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sabato 18 febbraio 2012

nichilismo


SE CI DIMENTICHIAMO DI DIO
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«Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatu-ra al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti natu-rali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, com-mettendo atti ignominiosi uomini con uomini, rice-vendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono d'ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia».
San Paolo

Postato da: giacabi a 09:25 | link | commenti
nichilismo, laicismo

martedì, 01 novembre 2011

L'IMBROGLIO DELLE BANCHE
 
 
 
 
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Postato da: giacabi a 13:48 | link | commenti
nichilismo, laicismo

sabato, 29 ottobre 2011

SE CIO' CHE SI DICE  è VERO
SIAMO VERAMENTE PRESI MALE!!!!!!!
SIAMO IN BALIA
A DEI MAFIOSI MONDIALI

contracambio

Postato da: giacabi a 11:35 | link | commenti
perle, nichilismo

domenica, 12 dicembre 2010

 
     
     
 
Divorzio, chi aveva previsto tutto...
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09-12-2010


Se fossi vissuto sempre in Italia probabilmente sarei un divorzista. Ho invece trascorso una quindicina di anni in paesi nei quali vige il divorzio (sappiamo del resto che vige quasi ovunque). Sulla base di quel che ho visto e sentito, ho acquistato alcune convinzioni che cercherò di riassumere, e che sono, comunque, contrarie al divorzio.

Sono profondamente convinto che lo Stato deve regolare l’istituto del matrimonio secondo i propri criteri politici, sociali e morali, senza subire l’interferenza di enti esterni, e quindi neanche della Chiesa cattolica. Lo Stato deve essere altrettanto libero e autonomo nella sfera del matrimonio civile, quanto lo è la Chiesa nella sfera del matrimonio religioso. Eppure rimango d’avviso che il divorzio sia sconsiglabile. Non già perché contrasti con la morale cristiana, che rispetto, ma che non intendo prendere in considerazione. Bensì perché lo ritengo nocivo, nel complesso, alla società.

Conosciamo benissimo gli argomenti a favore del divorzio, e chiunque sia stato sposato per qualche anno si sarà sorpreso a rimuginarseli in testa. Marito e moglie non vanno d’accordo; diventano nemici l’uno dell’altra; si irritano a vicenda in ogni momento della giornata, a ogni parola che dicono. Nessuno vorrà sostenere che la loro vita sia molto piacevole. Perché costringerli a rimanere insieme fino all’ultimo dei loro giorni? I bambini crescono in un’atmosfera burrascosa, carica di elettricità. A un certo momento vi è la possibilità che il marito si innamori di un’altra donna, o la moglie di un altro uomo, o tutt’è due le cose insieme, e allora si creano quelle che si chiamano comunemente situazioni “false”: separazione dei coniugi, conseguente convivere illegale (con varianti messicane). Conosciamo tutte queste cose.

Il divorzio ha il vantaggio di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. D’accordo. Ma presenta anche uno svantaggio che è, a mio avviso, ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante. Dobbiamo ricordare innanzitutto che ogni matrimonio, prima o dopo, corre qualche serio pericolo. Uomini e donne sono troppo diversi gli uni dagli altri per andare costantemente d’accordo e la vita in comune sotto lo stesso tetto produce sempre qualche profonda irritazione (anche tra fratelli e sorelle, tra genitori e figli, eccetera).

Succede dunque che gli sposini, a un bel momento, hanno l’impressione di capirsi un po’ meno di prima, poi di non capirsi per niente, e alla fine sono colti dal sospetto di non essere fatti, come si dice con altra frase ormai di uso comune, l’uno per l’altra. Che cosa succede in questo momento pressoché inevitabile in qualsiasi unione matrimoniale, se esiste la possibilità del divorzio? Quel che succede l’ho visto in Inghilterra, in Germania, in Scandinavia. La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. E ogni indebolimento della volontà dei coniugi è gravissimo, anzi fatale, perché, nei matrimoni davvero pericolanti, solo un grande sforzo da parte di entrambi, senza indecisioni e incertezze, può salvarli.

Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si ripercuote su tutta la vita sociale. L’indebolimento, inoltre, si ripete a ogni successivo matrimonio di chi si sia già divorziato. L’esperienza dei paesi col divorzio conferma quanto sa benissimo ogni studioso di psicologia. Le difficoltà del primo matrimonio risorgono quasi immutate nel secondo, perché la loro causa fondamentale non risiede nel partner, cioè nell’altro coniuge, bensì in noi stessi.


In parole povere: ogni moglie, e ogni marito, prima o dopo rivela qualche tratto irritante. Il matrimonio felice non consiste nella ricerca del partner privo di peculiarità irritanti, perché tale essere umano non esiste: bensì nella nostra capacità di sopportare l’irritazione e, a poco a poco, di eliminarla con un miscuglio di diplomazia, di serenità, di pazienza e di fermezza; insomma di “saper vivere”. Ma è proprio questa capacità che il divorzio attenua e distrugge. Là dove vige il divorzio è più facile, come in Scandinavia, la gente passa di matrimonio in divorzio tutta la vita. Vi risparmio la descrizione delle conseguenze per i figli, perché furono descritte già migliaia di volte…

Sono convinto che l’assenza di divorzio non può salvare tutti i matrimoni, ma ne salva molti che altrimenti finirebbero male. Lo Stato, per la salvezza della famiglia, che è un istituto di importanza ovvia, e per la felicità della maggioranza dei cittadini, fa quindi bene a mio avviso a non permettere il divorzio, anche se questo sacrifica l’esistenza di una minoranza verso i quali tutti sentiamo, si capisce, una profonda comprensione”


(Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 1964) PIERO OTTONE

Postato da: giacabi a 13:55 | link | commenti
nichilismo

mercoledì, 08 dicembre 2010

CARRON/ 4.

Così il nichilismo ha "ingannato" il nostro desiderio più vero

 
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martedì 7 dicembre 2010

Non si può non condividere il pensiero di Mauro Magatti quando afferma l’esistenza di un’illusione moderna secondo la quale ogni desiderio può aspirare a essere esaudito. Un’illusione che ne traduce un’altra, ancora più radicale, quella di auto-fondarsi. È vero che dinanzi a una tale crisi occorra mantenere fisso lo sguardo all’altro, segno dell’Altro; quindi fare spazio a una diversa idea della libertà. Ma se c’è schiacciamento radicale del senso, come fondare una tale idea?
Lo schiacciamento del senso, del quale parla Magatti, nasce dalla capacità da parte della società moderna di eludere il desiderio, corrodendone le basi e mostrandone l’inevitabile, ma anche legittima, superficialità, la sostanziale quanto assolutoria insensatezza. Il desiderio moderno, nella sua riduzione emozionale, è tagliato dalle sue radici. Esso è socialmente legittimato solo quando appare deprivato da qualsiasi senso e si riduce al semplice desiderio di benessere e di gratificazioni sensoriali, da realizzare ovunque sia possibile: nella professione, nella disponibilità economica, nelle relazioni con gli altri, nella visibilità sociale e mediatica.
Ma la riduzione del desiderio a una serie illimitata di raccolta di emozioni gratificanti, prive di senso e, proprio per questo, legittimate e socialmente tollerate, ha come premessa l’elisione del soggetto stesso. Lo schiacciamento del senso implica necessariamente una messa tra parentesi dell’uomo, la certificazione di una qualsiasi assenza di consistenza nei desideri che questi esprime.
Il desiderio non ha senso ed è ridotto alla semplice emozione (o sentimento, come dice Carrón) perché il soggetto che dovrebbe esprimerlo è negato nella sua individualità ed è ridotto ai suoi determinanti biologici, culturali e sociali. L’unica individualità che questi si vede riconosciuta risiede sì nei propri sentimenti, nelle proprie emozioni e nei propri desideri, ma solo a condizione che questi siano stati ridotti a volizioni personali, a semplici gratificazioni immediate quanto intense, interamente riassumibili nel quadro delle pulsioni delle quali questi è portatore.
Da qui nasce la duplice follia: da un lato, poiché i desideri sono l’unica dimensione legittima della propria espressione di sé, non solo questi si convertono nel solo piacere sensoriale e nelle gratificazioni che possono provenire dal possesso di cose e persone, ma soprattutto diventano enormi, debordanti, insopprimibili (e tante violenze efferate delle quali la cronaca è piena, trovano risposta proprio in questa direzione).
Dall’altro, nella misura in cui il soggetto si percepisce attraverso la sola dimensione dei propri desideri, anche l’incontro con l’altro - centro e cuore della proposta di don Giussani - è ridotto alla ricerca di un incontro con sé stessi, con un altro che ci sia complementare e funzionale, gratificandoci, soddisfacendosi nel nostro ruolo e nelle nostre funzioni.
Oltrepassare questi limiti e recuperare “il senso del desiderio” vuol dire riconoscere gli altri e noi stessi nel nostro desiderio di “vita buona”, vuol dire riconoscere dietro la superficialità delle emozioni e alla loro base, questo desiderio radicale di vita (e della “vita in abbondanza”) che è alla base del senso religioso.
Affinché l’incontro con l’altro recuperi lo stupore (quello stupore così presente nel pensiero di don Giussani), occorre che il desiderio, ben lontano dal ridursi alle soddisfazioni di superficie, abbia preso la forma di un’attesa radicale di “vita buona”, di una vita all’altezza di ciò che siamo chiamati (vocati) ad essere.
Solo così l’incontro con l’altro diventa sorprendente, ci disarciona e ci stupisce perché, se da un lato, come ogni dono, non può che essere inatteso, dall’altro, come risposta a un’attesa interiore e segreta, può essere percepito e quindi riconosciuto solo se il desiderio è conservato o ricostituito nella sua forma consapevole di desiderio di vita. Di quella “vita buona” alla quale ci sentiamo chiamati dall’interno e che continuiamo a cercare, disperatamente, ma anche caparbiamente.

Postato da: giacabi a 21:52 | link | commenti
nichilismo

lunedì, 03 maggio 2010

Contro i seminari del Nulla
J’ACCUSE. Per il filosofo francese la Chiesa è maestra di laicità, soprattutto quando la ragione viene piegata alla fede nel nichilismo
 Hadjadj: contro i seminari del Nulla

 DI FABRICE HADJADJ
 Non appena il senso della contemplazione diminui­sce anche quello della politica viene meno, poiché essa finisce per mancare il suo scopo, o, più semplicemente, per smar­rire il senso della vita. Il buon go­verno, se non è subordinato alla vera Trascendenza, scompare.
  L’iperpoliticizzazione anticristia­na della Rivoluzione francese alla fine ha condotto a una depoliti­cizzazione generalizzata. La
ci­toyenneté
  chiusa all’Eterno dege­nera in «teatrocrazia», per ri­prendere un termine platonico.
  In assenza di quella tensione ver­so il Cielo che la nobilita, la poli­tica è presto assorbita dall’eco­nomia, dalla spettacolarizzazio­ne, dagli interessi particolari, dal culto di Adone o quello di Mam­mona, e infine si tramuta in ti­rannide, che può assumere for­me diverse fino all’ultima che è
la tirannia dei diritti dell’uomo nell’oblio di quelli di Dio, cioè quella di un individuo tiranno di se stesso, ridotto a una bestia ci­nica, cieca e infelice, a una peco­ra senza pastore. La separazione tra Stato e Chiesa non è tanto un pericolo per la Chiesa, che detiene le promesse della vita eterna, quanto per lo Stato e la nazione, contro i quali possono invece prevalere le por­te degli inferi: «Riempile di spa­vento, Signore – canta il re Davi­de –, riconoscano le genti di es­sere mortali» (Sal 9,21). E papa Gregorio XVI ricorda benevol­mente: «Scosso per tal maniera il freno della santissima Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si mantengono fer­me la forza e l’autorità di ogni dominazione, si vedono aumen­tare la sovversione dell’ordine pubblico, la decadenza dei Prin­cipati e il disfacimento di ogni le­gittima potestà». L’autorità perde tutta la sua forza nel momento in cui non conduce più alla gioia ul­tima, perché è di tale gioia che abbiamo bisogno.
  Tali osservazioni, tuttavia, non fanno appello a una confusione di Stato e Chiesa. Una teocrazia che confondesse la causa di Dio con una qualsivoglia causa parti­colare, e la saggezza dei principi con l’infallibilità del Papa, sareb
be infatti non meno funesta. La Chiesa è cattolica, transnaziona­le e transculturale: essa intrattie­ne pertanto con i governi nazio­nali rapporti di sussidiarietà, che si traducono, in concreto, nella condivisione dello stesso territo­rio e nella vicinanza spaziale. E poiché sa che la coercizione non può produrre l’atto di fede, non lega l’esercizio del potere politico a una con­fessione religiosa, ma chie­de solo che quest’ultimo, per sua natura laico, dia a ogni individuo la possibilità di accogliere liberamente la Buona Novella della salvezza: «Chi non è contro di noi è per noi», dice il Signore (Mc 9,40).
  Né separazione né confusione, quindi, ma distinzione e subordinazione. Bisogna rendere a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio, senza di­menticare che Cesare è di Dio, e che tutto ciò che gli diamo dev’essere utilizzato per il regno
di Dio. Eppure, le aberranti posi­zioni condivise anche da molti cristiani odierni tradiscono la mancata comprensione di que­st’ultima evidenza: secondo loro, infatti, la politica può essere a­gnostica e la religione circoscrivi­bile alla sola sfera privata. Così, per non parlare di cose che ri­schiano di irritare la gente, costo­ro si condannano alle conversa­zioni futili e alle storielle piccan­ti, divenendo in tal modo com­plici della società della dispera­zione.
 
Come può il legno che è stato sminuzzato in tanti piccoli stuz­zicadenti servire per la costruzio­ne di una nave? E le fibre di cellu­losa ridotte a carta igienica, co­me possono fornire un supporto adatto a una lettera d’amore? A­nalogamente una politica agno­stica, che degrada la ragione a mero strumento di calcolo utili­taristico, promuovendo il relati­vismo morale e l’estetismo mon­dano, non predispone alla piena realizzazione della persona. L’i­struzione pubblica, in particola­re, corrisponde esattamente a un massacro pianificato delle menti. In fin dei conti, poiché l’uomo, nonostante tutto, arde dal desi­derio dell’assoluto, e i giovani che essa stessa ha formato non hanno imparato a coltivare que­sta caccia con giustizia e rigore, essa favorisce un’irruzione del­l’irrazionale, con la sua triste se­quela di suicidi, sette rimbecil­lenti e violenze fanatiche. Le no­stre scuole, che con la scusa della laicità e della tolleranza ambi­scono a mostrarsi irreligiose, si tramutano surrettiziamente in scuole coraniche o buddiste, quando non in seminari del Nul­la. I nostri programmi di filoso­fia, che eludono sistematicamen­te le questioni dell’esistenza di un Principio Primo e dell’immor­talità dell’anima umana, invitano invece a sguazzare in credenze stupide quali la reincarnazione o gli omini verdi, o nella ridicola bigotteria dell’attuale scienti­smo, che consiste nell’immagi­nare che la materia sia intelligen­te, che si organizzi da sola e che il caso sia in grado di produrre un ordine che trascende la nostra stessa ragione... Con tutto questo come potrebbe il nostro regime non essere quello di una lotteria?
 da: www.avvenire.it del 29/04/10


Postato da: giacabi a 18:31 | link | commenti
nichilismo, hadjadj fabrice

sabato, 20 febbraio 2010

Che GRANDE!!
SUA SANTITÀ PIOXII
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…Oggi non solo l'Urbe e l'Italia, ma il mondo intero è minacciato. Oh, non chiedeteCi qual è il « nemico », nè quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l'autorità; talvolta l'autorità senza la libertà. È un « nemico » divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio : Dio è morto; anzi : Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un'economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il « nemico » si è adoperato e si adopera perchè Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell'amministrazione della giustizia, nell'attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra.
Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l'amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra.
Voi vedete, diletti figli, che non è Attila a premere alle porte di Roma; voi comprendete che sarebbe vano, oggi, chiedere al Papa di muoversi e andargli incontro per fermarlo e impedirgli di seminare la rovina e la morte. Il Papa deve, al suo posto, incessantemente vigilare e pregare e prodigarsi, affinché il lupo non finisca col penetrare nell'ovile per rapire e disperdere il gregge (cfr. Io. 10, 12); anche coloro, che col Papa dividono la responsabilità del governo della Chiesa, fanno tutto il possibile per rispondere all'attesa di milioni di uomini, i quali — come esponemmo nello scorso febbraio — invocano un cambiamento di rotta e guardano alla Chiesa come a valida ed unica timoniera. Ma questo oggi non basta: tutti i fedeli di buona volontà debbono scuotersi e sentire la loro parte di responsabilità nell'esito di questa impresa di salvezza.
Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! L'umanità odierna disorientata, smarrita, sfiduciata, ha bisogno di luce, di orientamento, di fiducia. Volete voi con la vostra collaborazione — sotto la guida della sacra Gerarchia — essere gli araldi di questa speranza e i messaggeri di questa luce? Volete essere portatori di sicurezza e di pace? Volete essere il grande, il trionfante raggio di sole che invita a destarsi dal torpore e a fortemente operare? Volete divenire — se così a Dio piacerà — animatori di questa moltitudine umana, in attesa di avanguardie che la precedano?
Allora è necessario che la vostra azione sia anzitutto cosciente.
L'uomo di Azione Cattolica non può ignorare ciò che la Chiesa fa e intende di fare. Egli sa che la Chiesa vuole la pace; che vuole una più giusta distribuzione della ricchezza; che vuole sollevare le sorti degli umili e degl'indigenti; sa che Cristo, Dio fatto uomo, è il centro della storia umana; che tutte le cose sono state fatte in Lui e per Lui. Egli sa che la Chiesa, quando auspica un mondo diverso e migliore, pensa ad una società avente per base e fondamento Gesù Cristo con la sua dottrina, i suoi esempi, la sua redenzione.
In secondo luogo bisogna che la vostra azione sia illuminatrice.
Nelle vostre fabbriche, nei vostri uffici, per le strade, nei luoghi ove prendete il sano svago o il necessario riposo, vi capiterà d'imbattervi in uomini « che hanno occhi per vedere e non vedono » (Ezech. 12, 2). Oggi. per esempio, s'incontra povera gente persuasa che la Chiesa, che il Papa, vogliono lo sfrutta mento del popolo, vogliono la miseria, vogliono — parrebbe inimmaginabile — la guerra! Gli autori e i propagatori di queste orrende calunnie riusciranno a sfuggire alla giustizia degli uomini, ma non potranno sottrarsi al giudizio di Dio. « Verrà un giorno... »! Signore, perdona loro! Intanto però è necessario di cogliere ogni occasione per aprire gli occhi a quei ciechi, spesso piuttosto vittime d'inganno che colpevoli.
Ancora : occorre che la vostra azione sia vivificatrice.
L'Azione Cattolica non sarà veramente tale, se non agirà sulle anime. Le grandi adunanze, i magnifici cortei, le pubbliche manifestazioni, sono certamente utili. Ma guai a confondere gli strumenti col fine per il quale debbono essere adoperati! Se la vostra azione non portasse la vita dello spirito dove è la morte; se non cercasse di sanare quella stessa vita dove è malata; se non la fortificasse dove è debole; sarebbe vana. ..
DA: DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AGLI UOMINI DI AZIONE CATTOLICA
NEL XXX° DELLA LORO UNIONE*
 Domenica, 12 ottobre 1952


Postato da: giacabi a 12:20 | link | commenti
nichilismo, ateismo, pio xii

domenica, 07 febbraio 2010

Brosio: "Io nel buio come Morgan,
la Madonna mi ha salvato
"
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di Eleonora Barbieri
Il giornalista racconta gli anni dannati tra droga e festini: "Mi sballavo per sfuggire alla realtà. Poi ho sentito una voce"

Mercoledì 3 febbraio avevo appuntamento con Paolo Brosio per questa intervista. Volevo parlare della sua nuova vita di uomo votato a Dio, delle esperienze straordinarie vissute a Medjugorje, dove la Madonna appare ai veggenti da molti anni. Poi leggo sui quotidiani del caso Morgan, della cocaina sbattuta in prima pagina e trasformata nel migliore degli antidepressivi. Certo, il cantante poi corregge il tiro, si rende conto di avere una grande responsabilità, e si dice pronto a farsi aiutare. Ma la bomba è stata lanciata. Con Brosio decido di parlare proprio di questo, perché lui - che oggi è un uomo sereno e risolto - nel suo libro A un passo dal baratro, perché Medjugorje ha cambiato la mia vita (centomila copie vendute) di cocaina parla come di una sostanza che addormenta la coscienza.
«Non voglio giudicare Morgan. Mi riferisco esclusivamente alla mia esperienza personale.
Nel 2008 mi hanno bruciato il locale, mio padre è morto, il mio matrimonio è finito e io ero precipitato in un pozzo di dolore insostenibile, così per distrarmi mi sono buttato nel divertimento più sfrenato, soprattutto sessuale. Dovevo evadere dalla realtà. Dovevo uscire dallo strazio della doppia perdita di mio padre e della mia donna e per farlo avevo bisogno di emozioni forti, della ripetizione ossessiva dell'atto sessuale».
E la droga?
«Dopo un po' neanche il sesso mi bastava più. Per dimenticare dovevo farlo in modo trasgressivo ma, avendo ricevuto un'educazione con alti valori morali, era necessario annullare la mia coscienza. Ci riuscivo con fumo, alcol e coca».
Un modo per autodistruggersi?
«Lo fai perché non sai sopportare il dolore, non capisci che la sofferenza è necessaria per crescere, che è parte della vita. Ma ti sballi anche perché non sei contento di te, sei demoralizzato, insoddisfatto, disperato».
Che cos'è la sessodipendenza?
«
Il sesso diventa un chiodo fisso che altera la percezione delle cose. La donna non rappresenta più una persona da amare, con cui costruire una famiglia, con cui fare dei figli, è solo un oggetto sessuale. E questo umilia lei, ma anche te, perché non sei più capace di avere una relazione normale, diventi una macchina. Passi da una donna all'altra come un'automa».
E questa dipendenza era aggravata dall'uso della droga, ma quando finisce l'effetto?
«
Quando finisce l'effetto stai peggio di prima, il male esistenziale è ancora lì ed è triplicato dal rimorso di avere fatto quello che hai fatto. Insieme a questo stato di prostrazione sentivo la necessità fortissima di riappropriarmi della mia vita, dei miei sentimenti, ma anche del piacere della conquista lenta di una donna. Quante volte in quei momenti di disperazione ho sognato una relazione serena, semplice».
Era dentro una centrifuga.
«
Dentro di me c'era una lotta continua tra il bene e il male. Il bene mi diceva “smetti, ti stai rovinando la vita, basta”, il male contrattaccava “lasciati andare, tuo padre è morto, il tuo matrimonio è finito, ti hanno bruciato il locale, sei solo e lavori venti ore al giorno, te lo meriti, divertiti, che problemi hai”. Per lungo tempo ha vinto il male. Poi in un giorno di dicembre del 2008, durante un festino, è accaduto qualcosa di straordinario. Ho sentito una voce, non l'ho udita, la sentivo come parte di me, veniva da dentro. Oggi so che Dio parla agli uomini così, attraverso una voce interiore. Era dentro di me da mesi e ogni volta era più forte, più netta. La notte in cui la mia vita è cambiata, in cui la Madonna mi ha preso per mano e mi ha salvato, quella voce ha squartato la mia coscienza».
Come ha fatto a capire che era una voce divina?
«Perché mi diceva cose buone, mi suggeriva i consigli giusti, mi indicava la strada per uscire dal baratro nel quale ero precipitato. La Madonna è come una mamma che ti dice cosa fare o non fare per stare bene».
A lei cosa ha detto?
«La sua voce ha aperto un varco nella mia coscienza annebbiata permettendomi di capire che non potevo uscire da solo da quel buco nero, che le difficoltà fanno parte della vita e vanno affrontate con la serenità nel cuore, non con la disperazione. La disperazione porta a fare gesti terribili. Quando penso a quel periodo sto davvero male».
Ci sono stati altri momenti simili nella sua vita?
«Mai a questi livelli. Negli anni Novanta grazie a Tangentopoli avevo raggiunto una grande popolarità e forse per questo mi ero avvicinato a questo mondo. Ma in maniera marginale, distaccata, saltuaria».
Quale mondo?
«Il mondo della notte, di quelli che devono tirare tardi a tutti i costi, che devono trasgredire. Tu pensi di divertirti, di giocare, di scherzare e invece butti via le ore del sonno e la vita. La notte è fatta per recuperare le fatiche del giorno, non per devastarsi».
Quali sono i «riti» di chi vive la notte come luogo dello sballo?
«Si comincia con l'aperitivo, già qui si bevono superalcolici, poi vai a cena e bevi anche lì, finita la cena magari ti fai una canna e a quel punto sei talmente stonato che per proseguire la serata in discoteca devi farti una riga. Quello è il momento peggiore. Il primo passo sbagliato però è bere i superalcolici già prima di cena».
L'alcol fa più vittime della droga.
«Un mese fa sono andato a visitare alcune comunità di recupero in cui ho conosciuto Suor Elvira, Chiara Almirante e Rosolina Ravasio, tre persone meravigliose. Dovevo rendermi conto di quali rischi avevo corso, e volevo portare il mio esempio perché sono convinto che nel mio piccolo posso aiutare a capire quali sono i pericoli. Vado anche nelle scuole perché purtroppo nelle comunità ci sono un sacco di adolescenti, la Ravasio mi ha detto che oggi il 33% dei suoi ospiti ha dai 12 ai 16 anni. Un fenomeno allarmante».
Vuole fare un appello?
«
Il mio non è solo un appello, è un grido che faccio con tutto il cuore e che mi viene da un sentimento profondo di riconoscenza verso la Madonna, verso Dio, che mi hanno aiutato nei momenti più difficili. È un grido di allarme che nasce da un'esperienza vissuta. Il male mi ha attraversato, lo ha fatto in età adulta. Quello che è capitato a me per un giovane potrebbe essere letale. Gli adolescenti poi, pensano che tutto è possibile. Non è così».
Come si sente oggi?
«Oggi sono un uomo sereno che ha un forte senso della fede, che ha voglia di aiutare gli altri, ma la cosa straordinaria è che continuano ad accadermi cose che mi dimostrano quanto possa essere potente la grandezza di Dio».
Per esempio?
«Per esempio l'8 dicembre del 2009 sull'aereo che mi portava a Medjugorje è accaduta una cosa incredibile. Ci sono state una serie di coincidenze inspiegabili che hanno risolto una situazione drammatica. Ma non bastano poche righe per raccontarlo, ne scriverò nel mio prossimo libro».
A chi dice che ha seguito la Madonna più per business che per fede cosa risponde?
«Niente. Prego per lui».




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nichilismo

lunedì, 18 gennaio 2010

IL VALORE DELLA VITA UMANA NEL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II
***


Nel Magistero dei suoi Pontefici la Chiesa esprime la sua fede e la sua testimonianza alla Verità di Cristo. Per questa ragione, l’autore della lettera agli Ebrei raccomanda ai suoi destinatari di vedere nella varietà delle persone che lo rappresentano, il Cristo che rimane sempre lo stesso: ieri, oggi e sempre, non lasciandosi così sviare da insegnamenti vaghi e peregrini (cfr. Ebr 13,8).
Ma è precisamente la permanenza della Verità di Cristo nella Chiesa ad esigere dai suoi Pastori di richiamare la coscienza dell’uomo soprattutto sulle verità evangeliche che, a seconda delle situazioni, sono maggiormente contestate. Ed è fuori dubbio che oggi il valore della vita umana lo sia particolarmente. La testimonianza al Vangelo della vita è pertanto centrale nel Magistero di Giovanni Paolo II. Testimonianza che ha trovato il suo momento più alto e teologicamente più qualificato nella Lett. Enc. Evangelium Vitae del 25 marzo 1995. (da ora in poi EV).
1. La certezza di base
 Possiamo iniziare la nostra riflessione da un’affermazione di sconcertante semplicità, ma di decisiva importanza. Quale è la certezza di base, la radice più profonda della difesa della vita umana da parte del Magistero della Chiesa? La certezza che l’esistenza di ogni uomo è sempre e comunque un bene. Di fronte a una persona umana nessuno ha il diritto di dire: “è un male che tu ci sia!”. Al contrario, di fronte a qualsiasi persona ciascuno deve dire: “è un bene che tu ci sia!”. E’ la certezza, assoluta ed incondizionata, che “la vita è sempre un bene” (EV. 34,1).
 
La certezza della Chiesa si radica sull’affermazione che al principio di ogni esistenza umana c’è un atto di intelligenza e di libertà divine: c’è un atto creativo di Dio: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato (Ger. 1,5): l’esistenza di ogni individuo, fin dalle origini, è nel disegno di Dio” (EV. 44,3: sott. nel testo). La Chiesa esclama di fronte ad ogni essere umano vivente: “è un bene che tu ci sia, poiché Dio ti ha pensato e voluto (cioè creato)”. La difesa del valore di ogni vita umana è sempre implicata nella confessione del primo articolo della fede cristiana: Dio Creatore  e la Sua glorificazione (cfr. EV. 34 e 36).

2. Il «test» decisivo: la vita umana concepita non ancora nata
 La certezza del valore di ogni vita umana accompagna il Magistero di Giovanni Paolo II così costantemente, che è impossibile riassumerlo in poco spazio. Vorrei allora attirare l’attenzione soprattutto su un capitolo del suddetto Magistero: quello riguardante la vita umana già concepita e non ancora nata. La ragione di questa scelta sarà spiegata più avanti.
 La prima domanda che il Magistero di Giovanni Paolo II si pone è la seguente: quale è l’atto eticamente degno di dare origine ad una persona umana o - il che equivale - quando la persona umana è concepita in modo adeguato alla sua dignità? La seconda domanda è coerentemente correlativa alla prima: quando il valore della vita umana è negato nel suo stesso concepimento? Il Magistero di Giovanni Paolo II ha dunque il momento della proposta positiva, quindi di conseguenza diventa denuncia delle ferite inferte, già a questo livello originario, alla dignità della persona umana.
 
L’atto eticamente degno di dare origine ad una persona umana è l’atto sessuale coniugale. Si tratta di un’affermazione centrale nel Magistero del S. Padre. Dignità etica significa che solo l’atto coniugale ha in sé la capacità di istituire un rapporto col possibile concepito, adeguato alla dignità di questi. Quali sono le ragioni profonde di quest’affermazione? Ne troviamo diverse nel Magistero di Giovanni Paolo II. Mi limito alle due fondamentali, fra loro strettamente connesse.
La prima. L’atto di porre le condizioni del concepito di una nuova persona umana è una cooperazione con l’attività creativa di Dio (cfr. EV. 43 ad anche Es. ap. post-sinodale Familiaris consortio 28 e Lett. alle famiglie Gratissimum sane 9). Una cooperazione che deve essere la più simile possibile all’amore creativo di Dio. La seconda ragione è che, all’infuori di questo modo di porre le condizioni del concepimento della nuova persona, non esiste che la possibilità di un’azione di carattere tecnico che istituisce un rapporto ingiusto col concepito: possiamo produrre le cose, non le persone (cfr. Congregazione per la Dottrina delle Fede Istr. Donum vitae  22/02/87, soprattutto n. 4).
Dall’affermazione dottrinale, secondo la quale l’unica culla degna del concepimento di una persona è l’atto coniugale, deriva la conseguenza che ogni procedimento tecnico che si sostituisca all’atto coniugale nel porre le condizioni del concepimento, è da ritenersi moralmente illecito, in quanto non rispettoso della persona umana. Quando Giovanni Paolo II emise un giudizio negativo sulla fecondazione in vitro, ed allora era solo omologa, non mancò chi, anche fra cattolici, parlò di un “nuovo caso Galileo” che si poteva aprire; né mancò chi avrebbe preferito che il S. Padre si limitasse a dare orientamenti solo generali. Ma il futuro della procreatica, quello che oggi viviamo, ha dato ragione al Magistero pontificio. Certo può sembrare strano, ed a molti è sembrato e sembra tale, questo giudizio negativo: proprio in rapporto al valore della vita umana. Sembra logico che la difesa, così intransigente nel Magistero di Giovanni Paolo II, della vita umana e l’esaltazione del suo valore comporti l’accoglienza di procedimenti, i quali precisamente rendono possibile il sorgere di una nuova vita umana altrimenti impossibile: almeno all’interno di una coppia legittimamente sposata. Il punto è importante, perché ci aiuta a capire la vera, intima natura della testimonianza del S. Padre al valore della vita umana. Non si tratta, infatti, di una generica valutazione della vita, di una indistinta affermazione. E’ la vita della persona che è un valore etico, non la vita come tale. La vita di una pianta, di un animale non ha in sé alcuna preziosità di carattere propriamente etico, ma solo di carattere utilitaristico al servizio dell’uomo (cfr. EV 34,3), E’ la persona vivente il valore etico, poiché essa è la Gloria di Dio. C’è un abisso a separare la Chiesa dai movimenti ecologici, da questo punto di vista. La condanna dei procedimenti procreativi artificiali non è altro che l’affermazione della dignità della persona. Non ogni modo di dare origine alla vita è eticamente accettabile, così come non ogni modo di prolungarla comunque: è la «persona vivente» al centro delle preoccupazioni del Magistero, non in quanto vivente, ma in quanto persona.
E’ nella sua difesa che Giovanni Paolo II ha raggiunto, dal punto di vista della qualificazione teologica, il vertice del suo Magistero (cfr. EV
. 57,3).
3. Il delitto abominevole dell’aborto
 Durante gli ultimi trent’anni la legislazione permissiva dell’aborto è stata massicciamente promulgata: anche nei paesi di più lunga tradizione umanistica e cristiana. E’ difficile esprimere brevemente tutto il Magistero di Giovanni Paolo II su questo fatto, di incalcolabile portata. Mi limiterò all’essenziale accenno di alcuni temi che mi sembrano i più importanti.
 In primo luogo l’abdicazione da parte dello Stato di difendere quella persona umana, la persona umana già concepita e non ancora nata, è in realtà l’abdicazione dello Stato alla sua ragione d’essere stessa, nel piano della Provvidenza divina. In una parola: è l’abdicazione alla sua propria dignità. Rifiutando intatti la difesa a chi può far appello per essere rispettato unicamente alla sua appartenenza all’umanità, al fatto di essere una persona umana, ritenendo che questo non sia sufficiente per meritare un rispetto assoluto ed incondizionato, lo Stato diventa il garante dell’interesse dei più forti. Ed è in questo che ha perduto ogni sua dignità. In una parola: o la legge difende e promuove la dignità di ogni persona umana semplicemente perché tale o essa diventa l’espressione della volontà del più forte. Che sia una sola persona a promulgare tali leggi o che sia una maggioranza parlamentare è indifferente (cfr. EV 72).
 La difesa della vita concepita si inserisce pertanto nel contesto di un richiamo forte all’uomo di non tradire la propria identità, tradendo la propria coscienza morale. Mi spiego. La negazione del valore della vita umana, quale si ha nella legittimazione dell’aborto, è la corruzione totale della sorgente stessa del sociale umano. La prima originaria forma del sociale umano, cioè la società coniugale, si “supera”, si apre, costituendo così tutto il sociale umano nel suo germinare, quando la donna, per prima, si rende conto di aver concepito un uomo. (cfr. EV 43,3). Dal sociale duale (un uomo-una donna) si esce per aprirsi in un sociale che non ha limite. Se si legittima il principio secondo il quale il concepito è uomo perché la donna lo riconosce come tale e non il contrario, la donna riconosce il concepito come uomo perché tale egli è, per ciò stesso si legittima il principio che l’accesso all’umanità, alla dignità umana è condizionato dal consenso di un altro. Si legittima il principio che il sociale umano è posto in essere dalla convergenza degli interessi e non dalla partecipazione di tutti e ciascuno alla e nella stessa umanità. Si cambia la definizione stessa di «prossimità umana»: non «mio prossimo perché partecipe della stessa umanità», ma «mio prossimo perché non contrasta la mia utilità». Cioè: la fondazione ultima del sociale umano non è costituito dal legame nella stessa umanità, ma dalla contrattazione sugli interessi degli individui (cfr. EV 20).
 Posta alla base del sociale umano questa «ontologia» , il principio utilitarista e non la norma personalista ne diviene la base etica colla conseguenza che l’esistenza di chi non può, non ha la forza di difendere il proprio utile, viene inesorabilmente distrutto.
Alla radice di questa corruzione totale del sociale umano sta l’oscurarsi della verità sul bene nella nostra coscienza morale. Questa viene impedita di vedere in ogni persona umana qualcuno di incondizionato valore: impedita di vedere il bene morale come tale. Il bene morale infatti si mostra concretamente nella persona umana.
 Nel magistero di Giovanni Paolo II anche la difesa della vita umana contro i sacerdoti dell’idolo scienza al quale vorrebbero sacrificarla, usando embrioni umani per la ricerca scientifica, è sempre fatta nella luce abbagliante della certezza di fondo: l’esistenza di ogni uomo è sempre e comunque un bene inviolabile perché “nell’uomo risplende un riflesso della stessa realtà di Dio” (EV 34,2),

4. Nel cuore del dramma
 “Occorre giungere al cuore del dramma vissuto dall’uomo contemporaneo”: scrive il S. Padre (EV 21,1). Esso consiste nella «eclissi del senso di Dio e dell’uomo» (ivi).
 Spezzando il rapporto con Dio come ragione del proprio essere, l’uomo ha voluto fondarsi su se stesso: essere ragione lui stesso del proprio essere. Si deve notare che non stiamo parlando di quell’atto di libertà che è il peccato e che implica sempre una “aversio a Deo”. Stiamo parlando di un evento spirituale diverso, e più radicale e sconvolgente: voler essere se stesso, fondando se stesso su se stesso, e non più sulla Potenza che ci fonda. Sotto questo peso l’uomo è crollato ed è giunto ormai alla rassegnata noia di un esistere che non sa più donde viene e dove va: si accontenta solo di esserci. Il magistero di Giovanni Paolo II fa notare quasi ad ogni pagina che questa vicenda spirituale non poteva che generare una cultura di morte. Una cultura in cui si è giunti perfino ad “attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri” (EV 20,4). Le coordinate essenziali di questa cultura della morte sono due forme di disperazione. Una disperazione per ostinazione (Kierkegaard): non voler essere ciò che si è, cioè indegni della morte;  una disperazione per debolezza: non poter essere ciò che si è, e quindi chiamare la morte una conquista di civiltà (come si è fatto per l’aborto e si sta facendo per l’eutanasia).

Conclusione: il bacio della misericordia
 Non sono così grande!” sembra dire l’uomo di oggi alla Chiesa che gli annuncia il Vangelo della vita. L’uomo, si dice, non è assolutamente indegno della morte, e quindi non si può esigere che non sia violata la vita di nessuno in nessuna circostanza. E’ la disperazione per debolezza, appunto. Che cosa fa allora la Chiesa a questo uomo disperato più per debolezza che per ostinazione? Ciò che Cristo fece al grande Inquisitore, che pure rinfacciava a Cristo di nutrire troppa stima per l’uomo. Lo bacia col bacio che è la Misericordia di Dio, e per questo gli annuncia il Vangelo della vita.
Card. Caffarra
 


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giovedì, 29 ottobre 2009

I giovani nell'era di Nietzche
 ***
di Matteo Lusso

"Ahimè! Sta per giungere il tempo in cui l'uomo non scoccherà più la freccia del suo desiderio oltre l'essere umano e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare"
 (Nietzche, Così parlò Zarathustra, 1885).

"Nei prossimi anni il mondo sarà sottosopra: dopo che il vecchio Dio è stato congedato, sarò io a reggere il mondo
"(Nietzche, lettera a Carl Fuchs, 18 dicembre 1888).

Verrebbe innanzitutto da dire che quel tempo è giunto, che la profezia di Nietzche/Zarathustra si è perfettamente avverata. Il mondo di oggi - anche quello dei giovani - è così: l'uomo ha disimparato a tendere l'arco del proprio desiderio, l'obiettivo della freccia è sempre a corto raggio e come il bambino si esalta quando riesce a superare una prova che gli viene facilitata, così l'uomo di oggi si accontenta ed è appagato di ciò che riempie facilmente la sua vita, dentro il perimetro ristretto del proprio desiderio. Siamo in fondo contenti così, va bene così, proprio perché non sappiamo reagire, non sapremmo far vibrare l'arco e scoccare la freccia verso orizzonti più lontani, perché abbiamo disimparato a desiderare. Avere il vestito firmato, trascorrere una settimana al mare con il proprio "tipo/a", un bel cellulare, andare bene a scuola e poter tornare all'ora in cui si vuole la notte: ecco la portata - ben identificabile - degli obiettivi della propria freccia. D'altra parte è così che ci vuole il mondo: rassegnati, impegnati, indaffarati, distratti: così siamo fedeli consumatori e perfetti cittadini. L'importante è non disturbare, non lasciarsi prendere dall'irrequietudine, non creare problemi, tanto non serve.... il mondo è un meccanismo troppo perfetto per essere inceppato. Un gioco, in cui i giocatori sanno già chi vince: ribellarsi un po' va bene, fa parte del gioco, è concesso all'adolescente questo margine di creatività ma anche lui stesso sa che presto o tardi il gioco finirà e per questo non si prenderà sul serio più di tanto. Chi non sa accettare il limite rischia grosso, chi non rientra in tempo, chi va oltre il prevedibile o il concesso.... Succede, soprattutto ai più sensibili o vivaci! Allora saranno guai davvero ed arriveranno schiere di esperti del disagio giovanile, della devianza, del recupero. Sono rischi previsti dalla società per chi non ha capito che si trattava di un gioco e che il ritorno alla realtà era inevitabile.

Forse per Nietzche più che una profezia si trattava di un auspicio: che l'uomo impari a non desiderare altro che l'essere umano, che l'arco del desiderio disimpari a vibrare significa accettare finalmente e sino in fondo la propria mortalità, imparare a cercare il senso della terra nel vivere stesso, scoprire il senso del proprio cammino umano giorno dopo giorno mentre si compie il cammino stesso. Non più ipotesi di senso assolute ed universali ma unicamente costruite, cercate, verificate nella propria ed irripetibile biografia. Ma il grande pensatore tedesco, se fosse presente oggi, credo dovrebbe lealmente constatare che, in luogo del superuomo, l'io nato dalla morte di Dio è un bambino smarrito in una foresta di giocattoli.

Ai giovani che incontro amo dire: dovete imparare a difendervi, dovete imparare a difendervi dai vostri padri (in senso generazionale), malgrado nessuno abbia intenzioni cattive, dovete difendervi dalla nostra confusione e dal nostro smarrimento. Dovete farlo perché la vita è vostra ed è terribilmente bella e voi avete diritto a goderne pienamente.
La cultura nichilista di oggi, che esalta la libertà individuale e rifiuta la sacralità della vita, è stata paragonata dal Papa alla follia hitleriana. «I lager nazisti, come ogni campo di sterminio, possono essere considerati simboli estremi del male, dell'inferno che si apre sulla terra quando l'uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte», ha detto infatti Benedetto XVI all'Angelus, denunciando che «purtroppo questo triste fenomeno non è circoscritto ai lager. Essi sono piuttosto la punta culminante di una realtà ampia e diffusa, spesso dai confini sfuggenti».

«Bisogna riflettere sulle profonde divergenze che esistono tra l'umanesimo ateo e l'umanesimo cristiano; un'antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta a un punto cruciale, come grandi letterati e pensatori hanno percepito, e come gli avvenimenti hanno ampiamente dimostrato». «Da una parte - ha rilevato il Pontefice - ci sono filosofie e ideologie, ma sempre più anche modi di pensare e di agire, che esaltano la libertà quale unico principio dell'uomo, in alternativa a Dio, e in tal modo trasformano l'uomo in un dio, che fa dell'arbitrarietà il proprio sistema di comportamento. Dall'altra - ha continuato - abbiamo i santi, che, praticando il Vangelo della carità, rendono ragione della loro speranza; essi mostrano il vero volto di Dio, che è Amore, e, al tempo stesso, il volto autentico dell'uomo, creato a immagine e somiglianza divina». (Angelus, 9 agosto 2009)



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sabato, 08 novembre 2008

  La vita ridotta a un bene di consumo
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E’ mia impressione che una bomba atomica sia scoppiata presso le radici della moralità: E responsabile, per gran parte, è la televisione, che ha ridotto la vita a un bene di consumo.
 E. Montale



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venerdì, 31 ottobre 2008

 Quando ci si dimentica
di Cristo
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Il conflitto della fede, della filosofia e della scienza portò il disordine nell'anima degli uomini d'Occidente. Non ci furono più regole di vita indiscutibili e la disciplina morale si allentò. La bellezza dell'arte e della poesia furono preferite a quella della virtù. La volontà cessò di tendere all'aldilà,  limitando i suoi sforzi all'acquisizione dei beni di questo mondo.Come aveva audacemente proclamato Machiavelli il fine dell'esistenza umana non è Dio, ma il profitto.
 Iniziò allora la scalata delle forze economiche al potere supremo.
Ma gli antichi costumi non si sfasciarono immediatamente in modo completo, poiché i popoli d'Europa erano profondamente impregnati di cristianesimo. Essi si ricordavano ancora di aver costruito le cattedrali gotiche. E il campanile, che sovrasta il villaggio, era effettivamente il simbolo di un'aspirazione al divino delle comunità umane. Alla ragione furono necessari molti secoli per oscurare la fede. Inoltre, la durezza della lotta per l'esistenza impediva l'abbandono delle regole di vita indispensabili alla sopravvivenza del genere umano. Pur perfezionandosi lentamente, la tecnologia tendeva sempre più a creare condizioni di vita che permettessero all'uomo di comportarsi seguendo i propri caprici. Allo stesso tempo, la sorda lotta tra filosofia e scienza acquistò una nuova intensità. La scienza trionfò nel campo della materia inerte, generando il popolo delle macchine e rendendoci padroni della terra; ma nella sfera dell'umano, cioè della condotta individuale e sociale, essa fu sconfitta.

Le costruzioni logiche dello spirito ebbero la precedenza sui dati dell'osservazione e dell'esperienza. Le ideologie furono preferite ai concetti scientifici ed alla morale religiosa. Pascal fu abbandonato; con Cartesio si ritenne che la chiarezza di un'idea sia la prova della sua verità. Da allora ogni ideologia logica, ogni fantasia dell'intelligenza,purché razionale, parve degna di servire da base al modo di vivere. Nessuno comprese che, per durare nel tempo, una civiltà non deve edificarsi su principi fllosofici ma su concetti scientifici relativi all'essere umano e al suo ambiente.
Alexis Carrel Riflessioni sulla condotta della vita, ed. Cantagalli

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lunedì, 27 ottobre 2008

La morte di Dio coincide con la morte dell’uomo
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 Vi è chi, avendo deciso che “Dio è morto”, dichiara “dio” se stesso, ritenendosi l’unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo. Sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l’uomo crede di poter fare ciò che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire. Ma quando l’uomo elimina Dio dal proprio orizzonte, dichiara Dio “morto”, è veramente più felice? Diventa veramente più libero? Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una società dove regnino la libertà, la giustizia e la pace? Non avviene piuttosto - come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente – che si estendano l’arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l’ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione? Il punto d’arrivo, alla fine, è che l’uomo si ritrova più solo e la società più divisa e confusa”.
Papa Benedetto XVI 5 ottobre 2008

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domenica, 26 ottobre 2008

OLTRE IL NICHILISMO/ Jan Patocka:
 l’esperienza del dissenso come affermazione della positività del reale
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I dissidenti ci hanno insegnato a resistere al nichilismo, diceva Glucksmann nell'intervista a Il Giornale (3.10.2008), citando la figura del filosofo-dissidente ceco Jan Patocka (1907-1977), agnostico, firmatario dell'iniziativa civile "Charta77" e morto in seguito agli estenuanti interrogatori cui fu sottoposto dalla StB, la polizia politica del regime comunista cecoslovacco. In un'intensa lezione che tenne clandestinamente a Praga l'11 aprile 1975, dedicata alla differenza tra l'uomo spirituale e l'intellettuale, delineò una sorta di itinerario esistenziale che aiutasse a costruire positivamente anche in una situazione dominata da un’ideologia totalizzante.
Patocka parte da una constatazione apparentemente banale: «Vi sono esperienze che mostrano la straordinarietà della nostra situazione, cioè che soprattutto ci siamo e che il mondo c’è; e questo non è ovvio, è qualcosa di estremamente stupefacente che le cose ci si rivelino e che noi siamo in mezzo a loro. È stupefacente; in questa parola è contenuto lo stupore. Stupirsi significa non accettare nulla come ovvio. Materialmente il mondo resta uguale a prima, le medesime persone, le medesime stelle, e tuttavia c’è qualcosa di completamente cambiato». Le difficoltà che contraddicono questo approccio positivo «dimostrano che la vita che appariva così ovvia, in realtà è piuttosto problematica, che qualcosa non è in ordine. La nostra posizione originale è che sia in ordine e che sia possibile sorvolare sulle incongruenze... Ma se dovessimo realmente seguire fino in fondo la negatività che ci interpella all’improvviso, ci accorgeremmo che il nulla è incapace di parlarci, di spingerci ad agire, e di conseguenza rimarremmo nel vuoto, irretiti in una sorta di vacuitàNon è irrilevante che nella filosofia regni qualcosa che potremmo definire nichilismo, ossia l’idea non tanto che la vita e il mondo siano problematici, quanto piuttosto che il significato e la risposta a questa problematicità non solo non sono stati trovati ma che non si possano trovare, che il nihil sia l’ultimo risultato». «Ma così non si può vivere!», esclama l’anziano filosofo: «E’ proprio qui che inizia la vita spirituale... L’uomo spirituale è colui che è in cammino. Conosce le esperienze negative e le medita, a differenza dell’uomo comune che cerca di dimenticarle o ha già la ricetta pronta».
Per Patočka la problematicità della vita non è un’obiezione, bensì il punto di partenza per un’ascesi che porta a prendere posizione nel quotidiano: «L'uomo spirituale capace di sacrificio non deve aver paura... Egli è in un certo senso politico, e non può non esserlo proprio perché dimostra pubblicamente l'imprevedibilità della realtà», ossia «rompe il sistema, e la sua testimonianza è motivo di resistenza e di cambiamento».
Che tutto questo per Patocka e per altri «uomini in cammino» del blocco sovietico avesse implicazioni pratiche e non rimanesssero sofismi, lo si vide nell’esperienza del dissenso. Quando Havel gli chiese di assumersi il ruolo di portavoce di Charta77, Patocka esitò a lungo perché sapeva che si trattava di qualcosa che per lui, docente pensionato dal regime, poteva essere molto rischioso. Poi, una volta presa la decisione, si dedicò completamente a Charta77 esponendosi pubblicamente. Ricorda ancora Havel come, durante il suo ultimo incontro con lui, in prigione in attesa dell'interrogatorio, Patocka si fosse messo a improvvisare una lezione sulla storia dell'idea dell'immortalità umana e dell'umana responsabilità. In un’altra occasione, parlando del futuro di Charta77, disse che «oggi la gente sa nuovamente che esistono cose per cui val la pena soffrire, e che le cose per cui eventualmente si soffre sono quelle per cui val la pena vivere».
Agli inizi del marzo ‘77, dopo un incontro informale tra Patocka e il ministro degli esteri olandese Max van der Stoel, il regime comunista intensificò la pressione. L’anziano maestro venne ripetutamente convocato dalla polizia. Dai verbali traspare la dignità e l’integrità della sua posizione, persino la lingua e lo stile sono esemplari perché era lui a dettare le risposte. Colpito da infarto, il 13 marzo morì in ospedale. Le autorità, temendo che il funerale potesse sfociare in una manifestazione pubblica, condussero un’inaudita operazione di disturbo e sorveglianza. Tuttavia al cimitero dell’antico convento di Brevnov presenziarono «500 persone, in maggioranza giovani», come si legge nel rapporto della StB. Un anno dopo Havel, con il Potere dei senza potere, opera dedicata proprio a Patocka, ne riprese le tematiche alla luce dell’esperienza diretta del dissenso.

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domenica, 19 ottobre 2008

Il nichilismo
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 “L’essenza della civiltà occidentale è il nichilismo, poiché il senso fondamentale del nichilismo è il rendere niente le cose,la persuasione che l’ente sia un niente, ed è l’agire guidato e stabilito da questa persuasione
Emanuele Severino 

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sabato, 18 ottobre 2008

Il nichilismo
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Nell'emolliente dolcezza della vita moderna, la massa delle regole tradizionali che davano consistenza alla vita si disgregò come la superficie ghiacciata di un fiume in primavera. Questa disgregazione fu evidente sia nell'individuo che nella famiglia e nella società”
 Alexis Carrel Riflessioni sulla condotta della vita, ed. Cantagalli


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lunedì, 13 ottobre 2008

Il nichilismo porta alla “civiltà dei consumi”  
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Il nichilismo, cioè l'assenza di una verità  e di un destino della realtà, è l’orizzonte teorico in cui si colloca la nostra “civiltà dei consumi” perché se la realtà non ha una sua verità e neanche l’uomo possiede un suo destino naturale, il consumare, assecondando  “il principio del piacere”, è l’unico rapporto che l’uomo può stabilire con il reale, non certamente quello che nasce dal “principio della realtà”.
Da questo atteggiamento nasce quella concezione per la quale le cose, il denaro, il sesso, l’amore e perfino la vita propria e altrui diventano proprietà gestita secondo il modello dell’«usa e getta».
Non ci si strappi le vesti poi quando ci si trova – come accade spesso ai nostri giorni – di fronte alla violenza dei giovani contro se stessi e contro gli altri, né ci si affanni ipocritamente a cercare spiegazioni e a trovare rimedi. L’unico rimedio serio sarebbe quello di impedire  la corruzione morale derivante da una simile argomentazione, che si ammanta arbitrariamente della dignità del pensiero “laico”.
Il pensiero “laico” è qualcosa di drammaticamente più serio. Per questo  siamo grati a Pietro Barcellona che ce lo testimonia.”
Francesco Ventorino, La Sicilia 22-04-07 

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domenica, 13 luglio 2008

FEDERICA, CHE VIENE UCCISA NEL “PARADISO” SENZA CROCIFISSI…
Lloret de Mar come metafora del nostro tempo...           Da “Libero”, 11 luglio 2008
***
 I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello?

Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso.

Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “
per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”.

Continuava ricordando quando si lanciò la crociata
perché non si voleva “che si pregasse nelle scuole americane, e gli americani hanno detto OK. Poi qualcun altro ha detto che sarebbe meglio non leggere la Bibbia nelle scuole americane. Quella stessa Bibbia che dice: ‘Non uccidere, non rubare, ama il tuo prossimo come te stesso...’, e gli americani hanno detto OK. Poi, in molti paesi del mondo, qualcuno ha detto: ‘Lasciamo che le nostre figlie abortiscano, se lo vogliono, senza neanche avvisare i propri genitori’. Ed il mondo ha detto OK”.

Si girano film e show televisivi che sommergono le anime di fango. E si fa musica che celebra violenza, suicidio, droga o ammicca al satanismo. E tutti trovano questo normale e dicono che è solo un gioco, com’è normale che, secondo le statistiche, un bimbo italiano, prima di aver terminato le elementari, veda in media in tv 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza, ma per carità togliamo la preghiera dalla scuola ché sarebbe un atto di “violenza psicologica”.

”Ora” proseguiva quella donna americana
“ci chiediamo perché i nostri figli non hanno coscienza, perché non sanno distinguere il bene dal male, e perché uccidono così facilmente estranei, compagni di scuola, e loro stessi. Probabilmente perché, com’è stato scritto, ‘l'uomo miete ciò che ha seminato’ (Galati 6:7). Uno studente ha ‘sinceramente’ chiesto: ‘Caro Dio, perché non hai salvato quella bambina che è stata uccisa in una scuola americana?’. Risposta: ‘Caro Studente, a Me non è permesso entrare nelle scuole americane. Sinceramente, Dio’ ”. Tutto questo non è solo americano. Dopo Auschwitz una folla di intellettuali accusò Dio: “Dov’eri? Come hai potuto permettere tutto questo?”. Nessuno ricordava quale fu la prima battaglia fatta dal nazismo appena arrivato al potere: la guerra dei crocifissi. Il nuovo regime pretese di spazzar via da tutte le scuole l’immagine di Gesù crocifisso. Fu uno scontro durissimo e la Chiesa fu praticamente lasciata sola a sostenerlo. Dov’erano gli intellettuali? Poi il nazismo, fra il 1939 e il 1940, spazzò via migliaia di “crocifissi viventi”, una eutanasia di massa per 70 mila disabili e malati mentali: ritennero le loro delle vite indegne di essere vissute e dettero loro “la morte pietosa”, ma anche in quel caso la Chiesa fu lasciata quasi sola perché nei cuori il crocifisso era stato spazzato via dalla pagana e feroce croce uncinata. E così alla fine Hitler scatenò la guerra e la Shoah. Dov’era Dio? Era stato cacciato da tempo. E stava agonizzando nei lager con Massimiliano Kolbe, Edith Stein o Dietrich Bonhoeffer, accanto a una moltitudine di croficissi.

Siamo la generazione che ha visto poi consolidarsi nel mondo il più immane tentativo di strappare Dio dai cuori, imponendo l’ateismo di Stato: l’impero comunista che si è risolto nel più colossale genocidio planetario di uomini e popoli. Tutto questo c’insegna qualcosa? No. Noi siamo la generazione che non impara dalle tragedie del suo tempo. E per questo forse sarà destinata a ripeterle. Non abbiamo forse consegnato la costruzione europea a una tecnocrazia laicista e dispotica che ha voluto strappare le radici cristiane dell’albero europeo? Ed eccoci all’inverno demografico, al declino e all’invasione islamica.

Un grande economista come
Giulio Tremonti, nel suo celebre libro, ha affermato che il riscatto è possibile solo con una rinascita spirituale. Ma noi siamo “gli uomini impagliati” di Eliot, con la testa piena di vento e il cuore pieno di solitudine. Abbiamo sputato su Gesù Cristo e sulla Chiesa credendo che questo fosse “libertà”, poi ci troviamo soli o disperati e allora puntiamo il dito accusatore sulla presunta “indifferenza” di Dio. Di quel Dio che non cessa un solo giorno di darci il respiro e di farsi incontro a noi.

Siamo la generazione che non sa più dare senso alla vita, né speranza ai propri figli, che vede addensarsi all’orizzonte nubi cupe di crisi planetarie, di guerre, di carestie, ma non afferra la mano della “Regina della Pace”, presente fra noi per salvarci. Perché si ride del Mistero e del soprannaturale, mentre si va da maghi e astrologi, perché si crede ai giornali e a internet e non al Vangelo, perché si irride chi parla di Satana e dell’Inferno, ma si affollano come non mai sette sataniche o esoteriche, perché si venerano le maschere vuote dei palcoscenici e della tv e si disprezzano i santi, perché si crede che libertà sia poter fare qualunque cosa, anziché essere veramente amati.

Questa stagione iniziò nel ’68, quando si cominciò a sparare sulla religione come “oppio dei popoli”, così oggi l’oppio (o la cocaina) è diventata la religione dei popoli, anche di notai, industriali e deputati. Nietsche tuonò contro il crocifisso perché – scrisse – abolì i sacrifici umani che erano il motore della storia pagana. E infatti oggi, cancellato il crocifisso dai cuori, sono tornati i sacrifici umani.
Siamo la generazione che ha assistito tranquillamente in 30 anni allo sterminio – con leggi degli Stati – di un miliardo di piccole vite umane nascenti, il più immane sacrificio umano della storia. La generazione che torna a discettare di vite “indegne di essere vissute”, che pretende di trasformare i più piccoli esseri umani in cavie da laboratorio, che esige – specialmente “in nome della scienza” - che tutto sia permesso. In effetti “se Dio non c’è, tutto è permesso”. Ma con quali conseguenze?

L’abbiamo visto nel recente passato. E siccome non ne traiamo le conseguenze lo vediamo nel presente e ancor più lo vedremo nel futuro. Qualcuno ha osservato: “Strano come sia semplice per le persone cacciare Dio per poi meravigliarsi perché il mondo sta andando all'inferno”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 luglio 2008

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nichilismo, socci

sabato, 14 giugno 2008

La “cultura del niente
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 Io credo che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana.
Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”,
della libertà senza limiti e senza contenuti,dello scetticismo vantato come conquista intellettuale,che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.

card. Giacomo Biffi


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nichilismo, biffi

sabato, 24 maggio 2008

Il nichilismo si vince con l’annuncio della risurrezione
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  «Il tessuto dell'esistenza - non è semplicemente stropicciato - al che si potrebbe rimediare con il ferro da stiro ben caldo delle nostre ricette umane - ma è anche strappato, e da questo strappo viene il nulla, il nichilismo. La nostra civiltà è circondata dal nulla. Ecco perché penso che il nichilismo attuale sia il luogo provvidenziale dove si deve far «scoppiare» l’annuncio della risurrezione».
§  Olivier Clément

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nichilismo, clement

venerdì, 23 maggio 2008


Il nichilismo
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" Il nichilismo è la storia nella quale dell’essere stesso e del suo mistero non ne è più nulla
Martin Heidegger Nietzsche, Adelphi Edizioni, Milano 1994,  

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nichilismo, heidegger

domenica, 18 maggio 2008

L’uomo rendendosi autonomo dal Mistero rinnega la Realtà
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§  «L'autonomia dell'uomo diventa vittoria delle possibilità che respinge ogni realtà. La realtà non può portare niente di nuovo, la riflessione ha già anticipato tutto»
§   
§  Hanna Arendt

Postato da: giacabi a 17:57 | link | commenti (1)
nichilismo, arendt


L’uomo moderno  senza Cristo
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«Comunque si voglia intendere nell'uso corrente la parola "secolare", storicamente non può essere fatta coincidere con l'essere-nel-mondo; a ogni modo l'uomo moderno non guadagnò questo mondo quando perse l'altro mondo, e neppure la vita ne fu favorita. Egli fu proiettato in se stesso, proiettato nella chiusa interiorità dell'introspezione, dove tutt'al più poteva sperimentare i processi vuoti del meccanismo mentale, il suo gioco con se stesso». «È perfettamente concepibile che l'età moderna - cominciata con un così eccezionale e promettente rigoglio di attività umana - termini nella più mortale e nella più sterile passività che la storia abbia mai conosciuto».
Hanna Arendt

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nichilismo, arendt

domenica, 11 maggio 2008

Tradizione europea
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«Tradizione europea significa non poter mai vi vere al di là della coscienza riducendola ad un apparato anonimo come la legge o lo stato. Questa fermezza della coscienza è una eredità della tradizione greca, cristiana e borghese. L'irriducibilità della coscienza alle istituzioni è minacciata nell' epoca dei mezzi di comunicazione di massa, degli stati totalitari e della generale computerizzazione della società. Infatti è molto facile per noi riuscire a immaginare istituzioni organizzate così perfettamente da impor- re come legittima ogni loro azione.Basta disporre di una efficiente organizzazione per legittimare qualunque cosa. Così potremmo sintetizzare l'essenza di ciò che ci minaccia: gli stati si programmano i cittadini, le industrie i consumatori, le case editrici i lettori, eccetera... Tutta la società un po' alla volta di viene qualcosa che lo stato si produce».
Vaclav Belohradsky

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nichilismo, tradizione

lunedì, 05 maggio 2008

CRISTO O IL NICHILISMO

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In un qualche angolo remoto dell’universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della “storia universale”: e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire.
Ecco una favola che qualcuno potrebbe inventare, senza aver però ancora illustrato adeguatamente in che modo penoso, umbratile, fugace,
in che modo insensato e arbitrario si sia atteggiato l’intelletto umano nella natura: ci sono state delle eternità, in cui esso non era; e quando nuovamente non sarà più, non sarà successo niente. Per quell’intelletto, infatti, non esiste nessuna missione ulteriore, che conduca al di là della vita dell’uomo. Esso è umano, e soltanto il suo possessore e produttore può considerarlo con tanto pàthos, come se in lui girassero i cardini del mondo. Se fosse per noi possibile comunicare con la zanzara, verremmo a scoprire che anch’essa con lo stesso pàthos nuota nell’aria dove si sente come il centro che vola di questo mondo. Non c’è niente in natura di così spregevole e dappoco che con un piccolo soffio di quella facoltà conoscitiva non si possa gonfiare come un otre; e allo stesso modo in cui qualsiasi facchino vuol avere i suoi ammiratori, anche il più orgoglioso degli uomini, il filosofo, è convinto che da ogni lato gli occhi dell’universo siano puntati telescopicamente sul suo fare e sul suo pensare.                 
F. Nietzsche da: Verità e menzogna in senso extramorale  http://www.gliscritti.it/            

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nichilismo, nietzsche

martedì, 08 aprile 2008

I totalitarismi usano la domanda religiosa che risiede nel cuore umano, per affermare il proprio potere
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I totalitarismi odiano Dio, perché odiano la libertà che egli dà all’uomo. Sanno però usare con grande abilità la domanda religiosa che risiede nel cuore umano, per affermare il proprio potere. Il fenomeno era stato in parte già studiato, prima di tutti da Lederer, negli anni Quaranta (Lo Stato delle masse, Bruno Mondadori editore), che, prima ancora di Hannah Arendt, aveva mostrato come i regimi totalitari si fondassero sulla distruzione delle culture e delle appartenenze trasmesse dalle tradizioni (quelle di cui parla Giussani ne Il rischio educativo), la cui origine profonda è sempre religiosa, per costruire l’uomo massa, permeabile alle richieste dei capi, e del loro sistema di schiavitù.
Prima di distruggere le religioni però, i totalitarismi in statu nascenti le usano, conoscendone a fondo la forza inestinguibile. Anzi una delle leve di cui si servono per abbattere le democrazie secolarizzate nate dalle rivoluzioni borghesi del Settecento e dell’Ottocento è proprio il disprezzo che queste ultime, intrise di razionalismo superficiale e di mitologie giacobine, mostrano per il fenomeno religioso.
Hitler, un indiscutibile esperto di totalitarismo, ricordava che «la fede esiste dappertutto in uno stato di dormiveglia, ed il trucco sta nel risvegliarla con un credo politico entusiasmante, così come si fa quando si getta un fiammifero sulla paglia secca». Questa consapevolezza è oggi fortissima anche nei totalitarismi islamici, che Hitler l’hanno studiato molto bene (anche per via del comune nemico: gli ebrei), ed hanno inventato il fondamentalismo come strumento per la propria affermazione e diffusione, servendosi del timore/orrore del popolo per il secolarismo occidentale.
Ora uno degli ultimi studi in materia, “In nome di Dio”, dello storico Michael Burleigh, pubblicato da Rizzoli, fornisce ulteriori prove sulla relazione tra la svalutazione della religione nelle democrazie secolarizzate, ed il rafforzamento di tendenze totalitarie.
Mentre infatti il modello culturale occidentale adottava la visione “relativista” (non c’è nessuna verità universalmente valida, e comunque non la si può conoscere), la ricerca di Dio ha vissuto una nuova fioritura. Molti giovani occidentali però, trovando le nostre Chiese troppo “incredule” sulla loro fede, e deboli nella riproposizione delle proprie tradizioni (lo stupefacente dibattito contrario al Motu proprio di Benedetto XVI sulla messa in latino ne è una prova), finiscono - certo sconsideratamente - con l’aderire a organizzazioni religiose che appaiono più agguerrite e convinte, dall’Islam fondamentalista, ad ambigue sette giapponesi ed orientali.
Ciò accade appunto perché la domanda cui la religione risponde è profonda, e ineludibile nell’essere umano, il quale, proprio perché è dotato della ragione, si chiede quale sia il senso della sua vita.
L’esperienza religiosa, da sempre originata da questa domanda, quando viene emarginata o inibita da un modello culturale laicista, viene ricacciata nell’inconscio collettivo. E’ proprio lì, “sotto la paglia”, che i dittatori come Hitler, Lenin, Saddam, Assad e gli altri, ripescano le forze della domanda e della tradizione religiosa per dare forza ai loro regimi di repressione burocratica ed atea.

ClaudioRisè , da Tempi, 4 ottobre 2007, www.tempi.it

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comunismo, nichilismo

martedì, 01 aprile 2008

La società degli "uomini vuoti"
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In effetti la società opulenta è l’unica nella storia del mondo che non abbia origine da una religione, ma sorga essenzialmente contro una religione, anche se, per paradosso, questa religione è la marxista; e anche se in ragione del comune avversario si avvale del concorso di forze religiose (o concede anzi il governo di Stati ai rappresentanti politici di queste forze, ristabilendo però l'equilibrio attraverso il favore accordato a una cultura nettamente areligiosa).                                                                                                                                                Il rifiuto espresso o tacito dei valori che si sono detti fa sì che l'unico valore venga ridotto alla pura efficienza sensibile; nella società del benessere gli uomini si trovano ridotti alla semplice dimensione economicistica di meri strumenti di un'attività che non è ordinata ad altro. Onde il tedio che assale l'uomo di questa società non appena si lascia alle spalle il luogo del suo lavoro; il sentimento di precipitare nel vuoto, nell'irrazionalità più completa, nonché l'agonismo e l'attivismo che caratterizzano questa società: l'altro si riduce a un fascio di bisogni che devono essere soddisfatti, o meglio che devono essere artificialmente moltiplicati, perché il soggetto possa affermarsi; e questa assenza di una comunicazione in valori universali fa sì che il soggetto non possa sentirsi tale che nell'esasperata ricerca individuale del superfluo. Giustamente si è scritto che «quella dell'opulenza... è la società degli "uomini vuoti": esseri senza più fini, senza più valori, senza nemmeno il richiamo, la spinta alla salvezza, della sofferenza materiale; esseri che possono sentirsi vivi solo nelle furie astratte del sesso o nei sussulti subitanei e imprevedibili, negli sfoghi, di una sporadica e fatua anarchia»( Cfr. Rodano, Il processo di formazione) .                    Il che fa intendere come questa società sia caratterizzata da una sua particolare teoria dell'alienazione, del tutto diversa da quella marxista: e ciò perché quel che la interessa è il ricupero della vitalità. Di qui la curiosa unione del primitivismo istintivista e della tecnica. Liberarsi dall' alienazione significa liberarsi da una secolare repressione e inibizione degli istinti (in pratica, da ciò che tradizionalmente era chiamato morale e che dal nuovo punto di vista viene detto etica sessuofobica); l'energia repressa essendo pensata come possibilità di manifestarsi in forme di aggressività, di odio e di risentimento, preparazione psicologica a ciò che sembra in apparenza l'obbiezione più grave alla mentalità progressista vale a dire alla guerra.                         Novità che non è sviluppo di posizioni precedenti, dunque antitradizione; accettazione di questa novità che alle generazioni giovani si presenta come necessaria, se si vuole evitare la caduta in un pessimismo assoluto, in altre parole se si vuoI vivere; efficienza sensibile sentita come unico valore, dunque spirito di tecnicità; antitesi a quella che era tradizionalmente pensata come la morale cristiana e idea di una morale «senza peccato», l'idea del peccato essendo all'origine di tutti gli atteggiamenti antivitali, delle repressioni socialmente pericolose. Questi sono tutti elementi di un unico contesto, senza che si possa elevare alcuno di essi a fattore causale primo. Dal che si vede quanto sia arbitrario isolare da questo contesto l'associazione di tecnologia e di irreligione; anziché un'unità necessaria, essa è un'unità di fatto entro il quadro della società opulenta.
Augusto del Noce da:”Verità e ragione nella storia"  BUR



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nichilismo, del noce

domenica, 30 marzo 2008

L'Eros è ragazze e teorie
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“Scoprivamo il sesso, cioè il sacro allo stato bruto (forza divina che spinge alla vita nell'immediatezza della sensibilità) e il loro vago Cattolicesimo non vi avrebbe resistito. "Eros e Thanatos", come dice Freud: l'uomo è attratto o dall'amore o dal suicidio. Ma nell'adolescenza il suicidio si cambia nello specchio di Narciso, e invece di distruggersi l'uomo contempla se stesso e soprattutto la sua forza erotica. Gli uomini della mia generazione non hanno conosciuto il suicidio per nichilismo, come si diffonde oggi ("mi uccido perché la vita non ha senso"). Noi avevamo bruciato il nostro capitale spirituale, ma ci restava un certo slancio biologico, e così l'Eros, l'Amore, l'attrazione erotica aveva la meglio sulla sua grande sorella, la Morte, e io potevo predicare l'ateismo senza suicidarmi, e potevo anche alzare il pugno chiuso per il Fronte popolare, con il fazzoletto rosso sulla giacca. L'Eros è ragazze e teorie. E' far l'amore con una donna o con un'idea. Non si vede altro nella vita: si va dritti con entusiasmo, con senso di potenza e tranquillità. L'uso erotico della ragione diviene per un momento l'oppio che fa dimenticare il nulla. Pur di far l'amore e di non pensare ad altro, ci son dei vecchi che si fanno innestare testicoli di scimmia. Ragazze e teorie, vissute con la forza dell'erotismo sono tavole gettate sull'abisso. E si sale sulle tavole e si recita la propria parte, per un certo tempo. Fino alla mezz'ora di silenzio in cielo di cui parla l'Apocalisse (Ap 8,1), il momento della verità che ci aspetta tutti.
Oggi i nostri maestri di pensiero sorridono con pietà quando si parla di sete di assoluto. Loro sono nel relativo, e vi ci si sono sistemati anche abbastanza bene. Per me che non sono un esperto, mi sembra che io cercassi Dio nella sua negazione stessa. Ateismo ed erotismo erano il mio grido a lui. E penso che anche lui mi cercasse.
Anche io ho conosciuto le grandi spiegazioni dell'ateismo, le spiegazioni dei tre grandi "maestri del sospetto", Marx, Nietzsche e Freud. Per il marxista Dio è solo quello che l'uomo ha perduto attraverso l'alienazione sociale. Per Nietzsche, Dio è invece il mondo illusorio delle idee e dei valori, perché tutto è volontà irrazionale di forza, gioco continuo. Per chi non ha questa forza in sé, per chi non è Superuomo, Dio è allora il rifugio della debolezza e l'arma del risentimento. E per Freud, infine, Dio non è altro che la proiezione del "padre castratore", colui che ti ha istillato fin da piccolo il senso della colpevolezza, il "Super-Io", quelle regole cui tu devi obbedire, se non vuoi perderti. Mi si dice che tutto questo finalmente libera, incarna, richiama alla vera responsabilità creatrice dell'uomo, senza false paure e falsi tabù. Eppure..
Eppure tutti questi esseri lucidi si sbranano a vicenda e così ciecamente e sanno ascoltare così poco! Tutti questi "coscienti" sono così incoscienti nella loro vita quotidiana! Il relativo, ciò che passa, ciò che non conta più di tanto, si gonfia di assoluto e diviene mostruoso. La passione in cui credevamo di esaltarci (che pensavo mi facesse essere) sfocia nel nulla. Perché quello che cerchi nell'incontro d'amore - il sentirti vivo e la verità di un'altra persona, l'incontro personale - non lo raggiungi che per brevi istanti furtivi. Qualche settimana dopo non ci si ricorda più di nulla, se non di quella canzone, tra le dune, canticchiata da una sconosciuta.
Nel 1956, battezzato da poco, mentre stavo imparando a poco a poco una vita di umiltà e di perdono in cui la fedeltà diventa possibile, parlavo con un giovane rivoluzionario ungherese sull'enigmatico incontro dell'uomo e della donna. "Non c'è nessun mistero, mi disse, e la fedeltà è un intralcio senza senso". "Eppure cosa sentite ogni volta che si chiude per voi un incontro più o meno breve?". Egli rifletté un momento, la sua aggressività si era spenta: "A volte, disse, è come se avessi ucciso un uccello". E la strada è cosparsa di uccelli morti!
Oggi abbiamo soltanto l'ordine quantitativo della società industriale, il cui macchinismo ignora i ritmi profondi della vita oppure il disordine dell'istinto, la frenesia sessuale. Sembra che non abbiamo più che il nostro corpo per uscire dall'astrazione e dalla solitudine. Tuttavia la soddisfazione erotica che spegne la tensione è solo un'immagine lontana di quella morte spirituale del nostro egoismo, della tensione al nostro io, necessaria perché l'altro sia per me una persona e non soltanto un oggetto. Invece ognuno è rimandato alla sua solitudine, perché il corpo ha espresso un egoismo narcisista e non un dialogo personale. La sete di assoluto e di infinito ti porta a cercare tutto da un povero essere precario che, anche lui, ha bisogno di essere salvato. E siccome egli non può estinguere questa sete, finiamo per rivoltarci contro di lui, per ferirlo e distruggerlo. Così finisce chi trasferisce la ricerca di assoluto sul piacere stesso. E la profanazione si esaspera nelle trasgressioni, fino al sadismo: far del male all'altro per sentirsi vivi in qualche modo.. Perché solo l'Amore salverà l'amore.
Oliver Clement  "L'altro sole"

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nichilismo, imbecillità giovanile, clement, istintività

martedì, 25 marzo 2008

L'erosione dei principi cristiani apre all'alleanza tra tecnica e nichilismo

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di: Massimo Borghesi 03/07/2006            da: www.ilsussidiario.net/

Emanuele Severino su un punto ha ragione: la tecnica e' l’orizzonte assoluto del nostro tempo. Tutti abbiamo la convinzione che sia possibile manipolare, cambiare, utilizzare la realtà, le “cose”. Fino a 20-30 anni fa questa realtà era una realtà materiale, la natura esterna; oggi è anche una realtà vivente, la natura interna. La scoperta del codice genetico e i progressi della biochimica e dell’ingegneria genetica aprono la strada a nuove avventure, impensabili nel passato. Si possono pre-selezionare embrioni sani, scartando quelli portatori di malattie ereditarie, come è accaduto recentemente in Inghilterra. Si può clonare un essere vivente. Si possono congelare embrioni, ritardarne lo sviluppo.
Tutto ciò implica conseguenze, sul piano esistenziale, di cui la biologia e la medicina non si curano. Quale coscienza di sé avrà un uomo che scopre di essere il frutto di una selezione eugenetica? Che si accorge, nel caso di una ipotetica clonazione, di essere il doppione di una vita già vissuta, privato della novità della sua vita da un “designer” che lo ha progettato
? Problemi nuovi, che intaccano alla radice l’identità e l’autonomia della persona, su cui si interroga uno dei più grandi pensatori tedeschi, Jürgen Habermas, nel suo “Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale”. Habermas, progressista ed illuminista, ultimo erede della “Scuola di Francoforte”, vicino alle posizioni dei Verdi tedeschi, osserva che
se si accetta come normale la generazione e l’impiego di embrioni ai fini della ricerca medica, si trasforma anche la percezione culturale della vita umana prenatale, con il risultato di rendere sempre meno affilato il senso morale che stabilisce i limiti entro cui far valere il calcolo costi-benefici”. L’orizzonte proprio della tecnica è quello di una “ragione strumentale” che non conosce confini. La sperimentazione, in nome del benessere presente o futuro, richiede i suoi capri espiatori, le sue vittime. Habermas non è credente. Si rende conto, però, come l’erosione dei valori morali e del senso della vita propri della tradizione cristiana, un’erosione provocata da una secolarizzazione massiccia, incalzante, sta provocando un vuoto, un enorme buco nero in cui prende forma l’alleanza tra tecnica e nichilismo. La sistematica demolizione di ogni ideale, provocata da una cultura abile nel negare quanto incapace di costruire, porta al primato indiscusso della tecnica, del pragmatismo tecnocratico. In vista del benessere, della “qualità” della vita, ogni mezzo diviene lecito.
Per porre un limite a questa prospettiva, che all’autore tedesco ricorda “un allevamento razziale e selettivo dell’uomo”, Habermas distingue tra “inviolabilità” della persona e “indisponibilità” della vita prenatale. Quand’anche quella vita non fosse “ancora” persona, essa va comunque protetta poiché è la premessa dell’essere personale, è il presupposto del suo futuro. Negare questa indisponibilità, utilizzare la vita embrionale come una semplice cavia, è assuefarsi ad una visione strumentale che non arretrerà nemmeno di fronte alla dimensione personale. In un rinnovato dialogo tra illuminismo e religione si tratta di difendere quelle posizioni, bio-antropologiche, che permettono al soggetto di concepirsi come libero, autonomo, in condizione di uguaglianza con altri.
Sono le condizioni che stanno al centro del dettato politico, giuridico, culturale della modernità. Condizioni che una sperimentazione selvaggia tende a rimuovere, a delegittimare, rendere problematiche. Una eugenetica positiva, tesa a selezionare uomini “migliori”, dotati di caratteri eccellenti, come può giustificarsi in un modello democratico? Dovremo procedere ad una sorta di lotteria per attribuire le vite geneticamente modificate ad alcuni rispetto ad altri?
L’anima malthusiana e darwiniana dell’eugenetica è il rischio paventato da Habermas. Un anima di “destra” che si fonda, con disinvoltura, sul sacrificio dei meno fortunati, dei non adatti, dei non perfetti, dei mal nati
. L’ultima notizia in ordine di tempo è quella apparsa in un “piccolo” box del Corriere della Sera (06.06.06). Ian Wilmut, lo scienziato capo del team che nel 1996 ha clonato la pecora Dolly, auspica la clonazione “selettiva” di un embrione affetto da malattie ereditarie. L’embrione malato verrebbe poi scartato a favore di quello sano, il gemello buono al posto di quello “cattivo”. Un progetto “perverso” secondo la Prolife Alliance. Di fronte a queste prospettive è quanto meno sorprendente la disinvoltura con cui una parte della cultura progressista rinuncia, da noi, ad ogni disposizione “critica”. La sinistra, con alcune eccezioni, non pare comprendere come la salvaguardia dei valori illuministi richieda oggi un ripensamento generale. Non intuirlo denota un deficit culturale, l’anoressia degli intellettuali di Micromega paghi del “verbo” darwiniano. È quanto ha compreso invece il Papa per il quale il rapporto tra fede e ragione, cristianesimo e illuminismo, è un punto decisivo.
L’insistenza con cui Benedetto XVI e la Chiesa richiamano i temi bioetici non è una battaglia di retroguardia, antimoderna, è una lotta progressista. Come sottolinea Habermas, è in gioco la modernità, la salvaguardia dei suoi valori minacciati dall’alleanza tra tecnica e nichilismo, il futuro della natura umana.

Postato da: giacabi a 19:50 | link | commenti
nichilismo

lunedì, 10 marzo 2008

Senza il cristianesimo:
il nichilismo, si aggira tra i giovani
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«conosciamo i giovani e gli adolescenti di oggi. A differenza dei loro nonni, non vogliono diventare maturi. Non desiderano entrare nella cosiddetta vita, che forse li impaurisce. La scuola è lentissima; ed essi aumentano questa lentezza tardando a laurearsi, tardando a uscire dalla casa paterna, rinviando o aggirando il matrimonio, proiettando sempre più lontano il momento del lavoro. Non sanno chi sono. Forse non vogliono saperlo… perché in realtà non desiderano avere nessun volto… Come amano indugiare!… sostare sempre davanti a una soglia che, forse, non si aprirà mai. Se compiono un lavoro, non si impegnano volentieri in uno solo: ne fanno contemporaneamente un altro, o immaginano di farlo. Non rinunciano a niente, perché non vogliono accettare la morte.
Non hanno volontà: non desiderano agire; preferiscono aderire, accogliere, lasciar affiorare in se stessi la voce degli altri, della vita e del destino. Preferiscono restare passivi, comportandosi in modo sinuoso e informe come l’acqua, trasformandosi in tutto ciò che viene loro proposto. Vivono avvolti in un misterioso torpore. Non amano il tempo. L’unico loro tempo è una serie di attimi, che non vengono legati in una catena o organizzati in una storia


Piero Citati da:Repubblica del 2 agosto 1999

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