Europa multietnica
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Postato da: giacabi a 21:10 |
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islam, meotti
L'Europa fra qualche decennio
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Un'analisi lucida e terribile quella di Giulio Meotti sul FOGLIO di oggi 10/06/2006. Ecco l'Europa come potrà essere fra qualche decennio.
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Stoccolma è tappezzata da una t-shirt di moda fra i giovani musulmani: 2030 – Poi prendiamo il controllo". Si guarda alla Svezia come in un caleidoscopio, in cerca del futuro dell’Europa, ruotando i tre specchi nel tubo. Quella
Svezia che l’imam Adly Abu Hajar ha definito "il miglior stato
islamico", dove ogni tre giorni si registra un attacco antisemita e si
vive attaccati al respiratore della "folkhemmet", la mitologia del
welfare che ha sostituito l’idea di patria dopo averla uccisa. Un mese
fa la più grande organizzazione islamica ha chiesto leggi separate per i
musulmani, l’impegno del governo a costruire una moschea in ogni città,
paese, sobborgo e la presenza degli imam nelle scuole pubbliche. A
Stoccolma, Göteborg e Malmö, prima città europea già a maggioranza
islamica, le comunità ebraiche sono costrette a spendere un quarto del
budget in misure di sicurezza.
Due studentesse sono state espulse perché portavano la bandiera svedese
legata allo zaino. Quel gesto, ha detto il preside, avrebbe offeso "i
non svedesi". stesso avviene in Olanda e in Inghilterra, dove cresce
l’ostilità alla croce rossa di San Giorgio. Definita "piena di sangue"
dai musulmani, la bandiera è scomparsa da un gate di Heathrow, dai taxi
di Blackpool e Cheltenham e dalla stazione dei pompieri di Barking. A
Hyllie, vicino Malmö, in una scuola pubblica si insegna solo in arabo.
Il ministro della Giustizia svedese, Göran Lambertz, di fronte alla
violenza antisemita detto che l’incitamento alla "morte degli ebrei" fa
parte del dibattito in medio oriente. Vicende sepolte in una cronaca
glaciale come la Scandinavia e che disvela l’islamizzazione di una
provincia lontana, austera, ma che riguarda molti altri stati europei…
Autore: Giulio Meotti Titolo: «L'Europa che non alza la testa» |
Postato da: giacabi a 20:51 |
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islam, meotti
MEMENTO THEO
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IL FOGLIO 29 ottobre 2005
Un anno fa in Olanda l'assassinio del regista Van Gogh. Storia del "porco infedele" trasformato in bacheca coranica
Giulio Meotti
“Tempi sciagurati quando dei pazzi fanno da guide a ciechi” (Re Lear, IV, 1).
Avevano
sognato di vivere nel miglior mondo possibile. Stavano solo dormendo.
L’economia non era cresciuta tanto quanto negli ultimi vent’anni, il
settantaquattro per cento della popolazione aveva un lavoro fisso, lo
stato sociale era un letto caldo, la seconda generazione di immigrati
stava facendo grandi passi in avanti. Tutte
le tappe dell’agenda multiculturale erano state rispettate. I giovani
marocchini parlavano un perfetto olandese, erano i figli benvoluti della
patria di ugonotti, libertari, apostati, artisti, puttane e capitalisti
corsari.
Tutto era libero, ma di una libertà diventata camicia di forza. Solo il tempo in Olanda restava pessimo. Allegramente accettarono la morte di Dio. Nel 1989 più del cinquanta per cento della popolazione olandese non faceva parte di alcuna confessione. Molte chiese furono demolite per mancanza di fedeli. La più celebre, quella di S. Vincentius di Amsterdam, trasformata in moschea. Confessionali, banchi, crocifissi, candelabri, tutto venne messo in fretta all’asta. Fra il 1970 e il 1985 i cattolici olandesi diminuirono del settanta per cento. Ad Eindhoven una chiesa venne convertita in ritrovo per ragazzi. Altre in palestre, piscine e negozi di mobili. Quella che fu la chiesa protestante del Seminatore oggi è la principale moschea di Amsterdam, Fatih. Negli ultimi trent’anni hanno cambiato proprietà più di 250 edifici cattolici, luterani e calvinisti. La chiesa domenicana di Haarlem è stata demolita. Il monastero domenicano di Nijmegen è stato abbandonato nel 2004 e oggi è un ospizio. La Mansion Maria-Louise di Eversweg è diventata un garage. 40 mila libri del monastero dell’Assunzione di Louisaweg sono stati venduti al chilo. Nel settembre del 2004 la storica Katholieke Universiteit di Nijmegen ha cambiato nome in Radboud University. Non aveva più senso riferirsi al cattolicesimo. A L’Aja la comunità ebraica ha venduto ai musulmani una sinagoga del XVIII secolo. Durante la Riforma le pareti affrescate della cattedrale cattolica di Den Bosch furono ricoperte da uno spesso intonaco bianco. Un restauro successivo portò alla luce la figura della Madonna. Le era stato graffiato tutto il viso sino a renderla senza volto. E’ in un’Olanda senza volto che è stato compiuto l’assassinio di Theo van Gogh, sgozzato ritualmente il 2 novembre 2004. Ian Buruma, Christopher Caldwell e Mark Steyn sono convinti che per impedirle di marcire del tutto bisognerebbe metterla sotto ghiaccio. Quella che conosciamo scomparirà, lasciando solo i sintomi. Poi anche quelli e più niente. Come le chiese svendute all’asta. Le proiezioni demografiche sono impressionanti. Entro il 2015 la regione che comprende Amsterdam, l’Aja, Rotterdam e Utrecht sarà a maggioranza islamica. Altri dicono che nel 2020 lo sarà il settanta per cento. I musulmani minorenni sono già oggi maggioranza ad Amsterdam e Rotterdam. Ad Amsterdam accanto ai bordelli (sono 30mila le “sex workers” unite in sindacato), ai coffee- shop dell’Era marijuana-lsd-thc-cocainametadrina e ai manifesti con le bocche da fellatio ci sono decine di locali frequentati dai musulmani in cui le donne non possono entrare. Secondo il New York Times sarebbero migliaia gli olandesi con le valigie pronti a partire entro la fine dell’anno. Nel 2004 lo hanno fatto in 40mila. Aveva capito questo Theo van Gogh, gli olandesi sono rassegnati a una necessaria assenza. E a diventare dhimmi tollerati di una Tebaide capovolta.
Il
“grosso grasso lurido maiale” la mattina del 2 novembre di un anno fa è
diventato una bacheca coranica. La sua morte è stata la notte di San
Bartolomeo della libertà europea. L’Olanda che conoscevamo non esisteva
già più. Era stato il solo paese in cui Voltaire e l’ebreo apostata
Spinoza riuscirono a pubblicare i loro scritti. Oggi uno dei suoi
biglietti da visita più diffusi è simile a questo, indirizzato al leader
della destra:
“Nome: Geert Wilders. Professione: idolatra. Peccato: derisione dell’islam. Punizione: decapitazione. Ricompensa: paradiso”. Theo aveva rifiutato la scorta anche dopo la morte dell’amico Pim Fortuyn: “Chi vorrebbe uccidere lo scemo del villaggio? Il proiettile non arriverà per me. Se deve accadere accadrà”. Ne arrivarono nove, fra un “pietà” e un “non lo fare”. Poi quei trenta centimetri di lama per completare il rituale salafita. Era dal 1997 che i musulmani olandesi lo minacciavano di morte. Theo aveva smascherato l’ipocrisia e circonciso il multiculturalismo attraverso invettive, litanie, smorfie e grotteschi. Cosa significava per lui multiculturalismo? “Che il soggetto della storia deve essere rimosso dal curriculum scolastico e sostituito con un orientamento mondiale; che dobbiamo fornire un trattamento preferenziale alle ‘scuole dei neri’, in modo che gli olandesi capiscano che i loro bambini sono inferiori; che bisogna balbettare sull’educazione in un unico linguaggio ed essere sicuri che la legge sia indebolita, così da dare l’impressione agli stranieri che qui l’impunità è la norma”.
Poche
settimane prima di morire disse che “la polizia non ha interesse a
difendere gli olandesi attaccati da una minoranza aggressiva. Sospetto
che il nostro sindaco sia un incorreggibile cinico e un mercenario
opportunista. Non c’è Atene senza Sparta o Roma senza i barbari. E’
possibile che l’occidente libero perda la guerra delle idee”.
Sei mesi prima di quella tragica mattina: “Vent’anni fa nel mondo civilizzato girava un film. In quel film la fede cristiana era totalmente ridicolizzata. C’era un figlio di Dio imbroglione inchiodato alla croce mentre cantava. Lo stesso tipo di film sui travagli di Allah non potrebbe essere girato oggi. Grazie al nostro multiculturalismo. Ma non penso che sono autorizzato a dirlo”. Solo lui aveva avuto il coraggio di girare quel film per denunciare lo schiavismo islamista. Ma la sua Olanda non lo avrebbe ascoltato nemmeno da morto. Avrebbe invece sfoggiato tutto il suo femminismo perbenista anche ai funerali dell’ex regina Giuliana, celebrati nel marzo scorso da un donna dei Rimostranti, la corrente più liberal di un protestantesimo in via di estinzione. Al funerale di Theo gli olandesi alzarono decine di cartelli: “Grazie a trent’anni di politica da struzzo, l’Olanda è malata terminale – Sotto i nazisti venivi ucciso se criticavi. Sta succedendo di nuovo”. Lui solo si era offerto per dire quello che tutti pensavano: “Se qualcosa caratterizza l’‘identità olandese’ questa è la mancanza di rispetto di sé, che si esprime nella paura di essere definiti ‘razzisti’ o ‘discriminatori’. La libertà di parola è l’unica cosa che può salvare i liberi cittadini dai barbari. Lasciamo che gli imam restino i pigmei che sono, non facciamone dei martiri. Il giorno in cui il ministro Roger van Boxtel sarà giustiziato dagli imam, allora cominceremo a capire cosa significa ‘dialogo’ per Allah”. Pochi minuti dopo la sua morte anche un timoroso speaker del Parlamento, Josiah van Arisen, disse: “Il Jihad è arrivato in Olanda”. Il regista obeso lo diceva da quattro anni. Doveva morire per suonare la sveglia all’intérieur borghese olandese. In vita era solo lo scemo invitato ai talk show per far ridere.
“Reazionario
duro a morire”, come gli piaceva definirsi, Van Gogh era un funambolo
dalla passione fanatica, un istrione eclettico con la vocazione da
ventriloquo, un genio surrealista in t-shirt che ballava il tip tap
sulle note del Corano. Anche se era più un pornografo con uno strepitoso
senso dell’assedio, come per ogni oracolo la sua colpa doveva essere
fabbricata in gran fretta per l’innocenza di chi si sentiva colpevole.
La sinistra parlamentare e la grande stampa olandese lo dipinsero come
un “insetto immondo, vile, crudele, egoista” (Dostoevskij, “I demoni”).
Un noto settimanale italiano confinò la notizia della sua esecuzione
nella sezione “spettacoli”. “Un poeta è il combinarsi di uno strumento e
di un essere umano in un’unica persona”, scriveva Josif Brodskij su
Marina Cvetaeva. Theo era un poeta del corpo, lo ostentava, si vestiva
da imam, davanti ai burqa tirava fuori il perizoma.
Duecentomila persone si ritrovarono davanti a un grande schermo per seguire la cerimonia privata della cremazione al cimitero De Nieuwe Ooster. Fu trasmessa dalla catena televisiva Nederland 2. “No alla sottomissione al fondamentalismo”, scandirono molti. Qualcuno sfogliava il quotidiano liberale The Volkskrant: “Combattenti per il jihad educati sotto i nostri nasi”. La cerimonia si aprì da un assolo di violino. Prese la parola la madre di Theo, bionda e altera, capace come il figlio di far ridere e commuovere a un tempo. “Siamo qui insieme perché nostro figlio è morto, ucciso. Io temo per il futuro”. Usò le parole di Van Randwijk, il poeta della Resistenza olandese: “Un popolo che cede ai tiranni perderà più del proprio corpo e dei propri beni”. Il corpo del “lurido maiale” era composto in una bara bianca coperta da un manto di fiori. Nella Pythagorasstraat, dove Theo abitava, le bandiere rimasero a mezz’asta, un onore che per legge doveva essere tributato solo alla regina. I suoi amici più intimi scrissero una lettera ironica a Mohammed Bouyeri, il suo assassino: “Non ci rendevamo conto di aver urtato così la vostra sensibilità. Ma abbiamo imparato la lezione! Potresti darci alcune regole severe su quel che possiamo e non possiamo dire? Faremo di tutto per capire meglio le vostre convinzioni religiose. Se tu ti trovi in questa situazione difficile, di sicuro è anche colpa nostra. Speriamo che in questa lettera non ci siano cose che potrebbero offendere te o i tuoi correligionari. Bene, ragazzo, tieni duro, cerca di rilassarti, domani è un altro giorno. Forza e arrivederci”. L’uomo era una fogna di difetti, ma si sa, “anche i cani di razza hanno le pulci” (Heine). Theo era arrogante, indolente, cinico e candido, feticista e adolescenziale, radicale e libertario, generoso con gli amici e vendicativo con i nemici, polemista di razza con un talento estremo, regista di cortometraggi che non ebbe pazienza per girare un capolavoro (ha lavorato con Roman Polanski), fumatore incallito, consumatore di cocaina e amante di vini costosi. I nazisti gli uccisero un cugino. A Theo, nato e cresciuto socialista e che negli anni Ottanta si era allontanato definitivamente dalla sinistra olandese (“la mafia politicamente corretta”), restava solo il pessimismo sul futuro della democrazia. Prima di morire ha scritto: “Gli stivali nazisti sono di nuovo in marcia, ma stavolta vestono nei caffettani e si nascondono dietro le loro barbe”. E ancora: “C’è stato detto che dovevamo essere degli olandesi tolleranti, che dovevamo adattarci alle tenebre islamiche medievali, a coloro che odiavano la libertà dell’individuo, che avevano fatto dell’Occidente libero il falò del mondo intero. E’ come avere un ospite che sta lentamente rilevando la tua casa”. Aveva chiamato “ruffiano del Profeta” il capo della European Arab League, Dyab Abou JahJah. In “America America”, Theo scrive che “fu l’America, il più affascinante esperimento della storia, a prevenire che Hitler unificasse l’Europa nel millenario Reich, fu l’America che vinse la Guerra fredda per tutti noi. L’esperto di islam Bernard Lewis predisse la rivoluzione di Khomeini e non fu creduto. Oggi che ha più di novant’anni dice che l’Europa avrà una maggioranza islamica in dieci anni. Se Lewis ha ragione, come io credo, ci sono buone ragioni per emigrare nella terra del McDonald’s... tutto l'articolo |
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