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sabato 18 febbraio 2012

NEWMAN


BISOGNA USCIRE DALLA SACRESTIE.
MA COME?

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19 giugno 2011 / In News
Qui lo spiego partendo da un pensiero di Dostoevskij e da uno di S. Agostino. Per arrivare al grande cardinale Newman che afferma: “La Chiesa E’ necessariamente un partito”. Se non capiamo questo …
 
“I cattolici sono stati determinanti” nell’esito dei referendum, come dice orgogliosamente l’Azione cattolica?
O così hanno tradito la dottrina sociale della Chiesa e vanno verso il suicidio come argomenta Luigi Amicone (con il suicidio aggiuntivo dell’ethos pubblico come aggiunge Pietro De Marco)?
Alcune realtà del mondo cattolico sottolineano festosamente il “risveglio” dell’ impegno per il bene comune.
Ma un volantino di Comunione e liberazione invita saggiamente “ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica”.
Al tempo stesso bisogna rispondere all’appello del Papa e dei vescovi che chiamano i cattolici all’impegno politico.
Come si vede una situazione in cui è difficilissimo orientarsi e capire, tanto per i semplici cristiani che per gli addetti ai lavori.
Cosa sta succedendo nel mondo cattolico? E cosa accadrà con i nuovi scenari politici?
CHE FARE?
Si può parlare ancora di unità dei cattolici? E su cosa, come e dove? O si torna alla diaspora? C’è il rischio della subalternità culturale degli anni Settanta? C’è in vista una Dc di ricambio? O forse è meglio puntare su più partiti?
O addirittura su un movimento cattolico che lavori nella società, dove sono nati tutti i movimenti che oggi condizionano i partiti?
Negli ambienti della Cei si valorizza molto la relazione di Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, al X Forum del “Progetto culturale” dedicato ai 150 anni del’Unità d’Italia.
Ornaghi invita i cattolici a “tornare ad essere con decisione ‘guelfi’ ”, spiegando: “abbiamo sempre più bisogno di una visione politica dalle radici e dalle qualità genuinamente e coerentemente ‘cattoliche’ ”.
Quel tornare decisamente “guelfi” per Ornaghi significa che i cattolici devono rivendicare la radice cattolica dell’italianità e devono affermare che “rispetto ad altre ‘identità’ culturali che sono state protagoniste della storia unitaria (…) disponiamo di idee più appropriate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo ancora dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati”.
Affermazioni importanti, ma che dovrebbero essere spiegate nel dettaglio, sostanziate e anche discusse. In ogni caso affermazioni di cui ancora non si vede la conseguenza pratica, fattuale. Così le domande aumentano.
Solo che rispondere direttamente ad esse è impossibile perché – quando si parla della Chiesa – bisogna partire da altro, da una questione che sembra esterna ed è di natura teologica. Tutti la danno per scontata, ma non lo è.
Riguarda la natura stessa del fatto cristiano e la concezione della Chiesa. E’ su questo che non c’è chiarezza dentro lo stesso mondo cattolico. E da qui deriva poi la confusione sulle scelte storiche.
IL CUORE DI TUTTO
Provo a riassumere con due citazioni quella che a me pare la strada giusta. La prima è di Dostoevskij:
“Molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne”.
Il grande scrittore russo qui coglie il punto: i cristiani non portano nel mondo anzitutto un “supplemento d’anima”, un richiamo etico, una concezione della politica o del Paese o una cultura. Queste sono conseguenze.
Portano anzitutto un fatto, un corpo misterioso, umano e divino, un popolo che è anche – di per sé – un soggetto politico che ha cambiato e cambia la storia.
A conferma vorrei richiamare una pagina memorabile di sant’Agostino rivolto ai “pelagiani”, cioè coloro che degradavano il cristianesimo a una costruzione umana, a un proprio sforzo morale:
Questo è l’orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio, e non nel dono della sua Persona”.
Leggendo questi due grandi autori cristiani si capisce ciò che insegna la tradizione cristiana: il gesto più potente di cambiamento del mondo – per i cristiani – è la Messa.
Più potente di eserciti, poteri finanziari, stati e rivoluzioni, perché è l’irrompere di Dio fatto uomo nella storia, l’atto con cui Dio prende su di sé tutto il Male e lo sconfigge, liberando gli uomini.
Ma non capirebbe nulla di cristianesimo chi credesse che la messa sia solo quel famoso rito domenicale. No.
Per il popolo cristiano la messa, da quel 7 aprile dell’anno 30 in cui il Salvatore fu crocifisso, non è mai finita: è una sinfonia la cui ultima nota coinciderà con la trasfigurazione dell’intero universo.
Quell’evento abbraccia tutta la giornata e tutta la vita, tutta la realtà, tutta la storia e tutto il cosmo. E li cambia.
“LA CHIESA E’ UN PARTITO”
Non a caso uno dei più grandi pensatori cattolici moderni, il cardinal Newman afferma che la Chiesa stessa “è” un partito:
“Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito.
Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi.
Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo, ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo.
Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche”.
E’ tanto vero ciò che dice Newman che la Chiesa è stata la più grande forza di cambiamento della storia: ha letteralmente costruito civiltà (tutte le “istituzioni” del mondo moderno, dagli ospedali alle università, dalla democrazia al diritto internazionale, fino al progresso scientifico-tecnologico-commerciale, sono nate nell’alveo cattolico).
Perfino quel sacro Romano Impero che ha generato l’Europa e poi partiti, dal partito guelfo del medioevo alle Democrazie cristiane del novecento (il nostro stesso Paese è stato letteralmente salvato dalla Dc che gli ha garantito libertà, unità e prosperità nell’Europa dei totalitarismi).
C’è chi ha cercato e cerca di impedire in ogni modo ai cristiani di esprimersi e costruire. Lo hanno fatto i totalitarismi moderni e le ideologie degli anni Settanta che pure in Italia pretendevano di zittire violentemente i cattolici.
Ma anche una certa cultura laica occidentale oggi prova a delegittimare la presenza dei cattolici.
Ancora Newman scriveva:
Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove.
E’ vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo.
 I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini.
E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”.
IL PROBLEMA 
La cosa peggiore però è quando il sale diventa scipito, cioè quando sono i cattolici stessi a escludersi, a rinchiudersi nelle sacrestie o ad andare a ruota delle ideologie mondane più forti.  
Dunque la Chiesa deve avere una sola preoccupazione: che (anche nei seminari e nelle facoltà teologiche) si annunci davvero il fatto cristiano nella sua verità e integralità, che nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti  lo si viva in tutte le sue dimensioni (la cultura, la carità e la missione) alla sequela del Papa.
Che non si lasci solo Radio Maria a fornire ai semplici cristiani l’aiuto per un giudizio cristiano sulla realtà. Che il popolo cristiano si veda e illumini la vita pubblica.
Antonio Socci
Da “Libero”, 19 giugno 2011

Postato da: giacabi a 21:52 | link | commenti
chiesa, socci, newman, agostino

domenica, 17 ottobre 2010

IL VALORE DELL'UOMO
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"Molti uomini, o la gran parte di essi, sono un composto di cose preziose e di cose prive di valore: quello che è senza valore nuota in superficie, quello che è prezioso giace sul fondo"
(John Henry Newman, Perdita e guadagno)

Postato da: giacabi a 10:53 | link | commenti (1)
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mercoledì, 22 settembre 2010

Il beato John Henry Newman

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Venti cartoline raccontano l’illustre filosofo e fondatore del Movimento di Oxford

1 - La Bbc comunica che il Papa verrà per una prima visita di stato e “beatificherà un cardinale inglese”. Gli unici commenti negativi sentiti riguardano i costi – venti milioni di sterline, tre volte il bilancio della regina. Vengono, ovviamente, dalla setta scientista di Richard Dawkins. Fino a pochi anni fa gli animi si sarebbero infiammati per una provocazione della “prostituta di Babilonia” e contro un cattolicesimo visto come l’ideologia dell’assolutismo continentale contro la quale l’Inghilterra era stata forgiata. 154 anni fa, quando l’illustre filosofo e fondatore del Movimento di Oxford, il reverendo John Henry Newman, abbandonò la fede anglicana per passare dalla parte di Roma, lo choc registrato dalla scala Richter in Gran Bretagna era stato maggiore di quello provocato dalle teorie di Darwin o dalle cinque spie di Cambridge passate a Mosca. Lord Gladstone, un altro evangelico entrato nella chiesa alta anglicana, aveva detto: “Niente ha mai esercitato una simile influenza a Oxford, al culmine della sua fama, dalle lezioni di Abelardo a Parigi”. Il fratello di Gladstone aveva seguito Newman a Roma e lui non gli aveva mai più rivolto la parola! Il fratello di Newman divenne un ateo socialista utopista alla Owen – per Newman fu la premonizione di come sarebbe diventato il mondo se una chiesa riformata non avesse ingaggiato un confronto con l’incipiente epoca del suffragio universale, della produzione di serie e dei mass media, indirizzando queste novità al servizio di Dio.

2 - Newman aveva un retroterra “commerciale” con aspirazioni gentilizie. Suo padre, figlio di un droghiere, era diventato socio di una banca cittadina, mentre sua madre, Jemima Fourdrinier, figlia di un fabbricante di carta, era di una stirpe di esuli ugonotti francesi. Durante le guerre napoleoniche la banca aveva prosperato e nel 1803, quando John Henry aveva due anni, la famiglia si era spostata a Bloomsbury, per poi comprare anche una casa di campagna vicino a Richmond. John Henry studiava in una scuola di Ealing, valida ma non raffinata. Era il mondo di Jane Austen, e così come era accaduto alla banca fondata dal fratello della scrittrice, anche quella di John Newman era fallita per via della recessione post bellica del 1816. Non essendo riuscito a risarcire i creditori, John era morto in bancarotta, “con il cuore spezzato” nel 1824, lasciando il figlio con una madre, un fratello e tre sorelle da mantenere. Il fallimento era visto non solo come una breccia nella fiducia e nell’integrità morale; era anche un chiaro segno che si era caduti fuori dalla grazia di Dio. Davvero “un azzardo morale”! Al beato John Henry erano rimasti un credo che enfatizzava la religione interiore, basato sulla perdita dell’Eden dell’infanzia; un’insicurezza riguardo il proprio stato sociale e, sicuro fin da subito che non si sarebbe sposato, il proprio gender. Convinzioni interiori e alienazione esteriore sono le basi di un rivoluzionario.

3 - Scrive Newman (Apologia pro vita sua) di essere stato cresciuto nella “religione nazionale inglese” – la “religione della Bibbia”, che “non consiste in riti o credi, ma più che altro nella lettura della Bibbia in chiesa, in famiglia e in privato” – e di avere imparato “fin da bambino a trarre grande diletto nella lettura della Bibbia”. Malato e depresso per la bancarotta del padre, Newman ebbe la sua prima grande conversione religiosa a quindici anni, a scuola, grazie a un giovane professore evangelico: si convinse della verità della Trinità ed ebbe “una conversione interiore che credevo (e di cui sono ancora certo più di quanto lo sia di avere mani e piedi) sarebbe durata fino alla vita nell’aldilà, grazie a cui avevo capito di essere un eletto per la gloria eterna”.
A sedici anni venne deciso che il precoce Newman avrebbe dovuto iniziare l’università – Cambridge o Oxford? Suo padre caldeggiava Cambridge, ma il curato che li stava accompagnando raccomandò la propria alma mater, Oxford. Cambridge, grazie a cui Oliver Cromwell era diventato primo ministro, avrebbe incoraggiato in Newman una fede evangelica da chiesa bassa, dello stampo di quella di William Wilberforce, con un’enfasi sulla teologia pastorale e sulle battaglie sociali contro la schiavitù. Invece Oxford, che Carlo I aveva voluto propria capitale, avrebbe sfidato le nuove certezze di Newman. Il Movimento di Oxford non avrebbe però esercitato alcuna influenza su Cambridge.

4 - Ricordava quanta riverenza e quanto trasporto gli aveva suscitato l’Università di Oxford al suo ingresso, come se fosse stata uno scrigno segreto”, scrisse John Henry Newman di se stesso. Ambiva a passare tutta la sua vita insegnando lì dentro. Nonostante le – o forse a causa delle – dodici ore dedicate allo studio quotidiano, Newman aveva fallito totalmente gli esami per la laurea. La sua borsa di studio – il fatto che i suoi genitori avessero venduto tutti i loro beni – e qualche insegnamento permisero a Newman di restare al Trinity College mentre si preparava per il più prestigioso assegno di ricerca di tutta l’università, all’Oriel College. Nel 1822 Newman si sedeva all’esame, insieme ai dieci candidati rivali, e questa volta sarebbe riuscito a tenere a freno i nervi. I sei esami scritti erano “non tanto una prova di quanto si conoscesse, ma di come lo si conoscesse”. Il saggio d’inglese era sulla differenza tra la fiducia in se stessi e l’arroganza. In un capovolgimento straordinario della buona sorte, e per lo sfinimento di tutte le campane del college in festa, Newman vinse il posto a vita – o almeno fino al matrimonio! Una borsa di studio a vita, l’insegnamento, gli ordini sacri, un avamposto pastorale nell’università e nella città erano assicurati – perché Newman già sapeva che non si sarebbe mai sposato. Stava a Newman decidere se perdere. Perché mai decise di sacrificare tutto?

5 - Newman perse la fede evangelica per via delle sue amicizie a Oriel, dove con John Pusey ed Edward Keble aveva formato il triumvirato che sarebbe diventato il motore dell’anglo-cattolicesimo anglicano. Dopo avere preso gli ordini nel 1825, divenne parroco di san Clemente e poi a santa Maria, la chiesa dell’università, dove i suoi sermoni avevano un’influenza straordinaria. I suoi colleghi anglo-cattolici a Oriel minarono le sue certezze evangeliche riguardo alla divisione rigida tra salvati e dannati e alla rigenerazione battesimale; essi dichiaravano la necessità della successione apostolica, norma basilare della cattolicità lungo i secoli. Ci fu comunque un consenso interconfessionale riguardo al suo sermone del 1830 sull’esistenza di Dio: “E’ ovvio che la coscienza è principio essenziale e conferma della religione nell’animo. La coscienza implica una relazione tra l’anima e qualcosa di esteriore e, soprattutto, di superiore a sé stessa. Più rigoroso e disciplinato è il rispetto di questo osservatorio interiore, più chiari, più nobili e più ricchi divengono i suoi dettati (e il criterio di eccellenza supera sempre, mentre la guida, la nostra obbedienza); da questo deriva una certezza morale  intorno alla natura inavvicinabile e alla suprema autorità di quel Qualcosa, qualunque cosa sia, che è oggetto della contemplazione dell’anima”. Non meraviglia che James Joyce, malgrado il suo ateismo, considerasse ancora quella di Newman la più grande e pregevole espressione della prosa inglese nel Diciannovesimo secolo.

6 - Il più importante tra gli “amici particolari” di Newman è stato uno studente del Rev. John Keble, collega di Newman a Oriel. Keble sarebbe stato ricordato come un sacerdote anglicano anglo-cattolico e gli sarebbe stato intitolato un college di Oxford. Ma Hurrell Froude aveva avuto un impatto così profondo, intellettuale, spirituale ed emozionale su Newman da spingerlo ad abbandonare la sua amata Oxford per abbracciare Roma, più per inevitabilità che per affetto – per finire poi, tutt’altro che in gloria, a Birmingham “l’officina del mondo”. Verso la fine del 1832 Froude stava morendo di tubercolosi. Decise, insieme al suo arcidiacono e a Newman – che aveva appena avuto una crisi nervosa – di svernare in Grecia, Sicilia, dove Nemwan era quasi morto di tifo, Italia meridionale e Roma, per la quale Newman sentì “sentimenti contrastanti”. “Sei sul luogo di martirio e sepoltura di apostoli e santi, hai attorno a te gli edifici e il panorama che loro stessi vedevano e sei nella città a cui l’Inghilterra deve la grazia del Vangelo. D’altro canto le superstizioni – o piuttosto, molto peggio, la loro solenne ricezione come parte essenziale della cristianità. Ma poi ancora la bellezza suprema e la sontuosità delle chiese – e poi, al contrario, la coscienza che le più note sono state costruite (in parte) con la vendita delle indulgenze. Questo è veramente un posto crudele”.

7 - Fu Newman a mutare il brontolio clerico-vestito della sala professori nel Movimento di Oxford, tutto proteso contro un nemico a più teste – l’apatia anglicana, il metodismo evangelico, il governo secolare e… il cattolicesimo romano irlandese. Lytton Strachey dipinge con una satira affettuosa un nemico di questo Savonarola. “Era bravo a odiare”, fu il suo epitaffio per Newman! “La chiesa d’Inghilterra ha dormito il sonno della comodità per molte generazioni. Il mormorio svogliato di dissenso e le alte urla di rivoluzione avevano a malapena turbato il suo torpore. Ministri tarchiati, arruolati ai trentanove articoli giusto con uno sguardo o un sorriso, stavano assopiti nella loro vita senza preoccupazioni. In effetti fare parte della chiesa significava semplicemente dedicarsi a una di quelle professioni che la natura e la società avevano deciso essere proprie solo ed esclusivamente dei galantuomini. Il fervore di pietà, lo zelo apostolico per la carità, l’entusiasmo della rinuncia a sé erano tutte cose buone di per sé – e al loro posto. Ma il loro posto non certo la chiesa d’Inghilterra. Gente senza fervore né zelo, e soprattutto senza entusiasmo. Tenevano un occhio sui poveri della parrocchia e si dedicavano alle celebrazioni domenicali quant’era appropriato fare; per il resto, non differivano né esteriormente né interiormente dalla stragrande maggioranza dei laici, per cui la chiesa era un’organizzazione utile a mantenere la religione, come prescritto dalla legge”.

8 - La chiesa d’Inghilterra non era più “il partito dei Tory in preghiera” da quando, nel 1828 e nel 1829, il governo Tory di Wellington aveva approvato leggi che permettevano a dissidenti e cattolici di essere eletti in Parlamento – senza dover essere o un tramite anglicano per i protestanti non anglicani o un cattolico apostata della dottrina della transustanziazione. Tutto questo nonostante anche la chiesa d’Inghilterra venisse regolata dal Parlamento, che ne aveva racchiuso le basi dottrinali nei trentanove articoli del 1561. Un Parlamento con dissidenti protestanti e cattolici irlandesi divenne realtà dopo il Whig Reform Act del 1832, mentre l’Irish Church Temporalities Act, promosso dall’evangelico Lord John Russell nel 1834, aveva abolito dieci diocesi irlandesi e tassato le parrocchie più ricche per pagare gli stipendi dei preti cattolici. Le diocesi inglesi vennero minacciate di esproprio se non avessero costruito più chiese nelle nuove città industriali. “Ben fatto, mio cieco premier, confisca e ruba finché, come Sansone, sarai abbattuto dalla struttura politica che sta sopra la tua testa, che lo farà senza averne l’intenzione, né una buona causa”, aveva scritto Newman quando, da Roma, aveva sentito delle proposte di legge. Nel luglio 1833 Newman era tornato dall’Italia e, la domenica successiva al suo arrivo, un Keble scandalizzato aveva predicato contro l’apostasia nazionale nella chiesa dell’università. Era il manifesto fondante del Movimento di Oxford; la scelta era per la successione apostolica, e l’autonomia della chiesa, contro la regolazione parlamentare. Nasce l’anglocattolicesimo.

9 - Per Newman la quintessenza dell’esercizio di potere politico secolare sulla chiesa d’Inghilterra, come stabilito dalla legge, era Lord Melbourne, primo ministro dal 1834 al 1841, che credeva che fosse inutile sforzarsi di capire la teologia e che non facesse importanza a quale chiesa si appartenesse, sebbene la chiesa d’Inghilterra – “che lui supportava dall’esterno, come un arco rampante” – fosse “quella che interferiva di meno”. “No, non un altro vescovo morto! Mi sa che lo fanno solo per irritarmi”, si lamentava mentre cercava un altro candidato episcopale “da raccomandare a Sua Maestà”. L’“amico particolare” di Newman, Hurrell Froude, aveva fatto rivalutare all’amico, incallito neo-anglo-cattolico, il suo sdegno per il Papa – nuovo Anticristo – e riconsiderare l’importanza della chiesa primitiva dei padri contro il primato della scrittura. Newman era arrivato al punto di temere di essere un monofisita o un donatista e che quei protestanti – insieme ai metodisti, che allora erano la confessione che andava per la maggiore nelle nuove città industriali – fossero simili a quegli ariani contro cui si era scagliato il Concilio di Nicea! Donne che predicavano e battezzavano! Cosa ci si sarebbe dovuti aspettare ancora? Per Newman la chiesa d’Inghilterra era l’unica vera chiesa, ma era finita sotto un’eclisse a partire dalla Riforma. Era scampata alla corruzione di Roma, ma era finita schiava del libero pensiero e dell’eterodossia del potere secolare, e ormai era degradata a falsa dottrina del protestantesimo. Ironicamente, come scriveva il fratello di Hurrell Froude, John, “per centinaia di giovani il credo nel newmanismo era la fede autentica”. Newman stava acquisendo tutta la dignità di un culto proprio!

10 - Sarebbe un guadagno per il paese essere molto più superstizioso, più bigotto, più cupo, più agguerrito nella sua religione di quanto dimostri di esserlo ora”, scriveva Newman nel suo “Storia delle mie opinioni religiose dal 1833 al 1839”. Il Movimento di Oxford fece breccia nell’ampia base della chiesa d’Inghilterra con la propria minoritaria setta anglo-cattolica attraverso i propri Trattati. Un’operazione che avrebbe finito per provocare lo scandalo del Trattato n. 90 di Newman, nel 1841. Sant’Agostino aveva detto che i donatisti erano eretici perché così si era pronunciato il vescovo di Roma. Per Newman l’argomentazione era schiacciante. Come sarebbe riuscito a spiegare che avere credo e voti religiosi anglicani fosse in linea con il Concilio di Trento? Lytton Strachey la racconta così: “L’obiettivo del Trattato 90 era dimostrare che non c’era niente nei 39 articoli (l’atto del Parlamento inglese che aveva definito la dottrina anglicana nel 1571) che fosse incompatibile con la chiesa di Roma. Newman fece notare, per esempio, come gli Articoli, in realtà, non condannassero la dottrina del Purgatorio, bensì la dottrina papista del Purgatorio; e dire ‘papista’, chiaramente, non era come dire ‘romana’. Da questo deduceva che un credente nella dottrina romana del Purgatorio avrebbe potuto sottoscrivere gli Articoli in totale buona fede. Newman si era accollato l’onere di esaminare dettagliatamente gli Articoli, arrivando alla medesima conclusione in ogni caso. Il Trattato generò un’impressione immensa, perché era sembrato un colpo letale inferto a tradimento al cuore della chiesa d’Inghilterra. Il trattamento che Newman aveva riservato agli Articoli era sembrato non solo la finezza di un ingegno diabolico, ma anche il frutto di un animo fondamentalmente disonesto”. Newman avrebbe esitato nella chiesa d’Inghilterra per altri sei anni, ma per le masse anglicane aveva già confermato ogni stereotipo del sofista gesuitico.

11
- Conducimi tu, luce gentile / conducimi nel buio che mi stringe; / la notte è buia e la casa è lontana, / conducimi tu, luce gentile. / Guida i miei passi, non chiedo di vedere / molto lontano; mi basta un passo soltanto”. L’ultimo verso di questo grande inno di Newman, che ho cantato in chiese anglicane, metodiste e presbiteriane, è stato scritto dopo che aveva rischiato di morire di tifo in Sicilia nel 1833. Newman credeva che Satana avesse fallito nel tentativo di fermare la sua missione. Ma in quale chiesa si sarebbe dovuta svolgere questa missione? O forse serviva a riunificare due chiese “cattoliche”? Dopo la condanna del Trattato 90 da parte dell’Università di Oxford, Newman aveva iniziato un cammino di sei anni “verso Roma”, “un passo alla volta”, per il disappunto sia della chiesa d’Inghilterra che di quella di Roma. I cattolici romani, l’uno per cento costante della popolazione inglese dal 1600, erano più che altro aristocratici che osservavano “la religione antica”. Ma ora l’immigrazione su larga scala dei cattolici irlandesi, forza lavoro a buon mercato, era stata accelerata dalla carestia delle patate del 1846, dando a Roma qualche speranza. I cattolici avevano cercato due scalpi importanti come il futuro cardinale Newman e Manning, due colpi pubblicitari. La cultura di San Pietro era venduta come alternativa a quella che nell’Esposizione internazionale del 1851 celebrava, nel suo Crystal Palace di vetro e acciaio, la Gran Bretagna come il “laboratorio del mondo” liberale, utilitarista, imperiale e “naturalmente” protestante.

12 - In Francia c’è una sola religione e cento salse; in Inghilterra c’è una sola salsa e cento religioni”, scriveva Voltaire dopo il suo esilio a Londra tra il 1726 e il 1728. C’era una vasta scelta di confessioni tra cui scegliere, sebbene il cattolicesimo fosse probabilmente la più stravagante. Newman, che non era “mai tanto felice come quando stava solo”, non andava cercando un nuovo club ma seguiva la logica della sua ricerca spirituale. Anzi, per lui c’erano “due e soltanto due esseri supremi e autoevidenti, io e il mio Creatore”. Nel 1842 a Littlemore, fuori Oxford, si era sistemato in una stalla che lui solo poteva negare fosse una comunità monastica con mortificazione della carne, digiuno, breviario e pratica dei manuali di spiritualità scritti da Ignazio di Loyola e altri. Rimaneva però ancora nell’anglicanesimo. Per aggiungere la beffa al danno, Newman aveva sfruttato l’ultimo sermone ufficiale all’università – prima di dimettersi da vicario di Santa Maria nel 1843 – per minare il primato protestante dell’interpretazione individuale della Scrittura attraverso
la figura di Maria: “Lei è il simbolo di tutti noi, non solo della fede degli ignoranti, ma anche dei dottori della chiesa che devono investigare, soppesare, definire oltre che professare il Vangelo; per tirare una linea tra la verità e l’eresia; per anticipare o rimediare alle varie aberrazioni della ragione distorta; per combattere l’orgoglio e l’imprudenza con le loro stesse mani; e perciò per trionfare sul sofista e sull’innovatore”.
Secondo Gladstone, Newman “stava barcollando avanti e indietro come un ubriaco e tutta la sua perizia era svanita”.

13 - Impaziente per la ritardata conversione di Newman al cattolicesimo romano, il futuro cardinale Nicholas Wiseman mandò padre Smith a Littlemore per indagare. Dopo cena Newman aveva cambiato i pantaloni neri da chierico anglicano con un paio grigio, senza dire niente. Smith si convinse che quello fosse un segno. Infatti, poco dopo l’amico Ambrose St John, anche Newman fu accolto nella chiesa cattolica da padre Domenico Barbieri, un missionario passionista italiano, a Littlemore l’8 ottobre 1845. Com’è tipico di Newman, era il frutto della scrittura di un libro: un saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana. “Mentre procedevo i miei problemi si chiarirono così tanto che cessai di parlare di ‘cattolici romani’ e cominciai, con coraggio, a chiamarli ‘cattolici’. Prima di arrivare alla fine mi decisi a essere accolto, e il libro è ancora nello stato in cui era allora, incompiuto”. Ironicamente, mentre stava studiando per diventare un prete cattolico a Roma, il libro venne accusato di eresia.
Newman era finalmente “tornato a casa”, ma sarebbe anche partito per l’esilio – in particolare dalla amata Oxford. “C’erano molte bocche di leone che crescevano sui muri di fronte alle mie stanze da matricola, al Trinity College, e io le avevo prese per anni come l’emblema della mia residenza perpetua, fino alla morte, nella mia università. Non avevo mai visto Oxford prima della mia conversione, eccezion fatta per le sue guglie, così come si vedevano dalla ferrovia”. Gladstone aveva interpretato la reazione generale scrivendo che “non si è ancora riusciti a valutare appieno la portata della sua importanza calamitosa”. Chi avrebbe mai creduto che un anglo-cattolico non sarebbe diventato una quinta colonna!


14 - Martin Lutero aveva lasciato la chiesa di Roma per lo stesso motivo per cui John Newman l’aveva abbracciata. Entrambi avevano seguito la logica delle loro ricerche teologiche, dovunque li portasse. Per Lutero era la Lettera ai Romani 1,17: “Il giusto vivrà mediante la fede”. Tutto a un tratto “opera di Dio” non significava le azioni compiute per cercare il perdono divino, nella direzione mediata dalla chiesa. Ora “opera di Dio” significava il lavoro che Dio fa attraverso il credente quando ha fede nel sacrificio redentore di Cristo in croce. Il sacrificio di Cristo, di per sé sufficiente, non era ripetibile nella messa, quindi nessuna banca dello Spirito Santo, nessuna preghiera d’intercessione – e quindi nessuna chiesa come intermediario tra Dio e il singolo peccatore. Invece, un “sacerdozio universale dei credenti”.
Lutero era un agostiniano ed era proprio il “securus iudicat orbis terrarum” (il mondo intero non sbaglia nel giudicare) di Agostino che aveva colpito Newman “con una forza che non avevo mai sentito in nessuna parola prima d’ora… Il ‘tolle, lege’ (prendi e leggi) del fanciullo che convertì sant’Agostino”, attraverso la lettura di Romani 13,13-14. All’epoca della conversione, Newman non aveva amici tra i cattolici inglesi, trovava i cattolici italiani osceni e superstiziosi e non amava musica e architettura cattoliche. Il suo gusto e le sue emozioni erano legati al linguaggio della Bibbia inglese e alle tradizioni di Oxford. Ma aveva lasciato la chiesa d’Inghilterra guardandosi a malapena indietro, semplicemente perché i suoi studi di storia della chiesa lo avevano convinto che, al contrario della chiesa di Roma, non era in continuità con quella degli apostoli e dei padri. Come aveva detto Lutero a Carlo V: “Io resto qui. Non posso fare altro!”. Questi agostiniani!


15 - Come Sherlock Holmes e il dottor Watson, Newman e il suo “angelo custode” dai capelli dorati, Ambrose St John, rientrarono in seminario insieme nel 1846 e nel 1847, per poi essere ordinati preti cattolici con Ambrose che impediva all’irrequieto e infastidito Newman di soffrire la stanchezza del mondo perché doveva pulire il pavimento, portare il brodo e servirlo a tavola, nonché per la “orribile crudeltà dei cattolici romani con gli animali, e anche la loro disonestà, quel mentire e rubare apparentemente senza alcun rimorso, e infine per la loro estrema sporcizia”. Tuttavia Newman era colpito dal trovare “ovunque una certezza semplice nella fede che per un protestante o un anglicano è davvero sorprendente”. Pensando a come convertire gli anglicani e i liberi pensatori, Newman scrisse il racconto “Perdita e guadagno”, la storia di un convertito; lo fece mentre era a Roma a studiare, avendo capito che la sua missione era in Inghilterra: “I sacerdoti italiani non sanno niente degli eretici in quanto esseri reali – vivono, almeno a Roma, in un posto che si vanta di non avere mai dato i natali all’eresia – e pensano di avere prove convincenti, quando in realtà non lo sono. Quindi sono abituati a parlare delle ragioni del cattolicesimo come fossero una dimostrazione, e non vedono alcuna forza nelle obiezioni e nessuna perplessità intellettuale che non sia direttamente e immediatamente maligna”. Per questo Newman divenne inizialmente il superiore di un Oratorio di sei preti secolari nella città industriale di Birmingham, con i suoi poveri immigrati irlandesi. Dickens in “Tempi difficili” l’aveva sarcasticamente definita “la città del carbone”: un bastione in ferro battuto dell’utilitarismo alla Jeremy Bentham. Dove Oxford aveva “guglie sognanti”, Birmingham aveva ciminiere fumanti. L’Oratorio era una distilleria di gin riconvertita.

16
- A Newman era stato proibito di adottare il proprio sistema di lezioni individuali all’Oriel College, ma sarebbe diventato lo standard sia a Oxford sia a Cambridge dal 1900, perché Newman iniziò a esercitare la più grande influenza sull’educazione universitaria nel mondo anglosassone con il suo “Idea di università” – l’esposizione dei suoi piani per l’Università di Dublino, da lui fondata e diretta dal 1852 al 1858.
Per Newman, una educazione liberale dovrebbe allenare la mente e il carattere, in maniera da renderlo ricettivo a qualunque formazione professionale successiva. “E’ un errore sovraccaricare la preparazione liberale con la virtù o la religione, così come con le arti meccaniche”. E si dovrebbe insegnare la teologia perché, se è vera, è parte di tutto il vero sapere. In un’università cattolica la religione dovrebbe essere insegnata dai cattolici ma, per esempio, gli anglicani dovrebbero insegnarla a Oxford e i presbiteriani a Edimburgo. “Gli uomini istruiti possono fare ciò che gli illetterati non possono; e un uomo che ha imparato a pensare, a ragionare, a comparare, a discriminare, ad analizzare, che ha raffinato il suo gusto, formato il suo giudizio, affinato la sua visione mentale, non sarà solo un buon avvocato, o un oratore, o un chimico, o un geologo, o un antiquario, ma avrà raggiunto quello stato dell’intelletto in cui può dedicarsi a una qualsiasi delle scienze o delle vocazioni che ho citato, o a qualunque altra per cui ha gusto o un talento speciale, con una facilità, una grazia, una versatilità e un successo sconosciuti a chiunque altro”.
“Un’educazione liberale non si occupa di rafforzare l’anima contro le tentazioni o di consolarla nelle afflizioni, non più che di insegnare a mettere in moto un telaio o dirigere una carrozza a vapore… E’ un rattoppo per i nostri cuori se migliora le nostre circostanze temporali. Scavate il granito con un rasoio o ormeggiate una nave con un filo di seta; allora potrete sperare, con strumenti delicati e acuti come la conoscenza e la ragione, di lottare contro quei giganti, la passione e l’orgoglio”.

17 -
Un prestito dei Rothschild permise a Pio IX di tornare a Roma nel 1849 per rimettere gli ebrei nel ghetto, erigere una ghigliottina e accendere un falò per tutte le bibbie italiane distribuite da Mazzini in piazza del Popolo. Giusto per confermare i preconcetti della protestante Inghilterra, Pio IX procedette a dividere l’isola, felicemente eretica, in diocesi cattoliche e a nominare prelati sotto il nuovo cardinale arcivescovo di Westminster, Nicholas Patrick Stephen Wiseman. Il movimento antipapista protestò pubblicamente, mentre il primo ministro, Lord John Russell, parlò di “invasione di un reame sovrano”. Per Newman, che predicava all’assemblea dei vescovi, questa era “una seconda primavera”. In un mondo materialista dove la vita doveva condurre alla morte, ora si assisteva al miracolo di un morto che tornava in vita. Secondo il censimento del 1851, il gregge complessivo di questa nuova tornata di vescovi era di 165 mila cattolici. Newman aveva sempre criticato i vescovi anglicani di essere troppo deboli rispetto allo stato secolare e ai loro laici. Ora lui stesso si trovava ad attaccare i vescovi cattolici che ignoravano ostinatamente i laici – incluso il vescovo di Roma sull’Immacolata concezione e sull’infallibilità del Papa.
I vecchi cattolici stavano dalla parte di Newman; i nuovi cattolici – i convertiti anglicani come il cardinale Manning, arcivescovo di Westminster, e il ciambellano papale, monsignor George Talbot – gli fecero guerra e venne segnalato a Roma per eresia dal vescovo di Newport (in Galles!!). “Qual è il terreno dei laici? Cacciare, sparare, divertire. Queste sono cose che capiscono, ma non hanno alcun diritto di immischiarsi nelle questioni ecclesiali… Il dottor Newman è l’uomo più pericoloso di tutta l’Inghilterra” (da una lettera di Talbot a Manning). Per Newman (“Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina”), “la tradizione degli apostoli, affidata alla chiesa intera, si manifesta in vari modi e in vari tempi: a volte attraverso la bocca dell’episcopato, a volte attraverso i dottori, a volte attraverso la gente, a volte attraverso la liturgia, i riti, le cerimonie, le consuetudini, gli eventi, le dispute, i movimenti e tutti quei fenomeni che sono compresi sotto il nome di ‘storia’. Ne consegue che nessuno di questi canali della tradizione va trattato con disprezzo”. Per Newman erano stati i laici a impedire ai vescovi di diventare ariani! Era totalmente in disaccordo con il Vaticano I, mentre per Paolo VI il Vaticano II era “il concilio di Newman”.

18 - Nel 1864, il reverendo Charles Kingsley, parroco esemplare, cristiano socialista, sostenitore di Darwin, professore regio di Storia a Cambridge e noto scrittore di romanzi storici, scrisse in una recensione alla “Storia d’Inghilterra” del cognato, J. A. Froude, che “la verità per amore della verità non è mai stata una virtù per il clero romano. Padre Newman ci informa che non c’è bisogno che lo sia, e tutto sommato non deve esserlo”.
Era anche un attacco personale, dal momento che era pure il cognato di Hurrell Froude. Proprio il Movimento di Oxford e i sermoni di Newman avevano procurato a Kingsley enormi difficoltà nel convincere al matrimonio la sua promessa sposa Fanny Froude, invece di entrare in uno dei nuovi conventi del Movimento. Kingsley rappresentava il cristianesimo muscolare dell’altro grande educatore e moralista vittoriano, Thomas Arnold, preside della Scuola di Rugby e padre della scuola pubblica inglese. Era l’alternativa all’evangelismo del Movimento di Oxford e puntava a trasformare la progenie della classe media in paladini del “fair play” nei confronti dei “vicini” meno fortunati, così come sui campi da rugby o da cricket. Nella sua replica magnificamente scritta, “Apologia pro vita sua”, Newman riconosce il fallimento della sua “via media” tra cattolici romani e chiesa d’Inghilterra del 1839, pur essendo rimasto prete anglicano per altri sei anni – e per altre ottomila parole! – prima di “passare a Roma”. Sembrano “stratagemmi”, l’opposto del “fair play” per cui si può rompere lo spirito piuttosto che la lettera del gioco, per cui “non importa se hai vinto o perso, ma come hai giocato!”.

19 - In questi ultimi giorni tutto tende verso l’ateismo”, scriveva Newman. C’era poco spazio per l’incanto nel mondo utilitarista del progresso scientifico, tecnologico e della salute pubblica sotto il mantello dello stato secolare. La replica di Newman fu il suo “Grammatica dell’assenso”, che provava l’esistenza di Dio in questo nuovo contesto. La risposta di Pio IX fu il “Sillabo dei principali errori del nostro tempo” (1864) che scagliava un anatema sul mondo moderno. Nel 1870, l’anno di Roma capitale e della Comune di Parigi, Pio IX con infallibilità papale minacciava una guerra civile religiosa. Era la risposta alla Kulturkampf di Bismarck contro il nemico interno del cattolicesimo tedesco. Poi nel 1874 i ministri cattolici irlandesi, votando su ordine dei loro vescovi, fecero cadere il governo liberale di Gladstone, un politico molto aperto al cattolicesimo e all’Home Rule irlandese. Gladstone ora scriveva che i convertiti cattolici stavano consegnando le loro libertà politiche e morali al Papa. Il conseguente attacco di Newman ai compagni cattolici giunse fino al Papa. “Ho la profonda sensazione che i cattolici possano abbondantemente ringraziare se stessi, e nessun altro, per avere alienato da loro, così religiosi, un’anima (come quella di Gladstone). Ci sono alcuni di quelli tra di noi – e dev’essere confessato – che negli ultimi anni hanno mantenuto una condotta come se le parole in libertà e le azioni autoritarie non comportassero alcuna conseguenza; hanno detto verità nelle forme più paradossali, e tirato i principi finché non stavano per spezzarsi; hanno fatto ampiamente del loro meglio per incendiare la casa, per poi lasciare ad altri il compito di spegnere le fiamme”.

20 - Il cardinale arcivescovo Manning e il vescovo di Birmingham Ullathorne fecero tutto quanto era loro possibile, salvo poi smentire tutto, per nascondere il berretto cardinalizio che il capo laico della chiesa cattolica inglese, il duca di Norfolk, voleva proporre a Papa Leone XIII. Alla fine Newman ricevette lo zucchetto il 13 maggio 1879. “La nube mi ha abbandonato per sempre”. Scelse come motto “cor ad cor loquitur”. Ma per quanto riguarda il cuore di Newman? Nel 1875 morì padre Ambrose St John, “amico particolare” e factotum. “Ringrazio Dio per avermi dato per trentadue anni non solo un amico affezionato, ma un aiuto e un sostegno come dovrebbe essere un guardiano dall’alto, rendendo agevole il mio cammino in mezzo alle difficoltà, rinfrancandomi con la sua presenza solare, così come Raffaele aveva caricato su di sé il peso di Tobia. Non riesco a pensare a come avrei potuto riuscire in qualcosa senza il suo aiuto. Dio sapeva quanto fossi timoroso e impreparato, per questo me l’ha dato. Proprio quando tutti gli amici protestanti e i convertiti mi furono tenuti lontano e dovetti stare da solo, lui era venuto da me come Rut a Noemi. Da quando è morto mi rimprovero di non avergli espresso appieno quanto sentissi il suo amore”.
Era stato St John a permettere a un uomo così concentrato su di sé come Newman di assolvere i suoi compiti – proprio come la moglie del parroco nella tradizione anglicana. Il loro vero connubio fu la tomba che condivisero per espresso comando di Newman. Newman era un santo? Fece di tutto per renderlo impossibile, facendo mettere del concime nella propria bara, così che ora tutto ciò che ci rimane sono le targhe della bara sua e di Ambrose, senza altro da venerare o da denigrare!

di Richard Newbury


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lunedì, 20 settembre 2010


NEWMAN/ 4.
La fede e quella somma di indizi più ragionevoli anche della scienza

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lunedì 20 settembre 2010

La beatificazione di John Henry Newman costituisce uno dei punti qualificanti del viaggio di Benedetto XVI in terra inglese, poiché con questo gesto il Papa permette al popolo cristiano di riconoscere la vita e l’opera di uno dei pensatori più originali degli ultimi due secoli. Nato da una famiglia della borghesia inglese nel 1801, riceve un’educazione dal doppio volto: dal padre eredita una certa propensione all’indagine e alla verifica razionale di ogni problema, secondo uno stile proprio del liberalismo inglese post-illuminista. Dalla madre, di antiche origini ugonotte francesi, una salda fede calvinista nella predestinazione dell’anima e nell’importanza del rapporto diretto con la Sacra Scrittura.
Queste due prospettive educative si fusero in lui in maniera del tutto originale, tanto da fargli scrivere nella sua autobiografia, L’apologia pro vita sua, che fin da ragazzo: «mi sentivo prescelto per l'eterna gloria. Non mi sembra che tale convinzione tendesse in alcun modo a rendermi negligente nel compiacere il Signore [...] ma ritengo che abbia avuto qualche influenza sulle mie opinioni [...]: nel senso, cioè, di isolarmi dagli oggetti che mi circondavano, di rafforzare la mia diffidenza verso la realtà dei fenomeni materiali e ancorarmi al pensiero di due, e solo due, esseri assoluti, di un'intrinseca e luminosa evidenza: me stesso e Dio».

Il giovane Newman sente da subito che la propria sete di felicità ha bisogno di un rapporto personale e totale con Dio, e si dedica quindi allo studio dei classici e della patristica, trasferendosi ben presto all’Università di Oxford. Qui gli studi intensi e le diverse influenze culturali e religiose mosse dai suoi molti incontri e dalle sue ancor più numerose letture lo portano ad abbandonare il calvinismo materno e a maturare la vocazione sacerdotale all’interno della Chiesa anglicana, di cui diventa sacerdote nel 1825.
Egli non abbandona comunque la comunità universitaria, poiché vi svolge contemporaneamente, a partire dal 1826, l’incarico di tutor presso l’Oriel College di Oxford. Da questo momento in avanti l’opera di Newman è sempre più intensa, volta allo studio della patristica e all’approfondimento della dottrina anglicana.
A partire dal 1839, Newman diventa uno dei fondatori del cosiddetto movimento trattariano, che consisteva in un gruppo di ricercatori che studiavano e pubblicavano scritti in merito alla tradizione cristiana così da riscoprire e rifondare l’esperienza anglicana, secondo loro messa in pericolo da una pericolosa deriva liberale e scetticheggiante.
Questo gruppo di persone, diventato famoso con il nome di Movimento di Oxford, portò un’ondata di aria fresca nella chiesa inglese, rivista come un via media tra le derive delle letture protestanti, troppo lontane dalla tradizione della Chiesa antica e deboli nella loro proposta di vita cristiana, e le spigolosità della Chiesa Cattolica, ritenuta dai trattariani un’istituzione ultimamente diabolica volta alla perversione dell’evento cristiano. Ma già dopo due anni, nel 1841, Newman e i suoi dovettero sospendere le pubblicazioni dei loro Tracts, poiché accusati dalla gerarchia anglicana di essere eccessivamente ambigui nelle loro ricostruzioni dottrinali, ritenute troppo vicine al credo cattolico.
Lo stesso Newman ha ormai da qualche tempo dubbi sulla posizione anglicana, poiché quanto più studia la patristica, tanto più capisce la legittimità delle pretese cattoliche in tema di dogmi e disciplina ecclesiastica. Si ritira quindi nell’eremo di Littlemore, nei pressi di Oxford, lasciando anche i suoi incarichi universitari per decidere quale via seguire nella sua vita ed approfondire i suoi studi. Vi rimase fino all’8 ottobre del 1845, quando, dopo lunghi e tormentati ripensamenti, chiede di essere ammesso alla comunione cattolica.

La sua vita da cattolico fu altrettanto intensa, e costellata da successi e anche da fallimenti, ma fu soprattutto una vita di pace, come lui stesso scrive: «Dal momento in cui divenni cattolico, naturalmente non ho più da narrare una storia delle mie opinioni religiose. Con questo non intendo dire che la mia mente sia stata in ozio o che io abbia smesso di meditare su argomenti teologici; ma non ho più avuto variazioni da registrare; più nessun'ansia di cuore. Ho goduto una perfetta pace e tranquillità; non mi è più venuto un sol dubbio».

Venuto a Roma nel 1846, con i molti suoi compagni di studi che avevano come lui abbracciato la fede cattolica, Newman rimane affascinato dall’esperienza degli Oratoriani di San Filippo Neri, della cui comunità entra a far parte chiedendo di aprire una casa in Inghilterra. Il suo desiderio ebbe corso nel 1849 quando a Birmingham fu fondata la prima casa inglese della congregazione dove Newman si trasferì con molti dei suoi amici.
Qui Newman si dedicò all’insegnamento e all’approfondimento dei suoi studi, volti in questa fase sia alla storia della Chiesa sia alla filosofia. Riprendendo molti temi già presenti nei suoi discorsi alla comunità universitaria di Oxford quando era ancora anglicano, nel 1864 Newman pubblica La grammatica dell’assenso, un capolavoro filosofico dove smonta il positivismo imperante nel suo tempo e mostra la ragionevolezza dell’adesione alla fede: egli infatti dimostra con chiarezza che la ragione possiede moltissimi strumenti conoscitivi, tutti efficaci se usati correttamente e non riducibili alla dimostrazione scientifica, che costituisce solo uno tra queste vie di conoscenza.
Tra questi strumenti il più utilizzato e allo stesso tempo misconosciuto è il cosiddetto senso illativo, che coincide con la ragionevole certezza che una verità è tale in virtù di una somma di indizi differenti che concordano su quella stessa verità. Così la fede, tipico esempio di senso illativo, non dimostra scientificamente la sua veridicità, ma offre a tutti la propria ragionevolezza poiché spiega gli incontri della vita, la storia della Chiesa, le prove che ognuno incontra lungo il corso della propria esistenza, le relazioni con gli altri uomini, ecc. La fede è un atto ragionevole di chi incontra Cristo, e, incontrandolo, potenzia e compie la propria ragione.
Newman vivrà anche alcune gravi incomprensioni all’interno della comunità cattolica, ma la nomina a cardinale nel 1879 spazzò via tutti i sospetti che si ammassavano su di lui da parte di quanti guardavano con sospetto a questo convertito sempre pronto a discutere su tutto e a cercare i fondamenti di ogni cosa. La sua vita ebbe termine l’11 agosto 1890, presso la sua comunità oratoriana di Birmingham dove la sua vita di ricerca aveva trovato finalmente compimento.
 


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venerdì, 17 settembre 2010

Difficile cammino di un ipersensibile

di Inos Biffi,
da
L'Osservatore Romano (13/09/2010)

Qualche anno prima che John Henry Newman morisse, il vescovo di Birmingham, nome Ullathorne, dopo averlo incontrato, commentava: "Mi sono sentito rimpicciolito davanti alla sua presenza. Dentro quest'uomo c'è un santo". Era una persuasione diffusa, riconosciuta persino dal cardinale Manning, che in precedenza non aveva nutrito sentimenti di eccessiva simpatia per Newman, per non dire che, con padre nome Faber, lo aveva fortemente avversato ed era stato - sono parole di Newman - ingiusto verso di lui.
   

Dichiarava il cardinale nell'elogio funebre: "A nostra memoria, nessun inglese è stato oggetto di una venerazione così viva e sincera. Fu centro di numerose anime, che erano andate da lui, come maestro, guida e consigliere durante molti anni. Una vita bella e nobile". Lo si potrebbe dire per la sua santità: "bella e nobile" e avvolta dalla discrezione e dal velo del silenzio.
  
Non troviamo in Newman forme "impressionanti" o manifestazioni eccessive nella sua concezione e nella sua esperienza della vita cristiana, ma un senso vivo e sereno della "misura", un equilibrio lontano da ogni esasperazione, un innato distacco dalle cose di questo mondo e un chiaro tratto di humour, ora più dolce ora più amaro, che sono probabilmente tra le ragioni della sua simpatia per Filippo Neri e della scelta di essere suo discepolo.
  
Del fondatore dell'Oratorio egli era, infatti, un ammiratore sconfinato e devotissimo, come rivelano le sue riflessioni e orazioni nella Novena di san Filippo Neri, o le Litanie di san Filippo, che invocava come: "Eroe nascosto", "Santo amabile", "Padre soavissimo", "Cuore di fuoco", "Luce di gioia santa".
  
Per la sua intercessione implorava:  "Ottienimi la grazia della perfetta rassegnazione alla volontà di Dio, dell'indifferenza alle cose di questo mondo, e di tenere gli occhi rivolti continuamente al cielo, di modo che io non dispiaccia mai alla divina provvidenza, non mi perda d'animo, non sia mai triste". E in una sua meditazione chiedeva: "Mio Signore, mio unico Dio, Deus meus et omnia, non permettere che io corra dietro a ciò che è vano. Tutto è ombra e vanità quaggiù - lo reciterà anche la sua epigrafe -. Conserva il mio cuore fragilissimo e la mia anima debole sotto la divina protezione. Attirami a te al mattino, a mezzogiorno e alla sera".
  
Si potrebbe dire che la santità di Newman sia stata segnata dalla "raffinatezza", che, a suo giudizio - come spiegava ai suoi oratoriani - "mette in evidenza e rende attraente la santità interiore, allo stesso modo in cui il dono dell'eloquenza esalta il ragionamento logico".
  
Ma nobiltà e raffinatezza della santità non significano facilità o assenza di difficoltà. Newman, come ogni discepolo del Signore, ha percorso, infatti, un cammino disseminato di difficoltà e segnato da svolte fondamentali e dolorose di "conversione".
  
Vi era anzitutto il suo temperamento. Egli doveva purificare un'ipersensibilità facilmente vulnerabile e appuntita, una suscettibilità facile a offendersi, una "fermezza d'acciaio" (Bouyer) penetrante, inclinata a reagire con pungente ironia, oltre al difetto comune agli intellettuali di un eccessivo  gusto  per  la  sottile discussione.
  
E qui possiamo osservare che non esistono temperamenti avvantaggiati o svantaggiati nei confronti della santità, ma una chiamata identica per tutti a trasformare la natura con l'ausilio della grazia, e viene in mente quanto lo stesso Newman diceva di Cirillo d'Alessandria: "Cirillo, lo so, è un santo; ma non vuol dire che fosse un santo nel 412. Fra i più grandi santi si trovano anche quelli che nella prima parte della vita hanno commesso delle azioni tutt'altro che sante. Non penso che a Cirillo possa piacere che i suoi atti storici siano presi a misura della sua santità interiore".
  
Quanto alle tappe del cammino di Newman alla santità - in ogni caso immediatamente sono aperte solo allo sguardo infallibile di Dio - possiamo discernere come prima quella del "grande rivolgimento di pensieri" che lo toccò, quindicenne, nell'autunno del 1816. Egli fu allora pervaso dall'evidenza luminosa, che non si spegnerà più, di "due e solo due esseri assoluti", il suo "io" e il suo "Creatore", il quale "gli si impose, in modo intimo, senza intermediari", non come un'idea astratta, ma nella consistenza di un Essere vivo, così come fatti vivi erano per lui i misteri della fede o i grandi dogmi quali la Trinità, l'incarnazione, la redenzione. Sempre nel tempo della sua prima conversione, lo aveva colpito un'espressione di Walter Scott, che divenne un programma: "La santità più che la pace".
  
Un'altra tappa decisiva nell'itinerario spirituale di Newman fu il superamento del liberalismo che incominciava a fargli preferire "l'eccellenza intellettuale a quella morale" e furono provvidenziali il viaggio nel Mediterraneo, la malattia in Sicilia, la scoperta del suo orgoglio, l'implorazione della Luce e il proposito di camminare sotto la sua guida. La santità di Newman appare come il crescere perseverante e senza strepito della puntuale corrispondenza a questa Luce.
  
Poi venne la "conversione" alla Chiesa cattolica, dove, con tutto lo strazio del distacco dall'antica Chiesa, dagli amici e dai familiari, risalta la fedeltà eroica alla coscienza e insieme alla volontà di Dio che in essa vedeva riflessa.
  
Ma proprio dopo questa conversione incomincia "la sua così lunga e spesso penosa vita", lungo la quale non sarebbero mancate situazioni difficili e profondi motivi di sofferenza, di fronte a chiari segni di sfiducia, a manovre non limpide, ad anni di emarginazione e di isolamento.
  
Possiamo seguire queste prove particolarmente negli Scritti autobiografici. Nel 1860 constatava e scriveva nel suo diario: "Non ho nessun amico a Roma, ho lavorato in Inghilterra dove non sono stato capito e dove mi hanno attaccato e disprezzato. Pare che sia incorso in molti fallimenti", e aggiungerà: "Credo di dire tutto questo senza amarezza". E ancora annotava: "Quanto è stata triste e solitaria la mia vita da quando sono diventato cattolico (...), da quando ho fatto il grande sacrificio al quale Dio mi chiamava. Egli mi ha compensato in mille modi, e tanto largamente. Ma ha segnato il mio cammino di mortificazioni quasi ininterrotte. La sua volontà benedetta non mi ha accordato molto successo nella vita. Da quando sono cattolico mi sembra di non aver avuto che degli insuccessi personali".
  
E aggiungeva nel gennaio del 1863 - Newman aveva 62 anni -: "Non mi stupisco delle prove, che sono il nostro retaggio quaggiù; ciò che mi amareggia è che, per quanto possa vedere, ho fatto così poco, in mezzo a tutte queste mie prove. La mia vita è stata triste perché, se guardo indietro, essa è stata un gran fallimento". Nel 1867, riconoscendo il lungo tempo in cui il Signore lo aveva abbandonato alla dimenticanza e alla calunnia, annotava: "Mi metterò sotto l'immagine del patriarca Giobbe, senza la pretesa di paragonarmi a lui", ma aggiungeva, sentendosi distaccato da tutto: "Ora sono in uno stato di quiete. Niente di quello che mi è capitato impedisce la mia gioia interiore, o piuttosto queste vicissitudini esteriori vi hanno magnificamente contribuito"; e due anni dopo riconosceva: "La Provvidenza di Dio è stata mirabile verso di me attraverso tutta la mia vita".
  
La santità di Newman è maturata in modo particolare per la fede, la speranza e la carità con cui egli ha saputo a lungo e pazientemente accogliere questa forma di croce, tanto più dolorosa quanto più viva era la sensibilità del suo animo e il suo amore per la verità e la giustizia.
  
Ma non solo leggendo il suo Diario, noi possiamo avvertire la sua passione per la santità: tutti i suoi scritti, anche quelli più teoretici, rivelano con trasparenza questo anelito. Pensiamo ai suoi pacati e tersi Sermoni Parrocchiali - in cui si ritrova tutto il suo ininterrotto ascolto della Parola di Dio - alle composizioni liriche, in cui si fondono santità e poesia, alle Meditazioni e Preghiere, e a quegli avvincenti profili dei Padri, la cui compagnia lo affascinava.
  
Bremond osserva che Newman sceglieva i Padri anzitutto come amici:  amici santi, così che le ore dedicate ad essi fossero "una specie di preghiera". E lo si avverte subito:  l'intimità con Basilio, Gregorio di Nazianzo, Crisostomo, Agostino, e altri ancora, erano una scuola concreta e intensa di santità, ed effettivamente concorrevano a crearla in chi ne ricostruiva le peripezie e ne condivideva la vita interiore. Diceva sempre Bremond:  "Chi non ama la santità, non ama i santi".
  
Newman mostra di amare sia i santi sia la santità.

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Il cammino della conversione di Newman partì dall’Italia

da
Zenit (13/09/2010)

Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Inghilterra per la beatificazione di John Henry Newman rappresenta una sorta di viaggio a ritroso rispetto a quello compiuto a suo tempo dal grande intellettuale inglese che iniziò la sua conversione a partire da un viaggio giovanile in Itali.


È quanto racconta Paolo Gulisano, studioso del mondo culturale e religioso anglo-sassone, nel suo volume John Henry Newman: profilo di un cercatore di verità, edito da Ancora (160 pagine, 13 euro), con prefazione del cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna.

Scrive l’arcivescovo di Bologna: “Chi oggi fa conoscere il Servo di Dio J.H. Newman fa opera di vera edificazione, nel senso biblico del termine”.

“È per questo – aggiunge – che ho apprezzato molto la fatica, ben riuscita, di Paolo Gulisano. Il libro infatti che sto presentando può essere un valido aiuto per entrare nella vita interiore di Newman”.

“Perché non ha esagerato chi lo ha definito uno dei Padri della Chiesa moderna? - si chiede il cardinale Carlo Caffarra –. Perché fondamentalmente ha preso estremamente sul serio la condizione del’uomo di oggi in ordine alla fede cristiana, ne ha individuato i bisogni spirituali più profondi, ha mostrato nella fede insegnata dalla Chiesa cattolica l’unica vera risposta adeguata”.

“Ed il libro di Gulisano – aggiunge – ci fa percorrere questo affascinante cammino, che Newman ci fa compiere con l’aiuto di una scrittura che ne fa anche un classico della letteratura inglese”.

Nel volume Paolo Gulisano racconta di quel decisivo viaggio in Italia, a Roma e in Sicilia, che cambiò la vita di John Henry Newman.

“Nel 1832 – all’età di trentun anni - Newman intraprese un lungo viaggio nell'Europa mediterranea,che prevedeva diverse tappe: Gibilterra, la Grecia, Malta, la Sicilia e infine Roma”, scrive Gulisano.

“In questo viaggio – prosegue – ebbe modo di incontrare per la prima volta un uomo che avrebbe giocato in seguito un ruolo importante nella sua vita: il Rettore del Collegio Inglese di Roma, un’istituzione formativa per i candidati inglesi al sacerdozio, Nicholas Patrick Wiseman, che diventerà Arcivescovo cattolico di Westminster, il primo dopo la ricostituzione della gerarchia”.

“Era la prima volta che Newman visitava Roma, la sede del papa, colui che i più intransigenti tra i protestanti ritenevano essere l’anticristo”.

“Di fronte al centro del Cattolicesimo mondiale, Newman ebbe una reazione curiosa: da una parte rimase sinceramente ammirato della devozione della gente semplice, quello che mancava alla sua chiesa anglicana”.

“Dall’altra parte fu colpito dalla poca educazione del clero, mentre per finire il papato – che ebbe modo di vedere da lontano, nelle fastose celebrazioni pontificie – non aveva avuto su di lui alcun effetto: restava qualcosa per lui incomprensibile, qualcosa che lo allontanava piuttosto che avvicinarlo alla Chiesa cattolica”.

“Newman si sentì confermato in una delle sue convinzioni più importanti, quella dell’Anglicanesimo come via media. L’anglicanesimo per Newman rappresentava la 'via media', ovvero il giusto mezzo, tra i cattolici e i protestanti. Newman vedeva da una parte i cattolici con la loro rigidità istituzionale, dall’altra parte i protestanti con il loro individualismo”.

“I pregiudizi verso il cattolicesimo facevano parte di una sorta di retaggio storico-culturale, ma in realtà- fin dal viaggio a Roma- Newman sembrò accettare l’importanza del dogma, che è uno strumento fondamentale che permette di evitare degli sbandamenti: l’uomo lasciato da solo facilmente sbaglia, perde la strada, mentre il dogma gli indica l’ortodossia, la dottrina giusta”.

“La teoria della Via Media sarebbe stata la spina dorsale del movimento cui da lì a poco Newman, insieme ai colleghi Keble e Pusey, avrebbe dato vita, un movimento religioso che si proponeva di rilanciare l’Anglicanesimo, con l'intento di salvare il patrimonio di fede e la continuità rituale e dogmatica della Chiesa anglicana con la Chiesa antica, sottolineando perciò le affinità, piuttosto che le divergenze, con il Cattolicesimo".

"Lasciatasi alle spalle Roma, Newman decise prima di rientrare in patria di tornare a visitare la Sicilia. Era la terra che maggiormente lo aveva colpito – spiega ancora Gulisano –, incantato con la sua arcana bellezza in quel lungo tour, e così decise di trascorrervi ancora dei giorni, da solo”.

“La percorse per diversi giorni, quando agli inizi di maggio, mentre faceva tappa a Leonforte, un centro della provincia di Enna, situato nell’interno dell’isola, Newman si ammalò gravemente, per una forma di febbre tifoidea”.

L'esperienza vissuta durante questa malattia fu tale che Newman ricorderà quei giorni del maggio 1833 come una delle tappe più significative per la sua comprensione del Mistero divino”.

“Fu a Leonforte, in quei giorni, che Newman fu assalito da mille dubbi sul suo credo religioso, e fu mentre lottava tra la vita e la morte che una limpida luce di maggio lo illuminò e gli diede il senso della verità che poco tempo dopo gli fece affrontare il passo decisivo per entrare nella Chiesa Cattolica”.

“Durante i giorni di malattia, mentre la febbre lo divorava, ripeteva spesso queste parole: 'Io non ho peccato contro la Luce'”.

“Fu un’esperienza quasi mistica, che Newman, una volta rimessosi in salute e salpato dalle coste siciliane, tradusse in una poesia che è anche una struggente preghiera, dove esprime la sua fiducia nella Provvidenza che lo avrebbe guidato nella realizzazione di una particolare missione”.

Guidami, Luce gentile
Guidami tu, luce gentile
conducimi nel buio che mi stringe;
a notte è scura la casa è lontana,
guidami tu, luce gentile


“Quel viaggio, quella malattia con la lucidità interiore che ne era seguita, fu provvidenziale. In quelle settimane Newman ebbe l'"intuizione" e il presentimento di una sua missione che lo attendeva, insieme con la persuasione da un lato di non aver mai peccato contro la Luce e di avere assolutamente bisogno di Luce

John Henry Newman fece ritorno a casa, con nel cuore il ricordo vivido di questa particolare, impressionante esperienza, di questa sorta di estasi mistica che l’aveva restituito poi al mondo con l’anima ancora più assetata di verità”.
mdeledda

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La verità non è un'opinione
***

 

di Edoardo Aldo Cerrato,
da
L'Osservatore Romano (16/09/2010)

La beatificazione di John Henry Newman certifica che egli ha vissuto da vero discepolo di Cristo, lui che alla domanda rivoltagli da un bambino - "Chi è più grande: un cardinale o un santo?" - aveva risposto: "Vedi, piccolo mio, un cardinale appartiene alla terra: è terrestre; un santo appartiene al cielo, è celeste". Ma mette in evidenza anche - è elemento fondamentale della vita di Newman - l'uomo che per tutta la vita ha cercato la verità con una onestà intellettuale e una capacità di tener conto di tutti i fattori che lo hanno reso un precursore di molte scoperte divenute patrimonio comune della Chiesa.
  
Il pensiero newmaniano non è facile da sintetizzare in un sistema unitario: Newman è un profondo pensatore, una personalità intellettualmente poliedrica che, anche negli scritti apparentemente più teorici, si è lasciata guidare da avvenimenti interiori ed esterni, come ha messo in evidenza Roderick Strange nel suo recente John Henry Newman. Una biografia spirituale: "fu sempre più interessato alla realtà che alla teoria. Si occupava di ciò che veramente accadeva".
   

Se da sempre il pensiero di Newman ha suscitato interesse per la ricchezza, oggi esercita un fascino particolare anche per la sua attualità.
  
Tra gli innumerevoli elementi che giustamente dovrebbero essere sottolineati ne scegliamo uno, che ci pare, tra l'altro, sotteso a tutti: quello che Newman stesso volle porre al centro del "discorso del biglietto" - per la nomina a cardinale - da lui pronunciato il 12 maggio 1879 a Palazzo della Pigna a Roma e riportato integralmente due giorni dopo sulla prima pagina de "L'Osservatore Romano": "Per trenta, quaranta, cinquant'anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c'è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l'esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?".
  
Al Simposio organizzato dal Centro degli Amici di Newman nel 1990 per il primo centenario della morte del fondatore dell'Oratorio inglese, il cardinale Joseph Ratzinger affermava: "
Tutta la vita di Newman fu il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d'una concezione del cristianesimo fondata sull'oggettività del dogma. A questo proposito trovo sempre grandemente significativa, ma particolarmente oggi, una formulazione tratta da una delle sue prediche dell'epoca anglicana. Il vero cristianesimo si dimostra nell'obbedienza, e non in uno stato di coscienza. Così tutto il compito e il lavoro di un cristiano si organizza attorno a questi due elementi: la fede e l'obbedienza; "egli guarda a Gesù" (Ebrei, 2, 9) e agisce secondo la sua volontà. Mi sembra che oggi corriamo il pericolo di non dare il peso che dovremmo a nessuno dei due. Consideriamo qualsiasi vera e accurata riflessione sul contenuto della fede come sterile ortodossia, come astruseria tecnica. Di conseguenza facciamo consistere il criterio della nostra pietà nel possesso di una cosiddetta disposizione d'animo spirituale". E continuò sottolineando il legame tra verità e coscienza personale: "Newman insegnava che la coscienza doveva essere nutrita come «un modo di obbedienza alla verità oggettiva»" (Euntes Docete. Commentaria Urbaniana, Roma, XLIII/1990/3, pp. 431-436).
  
Newman testimonia con la sua vita intera la centralità che in lui occupa questa convinzione e quanto disastrose egli ritenesse le conseguenze del mancato riconoscimento della religione rivelata come vera, oggettiva, del considerarla qualcosa di privato da cui scegliere per sé quel che pare: viene alla mente, pensando a tali conseguenze, ciò che ancora alla vigilia della sua elezione al pontificato, nella messa pro eligendo Pontifice, disse il cardinale Ratzinger: una barca scossa dalle onde create da correnti ideologiche, "dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo a un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. (...) Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie".
  
Tutto il cammino di Newman testimonia che la via della coscienza non è chiusura nel proprio "Io", ma è apertura, conversione, obbedienza a Colui che è l'amore e la verità: tra coscienza e verità c'è un legame intrinseco, e la dignità della coscienza non comporta il minimo cedimento all'arbitrarietà o al relativismo. E testimonia che la ragione - lo diciamo con le parole di Fortunato Morrone nella relazione al convegno "John Henry Newman oggi, lògos e dialogo" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (2009) - "colta nella concretezza dell'esperienza umana dei singoli, fatta di relazioni, di immaginazione, di sentimenti, di puntuali e limitate contingenze storiche (...) possiede una sua dinamica che tende inevitabilmente alla verità".
  
"Ex umbra et imaginibus ad veritatem". "Cor ad cor loquitur". Nelle parole dettate da Newman per l'epigrafe della sua tomba e in quelle da lui scelte come motto per lo stemma cardinalizio, c'è davvero la potente sintesi di un immenso patrimonio di pensiero e di convinzioni.

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Newman, cattolico perché moderno
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A far da sfondo alla visita del Papa in Inghilterra ci saranno le grandi questioni secolari irrisolte che determinano la separazione religiosa di Londra da Roma.

di Giuseppe Bonvegna,
da
Il Sussidiario (17/09/2010)

Il primo viaggio apostolico di papa Benedetto XVI nel Regno Unito è un evento fondamentale per la Chiesa e per il mondo. Domenica il Papa celebrerà la Messa di Beatificazione del cardinale John Henry Newman (1801-1890) al Cofton Park di Birmingham. Il grande intellettuale e prete anglicano di Oxford (anche se londinese di nascita) si convertì al cattolicesimo nel 1845, presentando la sua professione di fede nelle mani del padre passionista italiano, Domenico Barberi.


C’è un legame molto stretto tra Newman e l’Italia - all’indomani della sua conversione dall’anglicanesimo al cattolicesimo, fondò la Congregazione inglese dell’Oratorio di San Filippo Neri - ma il grande convertito rimane comunque un personaggio tutto sommato non molto conosciuto al pubblico italiano, anche se non mancano studi e biografie nella nostra lingua (e non soltanto in traduzione), che, com’è ovvio, si stanno moltiplicando in concomitanza con la Beatificazione. Tra le ultime biografie, meritano di essere ricordate: John Henry Newman. Una biografia spirituale di Roderick Strange (Lindau, Torino 2010), Newman. La ragionevolezza della fede di Lina Callegari (Ares, Milano 2010) e il più divulgativo John Henry Newman. Profilo di un cercatore di verità (Ancora, Milano 2010).

Eppure il legame tra Newman e l’Italia non è solo questione di aneddotica e di pubblicistica, ma coinvolge il cuore dell’esperienza religiosa e intellettuale newmaniana. Già prima della conversione, infatti, Newman conosceva e apprezzava la spiritualità di Antonio Rosmini e il cosiddetto “cattolicesimo moderno”, cioè quel cattolicesimo sviluppatosi in risposta alla Riforma protestante e che ebbe (solo per limitarsi a un esempio) in sant’Alfonso Maria de’ Liguori uno dei suoi rappresentanti più noti. Fu anche dalla lettura del santo napoletano (alla quale va aggiunta quella di sant’Ignazio di Loyola e di diversi altri) che, all’inizio degli anni Quaranta dell’Ottocento, Newman si convinse della verità del cattolicesimo.

Il futuro cardinale immaginò la sua missione intellettuale e spirituale (che era iniziata negli anni Trenta tra le fila e come leader del Movimento di Oxford per la difesa dell’anglicanesimo dalle leggi del governo liberale di allora) nei termini di una battaglia che si poteva combattere soltanto sul crinale dell’Età moderna.

Diventare cattolico avrebbe infatti comportato, senza compromessi, un ritorno alla prima spiritualità cattolica anti-protestante e quindi un abbandono definitivo della dottrina anglicana della Via Media tra calvinismo e cattolicesimo, che egli professava prima della conversione, nel tentativo di proporre un’immagine della Chiesa anglicana “ripulita” dalla deriva protestante alla quale anche i politici liberali del tempo di fatto la stavano condannando: ai suoi occhi, il continuare a credere nella Chiesa anglicana occultava il fatto che non poteva esserci una via di mezzo tra ateismo e cattolicesimo, nel senso che uno spirito autenticamente religioso avrebbe dovuto, prima o poi, abbracciare naturalmente il cattolicesimo.

Ecco perché anche la visita del Papa nel Regno Unito e la contestuale Beatificazione di colui il quale fu l’iniziatore e il padre spirituale di una lunga schiera di convertiti, che, da John Ronald Reuel Tolkien e da Gilberth Keith Chesterton arriva fino ai giorni nostri e non si è ancora conclusa, deve essere letta alla luce di un confronto decisivo con la modernità: si tratta di una battaglia che, del resto, l’attuale Pontefice da anni sta conducendo (anche in campo filosofico e anche sulla scorta del pensiero newmaniano) e alla quale, al Cofton Park di Birmingham, darà uno dei suggelli più alti.

È infatti il ritmo della storia, del futuro dell’Inghilterra e (data l’importanza della nazione inglese) dell’intera Europa a battere nel cuore della visita papale, e ciò non solo perché si tratta di una visita di Stato. A fare da sfondo all’udienza con la Regina (in programma a Edimburgo giovedì 16) e agli incontri londinesi con l’Arcivescovo di Canterbury (venerdì 17) e con il Primo Ministro (sabato 18) ci saranno inevitabilmente le grandi questioni secolari ancora non risolte che religiosamente determinano la separazione della nazione d’oltremanica da Roma e che attendono di essere comprese, da parte inglese, con una volontà pacificatrice che sappia davvero apprezzare lo sforzo ecumenico del Papa.

La speranza è che sulle polemiche (e non solo su quelle più “basse” e banali) riesca a diffondersi anche a livello popolare quella sana curiositas verso la Chiesa cattolica, che, ad esempio, potrebbe essere facilitata da una pagina del sito internet dedicato alla Visita del Papa, dove si possono trovare informazioni su “cosa significa essere cattolico e come si può diventare cattolici”. Un servizio utilissimo, forse non solo per l’Inghilterra.

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martedì, 15 dicembre 2009

Così il Padre ci ama
***
Il Padre ci vede e ci conosce tutti, uno ad uno.
Chiunque tu sia egli ti vede individualmente,
egli ti chiama con il tuo nome,
egli ti comprende quale realmente ti ha fatto.

Egli conosce ciò che è in te,
tutti i tuoi sentimenti e pensieri più intimi,
le tue disposizioni e preferenze,
la tua forza e la tua debolezza.

Egli ti guarda nel giorno della gioia e nel giorno della tristezza,
ti ama nella speranza e nella tua tentazione,
s'interessa di tutte le tue ansietà, di tutti i tuoi ricordi,
di tutti gli alti e bassi del tuo spirito.

Egli ha perfino contato i capelli del tuo capo
e misurato la tua statura,
ti circonda e ti sostiene con le sue braccia
ti solleva e ti depone.

Egli osserva i tratti del tuo volto,
quando piangi e sorridi,
quando sei malato o godi buona salute.

Con tenerezza egli guarda le tue mani e i tuoi piedi,
sente la tua voce, il battito del tuo cuore,
ode perfino il tuo respiro,
tu non ami te stesso più di quanto egli ti ama.

Tu non puoi fremere dinanzi al dolore,
come egli freme vedendolo venire sopra di te,
e se tuttavia te lo impone è perché anche tu se fossi saggio
lo sceglieresti per un maggior bene futuro
.
Cardinal Newman

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venerdì, 24 luglio 2009

La beatificazione di Newman per far risorgere l’Europa cristiana
***
 

Segno di contraddizione per la Modernità che rifiuta Dio
di Paolo Gulisano
Tratto dal sito ZENIT, Agenzia di notizie il 22 luglio 2009

John Henry Newman, nato in Inghilterra nel 1801 e morto nel 1890, uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli, convertito al Cattolicesimo, sarà presto annoverato tra i beati della Chiesa Cattolica.

Si tratta di un avvenimento che lascerà il segno, e non solo nella Chiesa che è in Inghilterra, ma per tutta la Cristianità.

Newman nell’800 positivista e scientista che aveva cominciato a rifiutare Dio fu un segno di contraddizione che aveva scosso l’Inghilterra sia cattolica che protestante.
Da anglicano aveva dato vita al Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica (la teologia del tempo in cui la Chiesa era ancora una e indivisa) e a confrontarsi con le sfide della modernità. Questa ricerca della verità lo aveva fatto infine approdare, quarantenne, al cattolicesimo. Un distacco, quello dall’anglicanesimo a vantaggio di Roma, che fece scalpore.
Peraltro, divenuto cattolico, non mancarono a Newman altre contrarietà se non ostilità. Il suo genio teologico, la sua grande libertà con cui anteponeva il primato della coscienza ad ogni semplicistico dogmatismo suscitarono invidie e sospetti. Anche nella stessa gerarchia non mancò chi giudicava Newman non sufficientemente “romano”, non abbastanza polemico nei confronti di quell’anglicanesimo che aveva lasciato.
Newman attraversò anche queste prove, sostenendo sempre che “diecimila difficoltà non fanno un dubbio, se io capisco bene la questione”.
L’ex grande protagonista della vita culturale di Oxford venne messo in disparte nella sua nuova chiesa, dove gli si rimproverava di non attuare abbastanza conversioni. “Per me le conversioni non erano l’opera essenziale, ma piuttosto l’edificazione dei cattolici”, scrisse.
Entrato a far parte della Congregazione di San Filippo Neri, si stabilì a Birmingham, fondandovi un Oratorio. Qui il grande pensatore, l’intellettuale brillante, si trovò accanto alla miseria degli slums, in una realtà ecclesiale dove pochi erano quelli che si erano potuti permettere un’istruzione, e proprio qui, e a partire da qui, la Grazia di Dio che era in lui cominciò a seminare a piene mani.
“Il vero trionfo del Vangelo- aveva scritto- consiste in ciò: nell’elevare al di sopra di sé e al di sopra della natura umana uomini di ogni condizione di vita, nel creare questa cooperazione misteriosa della volontà alla Grazia… I santi: ecco la creazione autentica del Vangelo e della Chiesa. ”
Oggi la Chiesa indica proprio in Newman una di queste figure di santità. Che cosa significa la beatificazione di Newman nella realtà britannica ed anglosassone? Vuol dire riproporre ancora una volta un modello di santità fondato sulla sequela di Cristo.
Significa non rassegnarsi all’idea di un mondo che sembra totalmente secolarizzato, significa – per il mondo britannico- offrire una via d’uscita alla crisi gravissima dell’anglicanesimo. “La Chiesa Cattolica è per i santi e per i peccatori, per le persone rispettabili è sufficiente la Chiesa Anglicana”: così aveva scritto Oscar Wilde in procinto di convertirsi al Cattolicesimo.

Oggi la Chiesa Anglicana ha perso anche questo aplomb di rispettabilità formale: tra pastori smarriti che cercano di inseguire le varie mode ideologiche a vescovi che dichiarano pubblicamente di non credere nei fondamenti della Fede cristiana a reverende donne, in tutta questa confusione c’è una parte non trascurabile di fedeli anglicani che non si ritrovano più in questa chiesa, che tra l’altro alla morte della Regina Elisabetta II avrebbe formalmente come capo il panteista Carlo. La beatificazione di Newman potrebbe rappresentare un momento di riflessione per questo mondo anglicano smarrito.
La sua teologia, che quando era in vita appariva “liberale”, in realtà fu sempre profondamente sensibile alla tradizione e rispettosa dell'autorità magisteriale della Chiesa.
Le obiezioni cessarono quando fu elevato alla porpora cardinalizia da Leone XIII alla soglia degli ottant’anni, un riconoscimento dovuto per la sua opera e per la nobiltà della sua figura. Venne altresì nominato Fellow onorario del Trinity College di Oxford, un riconoscimento accademico straordinario, se si pensa che era dai tempi della Riforma, tre secoli prima, che un tale riconoscimento del massimo istituto accademico inglese non veniva più dato ad un cattolico.
Nonostante la mitezza, quasi la fragilità della sua persona. Il volto magro e solcato di rughe profonde in cui splendevano due occhi intrisi di ideale che avevano scrutato per anni in quella difficile Inghilterra dell’epoca vittoriana, John Henry Newman fu un apostolo e un profeta. Quando si spense a Birmingham nel 1890, la Chiesa cattolica in Inghilterra era in piena rifioritura, dopo tre secoli di persecuzione e emarginazione.
Newman lasciò il segno in generazioni di cattolici britannici, tra i quali numerosissimi convertiti. Tutta la grande cultura cattolica anglosassone gli è in qualche modo debitrice: senza Newman non avremmo avuto Chesterton, Belloc, Tolkien, Bruce Marshall e tanti altri ancora.
Il suo pensiero, la sua Fede coniugata alla Ragione sono più che mai attuali, e per questo motivo la sua beatificazione suscita in certi ambienti fastidio e irritazione. Il mondo anglosassone è veramente incredibile: mantiene sempre un impostazione puritana, e mentre da una parte promuove e diffonde la cultura del libertinismo sessuale, dall’altra appena la Chiesa cattolica prova a far emergere qualcosa di buono, bello e santo, trova il modo di attaccarla duramente.
Lo si è visto quando recentemente - proprio in vista del buon esito del processo di beatificazione - si è reso necessario riesumare il corpo di Newman, provocando così diverse reazioni, in particolare da parte della lobby omosessuale inglese, secondo cui egli non dovrebbe essere separato dal suo grande amico e collaboratore, padre Ambrose St John, insieme al quale Newman era stato sepolto, in accordo con le sue volontà testamentarie.
L'implicazione di tali proteste è chiara: Newman avrebbe voluto essere seppellito con il suo amico perché legato a lui da qualcosa di più di una semplice amicizia. Si adduca sostegno di questa tesi ciò che il cardinale scrisse alla morte di padre Ambrose, suo confratello nell’ordine oratoriano e stretto collaboratore:“Ho sempre pensato che nessun lutto fosse pari a quello di un marito o di una moglie, ma io sento difficile credere che ve ne sia uno più grande, o un dolore più grande, del mio”. In questa frase c’è semplicemente un riferimento al senso di una perdita, non certamente un’equiparazione di stato di vita.
Newman inoltre fu sempre un sostenitore decisissimo della castità e del celibato sacerdotale, tanto che lo definiva “uno stato superiore di vita, al quale la maggioranza degli uomini non possono aspirare”. I maliziosi hanno addirittura visto nel motto di Newman, cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”, un criptato riferimento ai suoi sentimenti per Padre Ambrose, ignorando grossolanamente che questa è un’espressione di san Francesco di Sales.
In realtà quella tra Newman e St. John fu la storia di una grande amicizia fondata sul comune amore per Cristo e la sua Chiesa. Quando Padre Ambrose morì, stava lavorando su indicazione di Newman alla traduzione di un testo teologico a sostegno del Dogma dell’infallibilità papale: una strana occupazione per una improbabile “coppia di fatto” ecclesiastica.
Ma la cultura libertina e pansessualista sembra non volere ammettere che possano esistere rapporti di amicizia puri, gratuiti: sembra che non riesca a concepire il bello morale che Cristo ha manifestato.
Anche per questo beatificare Newman è un segno della Chiesa per salvare e far risorgere l’Europa Cristiana. Sulla sua tomba il grande convertito aveva voluto che fossero incise queste parole: Ex umbris et imaginibus ad veritatem. Andiamo verso la verità passando attraverso ombre e immagini. Questo è il destino dei cristiani nei nostri tempi difficili.

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mercoledì, 03 giugno 2009

  IO NON LA PENSO COSÌ!
 ***

«Mio Dio! La gente dice che i tuoi giudizi sono severi
e i tuoi castighi esagerati.
Ma io non la penso così.
L'unica esperienza che io ho di te, Signore,
e' quella della tua benevolenza e misericordia.
Mi sei venuto sempre in aiuto.
A dispetto delle mie infedelta',
tu hai continuato ad amarmi,
a favorirmi, a circondarmi di tutte le tue benedizioni,
a sostenermi, a farmi progredire.
Pecco contro il tuo amore,
e tu me ne dai ancora di piu'.
Mi ribello contro di te, e tu non solo non mi respingi,
non solo non me la fai scontare,
ma ti mostri ancora piu' gentile,
simpatico, accondiscendente verso di me,
come se non avessi fatto
nulla contro di te,
come se non avessi nulla
da farmi perdonare da te,
nulla, di cui debba pentirmi,
nulla da correggere in me.
Signore! Ogni giorno e' sempre per me
un nuovo e dolce richiamo
al tuo inesauribile amore,
alla tua ineffabile misericordia!
Ne voglio dare testimonianza a tutti.
Voglio gridare a tutti
che tu sei un'eterna
provvidenziale pazienza
per la mia anima».

(John Henry Newman)

Postato da: giacabi a 14:50 | link | commenti
preghiere, newman

mercoledì, 05 novembre 2008

Vegliare
  ***
E’ necessario studiare da vicino la parola “vegliare”; bisogna studiarla perché il suo significato non è così evidente come si potrebbe credere a prima vista e perché la Scrittura la adopera con insistenza. Dobbiamo non soltanto credere, ma vegliare; non soltanto amare, ma vegliare; non soltanto obbedire, ma vegliare.
Vegliare perché?
Per questo grande evento: la venuta di Cristo.
Cos’è dunque vegliare?
Credo lo si possa spiegare così. Voi sapete cosa significa attendere un amico, attendere che arrivi e vederlo tardare? Sapete cosa significa essere in compagnia di gente che trovate sgradevole e desiderare che il tempo passi e scocchi l’ora in cui potrete riprendere la vostra libertà? Sapete cosa significa essere nell’ansia per una cosa che potrebbe accadere e non accade; o di essere nell’attesa di qualche evento importante che vi fa battere il cuore quando ve lo ricordano e al quale pensate fin dal momento in cui aprite gli occhi?
Sapete cosa significa avere un amico lontano, attendere sue notizie e domandarvi giorno dopo giorno cosa stia facendo in quel momento e se stia bene?
Sapete cosa significa vivere per qualcuno che è vicino a voi a tal punto che i vostri occhi seguono i suoi, che leggete nella sua anima, che vedete tutti i mutamenti della sua fisionomia, che prevedete i suoi desideri, che sorridete del suo sorriso e vi rattristate della sua tristezza, che siete abbattuti quando egli è preoccupato e che vi rallegrate per i suoi successi?
Vegliare nell’attesa di Cristo è un sentimento di rassomiglianza a questo, per quel tanto che i sentimenti di questo mondo sono in grado di raffigurare quelli dell’altro mondo.
Veglia con Cristo chi non perde di vista il passato mentre sta guardando all’avvenire, e completando ciò che il suo Salvatore gli ha acquistato, non dimentica ciò che egli ha sofferto per lui.
Veglia con Cristo chi fa memoria e rinnova ancora nella sua persona la croce e l’agonia di Cristo, e riveste con gioia questo mantello di afflizione che il Cristo ha portato quaggiù e ha lasciato dietro a sé quando è salito al cielo.

John Henry Newman

Postato da: giacabi a 18:04 | link | commenti
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mercoledì, 10 settembre 2008

La profezia
***
 "Verrà il momento in cui la Chiesa sarà sola a difendere nello stesso tempo l'uomo e la cultura".
cardinale Newman

Postato da: giacabi a 15:48 | link | commenti
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mercoledì, 16 aprile 2008


***
Come la preghiera è la voce dell'uomo rivolta a Dio così  la rivelazione è la voce di Dio rivolta all'uomo
J.H. Newman

Postato da: giacabi a 19:41 | link | commenti
preghiere, newman


Fa splendere il Tuo volto
***
Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu splendi;
  a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
 La luce, o Gesù, verrà tutta da te: nulla sarà merito mio.
 Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri.  
J.H. Newman

Postato da: giacabi a 19:37 | link | commenti
preghiere, newman

domenica, 09 dicembre 2007

Chi difende l’uomo
***

"Verrà il momento in cui la Chiesa sarà sola a difendere nello stesso tempo l'uomo e la cultura".
Cardinale Newman



Postato da: giacabi a 13:42 | link | commenti (1)
chiesa, newman

sabato, 08 dicembre 2007

Il mio sì
***
Io sono creato per fare e per essere qualcuno
per cui nessun altro è creato.

Io occupo un posto mio
nei consigli di Dio, nel mondo di Dio:
un posto da nessun altro occupato.

Poco importa che io sia ricco, povero
disprezzato o stimato dagli uomini:
Dio mi conosce e mi chiama per nome.

Egli mi ha affidato un lavoro
che non ha affidato a nessun altro.

Io ho la mia missione.

In qualche modo sono necessario ai suoi intenti
tanto necessario al posto mio
quanto un arcangelo al suo.

Egli non ha creato me inutilmente.
Io farò del bene, farò il suo lavoro.

Sarò un angelo di pace
un predicatore della verità
nel posto che egli mi ha assegnato
anche senza che io lo sappia,
purché io segua i suoi comandamenti
John Henry Newman



Postato da: giacabi a 13:57 | link | commenti
preghiere, newman

lunedì, 12 novembre 2007

Vegliare
***
E’ necessario studiare da vicino la parola “vegliare”; bisogna studiarla perché il suo significato non è così evidente come si potrebbe credere a prima vista e perché la Scrittura la adopera con insistenza. Dobbiamo non soltanto credere, ma vegliare; non soltanto amare, ma vegliare; non soltanto obbedire, ma vegliare. Vegliare perché? Per questo grande evento: la venuta di Cristo.
Cos’è dunque vegliare?
Credo lo si possa spiegare così. Voi sapete cosa significa attendere un amico, attendere che arrivi e vederlo tardare? Sapete cosa significa essere in compagnia di gente che trovate sgradevole e desiderare che il tempo passi e scocchi l’ora in cui potrete riprendere la vostra libertà? Sapete cosa significa essere nell’ansia per una cosa che potrebbe accadere e non accade; o di essere nell’attesa di qualche evento importante che vi fa battere il cuore quando ve lo ricordano e al quale pensate fin dal momento in cui aprite gli occhi? Sapete cosa significa avere un amico lontano, attendere sue notizie e domandarvi giorno dopo giorno cosa stia facendo in quel momento e se stia bene? Sapete cosa significa vivere per qualcuno che è vicino a voi a tal punto che i vostri occhi seguono i suoi, che leggete nella sua anima, che vedete tutti i mutamenti della sua fisionomia, che prevedete i suoi desideri, che sorridete del suo sorriso e vi rattristate della sua tristezza, che siete abbattuti quando egli è preoccupato e che vi rallegrate per i suoi successi? Vegliare nell’attesa di Cristo è un sentimento di rassomiglianza a questo, per quel tanto che i sentimenti di questo mondo sono in grado di raffigurare quelli dell’altro mondo.
Veglia con Cristo chi non perde di vista il passato mentre sta guardando all’avvenire, e completando ciò che il suo Salvatore gli ha acquistato, non dimentica ciò che egli ha sofferto per lui. Veglia con Cristo chi fa memoria e rinnova ancora nella sua persona la croce e l’agonia di Cristo, e riveste con gioia questo mantello di afflizione che il Cristo ha portato quaggiù e ha lasciato dietro a sé quando è salito al cielo.
John Henry Newman

Postato da: giacabi a 14:59 | link | commenti
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venerdì, 05 ottobre 2007

Vegliare
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E’ necessario studiare da vicino la parola “vegliare”; bisogna studiarla perché il suo significato non è così evidente come si potrebbe credere a prima vista e perché la Scrittura la adopera con insistenza. Dobbiamo non soltanto credere, ma vegliare; non soltanto amare, ma vegliare; non soltanto obbedire, ma vegliare. Vegliare perché? Per questo grande evento: la venuta di Cristo.
Cos’è dunque vegliare?
Credo lo si possa spiegare così. Voi sapete cosa significa attendere un amico, attendere che arrivi e vederlo tardare? Sapete cosa significa essere in compagnia di gente che trovate sgradevole e desiderare che il tempo passi e scocchi l’ora in cui potrete riprendere la vostra libertà? Sapete cosa significa essere nell’ansia per una cosa che potrebbe accadere e non accade; o di essere nell’attesa di qualche evento importante che vi fa battere il cuore quando ve lo ricordano e al quale pensate fin dal momento in cui aprite gli occhi? Sapete cosa significa avere un amico lontano, attendere sue notizie e domandarvi giorno dopo giorno cosa stia facendo in quel momento e se stia bene? Sapete cosa significa vivere per qualcuno che è vicino a voi a tal punto che i vostri occhi seguono i suoi, che leggete nella sua anima, che vedete tutti i mutamenti della sua fisionomia, che prevedete i suoi desideri, che sorridete del suo sorriso e vi rattristate della sua tristezza, che siete abbattuti quando egli è preoccupato e che vi rallegrate per i suoi successi? Vegliare nell’attesa di Cristo è un sentimento di rassomiglianza a questo, per quel tanto che i sentimenti di questo mondo sono in grado di raffigurare quelli dell’altro mondo.

Veglia con Cristo chi non perde di vista il passato mentre sta guardando all’avvenire, e completando ciò che il suo Salvatore gli ha acquistato, non dimentica ciò che egli ha sofferto per lui. Veglia con Cristo chi fa memoria e rinnova ancora nella sua persona la croce e l’agonia di Cristo, e riveste con gioia questo mantello di afflizione che il Cristo ha portato quaggiù e ha lasciato dietro a sé quando è salito al cielo.
John Henry Newman


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newman

sabato, 15 settembre 2007

Conducimi tu, luce gentile
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Conducimi tu, luce gentile,
conducimi nel buio che mi stringe,
la notte è scura, la casa è lontana,
conducimi tu, luce gentile.

Tu guida i miei passi, luce gentile,
non chiedo di vedere assai lontano,
mi basta un passo, solo il primo passo,
conducimi avanti, luce gentile.

Non sempre fu così, te non pregai
perché tu mi guidassi e conducessi,
da me la mia strada io volli vedere,
adesso tu mi guidi, luce gentile.

Io volli certezze, dimentica quei giorni,
purché l’amore tuo non m’abbandoni,
finché la notte passi tu mi guiderai
sicuramente a te, luce gentile.

 Card.Newman

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preghiere, newman

mercoledì, 27 giugno 2007


LA MAGGIOR PARTE DEI
CRISTIANI

Temo davvero che la maggior parte di coloro che si chiamano cristiani, qualunque cosa possano professare di credere, qualunque cosa possano credere di sentire, qualunque calore, e illuminazione, e amore essi possano pretendere di possedere come cosa loro propria, proseguirebbero per la loro strada quasi come fanno ora, né molto meglio, né molto peggio, se credessero che il Cristianesimo fosse una favola. Quando sono giovani essi soddisfano le loro voglie o, almeno, vanno in cerca delle vanità del mondo; via via che il tempo passa, si mettono in qualche promettente carriera di affari, o qualche altra maniera di far danaro; poi si sposano e si sistemano; e quando il loro interesse coincide con il loro dovere, sembrano essere, e si credono di essere uomini rispettabili e religiosi. Crescono attaccati alle cose così come sono; cominciano a mostrare un certo zelo nel combattere il vizio e l'errore e seguono l'idea della pace verso tutti gli uomini. E una condotta questa che, fin dove può giungere, è giusta e degna di lode. Io dico soltanto che essa non ha necessariamente nulla affatto a che fare con la religione. (...) Non arrischiano nulla, non rischiano, non sacrificano, non abbandonano nulla per la fede nella parola di Gesù Cristo.

John Henry Newman “Il cuore del mondo”



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cristianesimo, newman, non senso

martedì, 24 aprile 2007

Preghiera
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Irradiare Cristo
Caro Gesù, aiutami a diffondere la Tua fragranza ovunque vada,
inonda la mia anima con il Tuo Spirito e la Tua Vita.
 Penetra e possiedi tutto il mio essere,
così completamente che la mia vita non sia che un riflesso luminoso della Tua.
Risplendi attraverso di me, e sii così presente in me,
che ogni anima con cui vengo a contatto sperimenti
la Tua presenza nella mia anima.
Che alzino gli occhi e vedano non più me, ma Gesù soltanto!
Rimani con me, e allora comincerò a risplendere come Tu risplendi;
risplendere in modo da essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, proverrà tutta da Te;
niente di essa sarà mia.
Sarai Tu a risplendere sugli altri attraverso di me.
Fa’ che, così, io ti lodi nel modo che più ami:
risplendendo di luce su coloro che sono attorno a me.
Fa’ che ti annunci senza predicare,
non a parole, ma con l’esempio,
con una forza che trascina,
con l’influenza benevola di ciò che faccio,
con la pienezza tangibile dell’amore che il mio cuore porta per Te. Amen.
CARDINALE JOHN HENRY NEWMAN

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