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sabato 18 febbraio 2012

omosessualita


l Cristianesimo non ha mai detto:
“Anzitutto amatevi”
(Parte 1)

I cattolicucci alla chitarra. Il Dio veltronizzato. La nevrosi del sentimentalismo applicata al cristianesimo. Dall’eresia luterana della salvezza per “sola fide” a quella dei buonisti della salvezza per solo “amore”. Eppure la chiesa primitiva alla quale si appellano non ha mai detto in primis amiamoci come fratelli. Cristo ridotto a un bonzo. Non criticano il fatto che la Chiesa ha la morale che ha: contestano che ne abbia una.

di Antonio Margheriti Mastino,
da
Papale Papale (14/06/2011)



IL SOLITO CATTOLICUCCIO (ALLA CHITARRA) DA SACRESTIA
Spesso per vedere a che punto è la notte, basta guardare i commenti dei “cattolici” su internet quando si è verificato un evento controverso, specie quegli eventi che vanno a toccare la morale cattolica. Che molti, troppi, tutti non sanno che non è affatto un’opinione variabile come il tempo, ma al contrario è infallibilmente e immutabilmente espressa dal Magistero. Cioè è prodotto purissimo di tutta la ininterrotta millenaria sapienza cristiana e successione apostolica, con tanto di giustificazione nella Scrittura e Tradizione.

L’altro ieri il caso Eluana e l’eutanasia; ieri Malta e il divorzio; oggi il blasfemo gaypride di Roma fuoriosamente anticattolico; e tutti gli altri giorni messi assieme aborto per tutti e ovunque. Chi vuol esser lieto lieto sia… A ognuna di queste cose viene affibbiata sempre l’etichetta DOC del buonismo: quella della giustificazione per amoreee, o del si ami purchessia.

Qualunque di questi eventi accada, dinanzi alle doverose stigmatizzazioni dei cattolici che un po’ di dottrina e comandamenti li han mandati a memoria, comparirà immancabilmente il commento del cattolicuccio da sacrestia online che dirà, come oggi: “A me è stato insegnato di non giudicare, di non scagliare pietre e di pensare che tutti gli uomini sono uguali e fratelli perchè figli di Dio… mi è stato insegnato che bisogna sempre voler bene e che non bisogna mai spargere odio… altro non so dire”.

Hai detto pure troppo.

DAL “SOLA FIDE” DEL DIO LUTERANO, AL SOLO “AMORE” DEL DIO VELTRONIZZATO
“Tanto Dio ci ama tutti”. I guai iniziano proprio da questo momento. Qui chi si è dimenticato la differenza fra peccato e peccatore, paradossalmente non sono tanto (i pochi) cattolici intransigenti, forcaioli nominali: se l’è dimenticata chi questo assioma lo sbandiera da mezzo secolo, i cattolici nominali dai buoni sentimenti, i cattolici alla chitarra. Assioma che ormai è diventato il richiamo della foresta, la grande giustificazione di massa a ogni licenza e orrore: siamo all’ognuno faccia come gli pare ché ci si salva tutti ugualmente perchè tanto Dio “ci ama”… e insomma, capirà!

Se Lutero, artefice della Prima Rivoluzione (quella protestante), aveva escogitato l’eresia del “ci si salva per sola fide”, la nuova eresia strisciante seguita alla fase finale della Quarta e ultima Rivoluzione (quella radical-sessuale iniziata dal ’68), è: “ci si salva per solo amore”. Giustificazione per fede e giustificazione per amore. Qui pure: “amore” di Dio verso di noi, non amore nostro verso di Lui.

Veramente, pure a leggere e rileggere le Scritture, mettendoci anche la buona volontà, tutto questo non risulta da nessuna parte. Anzi, le parole che vengono usate nelle Scritture contro l’omicidio e la sodomia, per dirne alcune, sono spaventose. Dov’è allora questo Dio veltronizzato? Io vedo un Dio che persino nell’Apocalisse si abbatte come una folgore con parole terrificanti non solo sugli assassini, i ladri, i pervertiti, gli idolatri, ma anche su quella categoria che può sembrare la più incolpevole, la meno imputabile, quelli che, ok, non han fatto niente di male ma neppure il bene, quelli che appunto ad evitar di esacerbare animi hanno rinunciato ad esprimersi, a dire sì o no, per non turbare alcuno, non compromettere se stessi: oggi direbbero “per non spargere odio”. Come se a portare all’odio tanto temuto fosse la Verità e non invece la menzogna, o l’ammutolire dinanzi ad essa. Soggetti questi persino suscettibili di attirare la nostra simpatia, diciamocelo. Eppure questo Cristo veltronizzato dice tutt’altro: “A voi mediocri, a voi né caldi né freddi”, né carne né pesce, “a voi io vi vomiterò dalla mia bocca”. È lo stesso Cristo che impugna lo scudiscio e caccia furibondo i mercanti dal Tempio. Chiametelo buonista!

Dice: Cristo non sarà buonista, ma è amore. Ci risiamo: si è smarrito da tempo qui, nella Chiesa più che mai, il senso proprio delle parole fin da sopra i pulpiti, a furia di sproloqui dolciastri e terapeutici, di fraseologia da telenovelas. Evidente che l’equivoco semantico genera mostri, tragici fraintentimenti con effetti catastrofici sull’orbe cattolico. È così che si confonde l’amore che è carità con lo psicologismo, i sentimenti col sentimentalismo, la misericordia con la condiscendenza, la bontà col buonismo, la libertà col libertinismo, appunto il peccato col peccatore, il pentimento con l’autogiustificazione, la concretezza del peccato soggettivo con l’astrattezza della colpa sociale. Alla fine col tutto uguale a tutto, il tutto che giustifica tutto, dunque, il colpo scuro finale, già denunciato dal cardinale Ratzinger nella Missa pro eligiendo romano pontifice, della “dittatura delle voglie”.

Quante volte nelle prediche alla messa della domenica abbiam visto la pretaglia triturare, macerare, rimpolpare i nostri maroni, e infine saltarci sopra con sadica gioia, blaterando per 40 minuti buoni (la consacrazione magari te la buttano lì in 30 secondi) in modo estenuante di amore amore amore e sociologici ricchi&poveriiiii? E ti accorgi anche tu che lo scadente oratore monomaniaco queste cose ormai le va ripetendo avendo perduto egli stesso il senso proprio e reale di quelle parole. Finchè qualcuno avvinto non cede prima all’apatia poi alla catalessi, infine allo stato soporifero e comatoso. Altri, come il sottoscritto, pur di non farsi nevrotizzare oltre, hanno preferito andarsene alle messe in rito antico ché li le prediche, se mai le fanno, durano 5 minuti e si attengono rigidamente alla dottrina, soprattutto non annoiano. Siamo giunti a questo punto: che ci sorprendiamo che in una predica si parli di Dio nudo e crudo, tanto da sembrarci una novità eclatante ciò che dovrebbe essere risaputo da almeno due millenni praticamente. Se non avessi la certezza dell’eternità della chiesa, direi che è alla frutta.

IL CRISTIANESIMO NON HA MAI DETTO “AMIAMOCI COME FRATELLI”
Ma cosa è questo maledetto “amore” odierno, il quale pare a tutto ci autorizzi? Ma davvero è l’amore di Cristo? Il discorso è lungo. Allora non potendo qui parlare di cos’è l’amore, limitiamoci a dire quel che non è. Non dovrebbe almeno.

E la prima cosa da dire è: l’amore non esiste. È una cazzata. Una superstizione. Un alibi. È letteratura. Una licenza ad uccidere sentendosi la coscienza apposto. Perché l’amore di Cristo non è l’amore del mondo.

L’amore del mondo. È per questo amore che è stato invocato l’aborto; per amore il divorzio e la distruzione della famiglia; per amore non ci si sposa più; per amore si è scambiato, e invocato, il sesso libero; per amore si sono inaugurate tutte le rivoluzioni; per amore che si acconsente all’eutanasia; per amore che si ribalta la stessa legge naturale un tempo rispettata pure dai pagani; per amore ci è imposta la dittatura dell’ideologia di genere e il culto dell’omosessualismo; per amore che si consegnano dei bambini innocenti a due papà o a due mamme; per il solo amore assistiamo a donne che si ingravidano da sole in laboratorio a 55 anni o altre che prestano uteri a bambini di nessuna madre e ignoto padre; per amore e solo per amore abbiamo inaugurato l’era della sessuomania di massa a tutti i costi; per amore si riduce la stessa Chiesa ad esser quel che non è mai stata, non è, mai dovrà essere; per amore che si giustifica ogni sacrilegio e ogni oscenità che coarta l’applauso del mondo; per amore ormai si tappa la bocca a chiunque non si rassegni a questo amoreggiare mondano, ossia a chi non la pensi come questi innamorati cronici: per amore si mette il mondo sottosopra e ciò che era sopra sta sotto e ciò che stava sotto è sopra.


Di nuovo: ma tutto questo che c’entra con l’Amore di Cristo? Questo amore mondano è il massimo capolavoro di Lucifero. È l’amore secondo lo spirito del mondo.

Taluni cattolici dai buoni sentimenti è circa mezzo secolo che invocano il ritorno all’amore fraterno dei primi tempi, come nella chiesa primitiva: non trovando rispondenze filologiche nell’attuale magistero, se le vanno a cercare in un fantomatico magistero “altro”, più puro, più essenziale, più vicino alla Verità, lontano nel tempo. E prendono un grande abbaglio. Non sanno che proprio quell’essenziale li spazzerebbe via in un nanosecondo, proprio loro. Non sanno neppure che quei primi tempi cristiani, furono anche i più controversi, lacerati da mille defezioni ed eresie le più tremende. Né sospettano quanto un insospettabile per antonomasia come il gesuita Carlo M. Martini, disse sapendo bene quel che diceva, quand’era ancora cattolico perché non era ancora arcivescovo di Milano: “Stiamoci attenti, perché non è mai esistito un cristianesimo primitivo che abbia affermato come primo messaggio amiamoci gli uni gli altri, siamo tutti fratelli, Dio è padre di tutti, impregnatevi per la pace e l’eguaglianza tra gli uomini e cose del genere”. L’essenziale era altrove: nel credere al fatto storico della morte e resurrezione di Cristo, accettare la Storia della Salvezza nel suo complesso. Il resto era solo moltiplicazione di pani e pesci.

L’eresia strisciante, che si manifestò sotto diverse forme, e nella chiesa primitiva e nell’Ottocento con rinnovato fulgore, specie ad opera di
Ernest Renan
, sibila tuttora. Ed è piuttosto pigramente assimilata nel bagaglio del cattolico medio e dai buoni sentimenti, in genere attivista politico, ecologista, sponsor dei “nuovi diritti”, dell’ecumenismo depravato facilone e liquidatorio ma tanto tanto buono da essere buonista. La teoria di Renan, del Cristo-bonzo, “saggio soave e incomparabile”, dunque. In altri termini: non più Dio, non più colui che è venuto a salvare dal peccato, morendo sulla croce e risorgendo. Ma il buon vecchio saggio amico Gesù: che fa niente se magari proprio Dio non è, se magari non è propriamente esistito, se è solo leggenda… ma è tanto simpatico lo stesso, così inoffensivo povero ragazzo, con tanti bei consigli per tutti sul come vivere sani e belli, fraternamente, amandoci liberamente. Qualcosa di molto simile a quel che il cardinale Ratzinger definì “l’autoerotismo buddista”. I cattolici dai buoni sentimenti, sono sempre in prima linea ormai nel difendere questo amore mondanissimo. E sempre più radicalmente anticristiano. E non sai mai se lo sanno oppure no. Nessuno al giorno d’oggi compie tante sanguinose apostasie quotidiane quanto i cattolici alla chitarra, da sacrestia, da Azione Cattolica, da partito democristiano. Non ci sono nemici più sordidi e pericolosi per la chiesa di loro, neppure fra i peggio radical-chic.

NON SIAMO CONTRO LA MORALE CATTOLICA. SIAMO CONTRO LA MORALE
Occorre ammetterlo. Forse per caso, forse per incantesimo, forse dopo lunghe operazioni a tavolino in tal senso, il liberalismo, persino il radicalismo alla fine si è fuso con una parte consistente del messaggio cristiano, neutralizzandolo.

In un primo tempo si era tentata la stessa operazione alchemica, in parte riuscita in parte abortita entro pochi anni, con le dottrine socialiste. Mostro che abortito o meno, ha lasciato comunque nel cattolicesimo i suoi strascichi virali; virus che poi sono mutati appunto da socialisti in liberal-radicali, e nell’ultima evoluzione con forti striature sincretistiche infettando la dottrina professata da tanti cattolici. Liberalismo, sincretismo, psicologismo, religione fai da te. Insomma far dire a un indeterminato Dio tutto privato e su misura di ciascuno ciò che più ci conviene. In genere quel che ricalca il nostro pensiero, che a sua volta altro non è che lo squallido riflesso della vita che abbiamo condotto. Come lasciare ai ladri riscrivere il codice penale alla voce “furto”.

Alla fine il messaggio che vien fuori da questa fusione a freddo fra cristianesimo e liberalismo, che neutralizza il primo elemento, è che si deve contestare non la morale cristiana nelle sue varie parti, ma proprio l’esistenza di una morale, cristiana o meno. Non deve proprio esisterne una. Il fatto che il cristianesimo ne ha una, questo lo rende doppiamente colpevole agli occhi di Sodoma e Gomorra. Soprattutto agli occhi del liberalismo, che è il massimo divinizzatore più che dell’uomo dell’individualismo, dell’opinione, della schiavitù irresolubile del secondo me, del metro del gusto personale per giudicare la giustezza e la liceità di ogni cosa. È giusto, ammissibile, lecito tutto quel che secondo me e per me lo è; è divino ciò che a me piace. La morale della barzelletta sta tutta qua. E non è una morale cristiana neppure se la osservi dal retto anale.

Postato da: giacabi a 20:23 | link | commenti
laicismo, omosessualita


Il Cristianesimo non ha mai detto:
“Anzitutto amatevi” (Parte 2)
***

I gaypride: una nuova religione senza nome. La pesca amorosa. La supestizione dell’amore. L’amore come licenza ad uccidere. L’amore come superamento del peccato come colpa. La malaria del sentimentalismo che ha ucciso l’amore.

di Antonio Margheriti Mastino,
da
Papale Papale (14/06/2011)



I GAYPRIDE 1: UNA NUOVA RELIGIONE SENZA ANCORA UN NOME
I gaypride ne sono l’esempio plateale, quelli romani soprattutto. Dove è tutto un proliferare di cartelloni selvaggi e rituali contro il papa, il “Vaticano”, “i preti”, “il diritto all’amore contro l’inquisizione”. Poi osservi questa umanità nuda, variopinta, godereccia, promiscua, interessata solo a quel che appare, ebbra d’effimero; che non se ne frega niente più di niente e niente sa di ciò che va oltre il possedere-esibire-godere, che vive solo dell’adesso e subito che del doman non v’è certezza. E ti rendi conto che questi qui non sono cattolici. Non più. Non sono manco musulmani, né buddisti o protestanti, non sono più cristiani neppure a rivoltarli dal culo all’aria alla testa. Nulla che possa somigliare a una qualsiasi religione esistente sulla faccia della terra. Sono invece i pionieri di una nuova religione. Che al momento mancando un termine di nuovo conio, andando per similitudini, possiamo dire neo-pagana, la cui sostanza è profondamente edonistica, che non ha nulla a che fare con alcun Dio rivelato, essendo questi inincidenti sulle pratiche della loro vita, nella loro interiorità, nel loro, debolissimo fra l’altro, sistema di pensiero. Che altro non è a sua volta che un riflesso condizionato della più vasta e in fieri, sempre più potente e in fase di strutturazione, ideologia omosessualista o di genere. La cui peculiarità è la provocatoria, violenta esibizione della propria raggiunta potenza in Occidente. Capace di zittire chiunque. Salvo la chiesa istituzionale, che, volente o nolente, è obbligata a ripetere ciò che la dottrina divina, in eterno ha espresso: la grave illiceità della sodomia. Pur comprendendo, la chiesa allarga le braccia e dice: mi spiace, non ho il potere di tacere ciò che Dio mi ha dato in deposito e con l’obbligo di farlo sapere a tutti; né posso mutare alcunchè, perché di tale Verità son solo l’amministratrice non la proprietaria. Così stanno le cose, così è se vi pare. Nessuno è obbligato a niente, ma è chiaro pure che si è cattolici solo a queste condizioni.

GAYPRIDE 2: MA SE NON SIETE CATTOLICI CHE ROMPETE A FARE LE PALLE ALLA CHIESA?
A questo punto la domanda che uno si fa vedendo i cartelloni anticattolici nei gaypride è: ma se di fatto e ormai pure in teoria né sono né ci tengono a professarsi cattolici, né condividono alcunchè della divina e infallibile dottrina morale della chiesa, ma che motivo hanno di contestarla? La chiesa parla ai suoi fedeli, per metterli in guardia dal peccato mortale, stare attenti all’educazione dei figli; e poi sì, parla anche a tutti gli altri ricordando la legge di natura, che non l’ha inventata la chiesa, ma è sempre esistita, anche prima della chiesa. Stigmatizza il peccato, il peccato sociale, le cause e gli effetti di un peccato individuale traslato e rivendicato sul piano sociale, con grave pericolo per i suoi stessi fedeli (che non sono quelli dei gaypride).

Allora, cari omosessualisti mezzi nudi, se siete i pionieri di una nuova religione mondana e orizzontale, se non siete cattolici, ma che vi frega della morale della chiesa cattolica? Con la quale o senza la quale per voi tutto resta tale e quale? Ma cosa pretendete, di sfondarvi allegramente fra voi i deretani con la benedizione del papa? Questo non è mai accaduto e non accadrà mai, non può e non deve. Dice: ma noi vogliamo il libero amore non la scopata occasionale, e l’amore è di Gesù. Anzitutto mentite spudoratamente; poi siete pure ignoranti. Secondo, vale tutto quanto detto prima. Terzo, nella chiesa questo libero amore non esiste e non potrà mai esistere, esiste solo la sessualità matrimoniale e i sentimenti semplici e puliti. Infine, voi scambiate platealmente (e ancora una volta i gaypride ne sono la rivelazione conclamata) il vostro fallocentrismo con l’amore, scambiate la sessuomania con l’amore, scambiate l’apparenza dei sensi con la sostanza dell’amore, l’amore con la pesca amorosa. Perché questo è, fatti bene i conti, quel che ne vien fuori dalle loro rappresentazioni carnevalesche, arroganti, spregiudicate: il diritto alla pesca amorosa. Fatela: in caso ne risponderete a Dio. Ma se date pubblico scandalo, dal momento che è pubblico, non pretendete che la chiesa spruzzi sopra i vostri amplessi l’acqua benedetta.


GAYPRIDE 3: FALLOCRAZIA
Non v’è dubbio che in tutto questo influisce anche l’overdose acritica di ideologia freudiana e superstizione psicologista, con la loro fallocrazia monomaniaca. Nota Vittorio Messori, a proposito di coloro che contestano alla chiesa un eccessivo impicciarsi di morale sessuale: “Singolare è che coloro (e non mancano preti e suore liberati, nonché i soliti cattolici adulti) che denunciano una esagerazione del Magistero in questa materia, sono poi gli stessi che prendono sul serio la psicoanalisi, per la quale l’onnipresenza e la forza della sessualità è la chiave unica per spiegare l’uomo, la storia, il mondo. Se per Marx tutto è economia, per Freud tutto è eros: ma allora, se davvero è così, come potrebbe la Chiesa non dare una risposta adeguata - per prudenza e per fermezza - a una simile, invasiva potenza?”.

In realtà c’è un altro messaggio che ne vien fuori. Non deve esistere alcuna morale, men che meno cattolica, ok. È giusto solo quel che mi piace, è ragionevole solo quel che secondo me lo è, ok. Ma è l’ultimo messaggio, quel che (ancora) non osa dire il suo nome ma che già in Europa è operativo in diverse burocrazie giudiziarie ispirate dall’ideologia di genere, dal political correctness, il più pericoloso: la chiesa cattolica non deve proprio esprimere pubblicamente la sua morale, non deve professare la sua fede, perchè questa è in contrasto con l’ideologia dominante del momento. Alla fine, come vedete, tutti i conti tornano. Nulla di nuovo, ancora una volta, sotto gli occhi di Dio e del papa: sono secoli che periodicamente tutto ciò si verifica. Siamo alle solite, e tutti i salmi finiscono con le manette ai polsi e il bavaglio alla bocca. Lo spirito del mondo non tollera lo Spirito Santo.

L’AMORE COME SUPERAMENTO DEL PECCATO COME COLPA
Questo amore qui, non è più cristiano, non lo è mai stato. Ma sotto l’alibi dell’amore, si nasconde un altro intento, già attivamente operante del resto: l’annullamento dell’idea, della realtà, del senso stesso del peccato. Cancellare il peccato come colpa. È questo che certi cattolici liberal vogliono spazzar via: l’ostacolo del peccato, dopodichè ogni diga cederebbe, e finalmente il cattolicesimo sarebbe del tutto assimilato al secolo e alla società civile, per poi scomparire del tutto, come è successo per le confessioni riformate del Nord-Europa, non a caso portate da queste sempre ad esempio.

Questo amore col quale si infanga persino il nome del Dio cristiano, e che alla fine si riduce all’ognuno si faccia gli affari suoi, quando non proprio all’ognuno per sé Dio per tutti. Quale maggiore contraddizione in termini con l’amore di Cristo?

Questo amore amoreggiante, di genere, senza limiti di decenza, pieno di solitudine e ansimante di coiti consumati, occasionali, provvisori, a termine, disimpegnati, contronatura, questi incontri tutti geniatali e smancerie nei quali si perde l’umanità. Che cosa è se non aver perduto il senso proprio della parola Amore? Cosa è se non l’amore come superamento della responsabilità, disgiunto da questa, tutto fatto di diritti e di nessun dovere? Che scommette solo sull’assurdo e l’improbabile e mai su ciò su cui sarebbe naturale puntare? Che cosa è questa pretesa, la più assordante del momento perchè quella più a la page, dell’amore (e poi farse di matrimoni e purtroppo di vere adozioni) fra persone dello stesso sesso se non la provocazione e la scommessa balorda di chi non ha nulla da perdere in ogni caso? E che perciò, ancora una volta, è esentato da ogni responsabilità? Amore di Gesù, fratellanza di Gesù, pace e giustizia e uguaglianza di Gesù, strepitano questi post-cristiani, come se il loro Gesù avesse ancora qualcosa di cristiano. E non si rendono conto che questo Dio comune non c’è, come non ci sono tutti questi fratelli di un comune Padre, come non c’è questo amore che ammantano di grazia divina e che altro non è che una sinistra pesca amorosa, preludio di un castigo divino di immani proporzioni. Non si rendono conto che non adoriamo lo stesso Dio. Perchè il loro è il Vitello d’Oro, non il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, né di Cristo né persino di Maometto, è invece l’idolo innalzato a divinità della loro carne tremula e ingorda, senza più vergogna, senza più limiti, senza più umanità, che si nutre di se stessa, cannibale. Come quell’Ugolino dantesco che prospera generando figli e cibandosene. L’inferno.

Spesso questi teorici del volemose bbene dell’amore perchè Dio ama tutti e che perciò non si deve giudicare, usano un argomento bislacco assai. Quello della coscienza e del libero arbitrio.

Precisiamo prima una cosa. Il peccatore certo non si giudica, ma solo finchè non fa bandiera del suo peccato, per il resto il peccato va additato, giudicato e condannato soprattutto pubblicamente.

Detto questo veniamo a ‘sto presunto libero arbitrio (quanto a fraseologia luterana son sempre aggiornati: è quella cattolica che non gli sovviene mai). Dice: Dio ci ha dato il libero arbitro. Sì, è vero, ci ha lasciati liberi di scegliere. Ma prima ha indicato qual è la sua volontà. Cristo dal canto suo ha precisato che il Padre avrebbe messo i giusti alla sua destra e i malvagi alla sua sinistra e poi li avrebbe scacciati da sé “maledetti dal Padre” Suo. Non ha parlato di amnistia, né di amorosi sensi che dovrebbero influenzare in senso lassista la sentenza. Liberi tutti di peccare, certamente. Come Dio è libero di punire e condannare. E lo ha promesso a caratteri cubitali.

LA MALARIA DEL SENTIMENTALISMO CHE HA UCCISO L’AMORE
E poi, alla fine il male dei mali, la radice stessa di questo falso amore. Falso come amore umano e falso e sacrilego come amore divino: la malaria del sentimentalismo che ha sostituito i sentimenti veri. E che riguarda sia tutto quello del quale abbiamo parlato sinora, sia l’amore fidanzati, sia quello coniugale. Il totale disastro degli ultimi decenni su questo versante è talmente immane, tanto che tutti ne abbiamo ogni giorni sotto il naso un’ampia casistica, a cominciare dalle nostre famiglie. Un argomento talmente deprimente che non ti vien voglia manco di scriverne tu. E per questa ragione demando tutto al mio infinitamente amato Vittorio Messori, dal quale tutto ho imparato e al quale tutto devo (insieme al cardinale Ratzinger).

Del resto usa parole essenziali e mirabili. Ascoltatelo in questo collage che ho ricavato da diverse sue opere: “Il modello di famiglia che ci pare ormai il solo normale è in realtà una creazione recente e un po’ sospetta, venendoci dalla borghesia dell‘Europa già postcristiana dell’Ottocento. È la famiglia di Enrico. Lo stucchevole studente protagonista del Cuore del massone Edmondo de Amicis [...] È quel modello di famiglia (che si sarebbe poi imposto a tutta la società, facendoci dimenticare ogni altro modello) dove gli affetti tra i componenti sono vissuti innanzitutto come sentimenti. Ora: quello schema e quel clima sono il contrario di quelli della famiglia preborghese, tradizionale; della famiglia cristiana, dove l’ amore c’era, ma era agli antipodi della leziosaggine; dove ogni retorica sdolcinata era bandita nel nome di quel realismo (uno tra i maggiori doni del cristianesimo, e tra i più dimenticati oggi) che sa che la vita è dura; che sa che questo non è il giardino dell’Eden ma spesso, davvero, la lacrimarum vallis; che sa che il volersi bene sul serio non passa attraverso il pacchettino infiocchettato o il melenso coretto davanti alla torta del giorno del compleanno. Una famiglia dove i figli erano molti e dove molti, certo, morivano presto: ma morivano dopo la nascita, non prima, come adesso. Era una famiglia dove il separarsi era impensabile, non solo per le diverse condizioni economiche e sociali, ma perché ben diverso dal nostro era il concetto stesso di amore. Il punto è importante; eppure, poco si riflette sulla mutazione subita da questa parola che, in ogni suo senso, è centrale per il cristianesimo. In effetti, in quella accezione della borghesia europea secolarizzata che abbiamo fatto nostra, amarsi tra uomo e donna è sinonimo di piacersi, di sentire qualcosa , in particolare attrazione affettiva o sessuale. E, dunque, amore è sinonimo di sentimento: quando questo finisce, consideriamo finito anche l’amore. In una simile prospettiva, è logico (se non addirittura doveroso) andare alla ricerca di un’altra, di un altro, con cui sia possibile rinnovare un sentimento senza il quale ci pare non possa esistere l’amore tra i sessi. La ragione per cui è fallito in Occidente ogni tentativo di evitare la legislazione sul divorzio: ‘Se amore coniugale è sinonimo di reciproca attrazione, poter liberarsi dalla moglie – o dal marito – è una necessità, quando non si sente più niente’. Come sempre, l’etimologia è illuminante: coniugarsi viene da cum e iugare, vuol dunque dire legarsi assieme sotto il giogo. È, cioè, l’immagine, per noi ormai impensabile, di un uomo e di una donna che accettano di essere gravati da un giogo comune per trascinare il pesante carro della famiglia attraverso quell’asperrimo terreno che è la vita. I due avendo per giunta – altra prospettiva per noi troppo spesso del tutto inconsueta – come mèta finale, e sola davvero importante: la vita eterna”.

La ragione per la quale oggi bolliamo come scandaloso il matrimonio combinato allora molto in voga. Ma spiega Messori: “Si era convinti che, da soli, un bel viso che piace o un sorriso simpatico o un corpo attraente non bastassero per decidere di cum iugare, finché morte non separi”.

Dunque c’era meno amore all’epoca? “Di certo, c’era meno sentimento. O, almeno, la presenza tangibile e continua di questo non era, come per noi, il sine qua non perché l’unione familiare stesse in piedi. Sicuramente, gli affetti – pur non sentimentali – si allargavano come noi non sappiamo più fare: ad esempio, il «ricovero», l’«ospizio» per i vecchi espulsi dalla famiglia sono tipiche creazioni dell’illuminismo e della sua cultura secolarizzata. In quella «cristiana» erano assurdi”.

Conclude Messori in una discussione con Andrea Tornielli, che il disastro matrimoniale attuale, che nelle metropoli porta ormai la metà delle coppie davanti al giudice, deriva da qualcosa “che sembra molto bello”. Quella disfatta deriva dall’amore inteso non le senso cristiano ma in quello romantico e borghese: “L’amore come passione, attrazione fisica, sentimento, come sdolcinature tra fidanzatini. Con cupìdi e iniziali incisi sulla corteccia degli alberi, paroline dolci, mesaggini. Magari, oggi, anche lucchetti da appendere ai lampioni di Ponte Milvio”. Ma prima o poi, fisiologicamente, tutto questo deve venir meno. E quando succede “terminata la magia dello stato nascente, se ne trae la conclusione che l’amore è finito e, visto che solo quel tipo di amore giustifica lo stare insieme, è ora di ricominciare con un altra persona, per ritrovare il batticuore romantico, per sentire nuovamente qualcosa”.

Resta, dimenticata da tutti, l’unica verità sull’amore. Quella del Vangelo, cristiana: “Unione di realtà diverse: dunque, matrimonio come affetto ma anche come vincolo, nel bene e nel male; come legame personale e al contempo sociale; come piacere ma anche come dovere, talvolta arduo. Il realismo di chi crede nel Vangelo ed è consapevole che, per ritrovare l’amore come fondamento solido di quell’eterna tragicommedia che è l’incontro-scontro tra maschio e femmina, occorre decontaminarsi dal sentimento, anzi, non di rado dal sentimentalismo, presentato come amore da troppe canzoni, romanzi, film. La paccottiglia, insomma, da festa inventata, quella del povero, inconsapevole san Valentino”.

Che forse, avesse saputo che sorte da bacioperugina gli sarebbe spettata, avrebbe di certo deciso di sposarsi e fare figli invece che farsi prete
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Postato da: giacabi a 18:37 | link | commenti
famiglia, omosessualita

lunedì, 25 luglio 2011

«Ero gay, ora ho una moglie Il professor Veronesi non sa di che sta parlando...»

di Redazione                  
***
«Macché amore puro! Solo sesso orgiastico. Ma a Medjugorje sono guarito» La storia della sua vita nelle strofe cantate da Povia al Festival di Sanremo
 
«Luca era gay e adesso sta con lei / Luca parla con il cuore in mano / Luca dice sono un altro uomo». Quando il 17 febbraio 2009 sentì questi versi al Festival di Sanremo, Luca Di Tolve ebbe un sussulto: sul palco del teatro Ariston, Giuseppe Povia stava cantando la storia della sua vita. Luca era gay e adesso non lo è più. Lo è stato dai 13 ai 31 anni e si sentiva considerato niente più che «un bel pezzo di carne». Se gli chiedi il numero dei partner che ha cambiato in quel periodo, ti risponde, abbassando gli occhi, «almeno due a settimana», cioè poco meno di 1.900, il che lo pone una spanna al di sopra del cantautore Franco Califano, recordman dell’acchiappo, che ha cominciato anche lui a 13 anni e che mi ha confessato d’aver avuto nella sua vita 1.500 donne. Solo che quando il Califfo ha improvvisato questo calcolo era prossimo alla settantina e ancora si applicava di buona lena, mentre Di Tolve ha smesso per sempre di andare a uomini da quasi un decennio.
Luca, milanese di 39 anni, adesso sta con Teresa, bergamasca di 35, detta Terry, operatrice sanitaria in una casa di riposo, che s’è licenziata per stargli vicino - è sieropositivo, ha avuto un’epatite, ogni giorno deve ingollare 12 pastiglie - e per aiutarlo nel Gruppo Lot, una Onlus intitolata al nipote di Abramo fuggito da Sodoma prima che la città venisse incenerita da una «pioggia di zolfo e fuoco proveniente dal Signore», così narra la Genesi. Per seguire l’associazione che ha creato, Luca ha invece chiesto un’aspettativa di due anni al Comune della Lombardia dov’è guardia giurata e ora insieme con la moglie gira l’Italia (l’ho rintracciato a Pescara, nella parrocchia di Santa Caterina da Siena), per raccontare la sua storia a ragazzi che vorrebbero cambiare vita, come ha fatto lui. Attraverso Internet lo hanno cercato in 2.000, dai 18 ai 45 anni, e un centinaio di loro ha già seguito il percorso di preghiera, supportato dalla terapia riparativa messa a punto dallo psicologo clinico statunitense Joseph Nicolosi, membro dell’American psychological association, fondatore del Narth (National association for research and therapy of homosexuality) e della clinica San Tommaso d’Aquino di Encino, in California. Dieci di questi percorsi si sono conclusi con altrettanti matrimoni e la nascita di quattro figli - «un quinto è in arrivo», annuncia raggiante Di Tolve - e tre con altrettante ordinazioni sacerdotali.
Luca era gay e adesso dice «sono guarito», e questo manda in bestia i gruppi omosessuali, Arcigay in testa. Non solo perché fin dal 1973 nel Dsm (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) l’omosessualità è stata derubricata da malattia mentale a variante non patologica del comportamento sessuale, ma soprattutto perché Di Tolve non è un tizio qualunque. Nel 1990 fu uno dei primi a essere eletto Mister Gay nella discoteca Nuova idea international di via De Castillia, il locale più trasgressivo di Milano, che ancor oggi offre «ragazzi tanti e boni» e «le migliori cubiste trans». È stato per due anni nel direttivo dell’Arcigay milanese. Era diventato l’impresario turistico di riferimento dell’associazione. Organizzava crociere e vacanze per gay pubblicizzate su Adam e Babilonia, i due periodici trendy della comunità omosessuale. Nel 1996 aveva addirittura organizzato, d’intesa con le Ferrovie dello Stato, un treno speciale che avrebbe dovuto portare militanti da tutta Italia al Gay pride di Napoli, anche se poi il convoglio rimase fermo sui binari perché l’Arcigay partenopea negò la sponsorizzazione concessa invece dall’Arcigay milanese. Frequentava il jet set internazionale: ha potuto avvicinare Gianni Versace e Giorgio Armani; ha conosciuto Dolce e Gabbana a Taormina; una foto lo ritrae con Carla Bruni, non ancora divenuta premièr dame di Francia; tra Portofino e la Costa Smeralda è stato accolto alle feste o sui panfili di famosi stilisti, insieme con Naomi Campbell, Flavio Briatore e Sean Combs, il rapper americano noto come Puff Daddy.
Da quando Luca Di Tolve non è più gay, si ritrova tutti contro, specialmente dopo che ha avuto il coraggio di mettere nero su bianco la sua storia nelle 248 pagine del libro Ero gay, che è stato edito da Piemme col sottotitolo A Medjugorje ho ritrovato me stesso, perché l’autore è arcisicuro che ci sia la Madonna apparsa trent’anni fa a sei veggenti nel villaggio della Bosnia-Erzegovina all’origine di quella che lui considera una vera e propria redenzione. S’è trovato minacce di morte nella casella della posta, tanto che oggi è costretto a non rivelare a nessuno il luogo di residenza. Quando va a parlare in giro per l’Italia, deve farsi proteggere dalla Digos e dai carabinieri. A Brescia, nella Casa dei diaconi messagli a disposizione dalla curia vescovile, è stato assediato da circa 200 sostenitori dell’Arcigay, capeggiati dal presidente nazionale Aurelio Mancuso e da quello onorario Franco Grillini, ex deputato e leader storico del movimento gay. Portavano appeso al collo un certificato Asl di sana e robusta costituzione fisica e inalberavano cartelli con l’ammonizione «Non guarirete mai!» lanciata all’indirizzo di coloro che avevano accettato di partecipare alla sua conferenza. Alla fine è stato scortato da due poliziotti in un’altra sede, tenuta segreta per precauzione. Lo stesso è accaduto a Milano, nella parrocchia di San Giuseppe Calasanzio. «Per la visita del professor Nicolosi in Italia sono stati mobilitati 20 agenti. E poi i gay hanno il coraggio di sostenere che quelli discriminati sono loro! Mi considerano un reietto, un rifiuto umano. Hanno scritto che sono a libro paga del Vaticano e che prendo ordini da Rocco Buttiglione, escluso dalla Commissione europea per aver detto che come cattolico considera l’omosessualità un peccato, ma non un crimine. Evidentemente per loro è invece un delitto il matrimonio fra un ex omosessuale e una donna. Se un eterosessuale diventa gay viene salutato come un eroe, lo invitano in Tv, gli offrono un posto da opinionista nei giornali, mentre se un omosessuale compie il percorso inverso viene messo al bando».

A che età s’è scoperto diverso?
«Nell’età degli ormoni. Alla scuola media fin dal primo giorno ho cominciato a provare un’attrazione irresistibile per il compagno di banco, Paolino. Mia madre mi portò da due psicologi, che emisero la stessa diagnosi: “È omosessuale, si deve solo accettare”. La televisione e il resto del mondo mi dicevano la stessa cosa. Fu come darmi via libera. Mi misi subito alla ricerca di altri uguali a me».
La sua inclinazione che origine ha?
«Il movente profondo che spinge ad adottare comportamenti omosessuali è sempre il medesimo: assumere le caratteristiche maschili che non riesci a esprimere in te stesso. Ho avuto una madre ansiogena e amorevolmente oppressiva. Si sposò a 17 anni. All’epoca mio padre lavorava alla Ri-Fi, la casa discografica di Mina e Fred Bongusto. In casa non c’era mai e, quelle poche volte che c’era, litigava. Alla fine si separarono. A 6-7 anni mamma mi mandava a scuola in calzamaglia. “Ma sei maschio o femmina?”, mi prendevano in giro i miei compagni di classe. Mi tolsero le mutande con la forza per accertarlo. Quando il gruppo dei pari ti respinge, tu che fai? Finisci nel gruppo delle femmine. Ho avuto solo maestre. Alle medie persino l’insegnante di ginnastica era una donna».
Interrotti gli studi, divenne prostituto.
«Mi facevo mantenere. È una consuetudine piuttosto diffusa nell’ambiente gay. Conobbi Riccardo, un trentenne milanese figlio di un miliardario. Lavorava per l’industria orafa e per la moda. Agli stilisti mi presentava come il suo fidanzato. Mi versava tre milioni e mezzo di lire al mese solo per stare con lui. Più la carta di credito. Mi pagava il personal trainer perché diventassi sempre più bello e palestrato. Nel frattempo ognuno di noi aveva storie parallele. Abitavo in Montenapoleone, giravo con l’autista e il Rolex d’oro al polso».
Poi si mise a fare il personal shopper.
«Sì, accompagnavo gay danarosi di tutto il mondo, soprattutto americani, a far compere nelle boutique di lusso. Il mio nome era su Spartacus, la guida internazionale per gay. M’è anche capitato di portare in giro principesse degli Emirati arabi. Una di loro spese in poche ore 150 milioni di lire in vestiti, scarpe e borsette. Ero arrivato a guadagnare 30 milioni al mese in questo modo. Ogni anno io stesso andavo a fare shopping a New York e svernavo a Miami. Fu lì che vidi un grande cartello stradale: “Gay cruise”. Caspita, mi dissi, qui siamo accolti anche al Club Med! Decisi di organizzare crociere omosex in Italia».
E le navi dove le trovò?
«Interpellai la Costa e la Moby. Nessuno dei funzionari delle due compagnie sollevò obiezioni. Per la prima crociera scelsi la Corsica. Partenza da Genova con 60 passeggeri, tutti travestiti. Naked party, dove si stava nudi. Docce di gruppo. La sera sorteggio delle cabine per favorire gli scambi di coppia».
Perché solo travestiti?
«Ero attratto dai lineamenti efebici dei transessuali. Stavo per ore a osservare quelli che battevano in corso Sempione. Fu lì che conobbi Diego».
Un travestito?
«Sì, in arte Belladonna. Ma sul più bello che s’era stabilita fra noi una forte intesa, la morte aprì le danze. Allora per l’Aids non c’erano cure, si crepava nel giro di un anno. Belladonna perse progressivamente la vista. Il suo corpo scultoreo si ridusse allo stato larvale.Dai, Bella, rifatti il trucco che ti porto in crociera!, cercavo di rassicurarla. Non volevo vederla soffrire, perciò ripresi dopo tanti anni a pregare e le misi fra le mani un santino della Madonna delle Lacrime di Siracusa. In quel momento Belladonna perse per sempre conoscenza. “È una fortuna per il suo amico”, mi dissero i medici. “Ha sviluppato anche una toxoplasmosi che porta alla putrefazione del cervello. Meglio che sia in coma: fosse rimasto lucido, avrebbe sofferto le pene dell’inferno”. E lì ebbi per la prima volta la percezione che le mie suppliche alla Vergine fossero state esaudite».

Fintantoché anche a lei non diagnosticarono il virus dell’Hiv.
«Accadde al ritorno da Miami. Avevo sempre la febbre a 40. Subito i medici ipotizzarono che avessi contratto la malaria in qualche zona paludosa della Florida. La sentenza di morte fu pronunciata da una sbrigativa dottoressa dell’ospedale Sacco di Milano: “Sieropositivo. Mi spiace. Ecco qua i suoi esami. Si metta in coda per la prassi”. Mi resi conto che dovevo morire. Tornai ad abitare con mia madre. Alla festa che diedi per il trentesimo compleanno un ragazzo gay dimenticò a casa mia un opuscolo sulla terapia riparativa del professor Nicolosi. Lo lessi con avidità».
E che cosa scoprì?
«Che era tutto vero. Per anni hai bevuto, hai sniffato coca, hai fatto sesso con più partner contemporaneamente e in trenta pose diverse, ma sei infelice. Non riuscendo a diventare uomo, tenti con gli amplessi di appropriarti degli attributi esteriori della mascolinità, una sorta di cannibalismo collegato al godimento. Di giorno provi a difenderti da quanto vorresti fare di notte, perché ti rendi conto che ogni senso di pienezza svanisce insieme con l’eiaculazione. Ma la sera basta un nonnulla per scatenare la nevrosi che si esaurisce solo al termine del coito. Per riaccendersi più forte subito dopo».
Sa di girone dantesco.
«All’inizio pensai di poter trovare la salvezza nel buddismo. Ore e ore a ripetere il mantra “Nam myoho renge kyo” davanti ad altari fatti con le mele. Poi un giorno vidi una corona del rosario sul contatore della luce e sentii una locuzione interiore che mi ordinava: “Prendilo!”. Mi misi a recitarlo. Alla terza posta caddi in ginocchio, letteralmente. Avvertii un amore indescrivibile, materno, che non esiste sulla Terra, e scoppiai a piangere. Fu una liberazione. Da quel momento sparirono pulsioni omosessuali, angosce, tristezza, sconforto, pensieri negativi, paura di morire. Ripresi a lavorare in un call center. Continuavo a frequentare i gay, ma come fossero fratelli. In fin dei conti erano la mia famiglia. Loro mi prendevano in giro: “ecco Giovanni il Battista!”, “cara, sei nella fase mistica”, “è arrivato Medjugorje!”. Avrebbero voluto rivedermi ballare sul cubo col sedere di fuori. Vivevo nel terrore che le pulsioni omosessuali si ripresentassero».
E per scongiurare quest’eventualità che fece?
«Cercai Giancarlo Ricci, psicoterapeuta aderente alla rete Narth del professor Nicolosi. Cominciai a lavorare sulla mia virilità. Dopo essere stato assunto come guardia giurata, mi misi a studiare La Gazzetta dello Sport e a guardare Il processo di Biscardi in televisione per non farmi cogliere impreparato dai colleghi che parlavano solo di calcio. Sentii d’avercela fatta il giorno in cui m’invitarono con loro al bar a bere una birra. Ero tornato nel gruppo dei pari. Pensai: tu puoi essere eterosessuale, tu puoi formarti una famiglia. Era un’idea che mi faceva sentire bene».
Le mancava solo una donna.
«M’innamorai di una ragazza bionda, bel viso, bei seni. Purtroppo era atea e di sinistra, mi parlava della pillola del giorno dopo, mentre io volevo che si convertisse. Dopo tre mesi ci lasciammo. Nel 2005 andai a Medjugorje per ringraziare la Madonna d’avermi salvato. All’ora dell’apparizione, fu come se la creazione si fermasse. Un silenzio assoluto, irreale. Guardai il sole a occhio nudo. Caddi di nuovo in ginocchio. Tornato in Italia, a casa di una coppia di amici che era stata in pellegrinaggio con me, conobbi Teresa. Il 22 agosto 2008, dopo tre anni di fidanzamento, la sposai. Ora vorrei diventare padre».
Ma lei non è sieropositivo, scusi?
«Sì, ma c’è stato un altro miracolo: da quando mi sono convertito, la carica virale dell’Hiv è completamente azzerata. Sto benissimo. Quindi un figlio non correrebbe rischi. Purtroppo tarda ad arrivare».
Lei dice: «Sono guarito», dando implicitamente dei malati agli omosessuali. Ma sul sito per le Pari opportunità trovo scritto: «L’omofobia è una malattia dalla quale si può guarire». Quindi è chi ha paura dei gay a essere malato.
«Guarito in senso etimologico: mettere al riparo. Una guarigione spirituale. Potrei usare un altro verbo. Uso questo perché ci vogliono rubare anche le parole. Mai pensato che l’omosessualità sia una malattia».
E l’omofobia è una malattia?
«Secondo il Dsm, il manuale dei disordini mentali, perché si possa diagnosticare una fobia devono presentarsi almeno quattro dei seguenti sintomi: palpitazioni, tachicardia, sudorazione, tremori, dispnea, dolore al petto, nausea, disturbi addominali, sbandamento o svenimento, depersonalizzazione, paura d’impazzire o di morire, parestesie. Chi viene dipinto come omofobo prova quattro di questi sintomi mentre parla dei gay? Ma andiamo!».

Appena sarà approvata la legge sull’omofobia, la arresteranno.
«Perché il ministro per le Pari opportunità non promuove invece uno studio serio, scientifico, per inquadrare un fenomeno che desertifica l’anima? Forse perché ritiene l’omosessualità una condizione innata e immutabile? Eppure il gene dell’omosessualità non esiste, né mai potrà essere individuato. Altrimenti non si spiegherebbe come mai nei gemelli omozigoti, che condividono il 100 per cento dei geni, solo nel 52 per cento dei casi entrambi i fratelli siano omosessuali. Le Pari opportunità non contemplano la libertà di scelta?».
Presumo di sì.
«Ebbene nella classificazione delle malattie l’Organizzazione mondiale della sanità include il disturbo F66.1 e stabilisce che, qualora la preferenza sessuale eterosessuale, omosessuale o bisessuale sia causa di disordini psicologici, “l’individuo può cercare un trattamento per cambiarla”».
Come mai si parla tanto di omofobia? È una parola che sulla Treccani neppure compare. L’Ansa la usò per la prima volta, e una sola volta, nel 1984. L’anno scorso l’ha adoperata 816 volte.
«Si tratta di una precisa strategia dell’attivismo gay per arrivare a sanzionare la libertà di pensiero e di espressione. Un attacco alla Costituzione. Non vogliono che si parli di loro, se non per parlarne bene. Una tattica intimidatoria: se vuoi essere considerato una persona ragionevole, e non un soggetto fobico, cioè un malato, devi condividere l’ideologia omosessualista».
Perché i mass media darebbero un’immagine idilliaca dell’omosessualità?
«Perché i gay sono stati bravi ad arruffianarsi la comunicazione. Dopo secoli di persecuzioni, hanno capovolto a loro vantaggio gli stereotipi negativi. Certo, per invitare Lady Gaga al Gay pride di Roma quattro sfigati non devono essere. E poi conta molto il connubio col mondo della moda, che assicura alla comunità omosessuale una visibilità e un potere assai superiori alla sua consistenza numerica, stimata da Nicolosi non nel 10 per cento della popolazione mondiale, come vorrebbe uno dei miti più resistenti della cultura gay, ma nell’1-2 per cento al massimo».
Che cosa pensa delle affermazioni del professor Umberto Veronesi, secondo cui l’amore omosessuale «è più puro» di quello eterosessuale, «perché non ha secondi fini, è fine a se stesso, quindi è più autentico, più vero»?
«Penso che non sappia neppure di che cosa parla. Io li ho vissuti, i rapporti gay. Ora Veronesi mi dovrebbe spiegare che cosa c’è di puro nel Leather club Milano, sponsorizzato dall’Arcigay, dove si pratica sesso sadomasochistico, o nelle dark room dove s’intrattengono rapporti carnali col primo che capita, con l’aiuto di film porno, lubrificanti e falli di gomma. Il tutto registrato come attività culturale e con la tessera dell’Arcigay, che vale quale lasciapassare obbligatorio. O vogliamo parlare della discoteca Il diavolo dentro, che si definisce “il più grande sex club di Roma”? Anche lì entrano solo i tesserati Arcigay. Il secondo e terzo venerdì del mese vi si celebra l’orgia party. Non manca il glory hole, che è un buco praticato nel muro nel quale si inserisce il pene, consentendo allo sconosciuto che sta dall’altra parte di praticare una masturbazione o il sesso orale senza che i due partner entrino in contatto. È questo l’amore “più puro”? Le assicuro che non esiste un solo locale per gay dove non si favoriscano incontri al buio o non si faciliti la prostituzione. Veronesi dovrebbe chiedersi semmai perché lo Stato tolleri tutto ciò. Parlo per esperienza diretta: se le forze dell’ordine facessero irruzione in questi locali con le lampade di Wood, troverebbero ovunque tracce di sperma. Un mercato della carne mascherato dietro sedicenti associazioni culturali non profit e organizzazioni onlus. Che cosa trattiene le istituzioni dall’intervenire? La paura d’essere considerate omofobe? Il titolo IX del codice penale, quello dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, non vale per i circoli gay?».
Veronesi sostiene che «la specie umana si va evolvendo verso un “modello unico”» e «che, tra fecondazione artificiale e donazione, l’accoppiamento sessuale non è più l’unica via per procreare, finirà col privare del tutto l’atto sessuale del suo fine riproduttivo».
«Quando la scienza non si accompagna alla coscienza, si arriva al delirio di onnipotenza. Il professor Veronesi sta offendendo la natura, oltreché milioni di eterosessuali e di genitori. Si limiti a fare l’oncologo, va’, che è meglio per tutti».

Anche all’Onu, nell’Unione europea e in vari Parlamenti nazionali sta passando l’ideologia del gender.
«Vogliono equiparare il modo di vita omosessuale, bisessuale e transessuale a quello fra uomo e donna. In Spagna, da quando il premier José Luis Zapatero ha legalizzato le nozze fra persone dello stesso sesso, nei certificati di nascita si legge “progenitore A” e “progenitore B”. Nel Massachusetts sui certificati di matrimonio, anziché “marito” e “moglie”, scrivono “parte A” e “parte B”. Siamo al social engeenering, alla creazione per legge di un individuo nuovo, sessualmente variabile. Al Gruppo Lot arrivano genitori di ragazze diciottenni che vogliono farsi asportare i seni a spese del Servizio sanitario nazionale; glieli tagliano in due minuti, altro che Hitler, e mamma e papà non possono farci nulla perché le figlie sono maggiorenni. Ma i geni non si cancellano. Ho conosciuto transessuali dissociati, come Perry, perché conservano la memoria genetica del pene asportato. Non sanno più chi sono».
Ma se l’omosessualità si rintraccia persino fra gli insetti, gli uccelli e i mammiferi, come si può spiegarla con fattori ambientali o comportamentali?
«Non esiste alcuna prova scientifica che un individuo nasca omosessuale. Inoltre penso che le persone possano considerarsi un gradino più su delle pecore, o no? Gli animali seguono l’istinto, gli uomini la ragione. Le femmine dei criceti al primo parto spesso divorano i propri piccoli. Dovremmo tollerarlo anche nelle puerpere? Qualora l’omosessualità non fosse altro che un prodotto della natura, basterebbe a renderla desiderabile? La terapia affermativa gay propugna che la fonte del disagio risieda nella società che odia gli omosessuali. Così non è e io posso testimoniarlo. Il disagio lacerante era dentro di me, non fuori di me. Ero un gay convintissimo, effeminato, e oggi sono un’altra persona».
Resta il fatto che l’omosessualità è presente in natura anche fra esseri viventi che non manifestano alcun disagio, come gli orangutan e i delfini.
«La natura dà luogo a innumerevoli condizioni indotte biologicamente, dai disturbi ossessivo-compulsivi al diabete, ma nessuno li considera normali solo per il fatto che si producono in modo naturale. Se due omosessuali desiderano stare insieme, lo facciano. Ma perché una ristretta minoranza pretende di stravolgere i valori maschili e femminili e di snaturare la famiglia, che è l’architrave di qualsiasi consorzio umano?».
Che cosa pensa dei registri comunali per le coppie di fatto?
«Che ci sono i registri però mancano le coppie. A Padova, prima città d’Italia nel 2006 a riconoscerle su proposta dell’allora consigliere ds Alessandro Zan, presidente dell’Arcigay veneto, fino a oggi vi sono state 50 iscrizioni, ma solo una decina di coppie gay. Due all’anno».
Di quanti degli omosessuali che ha conosciuto direbbe che erano felici?
(Ci pensa). «Felici... Forse uno solo. Ma se il piacere fisico è la felicità, tanti. Per me la felicità è la gioia piena, non l’orgasmo».

Ha mai la paura o il sospetto di tornare a essere o di essere ancora gay?
«Sempre. È la spina nella carne. Però qui in spiaggia a Pescara mi guardo attorno e sento il Signore che mi dice: “Vai, vai, che sei guarito”».
(553. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

Postato da: giacabi a 21:32 | link | commenti
omosessualita

mercoledì, 29 giugno 2011

Luca era gay non è solo una canzone»
Postato il Thursday, 23 June @ 11:18:36 CEST di pietroelle


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Foglin 369, Maggio 2011

l'intervista di Riccardo Caniato

«Luca era gay…» non è soltanto una canzone. Incontro Luca Di Tolve, aria da ragazzo tranquillo, in barba ai suoi quarant’anni compiuti e alla professione di vigilantes nei musei. All’appuntamento non si presenta da solo; già, «adesso sta con lei!»: Teresa, Terry per gli amici – poche parole, sguardo profondo e un sorriso smagliante – è sua moglie dal 2008; e con lui condivide non solo la casa ma anche la missione, attraverso il Gruppo Lot, l’associazione che Di Tolve ha fondato per aiutare altre persone che soffrono per le problematiche legate all’identità di genere. «Esattamente come me, in un recente passato»: Luca, infatti, omosessuale per oltre vent’anni, dalle medie fino agli albori del nuovo millennio, in questo lungo lasso di tempo, non ha trovato realizzazione. «Ero omosessuale e profondamente infelice; ora, grazie a Dio e a Terry, non più».

Un autentico outing all’inverso il suo, tradotto anche in volume – Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso (Piemme, e 15) –: un diario che ha l’impatto del romanzo, perché la parabola esistenziale del protagonista è una vicenda da «duri di stomaco», come ha sottolineato Cesare Cavalleri su Avvenire, per la drammaticità del vissuto domestico da bambino, e la successiva disperata, se non tragica ricerca d’amore, in un turbinio di passioni e di luoghi torbidi che si sono rivelati sbagliati, alla luce, prima della malattia – Luca è sieropositivo e i medici gli avevano dato poche speranze – della psicologia poi, e, infine, della conversione…


Luca, perché, nell’era della privacy, hai scritto un libro che rende pubblici i tuoi segreti e pensieri più reconditi?
Perché la comunità omosessuale è oggi sbandierata sui media come un’oasi felice, una società allegra, di superiore civiltà e comprensione umana.

E invece?
Invece anche qui, dietro al sipario delle feste, dell’allegria nottambula e svagata, ci sono persone con il proprio dramma di vivere e che, nella maggioranza dei casi, non sanno a chi rivolgersi, nel momento della crisi, quando si prende coscienza del proprio fallimento esistenziale. Ho reso pubblica la mia storia sperando di dare un aiuto a quanti, e sono tanti, nella penombra della comunità gay nascondono ferite e dipendenze a livello emotivo, relazionale e di identità sessuale, a seguito di abusi e di violenze…

Gli stessi abusi di cui, dal libro, ho appreso che tu porti ancora i segni…
Io ho patito più per le pressioni psicologiche che a livello fisico.

Alludi alla separazione dei tuoi e alla totale assenza di tuo padre che ne è seguita?
Quest’ultimo è uno fra i più diffusi elementi scatenanti l’omosessualità.

Che cosa è successo ai tuoi?
Si sono sposati giovanissimi, senza conoscersi a fondo. «Erano venuti al Nord», parafrasando un film recente, in cerca di autonomia e di fortuna, trovando momentaneamente comprensione e appoggio reciproci. Ma non poteva durare.

Mi spieghi perché riconduci la tua omosessualità a questa situazione?
Mamma è rimasta incinta a diciotto anni, era impreparata e avrebbe voluto almeno una bambina, qualcuno di più simile e comprensibile a lei; invece, eccomi qui. Dopo che papà la lasciò io mi trovai completamente avvinto in un mondo al femminile: nell’appartamento accanto al nostro viveva una vedova con le sue tre figlie, che mi passavano i vestiti e mi facevano giocare con le bambole e guardare le soap in tv. E anche a scuola non andò meglio.

In che senso?
Fino alle medie ebbi insegnanti donne, pronte ad assecondare le ansie di mamma, considerandomi a loro volta un bambino molto sfortunato, cagionevole e da proteggere. Così mi vietavano di giocare a calcio o prendevano arbitrariamente le mie parti, impedendomi un confronto di crescita e di amicizia con gli altri maschi. Il risultato fu che solidarizzai con le bambine, escludendomi o facendomi escludere dalla cerchia dei miei pari, che non tardarono a sfottermi e a darmi della «Femminuccia».

Mi stai dicendo che sulla scelta omosessuale ha inciso il contesto ambientale?
Negli anni mi hanno visitato parecchi medici e sottoposto a ogni sorta di esami e di analisi scientifiche, ma il gene dell’omosessualità, a oggi, non me lo hanno riscontrato.

Quando ti sei sentito gay?
Ero affascinato dai compagni dai compagni più brillanti e sportivi, avrei voluto emularli ed essere come loro; e, fin qui, in un’ottica comune a tanti altri miei coetanei di allora nei confronti di chi si sente più «figo» e spigliato; ma non avendo con me un padre, un insegnate uomo o un’altra figura adulta maschile che mi aiutasse a comprendere quanto fossero giuste queste aspirazioni e ad approfondire la mia autentica identità, ho finito per desiderare di conquistare in altro modo quella mascolinità che sentivo mia e al tempo stesso mi era preclusa: fu così che mi innamorai del mio compagno di banco e lo sedussi.

E facesti centro?
Assolutamente no; e lui, che vedeva in me un amico particolarmente attento e servizievole, molto presto rimase attratto dalle ragazzine... Ma gli psicologi, contattati da mia madre perché mi confermassero nell’autostima e nel mio carattere maschile, diagnosticarono, invece, senza appello, a tredici anni, che ero gay; e nella pienezza di facoltà che può avere un adolescente decisi che, stando così le cose, avrei dovuto andare a fondo, per dare senso pieno alla mia vita.

Che accadde poi?
In opposizione a mia madre e al suo nuovo compagno, sciogliendomi totalmente dai legami affettivi e dai doveri familiari, sono entrato nel giro gay, buttandomi a capofitto nella movida colorata, spesso sfrenata, dei locali notturni, dove la vita si accende la notte e fino all’alba.

Si direbbe che ti sia fatto notare.
Sì, credo di essere piuttosto simpatico, gentile e affidabile.

E pure «togo», se si considerano i premi che hai vinto.
Alludi al primo concorso di Mister Gay? È un ricordo lontano, ma mi favorì nel lavoro – sono stato il primo a sfruttare in Italia le potenzialità del turismo specializzato per omosessuali – e mi aprì le porte del mondo dello spettacolo, della tv e della moda.

Ambienti da cui in seguito hai preso le distanze…
Sono realtà che blandiscono gli omosessuali, per sfruttarne le trasgressioni, gli eccessi, la creatività e la disponibilità di tempo che chi ha famiglia non può dare. Realtà pronte a voltarti le spalle se non gli servi più.

Sembri avvelenato.
Solo obiettivo. Ho visto attorno a me tanti gay e trans amati e osannati ritrovarsi improvvisamente soli e morire nell’abbandono più totale quando l’Aids ha colpito.

Parlaci della malattia e dello sconvolgimento che ha generato.
Sono sieropositivo all’HIV, ma grazie ai nuovi farmaci sono sopravvissuto. L’Aids è stato un momento di svolta. Faccia a faccia con la morte ho fatto dei bilanci e mi sono accorto che affogare la vita nel sesso, nelle feste, nei rapporti occasionali non era la via per la mia realizzazione. Per anni ho cercato il mio Principe Azzurro, ma passando di letto in letto, ho preso atto che né io né gli altri attorno a me eravamo in grado di costruire relazioni autentiche e stabili.

Nel volume accenni alla sessualità come a una sorta di condanna…
L’omosessuale come ogni altra persona desidera l’amore vero, quello che si esprime nella fedeltà che dura nel tempo; non trovandolo, è portato a cercare altrove, ma continuando a non trovarlo, e soffrendo tremendamente per questo, affoga nelle feste e nel sesso la sua desolazione interiore, cercando di sovvenire almeno agli impulsi del corpo.

Se è per questo, oggi, neppure gli eterosessuali offrono esempi emblematici di fedeltà.
Purtroppo la nostra società è gravemente in crisi, perché ha messo in discussione la famiglia che costituisce il suo nucleo originario; ma nel mondo omosessuale, per quanto ne ho avuto esperienza, l’infedeltà riguarda la stragrande maggioranza delle persone: due gay o due lesbiche possono vivere insieme per valutazioni economiche o per altre ragioni di convenienza, ma questo «stare insieme» non preclude dall’avere rapporti occasionali e continui con altri partner.

Questo tuo ricondurre l’omosessualità alla sfera sessuale non è un po’ troppo severa e riduttiva? Ci riferiamo a un mondo comunemente dipinto per la sensibilità artistica, la raffinatezza culturale…
Se ti colleghi al sito della più importante associazione di omosessuali troverai i link di una miriade di centri culturali; ma proseguendo nell’indagine, cliccando su alcuni di questi indirizzi Internet, scoprirai che in questi luoghi, molti dei quali vietati ai minori, è il sesso l’attività portante. Ma con questo non voglio limitare la sensibilità o le potenzialità di chi partecipa di questo mondo; sottolineo solamente il dato in sé, come sintomo di un percorso esistenziale che non ha ancora trovato un equilibrio psicofisico.

Che cosa hai fatto tu, quando ti sei accorto che quella vita non ti rendeva felice?
Ho cercato altrove, tenacemente, ne andava di me stesso…; e ho trovato aiuto nella psicologia, in particolare nelle tesi dello psicologo americano Joseph Nicolosi, e poi, finalmente in Dio…

Ma Nicolosi è spesso criticato
C’è perfino chi mette in dubbio la valenza scientifica della sua terapia e di altri studi serissimi – come quelli di van den Aardweg, giusto per fare solo un altro nome di peso –, perché oggi si cerca di parificare le unioni omosessuali alle famiglie e non è conveniente mostrare storie come la mia. Eppure io sono una prova vivente sul valore di questi studi e con me ci sono persone di tutto il mondo, di cui molte anche felicemente sposate da anni e con prole, che devono a Nicolosi la propria realizzazione.

Dunque Nicolosi è il tuo salvatore?
Nicolosi ha dimostrato, a partire da me stesso, che uscire dall’omosessualità si può, aiutandomi a scavare in profondità nel mio io e a rivoltare il mio vissuto, fino a trovare il bandolo della matassa; ma la salvezza viene da Dio. E la fede la devo alla Madonna, che, per grazia, a Medjugorje mi ha preso per mano, facendomi vivere un’esperienza che non esito a definire straordinaria…

Se è per questo, quando parli della conversione, accenni anche ad altri fatti a dir poco incredibili…
Se ti riferisci all’«incontro» con padre Pio durante la confessione, il primo a essere rimasto sorpreso sono io: non mi accostavo ai sacramenti dalla Cresima, per anni ho vissuto come se Dio non esistesse, ma appena sono ricorso a lui non si è fatto attendere e in alcune circostanze mi ha dato prova tangibile che c’è e ci ama.

«Tangibile», nel tuo caso, è il termine giusto; ma a me non sono mai capitate esperienze di natura soprannaturale come quelle di cui tu riferisci nel volume…
Mi si creda o no, io sento il dovere di testimoniare ciò che è stato, in rispetto della verità e per riconoscenza.

Morale: la tua vita è cambiata.
Mi sono riappropriato della mia identità di genere fino a nutrire attrazione fisica solo per le donne; e quando ho visto Teresa è stato colpo di fulmine. Ci siamo sposati il 22 agosto, nel giorno di Maria Regina (ma non lo sapevamo), dopo due anni di fidanzamento. Siamo nel 2011: non sono mai stato fedele per tanto tempo a una stessa persona.

Come l’hanno presa i compagni di un tempo?
Gli amici che hanno a cuore la mia felicità bene; gli altri mi hanno bollato come traditore, una sorta di apostata…

…naturalmente omofobo.
Non so che cosa sia la vera omofobia: io vivo ogni giorno sulla mia pelle la discriminazione per aver riconosciuto, da omosessuale, la mia ego distonia e avere tentato un’altra strada. C’è chi mi attacca per odio ideologico e mi calunnia; ma tu non sai quanta gente, perfino psicologi e gente di Chiesa, incontrandomi, mostra imbarazzo nei miei confronti, perché appartengo a una categoria non contemplata dal politically correct. È bene ribadirlo: sono tantissime le persone che vivono con disagio l’omosessualità e non sanno con chi confidarsi e a chi chiedere aiuto; ed è per loro, oltre che per riconoscenza a Dio che mi ha rialzato e mi ha fatto incontrare Terry, che sento il dovere di dare testimonianza.

Tu ora riconduci coerentemente la tua visione delle cose a un ordine divino, ma gli altri che non credono?
Oggi, da credente, riconosco che la vita e tutto quanto la serve è iscritta nella creazione; e che non riconoscere la creazione, e il fine a cui tende, dà dispiacere a Dio, che l’ha realizzata come espressione di un amore incontenibile, ponendo l’uomo al centro di tutte le sue attenzioni. Ma per riconoscere l’ordine che c’è nella natura e nelle cose si può anche non scomodare la religione; è sufficiente la biologia per comprendere il completamento che si realizza fra generi diversi: solo un uomo e una donna sono capaci di una relazione portatrice di amore reciproco e di novità al punto di poter generare una nuova vita. E basta un po’ di amore per la libertà, come suggerisce anche l’Organizzazione mondiale della sanità, perché una persona che vive l’omosessualità non più in sintonia con sé stessa, possa cambiare nel pieno rispetto da parte di tutti.



Nota: Leggi anche:

«Ero gay: i preti mi hanno guarito»

Per saperne di più:

Omosessualità

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omosessualita

domenica, 20 marzo 2011

«Sono Luca, ero gay, ne sono veramente uscito e sono veramente discriminato»

Mica tutti i “coming out” sono graditi. Sulla pubblica confessione del 39enne Luca di Tolve (a cui pare si sia ispirata la canzone di Povia, durante Sanremo 2009 e vincitrice del “Premio Mogol”) di essere tornato eterosessuale, si è scatenato un finimondo, a confermare la violenza culturale che la lobby omosessuale ha creato. Coronato Mister Gay nel 1990, manager di successo, andava alle feste di Versace, era ospite a bordo dello yacht di Puff Daddy, organizzava crociere animate da drag queen e transessuali, versione omosex della Nave dell’amore. Guadagnava bene, viveva nel centro di Milano, girava con l’autista ed era anche un noto dirigente dell’Arcigay. Il Giornale aggiunge che fino ai 27 anni Luca viveva di «festini», di rapporti occasionali, consumati anche all’aperto, o come si dice in gergo di «cruising». Party notturni, alcol, sesso facile e promiscuo. Poi è arrivata la malattia, la sieropositività al virus Hiv, che ha fatto strage di omosessuali (Il Centers Disease Control ha mostrato che le diagnosi di HIV tra gli omosessuali attivi negli Stati Uniti sono 44 volte superiori a quelle degli altri uomini, Ultimissima 18/10/10).
SCOPRE LA TERAPIA DELLO PSICOLOGO NICOLOSI. Questo fatto drammatico lo porta a riflettere: «Si, credevo di essere io lo sfortunato che non trovava l’anima gemella. Poi mi sono reso conto che attorno a me tutto era impostato in modo frivolo, superficiale, che ero circondato da infelici, molti dei quali ossessionati dalla pornografia e dal sesso. E poi la morte: l’ho vista consumarsi negli amici attorno a me e alla fine ho dovuto farci i conti anch’io dopo aver scoperto di essere sieropositivo. Altro che gaiezza tra gli omosessuali – dice ricordando gli anni della trasgressione -. Dopo quelle nottate estreme, tra cocaina e popper, torni a casa con un carico emozionale enorme ma con un senso di solitudine infinito. E oggi pago con la mia salute il peso enorme di quei comportamenti». Dopo un ennesimo festino, «un amico stava preparando un esame di psicologia e ha dimenticato un mucchio di appunti sulla scrivania della mia stanza. Ho cominciato a leggere e ho scoperto della terapia riparativa dello psicologo Joseph Nicolosi. Gli appunti lasciati quella sera da un amico parlavano delle teorie di Nicolosi, del fatto che le pulsioni nei confronti dell’altro sesso spariscono se smetti di idolatrare gli uomini perché tu non riesci ad essere come loro, che l’omosessualità può nascere da un senso di rivalsa di un bimbo che vorrebbe avere più attenzioni da un padre assente».
CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO. Così Luca si presenta alla libreria Babele di Milano, specializzata nelle tematiche gay: «Sono entrato in libreria ma il libro di Nicolosi non l’ho trovato. E lì ho capito che c’era una realtà che il mio mondo omosessuale cercava di tenere nascosta». Si incuriosisce e si indispone anche di fronte a queste teorie («insisto, ero un gay convinto, non è stato facile mettermi in discussione»), fino a che non decide di provare la terapia riparativa. Da quel momento l’inzio di una vita nuova e lentamente la ricostruzione di un’identità maschile ferita, negata, ma non scomparsa del tutto. Arriva anche la conversione al cattolicesimo a Medjugorje. Nel misterioso paesino jugoslavo, Luca incontra Teresa, che dal 2008 è sua moglie, «il dono più bello che la Madonna abbia voluto concedermi».
PERSEGUITATO DALL’ARCIGAY. Ma l’Aricgay non ci sta e ha avviato da due anni una campagna diffamatoria contro di lui. Tant’è vero che lo stesso Luca si è chiesto: «Perché se uno da etero passa a gay viene salutato come un eroe e se un omosessuale compie il percorso inverso viene tacciato di falsità e ipocrisia?» Anzi, «da quando ho dichiarato di aver chiuso con l’omosessualità mi sono trovato tutti contro. L’Arcigay e le altre associazioni di categoria mi guardano come a un rinnegato; gli opinion leaders che ne sostengono la causa mi ritengono un pericoloso grimaldello nelle mani degli atavici sostenitori della vecchia cultura retrograda e omofoba. Ho ricevuto minacce di morte, mi hanno denigrato pubblicamente giornalisti che non ho mai incontrato…». Minacce di morte, come quelle arrivate alla giornalista del Dailymail, Melanie Phillips, rea di aver avanzato una riflessione sull’iniziativa della lobby di aver inserito la cultura omosessuale in ogni materia scolastica affrontata nelle scuole inglesi (cfr. Ultimissima 4/3/11). Si difende dalle accuse: «Sono una persona in grado di intendere e di volere come lo ero quando ero un gay. La vera violenza è dire che è impossibile uscire dall’omosessualità. Basta con questa accusa di omofobia. Chi discrimina è chi pensa che gay si nasce. Non esiste certo un gene. La mia scelta ha richiesto coraggio, anche perché non ho dovuto lottare solamente contro le mie abitudini, praticare l’astinenza per un periodo, ma ho dovuto rinunciare anche ai privilegi di una società in cui essere gay è trendy, ti serve a trovare un lavoro più facilmente e a fare soldi più in fretta».
CHIEDE LA LIBERTA’ DI SCELTA. In questo clima oscurantista, a Luca non rimane che invocare la libertà di scelta, in un appello alla reciprocità che però non potrà mai essere preso in considerazione. Cadrebbe altrimenti «il dogma degli “omosessualisti” militanti», che suona «omosessuali si nasce e si rimane» e, per controbattere la definizione di “malati” riferita a chi prova tendenze omosessuali, postula una condizione nativa e genetica, quasi a creare un terzo sesso. Tutte distinzioni artificiose che -leggiamo in un articolo su Libero- ormai godono di una certa ufficialità anche nei consessi internazionali, dopo essere state accolte da qualche anno nel vocabolario politicamente ipercorretto delle Nazioni Unite. Al Palazzo di vetro di New York non si può più nemmeno parlare di due soli sessi, il maschile e il femminile, se non vi si aggiungono cinque generi, racchiusi nella sigla LGBTQ, che sta per lesbica, gay, bisessuale, transgender e queer. L’ultimo, il meno noto, coincide con l’identità di genere di chi cambia orientamento a seconda del desiderio del momento. Siccome si tende a riconoscere diritti a chiunque, si finisce per scambiare per una discriminazione la libertà di tornare all’eterosessualità abbandonando una delle altre categorie. Per questo Di Tolve lamenta che «il ministro della Salute e il ministro delle Pari Opportunità non sprecano una parola in questa direzione». Anzi, spendono il denaro pubblico per campagne di sensibilizzazione dalle quali sono esclusi i veri emarginati, gli omosessuali non gay, cioè coloro che non inalberano il vessillo arcobaleno per le loro rivendicazioni politiche.
NUOVO LIBRO IN USCITA. Luca ha fondato la onlus Lot, «per spronare i ragazzi dubbiosi a essere maschi fino in fondo». E spiega: «Odio gli omofobici, ma non sopporto nemmeno il messianesimo dell’Arcigay. Per loro l’omosessualità è quasi una conquista. Invece è una tendenza che si sviluppa a causa di traumi subiti durante l’età della crescita. Chi nasce maschio deve fare cose da maschio. Deve seguire la sua natura. I veri maschi entrano in una comunione profonda tra di loro, senza per questo avere rapporti sessuali. È l’amicizia virile che unisce. Io invece avevo solo legami superficiali, la passione erotica mi abbagliava, pensavo fosse quello il cameratismo che cercavo. Credevo che quella fosse la mia condizione, irreversibile. Ero un egocentrico, palestrato, schiavo dei locali notturni, ossessionato dai soldi, convinto di provare attrazione unicamente per i maschi e finito nel vortice del sesso compulsivo» (cfr. Adnkronos). E’ esplosa anche l’idea di scrivere un’autobiografia e la convinzione che come lui molti potrebbero «riscoprire la loro parte maschile, ma soprattutto smetterla di soffrire». In questi giorni è infatti uscito: “Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso” (Piemme 2011).
In questi video (girati in uno studio abbastanza improponibile e in un contesto eccessivamente mellifluo e denso di sacerdoti, come putroppo la maggioranza delle trasmissioni televisive cattoliche) Luca racconta la sua testimonianza. Ospite anche la psicologa Elena Spada, terapista della riabilitazione cognitiva ed esperta di disturbi specifici dell’apprendimento.
Se volete ascoltare solo la testimonianza di
Luca potete, nei primi  tre filmati, saltare la parte del dibattito  muovendo il cursore in avanti

Postato da: giacabi a 12:54 | link | commenti
omosessualita

domenica, 30 maggio 2010


di Marco Invernizzi

da: www.tempi.it
Accolto a Brescia dalle critiche dei colleghi e dagli insulti dei militanti, lo psicologo Nicolosi rivendica la scientificità e la bontà della “terapia riparativa”. «Aiuto persone che si sentono infelici e desiderano rimuovere la causa del loro disagio»

È stato accolto in Italia come uno psicologo rinnegato che vuole “curare” i gay e farli diventare “normali” a tutti i costi. Hanno cominciato i giornali locali e nazionali, poi si sono messi in mezzo i suoi colleghi italiani, l’Ordine della Lombardia, quello del Lazio e altri. Tutti a decretare che Joseph Nicolosi è fuori dalla “loro” comunità scientifica e offende la “loro” professione perché, praticando la “terapia riparativa”, impedisce agli omosessuali di vivere liberamente la loro condizione. E a furia di veleni e menzogne, Nicolosi è diventato il mostro da tenere a bada coi forconi. Per adesso, fortunatamente, si sono fermati alla vernice rossa con cui nella notte fra il 19 e il 20 maggio sono stati imbrattati il portone e i muri attigui alla sede del Sindacato delle famiglie e del Forum delle associazioni familiari, a Milano, con scritte contro la presenza del “fascista” che nei giorni successivi avrebbe parlato a Brescia.
Ma chi è Joseph Nicolosi? E cos’è la terapia riparativa? Perché suscita tanta ostilità? Tempi ha provato a chiederlo direttamente a lui, approfittando del suo passaggio in Lombardia in occasione del convegno sull’omosessualità rivolto a educatori, genitori, psicoterapeuti, dove è stato presentato il suo ultimo libro tradotto in italiano, Identità di genere. Manuale di orientamento (Sugarco, 448 pagine, 25 euro).
Americano nato nel 1947, Nicolosi vive ed esercita la terapia riparativa nella sua clinica, la Thomas Aquinas Psychological Clinic, a Encino, California, dove dirige l’Associazione nazionale per la ricerca e la terapia dell’omosessualità (Narth), della quale esiste un piccolo nucleo anche in Italia. È membro dell’American Psychological Association e autore di numerosi libri e articoli scientifici, alcuni dei quali pubblicati anche nella nostra lingua. In un’epoca in cui è vietato considerare l’omosessualità una malattia, non poteva che nascere una leggenda nera intorno alla sua figura e alla sua terapia. Il 30 per cento dei clienti di Nicolosi, infatti, ha abbandonato definitivamente l’omosessualità.

Dottor Nicolosi, omosessuali si nasce?
Non esiste una prova conclusiva che le persone nascano omosessuali, non ci sono dimostrazioni decisive a livello genetico, biologico o di studi sul Dna. Molte persone credono di avere scoperto il “gene gay”, ma questo non è affatto vero. Potrebbe esserci una qualche predisposizione biologica, ma anche se ci fosse, non sarebbe determinante: i bambini nati con questa predisposizione temperamentale hanno comunque bisogno della classica “costellazione familiare” per trasformarla in un orientamento omosessuale. Questa “costellazione familiare” ha uno schema classico, ripetutamente documentato nel corso degli anni: una madre eccessivamente presente, invadente, dominante, e un padre distante, distaccato e/o ostile.

Circa 25 anni fa, dopo una lunga attività diciamo ordinaria, come tutti gli psicologi lei “scopre” il dramma esistenziale di molti “omosessuali non gay”, che cioè non accettano la propria condizione. Così nasce e si articola la terapia che lei chiama “riparativa”. Di cosa si tratta?
La terapia riparativa deve prendere le mosse dalla motivazione al cambiamento da parte del cliente. È lui che desidera risolvere qualcosa nella sua vita che gli causa disagio. Sogna un giorno di sposarsi e avere una famiglia; probabilmente si è dedicato a pratiche o ha assunto comportamenti omosessuali che ha trovato insoddisfacenti; ha vissuto per un po’ nella subcultura gay e ne è stato deluso e sta ora cercando di ridurre qualcosa che trova insoddisfacente, che gli crea infelicità, e desidera aumentare il suo potenziale eterosessuale. Quando il cliente è motivato comincia a comprendere come alcuni eventi della sua infanzia hanno posto le fondamenta per un adattamento omosessuale. Di solito comincia a riconoscere che la sua storia personale si inquadra nella classica triade familiare prima descritta; può darsi che identifichi momenti particolarmente traumatici, momenti di intensa vergogna riguardo la propria autostima, la propria identità di maschio, la formazione della propria identità di genere come maschio. Questi momenti allora diventano il punto focale della terapia. Si tratta di sciogliere i traumi del passato. Un altro fattore importante nella terapia è lo sviluppo di amicizie maschili significative. Il cliente comincia a rendersi conto che ciò che sta dietro la sua attrazione per lo stesso sesso in realtà non ha affatto carattere sessuale, ma è un desiderio di quelle che chiamiamo le tre A: attenzione, affetto, approvazione. Questi sono bisogni affettivi, bisogni di identificazione, e man mano che essi vengono soddisfatti attraverso amicizie profonde, in molti casi il cliente scopre che le sue tendenze omosessuali diminuiscono.

La teoria riparativa è efficace? Secondo i suoi critici sarebbe dannosa…
La terapia è efficace. Faccio questo lavoro da 25 anni e vediamo regolarmente che le persone cambiano. Questo non vuol dire che il cambiamento sia istantaneo o facile. È una terapia molto difficile e lunga, ma ovviamente ogni individuo può decidere quanto vuole restare in terapia, quanto vuole proseguire. Ognuno è libero di sceglierne l’estensione, ma in media la terapia dura due anni, a conclusione dei quali i sentimenti omosessuali residuali del cliente non sono più fonte di disagio per lui, non sono più compulsivi, ma vengono gestiti e congedati consentendo di rifocalizzare l’attenzione sulla propria vita eterosessuale. Per quanto riguarda i possibili danni, il dato di fatto è che non è mai stato sottoposto alla nostra attenzione un solo caso di danno derivante da essa. Come per ogni altro tipo di terapia, procedere rispettando sempre i desideri e i sentimenti del cliente è la garanzia contro il danno. Il cliente non viene mai forzato o spinto a fare o credere qualcosa che non sia vero per lui. Quindi i princìpi di ogni buona terapia, indipendentemente da quale sia il problema, valgono anche per la terapia riparativa.

In Italia il termine “riparativo” accostato al concetto di omosessualità suscita reazioni negative.
Sono stato io a coniare l’espressione “terapia riparativa”. Il concetto di riparativo è di origine psicoanalitica. Esso spiega che il sintomo, di qualsiasi sintomo si tratti, è in realtà un desiderio di autoguarigione. Quindi diciamo “terapia riparativa” perché il cliente prende coscienza che i suoi sentimenti omosessuali, il suo comportamento omosessuale sono in realtà un tentativo di “riparare se stesso”. Egli sta cercando di acquisire qualcosa che manca nel suo passato, cioè la relazione affettiva con altri uomini. Quindi il concetto che l’omosessualità è un impulso riparativo è in realtà confortante e consolante per il cliente, perché comprende che il suo comportamento non dice: “Sei un pervertito, sei uno strano, una persona malata”, ma dice invece: “Il tuo desiderio omosessuale affonda in realtà le sue radici in un desiderio naturale”. Quindi questo è molto confortante per il cliente. Tuttavia i miei critici vogliono intendere la parola “riparare” nel suo aspetto superficiale. Per quanto spesso io chiarisca il termine “riparativo”, ci sono sempre persone che continuano a fraintenderlo di proposito.

Dottor Nicolosi, i suoi critici e alcuni suoi colleghi dicono che lei è al di fuori della comunità scientifica internazionale, che l’American Psychological Association le ha proibito di esercitare la professione.
È falso. Sono membro dell’Apa da più di dieci anni, continuo a esserlo, nessuno mi ha proibito di esercitare la professione. Sono anche membro della Psychoanalytic Division dell’Apa. Credo che noi siamo nel regno della scienza, mentre molte altre associazioni di professionisti sono state trascinate da gruppi rappresentanti interessi particolari fuori dalla scienza e dentro la politica. Se stessimo facendo qualcosa di sbagliato, sarebbe l’Apa ad attivarsi contro di noi. Invece siamo noi a incalzare l’Apa, sfidandola ad essere più scientifica.

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mercoledì, 25 febbraio 2009

Questo è il Luca raccontato nella canzone:
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grazie al grande amico:

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sabato, 24 gennaio 2009

Luca era gay
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Il padre assente, il primo innamoramento, l’Arcigay e il business delle crociere. Poi l’Aids, il buio, le mele buddiste e l’icona della Madonna. Ad agosto si è sposato. Con Teresa
di Emanuele Boffi

A tredici anni Luca si innamorò del suo compagno di banco. L’estate scorsa Luca si è sposato con Teresa, una bella ragazza, che quando dice qualcosa di importante ha il vezzo femminile di guardare all’insù. Luca è “quel” Luca, quello della canzone di Povia, quello del brano che il cantante dei bambini che fanno ooh porterà al prossimo festival di Sanremo. Il titolo è già di per sé assai significativo: “Luca era gay”. È bastato il verbo coniugato all’imperfetto per mandare su tutte le furie l’Arcigay che ha preventivamente – senza conoscere né il testo né le note della canzone – attaccato il cantautore, accusandolo di giocare con la vita altrui: «è un omofobo». In un comunicato l’associazione ha reso noto che «il Luca della canzone potrebbe essere quel Luca Di Tolve che dichiara di esser un ex gay guarito grazie alle teorie riparative di Joseph Nicolosi, cattolico integralista americano, le cui tesi sono state ampiamente confutate dalla comunità scientifica mondiale. Se Bonolis e il suo direttore musicale intendono mandare in scena uno spottone clerical reazionario contro la dignità delle persone omosessuali, sappiano fin d’ora che la nostra reazione sarà durissima, rumorosa e organizzata».
Per ora, oltre alle numerose pagine di siti internet che denigrano Luca e la sua scelta, la “reazione” si è materializzata nella proclamazione di una manifestazione davanti a un centro parrocchiale in provincia di Brescia. «Sabato 24 gennaio – racconta Luca a Tempi – ci sarà un momento di preghiera all’interno di uno dei locali della parrocchia. è il primo incontro di una serie, cui partecipano solo persone che credono che la fede li possa aiutare a rifiorire da una situazione personale indesiderata. Ripeto: un momento di preghiera, cui aderiscono liberamente delle persone. Eppure ci tocca subire delle contestazioni. Ma di che tolleranza parla l’Arcigay se uno non può nemmeno essere libero di trovarsi con persone consenzienti a pregare?». Luca lo sa bene di essere diventato un simbolo, «un personaggio, mio malgrado. Ma io non cerco pubblicità. Quel che faccio, lo faccio perché ci credo. Ci rimetto dei soldi e del tempo, non ci guadagno nulla. A queste contestazioni sono abituato, ma mi rincresce per quei ragazzi che vogliono iniziare il percorso con noi. Arrivano spesso da vicende difficili e un’accoglienza del genere non può certo metterli a loro agio». Luca non conosceva Povia. «Ho scoperto anch’io il titolo della canzone dalle pagine dei giornali. Gli ho telefonato e mi ha detto che non sono io quel Luca, che lui vuole raccontare una storia e basta». Però nella comunità gay si sa che Luca è lui. Luca il tabù, Luca lo scandalo, Luca che si è sposato ad agosto con Teresa.

Nomadismo sentimentale
«
I miei genitori si separarono quando ero piccolo, mio padre se ne andò di casa. Rimasi da solo con mia madre, in un ambiente tutto femminile. Giocavo con le bambole, avevo mutato il tono della voce, mi sentivo molto rassicurato quando stavo con le donne e spaventato, anche se attratto, dalle figure maschili. Avevo tredici anni e nessun padre che mi spingesse a entrare nel “gruppo dei maschi” da cui, invece, venivo respinto perché avevo interessi diversi, perché non ero dei “loro”, perché non giocavo a pallone come tutti. Questo mondo che pure mi attraeva, al tempo stesso mi spaventava, mi lasciava ai margini, solo. A quell’età questa mia infelicità e, al contempo, la necessità, come tutti, d’affetto, si manifestò in pulsioni omosessuali. Così mi innamorai del mio compagno di banco, un tipo assai diverso da me, assai mascolino e virile. Sbaglia chi crede che “gay si nasce”, non è vero quel che è stato propagandato da certi manifesti. La mia esperienza è comune a tutti gli omosessuali che ho conosciuto. T’innamori di un maschio perché è quello che vorresti essere. Ecco perché gli omosessuali si travestono da poliziotti, da militari, da machi: perché è quello che vorrebbero inconsciamente diventare, ma non possono essere.
L’attrazione per il mio compagno non era corrisposta. Io stavo male, ero infelice, nascondevo i miei pensieri, non ne avevo fatto parola con nessuno. Finché i miei genitori mi portarono in un consultorio. Lì fu loro detto che ero gay, di non preoccuparsi, anzi di lasciarmi esprimere secondo la mia tendenza. Ecco il primo passo: se invece fossero stati aiutati a comprendere che il mio disagio nasceva dalla mancanza di una figura maschile di riferimento oggi, forse, saremmo qui a raccontare un’altra storia. Invece, e questo accade ancor con più frequenza oggi, di fronte all’omosessualità si ragiona secondo una falsa categoria di libertà che non aiuta ad affrontare il problema, ma lo rimuove, lo elimina, lasciandolo, di fatto, irrisolto. Mio padre e mia madre, due cattolici per tradizione, non praticanti, non accettarono il giudizio dei medici ma erano disorientati, non sapevano bene che fare, come comportarsi. Io quel giorno, che ero rimasto fuori dalla porta, ma avevo sentito cosa veniva detto loro, iniziai a incuriosirmi. Omosessualità, e che cos’è? Erano gli anni di film come Il vizietto, La patata bollente, anni in cui iniziava a manifestarsi una certa cultura gay. Ne ero sollevato: non sono solo, ci sono altri come me. Me ne andai di casa a diciotto anni ed entrai in un mondo colorato, affascinante, ricco di persone estroverse, simpatiche e disinvolte. Iniziai a frequentare un ragazzo con qualche anno più di me, a girare per discoteche e festini. Divenni ballerino in una discoteca per omosessuali. Le prime volte era bellissimo: gente accogliente e divertente sempre dedita al godimento della vita, allegra. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: questi locali sono dei veri e propri labirinti di sesso, dove ai piani superiori o inferiori puoi soddisfare tutte le tue più recondite perversioni. Gli omosessuali vivono un frenetico nomadismo sentimentale, non esistono relazioni stabili e vere. è comprensibile: l’omosessuale, come chiunque altro, cerca altro da sé. Se nell’altro trova solo qualcosa a sé simile, il rapporto non può che essere effimero e compulsivo. Ma dopo la consumazione, quel che rimane è solo una grande sensazione di vuoto, di insoddisfazione, di tristezza. Mi fanno sorridere le rivendicazioni di coloro che chiedono il matrimonio omosessuale: non può esistere stabilità e fedeltà nel mondo gay perché quel che cerchi non può resistere a lungo. Anche là dove è stato introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso, quanti effettivamente si sono sposati? E quante di queste relazioni sono durate? Pochissime, forse nessuna.

Le casse dell’associazione
I primi tempi ero molto contento di questa mia vita. Eppure,
la sera, quando rincasavo, sentivo come un’ombra di tristezza. Mi sentivo solo, mi mancava qualcosa di vero. E quando guardavo negli occhi i miei compagni vedevo la stessa ombra. Però nessuno lo ammetteva, nessuno lo diceva. Riconoscerlo è uno strappo doloroso. Significa ammettere che il bene che professi è solo complicità, che la cultura che sostieni è basata solo sulla superficialità e il piacere. Non si può avere una relazione con qualcun altro, se non si sa chi si è.
Il sesso è il motore di tutto. Anche dei soldi, ovvio. Negli anni Novanta andavo spesso a Miami: facevo il ballerino nelle discoteche più in, ma ero un po’ stanco di quella vita. Avevo studiato da accompagnatore turistico e pensai di far fruttare quelle mie conoscenze. Mi rivolsi all’Arcigay prospettando loro l’idea delle crociere per soli omosessuali. All’inizio la loro reazione mi stupì: mi dissero “ok, ma devi rimanere nell’ambito della politica di sinistra”. Politica? Sinceramente mi importava ben poco. Però avevo bisogno del logo dell’Arcigay per far funzionare gli affari. Alla fine capirono che il business fruttava bene e mi concessero il logo. Per anni ho versato quote consistenti dei miei guadagni all’associazione. E quando dico consistenti, intendo proprio “consistenti”. Ero anche diventato membro dell’Iglta (International gay & lesbian travel association) e frequentavo negli Stati Uniti i loro corsi di marketing. Vi si spiega che “più sesso regali, più fai soldi”. Per cui si consiglia di organizzare gli spazi con le docce in comune e di lasciare sempre degli ambienti con zone oscure in cui sia più facile appartarsi.
La cosa funzionava. La mia Malu group (avevo sullo stemma un delfino e delle palme) andava alla grande. Ero un convinto sostenitore dell’associazione ed ero tra coloro che più si erano spesi – la vicenda mi portò una certa notorietà – per organizzare il Gay Pride di Napoli.
Continuavo la mia vita dissipata tra i party della città, frequentavo persone importanti della Milano bene, avevo contatti nel mondo dell’alta moda. Eppure ero sempre più insoddisfatto. Se il sesso è tutto, quando finisce quello, finisce tutto.

Gli amici morivano da soli
Arrivarono gli anni Novanta e arrivò l’Aids.
Vedevo gli amici morire, soprattutto vedevo quanto fossero fragili le relazioni fra noi. Quando uno si ammalava, il compagno fuggiva. Ne ha uccisi più la solitudine che il virus. Molti si rifugiarono nella droga, alcuni si suicidarono. Morì anche un mio amico, aveva solo ventisei anni. Mi feci controllare e risultai sieropositivo. Sono letteralmente impazzito. La malattia mi ha costretto a mollare tutto: l’appartamento in centro, il lavoro, i soldi. Eppure oggi dico che la mia malattia è stata la mia grazia, perché mi ha costretto a riportare a galla domande che il vagabondare di quegli anni avevano sopito ma non spento. Così ho cercato risposte nel buddismo e questa esperienza mi ha aiutato soprattutto a staccarmi da quel mondo tutto materiale in cui ero immerso. Un giorno, mentre ero nel tempio buddista assorto in preghiera, alzai gli occhi. Davanti a me stavano delle mele e una pergamena, perché è questo il loro modo di pregare. Fu un lampo, fu un pensiero e mi ritornarono in mente le immagini della Madonna che mia madre teneva in casa. Perché devo stare qui, inginocchiato davanti a delle mele, quando ho in me un’icona della Madonna?
Tornai a casa, ero depresso e mi chiedevo perché quel Dio che bestemmiavo non potesse benedirmi. Mi aggrappai al rosario, iniziando a recitare preghiere di cui non ricordavo nemmeno le parole. Era un periodo molto confuso, però ero convinto di aver trovato qualcosa in cui poter confidare. Non uscivo mai di casa, se non per andare a Messa. Mi confessai, incominciai a lavorare come commesso, io che fino a poco tempo prima impartivo ordini a due segretarie.

Va bene gay, ma mica sarai cattolico?
Un giorno trovai tra le carte di un amico degli appunti su un tale
Joseph Nicolosi, uno psicologo cattolico americano celebre per la sua teoria riparativa. In breve: è un percorso psicologico che aiuta a recuperare le relazioni maschili che sono andate perdute. All’inizio mi arrabbiai. È duro accettare la distruzione della propria identità, è difficile smontare la propria intimità. È arduo perdonare gli altri e se stessi. Però ero curioso, ero alla ricerca di una salvezza, anche immeritata. Per me, dopo anni che seguo questo percorso, è stata una grazia. L’aspetto più bello è stato scoprire che, man mano che instauravo rapporti di amicizia con degli uomini, le mie pulsioni omosessuali sparivano. Cioè, man mano che le mie relazioni diventavano vere, sincere, non superficiali, io imparavo a non sentirmi costantemente inferiore agli altri maschi. Ho imparato a non idealizzare gli altri uomini, ho imparato a sdrammatizzare (gli omosessuali non ne sono capaci). Ho ricominciato a dormire di notte, letteralmente. La prima volta che mi sono ritrovato a fare delle allusioni pesanti su una collega è stata per me una situazione incredibile, assurda, gioiosa. Ho chiesto appuntamento a una ragazza. Siamo usciti e lei ha subito messo in chiaro che era a favore della pillola abortiva. Io le ho detto delle mie esperienze omosessuali, ma questo non l’ha affatto sconvolta. Quando però ho aggiunto che ero cattolico, e quindi contrario alla pillola, mi ha mollato.

La schiavitù dei sorrisetti
Ma come? – dicevo nelle mie preghiere – dopo tutto il cammino che mi hai fatto fare, ora mi deludi così?
Durante un pellegrinaggio a Medjugorje conobbi Teresa. Diventammo amici. Mi divertivo con lei, mi piaceva, ci siamo fidanzati. Non sapevo come... insomma, alla fine gliel’ho detto. Quel che mi ha risposto dice tutto di lei: “Luca, quel che sei stato non è più. Importa quel che sei ora”. Dopo un anno di fidanzamento ci siamo sposati. Oggi siamo alla guida del Gruppo Lot: aiutiamo gli omosessuali a rifiorire. Non siamo psicologi, non è il nostro lavoro. Per quel che è stata la mia esperienza posso dire solo che il lavoro psicologico e questi gruppi di preghiera hanno avuto per me pari importanza. Ma sono due binari paralleli, possono non intersecarsi. Vivo in affitto, non ho più le belle automobili di un tempo, non mi interessa farmi pubblicità. Chiedo solo di poter affermare quello che credo. Io stesso ne sono la prova vivente. Il problema dell’omosessualità non riguarda il sesso, riguarda la propria umanità. Ero schiavo dei sorrisetti e delle mistificazioni. Oggi sono un uomo vero, un uomo libero».

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