CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


sabato 18 febbraio 2012

natale2


Il Natale di Fortunato
***

Oggi che l'ala della pace cristiana sembra sfiorare la terra, la mia fantasia stanca non ama raccontarvi vicende di orchi e di fate, di gnomi e di malefizi. Evocherò per voi una fiaba non mia, una leggenda che ascoltavo dalla cara bocca d'una fantesca defunta, in altri Natali lontani, quand'ero piccolo come voi, miei piccoli amici.
La buona vecchia raccontava ed io fissavo attraverso i vetri il cielo bigio e la città invernale e la mia fantasia s'attendeva di veder rosseggiare la tunica di Gesù fra le rotaie dei tramvai, sotto il bagliore delle lampade elettriche...
Quando Gesù veramente compariva su questa terra e lasciava la tunica per travestirsi e confondere i peccatori e confortare gli oppressi, viveva in un paese lontano un contadino rimasto vedovo con molti figli troppo piccoli ancora per guadagnarsi la vita.
Era la Vigilia di -Natale e Fortunato - così si chiamava il pover'uomo - stava sulla porta di casa, pensoso ed inquieto. Non aveva danaro, non aveva lavoro, né sapeva come sfamare le sue creature.
Udiva a tratto, dall'interno della casa, lo strillare dei bimbi e si chiudeva gli orecchi e chinava il capo sulle ginocchia, col cuore spezzato..
- A che meditate, buon uomo? Perché siete così triste?
Fortunato alzò il viso sussultando e vide uno sconosciuto dinanzi a sé.
- Signore, se sono triste, non è senza ragione; i miei bimbi hanno fame; e non c'è in casa un tozzo di pane, non ho lavoro e non so come fare!
- Se voi voleste lavorare per me, vi pagherei lautamente.
- Non domando di meglio, signore!
- Sta bene. Andate domattina a falciare l'erica sulla brughiera e al tramonto verrò a pagarvi.
- Voi dimenticate che domani è Natale, il giorno più santo dell'anno. Comincerò dopo, con tutto lo zelo. - Allora non c'intendiamo... Comincio a dubitare che siate un simulatore e che non abbiate quel gran bisogno che dite.
- M'è testimonio Iddio che muoio di fame!
- Fate allora ciò che vi dico.
In quell'istante Fortunato intese i gemiti dei bimbi che dall'interno della casa imploravano disperati. - Sia! Farò come voi volete, per amore dei miei figli. E Dio, che vede,. perdonerà!
- Sta bene. Trovatevi domani sulla brughiera e al tramonto sarò a pagarvi.
E lo sconosciuto disparve.
L'indomani Fortunato s'alzò di buon mattino, fece le sue preghiere come di costume, intinse le dita nell'acqua benedetta, si segnò con un lento segno di croce, esitò ancora incerto, poi si decise, prese la falce e andò sulla brughiera. Ed eccolo a tagliare l'erica secca.
Lavorò tutto il giorno, mentre dal villaggio veniva sul vento, or sì or no, l'armonia osannante delle campane.
- Dio che vede mi perdonerà...
E proseguiva il lavoro e accumulava fasci su fasci, pregando sommessamente.
Era un Natale senza neve, gelido e sereno. Il sole declinava all'orizzonte in un cielo acceso e Fortunato depose la falce, si sedette stanco sopra una pietra, in attesa. Ma lo sconosciuto non giungeva.
Fortunato cominciava ad inquietarsi, quando intese un crepitio e vide nell'ombra del crepuscolo un vivo bagliore; si volse, balzò in piedi e vide che i fasci dell'erica divampavano crepitando. S'adoperò invano per domare le fiamme; in pochi secondi l'arido sterpame era in cenere.
- Oh! misero me! Ho faticato tutto il giorno a stomaco digiuno, ho profanato un giorno santo, ed eccomi a mani vuote, più miserabile di prima.
- Non desolarti, buon uomo! Non desolarti cosi! Fortunato si volse e vide nell'ombra un altro sconosciuto che lo fissava dolcemente.
Ed egli gli raccontò la sua disavventura.
- Ho avuto torto, lo riconosco; ma i miei figli morivano di fame... ma più della fame, più della vana fatica, mi duole d'aver profanato questo giorno solenne... Lo sconosciuto gli prese una mano, lo fissò a lungo, gli disse con voce soave:
- Ebbene, datevi pace. Vi pagherò io la giornata e assai più lautamente. Andate a casa e troverete il compenso. Ma adoperate pel meglio la vostra fortuna; né la casa vostra, né la vostra borsa si chiudano mai dinanzi alla sventura...
E lo sconosciuto disparve.
Fortunato pensò d'aver male inteso, tanto la promessa era bella, e ritornò verso casa con ansia frettolosa. Giunto in vista dell'abitazione, s'arrestò sbigottito, soffregandosi gli occhi, palpandosi, credendo di sognare. La misera capanna non c'era più, ma traspariva fra gli alberi una bella casa, dalle finestre luminose nella notte serena. Sulla porta l'attendevano i suoi figli festanti. Lo presero per mano, lo condussero in una sala dov'era imbandita una sontuosa mensa natalizia.
- Ad una parete, sul damasco azzurro, erano intrecciati la zappa, il bidente, i suoi attrezzi di contadino con in mezzo la croce di legno della preghiera consueta.
Fortunato piegò le ginocchia dinanzi a quel trofeo in muta adorazione verso il prodigio divino.
Da quel giorno Fortunato cambiò vita. Acquistò i campi dei vicini, ingrandì i suoi dominii a perdita di vista. Tutti erano sbigottiti da tanta prosperità e tenevano per certo che Fortunato avesse scoperto un tesoro favoloso.
Egli mantenne la promessa data al benefattore sconosciuto. Nessuna miseria sostava alla sua porta senza essere confortata di parola e di danaro.
Ma col tempo il suo carattere andò mutando; come arriva sovente, la ricchezza gl'indurì il cuore; a poco a poco si dimenticò del suo passato, si circondò di adula tori e di potenti, divenne fantastico, orgoglioso, arrogante.
Un giorno - era il Natale e compiva l'anno dell'incontro miracoloso - egli dava un pranzo di gala e aveva convitato tutti i ricchi e i nobili del paese.
Dalla sala di damasco azzurro era stato tolto il trofeo della croce e delle zappe e confinato nel solaio, come un ricordo vergognoso.
Fortunato aveva ordinato ai servi di non lasciare entrare nessun mendicante nel cortile del castello. Due valletti armati di bastone vigilavano l'ingresso per impedire il passo a chiunque non fosse invitato. Tuttavia, all'ora di sedere a mensa, arrivò nel cortile, non si seppe come, un vecchio mendicante. I servi gli furono sopra respingendolo e malmenandolo.
- Come sei qui, mascalzone? Via! Via! Esci all'istante! - E lo minacciarono coi bastoni alzati.
- Soccorrete un miserabile, in nome di Dio – disse il poveretto con voce supplicante.
- Oggi no. Ritorna domani.
Ma quegli insisteva e alzava la voce per essere udito dai convitati.
Fortunato intese, s'affacciò alle vetrate, furibondo, perché quei gemiti freddavano l'allegria dei suoi amici. - V'avevo detto di vietare il passo a quegl'intrusi! Scacciate quel miserabile e se resiste sciogliete i cani.
Furono sciolti i molossi, ma questi lambivano le mani del mendicante, che s'allontanò lentamente, scuotendo il capo.
Fortunato ritornò fra i commensali, riprese a bere, a ridere, a celiare.
Poco dopo entrò nel cortile, con gran fragore, una carrozza magnifica tirata da quattro superbi cavalli. E nella carrozza stava un principe, coperto d'oro e di gemme. I servi corsero ad avvertire il signore e tutti s'alzarono da tavola, si protesero alle finestre, guardando curiosi nel cortile.
Fortunato s'avanzò verso la carrozza, col cappello in mano, inchinando fino a terra lo sconosciuto; lo pregò di fargli l'onore di discendere e d'entrare nella casa.
- Grazie - rispose il forestiero - non discenderò, e non entrerò in casa vostra. Già son venuto poco fa come mendicante e voi mi avete fatto cacciare dai cani. Vengo ora con l'abito e l'equipaggio d'un signore e v'inchinate fino a terra... Accompagnatemi prima in un luogo non lungi di qui, dove parleremo delle cose nostre...
E il principe accompagnò Fortunato nella brughiera dove aveva falciato l'erica il Natale prima.
- Fortunato, Fortunato! Avete dimenticato così bene il nostro colloquio d'or è l'anno? Un anno di ricchezza e di prosperità è stato sufficiente per fare dell'uomo pio un miserabile orgoglioso! La ricchezza improvvisa v'ha inaridito il cuore: che la povertà ve lo rifaccia pietoso e cristiano!
Lo sconosciuto disparve e Fortunato ritornò di corsa al castello.
Ma il castello non c'era più.
Nevicava, nevicava, nel triste crepuscolo di dicembre; fra i tronchi e i rami Fortunato intravide la sua capanna di prima, illuminata dalla triste lucerna ad olio, intese le grida dei bimbi affamati. Castello, servi, oro, mensa, commensali, tutto era scomparso come in un sogno.
Fortunato sentì ripalpitare in cuore una tenerezza pietosa e riprese la via della salvezza e della povertà... Questo accadeva quando Gesù compariva sulla terra in misteriosi sembianti e visitava le campagne e sostava alle soglie per ammonire gli uomini.
GUIDO GOZZANO 


Postato da: giacabi a 09:04 | link | commenti
natale, gozzano

martedì, 30 dicembre 2008

***
 da: http://www.annavercors.splinder.com/

Cari amici, Vi mando alcune foto del Presepe Vivente che ha radunato insieme e ha visto rappresentati tutti quelli che sono piú vicini al Regno dei Cieli, chi nella sofferenza come i malati, chi nello sguardo come i bambini.
Uno spettacolo incredibile che apre il cuore, vedere come tutti si sono coinvolti: i bimbi cantavano nel coro degli angeli, i malati han portato i doni dei Re Magi, San Giuseppe non poteva essere più perfetto: Jorge, malato di Aids di origine ebraica. E poi le anziane della casa di accoglienza, che hanno acclamato il Signore vestite da pastorelle, mentre nella paglia piangeva appena nato Arnaldito, bimbo sieropositivo della Casita.
Un Presepe così bello e così commovente apre il cuore alla venuta del Signore,  
Buon Natale da tutti gli ospiti della clinica e i bambini della casita*


visita il sito della Fondazione San Rafael in Paraguay

Postato da: giacabi a 15:34 | link | commenti (1)
natale, presepe, padre trento

lunedì, 29 dicembre 2008

Venite alla Capanna
***
G.L.Ferretti - A.Sparagna: (Litania) Venite alla Capanna

Postato da: giacabi a 19:41 | link | commenti
natale, ferretti

venerdì, 26 dicembre 2008

Caro Gesù bambino, ti prego
riportaci presto
il senso del peccato
***

di Susanna Tamaro
Lettera per un Natale diverso. Le nostre trasgressioni sono un "mancare il bersaglio" della vita, della consapevolezza dell’esistere. Perché crescere non è altro che imparare a distinguere il bene dal male
Caro Gesù bambino, mi permetto di disturbarti perché so che ormai non saranno in molti a farlo. Un esercito di tripponi vestiti di rosso e con barbe posticce ha invaso il tempo a te dedicato e - con il e di renne volanti - ha offuscato la straordinaria umiltà della tua nascita. Questa folla vociante di buontemponi dagli occhi sbarrati in un’espressione di perenne felicità si cala dalle finestre dei condomini, staziona davanti ai negozi e nelle strade più commerciali delle città.
Sono loro ormai a raccogliere i desideri dei nostri bambini. Come non provare simpatia per questi arzilli nonnetti? Non c’è malizia nei loro occhi né traccia di rughe sulle loro guance, dai loro sacchi non esce mai carbone. La loro presenza ci parla di un mondo privo di ombre, un mondo dove tutti si vogliono bene, si fanno regali uniti da una eccitata felicità. C’è del male a essere felici, a desiderare l’armonia? Naturalmente no, forse per questo la schiera di amabili tripponi sono diventati così popolari.
Però, caro Gesù bambino, un mondo in cui non esiste l’ombra mi lascia vagamente inquieta. Ci sono tante cose che vorrei chiederti, ma forse la prima - e la più importante - è proprio questa. Riporta la coscienza dell’ombra nei nostri cuori, restituisci a tutti noi questa dimensione così umana. Che cos’è infatti l’uomo, senza la consapevolezza del male? Dai tempi di Rousseau ci viene ripetuto che l’uomo nasce naturalmente buono e questa ossessiva ripetizione ha finito con il dare i suoi frutti. La colpa del male che ci circonda, ci viene detto, non è mai in noi, ma sempre al di fuori: è colpa della società, delle ingiustizie, della corruzione, dei nostri genitori, della parte politica avversa, ma non dipende mai da una nostra precisa responsabilità. Sono state edificate grandi dittature su quest’idea - dittature che hanno causato decine e decine di milioni di morti innocenti - ma ciononostante continua ad essere radicata. Cambiando le condizioni esterne, si continua a ripetere, l’uomo cambierà e sarà in grado di rendere la società più giusta, più tollerante. E se invece la priorità fosse quella di cambiare l’interno?
Nelle ultime pagine di Va’ dove ti porta il cuore la nonna scriveva alla nipote: «Ricordati che la prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi, la prima e la più importante. Lottare per un’idea senza avere un’idea di sé è una delle cose più pericolose che si possano fare ». Riporta, dunque, nei nostri cuori, caro Gesù bambino, il senso di quella cosa ormai così ridicola, sorpassata e oscurantista che si chiama senso del peccato. Lo so, questo termine suscita nella maggior parte dei nostri contemporanei dei moti di fastidio o di ilarità: cosa c’entra il peccato con gli uomini moderni che dominano ogni cosa sotto la chiara luce della ragione? Sono convinti, penso, che il peccato sia un anacronistico sistema di controllo delle coscienze imposto dai vari fanatismi religiosi. Ma se invece il peccato fosse, come dice una delle sue etimologie ebraiche più frequenti, prima di tutto un «mancare il bersaglio», uno smarrire la strada, una deviazione di percorso? Deviazione dal nostro cammino di crescita. Che cos’altro è la vita dell’uomo se non un faticoso, affascinante, meraviglioso cammino verso il bersaglio, cioè la piena consapevolezza dell’esistere?
Un cammino di continua lotta contro le tenebre che cercano di sopraffarci, dove le tenebre non sono un dispetto fatto al Papa, ma quella forza oscura che costantemente agisce dentro di noi portandoci verso la chiusura, l’egoismo, l’odio per sé e per gli altri mascherato da mille suadenti volti. Il cammino dell’uomo non è altro che un processo di unificazione. Si nasce divisi, ci sono tante pulsioni in noi in lotta tra loro per predominare. Crescere vuol dire appunto discernere, imparare a distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è. Il criterio per la distinzione è estremamente semplice: è bene tutto ciò che costruisce, tutto ciò che l’uomo fa per l’uomo nella dimensione dell’apertura e dell’amore; è male tutto ciò che, nel tempo, si dimostra portatore di divisione e di distruzione, anche se all’inizio è apparso benevolo.
Ogni mattina, quando mi sveglio e comincio la giornata, so che dentro di me sonnecchia un potenziale assassino, sento perfettamente viva la grande scimmia che c’è in me, una scimmia pronta a difendere il suo territorio a morsi e a colpi di randello, incapace di elaborare pensieri molto più complessi di quelli legati alla propria sopravvivenza. Sono però cosciente che invece quello che mi divide dalle grandi scimmie - quel due per cento di diversità genetica - è proprio la possibilità di scegliere e di costruire la mia vita sulla base di questa capacità. Ogni scelta naturalmente è una rinuncia: è rinunciando a delle cose che imparo a riconoscere la parte di me che vuole crescere da quella che, invece, vuole mantenermi ferma. In una società bulimica come la nostra, il discorso della rinuncia suona sinistro, eppure senza questo percorso non si potrà mai raggiungere la saggezza e la sapienza, vero scopo della vita dell’uomo.
Che senso ha invecchiare, inseguendo il simulacro dell’eterna giovinezza, gonfiandosi le labbra, le guance? Una società che non accetta il cambiamento, che non riconosce il principio del male è inerme davanti ai mostri che lei stessa produce. È una società che, per anestetizzare la propria coscienza, ha bisogno di alzare sempre più alte le bandiere dell’umanitarismo, della tolleranza, del pacifismo. Sente i demoni salire dentro di sé, ma non sa come tenerli a bada, così usa i surrogati: per non parlare del bene, ci fa indossare gli osceni abiti del buonismo volendo farci credere che indossare la pelle della pecora sia la stessa cosa che diventare agnelli.
Come dormiamo sereni con le nostre bandiere della pace alla finestra, con le petizioni che firmiamo, con le indignazioni che si susseguono giorno dopo giorno seguendo l’orchestrazione emotiva dei mass media. Com’è bello sentirsi buoni e giusti mentre il mondo intorno a noi è popolato di ottusi, di fanatici, di malvagi. Lottare per la giustizia sulla terra è una cosa importantissima, come tu sai, ma per farlo bisogna avere un cuore indiviso, capace di mettere sempre il mistero della persona in primo piano e non l’abito disonesto del pregiudizio e dell’ideologia.
Ci sono tante altre cosa che vorrei chiederti, caro Gesù bambino. Vorrei chiederti, ad esempio, di far sparire il cinismo dalle nostre menti e dai nostri pensieri, di riportare in noi la capacità di accogliere con stupore l’arrivo di un nuovo giorno, sapendo che qualsiasi cosa ci accadrà sarà comunque importante perché ci servirà per imparare. Cancella tutti gli «ismi» dai nostri cuori e riempili di compassione. Compassione per le persone, per gli animali, per le piante, per tutto il mondo che vive assieme a noi e, con noi, condivide il mistero del male. Rendi di nuovo innocenti i nostri bambini che abbiamo trattato come cassonetti della spazzatura buttando loro addosso ogni sorta di porcheria pretendendo poi che diventino delle belle persone e dei bravi cittadini. Ridona ai genitori la capacità di educare e di guardare a ogni figlio come un essere delicato e prezioso da trattare con fermezza e con amore, proteggendolo dalle oscenità del mondo circostante.
E infine porta un grande carico di vergogna a tutte le persone che occupano un posto di potere e non agiscono per il bene della comunità. Fai arrossire i corrotti, gli evasori, gli ipocriti, i demagoghi e tutti coloro che vivono proni davanti agli idoli del potere e del denaro. Caro Gesù bambino, fa’ che noi continuiamo a sentirci creature fragili, dal destino misterioso, dal compito affascinante e non automi docilmente succubi del fracasso dei media. Fa’ che siamo capaci di ribellarci a questa oscurità che ci viene fatta passare per luce, alle luci finte, alle barbe finte, alla pance finte, ai pensieri e ai sentimenti finti, alle finte eterne giovinezze. Fa’ che in ognuno di noi torni a radicarsi l’idea che non c’è altro senso del cammino della vita che la costruzione e la ricerca dell’amore.
Susanna Tamaro

Postato da: giacabi a 09:07 | link | commenti
natale, tamaro

giovedì, 25 dicembre 2008

Buon Natale
***
Al di sopra dell’infinità dello spazio e del tempo, l’amore infinitamente più infinito è venuto ad afferrarci. Simone Weil

Postato da: giacabi a 14:20 | link | commenti (2)
natale, weil


ARIA DI NEVE

***

di Adriana Mascagni

Aria di neve stasera e nessuno
ha tempo di aprire la porta ed il cuore.

Aria di neve stasera e qualcuno
ancora va in giro,
ancora non sa
dove andrà
questa notte a riposare.


Un uomo che batte
a tutte le porte,
un uomo che chiede
a tutte le case
se non c’è
un posto per lei,
per lei,
che è con me.

Aria di neve stasera...

La donna si piega
sul suo dolore
al figlio che nasce
darà il suo calore
ci sarà
un muro, vedrai
vedrai, basterà.

Aria di neve stasera e nessuno
ha tempo di aprire la porta ed il cuore.
Aria di neve stasera e nel cielo
si muove una stella
che si fermerà solo là
sulla casa più lontana.


Il bimbo che piange
in mezzo alla paglia
la donna che prega
e l’uomo che guarda.
Regnerà.
Il mondo chi sei
chi sei
non lo sa.


Aria di neve stasera...

Andemus a Sa Grutta
- Naschid'est Coro polifonico "Santu Domini" di Zerfaliu
Il coro di Zerfaliu canta Notte de Chelu


Postato da: giacabi a 09:22 | link | commenti
canti, natale, sardegma

mercoledì, 24 dicembre 2008

Il Natale è la festa dell’uomo
***
Natale è la festa dell’uomo. Nasce l’Uomo. Uno dei miliardi di uomini che sono nati, nascono e nasceranno sulla terra. L’uomo, un elemento componente della grande statistica... L’uomo, oggetto del calcolo, considerato sotto la categoria della quantità; uno fra miliardi. E nello stesso tempo, uno, unico e irrepetibile. Se noi celebriamo così solennemente la Nascita di Gesù, lo facciamo per testimoniare che ogni uomo è qualcuno, unico e irrepetibile. Se le nostre statistiche umane, le catalogazioni umane, gli umani sistemi politici, economici e sociali, le semplici umane possibilità non riescono ad assicurare all’uomo che egli possa nascere, esistere ed operare come unico e irrepetibile, allora tutto ciò glielo assicura Iddio. Per Lui e di fronte a Lui, l’uomo è sempre unico e irrepetibile; qualcuno eternamente ideato ed eternamente prescelto; qualcuno chiamato e denominato con il proprio nomeGiovanni Paolo II, Radiomessaggio natalizio, 25 dicembre 1978

grazie a : www.culturacattolica.it/



Postato da: giacabi a 08:54 | link | commenti (3)
natale, giovanni paoloii

martedì, 23 dicembre 2008

Il Natale e la Speranza
***
Carrón su La Repubblica: Il Natale e la Speranza
martedì 23 dicembre 2008
Caro direttore, sono stato colpito dalle letture che la Liturgia ambrosiana proponeva il lunedì della terza settimana di Avvento. Come devono essere rimasti sconcertati i membri dell’antico popolo di Israele davanti alle parole del profeta Geremia: «Divorerà le tue messi e il tuo pane; divorerà i tuoi figli e le tue figlie; divorerà i greggi e gli armenti; distruggerà le città fortificate nelle quali riponevi la fiducia» (Ger 5,17). Annunciava loro che un’altra nazione stava per sconfiggere il regno su cui avevano riposto fiducia. «Allora, se diranno: "Perché il Signore nostro Dio ci fa tutte queste cose?", tu risponderai: "Come voi avete abbandonato il Signore e avete servito divinità straniere nel vostro paese, così servirete gli stranieri in un paese non vostro"» (Ger5,19).
E come se questo fosse detto per noi; oggi vediamo segnali che preoccupano tutti, come se quello che ha sostenuto la nostra storia non potesse resistere all’urto dei tempi: un giorno sono l’economia, la finanza e il lavoro, un altro la politica e la giustizia, un  altro ancora la famiglia, l’inizio della vita e la sua fine naturale. E così, come l’antico Israele di fronte a una situazione preoccupante, anche noi ci domandiamo: «Perché accade tutto questo?». Perché anche noi siamo stati talmente presuntuosi da pensare di cavarcela dopo avere tagliato la radice che sosteneva l’edificio della nostra civiltà. Negli ultimi secoli, infatti, la nostra cultura ha pensato di poter costruire il futuro da sé, abbandonando Dio. Ora vediamo dove ci sta portando questa pretesa.
Davanti a tutto questo che ci siamo procurati, il Signore che cosa fa? Ce lo indica il profeta Zaccaria, parlando al suo popolo Israele: «Ecco, io manderò», attenzione al nome, «il mio servo Germoglio» (Zc 3,8). E come se davanti alla crisi di un mondo, il nostro - i profeti userebbero per descriverla un’immagine a loro molto cara, quella del tronco secco -, spuntasse un segno di speranza. Tutta l’enormità del tronco secco non può evitare che in mezzo al popolo, umile e fragile, spunti un germoglio, nel quale è riposta la speranza del futuro.
Ma c`è un inconveniente: anche noi, quando vediamo apparire questo germoglio - come coloro che erano davanti a quel bambino a Nazareth -, possiamo dire scandalizzati: «É  mai possibile che una cosa così effimera possa essere la risposta alla nostra attesa di liberazione?». Da una realtà così piccola come la fede in Gesù può venire la salvezza? Ci pare impossibile che tutta la nostra speranza possa poggiare sulla appartenenza a questo fragile segno, ed è motivo di scandalo la promessa che solo a partire da esso si possa ricostruire tutto. Eppure uomini come san Benedetto e san Francesco hanno fatto proprio così: cominciarono a vivere appartenendo a quel germoglio che si era inoltrato nel tempo e nello spazio, la Chiesa. E sono diventati protagonisti di popolo e di storia.
Benedetto non affrontò da arrabbiato la fine dell’impero, non protestò perché il mondo non era cristiano, né si lamentò perché tutto crollava, accusando l’immoralità dei suoi contemporanei. Piuttosto testimoniò alla gente del suo tempo una compiutezza del vivere, una soddisfazione e una pienezza che divenne attraente per tanti. E fu l’albore di un mondo nuovo, piccolo quanto si vuole - quasi un niente paragonato al tutto, un tutto che pur franava d a ogni parte -, ma reale. Quel nuovo inizio fu talmente concreto che l’opera di Benedetto e di Francesco è durata nei secoli e ha trasformato l’Europa, umanizzandola.
«Egli si è mostrato. Egli personalmente», ha detto Benedetto XVI parlando del Dio-con-noi. E don Giussani: «Quell`uomo di duemila anni fa si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di un’umanità diversa», in un segno reale che desta il presentimento di quella vita che tutti attendiamo per non soccombere al nostro male e ai segnati del nulla che avanza. E la speranza che ci annuncia il Natale, per cui gridiamo: «Vieni, Signore Gesù!».
Pubblicato su La Repubblica del 23 Dicembre 2008

 da: http://www.ilsussidiario.net/


Postato da: giacabi a 20:16 | link | commenti (1)
natale, carron


Che sia un grande pazzo Natale a  tutti
***
Paura della pazzia. Vedere pazzia in ogni sentimento che miri direttamente a una mèta e faccia dimenticare tutto il resto. Che cosa è allora la non-pazzia? Non-pazzia è stare come un mendicante davanti alla soglia di fianco all’ingresso, marcirvi e crollare.
Eppure P. e O. sono pazzi disgustosi. Ci devono essere pazzie più grandi di coloro che ne sono affetti. Questo espandersi dei piccoli pazzi nella grande pazzia è forse ciò che disgusta.
Ma ai farisei non apparve anche Cristo in queste condizioni?”
Franz Kafka, Diari Mondadori

Postato da: giacabi a 14:23 | link | commenti
natale, kafka

lunedì, 22 dicembre 2008

      NATALE DEL SIGNORE
 ***
dicembre 08
     La verità è sorta dalla terra
Chiamiamo Natale del Signore il giorno in cui la Sapienza di Dio si manifestò in un bambino e il Verbo di Dio, che si esprime senza parole, emise vagiti umani. La divinità nascosta in quel bambino fu tuttavia indicata ai Magi per mezzo di una stella e fu annunziata ai pastori dalla voce degli angeli. Con questa festa che ricorre ogni anno celebriamo dunque il giorno in cui si adempì la profezia: La verità è sorta dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo  La Verità che è nel seno del Padre è sorta dalla terra perché fosse anche nel seno di una madre. La Verità che regge il mondo intero è sorta dalla terra perché fosse sorretta da mani di donna. La Verità che alimenta incorruttibilmente la beatitudine degli angeli è sorta dalla terra perché venisse allattata da un seno di donna. La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia. Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile? Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi, se crediamo. Ridestati, uomo: per te Dio si è fatto uomo. Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà . Per te, ripeto, Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato liberato dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato . Ti saresti trovato per sempre in uno stato di miseria se lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere se lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno se lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto se lui non fosse arrivato.
Sant’Agostino dal discorso 185

Postato da: giacabi a 09:02 | link | commenti
natale, agostino

lunedì, 08 dicembre 2008

 La notte santa
***
   Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.

Presso quell'osteria potremo riposare, ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scocca lentamente le sei.

 - Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio? Un po' di posto per me e per Giuseppe?

- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio; son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

 Il campanile scocca lentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi? Mia moglie più non regge ed io son così rotto!

- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi: Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.

Il campanile scocca lentamente le otto.

- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno avete per dormire? Non ci mandate altrove!

 - S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.

Il campanile scocca lentamente le nove.

Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella! Pensate in quale stato e quanta strada feci!

- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella. Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...

Il campanile scocca lentamente le dieci.

Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname? Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente? L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame non amo la miscela dell'alta e bassa gente.

Il campanile scocca le undici lentamente.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due? - Che freddo! - Siamo a sosta

 - Ma quanta neve, quanta! Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...

Maria già trascolora, divinamente affranta...

Il campanile scocca La Mezzanotte Santa.
È nato! Alleluja! Alleluja! È nato il Sovrano Bambino. La notte, che già fu sì buia, risplende d'un astro divino. Orsù, cornamuse, più gaje suonate; squillate, campane! Venite, pastori e massaie, o genti vicine e lontane! Non sete, non molli tappeti, ma, come nei libri hanno detto da quattro mill'anni i Profeti, un poco di paglia ha per letto. Per quattro mill'anni s'attese quest'ora su tutte le ore. È nato! È nato il Signore! È nato nel nostro paese! Risplende d'un astro divino La notte che già fu sì buia. È nato il Sovrano Bambino. È nato! Alleluja! Alleluja!

Postato da: giacabi a 10:09 | link | commenti
natale

sabato, 08 marzo 2008


La commedia del Santo Natale
***


Tra pochi giorni è Natale, e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia. Perché nessuno ha il coraggio di dirsi che il secolo non è mai stato così poco cristiano come in questi anni?
Perché nessuno di noi osa riconoscere che la magniloquenza degli uomini politici, la 'grande parata' dei sentimenti evangelici, le processioni dei falsi devoti, servono soltanto a nascondere questa terribile verità: che gli uomini non sono più cristiani, che Cristo è morto nell’anima dei suoi figli, che l’ipocrisia è discesa, dalla politica, fin nella vita sociale, familiare, individuale? In tutto il mondo, e anche dall’Italia, si ammazza, si ruba, si tradisce, s’inganna. In tutto il mondo, e anche in Italia, uomini malvagi preparano nuove violenze, nuovi massacri: e tutti noi, come se nulla fosse, ci prepariamo alla commedia (che una volta era la festa dell’innocenza) del Santo Natale. Non ci importa nulla per impedire la sofferenza, la miseria, il male, il delitto, la violenza e la strage. Stiamo cheti e zitti, festeggiamo il Santo Natale. Tanta è la nostra incoscienza, che forse non ci accorgiamo neppure di essere complici dell’immoralità del mondo. E osiamo tuttavia parlare di un avvenire di giustizia e di pace! Vorrei che il giorno di Natale il panettone diventasse carne dolente sotto il nostro coltello, e il vino diventasse sangue e avessimo tutti, per un istante, l’orrore del mondo in bocca. Vorrei che il giorno di Natale i nostri bambini ci apparissero all’improvviso come saranno domani, fra alcuni anni, se non oseremo ribellarci contro il male che ci minaccia: poveri corpi straziati, abbandonati nel fango rosso di un campo di battaglia. Vorrei che la notte di Natale in tutte le chiese del mondo, un povero prete si levasse gridando: «Via da questa culla, vigliacchi, andate a casa vostra, che non osate difendere la giustizia e la bontà, e avete paura d’esser cristiani fino in fondo!
Via da questa culla, ipocriti: questo Bambino, che è nato per salvare il mondo, ha schifo e pietà di voi».

 
CURZIO MALAPARTE
tratto da «La commedia del Santo Natale», 1954.  http://www.identitaeuropea.org/archivio/articoli/rizzi_giallo.html


Postato da: giacabi a 14:49 | link | commenti
natale

sabato, 05 gennaio 2008

IL VIAGGIO DEI MAGI
***
Fu un freddo avvento per noi,
proprio il tempo peggiore dell'anno
per un viaggio, per un lungo viaggio come questo:
le vie fangose e la stagione rigida, nel cuore dell'inverno.
E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili,
sdraiati nella neve che si scioglie.
Vi furono momenti in cui noi rimpiangemmo
i palazzi d'estate sui pendii, le terrazze,
e le fanciulle seriche che portano il sorbetto
.
Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano
e disertavano, e volevano donne e liquori,
e i fuochi notturni s'estinguevano, mancavano ricoveri,
e le città ostili e i paesi nemici
ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo: ore diffidi avemmo.
Preferimmo alla fine viaggiare di notte,
dormendo a tratti,
con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo
che questo era tutto follia.
Poi all'alba giungemmo a una valle più tiepida,
umida, sotto la linea della neve, tutta odorante di vegetazione;
con un ruscello in corsa ed un mulino ad acqua che batteva buio,
e tre alberi contro il cielo basso,
ed un vecchio cavallo bianco al galoppo sul prato.
Poi arrivammo a una taverna con l'architrave coperta di pampini,
sei mani ad una porta aperta a dadi monete d'argento, e piedi davano calci agli otri vuoti.
Ma non avemmo alcuna informazione, e così proseguimmo
ed arrivati a sera non solo un momento troppo presto
trovammo il posto; cosa soddisfacente voi direte.
Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,
e lo farei di nuovo,
ma considerate
questo considerate questo: ci trascinammo per tutta quella strada
per una Nascita o una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,
ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
come un'aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte.
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,
ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.
Io sarei lieto di un'altra morte.
T.S. Eliot



Postato da: giacabi a 15:09 | link | commenti
natale, eliot

giovedì, 03 gennaio 2008

Così è stato il natale per molti giovani di oggi
***

fa65f1ee2cf40f890ba48ab73eaeab19

CONSIDERAZIONE


Il sesso. La partita

domenicale.

                 La vita

così è risolta.

                 Resta

(miseria d'una sorte!)

da risolver la morte
.



Giorgio Caproni da "Il muro della terra"


Postato da: giacabi a 22:27 | link | commenti (1)
natale, caproni

mercoledì, 02 gennaio 2008

Il Natale visto da Gandhi
***
Finché l’anelito della pace resterà insoddisfatto
e finché non avremo sradicato la violenza
dalla nostra civiltà,
il Cristo non è ancora nato
.
Quando la pace autentica si sarà affermata,
ogni dimostrazione sarà inutile,
tale sarà l’irradiazione della nostra vita
non solo individuale, ma anche sociale
.
Solo allora diremo che il Cristo
è nato in mezzo a noi
.

Allora non penseremo tanto
a un giorno che è un anniversario.
Ma a un avvenimento che può realizzarsi
in tutta la nostra vita.
L’importante e vivere la vita
che non si ferma mai,
che sempre avanza verso la pace.
Se, dunque, si augura un “ Buon Natale”
senza dare un senso profondo a questa frase,
tale augurio resta una semplice formula vuota.
Chi non vuole la pace per tutti
non la vuole nemmeno per se stesso.

La pace non è possibile se da tutte le parti,
contemporaneamente,
non c’è un’ intensa aspirazione alla pace.

È possibile, certo, sentire la pace
anche in clima di lotta,
ma solo a condizione di sacrificare
e di crocifiggere se stessi,
per far scomparire le cause dei conflitti.
Sicché, come la nascita miracolosa
è un avvenimento, anche la croce
è un avvenimento in questa vita di lotta
.
Ecco perché noi non abbiamo diritto
di pensare alla natività,
senza pensare anche alla morte sulla croce.
Cristo vivo significa croce viva,
senza di essa la vita
non è che una morte agitata
.

MAHATMA GANDHI

Young India, 31 dic.1931                                               grazie a MariaTeresa

Postato da: giacabi a 15:56 | link | commenti
gandhi, natale

giovedì, 27 dicembre 2007

Il santo di Natale
Una carriola al posto della culla: è Natale
***
Carissimi amici,
queste settimane inizia la novena di Natale. Quest'anno il Papa ci ha davvero sorpresi con un regalo unico e bellissimo: “Spe salvi”. Nelle sue parole c’è tutta la clinica, il volto addolorato e sereno di ogni paziente, perché la speranza è un “già” evidentissimo nella Presenza Eucaristica. In questi giorni in cui sono stato in Italia il Direttore Sanitario, cioè Cristo stesso Eucarestia esposto 24 ore su 24 nel cuore della Clinica, e il Parroco, sempre Lui, ha portato avanti l'opera come nessuno potrebbe neppure immaginare. Il segno più evidente è l’atteggiamento del personale, pieno di responsabilità e l’allegria con cui i pazienti, quelli che hanno sopravvissuto, mi hanno ri-accolto.
Che bello che sia tornato... così a notte fonda vediamo ancora la tua sagoma aggirarsi nei corridoi per vedere chi dorme o chi sta male e non riesce a chiudere occhio neanche con dosi forti di morfina. L´uomo ha solo bisogno di compagnia, dicevo ai medici e al personale. L'uomo non ha bisogno di consigli ma di qualcuno che lo prenda per la mano e l´accompagni davanti al Padre Eterno. E così il giorno dopo il mio ritorno, siamo andati in un luogo indescrivibile per la sporcizia e la violenza a prendere Giuseppe, di cui vedete la foto, l´uomo della “caretilla” si dice da questa parte. Ossia l´uomo che ha avuto come casa una cariola, che potete vedere nell’immagine. Giuseppe di giorno con la cariola andava a portare di qua e di là la merce per i padroni di turno e di notte ci dormiva. La carriola racchiude tutta la sua vita. Però da alcuni mesi era diventato il suo letto di agonia. Parcheggiata al solito posto, in uno sgabuzzino ricoperto di plastica, era diventato per lui l´unico luogo di accoglienza. Quando già non parlava più, disidratato, già in fin di vita, un vicino non vedendolo da tempo si è avvicinato a quell´immondezzaio e vedendo Giuseppe in quelle condizioni, aiutato dai vicini, l´ha portato in vari ospedali statali, dove è stato rifiutato. E così e stato riportato nella sua cariola, nell´attesa della morte. Ma Dio che non dimentica un istante i suoi figli bisognosi ha fatto il miracolo. Una donna avvisa l’amico di Giuseppe della nostra Clinica. La nostra assistente sociale - come una freccia con la punta piena della carità di Cristo - corre a vedere. Torna, e al Direttivo sanitario riunito pone all’attenzione di tutti i membri il problema, e ovviamente subito diamo l’ordine all’autista dell’ambulanza di andare a prenderlo. Le condizioni in cui lo troviamo sono indescrivibili, peggiori di quelle che la foto di qualche mese fa mostra. Arriva da noi e subito il personale, cosciente che è arrivato un nuovo Gesù Bambino sporco, con la barba incolta, avvolto in poveri cenci, lo puliscono e lo mettono in un letto bello, tutto bianco. Adesso sembra l’ostia, meglio è come l’ostia consacrata che domina la clinica. Non parla, non vede, solo qualche movimento... peró capisce il linguaggio dell’amore… ed è tutto. Anche per lui è iniziata la novena di Natale. Mi inginocchio davanti a questo Cristo crocifisso, lo bacio, lo adoro: è il mio nuovo Gesù.
Questa mattina gli ho dato gli oli santi, la benedizione Papale e l'ho consegnato nelle mani della Madonna. Sono contento perché davvero non potevo desiderare una cosa più grande e più bella per iniziare la novena di Natale. Un po' in anticipo... però che importa per chi ogni giorno è Natale. Lo vedo lì avvolto nelle lenzuola bianche e lo guardo, possibilmente e con la grazia di Dio, come la Madonna e Giuseppe guardavano quel bambino nelle grotta di Betlemme.
Pregate per me e per questi miei figli.
Con affetto,
P. Aldo Trento


Postato da: giacabi a 18:34 | link | commenti
natale, testimonianza, padre trento

martedì, 25 dicembre 2007

novalis www.scuolaspiritualita.it

Postato da: giacabi a 14:44 | link | commenti
natale, novalis


Un bambino è nato per noi
 ***
 [1]  Il popolo che camminava nelle tenebre
vide una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.


[2]
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te

come si gioisce quando si miete
e come si gioisce quando si spartisce la preda.

[3]
Poiché il giogo che gli pesava
e la sbarra sulle sue spalle,
il bastone del suo aguzzino
tu hai spezzato
come al tempo di Madian.

[4]
Poiché ogni calzatura di soldato nella mischia
e ogni mantello macchiato di sangue
sarà bruciato,
sarà esca del fuoco.

[5]
Poiché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il segno della sovranità
ed è chiamato:
Consigliere ammirabile, Dio potente,
Padre per sempre,
Principe della pace;

[6]
grande sarà il suo dominio
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e sempre
;
questo farà lo zelo del Signore degli eserciti
.
Isaia cap.9,1
AUGURI DI BUON NATALE

Postato da: giacabi a 08:42 | link | commenti
natale


Natale: che parte recitiamo?
***
« Se Dio fa di Maria uno strumento, se Dio stesso vuole venire in questo mondo nella mangiatoia di Gerusalemme, allora questo non è un idilliaco quadretto familiare, ma l’inizio di un totale rivolgimento, di un nuovo ordine di tutte le cose di questo mondo. Se vogliamo partecipare all’Avvento e al Natale, allora non potremo fare soltanto gli spettatori come a teatro, in cui stiamo da una parte e ci gustiamo lo spettacolo, ma saremo trascinati nell’azione che si svolge, in questo rivolgimento di tutte le cose. Qui dobbiamo recitare anche noi sulla scena, qui lo spettatore è sempre un personaggio dello spettacolo, qui non possiamo sottrarci.
Che parte recitiamo
? quella dei pii pastori che s’inginocchiano? dei magi che portano doni? che cosa si rappresenta dove Maria è la madre di Dio, dove Dio viene al mondo in una mangiatoia? Il mondo viene giudicato e redento, ecco che cosa accade qui; e il Cristo bambino, che è nella mangiatoia, è colui che mette in atto il giudizio e la redenzione, che rimanda a mani vuote i grandi e i potenti, che rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, stende il suo braccio potente sui superbi e i forti, eleva ciò che è basso, magnificandolo e glorificandolo nella sua misericordia
. »


Dietrich Bonhoeffer                                     grazie a Teresa

Auguri di Buon Natale


Postato da: giacabi a 08:00 | link | commenti
natale, bonhoeffer

lunedì, 24 dicembre 2007

Auguri a tutti di 
Buon Natale!

***
Octavio Ocampo Nativity

Postato da: giacabi a 20:06 | link | commenti (3)
natale

domenica, 23 dicembre 2007

 Natale

***

Natale. La festa più bella diventata la più odiosa. Scervellarsi per scegliere i regali, pigiarsi con la gente nei negozi, rimetterci la tredicesima. Riempirsi la casa e riempire l’altrui di cose inutili. Chi non ha famiglia o ha contrasti all’interno di essa odia questa festa vieppiù. Il politically correct ha raggiunto il capolavoro del ridicolo sfrattando Cristo dal di Lui compleanno, così che si festeggia e si sta in ferie senza motivo.

Luci e neon e palline colorate e finta allegria fino alle 20,00 del 24 sera, poi di colpo il silenzio. Poi due giorni di negozi chiusi e città fantasma. Natale coi film di Pieraccioni e De Sica e Boldi. Qualcuno si spara. Qualcun altro spara ai parenti.

Natale, che comincia a novembre e finisce il 7 gennaio. Nessuno era riuscito ad abolire il Natale cristiano, neanche Hitler.
C’è riuscita la stupidità umana. Meglio ricordarsi che l’8 dicembre si è aperto l’anno giubilare di Lourdes e che si può lucrare l’indulgenza plenaria per sé, per le anime del Purgatorio o per chi si vuole.
Se proprio non avete per chi chiederla, chiedetela per me, che non vedo l’ora, ogni anno, che passino i due mesi natalizi.

Postato da: giacabi a 21:33 | link | commenti
natale


LA NOSTRA INDISTRUTTIBILE COMPAGNIA
***

l’editoriale di don Giussani pubblicato in prima pagina su Avvenire il 24 dicembre 2003

Giuseppe non si è meravigliato che la donna avesse un bambino, ma che ''quel'' bambino fosse di ''quella'' donna, Maria. Era ''suo'', in quanto aveva desiderato che fosse di Maria.
Si compie così qualcosa di ben grande: senza Cristo non è concepibile nulla. E' così: senza la creazione non esisterebbe nulla, esisterebbe l'Essere e basta. Ma con Cristo l'Essere è conclamato - comunicarsi è della natura dell'Essere -; con Lui tutto esiste, anche la più piccola foglia di pioppo, effimera eppure esistente. Senza la ri-creazione operata da ''quella'' nascita non esisterebbe la creazione.
Senza Cristo è impossibile la gioia, perché sarebbe irrazionale. Il desiderio della gioia, infatti, è della natura dell'uomo quando guarda la realtà che è fatta. Per questo dice il vero, Dante - e io non smetterò mai di citarlo -: ''Ciascun confusamente un bene apprende/ nel qual si quieti l'animo, e disira:/ per che di giugner lui ciascun contende'' (Purgatorio, XVII, 127-129). Così il desiderio descrive proprio la natura dell'uomo.
Per il tipo di festa che è e per la diffusione che ha, il Natale rappresenta l'ultima thule, l'ultimo passo che la natura dell'uomo può compiere: riconoscere che la manifestazione dell'Essere c'è, oppure avanzare verso la disperazione totale, negando che il Verbo di Dio sia diventato uomo - e così finire come l'ultimo uomo e l'ultima donna, descritti da Carducci, che vedono il sole calare per l'ultima volta in un mondo di ghiaccio.
La ri-creazione operata da Cristo è la verità della creazione. Annunciando Gesù, il Natale rivela il dominio incontrastabile dell'Essere, che si qualifica come ''vittoria''. La vittoria è l'esistenza del fatto che vince su tutte le miscredenze e su tutti i dubbi degli uomini, vince! E il fatto è l'annuncio che Dio è diventato uomo!
Il nostro grande Papa ha scritto nel messaggio per la giornata della pace: ''Ciascuno si impegni ad affrettare questa vittoria. E' ad essa che, in fondo, anela il cuore di tutti''. Con Giovanni Paolo II noi ripetiamo la stessa cosa, oggi che tutto sembra disprezzato nel tempo o travolto in modo veloce; ciò che si sperava potesse durare non dura se non un suono veloce, una pagina di libro, uno sfogliare di giornale. Le parole si dissolvono nell'aria in brevi istanti di emozione - quando questa non si sia già consumata nella delusione dello stesso primo istante -, diventano come le parole di un video, il nulla essendo l'esito continuo dall'effimera insorgenza. Dal nulla, infatti, non può venire che il nulla.
Per questo c'è voluto Cristo, per rimediare a questa fine di tutto. Lui, l'indistruttibile, non può essere in alcun modo segnato dalla distruzione. Per cui ancora Dante ci sospinge in avanti, mettendoci sulle labbra le parole del suo Inno alla Vergine che non temono, queste sì, il nulla perché sono dettate dall'Essere: ''Qui se' a noi meridiana face/ di caritate; e giuso, intra i mortali,/ se' di speranza fontana vivace'' (Paradiso, XXXIII, 10-12).
Freud diceva che dall'uomo non può venire salvezza, essa può giungere solo dal di fuori dell'uomo, da altro (o questo altro è l'Essere, e allora è fonte inesauribile, o è il non essere assoluto, e questa è una cosa senza senso; dire: ''Non c'è l'essere'', infatti, è pazzia pura perché è negare l'evidente). Un canto natalizio di Adriana Mascagni, ascoltato in tante parrocchie d'Italia e del mondo, descrive il compiersi di quella inconsapevole profezia:
Aria di neve stasera e nessuno
ha tempo di aprire la porta ed il cuore.
Aria di neve stasera e qualcuno
ancora va in giro,
ancora non sa
dove andrà
questa notte a riposare
.


Un uomo che batte
a tutte le porte,
un uomo che chiede
a tutte le case
se non c’è
un posto per lei,
per lei,
che è con me.

Aria di neve stasera...

La donna si piega
sul suo dolore
al figlio che nasce
darà il suo calore
ci sarà
un muro, vedrai
vedrai, basterà.

Aria di neve stasera e nessuno
ha tempo di aprire la porta ed il cuore.
Aria di neve stasera e nel cielo
si muove una stella
che si fermerà solo là
sulla casa più lontana.


Il bimbo che piange
in mezzo alla paglia
la donna che prega
e l’uomo che guarda.
Regnerà.
Il mondo chi sei
chi sei
non lo sa.


Aria di neve stasera...
'
 Dio ha sfondato questa lontananza. Viene il Natale per assicurare la gioia all'uomo: l'uomo raggiungerà la felicità, che è lo scopo della vita. La sicurezza della gioia! La certezza di questo è necessaria per vivere, e la certezza c'è quando si è in compagnia (se uno non ha la compagnia, è perché non la chiede. Se la chiede, viene data). Cristo è la suprema compagnia che Dio fa all'uomo. Per questo, auguri.
Mons. Luigi Giussani apparso su Avvenire del 24 dicembre 2003


Postato da: giacabi a 15:24 | link | commenti
natale, giussani


Presepe e Dio lontano
 ***
"Spero, caro Farfarello, che tu non ti sia lasciato sfuggire l'occasione, durante queste ultime feste natalizie, di ammirare qualcuno dei presepi che in molte case ancora si usa allestire per la gioia dei bambini e dei vecchi. Ce n'è di tutti i tipi, dal legno alla cartapesta, dal cristallo al bronzo, dalla terracotta al plexiglas...
Io amo i presepi. Dirai che sono un vecchio sentimentale... Ebbene, di' pure, se vuoi. Prima però, senti quello che ho da dirti in proposito. Da secoli ormai un'idea mi frulla per il capo alla sola vista di un presepe, e te la voglio confidare in segno di stima. Ebbene, io credo che la grande quantità di energia che noi diavoli abbiamo sempre profuso per inventare argomentazioni seducenti contro Dio sia, in gran parte fatica sprecata. Noi non dobbiamo creare nuovi argomenti: possiamo usare pari pari i loro. E' il cuore che decide, e spesso decide male. Pensa alle figuri minori del presepe: c'è un solo Giuseppe, una sola Maria, un solo Gesù bambino. Un solo bue, un solo asino. Gli altri sono tutte comparse, compresi i Magi. Ogni uomo al mondo è una figura minore del presepe... Seguimi bene. Dopo aver reso omaggio al Messia, che fanno tutte queste comparse? Se ne tornano, semplicemente, al loro lavoro. Il carrettiere al suo carretto, il panettiere al suo pane, e così via. C'è qualcosa, in tutto ciò, che mi manda in confusione, che mi stordisce e mi umilia: ciascuno torna lieto al suo mestiere, anzi: se prima il lavoro gli pesava, ora gli pesa molto meno, perché ha visto il Messia. Che ira! Tutto diviene accettabile, amabile... Ma poi, passata l'ira, ecco l'idea! La grande idea! Quella che è la più grande dimostrazione dell'esistenza di Dio, la quotidianità, eccola trasformata, senza che apparentemente nulla cambi, nella più grande delle bestemmie! Che cos'è mai il tuo Dio? Un'emozione momentanea prima di riprendere il solito tran tran. Un bambinello che ti salva finché resti in estatica contemplazione, ma poi? Immaginiamo quei poveri pastori al momento del congedo. Un inchino, un altro inchino, mettiamoci pure un terzo inchino. Ma poi le spalle dovranno pur voltare, e tornarsene alle loro pecore, non è vero
? E allora noi diavoli pronti, in coro, a soffiar nelle loro orecchie: dalle obiezioni più collaudate ("come può Dio, nella sua bontà, permettere il dolore innocente?") alle migliori invenzioni della modernità (l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio si trasforma nell'egalité giacobina, che è il suo opposto), e via dicendo. Tutte le obiezioni contro Dio nascono dall'idea di un Dio lontano, che non vuole salvare concretamente gli uomini. Ma questa idea nasce, a sua volta, dalla comodità: un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino. E' questa, Farfarello, la nostra carta vincente. Da sempre. Un abbraccio dal tuo Malacoda".
C. S. Lewis Lettere di Berlicche


Postato da: giacabi a 14:55 | link | commenti
natale, lewis

sabato, 22 dicembre 2007

Che cosa c’entra il Natale con un Paese davvero depresso
***


da Avvenire del 20/12/2007, , un articolo di Davide Rondoni

Dieci per cento in meno di spese per Natale. Meno panettone. Meno viaggi sulla neve o al caldo. Così dicono i sondaggi, pubblicati da esercenti che di certo erano interessati a evitare quel calo.

Colpa dell’euro, colpa del governo, colpa dei cattivi negozianti, dei produttori di materie prime, o dei mercati internazionali. Colpa di su e colpa di giù. Dovremo dedurre anche da questi dati che l’italiano, come han detto i giornali americani accogliendo il presidente Napolitano, sta un poco depresso? In che cosa consiste la 'depressione' italiana bisogna comprenderlo bene.

Gli indicatori, dallo stato di scuola e università al recente sorpasso ad opera della Spagna, sono chiari. Esportiamo allenatori in Inghilterra, ex modelle in Francia, ma questa etichetta di depressi che gli americani ci hanno affibbiati senza tante cortesie brucia di un bruciore salutare. E’ legittimo esaltarsi per il successo internazionale della nostra diplomazia nella moratoria per la pena di morte, sperando che non sia una sola operazione di facciata e monca dal punto di vista dei diritti.

Ma è
altrettanto urgente vedere se il Natale che viene può servire a qualcosa a riguardo di questa depressione.

Insomma, si può parlar del Natale non solo come occasione buona in cui misurare attraverso consumi, mode o addirittura manie, il polso di una nazione? Come se un’idea della salute del Paese la dessero la quantità di tortellini o di cappone ingurgitati durante le feste. Non ne posso più di sentir parlare del Natale come una sorta di momento magico per addetti ai sondaggi, alle misure, per i preparatori di schede sociologiche, di carte statistiche. Se era per le previsioni di sociologi, statistici, di maghi e sapienti dell’epoca, il Natale manco ci sarebbe stato.

Quella nascita è stato il Grande Imprevisto. Era un evento atteso, ma da pochi nel mondo, e i loro sociologi e gli statisti di allora non lo prevedevano davvero così. E ora invece si gettano addosso al Natale come se fosse una festa dell’analista dei consumi, un festival dello statistico dei costumi.

Mestieri nobili, se usati nobilmente. Ma guai alla nazione che si fa misurare la pressione o la depressione solo sulla base dei consumi. Il Natale, dunque, può servire a qualcosa ad un paese depresso, o sarà solo un’occasione in più per guardarsi allo specchio e compiangersi ancora un po’ - visto che il lamento è uno degli sport nazionali preferiti? La questione è seria. Masticheremo un po’ più lentamente il bollito, perché il suo gusto duri più a lungo, come consolazione alla demoralizzazione che ci attanaglia? Rimpiangendo l’Italia che sempre ieri era migliore?

Oppure ci faremo colpire in petto dalla novità del Natale? Ricordo un ragazzo della Sierra Leone. Era un ex soldatino. Aveva molti motivi per essere depresso. Ma disse che l’aver scoperto Gesù gli aveva fatto venir voglia di fare l’elettricista. Voglia di lavorare. Lo dicevano anche le ragazze tirate via dalla strada da don Benzi.

Ecco cosa c’entra il Natale con il rischio di un paese depresso. Non si tratta di una bella favola religiosa, beato chi ci crede e chi s’è visto s’è visto. Il Natale, se riconosciuto per quel che è, può essere una vera benzina nel motore dell’Italia. Una speranza nei cuori, un rinnovato amore per il destino e per il particolare. Il contrario della depressione non è galvanizzare i consumi. Si chiama speranza. Una virtù architettonica, costruttiva. In Italia ce ne sono mille e mille esempi.

Statisticamente è difficile misurare la speranza. Ma quando incontri un imprenditore, un professore, una madre che ne hanno, li riconosci nel mucchio dei depressi e dei lamentosi. Ora che ci han dato dei depressi capiamo meglio perché nella grande notte di Natale ad un certo punto si parla di uomini e donne di 'buona volontà'. Non si tratta di gente che ha buone intenzioni - di quelle ci si lastricano le strade dell’inferno. Ma è gente che ogni giorno viene mossa al proprio compito con passione da una speranza certa, da un annuncio di bene. Un annuncio che è ben strano. Non è una buona idea, nemmeno un richiamo morale. Natale è una parola ormai strana, suona quasi come un periodo, che so Capodanno, Ferragosto… Invece è diversa, perché indica un fatto e un volto preciso. Vuol dire: quella nascita.

Dovremmo cambiare parola. Non più natale, ma nascita. Si capirebbe meglio. Da festeggiare con gli amici e i cari con tutto il cappone possibile. Ma se anche è un po’ meno - e se anche se ce ne togliamo ancora un po’ da condividere con chi è più povero - non significa affatto che si è depressi, anzi. Il problema del Paese non sono le tavole meno imbandite, ma le orbite di speranza vuote.

Postato da: giacabi a 21:40 | link | commenti
natale

giovedì, 20 dicembre 2007

Gesù il fedele

 ***

 Il Natale
Gesù, il Fedele, il Verace, è il Giudice
che prese a esprimere visibile
nel giorno del Santo Natale
l'inesprimìbile misericordia del Padre:
prese a raggiar malvisto nel voltò sublime
la bellezza divina e materna compiendo:
e nuovo incanto di beltà pervase
con intimo fremito l'universo
fra linee terrene presagio di Cielo
per educarci lassù, al Paradiso;
ma prima ancora la Bontà rifulse,
accese d'esser buono il gran tormento,
accese d'esser buono un vasto incendio
che a somiglianzà divina
cresce e arde per ogni cuore
in carità di Dio trasfigurato:     
cura d'una vita monda,
sete d'innocenza,
anelito di vergine scienza,
e devota attenzione presso il Bimbo,
attenzione devota al Fanciullo
fatto emblema d'ogni cosa pura,
sciolto problema d'ogni vita piena;
e infine salvifico effetto
sopra l'intero creato
a salvare già qui tutto l'uomo,
ciò che è nato nel mondo perituro
e portarlo sicuro al giudizio;
Gesù il Fedele,
il solo punto fermo nel moto dei
tempi, in sterminata serie di eventi:
il solo Santo che non manca mai,
che trascende dove ci comprende
e si fa dono 'in cima ai nostri guai
e pareggia la grazia coi perdono:
vero Dio trasumanante
e a Deità aperto vero Uomo:
Egli, il Fedele per sempre,
Maestro vivente di Fede,
egli che viene a Natale in peccato
per meritarci in maestà di gloria,
continuo avvento al termine segnato:
se non'invano passiamo il breve tempo
come luce del Figlio Incarnato,
come frutti di dolce consiglio,
impegno amoroso di vita,
di vita dei singolo unanime nel segno,
vita raggiunta infinita,
in beata circolazione
dove l'impeto ti porta
che ineffabilmente ovunque va non ritorna,
ma In desìo del Padre universalmente procede,
nel fulgore del fuoco
tutti insieme gloriando
quali figli di Dio,
alleluiando al Padre,
al Fìglio e allo Spìrito Santo
che universalmente procede,
tutti insieme in gioco giocondo festando
quali in gaudio rapiti figli di Dio
nell'impeto che procede
su per la multanime fiamma
di fratelli nella Mamma Celeste,
i Fratelli di Gesù il Fedele.
Clemente Rebora Stresa, il S. S. Nome di Maria, 1956.
 Per il S. Natale del 1956. Dal letto della Sua infermità


Postato da: giacabi a 19:36 | link | commenti
natale, rebora


Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione
***
 “Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria
sua madre, e prostratisi Lo adorarono”.
Possiamo immaginare lo stupore dei Magi davanti
al Bambino in fasce! Solo la fede permise loro di
riconoscere nei tratti di quel bambino il Re che
cercavano, il Dio verso il quale la stella li aveva
orientati. In Lui, colmando il fossato esistente tra il
finito e l’infinito, tra il visibile e l’invisibile, l’Eterno è
entrato nel tempo, il Mistero si è fatto conoscere,
consegnandosi a noi nelle membra fragili di un
piccolo bambino.
“I Magi sono pieni di stupore davanti a ciò che
vedono: il cielo sulla terra e la terra nel cielo; l’uomo
in Dio e Dio nell’uomo; vedono racchiuso in un
piccolissimo corpo chi non può essere contenuto da
tutto il mondo” (San Pietro Crisologo).
La felicità che cercate, la felicità che avete diritto di
gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di
Nazareth... Solo Lui dà pienezza all’umanità! Con
Maria, dite il vostro “sì” a quel Dio che intende
donarsi a voi. Vi ripeto oggi quanto ho detto all’inizio
del mio pontificato: “Chi fa entrare Cristo [nella
propria vita] non perde nulla, nulla - assolutamente
nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No,
solo in questa amicizia si spalancano le porte della
vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente
le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in
questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e
ciò che libera”. Siatene pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande,ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo.
Benedetto XVI ~ Colonia 2005


Postato da: giacabi a 16:56 | link | commenti
natale, benedettoxvi

mercoledì, 19 dicembre 2007





Postato da: giacabi a 20:47 | link | commenti
natale

lunedì, 17 dicembre 2007

Il Natale visto da Gandhi
***
Non si dovrebbe celebrare la nascita di Cristo una volta all'anno, ma ogni giorno, perché Egli rivive in ognuno di noi. Gesù è nato e vissuto invano se non abbiamo imparato da Lui a regolare la nostra vita sulla legge eterna dell'amore pieno. Là dove regna senza idea di vendetta e di violenza, il Cristo è vivo. Allora potremmo dire che il Cristo non nasce soltanto un giorno all'anno: è un avvenimento costante che può avverarsi in ognuna delle nostre vite. Quando la legge suprema dell'amore sarà capita e la sua pratica sarà universale, allora Dio regnerà sulla terra come regna in cielo. Il senso della vita consiste nello stabilire il Regno di Dio sulla terra, cioè nel proporre la sostituzione di una vita egoista, astiosa, violenta e irragionevole con una vita di amore, di fraternità, di libertà, di ragione. Quando sento cantare "gloria a Dio e pace in terra agli uomini di buona volontà" mi chiedo oggi come sia reso gloria a Dio e dove ci sia pace sulla terra. Finché la pace sarà una fame insaziata, finché noi non saremo riusciti a rinascere come uomini illuminati dallo Spirito, a instaurare con le persone rapporti autentici di comunione da cui siano estranei i sorrisi forzati, l'invidia, la gelosia, la falsa cortesia, la diplomazia, finché non avremo come senso della vita la ricerca della verità su noi stessi, del giusto, del bello, finché non saremo capaci di spogliarci dell'inautentico, di ciò che abbiamo di troppo a spese di coloro che non hanno niente, finché continueremo a calpestare i nostri sogni più belli e più profondi, il Cristo non sarà mai nato.
Quando la pace autentica si sarà affermata, quando avremo sradicato la violenza dalla nostra civiltà, solo allora noi diremo che "Cristo è nato in mezzo a noi". Allora non penseremo tanto ad un giorno che è un anniversario, ma ad un evento che può realizzarsi in tutta la nostra vita. Se dunque si augura un "buon Natale" senza dare un senso profondo a questa frase, tale augurio resta una semplice formula vuota.
Mahatma Gandhi


Postato da: giacabi a 22:49 | link | commenti
gandhi, natale


Fissa gli occhi su Lui solo …
e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri
 ***
“..solo il Bambino che giace nel presepe possiede il vero segreto della vita. Per questo chiede di accoglierlo, di fargli spazio in noi, nei nostri cuori, nelle nostre case, nelle nostre città e nelle nostre società. Risuonano nella mente e nel cuore le parole del prologo di Giovanni: “A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (1,12). Cerchiamo di essere tra quelli che lo accolgono. Dinanzi a Lui non si può restare indifferenti. Anche noi, cari amici, dobbiamo continuamente prendere posizione. Quale sarà dunque la nostra risposta? Con quale atteggiamento lo accogliamo? Ci viene in aiuto la semplicità dei pastori e la ricerca dei Magi che, attraverso la stella, scrutano i segni di Dio; ci è di esempio la docilità di Maria e la sapiente prudenza di Giuseppe. Gli oltre duemila anni di storia cristiana sono pieni di esempi di uomini e donne, di giovani e adulti, di bambini ed anziani che hanno creduto al mistero del Natale, hanno aperto le braccia all’Emmanuele divenendo con la loro vita  fari di luce e di speranza. L’amore che Gesù, nascendo a Betlemme, ha recato nel mondo, lega a sé quanti lo accolgono in un duraturo rapporto di amicizia e di fraternità. Afferma san Giovanni della Croce: “Dio dandoci tutto, cioè suo Figlio, ha detto ormai in Lui tutto. Fissa gli occhi su Lui solo … e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri” (Salita del monte Carmelo, Libro I, Ep. 22, 4-5).”
 BENEDETTO XVI 03-01-07


Postato da: giacabi a 20:48 | link | commenti
natale, benedettoxvi

domenica, 16 dicembre 2007

Come stella del mattino in grembo all’aurora
***
La Madre era seduta sulla paglia con nel grembo il bambino,
 come stella del mattino in grembo all’aurora.
 Tutti piegarono le ginocchia: il re e il mendicante,
 il santo e il peccatore, il sapiente e l’ignorante.
Tutti ad alta voce gridarono: Vittoria per l’uomo,
 vittoria per il Neonato, per colui che vive in eterno!
Rabindranath Tagore

Nessun commento: