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sabato 18 febbraio 2012

natale


  La tentazione del Natale

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santo-natale-2 di JULIÁN CARRÓN
Per descrivere la nostra umanità e per guardare in modo adeguato noi stessi in questo momento della storia del mondo, difficilmente potremmo trovare una parola più opportuna di quella contenuta in questo brano del profeta Sofonia: "Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele". Perché? Che ragione c'è di rallegrarsi, con tutto quello che sta accadendo nel mondo? Perché "il Signore ha revocato la tua condanna".
Il primo contraccolpo provocato in me da queste parole è per la sorpresa di come il Signore ci guarda: con occhi che riescono a vedere cose che noi non saremmo in grado di riconoscere se non partecipassimo di quello stesso sguardo sulla realtà: "Il Signore revoca la tua condanna", cioè il tuo male non è più l'ultima parola sulla tua vita; lo sguardo solito che hai su di te non è quello giusto; lo sguardo con cui ti rimproveri in continuazione non è vero. L'unico sguardo vero è quello del Signore. E proprio da questo potrai riconoscere che Egli è con te: se ha revocato la tua condanna, di che cosa puoi avere paura? "Tu non temerai più alcuna sventura". Una positività inesorabile domina la vita. Per questo, continua il brano biblico, "non temere Sion, non lasciarti cadere le braccia". Perché? Perché "il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente". Non c'è un'altra sorgente di gioia che questa: "Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia" (3, 14-17).
Che queste non sono rimaste solo parole, ma si sono compiute, è ciò che ci testimonia il Vangelo; nel bambino che
Maria porta in grembo, quelle parole sono diventate carne e sangue, come ci ricorda in modo commovente Benedetto XVI: "La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito" (Deus caritas est, 12). Ed è un fatto talmente reale nella vita del mondo che non appena Elisabetta riceve il saluto da Maria, il bimbo che porta nel grembo, Giovanni, sussulta di gioia (cfr. Luca, 1, 39-45). Quelle del profeta non sono più soltanto parole, ma si sono fatte carne e sangue, fino al punto che questa gioia è diventata esperienza presente, reale.
Domandiamoci: il cristianesimo è un devoto ricordo o è un avvenimento che accade oggi esattamente come è accaduto duemila anni fa? Guardiamo i tanti fatti che i nostri occhi vedono in continuazione, che ci sorprendono e ci stupiscono, a cominciare da quel fatto imponente che si chiama Benedetto XVI e che ogni volta fa sussultare le viscere del nostro io. C'è uno in mezzo a noi che fa sussultare il "bambino" che ciascuno di noi porta in grembo, nel nostro intimo, nella profondità del nostro essere. Questa esperienza presente ci testimonia che l'episodio della Visitazione non è soltanto un fatto del passato, ma è stato l'inizio di una storia che ci ha raggiunto e che continua a raggiungerci nello stesso modo, attraverso incontri, nella carne e nel sangue di tanti che incontriamo per la strada, che ci muovono nell'intimo.
È con questi fatti negli occhi che possiamo entrare nel mistero di questo Natale, evitando il rischio del "devoto ricordo", di ridurre la festa a un puro atto di pietà, a devozione sentimentale. In fondo, tante volte la tentazione è di non aspettarsi granché dal Natale. Ma a chi è data la grazia più grande che si possa immaginare - vederlo all'opera in segni e fatti che lo documentano presente - è impossibile cadere nel rischio di celebrare la nascita di Gesù come un "devoto ricordo". Non ci è consentito! E non perché siamo più bravi degli altri fratelli uomini, non perché non siamo fragili come tutti, ma perché siamo riscattati di continuo da questo nostro venir meno per la forza di Uno che accade ora e che revoca la nostra condanna. È solo con questi fatti negli occhi che potremo guardare il Natale che viene: non con una nostalgia devota, non col sentimento naturale che sempre provoca in noi un bambino che nasce e neppure con un vago sentimento religioso, ma in forza di una esperienza (perché tutto il resto non produce altro che una riduzione di "quella" nascita). Dove si rivela veramente chi è quel Bambino è in questa esperienza reale: il figlio di Elisabetta ha sussultato di gioia nel suo grembo. È il rinnovarsi continuo di questo avvenimento che ci impedisce di ridurre il Natale e che ce lo può fare gustare come la prima volta.

(©L'Osservatore Romano 24 dicembre 2011)

Postato da: giacabi a 09:54 | link | commenti
natale, carron

sabato, 15 ottobre 2011

Per il Santo Natale
***
Tacciano i venti tutti,
del mar si arrestino le acque,
Gesù, Gesù già nacque,
già nacque il Redentor.
Il Sommo Nume Eterno
scese dall'alto cielo,
il misterioso velo
già ruppe il Salvator.
Nascesti alfin nascesti,
pacifico Signore,
al mondo apportatore
d'alma felicità.
L'empia, funesta colpa,
giacque da te fiaccata,
gioisci, o avventurata,
felice umanità.
Sorgi, e solleva il capo
dal sonno tuo profondo;
il Redentor del mondo
omai ti liberò.
No, più non senti il giogo
di servitù pesante,
son le catene infrante
da lui che ti salvò.

Gloria sia dunque al sommo,
Onnipossente Iddio,
guerra per sempre al rio
d'Averno abitator.
Dia lode e Cielo, e Terra,
al Redentor divino,
al sommo Re Bambino
di pace alto Signor .
 

(Giacomo Leopardi 1798-1837)
(Da: Giacomo Leopardi, Per il Santo Natale, Canzonetta, in : Entro Dipinta Gabbia, Tutti gli scritti inediti, rari e editi, 1809-10, di Giacomo leopardi, a cura di Maria Corti, Bompiani 1972; Idem in : Il Natale, Arte e Letteratura, a cura di Claudio Nardini, Firenze, Nerbini -per Banca Marche- 2010, p. 80)

Postato da: giacabi a 16:03 | link | commenti
natale, leopardi

sabato, 20 agosto 2011

 I tre Magi
***
Il tempo è stato terribile,
la campagna è desolata,
palude, giungla, roccia: echi beffardi
chiamano illegittima la nostra speranza;

ma una sciocca canzone
può aiutare la vostra
sempre e semplicemente;
infine noi sappiamo per certo di essere tre vecchi peccatori

che questo viaggio è troppo lungo, che ci mancano i nostri pranzi
che rimpiangiamo le nostre mogli, i nostri libri, i nostri cani,
ma abbiamo solo la più vaga idea del perché siamo quel che siamo.
Scoprire in che maniera essere umani ora:
è la ragione per cui seguiamo questa stella.

(W.Y. Auden, Per il tempo presente. Oratorio di Natale)

Postato da: giacabi a 08:22 | link | commenti
natale, auden

sabato, 25 dicembre 2010

Natività NATALE
***
Sotto lo sguardo del bue e lo sguardo dell’asino Quel bimbo riposava nella pura luce. E nell’aria dorata del vecchio abituro Splendeva il suo sguardo incredibilmente nuovo. Il bam...bino guarda le due grosse teste, i loro occhi più profondi e più dolci dell’oceano e i loro grandi corpi che lo proteggono dal sole dal vento che fischia dalla larga breccia. E ucciderebbero il bimbo che è scoperto. Lo riscaldano col loro fiato in attesa del suo risveglio. Il bue e l’asino hanno protetto Gesù Bambino. Così dormiva il bambino nel suo primo mattino. Stava per cominciare DIO sa quale giornata. Stava per cominciare un’eterna annata. Stava per cominciare un immenso destino Così dormiva il bambino il suo primo sonno profondo. Stava per cominciare l’immenso evento. L’Avvento dell’ordine e della salvezza dell’uomo. E quel sangue che doveva un giorno sul Calvario Cadere come un’ardente e tragica rugiada Altro non era in quella felice e placida miseria Che un filo trasparente sotto il labbro di rosa. E quel sangue che doveva un giorno sul Calvario Scorrere come una calda e virile rugiada Altro non era nella sua tenerezza e originaria dolcezza Che un morbido, sottile reticolo sotto una rossa pelle. E quel sangue che doveva sull’ultima altura Piovere come la manna nei deserti dell’esodo Non era in quel felice e dolce periodo Che l’intrico di una rete rosa e azzurra. Gesù Cristo non è venuto per dirci delle frivolezze, Non ha fatto il viaggio di venire sulla terra Per raccontarci delle amenità e delle frottole. Non si ha il tempo per divertirsi. Lui non ha speso i trentatré anni della sua vita terrestre Per raccontarci fandonie… Non ci ha dato parole morte Da chiudere in piccole scatole [...].
Charles Peguy (1873-1914)

Postato da: giacabi a 20:59 | link | commenti
natale, peguy


 
La stalla di Betlemme
***
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La stalla di Betlemme è immagine della Chiesa
piena di paglia, letame, animali puzzolenti e insetti fastidiosi eppure è lì che si è manifestato il Salvatore.

Postato da: giacabi a 15:01 | link | commenti
chiesa, natale


IL NATALE
ALESSANDRO MANZONI

Qual masso che dal vertice
di lunga erta montana,
abbandonato all'impeto
di rumorosa frana,
per lo scheggiato calle
precipitando a valle,
barre sul fondo e sta;
là dove cadde, immobile
giace in sua lenta mole;
né, per mutar di secoli,
fia che riveda il sole
della sua cima antica,
se una virtude amica
in alto nol trarrà:
tal si giaceva il misero
figliol del fallo primo,
dal dì che un'ineffabile
ira promessa all'imo
d'ogni malor gravollo,
donde il superbo collo
più non potea levar.
Qual mai tra i nati all'odio,
quale era mai persona
che al Santo inaccessibile
potesse dir: perdona?
far novo patto eterno?
al vincitore inferno
la preda sua strappar?
Ecco ci è nato un Pargolo,
ci fu largito un Figlio:
le avverse forze tremano
al mover del suo ciglio:
all' uom la mano Ei porge,
che sì ravviva, e sorge
oltre l'antico onor.
Dalle magioni eteree
sgorga una fonte, e scende,
e nel borron de' triboli
vivida si distende:
stillano mele i tronchi
dove copriano i bronchi,
ivi germoglia il fior.
O Figlio, o Tu cui genera
l'Eterno, eterno seco;
qual ti può dir de' secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empiro
non ti comprende il giro:
la tua parola il fe'.
E Tu degnasti assumere
questa creata argilla?
qual merto suo, qual grazia
a tanto onor sortilla
se in suo consiglio ascoso
vince il perdon, pietoso
immensamente Egli è.
Oggi Egli è nato: ad Efrata,
vaticinato ostello,
ascese un'alma Vergine,
la gloria d'lsraello,
grave di tal portato
da cui promise è nato,
donde era atteso usci.
La mira Madre in poveri
panni il Figliol compose,
e nell'umil presepio
soavemente il pose;
e l'adorò: beata!
innazi al Dio prostrata,
che il puro sen le aprì.
L’Angel del cielo, agli uomini
nunzio di tanta sorte,
non de' potenti volgesi
alle vegliate porte;
ma tra i pastor devoti,
al duro mondo ignoti,
subito in luce appar.
E intorno a lui per l'ampia
notte calati a stuolo,
mille celesti strinsero
il fiammeggiante volo;
e accesi in dolce zelo,
come si canta in cielo
A Dio gloria cantar.
L’allegro inno seguirono,
tornando al firmamento:
tra le varcare nuvole
allontanossi, e lento
il suon sacrato ascese,
fin che più nulla intese
la compagnia fedel.
Senza indugiar, cercarono
l'albergo poveretto
que' fortunati, e videro,
siccome a lor fu detto
videro in panni avvolto,
in un presepe accolto,
vagire il Re del Ciel.
Dormi, o Fanciul; non piangere;
dormi, o Fanciul celeste:
sovra il tuo capo stridere
non osin le tempeste,
use sull'empia terra,
come cavalli in guerra,
correr davanti a Te.
Dormi, o Celeste: i popoli
chi nato sia non sanno;
ma il dì verrà che nobile
retaggio tuo saranno;
che in quell'umil riposo,
che nella polve ascoso,
conosceranno il Re.
(Racconto di Natale di Alessandro Manzoni)

Postato da: giacabi a 10:40 | link | commenti
natale


Buon Natale
***

La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia. Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile? Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi, se crediamo.
(S. Agostino)

Postato da: giacabi a 09:09 | link | commenti
natale, agostino


AUGURO AGLI AMICI
UN BUON SANTO NATALE!!

***

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"Amici, dobbiamo decidere che cosa fare da grandi: se continuare ad accontentarci di “seconde scelte”, come le ha descritte il Papa ai ragazzi britannici (soldi, carriera, eccetera), continuando a lasciarsi andare, senza prendere mai seriamente posizione davanti a Cristo; oppure appartenerGli.
Il problema ...per ta...nti di noi è che siamo già grandi e il tempo si fa breve."
don Carron Tracce ottobre10 pagina uno

Postato da: giacabi a 08:29 | link | commenti
natale, carron

sabato, 06 marzo 2010

La Stella di Natale
***

di Boris Pasternak

C’era l’inverno.
Soffiava il vento dalla steppa.
E freddo aveva il neonato nella tana
sul pendio del colle.
L’alito del bue lo riscaldava.
Animali domestici
stavano nella grotta,
sulla culla vagava un tiepido vapore.

La notte di gelo somigliava a una fiaba
e, dalla nevosa catena dei monti,
nella tormenta, qualcuno
per tutto il tempo scese invisibile tra loro.
Per quella stessa strada, per quegli stessi luoghi,
alcuni angeli andavano in mezzo alla folla.
L'incorporeità li rendeva invisibili,
ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.
Una folla di popolo si raccoglieva presso la rupe.
Albeggiava. Si delineavano i tronchi dei cedri.
“E voi chi siete?” domandò Maria.
“Noi stirpe di pastori e messaggeri del cielo,
siamo accorsi a cantar lode a voi due”.
“Non si può tutti insieme, aspettate alla porta”.
Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
battevano i piedi mulattieri e allevatori.
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
e accanto al tronco cavo dell'abbeverata
mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.
Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,
come granelli di cenere, le ultime stelle.
E della innumerevole folla solo i Magi
Maria lasciò entrare nella cavità della roccia.
Lui dormiva, tutto splendente, in una culla di quercia,
come un raggio di luna dentro il cavo di un tronco.

Invece di pelli di pecora
le labbra di un asino e le nari di un bue.
Ad un tratto qualcuno, un po’ a sinistra nell’oscurità,
con la mano scansò dalla culla uno dei Magi
e quello si voltò. Dalla soglia la Vergine Maria
guardava come un ospite la stella di Natale.


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natale, pasternak

mercoledì, 06 gennaio 2010

L’Emmanuele
***
Natività, Artisanats des Monastères de Bethléem, Mougères, 34720 Caux, Francia (esposizione presso il Santuario di Vicoforte, Cuneo).

«Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre. Per questo Dio stesso ci ha dato come "segno" della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele: poiché lo stesso Signore era colui che salvava coloro che di per se stessi non avevano nessuna possibilità di salvezza».
Sant’Ireneo

Postato da: giacabi a 21:02 | link | commenti
natale, sireneo

martedì, 05 gennaio 2010

Vieni, buon Signore Gesù
***

“Oggi siamo seduti alla vigilia di Natale, noi gente misera,in una gelida stanzetta: il vento corre di fuori, il vento entra. Vieni, buon Signore Gesù da noi, volgi lo sguardo: perché tu ci sei davvero necessario”.  Bertolt Brecht



Postato da: giacabi a 16:45 | link | commenti
natale

martedì, 29 dicembre 2009

Il mistero del Natale ***
"Dove il Bambino divino intenda condurci sulla terra è cosa che non sappiamo e a proposito della quale non dobbiamo fare domande prima del tempo. Una cosa sola sappiamo, e cioè che a quanti amano il Signore tutte le cose ridondano in bene. E inoltre che le vie, per le quali il Salvatore conduce, vanno al di là di questa terra. O scambio mirabile! Il Creatore del genere umano ci conferisce, assumendo un corpo, la sua divinità. Per quest'opera mirabile il Redentore è infatti venuto nel mondo. Dio è diventato figlio degli uomini, affinché gli uomini potessero diventare figli di Dio."

di Edith Stein


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natale, stein

lunedì, 28 dicembre 2009

O E' NATALE TUTTI I GIORNI
***
G

 GRAZIE A :STELLANUOVA


Postato da: giacabi a 22:08 | link | commenti
canti, natale


Il  Natale
***
"L'importante non è che l'uomo abbia camminato sulla luna, ma che Dio, in Gesù abbia camminato sulla terra"
Armstrong La Stampa, 21.XII.2003,p.15.

Postato da: giacabi a 08:12 | link | commenti
natale


Il Natale
***
Ora ci viene rivelato che questo Figlio è entrato nel mondo.
Ma ciò in un senso inaudito. Non solo per via psicologica, nell'animo di una persona pia profondamente dotata; non solo in termini spirituali, nei pensieri di una grande personalità; realmente, storicamente invece, così da produrre l'unità personale con un essere umano.

Dio s'è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi - ed è rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio del Padre nel cielo. Egli, che come Dio era in tutto, ma sempre "dall'altro lato del confine", nell'eterno riserbo, è venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi.

Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo soltanto.
Tutto il resto - la gioia per i doni, l'affetto della famiglia, il rinvigorirsi della luce, la guarigione dall'angustia della vita - riceve di là il suo senso.

Quando quella consapevolezza però svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale, anzi brutalmente affaristico.      


                                             Romano Guardini, Pensieri sul Natale
Grazie a :  Graciete

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natale, guardini

giovedì, 24 dicembre 2009

 
Il Verbo abbreviato
***
http://static.blogo.it/artsblog/la-nascita-di-cristo-nellarte/angelico.jpg

I seguenti brani sono tratti da Henri de Lubac, Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura (vol. III, Jaca Book, Milano 1996)
di Henri de Lubac

In Gesù Cristo, che ne era il fine, l’antica Legge trovava in precedenza la sua unità. Di secolo in secolo, tutto in questa Legge convergeva verso di Lui. È Lui che, della «totalità delle Scritture», formava già «l’unica Parola di Dio». [...]
     
     
In Lui, i «verba multa» (le molte parole) degli scrittori biblici diventano per sempre «Verbum unum» (l’unica Parola). Senza di Lui, invece, il legame si scioglie: di nuovo la parola di Dio si riduce a frammenti di «parole umane»; parole molteplici, non soltanto numerose, ma molteplici per essenza e senza unità possibile, perché, come constata Ugo di San Vittore, «multi sunt sermones hominis, quia cor hominis unum non est» (numerose sono le parole dell’uomo, perché il cuore dell’uomo non è uno). [...]
     
      Eccolo, dunque, questo Verbo unico. Eccolo tra noi «che esce da Sion», che ha preso carne nel seno della Vergine. «Omnem Scripturae universitatem, omne verbum suum Deus in utero virginis coadunavit» (
tutto l’insieme delle Scritture, ogni sua parola, Dio l’ha riunito nel seno della Vergine). [...]
     
     
Eccolo adesso, totale, unico, nella sua unità visibile. Verbo abbreviato, Verbo «concentrato», non soltanto in questo primo senso che Colui che è in sé stesso immenso e incomprensibile, Colui che è infinito nel seno del Padre si racchiude nel seno della Vergine o si riduce alle proporzioni di un bambino nella stalla di Betlemme, come san Bernardo e i suoi figli amavano parlarne, come ripetevano M. Olier in un inno per l’Ufficio della vita interiore di Maria, e, ancor ieri, padre Teilhard de Chardin; ma anche e nello stesso tempo, in questo senso, che il contenuto molteplice delle Scritture sparse lungo i secoli dell’attesa viene tutt’intero ad ammassarsi per compiersi, cioè unificarsi, completarsi, illuminarsi e trascendersi in Lui. Semel locutus est Deus (Dio ha pronunciato una sola parola): Dio pronunzia una sola parola, non solo in sé stesso, nella sua eternità senza vicissitudini, nell’atto immobile con cui genera il Verbo, come sant’Agostino ricordava; ma anche, come insegnava già sant’Ambrogio, nel tempo e tra gli uomini, nell’atto con cui egli invia il suo Verbo ad abitare la nostra terra. «Semel locutus est Deus, quando locutus in Filio est» (Dio ha pronunciato una sola parola, quando ha parlato nel suo Figlio): perché è Lui che dà il senso a tutte le parole che lo annunziavano, tutto si spiega in Lui e solamente in Lui: «Et audita sunt etiam illa quae ante audita non erant ab iis quibus locutus fuerat per prophetas» (e si sono allora capite anche tutte quelle parole che non erano state intese prima da coloro ai quali egli aveva parlato attraverso i profeti). [...]
     
      Sì, Verbo abbreviato, «abbreviatissimo», «brevissimum», ma sostanziale per eccellenza. Verbo abbreviato, ma più grande di ciò che abbrevia. Unità di pienezza. Concentrazione di luce. L’incarnazione del Verbo equivale all’apertura del Libro, la cui molteplicità esteriore lascia ormai percepire il «midollo» unico, questo midollo di cui i fedeli si nutriranno. Ecco che con il fiat (accada) di Maria che risponde all’annunzio dell’angelo, la Parola, fin qui soltanto «udibile alle orecchie», è diventata «visibile agli occhi, palpabile alle mani, portabile alle spalle». Più ancora: essa è diventata «mangiabile». Niente delle verità antiche, niente degli antichi precetti è andato perduto, ma tutto è passato a uno stato migliore. Tutte le Scritture si riuniscono nelle mani di Gesù come il pane eucaristico, e, portandole, egli porta sé stesso nelle sue mani: «tutta la Bibbia in sostanza, affinché noi ne facciamo un solo boccone...». «A più riprese e sotto varie forme» Dio aveva distribuito agli uomini, foglio per foglio, un libro scritto, nel quale una Parola unica era nascosta sotto numerose parole: oggi egli apre loro questo libro, per mostrare loro tutte queste parole riunite nella Parola unica. Filius incarnatus, Verbum incarnatum, Liber maximus  (Figlio incarnato, Verbo incarnato, Libro per eccellenza): la pergamena del Libro è ormai la sua carne; ciò che vi è scritto sopra è la sua divinità. [...]
     
      Tutta l’essenza della rivelazione è contenuta nel precetto dell’amore; in questa sola parola, «tutta la Legge e i Profeti». Ma questo Vangelo annunziato da Gesù, questa parola pronunziata da Lui, se contiene tutto, è perché non è altro che Gesù stesso. La sua opera, la sua dottrina, la sua rivelazione: è Lui! La perfezione che egli insegna, è la perfezione che egli porta. Christus, plenitudo legis (Cristo, pienezza della legge). È impossibile separare il suo messaggio dalla sua persona, e coloro che ci provarono non tardarono molto ad essere indotti a tradire il messaggio stesso: persona e messaggio, finalmente, non fanno che una cosa sola. Verbum abbreviatum, Verbum coadunatum: Verbo condensato, unificato, perfetto! Verbo vivo e vivificante. Contrariamente alle leggi del linguaggio umano, che diventa chiaro, spiegandolo, esso, da oscuro, diventa manifesto, presentandosi sotto la sua forma abbreviata: Verbo pronunziato dapprima «in abscondito» (nascostamente), e adesso «manifestum in carne» (manifesto nella carne). Verbo abbreviato, Verbo sempre ineffabile in sé stesso, e che tuttavia spiega tutto ! [...]
     
     
Le due forme del Verbo abbreviato e dilatato sono inseparabili. Il Libro dunque rimane, ma nello stesso tempo passa tutt’intero in Gesù e per il credente la sua meditazione consiste nel contemplare questo passaggio. Mani e Maometto hanno scritto dei libri. Gesù, invece, non ha scritto niente; Mosè e gli altri profeti «hanno scritto di lui». Il rapporto tra il Libro e la sua Persona è dunque l’opposto del rapporto che si osserva altrove. Così la Legge evangelica non è affatto una «lex scripta» (legge scritta). Il cristianesimo, propriamente parlando, non è affatto una «religione del Libro»: è la religione della Parola – ma non unicamente né principalmente della Parola sotto la sua forma scritta. Esso è la religione del Verbo, «non di un verbo scritto e muto, ma di un Verbo incarnato e vivo». La Parola di Dio adesso è qui tra di noi, «in maniera tale che la si vede e la si tocca»: Parola «viva ed efficace», unica e personale, che unifica e sublima tutte le parole che le rendono testimonianza. Il cristianesimo non è «la religione biblica»: è la religione di Gesù Cristo.
da: http://www.30giorni.i/



Postato da: giacabi a 22:15 | link | commenti
natale, de lubac


EMANUELE
***
Caravaggio

Nell’ombra dei secoli si è ormai dileguata quella notte in cui, stanca di male e di affanno, la terra posò nelle braccia del cielo, e nel silenzio nacque Dio-è-con-noi.

Molte cose oggi non sono, che erano possibili ieri: i re più non scrutano il cielo, e i pastori non ascoltano nel deserto come gli angeli parlino del Signore.

Ma ciò che di eterno in quella notte fu rivelato non può essere ormai più corrotto dal tempo; e il Verbo nato in quell’evo remoto, sotto a una greppia, ti rinasce nuovo nell’anima.

Sì – Dio è con noi: ma non già sotto l’azzurro padiglione, non al di là dei confini dei mondi innumerevoli, non nel perfido fuoco, e non nel fiato delle tempeste, non chiuso nella sopita memoria dei secoli.

È qui Egli, adesso; e tra l’effimera vanità, nel torrente torbido delle ansie della vita, tu possiedi un segreto onnigioioso: - impotente è il male, e eterni noi siamo: Dio è con noi.
Vladimir S. Solov’ëv 1892




Postato da: giacabi a 20:00 | link | commenti
natale, soloviev


Natale 2009
***
http://www.monachos.net/content/images/icons/nativity_newer.jpg
Natale : il Dio che diventa pronunciabile.
Natale : il Dio  che abita la storia.
Natale : il Dio  che si fa piccolo.
Natale : il Dio  da contemplare in una grotta.
Natale : il Dio  che nel Figlio si fa ‘Abbà’, Babbo.
Natale : il Dio  che accetta una vita nella carne.
Natale : il Dio  che si fa visibile.
Natale : il Dio  che si fa vulnerabile.
Natale : il Dio  che continuamente stupisce.
Natale : il Dio  che decide di camminare con l’uomo.
Natale : il Dio  che cura e consola.
Natale : il Dio  che cerca costantemente l’uomo.
Natale : la Parola di Dio che si fa vita.
Natale : l’annuncio di salvezza per tutti.
Natale : il Dio  che viene a incontrare ogni uomo.
Natale : il Dio  che si fa Dio per tutti.
Natale : il Dio  che dà un comandamento nuovo: l’amore.
Natale : il Dio  con noi.
Natale : il Dio  che muore per l’uomo. Natale : il Dio  che si fa mortale.
Natale : il Dio  che risorge perché l’amore supera ogni limitatezza.
Natale : il Dio  che ci ricorda che siamo suoi.
Natale : il Dio  che si dà tutto per noi.
Natale : il Dio  che ama in eccesso.

Si faccia vita in profondità nelle nostre storie.

Buon Natale!
Grazie all’amica Teresa

Postato da: giacabi a 18:56 | link | commenti (1)
natale


Natale 2009
***
Il volantone di Natale di Cl.
La fede ha ancora in assoluto una sua possibilità di successo?... perché essa trova corrispondenza nella natura dell'uomo. Nell'uomo vi é un'inestinguibile aspirazione nostalgica verso l'infinito. Nessuna delle risposte che si sono cercate é sufficiente: solo il Dio che si é reso finito, per lacerare la nostra finitezza e condurla nell'ampiezza della sua infinità, é in grado di venire incontro alle domande del nostro essere. Perciò anche oggi la fede cristiana tornerà a trovare l'uomo.

Benedetto XVI


***


Ora, con questi muscoli che non tengono, con questa stanchezza, con questa facilità alla malinconia, con questo masochismo strano che la vita di oggi tende a favorire o con questa indifferenza e questo cinismo che la vita di oggi rende, come rimedio, necessario per non subire una fatica eccessiva e non voluta, come si fa ad accettare sé e gli altri in nome di un discorso?
Non si può rimanere nell'amore a se stessi senza che Cristo sia una presenza come é una presenza una madre per il bambino. Senza che Cristo sia presenza ora -ora!-, io non posso amarmi ora e non posso amare te ora.

Luigi Giussani


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NATALE/
quella nostalgia verso l'infinito
Julián Carrón

giovedì 24 dicembre 2009
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Caro Direttore,
c’è una frase di Dostoevskij che mi accompagna in questi tempi, dovendo parlare del cristianesimo alle persone più diverse in Italia e all’estero: «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?».
Questa domanda suona come una sfida a ciascuno di noi. È precisamente dalla risposta ad essa che dipende la possibilità di successo della fede oggi. In un discorso del 1996, l’allora cardinale Ratzinger rispose che la fede può sperare questo «perché essa trova corrispondenza nella natura dell’uomo. Nell’uomo vi è un’inestinguibile aspirazione nostalgica verso l’infinito». E con ciò indicava anche la condizione necessaria: che il cristianesimo ha bisogno di trovare l’uomo che vibra in ciascuno di noi per mostrare tutta la portata della sua pretesa.
Eppure in quante occasioni siamo tentati di guardare l’umanità concreta che ci troviamo addosso - per esempio, il disagio, l’insoddisfazione, la tristezza, la noia - come un ostacolo, una complicazione, un intralcio alla realizzazione di ciò che desideriamo. E così ci arrabbiamo con noi stessi e con la realtà, soccombendo sotto il peso delle circostanze, nell’illusione di andare avanti tagliando via qualche pezzo di noi.
Ma disagio, insoddisfazione, tristezza, noia non sono sintomi di una malattia su cui intervenire coi farmaci, come accade sempre più spesso in una società che confonde l’inquietudine del cuore col panico e con l’ansia. Sono piuttosto segni di quale sia la natura dell’io. Il nostro desiderio è più grande di tutto l’universo. La percezione del vuoto in noi e attorno a noi di cui parla Leopardi («mancamento e voto») e la noia di cui parla Heidegger sono la prova dell’inesorabilità del nostro cuore, del carattere smisurato del nostro desiderio - niente è in grado di darci soddisfazione e pace -; possiamo dimenticarlo, tradirlo, ingannarlo, ma non possiamo togliercelo di dosso.
Per questo il vero ostacolo al cammino non è la nostra concreta umanità, ma la trascuratezza di essa. Tutto in noi grida l’esigenza di qualcosa che riempia il vuoto. Lo intuiva perfino Nietzsche, che non poté evitare di rivolgersi al “dio ignoto” che fa tutte le cose: «Rimasto solo, levo le mie mani/ (…) “Al dio ignoto”:/ (…) Conoscerti io voglio - te, l’Ignoto,/ Che a fondo mi penetri nell’anima,/ Come tempesta squassi la mia vita,/ Inafferrabile eppure a me affine!» (1864).
Il Natale è l’annuncio che questo ignoto Mistero è diventato una presenza familiare, senza la quale nessuno di noi potrebbe rimanere uomo a lungo, finirebbe travolto dalla confusione, vedendo decomporsi il proprio volto, perché «solo il divino può “salvare” l’uomo, cioè le dimensioni vere ed essenziali dell’umana figura e del suo destino» (don Giussani).
Il segno più persuasivo che Cristo è Dio, il miracolo più grande da cui tutti rimanevano colpiti - più ancora che le gambe raddrizzate e la cecità guarita - era uno sguardo senza paragoni. Il segno che Cristo non è una teoria o un insieme di regole è quello sguardo, di cui è pieno il Vangelo: il Suo modo di trattare l’umano, di entrare in rapporto con coloro che trovava sulla sua strada.
Pensiamo a Zaccheo e alla Maddalena: non ha chiesto loro di cambiare, li ha abbracciati così com’erano, nella loro umanità ferita, sanguinante, bisognosa in tutto. E la loro vita, abbracciata, si ridestava in quel momento in tutta la sua profondità originale.
Chi non desidererebbe essere raggiunto da un simile sguardo ora? Infatti «non si può rimanere nell’amore a se stessi senza che Cristo sia una presenza come è una presenza una madre per il bambino. Senza che Cristo sia presenza ora - ora! -, io non posso amarmi ora e non posso amare te ora» (don Giussani). Sarebbe l’unica modalità per rispondere da uomini del nostro tempo, ragionevolmente e criticamente, alla domanda di Dostoevskij.
Ma come sappiamo che Cristo è vivo ora? Perché il Suo sguardo non è un fatto del passato. Continua nel mondo tale e quale: dal giorno della Sua resurrezione la Chiesa esiste solo per rendere esperienza l’affezione di Dio, attraverso persone che sono il Suo corpo misterioso, testimoni nell’oggi della storia di quello sguardo capace di abbracciare tutto l’umano.

(Tratto da Il Corriere della Sera del 24/12/2009)


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mercoledì, 23 dicembre 2009

Natale
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Asciuga, Bambino Gesù,
le lacrime dei fanciulli!
Spingi gli uomini a deporre le armi
e a stringersi in un universale
abbraccio di pace!
Invita i popoli, misericordioso Gesù,
ad abbattere i muri creati
dalla miseria e dalla disoccupazione
dall'ignoranza e dall'indifferenza,
dalla discriminazione e dall'intolleranza
.
Sei Tu, Divino Bambino di Betlemme,
che ci salvi, liberandoci dal peccato.
Sei Tu il vero ed unico Salvatore,
che l'umanità spesso cerca a tentoni.
Dio della pace, dono di pace per l'intera umanità,
vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.
Sii Tu la nostra pace e la nostra gioia! Amen!
                                                 Madre Teresa di Calcutta


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E’ Natale
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E’ Natale ogni volta che sorridi
a un fratello e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta che rimani in silenzio
 per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta che non accetti
quei princìpi che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E’ Natale ogni volta che speri
con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta che permetti al Signore
 di rinascere per donarlo agli altri.
                                                 Madre Teresa di Calcutta


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LA NASCITA DI GESU'
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Non fu una scelta arbitraria per soppiantare antiche feste pagane. Quando la Chiesa celebra la nascita di Gesù nella terza decade di dicembre, attinge all'ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero. Tommaso Federici, professore emerito di teologia biblica, fa il punto su indizi e recenti scoperte che confermano la storicità della data del Natale

Un preambolo

In genere si assumeva e si assume senza discutere la notizia già antica secondo cui la celebrazione del Natale del Signore nella prima metà del secolo IV fu introdotta dalla Chiesa di Roma per motivi ideologici. Infatti sarebbe stata posta al 25 dicembre per contrastare una pericolosa festa pagana, il Natale Solis invicti (fosse Mitra, come è probabile, o fosse una titolatura di un imperatore romano). Tale festa era stata fissata al solstizio invernale (21-22 dicembre), quando il sole riprendeva il suo corso trionfale verso il suo sempre maggiore risplendere. Quindi in ambito cristiano, risalendo di 9 mesi, si era posta al 25 marzo la celebrazione dell'annuncio dell'Angelo a Maria Vergine di Nazareth, e la sua Immacolata Concezione [il concepimento verginale, ndr] del Figlio e Salvatore. In conseguenza, sei mesi prima della nascita del Signore si era posta anche la memoria della nascita del suo precursore e profeta e battezzatore Giovanni.

D'altra parte, l'Occidente cristiano non celebrava l'annuncio della nascita di Giovanni al padre, il sacerdote Zaccaria. Che invece, e da lunghissima data, è commemorato nell'Oriente siro alla prima domenica del "Tempo dell'Annuncio (Sûbarâ)", che comprende in altre cinque domeniche l'annunciazione a Maria Vergine, la visitazione, la nascita del Battista, l'annuncio a Giuseppe, la genealogia del Signore secondo Matteo.

L'Oriente bizantino, e sempre da data immemoriale, celebra invece al 23 settembre anche l'annuncio a Zaccaria.


Si hanno in successione quattro date evangeliche che inseguendosi si intersecano, ossia I) l'annuncio a Zaccaria e II) sei mesi dopo l'annunciazione a Maria, III) rispettivamente nove e tre mesi dopo le prime due date, la nascita del Battista, e IV) rispettivamente sei mesi dopo quest'ultima data, e naturalmente nove mesi dopo l'annunciazione, la Nascita del Signore e Salvatore.
Il referente per così dire "liturgico" di tutto questo sarebbe quindi il Natale del Signore, al 25 dicembre, sulla cui base, si assume, furono disposte le feste dell'annunciazione nove mesi prima, e della nascita del Battista sei mesi prima. Gli storici e i liturgisti su questo svolgono diverse ipotesi più o meno accolte. Il problema è che già nei secoli II-IV erano state avanzate diverse datazioni, che tenevano conto di computi astronomici, o di idee teologiche.
Una data "storica" esterna, ossia che non fosse biblica, patristica e liturgica, e che portasse una conferma agli studiosi, non era ancora conosciuta.
Un riferimento: l'annuncio a Zaccaria

Luca ha una certa sua cura di situare la storia. Così ad esempio cita "l'editto di Cesare Augusto" per il lungo censimento di Quirino (circa il 7-6 a. C.), durante il quale avvenne la nascita del Signore (Lc 2, 1-2). Inoltre rimanda all'anno quindicesimo di Tiberio Cesare (circa il 27-28 d. C.), quando Giovanni il Battista cominciò la sua predicazione preparatoria del Signore (Lc 3, 1). E annota: "E lo stesso Gesù era cominciante [il suo ministero dopo il Battesimo, Lc 3, 21-22] quasi di anni 30" (Lc 3, 23), di fatto avendo circa 33 o 34 anni.

Secondo la sua suggestiva narrazione evangelica, lo stesso Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell'annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne celebrazione sacrificale quotidiana aveva annunciato nel santuario all'anziano sacerdote Zaccaria che la sua sposa, sterile e anziana, Elisabetta, avrebbe concepito un figlio, destinato a preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1, 5-25). Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che rimanda a un dato conosciuto da tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla "classe [sacerdotale, ephêmería] di Abia" (Lc 1, 5), e mentre gli appare Gabriele "esercitava sacerdotalmente nel turno [táxis] del suo ordine [ephêmería]" (Lc 1, 8).

Così rimanda a un fatto generale senza difficoltà, e a uno specifico e puntuale, che presenta un problema. Il primo fatto, noto a tutti, era che nel santuario di Gerusalemme, secondo la narrazione del cronista, David stesso aveva disposto che i "figli di Aronne" fossero distinti in 24 táxeis, ebraico sebaot, i "turni" perenni (1 Cr 24, 1-7.19). Tali "classi", avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, "da sabato a sabato", due volte l'anno. L'elenco delle classi sacerdotali fino alla distruzione del tempio (anno 70 d. C.) secondo il testo dei Settanta era stabilito per sorteggio, così: I) Iarib, II) Ideia, III) Charim, IV) Seorim, V) Mechia, VI) Miamin, VII) Kos, VIII) Abia, IX) Giosuè, X) Senechia, XI) Eliasib, XII) Iakim, XIII) Occhoffa, XIV) Isbaal, XV) Belga, XVI) Emmer, XVII) Chezir, XVIII) Afessi, XIX) Fetaia, XX) Ezekil, XXI) Iachin, XXII) Gamoul, XXIII) Dalaia, XXIV) Maasai (l'elenco, in 1 Cr 24, 7-18).

Il secondo fatto è che Zaccaria quindi apparteneva al "turno di Abia", l'VIII. Il problema che pone questo è che Luca scrive quando il tempio è ancora in attività, e quindi tutti potevano conoscere le sue funzioni, e non annota "quando" stava in esercizio il "turno di Abia". Inoltre, non dice in quale dei due avvicendamenti annuali Zaccaria ricevette l'annuncio dell'Angelo nel santuario. E sembra che lungo i secoli nessuno abbia avuto cura di riportare la memoria, o di fare qualche ricerca. La stessa Comunità madre, la Chiesa di Gerusalemme, giudeo-cristiana di lingua aramaica, che tradizionalmente (almeno per due secoli) era guidata dai parenti di sangue di Gesù, Giacomo e i suoi successori, non sembra che si curasse di questo particolare, che per i contemporanei andava da sé.

Il "turno di Abia" con data certa

Nel 1953 la grande specialista francese Annie Jaubert, nell'articolo «Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques», in «Vetus Testamentum», Suppl. 3 (1953) pp. 250-264, aveva studiato il calendario del Libro dei Giubilei, un apocrifo ebraico assai importante, che risaliva alla fine del sec. II a.C. Ora numerosi frammenti di testo di tale calendario, ritrovati nelle grotte di Qumran, dimostravano non solo che esso era stato fatto proprio dagli Esseni che lì vivevano (circa sec. II a. C.-sec. I d. C.), ma che esso era ancora in uso. Detto calendario è solare, e non dà nomi ai mesi, ma li chiamava con il numero di successione. La studiosa aveva pubblicato poi su questo diversi altri articoli importanti; vedi anche la sua voce "Calendario di Qumran", in "Enciclopedia della Bibbia" 2 (1969) pp. 35- 38. E in una celebre monografia, "La date de la Cène, Calendrier biblique et liturgie chrétienne", Études Bibliques, Paris 1957, aveva anche ricostruito la successione degli eventi della settimana santa, individuando in modo convincente (salvo dissensi di qualcuno) al martedì, e non al giovedì, la data della cena del Signore.

Da parte sua, anche lo specialista Shemarjahu Talmon, dell'Università Ebraica di Gerusalemme, aveva lavorato sui documenti di Qumran e sul calendario dei Giubilei, ed era riuscito a precisare lo svolgersi settimanale dell'ordine dei 24 turni sacerdotali nel tempio, allora ancora in funzione.
I suoi risultati erano consegnati nell'articolo "The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls", in "Scripta Hierosolymitana", vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199; si tratta di uno studio accurato e importante, ma, si deve dire, passato pressoché inosservato dal grande circuito, ma non ad Annie Jaubert. Ora, la lista che il professor Talmon ricostruisce indica che il "turno di Abia (Ab-Jah)", prescritto per due volte l'anno, ricorreva così: I) la prima volta, dall'8 al 14 del terzo mese del calendario, e II) la seconda volta dal 24 al 30 dell'ottavo mese del calendario. Ora, secondo il calendario solare (non lunare, come è l'attuale calendario ebraico), questa seconda volta corrisponde circa all'ultima decade di settembre.

Come annota anche Antonio Ammassari, "Alle origini del calendario natalizio", in "Euntes Docete" 45 (1992) pp. 11-16, Luca, con l'indicazione sul "turno di Abia", risale a una preziosa tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, che da narratore accurato di storia (Lc 1, 1-4) ha rintracciato, e offre la possibilità di ricostruire alcune date storiche.

Così il rito bizantino al 23 settembre fa memoria dell'annuncio a Zaccaria, e conserva una data storica certa, e pressoché precisa (forse con un decalco di uno o due giorni).

Date storiche del Nuovo Testamento

La principale datazione storica sulla vita del Signore verte sull'evento principale: la sua resurrezione nel resoconto unanime dei quattro Evangeli (e del resto della Tradizione apostolica del Nuovo Testamento, vedi 1Cor 15, 3-7) avvenne all'alba della domenica 9 aprile dell'anno 30 d.C., data astronomica certa, e quindi quella della sua morte avvenne circa alle 15 pomeridiane del venerdì 7 aprile del medesimo anno 30.

Secondo i dati ricavati dall'indagine  recente come sopra accennata, viene un intreccio impressionante di altre date storiche.

Il ciclo di Giovanni il Battista ha la data storica accertata (circa) del 24 settembre del nostro calendario gregoriano dell'anno 7-6 a. C. per l'annuncio divino concesso a suo padre Zaccaria. Nel computo attuale, sarebbe nell'autunno dell'1 a. C., ma si sa che dal VI secolo vi fu un errore di circa sei o cinque anni sulla data reale dell'anno della nascita del Signore.

La nascita di Giovanni il Battista nove mesi dopo (Lc 1, 57-66), (circa) il 24 giugno, è una data storica.

Ma allora, nel ciclo di Cristo Signore, che Luca pone in forma di un dittico speculare con quello del Battista, l'annunciazione a Maria Vergine di Nazareth "nel mese sesto" dopo la concezione di Elisabetta (Lc 1, 28) risulta come un'altra data storica.

E in conseguenza, e finalmente, è una data storica la nascita del Signore al 25 dicembre, ossia 15 mesi dopo l'annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l'annunciazione alla Madre sempre vergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista.

La santa circoncisione otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè (Lev 12, 1-3), è una data storica.

E così, quaranta giorni dopo la nascita, il 2 febbraio, la "presentazione" del Signore al tempio sempre secondo la legge di Mosè (Lev 12, 4-8), che segna l'hypapantê, l'Incontro con il suo popolo, è una data storica.

"Problemi liturgici"

La data del Natale ha intorno un nugolo di problemi. Anzitutto viene il fatto che in alcune Chiese si cumulò e talvolta si confuse il 25 dicembre con il 6 gennaio, giorno che cumulava la memoria degli eventi che contornavano la nascita del Salvatore.

Poi, soprattutto, la non chiara distinzione tra memoria di un fatto, che può durare generazioni, la devozione intorno a questo fatto, che si può esprimere con un culto non liturgico, e l'istituzione di una festa "liturgica" con data propria e con una vera e propria ufficiatura, che comprende la liturgia delle ore sante e quella dei divini misteri.
Qui va tenuto conto, come invece in genere si trascura, dell'incredibile memoria delle comunità cristiane quanto a eventi evangelici, e ai luoghi che videro il loro verificarsi.
L'Annunciazione, ad esempio, era entrata nella formulazione di alcuni "Simboli battesimali" più antichi già nel secolo II. Essa nella medesima epoca fu rappresentata nell'arte cristiana primitiva, come nella catacombe di Priscilla. A Nazareth stessa, come ormai ha dimostrato splendidamente l'archeologia, il luogo dell'Annunciazione  fu conservato e venerato senza interruzione dalla comunità locale, e fu visitato da un ininterrotto afflusso di pellegrini devoti, che lungo i secoli lasciarono anche graffiti e scritte commoventi, fino ai giorni nostri. Quando si avviò il culto "liturgico" della Madre di Dio, nel V secolo inoltrato, si ebbe la grande festa "liturgica" dell'Euaggelismós, l'annunciazione a Maria. Questa acquistò tale straordinaria risonanza che in Occidente i Padri la annoverarono tra i "primordi della nostra redenzione" (con il Natale, i Magi e le nozze di Cana), e in Oriente fu considerata così solenne e quasi soverchiante, che la sua data nel rito bizantino abolisce la domenica e perfino il giovedì santo, cede solo al venerdì santo, e se cade alla domenica della Resurrezione divide la celebrazione così che si celebra metà del Canone pasquale e metà del Canone dell'Annunciazione.

A Betlemme già prima della costruzione della Basilica costantiniana (primo trentennio del IV secolo), la comunità cristiana aveva conservata la memoria e la venerazione ininterrotte del luogo della nascita del Signore.

In Egitto la Chiesa copta conserva con ininterrotta devozione la memoria dei luoghi dove la santa famiglia sostò nella sua fuga (Mt 2, 13-18), dove furono costruite chiese ancora officiate.

Si può parlare qui dei luoghi santi della Palestina, in specie quelli di Gerusalemme: dell'Anástasis, la Resurrezione (così riduttivamente chiamato "santo sepolcro") e del Golgota, del Cenacolo, del "Monte della Galilea" che è quello dell'Ascensione, del Getsemani, di Betania, della piscina probatica (Gv 5, 1-9), dove fu costruita una chiesa, del luogo della "Dormizione" della Madre di Dio nel Cedron, e così via. Su tutti questi luoghi esiste una documentazione  preziosa, impressionante e ininterrotta lungo i secoli fino a noi, dei pellegrini che li visitarono sempre con gravi sacrifici e pericoli, e lasciarono descrizioni e resoconti scritti della venerazione di cui erano oggetto, e degli usi della devozione degli abitanti e degli altri visitatori.

Il problema di grande interesse qui è la scelta delle  date  per le celebrazioni "liturgiche" vere e proprie. Quanto alla celebrazione "liturgica", nel senso visto sopra, del Signore, della sua Madre sempre vergine, di Giovanni il Battista, si trattò di scelte arbitrarie, provenienti da ideologie o da calcoli ingegnosi? Non pare. Il 23 settembre e il 24 giugno per l'annuncio e la nascita di Giovanni il Battista, e il 25 marzo e il 25 dicembre per l'annunciazione del Signore e per la sua nascita, non furono arbitrarie, e non provengono da ideologie di riporto. Le Chiese avevano conservato memorie ininterrotte, e quando decisero di renderle celebrazioni "liturgiche" non fecero che sanzionare un uso immemoriale della devozione popolare.

Va tenuto conto anche del fatto poco notato che le Chiese si comunicavano le "date" delle loro celebrazioni, e così ad esempio quelle delle "deposizioni dei martiri", che chiamavano il "natale dei martiri" alla gloria dei cielo. Per le grandi ricorrenze, come le feste del Signore, degli apostoli, dei martiri, dei santi vescovi delle Chiese locali, e dal secolo V anche di quelle della Madre di Dio, le Chiese adottarono volentieri le proposte delle Chiese sorelle. In pratica, pressoché tutte le grandi feste del Signore e della Madre di Dio vengono dall'Oriente  palestinese, e, furono accettate con grande entusiasmo dalle Chiese dell'Impero, e prima dei grandi scismi del V secolo, anche  dall'immensa cristianità dell'Impero parto. Il Natale, come sembra, venne da Roma, e fu accettato, sia pure con qualche esitazione, da tutte le Chiese.

Con questo, si vuole dire che le Chiese avevano la possibilità di controlli e di verifiche, e va detto che gli antichi padri nostri non erano affatto creduloni, ma spesso giustamente diffidenti, così da respingere ogni tentativo illecito e illegittimo di culto "non provato".

L'evangelista Luca in tutto questo ha una parte non piccola, quando con opportuni e abili accenni rimanda a luoghi ed eventi e date e persone.
Tommaso FEDERICI  
tratto da 30 Giorni, anno XVIII, novembre 2000, p. 63-68.


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natale


LA NASCITA DI GESU'
***

Se in te semplicità non fosse, come
T'accadrebbe il miracolo
di questa notte lucente? Quel Dio,
vedi, che sopra i popoli tuonava
si fa mansueto e viene al mondo in te.
Più grande forse lo avevi pensato?
Se mediti grandezza: ogni misura umana
dritto attraversa ed annienta
l’inflessibile fato di lui. Simili
vie neppure le stelle
hanno. Son grandi, vedi, questi re;
e tesori, i più grandi agli occhi loro,
al tuo grembo dinanzi essi trascinano.
Tu meravigli forse a tanto dono:
ma fra le pieghe del tuo panno guarda,
come ogni cosa Egli sorpassi già.
Tutta l'ambra imbarcata dalle terre più remote,
i gioielli aurei, gli aromi
che penetrano i sensi conturbanti:
tutto questo non era che fuggevole
brevità: d’essi, poi, ci si ravvede;
ma è gioia - vedrai - ciò che Egli dà.
Rainer Maria Rilke


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Il presepe raccontato dal papa
***
di Benedetto XVI


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Cari fratelli e sorelle, con la novena di Natale, che stiamo celebrando in questi giorni, la Chiesa ci invita a vivere in modo intenso e profondo la preparazione alla Nascita del Salvatore, ormai imminente. Il desiderio, che tutti portiamo nel cuore, è che la prossima festa del Natale ci doni, in mezzo all’attività frenetica dei nostri giorni, serena e profonda gioia per farci toccare con mano la bontà del nostro Dio e infonderci nuovo coraggio.

Per comprendere meglio il significato del Natale del Signore vorrei fare un breve cenno all’origine storica di questa solennità. Infatti,
l’anno liturgico della Chiesa non si è sviluppato inizialmente partendo dalla nascita di Cristo, ma dalla fede nella sua risurrezione. Perciò la festa più antica della cristianità non è il Natale, ma è la Pasqua; la risurrezione di Cristo fonda la fede cristiana, è alla base dell’annuncio del Vangelo e fa nascere la Chiesa. Quindi essere cristiani significa vivere in maniera pasquale, facendoci coinvolgere nel dinamismo che è originato dal Battesimo e che porta a morire al peccato per vivere con Dio (cfr. Romani 6, 4).

Il primo ad affermare con chiarezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma, nel suo commento al libro del profeta Daniele, scritto verso il 204. Qualche esegeta nota, poi, che in quel giorno si celebrava la festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme, istituita da Giuda Maccabeo nel 164 avanti Cristo. La coincidenza di date verrebbe allora a significare che con Gesù, apparso come luce di Dio nella notte, si realizza veramente la consacrazione del tempio, l’Avvento di Dio su questa terra.

Nella cristianità la festa del Natale ha assunto una forma definita nel IV secolo, quando essa prese il posto della festa romana del "Sol invictus", il sole invincibile; si mise così in evidenza che la nascita di Cristo è la vittoria della vera luce sulle tenebre del male e del peccato.

Tuttavia, la particolare e intensa atmosfera spirituale che circonda il Natale si è sviluppata nel Medioevo, grazie a san Francesco d’Assisi, che era profondamente innamorato dell’uomo Gesù, del Dio-con-noi. Il suo primo biografo, Tommaso da Celano, nella "Vita seconda" racconta che san Francesco "al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato a un seno umano" (Fonti Francescane, 199, p. 492).

Da questa particolare devozione al mistero dell’incarnazione ebbe
origine la famosa celebrazione del Natale a Greccio. Essa, probabilmente, fu ispirata a san Francesco dal suo pellegrinaggio in Terra Santa e dal presepe di Santa Maria Maggiore in Roma. Ciò che animava il Poverello di Assisi era il desiderio di sperimentare in maniera concreta, viva e attuale l’umile grandezza dell’evento della nascita del Bambino Gesù e di comunicarne la gioia a tutti.

Nella prima biografia, Tommaso da Celano parla della notte del presepe di Greccio in un modo vivo e toccante, offrendo un contributo decisivo alla diffusione della tradizione natalizia più bella, quella del presepe. La notte di Greccio, infatti
, ha ridonato alla cristianità l’intensità e la bellezza della festa del Natale, e ha educato il popolo di Dio a coglierne il messaggio più autentico, il particolare calore, e ad amare ed adorare l’umanità di Cristo.

Tale particolare approccio al Natale ha offerto alla fede cristiana una nuova dimensione
. La Pasqua aveva concentrato l’attenzione sulla potenza di Dio che vince la morte, inaugura la vita nuova e insegna a sperare nel mondo che verrà. Con san Francesco e il suo presepe venivano messi in evidenza l’amore inerme di Dio, la sua umiltà e la sua benignità, che nell’incarnazione del Verbo si manifesta agli uomini per insegnare un nuovo modo di vivere e di amare.

Il Celano racconta che, in quella notte di Natale, fu concessa a Francesco la grazia di una visione meravigliosa. Vide giacere immobile nella mangiatoia un piccolo bambino, che fu risvegliato dal sonno proprio dalla vicinanza di Francesco. E aggiunge: "Né questa visione discordava dai fatti perché, a opera della sua grazia che agiva per
mezzo del suo santo servo Francesco, il fanciullo Gesù fu risuscitato nel cuore di molti, che l’avevano dimenticato, e fu impresso profondamente nella loro memoria amorosa" (Vita prima, Fonti Francescane, 86, p. 307).

Questo quadro descrive con molta precisione quanto la fede viva e l’amore di Francesco per l’umanità di Cristo hanno trasmesso alla festa cristiana del Natale: la scoperta che Dio si rivela nelle tenere membra del Bambino Gesù.
Grazie a san Francesco, il popolo cristiano ha potuto percepire che a Natale Dio è davvero diventato l'"Emmanuele", il Dio-con-noi, dal quale non ci separa alcuna barriera e alcuna lontananza. In quel Bambino, Dio è diventato così prossimo a ciascuno di noi, così vicino, che possiamo dargli del tu e intrattenere con lui un rapporto confidenziale di profondo affetto, così come facciamo con un neonato.

In quel Bambino, infatti, si manifesta Dio-Amore: Dio viene senza armi, senza la forza, perché non intende conquistare, per così dire, dall’esterno, ma intende piuttosto essere accolto dall’uomo nella libertà; Dio si fa Bambino inerme per vincere la superbia, la violenza, la brama di possesso dell’uomo. In Gesù Dio ha assunto questa condizione povera e disarmante per vincerci con l’amore e condurci alla nostra vera identità. Non dobbiamo dimenticare che il titolo più grande di Gesù Cristo è proprio quello di "Figlio", Figlio di Dio; la dignità divina viene indicata con un termine che prolunga il riferimento all’umile condizione della mangiatoia di Betlemme, pur corrispondendo in maniera unica alla sua divinità, che è la divinità del "Figlio".

La sua condizione di Bambino ci indica, inoltre, come possiamo incontrare Dio e godere della sua presenza. È alla luce del Natale che possiamo comprendere le parole di Gesù: "Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Matteo 18, 3). Chi non ha capito il mistero del Natale, non ha capito l’elemento decisivo dell’esistenza cristiana. Chi non accoglie Gesù con cuore di bambino, non può entrare nel regno dei cieli: questo è quanto Francesco ha voluto ricordare alla cristianità del suo tempo e di tutti tempi, fino ad oggi.

Preghiamo il Padre perché conceda al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, proprio come fece Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano – riferendosi all’esperienza dei pastori nella Notte Santa (cfr. Luca 2, 20) - racconta a proposito di quanti furono presenti all’evento di Greccio: "Ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia" (Vita prima, Fonti Francescane, 86, p. 479).

È questo l'augurio che formulo con affetto a tutti voi, alle vostre famiglie e a quanti vi sono cari. Buon Natale a voi tutti!

(Catechesi tenuta da Benedetto XVI all'udienza generale di mercoledì 23 dicembre 2009).


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natale, benedettoxvi


 IL FANCIULLO PRESSO GESÙ
***
Prefazione
 Il bambino «con la manina»
 
I bambini sono creature strane, vi appaiono in sogno e vi immaginate di vederli.
Poco prima di Natale e nel giorno della vigilia mi accadeva sempre di incontrare nella via, al solito angolo, un piccino che non poteva avere più di sette anni. Con quel gelo terribile era vestito quasi come d’estate, ma aveva al collo un vecchio cencio, e ciò significava che vi era ancora chi lo vestiva prima di mandarlo fuori casa, lo mandava in giro «con la manina»: termine tecnico che vuol dire chiedere l’elemosina. Sono stati i bambini stessi a coniarlo. Ce n’è una moltitudine come lui, si aggirano per le vostre strade e ripetono in tono lamentoso quelle formule imparate a memoria; ma questo non si lamentava e parlava in un certo modo inusuale e ingenuo e mi guardava fiducioso negli occhi: doveva esser solo agli inizi della professione. Alle mie domande replicò che aveva una sorella a casa, senza lavoro e malata; forse era la verità, ma solo in seguito scoprii che di piccini così ve ne sono a miriadi; li mandano in giro «con la manina», anche nel gelo più terribile, e se non raccolgono nulla, vi sono senz’altro le botte ad attenderli. Racimolate le copeche, il bimbo ritorna con le dita intorpidite ed arrossate in qualche cantina dove si sta ubriacando una compagnia di perdigiorno, di quelli che «smettono di lavorare in fabbrica il sabato in vista della domenica e non vi fanno ritorno prima del mercoledì sera». Là nelle cantine, si ubriacano con loro anche le mogli affamate e maltrattate, e ancora lì vagiscono affamati i lattanti. Vodka, sporcizia, e depravazione, ma soprattutto vodka. Con le copeche raccolte il piccino viene subito spedito all’osteria, da cui torna con dell’altra vodka. Per divertimento versano anche a lui talvolta in bocca una mezzetta e sghignazzano quando, col respiro mozzato, cade sul pavimento quasi privo di sensi:

... e in bocca l’orribile vodka
senza pietà mi versava...

Una volta cresciuto, verrà spedito senza indugio da qualche fabbrica, ma tutti i suoi guadagni li porterà ancora a quei perdigiorno, che di nuovo se li berranno. Tuttavia già prima della fabbrica questi bimbi diventano dei perfetti delinquenti. Vagabondano per la città e conoscono vari posti nelle cantine dove pernottare indisturbati. Uno di loro pernottò per alcune notti di seguito da un portiere dentro una cesta, senza che questi se ne accorgesse neppure. Va da sé che diventano dei ladruncoli. Il furto si trasforma in passione persino per i bambini di otto anni e talvolta senza che siano minimamente consapevoli della criminosità della loro azione. Alla fine sopportano tutto: fame, freddo, botte solo per un’unica cosa, per la libertà, e fuggono dai loro perdigiorno per vagabondare ormai da soli. Sono dei selvaggi e talvolta non paiono neppure in grado di intendere nulla, né dove vivano, da che nazione provengano, né se vi sia Dio o se esista un sovrano; sul loro conto circolano voci tali da sembrare incredibili, ma tuttavia corrispondono ai fatti.



Ma io sono romanziere, e, mi pare, ho inventato una “storia”. Perché scrivo “mi pare”? Io stesso infatti so di sicuro di averla inventata, ma ho sempre l’impressione che questo sia accaduto chi sa dove e chi sa quando, che sia accaduto precisamente la vigilia di Natale, in qualche immensa città, e con un terribile gelo.
Mi si presenta l’immagine di un fanciullo, molto piccino ancora, di forse sei anni o anche meno. Questo fanciullo si destò un mattino in un sotterraneo umido e freddo. Aveva indosso una specie di giubboncino e tremava. Il suo alito si sprigionava come un bianco vapore, ed egli, stando seduto in un angolo, su un baule, di proposito emetteva quel vapore e si divertiva a vederlo uscir dalla bocca. Aveva però una gran voglia di mangiare. Più volte, fin dal mattino, si era accostato a un tavolaccio dove, sopra un misero pagliericcio e con un fagotto sotto il capo a mo’ di guanciale, giaceva la sua madre inferma. Come mai ella si trovava lì? Probabilmente era venuta col suo bambino da un’altra città e d’improvviso si era ammalata. La padrona di quei “cantucci”[1] la polizia l’aveva arrestata due giorni prima; gli inquilini erano andati in giro, poiché la giornata era festiva, tranne un rivendugliolo rimasto in casa, che già da ventiquattro ore giaceva ubriaco morto, non avendo atteso la festa per ubriacarsi. In un altro angolo della stanza gemeva per i reumatismi una vecchia ottantenne che un tempo era stata bambinaia e ora se ne moriva solitaria, sospirando, borbottando e brontolando contro il fanciullo, tanto che questi temeva ormai di avvicinarsi al “cantuccio” di lei. Da bere egli ne aveva trovato in qualche posto, nell’andito, ma una crosta di pane non aveva potuto scovarla, e forse già per la decima volta si era accostato alla mamma per destarla. Infine cominciò ad aver paura del buio: da un pezzo ormai era scesa la sera, ma non era stato acceso un lume. Palpato il viso della mamma, si meravigliò che ella non facesse alcun movimento e fosse diventata fredda come il muro. “Fa troppo freddo”, qui pensò, e attese un poco, dimenticandosi, inconsciamente, di levar la mano dalla spalla della morta, poi si soffiò sui ditini per riscaldarli, e a un tratto, avendo a tastoni trovato sul tavolaccio il suo berrettino, uscì alla chetichella e a tentoni dal sotterraneo. Sarebbe già andato via prima, ma aveva sempre avuto paura d’un grosso cane che stava disopra, sulla scala, e ululava tutto il giorno presso la porta dei vicini. Ma il cane ora non c’era, ed egli a un tratto uscì in strada.
Dio mio, che città! Egli non ha ancora mai veduto nulla di simile! Laggiù, donde è venuto, l’oscurità di notte è così nera, con un solo lampione in tutta la via! Le basse casupole di legno hanno tutte le imposte chiuse; sulla strada, appena si fa buio, non c’è più nessuno, tutti si rinchiudono in casa, e solo i cani urlano e abbaiano l’intera notte. Ma laggiù, in compenso, si stava così al caldo e gli davan da mangiare. O Signore, se almeno potesse mangiare anche qui! E che strepito, che chiasso c’è lì, quanta luce, e gente, e cavalli, e vetture; e un gelo, un gelo! Un vapore gelido fluisce dai cavalli frustati, dai musi che respirano ardenti; sulla neve soffice i loro ferri tintinnano urtando nei sassi, e come tutti si sospingono! ed egli ha tanta voglia di mangiare, o Signore, non fosse che un pezzetto di pane, e a un tratto i ditini si son messi a fargli così male! Un guardiano dell’ordine gli è passato accanto e si è voltato in là per non vedere il fanciullo.
Ecco un’altra via: oh, com’è larga! Qui lo schiacceranno certamente; e come tutti gridano, corrono, a piedi o in carrozza, e quanta luce, quanta luce! Ma che è questo? Oh, che vetro grande! e dietro quel vetro una stanza, e nella stanza un albero che arriva al soffitto: è un abete, e sull’abete quanti lumi, quante carte dorate e quante mele, e lì intorno fantocci e cavallini; e per la stanza corrono dei bimbi ben vestiti e lindi, che ridono, giuocano, mangiano e cantano. Ecco una bambina che s’è messa a ballare con un ragazzo, che graziosa bambina! Ed ecco anche una musica, attraverso il vetro la si sente. Il piccolo guarda, è meravigliato e già ride, ma gli fanno male anche i ditini dei piedi, e quelli delle mani si son fatti tutti rossi, non si piegano più e muoverli è doloroso. E a un tratto il piccino s’è accorto che le dita gli dolgono tanto, s’è messo a piangere ed è corso oltre, ma ecco che attraverso un altro vetro torna a scorgere una stanza, e anche lì degli alberi e, su tavole, pasticcini d’ogni sorta – con mandorle, rossi, gialli – e lì stan sedute quattro ricche signore che danno pasticcini a quanti vengono; la porta si apre ogni momento e molti signori entrano e vanno verso quelle signore. Il piccino s’è fatto avanti furtivo, d’un tratto ha aperto la porta ed è entrato. Oh, come si son messi a sgridarlo e ad agitare le mani verso di lui! Una signora gli si è avvicinata in fretta, gli ha ficcato in mano una copeca e gli ha aperto la porta per farlo uscire. Come s’è spaventato! E in quello stesso momento la copeca gli è scivolata di mano, tintinnando sui gradini: egli non ha potuto piegare i ditini arrossati per trattenerla. Il piccino è corso fuori e si è avviato lesto, ma senza sapere egli stesso da che parte. Vorrebbe di nuovo mettersi a piangere, ma ha troppa paura e corre, corre, soffiandosi sulle manine. E l’angoscia lo afferra, perché improvvisamente si è sentito così solo e pieno di paura. Ma a un tratto, o Signore, che c’è là ancora? Una folla di gente che sta lì e guarda con ammirazione: in una finestra, dietro il vetro, ci sono tre piccoli fantocci agghindati con vestitini rossi e verdi, proprio, proprio come vivi! Uno di essi è un vecchietto seduto che par che suoni un grosso violino, gli altri due sono in piedi e suonano dei violini piccoli piccoli, chinando le testine al ritmo della musica e guardandosi a vicenda; le loro labbra si muovono e parlano, parlano proprio; solo che attraverso il vetro non si sente nulla. Il piccino dapprima pensò che quelle fossero persone vive, ma quando capì che erano fantocci scoppiò a ridere! Aveva anche voglia di piangere, ma gli veniva tanto da ridere davanti a quei fantocci! A un tratto gli parve che qualcuno lo avesse afferrato di dietro per il giubboncino: un ragazzaccio cattivo gli stava accanto, e d’improvviso lo colpì sulla testa, gli strappò via il berrettino, e intanto gli diede uno sgambetto. Il piccino cadde a terra, la gente si mise a gridare, egli rimase intontito, balzò su, e via a correre, correre, e a un tratto entrò di corsa, senza rendersene conto, in un portone, in un cortile, e si accucciò dietro un mucchio di legna: “Qui non potranno trovarmi, e poi è buio”.
Si accucciò e si raggomitolò, e intanto non poteva riprender fiato dallo spavento, e a un tratto, proprio a un tratto, si senti così bene: le manine e i piedini avevano cessato di dolere e gli era venuto caldo, tanto caldo, come in vicinanza di una stufa; ma eccolo sussultar tutto: ah, stava per addormentarsi! Com’era bello addormentarsi là: “Rimarrò qui un momento, poi andrò di nuovo a guardare i fantocci”, pensò il piccino e sorrise, ricordandosene: “proprio come vivi!”. E all’improvviso sentì che la sua mamma s’era messa a cantare sopra di lui: "Mamma, io dormo, ah! com’è bello dormire qui!”...
«Vieni da me a veder l’albero di Natale, piccino», mormorò a un tratto sopra di lui una voce sommessa.
Sulle prime ha creduto che sia stata ancora la mamma a dir questo, invece no, non è stata lei; egli non vede chi l’ha chiamato, ma qualcuno si è chinato su di lui e lo ha abbracciato nel buio; il piccino gli ha teso una mano e... e improvvisamente, oh, quale luce! Oh, che albero di Natale! Anzi non è nemmeno un albero di Natale, egli non ha ancor veduto simili alberi! Dove mai si trova, adesso? Tutto riluce, tutto splende, e tutt’intorno non ci sono che fantocci... ma no, son tutti bambini e bambine, così luminosi, però, e tutti gli turbinano attorno volando, tutti lo baciano, lo prendono e lo portano con sé, e vola anche lui, e vede la mamma che lo guarda e ride gioiosamente.
«Mamma, mamma! Ah, com’è bello qui!» le grida il piccino, e torna a scambiar baci coi bimbi e vorrebbe narrar loro, al più presto, di quei fantocci nella vetrina. «Chi siete voi, bambini? Chi siete voi, bambine?» domanda ridendo, pieno d’amore per essi. «Questo è “l’albero di Natale di Gesù”», gli rispondono. «Gesù ha sempre, in questo giorno, un albero di Natale per i piccoli bimbi che laggiù non ne hanno uno proprio».
Ed egli apprese che tutti quei bambini e quelle bambine erano stati come lui, ma alcuni erano rimasti assiderati già nei panieri entro i quali li avevano abbandonati sulle scale, davanti alle porte degli impiegati di Pietroburgo, altri erano periti presso le balie finlandesi, durante l’allattamento per conto dell’orfanotrofio; altri erano morti sul seno inaridito delle loro madri (al tempo della carestia di Samara); altri ancora erano morti dal puzzo nei carrozzoni di terza classe, e tutti adesso erano lì, in veste di angeli, tutti presso Gesù, ed Egli era in mezzo ad essi e tendeva loro le braccia, benedicendoli insieme con le loro madri peccatrici... E anche tutte le madri di quei bimbi erano lì, in disparte, e piangevano; ciascuna riconosceva il suo bambino o la sua bambina, ed essi volavano verso di loro e le baciavano e asciugavano con le manine le loro lacrime, supplicandole di non piangere, perché lì essi erano tanto felici!...
E laggiù, all’alba, il portiere trovò il cadavere del fanciullo che, entrato là di corsa, era morto di freddo dietro il mucchio di legna; scovarono anche la sua mamma... Era morta ancor prima di lui, ed entrambi si erano incontrati in cielo, presso il Signore...


Fedor Michajlovic Dostoevskij
Da: Il fanciullo presso Gesù e altri racconti, a cura di Eva Amandola Kuhn, Milano 1953.


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martedì, 15 dicembre 2009

Racconto di Natale
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Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda - lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

"Che quantità di Dio!" esclamò sorridendo costui guardandosi intorno, "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori. Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale".

"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.

"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.

Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

"Ma che cosa fa', reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"

"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"
Dino Buzzati

Postato da: giacabi a 18:08 | link | commenti
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E' Natale
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E' Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tieni la mano.
E' Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l'altro.
E' Natale ogni volta che speri con quelli che disperano.
E' Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e le tue debolezze.
E' Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere in te e poi lo doni agli altri .
Madre Teresa di Calcutta


Postato da: giacabi a 16:40 | link | commenti
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lunedì, 14 dicembre 2009

Volle essere bambino ***



Volle essere bambino,
perché tu potessi diventare uomo perfetto;
egli fu costretto in  fasce,
 perché tu fossi sciolto dai lacci della morte;
egli fu nella stalla,
 per porre te sugli altari;
 egli fu in terra,
 affinché tu raggiungessi le stelle
S. Ambrogio


Postato da: giacabi a 06:56 | link | commenti (2)
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venerdì, 25 settembre 2009

L’uomo ha bisogno di compagnia
 ***
Condizione

Un uomo solo,

chiuso nella sua stanza.

Con tutte le sue ragioni,

Tutti i suoi torti.

Solo in una stanza vuota,

a parlare. Ai morti.

G. Caproni, Il muro della terra
***
Buon Natale
Oggi siamo seduti, alla vigilia
di Natale, noi gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre di fuori, il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo:
perché Tu ci sei davvero necessario
Bertolt Brecht


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