la Madonna aveva detto che potevamo evitare. Come a dire: non impicciatevi, i dialoghi sono segreti».
In quello stesso anno avviene una delle prime guarigioni inspiegabili. Il 23 maggio 1984, durante un’apparizione, la milanese Diana Basile guarisce istantaneamente da una sclerosi multipla diagnosticatale tredici anni prima. «Era il 1971 quando i medici mi diedero la notizia. Ero incinta e mi proposero l’aborto terapeutico, che rifiutai», rivela la donna a Tempi. «Subito dopo il parto, all’ospedale di Niguarda, a Milano, sono stata malissimo. Non riuscivo a parlare. E persi la vista dell’occhio destro. Iniziai cure pesantissime». Nel frattempo Diana diviene incontinente. Non riesce più a mangiare né a camminare. «Un collega mi convinse, poi, ad andare a Medjugorje. Disperata, accettai». Prima dell’apparizione la malata viene spinta nella stanza dei veggenti da padre Slavsko, prete della parrocchia. «Sentii i veggenti che si inginocchiavano. Finita l’apparizione mi alzai con loro. Andai alla Messa e vedevo benissimo, ma non mi rendevo conto. Fui come svegliata da Novella, una donna di Bologna. Mi venne incontro in lacrime dicendomi: “Ho avuto la grazia di vedere questo miracolo”. Stefano Fumagalli, consulente tessile del Tribunale di Milano, mi disse che ero irriconoscibile». In albergo la donna si accorge di non essere più incontinente e il giorno dopo percorre senza fatica a piedi nudi 11 chilometri da Liubuskj a Medjugorje, «per ringraziare la Madonna». Rinaldo Perego ricorda a Tempi l’incontro, qualche anno dopo, con l’autista che accompagnò Diana in Bosnia: «Luigi Ballarini della ditta Migliavacca di Pavia mi disse: “Non riuscivo a capire come far viaggiare quella povera ragazza in quelle condizioni. Ma la caricai di peso sul pullman”. Poi, quando la vide arrivare dopo l’apparizione, iniziò a piangere e non riuscì a guidare».
La visita medica del 5 luglio 1984 conferma la normalità visiva di Diana Basile, anche se il suo nervo ottico è leso. «Vedo e non dovrei vedere. La Madonna ha lasciato tutt’ora il segno. Solo un anno prima mi era stata confermata la diagnosi di sclerosi multipla. Al ritorno da Medjugorje fu certificata l’avvenuta guarigione, ma è un miracolo anche aver ritrovato la fede». In seguito Diana incontra molti vescovi, tra cui quello di Mostar: «Mi disse che ero solo migliorata. Bisognava vedere come sarei stata un paio d’anni più tardi». Oggi, mentre accudisce il padre 97enne e le cinque nipoti, Diana spiega: «L’attaccamento alla Madonna è come quello alla madre. Anche se ha molto da fare le si chiede sempre tutto: “Muoviti, ho bisogno di te. Cosa aspetti?”, le dico». La signora si interrompe e risponde al telefono. È la figlia, vuole il sugo. Anche la nipote chiama: ha un problema con l’esame. Intanto Diana prepara il pranzo a tutti. «Questa è la mia vita, non mi fermo mai e sono venticinque anni che non metto piede in ospedale».
Mentre la Chiesa avvia le indagini ufficiali su uno dei fenomeni mariani più imponenti della storia, parlano i medici che condussero i primi test sui veggenti e la milanese guarita inspiegabilmente ventisei anni fa
Leggi: Intervista a padre Livio Fanzaga
Leggi: Due giorni a casa di Marija Pavlovic
Il 17 marzo scorso è stata istituita, presso la Congregazione per la dottrina della fede, la prima Commissione internazionale di inchiesta su Medjugorje, presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Inizialmente i lavori di indagine sulle apparizioni mariane in Bosnia furono affidati alla Conferenza episcopale jugoslava, ma le guerre nei Balcani li interruppero nel 1991. L’ultimo giudizio espresso dalla Conferenza dice così: «I Vescovi seguono le apparizioni tramite il vescovo della diocesi (Pavao Zanic, presule di Mostar, da sempre fra i più scettici, ndr)… non è possibile affermare che si tratta di fenomeni soprannaturali». La guerra finì nel ’95 e nel ’96 Medjugorje ritornò a essere meta di pellegrinaggi. Ma il problema, per i fedeli, non era risolto. Cosa significava il mancato riconoscimento ufficiale delle apparizioni? Il vescovo di Mostar si oppose all’organizzazione di pellegrinaggi «ufficiali», senza spiegare ai pellegrini cosa intendesse. A chiarire fu la Santa Sede tramite il portavoce Joaquín Navarro-Valls: «Il problema sta nel fatto che se si organizzano dei pellegrinaggi con la chiesa o con il vescovo si dà un verdetto canonico che la Chiesa non ha ancora emesso. Questo è diverso dall’andare in gruppo sotto la guida di un sacerdote. La Chiesa o il Vaticano hanno detto “no” a Medjugorje? No». Solo nel 2009 la Santa Sede è tornata a interrogarsi sulle apparizioni pubbliche più lunghe della storia. Se i fenomeni estatici fossero giudicati scientificamente veritieri e tuttavia inspiegabili, e se le prime guarigioni ad essi attribuite fossero dichiarate tuttora, dopo quasi trent’anni, stabili e senza ricadute, la portata dei fatti di Medjugorje assumerebbe un valore ancora più grande.
Tutto ha inizio tra il 24 e il 25 giugno del 1981. La Madonna appare sul monte Podbrdo a sei ragazzini di età compresa tra i 10 e i 17 anni, che si dividono fra scuola e attività agricola. La notizia si diffonde in Italia tramite il settimanale Il Sabato nell’ottobre 1981. Così, un medico milanese decide di andare a visitare il luogo dopo aver ottenuto una grazia per un’amica malata. Il 24 aprile 1983, mentre entra in chiesa, è chiamato per nome da una suora sconosciuta: la Madonna lo ringrazia – dice la religiosa traducendo il messaggio del veggente Jakov – per la battaglia condotta contro l’aborto. Il giorno successivo il dottore incontra Frane Franic, vescovo di Spalato, che lo spinge a tornare: «Sarebbe bello che ci aiutaste nello studio di questi fatti, anche analizzando i casi di guarigione». Da quel momento un gruppo di medici, teologi, giornalisti e studiosi iniziano a fare la spola dall’Italia alla Bosnia per analizzare il fenomeno.
E Wojtyla disse: «È tutto vero»
Nell’équipe c’è il dottor Mario Botta, chirurgo generale, ancora oggi uno dei maggiori conoscitori dei fatti di Medjugorje, che segue con attenzione fin dall’inizio. Botta, unico italiano membro stabile da trent’anni del Bureau Medical di Lourdes, medico personale di Giovanni Paolo II durante il viaggio a Lourdes nel 1983, racconta a Tempi che «nel 1986 la nostra squadra si recò dal Papa. Ci disse: “Quello che sta accadendo a Medjugorje è tutto vero e non c’è nulla che contrasti con il Vangelo”».
Tra il 1985 e il 1986 i medici sottopongono i veggenti, con il loro consenso, a diversi test. Gli esiti dei quali, già consegnati all’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger, conservati da Mario Botta e da Luigi Farina dell’Associazione Regina Pacis, ora dovranno essere visionati dalla nuova Commissione. «L’esame sul dolore fu condotto dal professor Maurizio Santini, neuropsicofarmacologo, coinvoltosi a malavoglia perché ateo», racconta Botta. Alberto Bonifacio, organizzatore dei viaggi, ricorda che Santini urlò ai medici: «Mi vergogno che scienziati come voi ci credano, ma vengo per farvi capire quanto siete imbecilli». Riprende Botta: «Santini alzò il calore della piastra termica posata sui polpastrelli dei veggenti per misurare le loro reazioni al calore durante l’estasi, quasi fino a bruciarli. E vide che non toglievano le mani. La soglia di sopportazione del dolore era aumentata del 700 per cento. Rimase impietrito. Lo vedemmo il giorno dopo confessarsi e fare la comunione». Altri esami segnalano che i veggenti durante l’apparizione hanno le vie uditive e visive aperte, «ma è come se non vedessero né sentissero. In stato normale la loro palpebra, stimolata da una setola con una pesata di 2-4 milligrammi, si chiudeva, mentre durante l’estasi, aumentata la pesata fino a 190 milligrammi, la palpebra rimaneva aperta. I sensi erano perfettamente funzionanti, ma non reagivano agli stimoli».
«Ero irriconoscibile»
Successivamente nell’équipe viene chiamato il neurofisiologo Marco Margnelli. Bonifacio ricorda che «il professore, comunista e ateo convinto, fu convocato in quanto esperto di estasi cattoliche. Davanti alle analisi disse: “Ecco, tutto quello che studio da una vita ora lo vedo. Esiste!”». E in un articolo apparso sul settimanale Epoca nel 1986 Margnelli scrive: «Non c’è dubbio, è un’estasi. La scienza la rileva ma non è in grado di spiegarla… gli stimoli uditivi in particolare erano fastidiosissimi e durante le prove inducevano reazioni… [invece] durante l’estasi non veniva avvertito nessun segnale. Si tratta di un’abolizione della sensibilità, già conosciuta per testimonianza, ma documentata scientificamente per la prima volta». Nel 1984, si uniscono al team i medici dell’Università di Montpellier: l’elettroencefalogramma esclude ogni patologia e dimostra che i ragazzi sono in stato vigile. «Cadevano a terra tutti nella stessa frazione di secondo – prosegue Botta – e le loro pupille si focalizzavano sincronicamente su un oggetto che noi non vedevamo ma che i loro occhi intercettavano. Cosa impossibile nemmeno se si fossero messi d’accordo».
C’è però un esame che non va a buon fine. Nell’estasi, i ragazzi sembrano parlare con la Vergine, pur non emettendo suoni. Con un laringofono i medici intendono verificare se le loro corde vocali vibrano o se i ragazzi fingono semplicemente muovendo le labbra. «Le vibrazioni delle corde avrebbero rivelato alla macchina anche le parole pronunciate dai veggenti. Ma l’apparecchio non funzionò. Finita l’apparizione i sei ragazzi ci comunicarono che la Madonna aveva detto che potevamo evitare. Come a dire: non impicciatevi, i dialoghi sono segreti».
In quello stesso anno avviene una delle prime guarigioni inspiegabili. Il 23 maggio 1984, durante un’apparizione, la milanese Diana Basile guarisce istantaneamente da una sclerosi multipla diagnosticatale tredici anni prima. «Era il 1971 quando i medici mi diedero la notizia. Ero incinta e mi proposero l’aborto terapeutico, che rifiutai», rivela la donna a Tempi. «Subito dopo il parto, all’ospedale di Niguarda, a Milano, sono stata malissimo. Non riuscivo a parlare. E persi la vista dell’occhio destro. Iniziai cure pesantissime». Nel frattempo Diana diviene incontinente. Non riesce più a mangiare né a camminare. «Un collega mi convinse, poi, ad andare a Medjugorje. Disperata, accettai». Prima dell’apparizione la malata viene spinta nella stanza dei veggenti da padre Slavsko, prete della parrocchia. «Sentii i veggenti che si inginocchiavano. Finita l’apparizione mi alzai con loro. Andai alla Messa e vedevo benissimo, ma non mi rendevo conto. Fui come svegliata da Novella, una donna di Bologna. Mi venne incontro in lacrime dicendomi: “Ho avuto la grazia di vedere questo miracolo”. Stefano Fumagalli, consulente tessile del Tribunale di Milano, mi disse che ero irriconoscibile». In albergo la donna si accorge di non essere più incontinente e il giorno dopo percorre senza fatica a piedi nudi 11 chilometri da Liubuskj a Medjugorje, «per ringraziare la Madonna». Rinaldo Perego ricorda a Tempi l’incontro, qualche anno dopo, con l’autista che accompagnò Diana in Bosnia: «Luigi Ballarini della ditta Migliavacca di Pavia mi disse: “Non riuscivo a capire come far viaggiare quella povera ragazza in quelle condizioni. Ma la caricai di peso sul pullman”. Poi, quando la vide arrivare dopo l’apparizione, iniziò a piangere e non riuscì a guidare».
La visita medica del 5 luglio 1984 conferma la normalità visiva di Diana Basile, anche se il suo nervo ottico è leso. «Vedo e non dovrei vedere. La Madonna ha lasciato tutt’ora il segno. Solo un anno prima mi era stata confermata la diagnosi di sclerosi multipla. Al ritorno da Medjugorje fu certificata l’avvenuta guarigione, ma è un miracolo anche aver ritrovato la fede». In seguito Diana incontra molti vescovi, tra cui quello di Mostar: «Mi disse che ero solo migliorata. Bisognava vedere come sarei stata un paio d’anni più tardi». Oggi, mentre accudisce il padre 97enne e le cinque nipoti, Diana spiega: «L’attaccamento alla Madonna è come quello alla madre. Anche se ha molto da fare le si chiede sempre tutto: “Muoviti, ho bisogno di te. Cosa aspetti?”, le dico». La signora si interrompe e risponde al telefono. È la figlia, vuole il sugo. Anche la nipote chiama: ha un problema con l’esame. Intanto Diana prepara il pranzo a tutti. «Questa è la mia vita, non mi fermo mai e sono venticinque anni che non metto piede in ospedale».
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