CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


sabato 18 febbraio 2012

Moulin


Il mangiare cattolico
***
Il fatto che nei paesi latini europei esista ancora la cultura
 del cibo, sconosciuta nei paesi protestanti del Nord Europa,

 è evidente. Per esempio, in un ristorante italiano o in
una casa italiana vi sono diversi piatti: uno per l’antipasto,
uno per la pasta o la minestra, un terzo per la carne e la ver dura.
Non si mescola mai il cibo, e a ogni alimento si associa
 un tipo di vino. Al contrario, nel paesi di cultura non cattolica
vi è un'insalata russa di tutto, si mescola tutto. Non
esiste la cultura del gusto, del sapore, di degustare un vino.

Mescolare il cibo è tipico dell'uomo che non ha  incontrato Cristo
e quindi l’unica cosa che gli interessa è riempirsi la pancia.
Padre Aldo Trento da: Cristo e il lavandino ed. Lindau

Postato da: giacabi a 21:06 | link | commenti
moulin, padre trento

lunedì, 10 novembre 2008

L’umanesimo laico viene dal cristianesimo
 ***
 Dobbiamo rassegnarci, noi umanisti, ogni nostra morale sedicente laica non è che un cristianesimo senza Cristo”.
Léo Moulin

Postato da: giacabi a 14:18 | link | commenti
cristianesimo, moulin

giovedì, 24 gennaio 2008

Guardate i frutti del cristianesimo
***
«Reagite, voi cattolici, a quell'irrazionale masochismo che si è impadronito di voi dopo il Concilio Vaticano II. La propaganda menzognera che inizia nel Settecento, e forse anche prima, è riuscita a ottenere la sua più grande vittoria, dandovi una cattiva coscienza, persuadendovi che siete colpevoli di tutti i mali del mondo, che siete gli eredi di una storia da dimenticare. Non è così. Studiatela, questa vostra storia, e vedrete che l'attivo di questi duemila anni supera ampiamente il passivo. E non dimenticate di confrontare i frutti di Gesù e di suoi discepoli come Benedetto, Francesco, Domenico, con i frutti di altri alberi, di altri "maestri". Il confronto vi riaprirà gli occhi».

Leo Moulin

Postato da: giacabi a 17:19 | link | commenti (2)
cristianesimo, moulin

sabato, 15 dicembre 2007

L 'Inventività Tecnologica Medioevale

 ***
Si dirà, forse, che è audace fondare l'inventività tecnologica medioevale su qualche scoperta, anche se a dire il vero importante (il collare per cavallo, il timone, l'orologio) quali sono quelle che abbiamo appena citato.
Per meglio sostenere la nostra tesi, enumero, allora, brevemente, altre invenzioni che hanno fatto la loro comparsa durante quei secoli che, di solito, vengono chiamati oscuri, invenzioni che, notiamolo, hanno continuato ad esercitare i loro effetti fino ai nostri giorni. Sono: i ferri da cavallo (IX sec.) che proteggono gli zoccoli in terreni rocciosi, pesanti e umidi, grazie ai quali è possibile ottenere un migliore utilizzo dell'animale; l'aratro ad avantreno, coltro e versorio (XI sec.) che permette di dissodare vaste zone boschive e ricche pianure alluvionali; le innumerevoli specie di mulini ad acqua o a marea e, più tardi, a vento, che sostituiscono il lavoro dell'uomo, sia esso libero o servile, attraverso il lavoro di una macchina, una macchina che utilizza risorse energetiche inesauribili e non inquinanti (tratto caratteristico della società monastica medioevale: alcuni monaci, nel X sec., decidono di costruire un mulino ad acqua "per avere più tempo da consacrare alla preghiera". Ovvero: la tecnica al servizio dell'uomo); il cabestano e il martinetto a vite (XIII sec.), che permette di sollevare grossi carichi -il cric -; nel XIV e XV sec. la carriola e la ruota a cerchione e raggi; la bussola (1185), senza la quale non sarebbe stato possibile effettuare navigazioni d'altura; gli occhiali (1286 ca.), che prolungano la vita intellettuale dell'uomo; la chiusa a sassi o a doppia porta (1285) che permette di controllare il corso dei fiumi e dei canali. Non dimentichiamo l'orologio meccanico a pesi e ruote (fine del XIII sec.), un'invenzione, ha scritto il tedesco Ernts JUNGER, "più rivoluzionaria di quella della polvere da sparo, della stampa e della macchina a vapore"; il cannone (1327); la caravella (1430 ca.), di gran lunga la migliore imbarcazione del suo tempo; la stampa (1445) di cui non è necessario sottolineare l'importanza. Ci sono, così, più di cento invenzioni, senza le quali la rivoluzione industriale del XVIII sec. non sarebbe potuta avvenire. Alla fine del XV sec. l'Occidente prevale, e di gran lunga (sulle altre civiltà n.d.t.), nei campi decisivi della siderurgia, dell'armamento e della navigazione. In quest'epoca. gli Europei sono i soli ad aver risolto i problemi di navigazione in altura: bussola, timone di dritto, astrolabio. La loro siderurgia è, senza paragone possibile, la migliore.
Già nel secolo XVI l'Europeo inventa la tecnica del prefabbricato. Sappiamo, infatti, che il conquistador Fernando Cortes, fece costruire 13 brigantini per prendere d'assalto la capitale messicana. Poi li fece smontare, segnandone ogni pezzo in modo tale che si potesse, assemblandoli, rimontare la flottiglia senza difficoltà, nel luogo desiderato. Spirito organizzatore, razionale.
Nel XVII secolo, l'Europeo dispone di più di cento utensili, laddove l'abitante delle Indie non ne ha che 2 o 3. Privo di banco da lavoro, il falegname di Calcutta impegna 3 giorni a fendere una tavola, mentre l'artigiano europeo non impiega che un'ora. Questo stesso secolo vede apparire i primi segni di una istituzionalizzazione della ricerca scientifica, in Inghilterra. Nel 1608, infine, si contano 108 università in Europa e nessuna nel resto del mondo, e di queste università le prime 56 sono state create dal 1209 al 1499.
Ma, molto prima di questo, si era prodotta quella che lo storico francese Jean GIMPEL, definisce, molto giustamente, la "rivoluzione industriale" del Medioevo. Vi si trovano tre caratteristiche proprie del mondo moderno: l'idea di performance, l'idea di progresso, e l'idea di razionalità
 intellettuale.
Leo Moulin Medio Evo Cagliari

Postato da: giacabi a 16:04 | link | commenti
medioevo, moulin

martedì, 27 novembre 2007

Il cristianesimo culla della scienza

***
"Ora, il giudaismo e, il suo seguito, il cristianesimo, è essenzialmente una religione desacralizzante, "distruttore di religiosità", scrive Henri DESROCHES, "controllore del sacro", una fede demistificatrice e demistificante", scrive ancora, che segna la fine delle ideologie e "la perenzione delle dogmatiche".
In termini sociologici, è un'impresa di "razionalizzazione", di "demitificazione", di "desacralizzazione", di "secolarizzazione", di "demistificazione", -sul piano profano questo sarà opera di Machiavelli, Max Weber, Karl Marx, Sigmund Freud. Affermo che questo processo, che sta a fondamento del mondo moderno, si trova in germe nel patrimonio genetico del giudeo- cristianesimo. E' il contrario del panteismo, il contrario dell'induismo, di cui Marx diceva che pratica "il culto bestiale della natura". Il cristianesimo, presentando all'uomo un'immagine del mondo -che non si identifica con Dio, il cui mistero è a lui accessibile; affidando all'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1 ,28), il compito di "dominare" la terra e tutto ciò che vive su questa terra (Genesi 9,2-3), ha aperto la strada alla conoscenza scientifica del mondo e alle applicazioni della tecnica; perché l'uomo, liberato ormai dalle pastoie magico-religiose, può concepire un metodo di conoscenza, di apprendimento del reale, che sfugge all'autorità delle autorità laiche e religiose, come al principio d'autorità stesso, e fa della natura l'oggetto di una conoscenza priva di significato etico, e della conoscenza stessa, un obiettivo in sè. Siccome -se si crede al teologo Guillaume de CONCHES -, Dio rispetta la proprie leggi, allora il mondo, creato da Lui, è conoscibile.
Il mondo non è un'illusione, una trappola, un fantasma. Dio ha fatto qualcosa di "buono"; la Genesi ripete, per 6 volte: "e Dio vide che quel che aveva fatto era buono". (Diciamo, en passant, che questa certezza, della bontà delle cose create da Dio, spiega l'atteggiamento dell'Europa dinnanzi alla valanga di prodotti nuovi venuti dalle Americhe; li adotta, molto velocemente, tenuto conto dell'estremo conservatorismo degli uomini in materia di abitudini alimentari).' Non solamente il mondo è conoscibile ma, inoltre, è 'buono" da conoscere ("E' impresa nobile cercare di conoscerlo" n.d.t.).
Il mondo, secondo i Lama tibetani, è popolato di demoni; proibizione, dunque, di scavare le montagne, dove essi si nascondono. Ostacolo, questo, decisivo allo sviluppo del settore minerario in Mongolia.
Di contro, ad esempio, i minatori tedeschi del Cinquecento, credevano, anch'essi, che dei geni astuti (in tedesco dialettale dei piccoli "Nicolas", dei "Nickel", donde il nome del minerale), dei folletti (in tedesco "Kobold", da cui: Cobalto) minacciassero coloro che scavavano la terra per trovarvi il minerale. (A riprova, sia detto, en passant, che tutte le culture conoscono dei momenti nei quali trionfano i sentimenti magico-religiosi). Interviene allora Georg BAUER, detto Agricola (1494-1555), medico e geologo tedesco, che risponde, nel 1544, che Dio non può essere all'origine di cose cattive o inutili.
Altro esempio destinato a illustrare la nostra tesi; l'lslam interdisse di utilizzare la pressa per stampare il Corano, perché la pressa schiacciava a ciascun giro il nome di Dio. L'installazione, nel 1727, di una tipografia a Costantinopoli solleva tali opposizioni che si rinuncia al progetto per tutto il secolo. Esempio di "letteralismo", di fondamentalismo religioso, che blocca ogni novità.
Ugualmente, una stamperia istallata dai Portoghesi a Goa si scontrò con la decisa opposizione dei Bramini. Nell'Europa cristiana, dove essa si sviluppò, molto prima della Riforma, notiamolo, Benedettini e Cistercensi, Fratelli Della Vita Comune e Gesuiti, Fratelli Minori e Canonici Regolari di Sant'Agostino, contendono il mercato della stampa ai Tedeschi e agli Ebrei.
Parlando dei progressi tecnici dovuti al Medioevo, lo storico francese Robert DELORS. osserva che ''l'empirismo delle 'ricette' lascia poco a poco il posto ad una riflessione razionale": abbiamo visto che questo è ciò che è realmente accaduto. Quanto all'empirismo, ancora occorrerebbe spiegare perché si sia rivelato essere così fecondo e noi abbiamo proposto una spiegazione basata sulla presenza dell' "humus" cristiano.
Robert DELORS aggiunge che si sarebbe potuto far progredire altre tecniche, ma che questo esigeva investimenti troppo elevati. Precisa d'altronde -ed è qui l'essenziale -che l'epoca non imponeva di migliorare le tecniche esistenti (nel senso che soddisfacevano in modo sufficiente i bisogni), il che potrebbe spiegare una certa e molto relativa rarità di invenzioni.
I Signori, scrive egli ancora, preferivano consacrare il superfluo di cui disponevano a spese "improduttive". Conosciamo la canzone! Tutto ciò che è culturale -i palazzi, le chiese, i musei, le opere d'arte, la ricerca scientifica -è molto sbrigativamente considerato come "improduttivo", dunque "inutile"!
DELORS osserva ancora -e qui siamo di nuovo al cuore della nostra riflessione -: "Soli, i monaci, vivendo in autarchia e, per di più, meno animati, ali 'inizio, da desiderio di danaro, hanno potuto favorire la macchina che evita o moltiplica lo sforzo", il che è un'eccellente definizione dei fini della tecnologia. I monaci, fattore di progresso tecnico. Noi non abbiamo mai detto altro. E, sottolineiamo, per ragioni spirituali. Tutta l'economia monastica medioevale, che è l'immagine stessa di un'economia di progressi e di perfezionamenti incessanti -la viticoltura, l'agricoltura, la silvicoltura, l'allevamento, l'apicoltura, la pescicoltura -, si sviluppa in ragione della presenza dell'imperativo spirituale. E' esattamente il rovescio della tesi marxista sull'infrastruttura e la sovrastruttura: qui, l'infrastruttura è lo spirituale. E' un altro modo di richiamare ciò che ho detto, iniziando, e cioè che il perché dell'invenzione tecnologica si trova, sempre, nel gruppo, nella sua percezione del reale, nella sua visione dell'uomo nel mondo.
E lo stesso si può dire delle opere sociali, le opere caritative (ospedali, case di riposo per i pellegrini, case per vecchi, per i soldati mutilati, le scuole. ..) o le innovazioni politiche: le T.E.D., Tecniche Elettorali Deliberati- ve (che prevedevano lo scrutinio, il ballottaggio, la maggioranza assoluta. dei 2/3, etc. ..).
A questo proposito notiamo che il Capitolo Generale, costituisce la prima assemblea Europea sovranazionale, nata dalla CARTA CARITATIS di CITEAUX (1115) e che tale istituzione ha ispirato la Magna Charta inglese, embrione del parlamentarismo.
Altro apporto decisivo della vita monastica alla vita che noi chiamiamo moderna: la razionalità, la regolarità e il controllo dei comportamenti, la funzionalità delle costruzioni, la puntualità; senza dimenticare il fatto memorabile che l'immenso affresco monastico che si sviluppa nel corso di XV secoli, senza interruzione, è il frutto unicamente dell'iniziativa individuale di un uomo, seguito da un pugno di altri, e che non sempre fu ben accolto a Roma. Eccovi tutti i fattori che possono contribuire a spiegare il destino eccezionale della tecnologia nell'Europa medioevale."
    Leo Moulin Tecnologia e Cristianesimo Ass.cult. Icaro CA

 



Postato da: giacabi a 09:34 | link | commenti
medioevo, moulin, scienza - articoli

martedì, 14 agosto 2007

La vera vita
***
«Che cos'è il genere di vita proposto da Benedetto se non quello stesso che l'uomo dell'Occidente attuale cerca di raggiungere con il suo week-end, con la sua seconda casa? Il silenzio, il verde, l'aria pura e i cibi semplici, la praticità dell'abito, il lavoro manuale fatto con gioia, il dialogo con se stessi e con coloro che ci sono cari, la lettura, la musica: queste le odierne aspirazioni. Ed è proprio ciò che era vita vissuta nell'oasi operosa del monastero benedettino».
Leo Moulin
 

Postato da: giacabi a 12:39 | link | commenti
chiesa, cristianesimo, moulin

sabato, 23 giugno 2007

La comunicazione nel Medioevo
***
Il Medioevo non è stato sprovvisto di mezzi di informazione e comunicazione. Questi grandi secoli luminosi e vibranti ne abbondano. Elenchiamoli brevemente: la predicazione, la Messa, la statuaria delle chiese, l'insegnamento delle Università, la vita monastica, la traditio, le liturgie, la vita quotidiana.
La predicazione nel Medioevo
Le cronache ci parlano di moltitudini che ascoltano con le lacrime agli occhi e spesso singhiozzando, la parola degli oratori, spesso vendicativa, minacciosa, apocalittica. Ci si può chiedere in quale lingua predicassero questi monaci venuti dall'Irlanda o dall'Inghilterra. I cronisti ci dicono che folle stupite ascoltavano San Bernardo che non comprendevano, e ascoltavano con difficoltà colui che traduceva le sue parole: mistero del carisma e mistero della calda comunicazione attraverso la Parola che annuncia la Parola.
La Messa
Ho visitato, l'anno scorso, nel "Forez" in Francia, delle chiesette romaniche dei X-XI secolo bisognava arrampicarsi per assistere alla Messa e il pendio era ripido. In inverno... in estate... immaginavo questo pugno di contadini irsuti, maleodoranti, ignoranti, spossati dal lavoro dei campi, che, una volta alla settimana si sforzavano di vivere e di pensare da cristiani per qualche istante: che, una volta alla settimana, intravedevano una scintilla, subito estinta, di vita spirituale. Un prete, un piccolo prete di campagna, non molto più istruito di loro, bene o male riusciva ad istruirli. Egli comunicava con tutto il cuore, essi ascoltavano, tormentavano il loro povero cervello per comprendere qualcosa. La liturgia veniva loro in aiuto. Permetteva ad ognuno di comprendere senza sapere ed essere istruito senza conoscere. Essa permette a coloro che comunicano di riconoscersi gli uni negli altri, senza mai essersi conosciuti. Comunicando, entrando in comunione con l'altro attraverso segni, simboli, riti lentamente messi a punto lungo i secoli (…). La statuaria primitiva e sontuosa, che ornava le chiese, aiutava i fedeli ad istruirsi, a comprendere ciò che la profonda ignoranza non sempre permetteva loro di afferrare. Questa Bibbia degli analfabeti, poteva essere letta da tutti, anche dalla madre "poverella e anziana" descritta dal poeta Villon (1431-1489), il "paradiso dipinto dove ci sono arpe e liuti" dove vengono accolti i beati, e l'inferno dove i malvagi vengono "bolliti". La magnificenza dei luoghi - quando c'era - parlava loro della grandezza di Dio; l'illuminazione sontuosa per l'epoca, nonostante la cera fosse rara e di conseguenza alquanto costosa, prefigurava la luce nella quale essi sarebbero vissuti un giorno, per l'eternità. Queste ed altre forme di linguaggio erano dunque mezzi di informazione, ma la cosa importante da constatare è che coloro che venivano formati ed informati in questa maniera aspiravano a questo tipo di insegnamento ed erano aperti al linguaggio di chi ne sapeva un po' più di loro, attenti ai Misteri, al Mistero, al Dio sconosciuto, alla percezione dell'aldilà. L'individualismo razionalistico non aveva ancora reso sterili gli uomini. Un'altra fonte di informazione nel Medioevo: i pellegrinaggi. A questi pellegrinaggi la Chiesa, e specialmente gli ordini religiosi, si sforzavano di dare consistenza costellando le strade che conducevano ai luoghi santi, di centri di accoglienza, di ostelli, di ospedali, di alberghi. Durante il suo lento cammino, il pellegrino veniva istruito, informato, illuminato. Gli si raccontavano le pie leggende locali, si illustrava loro il significato dei timpani della chiesa, si spiegavano le origini delle reliquie che arricchivano il luogo e lo rendevano famoso. Si recitavano alcune canzoni di gesta illustrando con una luce meravigliosa la strada da seguire. I religiosi, canonici regolari agostiniani, cistercensi, templari, ed altri specialisti dei "turismo sociale", spiegavano ai pellegrini le ragioni profonde delle loro fatiche e delle loro sofferenze; facendo ciò che oggi chiameremmo "animazione culturale". La comunicazione era un appuntamento, poiché non era affatto raro che il pellegrinaggio raggruppasse diverse centinaia di persone, annoverando nei suoi ranghi professionisti, delinquenti comuni che speravano di sfuggire in questo modo ai gendarmi, una o più donne di strada non del tutto pentite, ed anche - bisogna tener conto della debolezza umana - dei professionisti della strada che si impegnavano - in cambio di denaro contante - a fare il pellegrinaggio al posto dei cristiani più deboli o timorosi. L'esemplarità della vita monastica era un altro modo per educare ed informare le rudi masse dell'epoca. Come bisogna vivere per essere veri cristiani? A quali dure esigenze - sonno interrotto, austerità, obbedienza ("sine murmurazione", regola S. Benedicti, 35, 24), lavoro, silenzio - occorre piegarsi se si vuole vivere alla lettera l'insegnamento di Cristo? Vivendo, giorno dopo giorno, una vita conforme ai precetti loro trasmessi dal santo fondatore, i religiosi illustravano con insistenza l'essenza del messaggio cristiano così come loro lo vivevano. (…) Altro fattore di informazione e di diffusione, di conoscenza e di notizia: l'obbligo per i religiosi, canonici, monaci o mendicanti che fossero, - almeno due per monastero - di recarsi a piedi presso i luoghi dove si tenevano i Capitoli generali (è il momento di ricordare che la prima Assemblea internazionale europea è opera dell'Ordine di Citeaux, nel 1115, cioè un secolo prima della concessione della Magna Charta in Inghilterra). Lungo la strada essi raccoglievano il maggior numero possibile di informazioni sui frutti, i legumi, le piante medicinali e d'altro genere, e i rimedi, le ricette di ogni specie, i segreti e le astuzie di fabbricazione... di cui essi assicuravano la diffusione; comunicavano i risultati delle loro esperienze e dei loro esperimenti, trasmettevano l'essenza della saggezza acquisita durante gli anni e per le strade. E sicuramente raccontavano ad ogni tappa voci di guerre, di epidemie, di carestie che correvano lungo il cammino, notizie buone e cattive alla rinfusa, pettegolezzi riguardanti le famiglie principesche ed i vescovi, esattamente come la radio ai giorni nostri, e nessuno si stancava mai di ascoltarli. Non dimentichiamo la pratica dei "rotoli dei morti": all'interno degli ordini, l'annuncio della morte di un fratello veniva trasmesso in tutte le case, si dava ad un religioso l'incarico di portare la lettera di partecipazione, ogni caso presentava le condoglianze scrivendo qualche pensiero, più o meno stereotipato, qualche volta alcuni versi, elogiativi all'indirizzo del defunto (il che, tra l'altro permetteva di controllare l'andata e il ritorno del portatore di notizie) (…). Se guardiamo più in alto abbiamo l'insegnamento delle Università, luoghi privilegiati della comunicazione e del dialogo (e delle querele), creazione tipica di questi secoli che alcuni chiamano oscuri. Nel 1602 il numero delle Università era di 102 e al di fuori dell'area cristiana non esistevano affatto. Infine, all'altro lato della catena di informazione e di comunicazione, troviamo la Traditio, cioè la trasmissione dei valori antichi, dialetti, credenze, canzoni, usi e costumi, rituali alimentari, proverbi, liturgie socioculturali di ogni tipo, frutti elaborati lentamente da una cultura contadina e montanara, marinara, artigiana o forestiera. Questa tradizione trascina un gran numero di pregiudizi e di superstizioni, una quantità di terror panico, di credenze ingenue ai miracoli, ai quali si mescolava una aspirazione al meraviglioso non cristiano, sempre presente, e la certezza che la magia e la stregoneria giocavano il loro ruolo nel gran teatro del mondo. Nell'insieme era un'informazione rudimentale (…). E’ incredibile che una società che ha visto nascere dei geni della comunicazione come Dante o J.S. Bach, Michelangelo e mille altri, si sia lasciata disorientare al punto di accettare per più di tre decenni una tesi tanto condannata dai fatti e dalle esperienze, come la dottrina sartriana della incomunicabilità e della solitudine esistenziale. Si può parlare di solitudine e, quindi, di assenza di comunicazione solo quando ci si rinchiude, volontariamente, in una volontà altezzosa (o disperata) di essere soli di fronte a se stessi, in una pretesa libertà radicale che altro non è, in realtà, che una cieca sottomissione a forme di schiavitù consentita, di sottomissione alle pulsioni della paura e dell'istinto. "La soddisfazione dei loro desideri serve a loro come legge: considerano santo tutto ciò che pensano o che decidono, e ciò che non piace a loro, dicono che è vietato... Sempre erranti, mai stabili..." Non vado oltre: avrete indubbiamente riconosciuto la descrizione che, più di 15 secoli fa, San Benedetto ha fatto di un certo tipo di monaci che rifiutavano la grande scuola dell'esperienza. "L’inferno sono gli altri", così ha scritto Sartre che ha lottato durante tutta la sua vita (sempre contro corrente) perché la giustizia fosse resa agli altri. Questa è una curiosa contraddizione, ma soprattutto una strana affermazione che nessuno dei grandi Santi che hanno plasmato gli uomini, molto più e molto meglio di quanto non abbia mai fatto J.P. Sartre, ha mai formulato. Ma il fatto che l'autore de La Nausea abbia potuto portare avanti questa affermazione merita una riflessione. Come è potuto arrivare a questo punto di disperazione e tuttavia di rivolta radicale? Il terribile dramma di Sartre trova una spiegazione nella sua autobiografia, La Parole, dove si trasmette l'idea di un mondo senza un punto di riferimento trascendentale; senza punto di aggancio nell'Assoluto, i valori come la gioia, la forza e la fecondità dell'Europa sbandano e si trasformano in tossine, cioè in veleni. L'individualismo si trasforma in anarchia, il sentimento di uguaglianza in egualitarismo, la scienza in scientismo. Il legittimo diritto alla felicità si corrompe in edonismo. I processi di secolarizzazione estendono la loro azione fino al campo dell'umano che ne muore. Il secolo scorso, con Feuerbach, ha condannato tutto ciò che gli appariva come la prima e più grave di tutte le alienazioni, e cioè l'alienazione religiosa. L'uomo ha voluto essere simile agli dei che conoscono il Bene e il Male, cioè decidere, come loro, ciò che è bene e ciò che è male. Il risultato, lo conosciamo bene, è la società attuale, è l'uomo disorientato, destrutturato, disarmato di oggi, aperto alle avventure mortali della droga e delle sette. Incapace di esprimersi, di dialogare, di comunicare, vive la sua solitudine in seno alla vita tumultuosa e frenetica delle grandi città (…). Ma non è tutto: in balia di se stesso, l'uomo di oggi è più credulo o, almeno, credulo quanto il suo antenato del Medioevo. E’ sprovvisto di spirito critico perché crede che sia sufficiente vivere in seno a una Società critica (nel pieno senso del termine), per avere le capacità necessarie per acquisirlo. Infatti è rimpinzato di informazioni, ma è incapace di digerirle, in altre parole di selezionarle per integrarle in una visione costruita e solidamente fissata del Mondo, dell'Uomo, della Città, secondo una scala di valori stabile e ben definita che darebbe loro tutto il significato; è ignorante quanto gli uomini d'allora. Poiché lo scopo della comunicazione, quali che siano i mezzi che essa intende utilizzare, è un uomo, più esattamente una persona (che non è una cosa data, ma creata) che conosce il senso del suo destino ed è capace di assumerlo. In altre parole, l'informazione non è fine a se stessa, deve aiutare alla formazione, altrimenti perde qualsiasi ragione d'essere. (…) I processi di socializzazione agiscono a stadi diversi: l'educazione familiare si colloca ad un altro livello rispetto all'indottrinamento ideologico, l'insegnamento religioso su un altro piano rispetto all'iniziazione civica. Possono entrare in conflitto; meglio ancora, è attraverso la forza delle cose che entrano in conflitto. E’ il caso della fedeltà alla patria e di taluni impegni (per esempio 'tu non ucciderai') ed esigenze di civismo (il servizio militare ecc.). Tutti questi fatti creano delle spiagge di libertà per l'individuo. Non si tratta e non si tratterà mai della libertà totale, astratta, ideale dei 1789 - che non è mai esistita e che non esisterà mai - né della libertà sovrumana di Nietzsche, né di quella di Sartre. E’ una serie di libertà che l'Uomo deve difendere e proteggere e utilizzare nella sua completezza se vuole vivere in piena dignità di essere comunicante e in comunione.
L. Moulin (Meeting di Rimini)


Postato da: giacabi a 16:43 | link | commenti
medioevo, moulin

domenica, 03 giugno 2007

IL DRAMMA DELL’UMANESIMO ATEO

***
<<"L’inferno sono gli altri", così ha scritto Sartre che ha lottato durante tutta la sua vita (sempre contro corrente) perché la giustizia fosse resa agli altri. Questa è una curiosa contraddizione, ma soprattutto una strana affermazione che nessuno dei grandi Santi che hanno plasmato gli uomini, molto più e molto meglio di quanto non abbia mai fatto J.P. Sartre, ha mai formulato. Ma il fatto che l'autore de La Nausea abbia potuto portare avanti questa affermazione merita una riflessione. Come è potuto arrivare a questo punto di disperazione e tuttavia di rivolta radicale? Il terribile dramma di Sartre trova una spiegazione nella sua autobiografia, La Parole, dove si trasmette l'idea di un mondo senza un punto di riferimento trascendentale; senza punto di aggancio nell'Assoluto, i valori come la gioia, la forza e la fecondità dell'Europa sbandano e si trasformano in tossine, cioè in veleni. L'individualismo si trasforma in anarchia, il sentimento di uguaglianza in egualitarismo, la scienza in scientismo. Il legittimo diritto alla felicità si corrompe in edonismo. I processi di secolarizzazione estendono la loro azione fino al campo dell'umano che ne muore. Il secolo scorso, con Feuerbach, ha condannato tutto ciò che gli appariva come la prima e più grave di tutte le alienazioni, e cioè l'alienazione religiosa. L'uomo ha voluto essere simile agli dei che conoscono il Bene e il Male, cioè decidere, come loro, ciò che è bene e ciò che è male. Il risultato, lo conosciamo bene, è la società attuale, è l'uomo disorientato, destrutturato, disarmato di oggi, aperto alle avventure mortali della droga e delle sette. Incapace di esprimersi, di dialogare, di comunicare, vive la sua solitudine in seno alla vita tumultuosa e frenetica delle grandi città (…). Ma non è tutto: in balia di se stesso, l'uomo di oggi è più credulo o, almeno, credulo quanto il suo antenato del Medioevo. E’ sprovvisto di spirito critico perché crede che sia sufficiente vivere in seno a una Società critica (nel pieno senso del termine), per avere le capacità necessarie per acquisirlo. Infatti è rimpinzato di informazioni, ma è incapace di digerirle, in altre parole di selezionarle per integrarle in una visione costruita e solidamente fissata del Mondo, dell'Uomo, della Città, secondo una scala di valori stabile e ben definita che darebbe loro tutto il significato; è ignorante quanto gli uomini d'allora. Poiché lo scopo della comunicazione, quali che siano i mezzi che essa intende utilizzare, è un uomo, più esattamente una persona (che non è una cosa data, ma creata) che conosce il senso del suo destino ed è capace di assumerlo. In altre parole, l'informazione non è fine a se stessa, deve aiutare alla formazione, altrimenti perde qualsiasi ragione d'essere. (…) I processi di socializzazione agiscono a stadi diversi: l'educazione familiare si colloca ad un altro livello rispetto all'indottrinamento ideologico, l'insegnamento religioso su un altro piano rispetto all'iniziazione civica. Possono entrare in conflitto; meglio ancora, è attraverso la forza delle cose che entrano in conflitto. E’ il caso della fedeltà alla patria e di taluni impegni (per esempio 'tu non ucciderai') ed esigenze di civismo (il servizio militare ecc.). Tutti questi fatti creano delle spiagge di libertà per l'individuo. Non si tratta e non si tratterà mai della libertà totale, astratta, ideale dei 1789 - che non è mai esistita e che non esisterà mai - né della libertà sovrumana di Nietzsche, né di quella di Sartre. E’ una serie di libertà che l'Uomo deve difendere e proteggere e utilizzare nella sua completezza se vuole vivere in piena dignità di essere comunicante e in comunione.>>
L. Moulin Meeting di Rimini


Postato da: giacabi a 16:38 | link | commenti
laicismo, moulin

sabato, 05 maggio 2007

Da dove proviene la dignità umana
***
 Leo Moulin
Da : www.meetingrimini.org/1995_
Esistevano libertà in questi secoli che certi si ostinano a dire bui, oscurantisti, secoli di ignoranza, di tenebre, di inquisitoria intolleranza? La prova? Parlando del Medioevo uno scrittore ha cantato "i variopinti legami che... avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali...", della "dignità personale" dell’uomo medievale, del "velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva (all’epoca) i rapporti di famiglia", delle "attività (quelle del medico, del giurista, del prete, del poeta, dello scienziato) che... erano considerate degne di venerazione e rispetto". Qual è questo scrittore? Lo stesso ha riconosciuto l’esistenza "dei santi fremiti dell’esaltazione religiosa dell’entusiasmo cavalleresco" e, finalmente, "di innumerevoli franchigie (vuol dire libertà) faticosamente acquisite e patentate". Qual è questo saggista che ha parlato così bene del Medioevo? È Carlo Marx nel Manifesto Comunista del 1848 il quale denuncia la borghesia (diremmo la società dell’’800) che, in luogo di tutti questi valori, ha "sconsacrato... ogni cosa sacra". Tutti i "rapporti sociali... con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall’età", li ha "affogati nell’acqua gelida del calcolo egoistico", mettendo al loro posto la sola libertà di commercio "senza scrupoli", non lasciando "tra uomo e uomo, altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti".
Dunque, per Carlo Marx, insospettabile testimonio, nella società medievale esistevano libertà "faticosamente conquistate" e quindi reali, concrete, vissute, risentite da ciascuno, libertà che "la borghesia", per parlare come Marx, direi: il secolo dei Lumi, ha "lacerato", distrutto radicalmente, per imporre la sua libertà. E non solo di commercio, ma la libertà totale, nuda, astratta, puramente giuridica, con tutte le conseguenze che conosciamo, la miseria, il pauperismo, la derelizione del proletariato durante la maggior parte dell’Ottocento, e la società in piena crisi, di oggi..
Dunque tutti godono di libertà concrete, reali, personali, come antinomia, come contraddizione totale alla libertà dei filosofi dei Lumi. I congiurati dei borghi del Medioevo, delle città, dei comuni, cioè quelli che avevano fatto il giuramento di vivere insieme in un comune libero sotto la protezione di diritti e di libertà, godevano di una libertà individuale, della inviolabilità del domicilio, del diritto di proprietà, della soppressione di ogni intralcio alla circolazione dei beni delle persone, della libertà di organizzare fiere e mercati, del diritto di avere una campana, segno materiale di indipendenza del comune e di erigere una torre in Belforte.
Abbiamo parlato delle libertà concrete, della fittissima rete di libertà concrete, "privilegi, statuti, diritti. Libertà e costumi legittimi", dice la costituzione Habita del 1155, della quale godevano tutti i cosiddetti "borghesi" dei "borghi", dei "comuni" medievali. I congiurati godevano di queste libertà e di più avevano il diritto di controllare e, qualche volta, di rifiutare le esigenze finanziarie del Potere, anche in tempo di guerra. Avevano la libertà di intraprendere, di creare, di vendere merci, di organizzare i mestieri secondo regole strettamente definite dagli interessati stessi. Ma, osserviamo, sono libertà che non si esercitavano se non in un gruppo costituito (che si chiamava universitas, ordine religioso, corporazione, comune) e attraverso questo gruppo. I diritti personali, nel senso moderno, esistevano poco o erano raramente concessi.
Avevano ancora il diritto legale di resistere al potere, se questo non rispettava le sue promesse, i suoi giuramenti di osservare le libertà comunali. Nel Brabante, provincia belga, il principe, prima di poter entrare nella città e di ricevere le chiavi, segno di buona accoglienza, doveva giurare di rispettare le libertà della città. E a segno di "joyeuse entrée", cioè di "allegro ingresso", c’era una pergamena religiosamente, gelosamente conservata nell’archivio della città. Il tutto protetto da una rete di giuramenti sulla Bibbia, di promesse diverse ed anche di tecniche deliberative ed elettorali che assicuravano il rispetto di un regime che si può chiamare democratico e che sono all’origine del nostro codice elettorale.
Per dimostrare ancora meglio la nostra tesi esaminiamo rapidamente i privilegi e libertà dei quali godevano scolari, maestri ed università medievali, con l’affermazione permanente e di un’ampia autonomia istituzionale e di una libertà intellettuale radicale, comunque molto più grande di ciò che pensiamo oggi. Gli scolari godevano di un vero status personale (per esempio dispensa del servizio militare); gli scolari dipendevano unicamente dalla giustizia episcopale, che era più dolce, più mite, e non dalla giustizia del comune o del re. Non dovevano pagare il dazio per le merci personali che compravano fuori dell’incinta daziaria per loro, i loro servitori, la loro famiglia quando veniva a visitarli (ne approfittavano per fare un po’ di commercio). Funzionava un controllo annuale dei prezzi dei libri e del livello dell’affitto della camera e della pensione e così via.
Lo stesso, mutatis mutandis, per i maestri, per l’università stessa. In quanto università essa gode di una quantità tale di privilegi che più di una volta la sua libertas, al singolare, diventava una potestas la quale attentava alle libertà degli altri gruppi della società comunale. Più di una volta con la massima arroganza ha opposto i diritti dello Studium, del sapere, cioè i suoi diritti e libertà, ai diritti di Roma, dei re o dei comuni. Dunque esistevano libertà durante i primi secoli del Medio Evo. Libertà numerose, concrete, efficaci, libertà per l’uomo perché cristiano.
Ma, direte forse, esisteva nel Medio Evo anche "la" libertà? Sì. La Chiesa ha sempre rivendicato la libertas Ecclesiae. San Paolo scrive: "Dove è lo Spirito, ivi è libertà" (II Cor 3, 17). Dante, il nostro Dante, mi permetto di dire, scrive: "Libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta" (Purg. I, 71), parla di "innata libertate" (Purg. XVIII, 68). O: "Tu m’hai di servo tratto a libertate".
Dunque, direte, esisteva anche "la" libertà e non solamente "le" libertà? Badate bene a questo: san Paolo parla della libertà del cristiano, che non è più "servo del peccato" (Gv 8, 36) poiché è, in quanto credente, "affrancato dalla legge del peccato e della morte" (Rm 8, 2), "servo francato del Signore". Lo stesso si può dire di Dante: parla in qualità di cristiano. Non è "l’uomo, misura di tutto" del filosofo greco Protagora, è "l’uomo vivo, gloria di Dio", di cui parla sant’Ireneo da Lione. Se accettiamo la proposizione di Protagora, l’uomo misura di tutto, non ci possono essere limiti alla mia libertà. In nome di quali valori dovrei limitare la mia libertà, frenare la mia libertà, per rispettare la libertà sfrenata (come la mia) degli altri?
Tutti i valori laici, che secondo me sono valori cristiani desacralizzati, laicizzati, diventano pericolosi non perché sono cattivi in sé (sono, ripeto, di essenza cristiana), ma perché non hanno altro punto di riferimento che l’uomo e l’uomo solo. Ora il grande scrittore austriaco Jozef Roth ha scritto nel 1936: "Quando l’uomo arriva al punto di credere che solo l’uomo può salvare l’uomo, è maturo per il fascismo o per il comunismo". Ciò che si è verificato dopo.
Invece, se questi valori, se l’uomo di questi valori ha un punto di riferimento al di fuori di sé, un assoluto al di fuori di se stesso, cioè Dio, allora può parlare della sua libertà. È la libertà del cristiano: "Dove è lo Spirito – dice Paolo – ivi è la libertà
Leo Moulin è nato a Bruxelles nel 1906-1996. Studioso di fama internazionale, ha dedicato molti lavori agli ordini religiosi (in particolare al monachesimo benedettino), alla loro vita e al ruolo che hanno ricoperto nel disegnare l’originale fisionomia del nostro continente

Postato da: giacabi a 22:12 | link | commenti (3)
cristianesimo, moulin

martedì, 03 aprile 2007

La vera educazione culturale
***
“Si parla molto di democratizzare la cultura. I risultati fin qui ottenuti sono esili e niente lascia prevedere che andrà meglio nei tempi a venire. Il solo caso conosciuto di successo è quello dello sforzo sostenuto dalla Chiesa nei secoli. All'inizio, un piccolo gruppo di uomini in Giudea, per la maggior parte semplici pescatori. Dieci secoli più tardi, un’Europa coperta di chiese e abbazie, e migliaia di preti e monaci che insegnano a una folla di contadini illetterati, rozzi e violenti, un certo dominio di sé, dei comportamenti, delle abitudini, una morale, mettendo in luce alcune verità. Ogni domenica, questa folla di villani irsuti si recava nei più begli edifici che la nostra civiltà abbia creato, dalla piccola chiesa romanica, umile e robusta, agli splendori di Cluny: «case del popolo» le chiamavano in Italia. Là aveva sotto gli occhi i più begli ornamenti, le più belle statue, i più bei quadri, i più begli oggetti di culto che si conoscano. Quel giorno, e quello solamente, nel villaggio più diseredato della provincia più povera, poteva vedere bellezza, ordine, luce. Sentiva risuonare la parola di Dio ed elevarsi verso la volta il canto gregoriano. Osservava i gesti misurati, disciplinati del prete. Pur senza comprenderne l'intimo significato, riusciva a percepire, a stento, il valore del dominio di sé, che è uno dei segni certi della cultura. Gli uomini, i poveri uomini di oggi, cosa ricavano dai pugni dei pugili? Quanto valgono le comunioni primitive che uniscono gli appassionati di calcio? E che dire della belluinità che si scatena all'uscita degli stadi, se non che èimparagonabile, nel senso più stretto della parola, alla gioia quieta che seguiva l'ite missa est? Una volta la settimana quella folla era sottratta alle sue preoccupazioni giornaliere, ai suoi problemi familiari, alle piccolezze della vita quotidiana e sentiva parlare del suo destino. Non era che una minuscola e fugacissima scintilla nella notte dell'ignoranza, ma della lettura del Vangelo, della predica talvolta balbettante, quei contadini trattenevano qualche briciola che nutriva la cultura familiare. Pur in mancanza di un'elevazione dello spirito verso Dio, queste briciole davano almeno delle lezioni di coraggio e di dignità davanti alla malattia, alla vecchiaia e alla morte.”
Leo Moulin

cliquez pour agrandir
particolari dell'abbazia di Cluny

Postato da: giacabi a 14:31 | link | commenti
educazione, cristianesimo, moulin

giovedì, 22 marzo 2007

I valori senza riferimento all’Assoluto
diventano tossici
***
"Anche se i valori laici sembrano essere all'origine della crisi che conosciamo, sono lontanissimo dal pensare che converrebbe sopprimerli. Quei valori sono i miei. Sono radicati nella nostra storia da secoli. Prevalgono nella nostra società. La libertà, la ragione, l'individuo, la scienza, la modernità sono il fondamento della mia riflessione e della mia «fede». Ma avendo voluto esaminare e comprendere questa crisi da sociologo e da storico, ho potuto osservare che, così come sono, lasciati a se stessi, senza freni, senza riferimento a un assoluto che li trascenda, questi valori diventano tossici. L'individualismo scivola naturalmente verso l'anarchia o il nietzschismo
il principio di uguaglianza verso l'egalitarismo
il procedimento scientifico verso lo scientismo
il diritto alla felicità verso l'edonismo. "
Leo Moulin

Postato da: giacabi a 15:02 | link | commenti
moulin

lunedì, 19 marzo 2007

"COSA CI TOCCA DIFENDERE"

ADERISCI
**************************************************************
***
***

GESÙ CI FA GUSTARE DI  PIÙ LA VITA
***
«La cucina dei polacchi, cattolici, è ottima; quella dei loro vicini tedeschi orientali, protestanti, è pessima. Come mai, visto che clima e materia prima sono uguali? Qui come altrove, la spiegazione è religiosa: ovunque la gastronomia dei riformati è meno saporita e meno ricca di quella dei cattolici. Il fatto è che il protestantesimo ha creato sì una società economicamente assai vivace (Max Weber aveva ragione: le virtù della borghesia industriale sono quelle dei calvinisti e dei puritani), ma ha indebolito la joie de vivre: l'uomo è visto solitario davanti a Dio, deve assumere tutto il peso delle sue azioni e delle sue colpe, perfino quella dell'abbandono alla "sensualità" del cibo. Il cattolico è più libero, meno complessato, perché sa che ad aiutarlo e a giustificarlo c'è tutta una rete di mediazioni ecclesiali e culturali, c'è soprattutto la confessione con il suo perdono liberante. Il protestantesimo mette addosso una cappa terribile, dicendo: "Salvarti è affar tuo, è un tuo rapporto personale con Dio". Così o gli uomini si schiantano o sono costretti a fingere una virtù che non possono praticare.  E spunta quel pericolo dell’ipocrisia cui sono esposte tante parti d’Europa e dell’America del Nord.»
Leo Moulin


Postato da: giacabi a 17:00 | link | commenti
bellezza, cristianesimo, moulin

giovedì, 08 marzo 2007

Vecchio incredulo che se ne intende

***

"Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza, a instillargli l'imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere dalla Riforma fino ad oggi, ce l'hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi tutti i mali del mondo. Vi hanno paralizzati nell'autocritica masochista, per neutralizzare le critiche di ciò che ha preso il vostro posto. Femministe, omosessuali, terzomondisti, esponenti di tutte le minoranze, contestatori e scontenti di ogni risma, scienziati, umanisti, filosofi, ecologisti, animalisti, moralisti laici: da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c'è problema, o errore, o sofferenza della storia che non vi siano addebitati. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro man forte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se talvolta del vero c'è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di Cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedete a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è avvenuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?"
Leo Moulin

Postato da: giacabi a 20:25 | link | commenti
moulin

mercoledì, 13 settembre 2006

L’APPORTO DEI MONACI MEDIEVALI

Scelsero posti impervi, paludi, dirupi, selve impenetrabili, e vi si stabilirono proprio per staccarsi dalla folla. Piazzata la loro comunità in un luogo deserto e lontano, ebbero il problema di mantenersi. E giù allora a dissodare, arare, vangare, per procurarsi il pane e il vino per il proprio sostentamento e per la messa.
Essi avevano bisogno di molta cera per illuminare le loro chiese: svilupparono l’apicoltura.
Avevano bisogno della lana per i loro vestiti, della pergamena per scrivere, del latte per fare formaggio, del grasso per illuminare: innumerevoli greggi di pecore pascolavano sulle lande desolate.
Avevano bisogno di molto pesce per i lunghi digiuni di Quaresima : si applicarono a farli proliferare nei loro fiumi…
Avevano bisogno di conservare il più a lungo possibile il cibo, svilupparono quindi tecniche di conservazione (formaggi, birra).
C'era bisogno di curare i malati ed ecco la coltivazione delle piante medicinali e i laboratori di erboristeria…
Ma non avevano molto tempo da dedicare al lavoro, dovendo prima di tutto pregare. Furono così costretti letteralmente a inventare la “razionalizzazione del tempo”. Quando tutti si regolavano col sole i monaci avevano la campana che scandiva le ore canoniche: la giornata era così divisa in modo matematico e preciso. 
L’obbedienza, la disciplina e il lavoro dopo qualche tempo cominciavano a dare frutto e il luogo originalmente arido e desolato prendeva a fiorire. Quando un monastero si allargava, a poco a poco i contadini venivano a stabilirsi nelle vicinanze. I monaci aprivano una scuola gratuita per insegnare le nuove tecniche e cedevano il lavoro ai contadini per poter meglio dedicarsi alla preghiera. Sorgeva così, attorno al monastero, un intero villaggio, il quale attirava artigiani e mercanti.
I beni prodotti artigianalmente nel monastero che risultavano sovrabbondanti rispetto alle necessità monastiche venivano venduti. Per regolamentare i rapporti di tipo economico i monaci inventarono la “ragioneria” e la partita doppia.
Il mondo monastico, egalitario ed elettivo, prevedeva elezioni, turni, ballottaggi, assemblee, meeting internazionali (certi ordini religiosi erano diffusi in tutta Europa).. La comunità civile, prendendo esempio dai sistemi monastici, si strutturava in modo democratico, con consigli, elezioni, eccetera.
Sarebbe più facile dire in quali campi, supposto che ve ne siano, i figli di san Benedetto non siano stati degli iniziatori, o almeno dei promotoriLeo Moulin
 oraetlabora

Nessun commento: