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sabato 18 febbraio 2012

miracolo





IL MIRACOLO EUCARISTICO DI LANCIANO
***

 

Un rompicapo fra Fede, Ragione e Scienza. Reliquie sconcertanti.



di P. C.

[Dipinto raffigurante il Miracolo Eucaristico di Lanciano - 29K .jpg] [L’Ostia-Carne - 49K .jpg] [Microfotografie A, B, C e D del preparato istologico di un campione dell’Ostia-Carne - 32K .jpg] [Microfotografie E, F, G e H del preparato istologico di un campione dell’Ostia-Carne - 35K .jpg]


Tra tutti i miracoli eucaristici 
(1), quello di Lanciano, avvenuto nell’VIII secolo dopo Cristo, è probabilmente il più antico e documentato, sicuramente l’unico, nel suo genere, ad essere stato autenticato senza riserve, a seguito di rigorose ed accurate analisi di laboratorio, dalla comunità scientifica internazionale.
Il prodigio in questione accadde nella piccola Chiesa dei Santi Legonziano 
(2) e Domiziano, a Lanciano, una cittadina dell’Abruzzo ubicata poco a sud di Chieti ed ebbe come protagonista un monaco basiliano (3). Costui, mentre stava celebrando la Santa Messa secondo il rito latino, subito dopo la transustanziazione (4), dubitò che le specie eucaristiche si fossero realmente trasformate nella carne e nel sangue di Cristo, quando, improvvisamente, sotto gli occhi dell’attonito frate e dell’intera assemblea dei fedeli, l’Ostia Magna ed il vino si mutarono, rispettivamente, in un pezzo di carne ed in sangue; quest’ultimo, in breve tempo, andò incontro ad un processo di coagulazione da cui risultarono cinque sassolini di forma e dimensioni differenti, caratterizzati da una colorazione giallo-marrone interrotta solo da qualche punteggiatura biancastra.
Di questo straordinario evento venne fatto un accurato resoconto in una pergamena che, nella prima metà del XV secolo, venne sottratta ai francescani da due monaci basiliani; ai giorni nostri sono arrivati dei documenti del XVI e del XVII secolo che riportano questo accadimento miracoloso.
Quattro secoli dopo, nel XII secolo, i monaci basiliani, che fino a quel momento avevano celebrato le funzioni religiose nella Chiesa di San Legonziano, lasciarono Lanciano e la chiesa venne affidata, prima, alla gestione dei frati benedettini e successivamente, nel 1253, a quella dei francescani conventuali, i quali, nel 1258, ricostruirono la chiesa e la dedicarono a San Francesco d’Assisi (Assisi 1181 o 1182 - 1226).
Nel 1809, quando l’imperatore Napoleone Bonaparte (Aiaccio 1769 - Sant’Elena 1821) soppresse tutti gli ordini religiosi, anche i francescani lasciarono Lanciano, facendovi ritorno solo nel 1953.
Le specie eucaristiche miracolose furono collocate in un reliquiario d’avorio ed inizialmente custodite nella Chiesa di San Legonziano, dopodiché, vennero trasferite nella Chiesa di San Francesco.
Il 1 Agosto 1566 un frate minore, di nome Giovanni Antonio di Mastro Renzo, temendo che i turchi potessero rubare o peggio ancora, distruggere, durante una delle loro incursioni in Abruzzo, le preziose reliquie, decise di trasferirle in un luogo più sicuro, tuttavia, dopo aver camminato tutta la notte, si ritrovò, la mattina dopo, ancora di fronte alle porte di Lanciano, quasi come se una potente forza invisibile avesse voluto impedire al frate di portare via le reliquie dalla cittadina.
Il religioso ed i suoi compagni, quindi, compresero che dovevano rimanere a Lanciano per custodirvi le reliquie; esse, perciò, vennero collocate all’interno di un vaso di cristallo che, a sua volta, fu posto in un armadio di legno provvisto di quattro serrature.
Nel 1920 le reliquie furono trasferite dietro il nuovo altare maggiore e dal 1923 la carne miracolosa viene conservata tra due vetri nella raggiera di un ostensorio rotondeggiante posto all’estremità superiore di un reliquiario in argento, realizzato nel 1713 ed alto 63 cm e largo 44 cm mentre i cinque coaguli sono custoditi all’interno di un calice di vetro provvisto di coperchio, anch’esso di vetro e situato ai piedi del reliquiario, tra due angeli oranti.
Le due reliquie furono sommariamente esaminate nel 1574, nel 1637, nel 1770 e nel 1886; il 17 Febbraio 1574 l’arcivescovo Rodriguez avrebbe stabilito il peso totale dei cinque coaguli che sarebbe risultato essere equivalente a quello di ciascuno di essi, tuttavia, questo inesplicabile fenomeno non si ripeté nei successivi controlli.
Durante la ricognizione del 26 Ottobre 1886, venne nuovamente accertato il peso totale dei cinque "sassolini", risultato essere pari a 16,505 grammi e quello di ciascun grumo, in grammi, rispettivamente, 8, 2,45, 2,85, 2,05 e 1,15, a cui furono aggiunti 5 milligrammi di polvere di sangue di colore marrone scuro, depositatasi sul fondo del calice.
Vi sono alcuni documenti storici che attestano che le reliquie vennero fatte oggetto di venerazione a partire dal XVI secolo, periodo in cui vennero anche portate più volte in processione.
Nel 1953, poco tempo dopo il rientro ufficiale dei Frati Minori Conventuali nel Santuario Eucaristico, vi fu chi iniziò a manifestare l’intenzione di sottoporre le reliquie del Miracolo Eucaristico di Lanciano ad una rigorosa indagine scientifica e grazie all’autorizzazione rilasciata dall’arcivescovo della cittadina abruzzese, Mons. Pacifico Perantoni e dal Ministro Provinciale d’Abruzzo dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, nel 1970, la comunità religiosa di Lanciano si rivolse ad un esperto di fama internazionale, il Prof. Odoardo Linoli, libero docente in Anatomia e Istologia Patologica ed in Chimica e Microscopia Clinica, nonché Primario Direttore del Laboratorio di Analisi Cliniche e di Anatomia Patologica dell’Ospedale di "S. Maria sopra i Ponti" di Arezzo, al quale venne affidato l’incarico di eseguire tutte le analisi necessarie al fine di verificare che le reliquie di Lanciano fossero realmente di natura organica.
Il giorno 18 Novembre 1970, il Prof. Linoli, coadiuvato dal Prof. Ruggero Bertelli dell’Università degli Studi di Siena, prelevò, dalla periferia dell’Ostia-Carne, due campioni di ridotte dimensioni che risultarono avere un peso di 20 milligrammi; prima di prelevare dei campioni anche dal sangue miracoloso, al Prof. Linoli venne chiesto di verificare il peso dei singoli coaguli, quello totale e se quest’ultimo fosse effettivamente equivalente al peso di ognuno dei "sassolini".
Poiché i ricercatori in quell’occasione non erano provvisti di bilancino, ne venne chiesto in prestito uno alla vicina farmacia e con esso venne appurato che il peso totale del sangue di Lanciano, esclusa la polvere di sangue, era pari a 15.85 grammi, valore, quindi, differente da quello del peso di ogni singolo globulo.
Subito dopo questa doverosa verifica, il Prof. Linoli prelevò, da un coagulo di sangue, alcuni frammenti del peso complessivo di 318 milligrammi. Una volta terminata la fase del prelievo dei campioni, le reliquie furono ricollocate all’interno dell’ostensorio, il quale, a sua volta, venne posto nell’attuale tabernacolo-custodia.
Il 4 Marzo 1971 i Proff. Linoli e Bertelli resero pubblici i risultati delle analisi con una dettagliata relazione.
I due campioni prelevati dall’Ostia-Carne vennero reidratati, dopodiché, mediante l’impiego di un microtomo 
(5), vennero ottenute delle sottilissime sezioni che vennero colorate e sottoposte ad un’attenta osservazione microscopica per l’analisi istologica. Il tessuto risultò essere costituito da fibre muscolari striate (particolare A) unite per le estremità e raccolte in fasci di diverso spessore e orientati in varie direzioni.
Il fatto che tali fibre non decorressero affiancate, come si verifica, ad esempio, con le fibre muscolari scheletriche, che dalle loro estremità si dipartissero diramazioni nastriformi e che fosse presente il lobulo di tessuto adiposo 
(6) (particolare B), nel quale normalmente penetrano le fibre muscolari striate, consentì di accertare che quello che la tradizione popolare e religiosa aveva da sempre ritenuto un pezzo di "carne" era effettivamente tale e costituito da tessuto muscolare striato (7) del miocardio (8).
I campioni prelevati dal coagulo di sangue, invece, risultarono essere costituiti da un materiale filamentoso riconducibile a fibrina 
(9), nelle cui maglie vennero rivelati una sostanza granulare di colore gialloverdastro, derivata dall’emoglobina (10) ed alcuni corpi estranei.
Questi campioni vennero sottoposti al "Test di Teichmann" modificato da Bertrand, al "Test di Takayama" ed a quello di Stone e Burke, al fine di rilevare, rispettivamente, l’eventuale presenza di cristalli di ematina cloridrato 
(11), dell’emocromogeno e delle ossidasi (12) ematiche. Non venne riscontrata alcuna traccia dei suddetti cristalli e dell’emocromogeno, a differenza dei campioni di sangue umano normale essiccato ed impiegato come controllo positivo, tuttavia, tale assenza non costituisce un’anomalia in quanto il sangue può perdere la proprietà di produrre queste due sostanze, qualora venga esposto alla luce diretta del sole, a temperature elevate o ad agenti ambientali ossidanti.
La positività dei campioni al Test di Stone e Burke confermò, invece, la presenza delle caratteristiche ossidasi di natura ematica e al fine di dissipare ogni dubbio su tale natura, venne eseguita anche un’analisi cromatografica 
(13) in strato sottile, grazie alla quale venne identificata l’emoglobina ed appurato, quindi, che i cinque globuli erano effettivamente costituiti da sangue coagulato.
Con il test immunoistochimico 
(14) della Reazione di Precipitazione Zonale di Uhlenhuth, comunemente impiegato in medicina legale ed in immunologia al fine di stabilire la specie di appartenenza di un tessuto, i ricercatori dimostrarono che il frammento di miocardio ed il sangue appartenevano alla specie umana mentre con il test immunoematologico (15) della reazione detta di "assorbimento-eluizione" venne stabilito che sia il tessuto miocardico che il sangue appartenevano al gruppo sanguigno AB (16), lo stesso emogruppo al quale appartiene anche il sangue riscontrato nelle formazioni, che la tradizione popolare e religiosa ha sempre ritenuto fossero macchie e colature ematiche, visibili sulle impronte anatomiche anteriore e posteriore del corpo dell’uomo della Sindone!
L’appartenenza di ambedue le reliquie allo stesso gruppo sanguigno suggerisce che provengano dal medesimo individuo, tuttavia, non può essere esclusa la possibilità che esse abbiano origine da due differenti individui aventi lo stesso emogruppo.
Sui campioni di sangue miracoloso, inoltre, venne eseguita un’analisi elettroforetica 
(17) su acetato di cellulosa al fine di verificare se in essi fossero presenti le tipiche proteine sieriche. L’analisi ebbe un esito positivo ed il tracciato elettroforetico risultante fu comparabile con quello ottenuto da sangue umano normale. I ricercatori, infine, polverizzarono e reidratarono 100 milligrammi di sangue miracoloso e stabilirono che gli elementi in esso presenti - cloruri, fosforo, magnesio, potassio e sodio - erano in quantità ridotta rispetto alla norma mentre il calcio era presente in quantità maggiore.
Tale riduzione può essere ricondotta sia a processi di invecchiamento e di depauperamento occorsi nel corso dei secoli che a "scambi" avvenuti con le pareti interne del contenitore di vetro nel quale le reliquie furono conservate. L’arricchimento in calcio, invece, è probabilmente da imputare ad un apporto esogeno dovuto alla caduta nel calice della polvere muraria, ricca di sali di calcio, staccatasi dalle pareti dell’edificio.
Le analisi istologica 
(18) e chimico-fisica dei campioni prelevati dalle reliquie non hanno rilevato la presenza di sali e composti conservanti comunemente impiegati nell’antichità per il processo di mummificazione (19), comunque, l’identificazione di proteine integre nella carne e nel sangue miracolosi di Lanciano, dopo dodici secoli, non costituisce un evento eccezionale, difatti, proteine strutturalmente integre sono state rilevate anche in mummie egiziane risalenti a 4000 - 5000 anni fa.
È doveroso fare presente, tuttavia, che vi sono delle notevoli differenze tra lo stato di conservazione di un corpo o di un pezzo anatomico che siano stati sottoposti a trattamenti specifici per la mummificazione e le reliquie di Lanciano; queste ultime, difatti, quantunque siano state esposte per 1200 anni a forti escursioni termiche, all’umidità e soprattutto, agli attacchi di parassiti e di microrganismi saprofiti, non sono inesplicabilmente andate incontro a decomposizione ed è incomprensibile anche come le proteine di cui sono costituite tali reliquie si siano mantenute integre.
Al termine delle analisi di laboratorio, il Prof. Linoli escluse la possibilità che le reliquie di Lanciano fossero un falso medievale in quanto ciò avrebbe presupposto che qualcuno fosse in possesso di nozioni di anatomia umana molto più avanzate di quelle diffuse tra i medici del tempo, nozioni che avrebbero consentito di rimuovere il cuore di un cadavere e di dissezionarlo al fine di ottenere un frammento di tessuto miocardico omogeneo e continuo. Inoltre, qualora il sangue fosse stato prelevato da un cadavere, nel volgere di un brevissimo arco di tempo, esso avrebbe subito una grave alterazione per deliquescenza 
(20) o putrefazione.
I risultati delle analisi condotte dai Proff. Linoli e Bertelli furono pubblicati in una relazione dal titolo "Ricerche istologiche, immunologiche e biologiche sulla Carne e sul Sangue del Miracolo Eucaristico di Lanciano (VIII sec.)", suscitando un grande interesse nella comunità scientifica internazionale, a tal punto da attirare l’attenzione persino del Consiglio Superiore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità O.M.S. 
(21), il quale, nel 1973, istituì una commissione scientifica con il compito di convalidare i risultati delle analisi eseguite dai ricercatori italiani e di confermare le conclusioni a cui erano giunti.
Dopo 15 mesi e qualcosa come 500 esami, tra cui gli stessi eseguiti dai ricercatori italiani, la commissione dell’O.M.S. confermò, senza riserve, quanto era stato dichiarato e pubblicato da questi ultimi.
I membri della commissione scientifica istituita dall’O.M.S. esclusero con fermezza la possibilità che il tessuto miocardico fosse mummificato e fecero presente che la perfetta conservazione di reperti organici, conservati per dodici secoli all’interno di reliquiari di vetro, in totale assenza di sostanze conservanti, antisettiche, antifermentative e mummificanti, contravviene a tutte le leggi conosciute della biologia. La commissione, inoltre, pose l’accento sul fatto che gli elementi cellulari costituenti il frammento di tessuto miocardico avevano mantenuto inalterata la propria integrità strutturale e funzionale.
Nel 1981 i Frati Minori Conventuali di Lanciano chiesero al Prof. Linoli di eseguire una seconda indagine scientifica sull’Ostia-Carne, allo scopo di studiarne più a fondo sia la struttura macroscopica che quella microscopica.
Nella relazione dal titolo "Studio anatomo-istologico sul Cuore del Miracolo Eucaristico di Lanciano (VIII sec.)", che il Prof. Linoli redasse al termine di tale indagine, si legge che la reliquia presenta una morfologia tondeggiante, un diametro compreso tra 55 e 66 mm, una colorazione giallo-bruno-marrone ed un’ampia apertura irregolare al centro, dove sono visibili anche 14 forellini, presumibilmente determinati dall’infissione di altrettanti piccoli chiodi al fine di mantenere distesa l’Ostia-Carne su una tavoletta di legno.
L’analisi istologica evidenziò due esili rami del nervo vago 
(22) (particolari C e D), la caratteristica lamina fibro-elastica che riveste tutte le cavità cardiache, l’endocardio (23) (particolari E, F e G) - la cui superficie appare sollevata nelle "trabecole carnee", morfo-strutturalmente analoghe a quelle del cuore umano - alcuni lobuli di tessuto adiposo, numerose strutture vascolari arteriose e venose di differente calibro (particolari F, G e H) ed il vestigio del ventricolo destro e sinistro, le cui dimensioni appaiono ridotte a seguito della disidratazione tissutale a cui l’Ostia-Carne è andata incontro nel corso dei secoli nell’ambito del naturale processo di mummificazione.

Note:
1. Miracolo eucaristico: evento prodigioso ed inesplicabile consistente nell’effettiva trasformazione delle specie eucaristiche, l’Ostia Magna ed il vino, rispettivamente, in tessuto vivente e sangue umani.
2. San Legonziano: certa tradizione popolare e religiosa identifica San Legonziano con San Longino, il soldato romano che, secondo quanto riportato dalle narrazioni evangeliche, trafisse con una lancia il costato di Gesù crocifisso (vedi: "
La Lancia di Longino: tra storia e leggenda
").
3. Ordine Basiliano: ordine di monaci orientali, seguaci delle regole di S. Basilio di Cesarea, detto il Grande (Cesarea, Cappadocia, 330 c. - ivi 379).
4. Transustanziazione (o transubstanziazione): nella terminologia tecnica della teologia cattolica si intende il passaggio della sostanza del pane e del vino in quella del Corpo e del Sangue di Cristo, durante la celebrazione eucaristica, sebbene le caratteristiche organolettiche di ambedue le specie eucaristiche rimangano immutate.
Il termine fu coniato da Rolando Bandinelli, meglio conosciuto come Papa Alessandro III (Siena inizi XII secolo - Civita Castellana 1181). Martino Lutero (Eisleben, Turingia, 1483 - 1545) e tutti coloro che professano il cristianesimo protestante rifiutano questo termine, attribuendo alla celebrazione eucaristica un diverso significato.
5. Microtomo: apparecchio laboratoristico impiegato per ottenere, a partire da un frammento tissutale o di organo, fissato e incluso in paraffina o in resine di vario tipo, sezioni sottili, di spessore compreso tra 3 e 10 millimetri, da sottoporre ad analisi microscopica.
Il microtomo combina un movimento trasversale rispetto al filo di una lama, generalmente di acciaio, con uno di avanzamento nei confronti della stessa; l’entità di tale avanzamento determina lo spessore della sezione. Vi sono due principali tipi di microtomo: a slitta e rotativo. Negli ultimi anni sono stati introdotti microtomi automatizzati e sempre più frequente, è l’uso di lame di vetro.
6. Tessuto adiposo: nei Vertebrati, tipologia di tessuto connettivo (peculiare tessuto che svolge funzioni di sostegno, trofico e meccanico e di connessione tra i vari organi e tra le loro parti. È costituito da una sostanza amorfa extracellulare di natura mucopolisaccaridica, detta matrice, da fibre extracellulari di natura proteica, prevalentemente rappresentate dal collagene e da cellule con caratteristiche morfo-strutturali e funzionali diverse a seconda dei vari tipi di tessuto connettivo. Quest’ultimo può essere classificato in alcune categorie in base alla struttura e alle funzioni) nel quale prevalgono, tra gli elementi cellulari, gli adipociti. Nell’uomo è presente nel sottocutaneo (lo strato di tessuto connettivo sottostante al derma, uno dei due strati, quest’ultimo - l’altro è rappresentato dall’epidermide - che costituisce la cute o pelle.
Il sottocutaneo poggia sui muscoli superficiali ed è solitamente costituito da tessuto connettivo lasso), nella loggia renale, nel mediastino (spazio anatomico compreso tra il sacco pleurale destro e quello sinistro. Si estende dall’estremità superiore della cavità toracica al diaframma e dallo sterno alle vertebre toraciche; inoltre contiene il cuore, il pericardio, vasi di grosso calibro e altri visceri toracici) ed in altre regioni del corpo. La distribuzione del tessuto adiposo nel sottocutaneo costituisce uno dei principali fattori del dimorfismo sessuale (complesso di difformità morfologiche, endocrinologiche e comportamentali tra individui di sesso opposto appartenenti alla stessa specie) nella nostra specie e contribuisce a modellare il corpo maschile in modo differente rispetto a quello femminile. Vi sono due tipologie di tessuto adiposo che si differenziano per morfologia e funzione: il tessuto adiposo bianco e quello bruno.
7. Tessuto muscolare striato: tessuto prevalentemente costituito da cellule di grandi dimensioni, allungate e fusiformi, dette fibre muscolari, plurinucleate, ossia contenenti due o più nuclei, nella varietà scheletrica o mononucleate, contenenti, cioè, un singolo nucleo, nel miocardio. Il citoplasma (eccettuato il nucleo, porzione della cellula caratterizzata da una struttura estremamente complessa, delimitata dalla membrana cellulare e contenente diversi tipi di organuli sub-cellulari, oltre ad un reticolo di microtubuli e microfilamenti avente funzione di sostegno statico e/o dinamico), detto sarcoplasma, è caratterizzato dalla presenza di numerose striature trasversali, visibili al microscopio ottico, rispetto all’asse maggiore della cellula. Le fibre muscolari sono associate le une con le altre a formare unità contrattili più complesse. I muscoli striati scheletrici sono in grado di contrarsi molto rapidamente e sono implicati nei meccanismi della postura e della locomozione. Il miocardio presenta peculiari caratteristiche funzionali che garantiscono il ritmo di contrazione durevole tipico del muscolo cardiaco.
8. Miocardio: la componente muscolare del cuore.
9. Fibrina: polimero (macromolecola costituita dalla ripetizione di unità molecolari elementari, dette monomeri, eguali o di tipo diverso e tra loro unite da legami) di natura proteica derivato dal fibrinogeno (proteina contenuta nel plasma) per l’azione proteolitica (idrolisi enzimatica di una proteina) della trombina (enzima derivante dalla protrombina per azione della tromboplastina in presenza di ioni calcio) durante il processo di coagulazione del sangue.
10. Emoglobina: complessa macromolecola proteica di morfologia globulare contenuta negli eritrociti (globuli rossi) dei Vertebrati ed in grado di combinarsi reversibilmente con l’ossigeno molecolare, trasportandolo a tutti i tessuti dell’organismo. È costituita da 4 catene polipeptidiche (polipeptide: molecola costituita da un numero elevato, generalmente più di 10-20, amminoacidi. I polipeptidi con peso molecolare superiore a 10000 dalton sono detti comunemente proteine. I peptidi contenenti meno di dieci amminoacidi vengono detti, invece, oligopeptidi) a due a due eguali, dette globine.
11. Ematina cloridrato (o emina): cloruro di ferriprotoporfirina. Si presenta in caratteristici cristalli prismatici bruni a stella, detti cristalli di Teichmann, la cui identificazione è di grande importanza in medicina legale per il riconoscimento delle macchie ematiche.
12. Ossidasi: qualsiasi enzima appartenente alla classe delle ossidoreduttasi. Quest’ultime catalizzano l’ossidazione di un substrato mediante la rimozione di elettroni o atomi di idrogeno, che vengono poi trasportati direttamente sull’ossigeno molecolare con produzione di anione superossido (un radicale libero o intermedio reattivo dell’ossigeno), acqua o perossido di idrogeno, meglio conosciuto come acqua ossigenata.
13. Cromatografia: tecnica di separazione dei componenti di una miscela mediante l’applicazione di quest’ultima su un supporto inerte, adsorbente o ionizzato (fase fissa); attraverso tale supporto viene fatto scorrere un flusso costante di un solvente, di un tampone o di un gas inerte (fase mobile). La separazione, a seconda del tipo di cromatografia impiegato, avviene in base a principi chimico-fisici differenti: per adsorbimento differenziato dei componenti della miscela sul supporto (cromatografia di adsorbimento), per legame selettivo tra i componenti della miscela ed un legante presente sulla fase fissa (cromatografia di affinità), in base alle differenze di peso molecolare (gel-filtrazione), in base alle differenze nel coefficiente di ripartizione fra due fasi non miscibili tra loro (cromatografia di ripartizione) ed in base alle differenze tra le costanti di dissociazione dei gruppi acidi o basici presenti sulle molecole da separare (cromatografia a scambio ionico).
14. Immunoistochimica: complesso di tecniche biochimiche e istochimiche che fanno uso di anticorpi come reagenti specifici per la rivelazione o il dosaggio di molecole biologiche.
15. Immunoematologia: branca dell’immunologia e dell’ematologia che si occupa dello studio dei meccanismi immunitari umorali e cellulari implicati nella patogenesi, diagnosi o trattamento delle malattie del sangue e dei tessuti emopoietici (tessuto emopoietico: qualsiasi tessuto in cui siano prodotte le cellule presenti nel sangue; in particolare, il midollo osseo o tessuto mieloide, in quanto sede primaria della emopoiesi a partire dal secondo periodo della vita fetale. Prima di tale periodo anche il fegato e la milza partecipano all’emopoiesi).
16. Gruppo sanguigno (o emogruppo): fenotipo (l’insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali di un organismo considerate come espressione dell’attività del suo genotipo, ossia del complesso dell’informazione genetica presente nell’organismo) definito in base alla presenza o meno di peculiari antigeni (antigene: qualsiasi sostanza che, qualora venga introdotta in un organismo, è in grado di indurre una risposta immunitaria e di combinarsi con anticorpi e recettori cellulari specifici) polisaccaridici (polisaccaride: molecola complessa costituita dall’unione di un elevato numero di molecole semplici di zucchero), detti alloantigeni o agglutinogeni, in quanto evidenziabili con reazioni di agglutinazione, sulla superficie esterna della membrana cellulare dei globuli rossi. Nell’uomo sono stati fino ad ora identificati circa 300 diversi determinanti antigenici eritrocitari, in parte riuniti in gruppi o sistemi ematici, ciascuno comprendente numerosi antigeni. La loro importanza è legata alla possibilità di incompatibilità nelle trasfusioni ematiche, di rigetto dei trapianti d’organo, di incompatibilità materno-fetale, ecc. I gruppi sanguigni sono utilizzati anche in medicina legale (esclusione di paternità, ecc.) e negli studi antropologici e genetici.
17. Elettroforesi: migrazione, promossa da un campo elettrico applicato, di molecole cariche presenti in soluzione.
È una tecnica utilizzata nei laboratori di biochimica, biologia molecolare e cellulare, per la separazione di miscele di sostanze ionizzate o ionizzabili mediante la loro deposizione su un supporto inerte (carta da filtro, acetato di cellulosa, gel d’agar, gel di poliacrilamide, ecc.) e l’applicazione ai due elettrodi, collegati col supporto, di una differenza di potenziale elettrico continuo prodotta da un apposito alimentatore. La separazione avviene in base al peso molecolare delle singole specie cariche che migrano verso l’elettrodo di segno opposto.
18. Istologia: branca delle discipline morfo-strutturali il cui oggetto di studio è rappresentato dalla struttura e dall’ultrastruttura dei tessuti. Si avvale delle tipiche tecniche di microscopia ottica ed elettronica, quest’ultima sia in trasmissione che in scansione.
19. Mummificazione: trattamento per essiccare i tessuti morti al fine di impedirne la putrefazione.
20. Deliquescenza: proprietà che alcune sostanze solide possiedono di assorbire vapore acqueo fino a trasformarsi in soluzioni acquose.
21. O.M.S.: agenzia dell’O.N.U. (Organizzazione delle Nazioni Unite) che si occupa della salute nel mondo.
22. Nervo vago: in tutti i Vertebrati, il decimo dei nervi encefalici. Il vago è un nervo misto, costituito, cioè, da una componente sensoriale e da una componente, più modesta, motoria, la quale innerva vari organi, tra cui anche il cuore.
23. Endocardio: sottile membrana di natura endoteliale che riveste la superficie interna delle cavità cardiache e si continua con l’endotelio (endotelio: sottile rivestimento di cellule appiattite, talvolta fenestrato, che delimita internamente il lume dei vasi sanguigni e linfatici dei Vertebrati o che, nel caso dei capillari, ne costituisce l’intera parete) dei vasi che arrivano al cuore o che da esso si dipartono. L’endocardio, inoltre, prende parte alla formazione delle valvole cardiache.

BIBLIOGRAFIA
- "Ricerche Istologiche, Immulogiche e Biochimiche sulla Carne e sul Sangue del Miracolo Eucaristico di Lanciano (VIII secolo)" - di Odoardo Linoli. Quaderni Sclavo di Diagnostica 1971, 7, 661-674.
- "Studio anatomo-istologico sul cuore del Miracolo Eucaristico di Lanciano (VIII sec.)" - di Odoardo Linoli. L’Osservatore Romano, 23 Aprile 1982.
- "Il miracolo eucaristico di Lanciano" - di B. Sammaciccia. Libreria del Santuario del Miracolo Eucaristico di Lanciano, 1973.
- "Dizionario Enciclopedico Multimediale di Medicina e Biologia" - Le Scienze.
- "Nuova Enciclopedia Universale Curcio delle lettere, delle scienze, delle arti", - Armando Curcio Editore, 1968.

Postato da: giacabi a 18:12 | link | commenti
miracolo, lanciano

mercoledì, 14 luglio 2010

Il grande chirurgo
Stefano Zurlo                         da: www.tracce.it 04/2000
Un microchirurgo rilegge gli atti del miracolo di Calanda del 1640.
Tutti i sintomi del decorso postoperatorio dopo il reimpianto di un arto
descritti con un occhio clinico allora inimmaginabile

http://1.bp.blogspot.com/_WPzGWjuobaI/S7ijPviUd1I/AAAAAAAAA1c/irPRr9quE5c/s400/Miguel+Pellicer.jpg
Quante strade ci sono per arrivare a credere in un miracolo? C'è via classica della fede, ma c'è anche quella, sorprendente, della microchirurgia. Calanda, Aragona, 29 marzo 1640: Miguel Pellicer, un giovane contadino, "recupera", per intercessione della Virgen del Pilar, la gamba che gli era stata amputata due anni e mezzo prima, dopo un grave incidente. Per gli spagnoli quello di Calanda è el milagro de los milagros, il prodigio per eccel olenza. Verona, Policlinico universitario, estate del 1999: Landino Cugola, primario dell'Unità operativa di chirurgia della mano e dell'arto superiore, legge le testimonianze oculari raccolte 359 anni prima dall'Inquisizione. E resta sbalordito: quelle narrazioni, così antiche, sono straordinariamente moderne e descrivono con occhio clinico quel che allora era semplicemente inimmaginabile: tutti i sintomi che accompagnano il decorso postoperatorio dopo il reimpianto di un arto. Il gonfiore della caviglia, le macchie bluastre sulla pelle, le dita del piede chiuse a pugno.
Era scettico, lo specialista, ora ci crede: i verbali delle 24 persone che sfilarono davanti al tribunale dell'Inquisizione di Saragozza sembrano presi di peso da un odierno trattato di letteratura medica. Ma nel Seicento gli ortopedici non si sognavano nemmeno un'operazione del genere, il primo tentativo riuscito di riattaccare un braccio nel 1962. Cugola legge e rilegge quelle carte, poi si arrende all'evidenza: "è impossibile che tutte quelle persone abbiano bluffato, non potevano simulare una cosa che allora non era nemmeno pensabile". Così il professore, che ha sessant'anni e per mestiere riattacca braccia e piedi (in Italia non sono più dieci i centri in grado di fare operazioni del genere) è diventato, quasi involontariamente, il miglior testimonial del libro che sull'argomento ha scritto Vittorio Messori:
Il miracolo; sottotitolo: Spagna, 1640: indagine sul più sconvolgente prodigio mariano.

Lettore di eccezione
Merito di Messori se quell'evento, dimenticato o sconosciuto ai più è tornato d'attualità?La Rizzoli ha appena sfornato la decima edizione, le copie vendute in meno di due anni sono già cinquantamila, la Rai e la tv svizzera sono andate in Aragona a girare un film. Ora però arriva questo lettore d'eccezione a rendere ancora più intrigante la storia e a benedire il più politicamente scorretto dei matrimoni: quello fra la scienza più avanzata e il milagro più barocco, consegnatoci direttamente dalla Spagna del Seicento. "Un giorno - spiega Messori - sono andato a presentare il libro in una parrocchia dell'hinterland veronese. A un certo punto un signore ha alzato la mano e si è presentato. Era Cugola. Aveva letto il libro per scrupolo professionale, ma ne era rimasto impressionato". Racconta il professore: "Conoscevo giàl prodigio di Calanda: a casa ho una raccolta di foto e diapositive che spiegano tutti i miracoli presenti nell'iconografia tradizionale che in qualche modo mi possono interessare. Letto il testo, ho chiesto a Messori la documentazione del processo tenuto a Saragozza per ordine dell'Inquisizione e lui mi ha inviato le fotocopie: circa settanta pagine in spagnolo".
Cugola si è sobbarcato questa fatica supplementare e riga per riga si è lasciato conquistare da quelle narrazioni: "è tutto vero, troppo vero per essere falso". Più che nell'Aragona del Seicento gli è parso di essere fra la camera operatoria e il centro di riabilitazione del suo ospedale.

La storia
Che cosa successe a Calanda? Apparentemente la storia descritta dal giornalista e scrittore è così strepitosa da far sorridere. La sera del 29 marzo 1640 Miguel Pellicer, un giovane contadino, va a dormire. Due anni e mezzo prima finito sotto un carro e ha perso la gamba sinistra: gliel'ha dovuta amputare, quattro dita sotto il ginocchio, il chirurgo di Saragozza. Quella notte a Calanda ci sono i soldati e il ragazzo deve accontentarsi di un giaciglio di fortuna, per lui particolarmente scomodo: saranno le ultime ore di sofferenza. Quando si sveglia non crede ai propri occhi: al posto del moncone c'è la sua gamba, sepolta due anni e mezzo prima nel cimitero dell'ospedale di Saragozza. Non ci sono dubbi; è proprio quella che gli avevano tolta: ci sono perfino i segni del morso che un cane gli aveva dato quando era bambino.
Sembra fiction, ma a confermare lo strabiliante episodio ci sono i testimoni. Numerosi, numerosissimi: i genitori, gli amici, gli abitanti di Calanda, i canonici del Pilar, il chirurgo, i soldati accampati quella notte in casa Pellicer. È credibile che si siano accordati imbastendo una gigantesca truffa? Oppure, sono stati, essi stessi, "truffati" da un'abile messinscena? Per Messori, che è andato a Calanda e poi a Saragozza, dove ha frugato fra le carte dell'archivio del Pilar e ha allineato le diverse testimonianze, è impossibile. Il giornalista si ferma qui.
Particolari convincenti
Cugola va oltre. E si sofferma sulle ore immediatamente successive al risveglio: "Pellicer aveva recuperato l'arto, ma ci volle del tempo perché riprendesse a camminare correttamente. I testimoni dicono che la gamba era mortecina, smorta. Esattamente come capita oggi. Tanto per cominciare il sangue ristagnava e la caviglia si era gonfiata". Dettaglio notato dai calandini. Non solo: la folla dei curiosi coglie altri sintomi che sembrano presi di peso dalle riviste scientifiche degli ultimi trent'anni: la gamba è più corta e il giovane zoppica, sulla pelle ci sono macchie di colore scuro, marbrures, le dita del piede sono poco sensibili, il polpaccio piccolo. Tutti particolari che rafforzano i convincimenti di Cugola: "Durante l'intervento avvenuto a Saragozza l'equivalente di quattro dita di lunghezza ando perduto per lo spapolamento della frattura. Così almeno inizialmente, Miguel si ritrovò con la sua gamba, ma più corta. Succede anche a noi nel 95% dei casi. E anche noi, nella fase di riabilitazione, provochiamo l'allungamento dell'osso con uno strumento detto fissatore esterno". E gli altri particolari? "Non mi sorprendono. Il polpaccio si era ristretto perché il muscolo si era mummificato. Con il ritorno del sangue si è innervato e ha riassunto la grandezza naturale. Le chiazze invece sono facilmente spiegabili perché nelle prime ore dopo il reimpianto, il sangue ha ripreso gradualmente a circolare, ma in modo non uniforme. In certe zone è arrivato prima, in altre dopo. E anche le terminazioni nervose ci hanno messo del tempo, come da copione, a riattivarsi".
C'è di più. Ai calandini non sfugge nemmeno la posizione innaturale, a pugno, in cui teneva le dita del piede: corbadas hacia bajo, ricurve verso il basso. "è un classico", risponde tranquillamente Cugola, "le dita erano flesse perché dopo il reimpianto i tendini flessori prevalgono su quelli estensori. Un fatto normalissimo". Insomma, tutto trova se non una spiegazione esauriente almeno una giustificazione in linea con la logica e la conoscenza. Resta il quesito di fondo. Come era possibile ricreare una gamba perduta due anni e mezzo prima? "Secondo me - spiega il primario - la gamba non andò distrutta come si potrebbe ritenere. Si verificò invece un processo di mummificazione, frequente anche oggi. Per intenderci, dopo la caduta e la lesione, non ci fu un blocco repentino della circolazione, i tessuti non andarono in necrosi umida o gangrena, ma la gamba si mummificò lentamente. Questo spiega fra l'altro perché  Pellicer non sia morto di setticemia in quei giorni. La gamba assunse un color ambra, un po' come le reliquie che veneriamo nelle nostre chiese".


Oltre la ragione
Cugola sorride e previene l'obiezione, scontata: "Con questo non voglio sminuire il miracolo, noi oggi riattacchiamo una gamba solo se ce la portano entro un tempo brevissimo, 8-10 ore al massimo. Un intervento su un pezzo di arto dimenticato da due anni e mezzo va ben al di là delle nostre capacità. Ma in un certo senso – è la conclusione di Cugola - non le contraddice. La nostra razionalità almeno la mia, non viene mortificata dal chirurgo divino. Il miracolo va oltre la mia ragione, ma non la ridicolizza. Tutti i tasselli del mosaico che ho pazientemente ricostruito vanno al loro posto e i miei colleghi che sghignazzano dovrebbero studiare più attentamente la vicenda prima di emettere giudizi frettolosi".
Un milagro oltre, ma non contro la scienza, da sempre in prima linea nella guerra contro il Gesù caramelloso e assorto di certi santini, è soddisfatto: "La liturgia approvata da Roma per la festa del 29 marzo recita cos?"Non fecit taliter omni natione", Dio non ha fatto nulla di simile per nessun'altra nazione, né prima né dopo". El milagro de los milagros. "Un fatto di carne e di sangue per ricordarci che il cristianesimo non è un'ideologia, ma un avvenimento. Tener presente questo oggi può essere molto utile: il grande nemico del cristianesimo non è il materialismo, ma lo spiritualismo".
Il dialogo Messori-Cugola è già stato inserito nell'edizione spagnola del Milagro. La Rizzoli lo metterà in  coda al testo italiano nei prossimi mesi, quando Il miracolo verrà riproposto nei tascabili della Bur.

di Stefano Zurlo


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miracolo, messori

domenica, 09 novembre 2008

Il miracolo della vita
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"Un uomo qualsiasi, con tutto il bagaglio di conoscenze oggi a nostra disposizione, potrebbe affermare solo che l'origine della vita sembra allo stato presente appartenere all'ordine del miracolo, tante sono le condizioni che dovrebbero trovarsi riunite per poterla realizzare."
Francis Crick premio Nobel per la biologia per la scoperta del DNA,  


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vita, miracolo

sabato, 07 giugno 2008

Latteso
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 "Colui che aspettiamo non è colui che  arriva, perché colui che aspettiamo appartiene all'immaginario e al linguaggio,colui che arriva appartiene all'evento, al reale"
Wittgenstein Ricerche filosofiche Einaudi

(Antonio Socci - Uno strano cristiano - pag.54)

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miracolo, wittgenstein

martedì, 03 giugno 2008

La nostra esistenza: una catena di miracoli
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 «E' proprio di ogni nuovo inizio di irrompere nel mondo come “un'infinita improbabilità”; pure, questo infinitamente improbabile costituisce di fatto il tessuto di tutto quanto si chiama reale. In fondo, “tutta la nostra "esistenza si direbbe fondata su una catena di miracoli: prima la formazione della terra e poi, su questa, la nascita della vita organica, e infine l'evolversi dell'uomo dalle specie animali. Se consideriamo i processi che si svolgono nell'universo e nella natura (favoriti da probabilità schiaccianti dal punto di vista statistico), il formarsi della terra (nel corso dei processi cosmici), la vita organica (che si forma partendo da processi inorganici) e infine la nascita dell'uomo (dai processi della vita organica), ci appariranno tutti come “infinite improbabilità”: ossia, nel linguaggio quotidiano, “miracoli”. Proprio a causa dell'elemento “miracoloso”, presente in ogni realtà, gli eventi, per quanto possono essere anticipati da timori o speranze, quando si verificano ci sorprendono e ci scuotono. La stessa forza d'urto di un evento non potrà mai essere spiegata fino in fondo: in linea di principio, il"fatto" supera ogni previsione.
L'esperienza che ci fa vedere un miracolo in ogni evento non è né arbitraria né artificiosa, anzi è naturalissima, nella vita di tutti i giorni.
Non è per nulla superstizioso, anzi è realistico cercare quel che non si può prevedere»
     Hannah Arendt, Il pensiero secondo, Rizzoli


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miracolo, arendt

domenica, 02 marzo 2008

Pio XII scrisse: «Ho visto il sole roteare come a Fatima»    
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Retroscena di un miracolo
Pio XII scrisse: «Ho visto il sole roteare come a Fatima»

di Andrea Tornielli
su il Giornale, 28 febbraio 2008
Ritrovato nell'archivio di famiglia un appunto manoscritto, inedito, nel quale Papa Pacelli descrive con stile asciutto e notarile il "miracolo del sole". Un episodio del quale fino ad oggi si era parlato solo attraverso testimonianze indirette.

«Ho visto» il miracolo del sole, «questa è la pura verità». Nel 1950, poco prima di proclamare il dogma dell’Assunta, Pio XII mentre passeggiava nei giardini vaticani assistette più volte allo stesso fenomeno verificatosi nel 1917 al termine delle apparizioni di Fatima e lo considerò una conferma celeste di quanto stava per compiere. Una circostanza fino ad oggi nota solo grazie alla testimonianza indiretta del cardinale Federico Tedeschini che ne parlò durante un’omelia. Ora dall’Archivio privato Pacelli, conservato dalla famiglia del Pontefice, riemerge un documento eccezionale e inedito su quella visione: un appunto manoscritto dello stesso Pio XII, vergato a matita sul retro di un foglio nell’ultimo periodo della sua vita, nel quale in prima persona il Papa racconta ciò che gli è accaduto. L’appunto sarà esposto il prossimo novembre nella mostra vaticana dedicata a Papa Pacelli nel cinquantesimo della morte. Il resoconto è asciutto, quasi notarile, senza alcun cedimento al sensazionalismo.

«Era il 30 ottobre 1950», antivigilia del giorno della solenne definizione dell’assunzione, spiega Pio XII. Il Papa stava dunque per proclamare dogma di fede l’assunzione corporea in cielo della Madonna al momento della morte, e lo faceva dopo aver consultato l’episcopato mondiale, unanimemente concorde: soltanto sei risposte su 1.181 manifestavano qualche riserva. Verso le quattro di quel pomeriggio faceva «la consueta passeggiata nei giardini vaticani, leggendo e studiando». Pacelli ricorda che, mentre saliva dal piazzale della Madonna di Lourdes «verso la sommità della collina, nel viale di destra che costeggia il muraglione di cinta», sollevò gli occhi dai fogli. «
Fui colpito da un fenomeno, mai fino allora da me veduto. Il sole, che era ancora abbastanza alto, appariva come un globo opaco giallognolo, circondato tutto intorno da un cerchio luminoso», che però non impediva in alcun modo di fissare lo sguardo «senza riceverne la minima molestia. Una leggerissima nuvoletta trovavasi davanti». «Il globo opaco - continua Pio XII nell’appunto inedito - si muoveva all’esterno leggermente, sia girando, sia spostandosi da sinistra a destra e viceversa. Ma nell'interno del globo si vedevano con tutta chiarezza e senza interruzione fortissimi movimenti». Il Papa attesta di aver assistito allo stesso fenomeno il giorno seguente, 31 ottobre, e il 1° novembre, giorno della definizione del dogma dell’Assunta, quindi di nuovo l’8 novembre. Poi non più». Ricorda pure di aver cercato «varie volte» negli altri giorni, alla stessa ora e in condizioni atmosferiche simili, «di guardare il sole per vedere se appariva il medesimo fenomeno, ma invano; non potei fissare nemmeno per un istante, rimaneva subito la vista abbagliata».

Nei giorni seguenti Pio XII riferisce il fatto «a pochi intimi e a un piccolo gruppo di Cardinali (forse quattro o cinque), fra i quali era il Cardinal Tedeschini». Quest’ultimo, nell’ottobre dell’anno seguente, 1951, si deve recare a Fatima per chiudere le celebrazioni dell’Anno Santo. Prima di partire viene ricevuto in udienza e chiede al Papa di poter citare la visione nell’omelia. «Gli risposi: "Lascia stare, non è il caso". Ma egli insistette - continua Pio XII nel manoscritto - sostenendo l’opportunità di tale annuncio, ed io allora gli spiegai alcuni particolari dell’avvenimento». «Questa è, in brevi e semplici termini - conclude Papa Pacelli - la pura verità». «Pio XII era persuasissimo della realtà del fenomeno straordinario, cui aveva assistito ben quattro volte», ha dichiarato suor Pascalina Lehnert, la religiosa governante dell’appartamento papale.

Il cosiddetto «miracolo del sole» si era già verificato il 13 ottobre 1917 a Fatima, al termine delle apparizioni ai tre pastorelli. Così lo raccontò nella sua cronaca M. Avelino di Almeida, giornalista laico e non credente, inviato del quotidiano O Seculo e testimone oculare: «E si assiste allora ad uno spettacolo unico ed incredibile allo stesso tempo per chi non ne è stato testimone... Si vede l’immensa folla voltarsi verso il sole sgombro di nuvole, in pieno giorno. Il sole ricorda un disco d’argento sbiadito ed è possibile guardarlo in faccia senza subire il minimo disagio. Non scotta, non acceca. Si direbbe un’eclisse». Pio XII era molto legato a Fatima: la prima apparizione ai tre pastorelli era infatti avvenuta il 13 maggio 1917, lo stesso giorno in cui Pacelli veniva consacrato arcivescovo nella cappella Sistina. È attestato che Pio XII e l’unica sopravvissuta dei tre veggenti, suor Lucia Dos Santos, rimarranno sempre in contatto, e il Pontefice, nell’ultimo anno della sua vita, conserverà il testo del Terzo segreto di Fatima nel suo appartamento. «Varie volte - ha dichiarato la marchesa Olga Nicolis di Robilant Alves Pereira de Melo testimoniando al processo di beatificazione di Pacelli, «trasmisi messaggi del Santo Padre per Suor Lucia e di questa per lui, ma siccome promisi di mai rivelare nulla a chicchessia, non mi sento autorizzata a farlo adesso».

Il testo integrale dell'appunto (riprodotto a p. 21 de il Giornale di oggi, 28 febbraio 2008, scritto a matita su un foglio riutilizzato, in calce del quale il Papa aveva cominciato a scrivere a macchina le parole Maria ... Maria)

«Era il 30 ottobre 1950, antivigilia del giorno, da tutto il mondo cattolico atteso con tanta ansia, della solenne definizione dell’assunzione in cielo di Maria Santissima. Verso le ore 4 pom. facevo la consueta passeggiata nei giardini vaticani, leggendo e studiando, come di solito, varie carte di ufficio. Salivo dal piazzale della Madonna di Lourdes verso la sommità della collina, nel viale di destra che costeggia il muraglione di cinta. A un certo momento, avendo sollevato gli occhi dai fogli che avevo in mano, fui colpito da un fenomeno, ma fino allora da me veduto. Il sole, che era ancora abbastanza alto, appariva come un globo opaco giallognolo, circondato tutto intorno da un cerchio luminoso, che però non impediva in alcun modo di fissare attentamente il sole, senza riceverne la minima molestia. Una leggerissima nuvoletta trovavasi davanti. Il globo opaco si muoveva all’esterno leggermente, sia girando, sia spostandosi da sinistra a destra e viceversa. Ma nell’interno del globo si vedevano con tutta chiarezza e senza interruzione fortissimi movimenti.

Lo stesso fenomeno si ripeté il giorno seguente, 31 ottobre, e il 1° novembre, giorno della definizione; e poi di nuovo l’8 novembre, ottava della stessa solennità. Quindi non più. Varie volte cercai negli altri giorni, alla stessa ora e in condizioni atmosferiche uguali o assai simili, si guardare il sole per vedere se appariva il medesimo fenomeno, ma invano; non potei fissare nemmeno per un istante, rimaneva subito la vista abbagliata.

Nei giorni seguenti manifestai il fatto a pochi intimi e a un piccolo gruppo di Cardinali (forse quattro o cinque), fra i quali era il Cardinal Tedeschini. Quando questi, prima della sua partenza per la sua missione di Fatima, venne a visitarmi, mi espresse il suo proposito di parlarne nella sua Omelia. Gli risposi: "Lascia stare, non è il caso". Ma egli insistette sostenendo l’opportunità, di tale annuncio, ed io allora gli spiegai alcuni particolari dell’avvenimento. Questa è, in brevi e semplici termini, la pura verità».


Nella foto: il miracolo del sole, il 13 ottobre 1917 a Fatima (a sinistra) e papa Pio XII (a destra).

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miracolo, maria

domenica, 30 settembre 2007

Realista
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Chi non crede nei miracoli non è realista.

 David Ben-Gurion


 

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miracolo, reale

domenica, 16 settembre 2007

Il miracolo
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Guardare tutta la realtà credendo nel miracolo, il miracolo può esserci, oggi si crede impossibile il miracolo perché si ha paura.
Miracolo è anche semplicemente dire "ti amo" a chi si ha vicino, a tutto.
Ammettere il miracolo è ammettere la mia debolezza, perché il miracolo annienta la mia illusione di onnipotenza.

Miracolo è dire "ti amo", comunque dirlo.
All'uomo d'oggi mancano "nidi caldi" intesi come legami affettivi in cui fare esperienza di piccoli miracoli quotidiani.
Piesiewicz, Lugano 1997

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miracolo

lunedì, 29 gennaio 2007

La gamba di Miguel Juan
 di Enrico Salomi

La prova provata che Dio esiste. Un miracolo che solo Lui può compiere. Grazie all’intercessione di Maria. Una rigorosissima indagine di Vittorio Messori.

[Da "Il Timone" n. 1, Maggio/Giugno 1999]

Quanta fatica per dimostrare che Dio esiste. Quanti ragionamenti, quante contese, quanti dibattiti sulle prove che un Essere onnipotente, creatore e ordinatore dell’universo esiste e ci governa tutti.

Certo, in filosofia le prove che Dio esiste ci sono, eccome. E il Papa, nella Fides et ratio, ribadisce con fermezza che la ragione dell’uomo può giungere alla certezza che Dio c’è.

Ma le contestazioni restano, non tutti concordano, molti dubitano e il pensiero debole (nulla di sicuro possiamo dire su Dio) trova ancora molti seguaci. Tuttavia, se si viene a sapere di un fatto certo e documentato, incontestabile e inoppugnabile, come quello che ha narrato Vittorio Messori nella sua ultima fatica (”Il miracolo”, ed. Rizzoli), beh! non e più possibile negare Dio; o meglio, per farlo la ragione deve essere messa a riposo e in campo devono scendere pregiudizio, ignoranza, malafede.

Raccontato sinteticamente – il lettore è invitato a leggere lo studio di Messori – quanto è accaduto ha dello stupefacente.

Nel 1617, a Calanda, nell’Aragona spagnola, nasce un certo Miguel ]uan Pellicer, figlio di contadini e contadino lui stesso, analfabeta, dotato di una fede solida ed essenziale, devoto alla Vergine del Pilar di Saragozza.

Lasciata la famiglia per non pesare sul magro bilancio dei genitori, verso la fine di luglio del 1637, mentre lavora tra i campi, un carro di frumento gli transita su una gamba, proprio sotto il ginocchio, procurandogli la frattura della tibia nella parte centrale.

Tra dolori inenarrabili, vuole andare a Saragozza per mettersi sotto la protezione della Vergine del Pilar. Cinquanta giorni di viaggio e trecento chilometri sotto la canicola estiva, raccattando passaggi qua e là. Quando arriva in città, praticamente moribondo, si trascina sui gomiti fin nel santuario e qui si affida alla Vergine: ”pensaci Tu perché sto per morire”.

Con sega e scalpello – gli strumenti del tempo – gli viene amputata la gamba, unica soluzione per salvargli la vita. Passa un anno prima di uscire dall’ospedale con una gamba di legno, due stampelle e una specie di patentino che gli dava la possibilità i3i esercitare la ”professione” del mendicante.

Tutti i giorni, per due anni e mezzo, davanti alla porta del santuario del Pilar, l’intera Saragozza gli passa accanto, lo vede, si commuove, qualcuno lo aiuta; alla sera, quando il santuario chiude, Miguel Juan si cosparge il moncone della gamba con un po’ di olio consumato dalle lampade del santuario, nonostante che i medici, da cui è visitato periodicamente, lo ammoniscano inutilmente.

Quando lo riconoscono alcuni compaesani che sono n Saragozza per un pellegrinaggio, non potendo più tenere nascosta la sua situazione, Miguel Juan decide di tornare dai genitori a Calanda, circa 100 chilometri a sud di Saragozza. E qui, altro non può fare che riprendere a mendicare.

Il momento fatidico giunge alla sera del 29 marzo del 1640. E` giovedì. Siamo tra le dieci e le undici di sera. Miguel Juan cena con i genitori, due vicini di casa e un soldato di cavalleria dell’Esercito Reale, che è di passaggio e a cui era stata data ospitalità.

Miguel Juan, dopo la povera cena, si congeda dalla compagnia e decide di andare a coricarsi. Ripone la protesi di legno e le stampelle, va a dormire nella camera da letto di mamma e papà, perché aveva lasciato il suo giaciglio abituale al soldato.

Qualche tempo dopo, la madre entra nella camera e, sentendo un profumo intenso ”come di Paradiso”, si accorge che da quel mantello troppo corto che ricopre il figlio addormentato spuntano due piedi
. Giunge il padre, richiamato dalla donna. In principio pensano che si tratti del soldato che ha sbagliato stanza, ma, sollevando la coperta e guardando meglio, scoprono che quella persona è proprio il loro figlio.

Miguel Juan, il mutilato, dorme profondamente, ma ha riattaccata quella gamba che, due anni e cinque mesi prima, gli era stata amputata. E non si tratta di una gamba qualsiasi, ma proprio della sua, con tutte le caratteristiche e le cicatrici del suo arto e con un circolino rosso nel punto in cui era avvenuta l’amputazione. Svegliano il figlio. Stava sognando – dirà Miguel Juan – di essere a Saragozza nella cappello della Vergine del Pilar e che si ungeva la gamba segata con 1’olio di una lampada, come era uso fare quando era in quel santuario.

Un miracolo straordinario, quello di un arto amputato improvvisamente riattaccato, che solo Dio, l’autore e il padrone delle leggi della natura può compiere. Se il fatto e vera, allora la conclusione si impone: Dio esiste. Ma ci vogliono le prove.

Le prove ci sono, eccome. E sono tante, tutte concordi, ben fondate, ottimamente documentate, al punto che Messori si spinge a dire: ”dovrebbe dubitare di tutta quanta la storia umana, compresi i fatti più certi perché più attestati, chi rifiutasse la verità di quanta successo a Calanda quella sera di marzo della settimana di Passione del 1640.

Vediamole in sintesi.

II miracolo viene attestato solo sessanta ore dopo da tutte le autorità locali: il vicario parrocchiale don ]usepe Herrero, il justicia (il giudice e insieme il responsabile dell’ordine pubblico) Martin Corellano, il sindaco Miguel Escobedo, il suo vice Martin Galindo e, soprattutto, il notaio reale Lazaro Macario Gomez
.

In pochissimi giorni viene istituito un processa pubblico in cui sfilano decine e decine di testimoni oculari, nel frattempo, viene visitato il luogo dove era stata sepolta dai medici la gamba amputata, ma viene trovato vuoto (come riportato da un Aviso Historico, un giornale del tempo).

Dopo quasi undici mesi di lavoro e con quattordici sedute pubbliche e plenarie, si pronuncia la sentenza del processo di Saragozza in data 27 aprile 1641: ”Perciò affermiamo e dichiariamo che a Miguel Juan Pellicer, contadino di Calanda, fu restituita la gamba che gli era stata amputata due anni e cinque mesi prima; e che non fu un fatto di natura, ma opera mirabile e miracolosa, ottenuta per intercessione della Vergine del Pilar”.

I ventiquattro. testimoni oculari, scelti dal tribunale di Saragozza tra innumerevoli possibili, possono essere suddivisi m cinque gruppi.

Cinque sono medici ed infermieri, e tra loro il chirurgo che amputo la gamba e i due sanitari di Calanda che procedettero alla visita immediatamente dopo l’evento. Cinque tra familiari e i vicini di casa. Quattro sono autorità locali di Calanda, sopra ricordate. Quattro sono ecclesiastici, sia di Saragozza che di Calanda. Sei ”vari”, tra cui l’uste, nella cui bettola vicino al Pilar Miguel Juan, storpio, passava la notte quando rimediava quattro soldi di elemosina e un altro oste, di Samper, dal quale aveva alloggiato sulla strada del ritorno a casa. I testimoni sono scelti per dar conto, sotto giuramento, delle differenti tappe della storia di Miguel Juan Pellicer: la frattura, l’amputazione, la mendicità al Pilar, il ritorno al paese natale, l’evento miracoloso del 29 marzo e i fatti dei giorni successivi.

É così straordinario quanto è accaduto a Calanda, che il giovane contadino Miguel Juan venne ricevuto addirittura dal re Filippo IV, il più orgoglioso sovrano del mondo, il monarca dell’impero dove ”non tramontava mai il sole”. Il sovrano, dopo aver sentito la sua testimonianza e 1’inequivocabile sequenza di eventi da parte delle più importanti autorità spagnole, si inginocchia davanti al contadino, gli bacia con devozione la cicatrice, rimasta là dove 1’arto era stato amputato e poi riattaccato.

DIO ESISTE

Che cosa dire di questa storia, così minuziosamente investigata da Vittorio Messori? Forse le parole migliori sono quelle che 1’autore adopera, da storico e da giornalista, per concludere la sua opera indagatrice.

”In quelle ”notti oscure” di cui parlano proprio i mistici spagnoli, in quei momenti (inevitabili, fisiologici nella strutture della fede) in cui il dubbio sembra rodere, malgrado ogni accumulo di ”ragioni per credere”; ebbene proprio allora soccorre il ricordo di un campanile che si leva, vigoroso, sul Desierto de Calanda, nella Bassa Aragona. Una torre che ha 1’aspetto di un punto esclamativo: segnala, infatti, almeno un luogo nel mondo dove ”la scommessa sul Vangelo” si scioglie in quella certezza che solo un fatto oggettivo, constatabile, sicuro può garantire. Lì la cronaca, la storia, sembrano davvero spalancare, all’improvviso, una finestra verso l’Eterno.”

Sì, Dio esiste e a Calanda ha dimostrato che nulla Gli è impossibile. Lì ha deciso intervenire nella ”carnalità” dell’esistenza del giovane contadino Miguel Juan Pellicer, di annullare ciò che era avvenuto per mezzo dell’uomo, di sospendere tutte le leggi della natura, di riparare ciò che era irreparabile.

A Calanda, Dio, attraverso l’intercessione di Maria Vergine, ha voluto lasciare un segno concreto, tangibile, indubitabile. Per usare le parole dell’arcivescovo di Saragozza ”com’e stato dimostrato con certezza nel processo, il detto Miguel Juan fu visto prima senza una gamba e poi con questa. Quindi non si vede come si possa dubitare di ciò”.

Nessun dubbio, dunque: questa gamba riattaccata può essere un grimaldello per fare breccia nello scetticismo dell’uomo postmoderno.

Ma Calanda dice molto anche a certi cattolici, soprattutto a quella intellighenzia la cui fede si vuole adulta e che bolla i miracoli e altre forme di religiosità popolare come favolette superstiziose, adatte per vecchiette e per bigotti.

No, il miracolo di Calanda e la prova provata di un intervento del Dio cattolico nella storia dell’uomo, di un intervento divino propiziato da quella Vergine che il popolo semplice venera e prega, di una presenza che, passando lungo i secoli e sopravvivendo alle ideologie, è tuttora viva e operante tra di noi.

Resta una domanda, che apre una riflessione: alla luce di ciò che indiscutibilmente è accaduto a Calanda, si hanno più ragioni di credere o di dubitare?

© Il Timone

Postato da: giacabi a 19:21 | link | commenti
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