Padre Pio sepolto fra simboli massonici
Cari amici, molti di voi avranno letto stamane questa intervista e ne avranno sentito parlare a Radio Maria nell'ambito della sempre grandiosa rassegna stampa dello strepitoso Padre Livio. La riporto qui sotto aggiungendovi questa piccola chicca: guardate il nome di questa loggia massonica inglese...
di Andrea Tornielli
Padre Pio da Pietrelcina, il santo stimmatizzato che nel 1913 si lamentava per quei «disgraziati fratelli» che «corrispondono all’amore di Gesù col buttarsi a braccia aperte nell’infame setta della massoneria», sarebbe stato traslato e sepolto in una chiesa zeppa di simbologie massoniche: il nuovo santuario di San Giovanni Rotondo progettato da Renzo Piano. L’accusa non è nuova, già nel 2006 la rivista ultra-tradizionalista «Chiesa Viva» lanciò l’allarme con un polemico studio dell’ingegner Franco Adessa. Più cauto, ma ugualmente severo, anche il fascicolo «L’oltraggio a Padre Pio», pubblicato tre anni dopo da Angelo Maria Mischitelli, autore di vari libri storici sul santo del Gargano. Ora è destinato a far discutere il primo volume che tratta diffusamente l’argomento, Il mistero della Chiesa di San Pio (edizioni Settecolori, pp. 216, 15 euro), da oggi nelle librerie italiane.L’autore è Francesco Colafemmina, un giovane studioso, laureato in filologia classica, esperto di arte sacra e titolare del blog «Fides et Forma», tra i promotori di un appello a Benedetto XVI per il «ritorno ad un’arte sacra autenticamente cattolica». Colafemmina non è tradizionalista e dice di non condividere «l’approccio apocalittico» degli studi come quello di «Chiesa Viva», pur riconoscendogli il merito di «aver messo il dito su una piaga».
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Davvero il nuovo santuario di Padre Pio contiene simboli massonici?
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«Dalla mia analisi sembrerebbe proprio di sì. Ad ogni modo, credo che l’aspetto più interessante sia valutare l’effetto che la vista di quel santuario fa sui fedeli, dato che la mia ricerca è nata dopo una visita che ho fatto da semplice devoto del santo».
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E quale effetto fa, secondo lei?
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«Sicuramente molti fedeli rimangono sconcertati dall’assenza di chiari segni cristiani, a partire dalla forma stessa del santuario, che è un Nautilus, una conchiglia fossile…».
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Ma la conchiglia non è un simbolo cristiano?
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«La conchiglia di San Giacomo sì, ma il Nautilus no. Quest’ultimo però ha un significato pregnante per la massoneria, dato che simboleggia il percorso iniziatico e la perfezione del Gadu, cioè il Grande Architetto dell’Universo, la “divinità” massonica».
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Faccia qualche altro esempio di queste presunte simbologie massoniche.
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«Nell’arazzo dell’Apocalisse di Rauschenberg, la Gerusalemme celeste è già scesa in terra mentre su di essa incombe il Drago a sette teste, che appare vincitore, e da nessuna parte c’è Cristo vittorioso. Nel portale di Mimmo Paladino c’è un capretto con le gambe spezzate che potrebbe indicare l’iniziato che è entrato in loggia, e ha una stella a cinque punte. L’altare di Arnaldo Pomodoro ha la forma di piramide rovesciata e nell’alchimia la piramide rovesciata indica il luogo in cui è custodita la pietra filosofale. Mentre nella formella del tabernacolo Cristo ha le mani rivolte verso il basso. Un chiaro segnale massonico che in questo caso simboleggia il materialismo della Chiesa».
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Non potrebbe trattarsi di coincidenze?
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«Anche se così fosse, il problema resta. Non si ha la sensazione di entrare in una chiesa. E per di più quel santuario è diventato un modello per la nuova arte sacra, concentrata più sulla notorietà dell’architetto che sull’aderenza allo spirito della liturgia e al messaggio evangelico».
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Ma chi ha curato il progetto artistico e gli arredi sacri?
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«Secondo quanto riportato nelle memorie di padre Gerardo Saldutto, Renzo Piano sin dal 1991 si era prefissato di fare di quell’area di San Giovanni Rotondo “un luogo magico” e “una chiesa aperta”. A scegliere gli artisti è stato un suo collaboratore, Mario Codognato. Lo stesso Codognato che nella famosa mostra “Barock” al museo Madre di Napoli, ha fatto esporre la donna crocifissa di Cattelan».
Cattelan e la sua "donna crocifissa"
Eppure il Vaticano ha supervisionato la realizzazione della chiesa…
«Sì, certo, il consulente liturgico è stato monsignor Crispino Valenziano, che fin dal 1994 aveva sancito la necessità di realizzare una chiesa senza inginocchiatoi e nella quale ci fosse sull’altare una croce assolutamente priva del crocifisso, richiamando a giustificazione di queste scelte presunte norme liturgiche post-conciliari».
Le panche senza inginocchiatoi volute da Crispino Valenziano
Perché le definisce presunte?
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«Perché non si trovano scritte da nessuna parte e oggi appaiono non in sintonia con il magistero liturgico di Papa Benedetto. Mi riesce perciò difficile capire la ragione per la quale ora si è deciso di traslare nella cripta di quel santuario il corpo di san Padre Pio…».
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Non era nell’ordine delle cose che il corpo venisse custodito lì?
«La decisione era già stata presa nel 2002. Ma vorrei ricordare che due anni fa venne pubblicamente smentita dai frati di San Giovanni Rotondo per non suscitare le ire del fedeli. Ora purtroppo è stata messa in atto».
pubblicato da Francesco Colafemmina
fidesetforma
da: http://www.tradizione.biz/forum/viewtopic.php?t=17864
Postato da: giacabi a 07:26 |
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massoneria, padre pio
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Simboli strani e cristiani smarriti
***
***
di Valerio Pece
Secondo il filologo Colafemmina la nuova chiesa di San Giovanni Rotondo è piena di segni massonici. «Potrei anche sbagliarmi, ma chi controllava mentre si realizzava un’opera così ambigua?»
Laureato in Filologia classica, innamorato della cultura ellenica tanto da parlare correntemente il greco, a soli 29 anni Francesco Colafemmina è stato capace di trascinare nell’avventura dell’Appello al Papa per un’arte autenticamente cattolica mostri sacri come Nikos Salingaros e Martin Mosebach, oltre a illustri teologi, vaticanisti e docenti universitari. Da pochi giorni è uscito il suo nuovo libro, Il mistero della Chiesa di San Pio (ed. Settecolori) in cui il giovane filologo conclude un’indagine durata anni sulla chiesa progettata da Renzo Piano a San Giovanni Rotondo.
Dottor Colafemmina, nel sottotitolo del suo libro si legge: “Coincidenze e strategie esoteriche all’ombra del grande Santo di Pietrelcina”. Perché questa indagine?
Tutto è nato da un semplice viaggio a San Giovanni Rotondo. Da devoto di padre Pio, nel maggio 2007 mi recai lì per una visita al santo, ma una volta entrato nel nuovo tempio sono dovuto fuggire, letteralmente spaventato. Ricordo poi che sentii un profondo richiamo da parte di san Pio. La notte non dormii e il giorno seguente ripartii subito alla volta di San Giovanni Rotondo. È così che è iniziata la mia inchiesta, che tra l’altro ho sempre sottoposto in Vaticano. A monsignor Piacenza, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, e a Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi.
E cosa è emerso dalla sua inchiesta?
È affiorata pian piano la percezione di un chiaro programma. Quella chiesa con tutte le sue stravaganti opere d’arte doveva avere uno scopo diverso da quello che ci si attende da un luogo sacro. Così, nel corso della ricerca, non ho potuto fare a meno di imbattermi nella massoneria.
Cosa l’ha turbata in quella chiesa?
Innanzitutto va detto che chi entra in quel tempio prova un senso di straniamento, e ciò per l’assenza di connotati tipici di un luogo di culto. È proprio da qui che bisognerebbe partire, da questa impressione riscontrata da migliaia di fedeli, persone prive di pregiudizio ed esperienza nel riconoscere simbologie a-cristiane.
Proviamo a fare virtualmente il percorso del fedele che si appresta ad entrare nella nuova chiesa.
Anzitutto il viale che conduce al santuario non collega all’ingresso della chiesa, che è invece sul “retro” del santuario. Il fedele viene indotto ad entrare in chiesa in un modo nuovo, inusuale, a mo’ di “percorso di iniziazione”. Eccolo quindi dinanzi al portale: cosa rappresenta quel capretto con le gambe spezzate? Esiste nella simbologia cristiana? E quella stella a cinque punte? Sarebbe interessante saperlo.
Superato l’ingresso?
Chi entra viene accolto da due colonne sormontate da volti umani, misteriosi, colonne piene di simboli assolutamente inintellegibili. Il fedele cerca poi il tabernacolo ma non lo trova. Bisogna andare nella Cappella dell’Adorazione, uno spazio a forma di triangolo in cui non c’è altro che una stele di pietra nera, una sorta di totem dedicato ad un Dio oscuro, nascosto e senza volto. L’esatto contrario del Dio cristiano. Ciò che più rattrista, poi, sono le formelle del tabernacolo: che ci fa una colomba nella scena della moltiplicazione dei pani e dei pesci? Non ve n’è traccia nella scrittura. E il gatto (egizio) ai piedi del banchetto pasquale? E quel Cristo con una bandana al posto della corona di spine, e con le mani rivolte verso il basso? Ecco, nel libro tento di documentare il vero significato di questa e altra simbologia.
L’altare?
Anche questo ha una forma esoterica: è una piramide rovesciata con il culmine al di sotto dell’altare. Alzando lo sguardo non va meglio. C’è il grande arazzo di Robert Rauschenberg, l’esponente della Pop Art americana scomparso nel 2008. Colui che ha sbeffeggiato il cristianesimo in chiave demoniaca, nell’opera Monogram, in cui un caprone che rappresenterebbe il Cristo è intrappolato in uno pneumatico di automobile.
L’arazzo però rappresentata l’Apocalisse. O no?
Oppure una parodia dell’Apocalisse? Il protagonista dell’arazzo è indiscutibilmente il drago. Col suo Giudizio Michelangelo, per citare un esempio di immediata comprensione, non è stato certo equivoco: Cristo Giudice era bene al centro. Qui la stessa Vergine ha un ruolo marginale, il suo piede non schiaccia la bestia, sembra difendersi, certo non la sconfigge. Dov’è Cristo Vincitore? Dov’è l’Arcangelo Gabriele? Non ci sono. C’è solo il rendere onore ad un terrificante drago rosso a sette teste che si erge – si badi bene – al di sopra della stessa Gerusalemme Celeste, stranamente posta non sopra ma sotto di lui.
Contempla la possibilità che con la sua indagine abbia preso il classico granchio?
In tutta onestà debbo dirle che i miei studi sono stati giudicati credibili sia da esponenti del mondo ecclesiastico che da massoni professi a cui è stata chiesta una valutazione. Ciò detto però non sarebbe ragionevole escludere totalmente che io mi sia sbagliato, che tutta la mia analisi sia errata. Paradossalmente, però, la domanda più importante resterebbe in piedi: perché un cattolico totalmente estraneo alle dottrine esoteriche e alchemiche finisce per riscontrare in quelle che dovrebbero essere opere d’arte sacra dei simboli esoterico-massonici? Dov’erano i “controllori” dell’edilizia sacra mentre si realizzava un’opera dai connotati così ambigui?
Il 19 aprile si è aperto un nuovo capitolo. Le reliquie del santo, dopo 42 anni, sono state traslate da Santa Maria delle Grazie alla cripta della nuova chiesa, cripta che per la sua suntuosità non ha mancato di creare perplessità.
Da devoto del Santo non posso fare a meno di notare la lenta e inesorabile trasformazione del Santuario in una sorta di circo. La nuova cripta d’oro, che sarebbe certamente piaciuta a Ramses II o a Tutankhamon, è solo l’ultimo atto. Basterebbe leggere le volontà disattese di padre Pio, come quella contenuta nel suo testamento dell’agosto 1923: «esprimo il mio desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra». Non esattamente sotto volte d’oro e pietre preziose, quindi.
Secondo il filologo Colafemmina la nuova chiesa di San Giovanni Rotondo è piena di segni massonici. «Potrei anche sbagliarmi, ma chi controllava mentre si realizzava un’opera così ambigua?»
Laureato in Filologia classica, innamorato della cultura ellenica tanto da parlare correntemente il greco, a soli 29 anni Francesco Colafemmina è stato capace di trascinare nell’avventura dell’Appello al Papa per un’arte autenticamente cattolica mostri sacri come Nikos Salingaros e Martin Mosebach, oltre a illustri teologi, vaticanisti e docenti universitari. Da pochi giorni è uscito il suo nuovo libro, Il mistero della Chiesa di San Pio (ed. Settecolori) in cui il giovane filologo conclude un’indagine durata anni sulla chiesa progettata da Renzo Piano a San Giovanni Rotondo.
Dottor Colafemmina, nel sottotitolo del suo libro si legge: “Coincidenze e strategie esoteriche all’ombra del grande Santo di Pietrelcina”. Perché questa indagine?
Tutto è nato da un semplice viaggio a San Giovanni Rotondo. Da devoto di padre Pio, nel maggio 2007 mi recai lì per una visita al santo, ma una volta entrato nel nuovo tempio sono dovuto fuggire, letteralmente spaventato. Ricordo poi che sentii un profondo richiamo da parte di san Pio. La notte non dormii e il giorno seguente ripartii subito alla volta di San Giovanni Rotondo. È così che è iniziata la mia inchiesta, che tra l’altro ho sempre sottoposto in Vaticano. A monsignor Piacenza, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, e a Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi.
E cosa è emerso dalla sua inchiesta?
È affiorata pian piano la percezione di un chiaro programma. Quella chiesa con tutte le sue stravaganti opere d’arte doveva avere uno scopo diverso da quello che ci si attende da un luogo sacro. Così, nel corso della ricerca, non ho potuto fare a meno di imbattermi nella massoneria.
Cosa l’ha turbata in quella chiesa?
Innanzitutto va detto che chi entra in quel tempio prova un senso di straniamento, e ciò per l’assenza di connotati tipici di un luogo di culto. È proprio da qui che bisognerebbe partire, da questa impressione riscontrata da migliaia di fedeli, persone prive di pregiudizio ed esperienza nel riconoscere simbologie a-cristiane.
Proviamo a fare virtualmente il percorso del fedele che si appresta ad entrare nella nuova chiesa.
Anzitutto il viale che conduce al santuario non collega all’ingresso della chiesa, che è invece sul “retro” del santuario. Il fedele viene indotto ad entrare in chiesa in un modo nuovo, inusuale, a mo’ di “percorso di iniziazione”. Eccolo quindi dinanzi al portale: cosa rappresenta quel capretto con le gambe spezzate? Esiste nella simbologia cristiana? E quella stella a cinque punte? Sarebbe interessante saperlo.
Superato l’ingresso?
Chi entra viene accolto da due colonne sormontate da volti umani, misteriosi, colonne piene di simboli assolutamente inintellegibili. Il fedele cerca poi il tabernacolo ma non lo trova. Bisogna andare nella Cappella dell’Adorazione, uno spazio a forma di triangolo in cui non c’è altro che una stele di pietra nera, una sorta di totem dedicato ad un Dio oscuro, nascosto e senza volto. L’esatto contrario del Dio cristiano. Ciò che più rattrista, poi, sono le formelle del tabernacolo: che ci fa una colomba nella scena della moltiplicazione dei pani e dei pesci? Non ve n’è traccia nella scrittura. E il gatto (egizio) ai piedi del banchetto pasquale? E quel Cristo con una bandana al posto della corona di spine, e con le mani rivolte verso il basso? Ecco, nel libro tento di documentare il vero significato di questa e altra simbologia.
L’altare?
Anche questo ha una forma esoterica: è una piramide rovesciata con il culmine al di sotto dell’altare. Alzando lo sguardo non va meglio. C’è il grande arazzo di Robert Rauschenberg, l’esponente della Pop Art americana scomparso nel 2008. Colui che ha sbeffeggiato il cristianesimo in chiave demoniaca, nell’opera Monogram, in cui un caprone che rappresenterebbe il Cristo è intrappolato in uno pneumatico di automobile.
L’arazzo però rappresentata l’Apocalisse. O no?
Oppure una parodia dell’Apocalisse? Il protagonista dell’arazzo è indiscutibilmente il drago. Col suo Giudizio Michelangelo, per citare un esempio di immediata comprensione, non è stato certo equivoco: Cristo Giudice era bene al centro. Qui la stessa Vergine ha un ruolo marginale, il suo piede non schiaccia la bestia, sembra difendersi, certo non la sconfigge. Dov’è Cristo Vincitore? Dov’è l’Arcangelo Gabriele? Non ci sono. C’è solo il rendere onore ad un terrificante drago rosso a sette teste che si erge – si badi bene – al di sopra della stessa Gerusalemme Celeste, stranamente posta non sopra ma sotto di lui.
Contempla la possibilità che con la sua indagine abbia preso il classico granchio?
In tutta onestà debbo dirle che i miei studi sono stati giudicati credibili sia da esponenti del mondo ecclesiastico che da massoni professi a cui è stata chiesta una valutazione. Ciò detto però non sarebbe ragionevole escludere totalmente che io mi sia sbagliato, che tutta la mia analisi sia errata. Paradossalmente, però, la domanda più importante resterebbe in piedi: perché un cattolico totalmente estraneo alle dottrine esoteriche e alchemiche finisce per riscontrare in quelle che dovrebbero essere opere d’arte sacra dei simboli esoterico-massonici? Dov’erano i “controllori” dell’edilizia sacra mentre si realizzava un’opera dai connotati così ambigui?
Il 19 aprile si è aperto un nuovo capitolo. Le reliquie del santo, dopo 42 anni, sono state traslate da Santa Maria delle Grazie alla cripta della nuova chiesa, cripta che per la sua suntuosità non ha mancato di creare perplessità.
Da devoto del Santo non posso fare a meno di notare la lenta e inesorabile trasformazione del Santuario in una sorta di circo. La nuova cripta d’oro, che sarebbe certamente piaciuta a Ramses II o a Tutankhamon, è solo l’ultimo atto. Basterebbe leggere le volontà disattese di padre Pio, come quella contenuta nel suo testamento dell’agosto 1923: «esprimo il mio desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra». Non esattamente sotto volte d’oro e pietre preziose, quindi.
Postato da: giacabi a 07:14 |
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massoneria, padre pio
DUE INEDITI SU PADRE PIO
***
… La scoperta del vero volto del Padre…03.05.2008
Antonio Socci Da “Libero”, 27 aprile 2008
Due
preziosi inediti, uno di padre Pio, l’altro su di lui, con notizie
nuove sul frate di Pietrelcina, emergono dagli archivi proprio in queste
ore nelle quali – per l’esposizione del corpo – i media di tutto il
mondo parlano del santo. Ma – prima di vedere i due documenti – devo
fare una premessa. Per sottolinearne l’importanza.
Mi è capitato nei giorni scorsi di dare un’intervista su padre Pio al “New York Times” e mi ha colpito la reazione sbigottita di Ian Fisher. Il collega del giornale americano mi aveva chiesto il motivo di questa grande devozione popolare. Quando gli ho spiegato che è il primo (e unico) sacerdote stigmatizzato dopo Gesù Cristo, gli ho descritto i suoi carismi, ho accennato ai fatti straordinari e agli innumerevoli miracoli dovuti alla sua intercessione, mi sono reso conto della difficoltà di raccontare un mistero come padre Pio al pubblico liberal newyorkese. Per far cogliere, nel tempo di internet, l’evidenza del soprannaturale e la meraviglia dell’esperienza mistica, occorrerebbero grandi ingegni che vi si sono affacciati come Henri Bergson e Jean Guitton (o bisognerebbe conoscere la religiosità di un Einstein, che non a caso ha scardinato lo scientismo ottocentesco). I giornali fanno fatica a ricordare che padre Pio è un contemporaneo, coetaneo di Einstein, e morì nel “mitico” ’68, un anno dopo Che Guevara. Il pubblico liberal americano magari si fa ammaliare dalle superstizioni buddiste o dai cristalli della new age, crede in fanfaluche come la reincarnazione e il karma, ma storce il naso – trattandosi di cattolicesimo - di fronte ai casi reali di guarigioni miracolose, constatate dalla scienza, documentate e studiate da fior di medici e specialisti. O di fronte ai fenomeni di bilocazione, di scrutazione dei cuori e di profezia di padre Pio. Eppure con padre Pio, per mezzo secolo, il “soprannaturale” è stato letteralmente sotto la lente d’ingrandimento della scienza, a cominciare dalle sue stimmate su cui hanno scritto saggi importanti dei medici che le visitarono accuratamente. Tuttavia è vero che l’attenzione esclusiva su questi carismi straordinari rischia di far perdere di vista la persona, splendida e consolante, di padre Pio e rischia di farlo divorare e stravolgere dal circo barnum dei mass media. Ecco perché appaiono provvidenziali i due inediti sopra annunciati. A renderli noti è don Francesco Castelli che insegna “Storia della Chiesa moderna e contemporanea” a Taranto e lavora a Roma nella postulazione della causa di Giovanni Paolo II. Proprio don Castelli, che qualche mese fa ha reso nota una nuova lettera del 1963 di monsignor Wojtyla a padre Pio, un documento molto importante sul profondo legame che unì i due, oggi anticipa a “Libero” ciò che pubblica sulla rivista “Servi della Sofferenza” (IV, 2008). I documenti di cui parliamo sono emersi dalla causa di beatificazione di un altro religioso, padre Pio Giocondo Lorgna, domenicano vissuto fra il 1870 e il 1928, che fu un dotto predicatore e fondò vari istituti di vita religiosa e di preghiera con opere di carità per l’infanzia povera. DunNel 1922 si ammalò una terziaria domenicana, Maria Bassi, che lo aveva aiutato in una di queste opere. Così padre Lorgna scrive a padre Pio raccomandandogli questa sorella la cui opera è preziosa per tante anime: gli chiede preghiere per ottenere la grazia della guarigione. Siamo nei primissimi anni della “vita pubblica” di padre Pio che ha ricevuto le stimmate visibili il 20 settembre 1918: nel 1919 i giornali hanno cominciato a parlare di lui e tanti pellegrini salgono sul Gargano per incontrare il giovane frate stimmatizzato. Già è avvenuto il viaggio di padre Gemelli con cui iniziano a scattenarsi varie ostilità contro il santo. Dunque il trentenne padre Pio, sempre disponibile con tutti, il 3 gennaio 1923 risponde a padre Lorgna: “Carissimo Padre , pregherò secondo le sue sante intenzioni. Il Signore voglia confortare le Anime che Lei mi ha raccomandato. Speriamo sempre nella sua Divina Misericordia. In quanto a Lei ringrazio la Sua bontà nel pregare per me. Anche Lei chieda per me al Signore quanto io prometto di chiedere per Lei. Sempre Dev. Mo in G. C. P. Pio Capp.”. Questa lettera – ritrovata dal domenicano padre Francesco Maria Ricci, postulatore della causa di padre Lorgna, nel suo archivio – è inedita, come pure – proveniente dallo stesso archivio - una pagina del Diario di padre Lorgna, datata 5 gennaio 1923 dove egli riferisce di un confratello che ha fatto visita a padre Pio. Padre Lorgna trascrive le informazioni ricevute che risultano oggi molto interessanti. Eccole: “Di ritorno dal P. Pio – L’incontrò nel corridoio e gli disse della mia lettera facendo il mio nome e subito disse: gli ho risposto un’altra volta – È affabilissimo – umilissimo – cordialissimo – due occhi luminosi – un sorriso più che angelico – divino – ubbidientissimo – dai 16 anni in su sempre ammalato – ha guarito altri domandando per sé l’infermità – mangia solo a pranzo un po’ di erbe cotte e minestranulla [sic] al mattino e la sera, se vi è un pomo crudo – ebbe le stimmate 3 anni or sono [in realtà sono passati più di 4 anni] dopo un digiuno di 40 giorni [informazione completamente sconosciuta sinora] solo prendendo l’Eucaristia – l’ebbe in settembre nel giorno anniversario di S. Francesco – getta continuamente sangue dal costato – un po’ dai piedi – nulla dalle mani = gioca alle palle – ride facilmente – è allegro in conversazione – fin da fanciullo piangeva al racconto della passione di Gesù, tanto che si temeva perdesse la vista al troppo pianto. La febbre talvolta l’assale e non lo lascia per 5 o 6 giorni arriva fino a 48 gradi. Prende la pensione di guerra di L. 10 al giorno quale tubercolotico – celebrando fissa prima il tabernacolo e poi l’Ostia – fa la comunione dall’altare per risparmiargli [legg. “risparmiarsi”] il dolore dei gradini [cioè il dolore che gli provocava salire e scendere i gradini a causa delle stimmate ai piedi] = è al secondo piano del convento e scende continuamente senza lamentarsi e per cose futili [cioè anche per motivi non rilevanti è disposto a sentire il dolore del camminare, del salire e scendere le scale]”. I commenti e le precisazioni fra parentesi sono di don Castelli che sottolinea altri aspetti importanti di questo documento. Intanto queste righe demoliscono l’idea di padre Pio come “frate burbero”, quindi ci “danno la notizia di un digiuno di 40 giorni che avrebbe preceduto la stigmatizzazione di P. Pio”. E “da questa vicenda inedita, in definitiva, emerge il ruolo importante che P. Pio ebbe durante la sua vita per non pochi santi e fondatori”. C’è un’altra notizia che questo documento conferma: “ha guarito altri domandando per sé l’infermità”. La compassione di padre Pio lo spingeva a prendere su di sé le sofferenze degli altri, per poterli sollevare (cosa sconosciuta ai più). E questo avveniva normalmente. Ora resta da approfondire la nuova notizia del digiuno che precedette le stimmate del 20 settembre 1918. Perché ci rimanda al suo rapporto con Francesco d’Assisi. Finora era nota una coincidenza temporale. Anche Francesco aveva ricevuto le stimmate alla Verna attorno al 20 settembre (del 1224). Accadde mentre faceva un digiuno di 40 giorni in onore dell’Arcangelo San Michele. Entrambi erano devotissimi a San Michele Arcangelo, difensore della Chiesa, il cui santuario sorge proprio sul Gargano, a due passi da San Giovanni Rotondo e fu visitato da Francesco d’Assisi. Adesso scopriamo che anche padre Pio, il cui nome di battesimo era Francesco, stava facendo lo stesso digiuno del poverello di cui portava il saio e che chiamava “padre”. Uno fu il primo stimmatizzato della storia. L’altro il primo sacerdote stimmatizzato. Di ognuno è stato detto che fu “alter Christus”, un altro Gesù. Antonio Socci Da “Libero”, 27 aprile 2008 |
Postato da: giacabi a 12:31 |
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padre pio
Padre Pio
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intervista ad Antonio Socci
|
Postato da: giacabi a 10:40 |
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padre pio
LO " SCANDALO " DEL CORPO DI PADRE PIO
***
Qua sotto vi dico cosa penso dell’esposizione del corpo di Padre Pio che tante polemiche ha suscitato. Ma prima vi lascio una perla del Padre: “Lo Spirito di Dio è spirito di pace… Egli ci fa sentire un dolore tranquillo, umile e fiducioso dovuto precisamente alla Sua Misericordia… Invece lo spirito del Male esaspera… e ci fa provare una specie di ira contro di noi: mentre proprio nei nostri confronti dovremmo esercitare la carità più grande”
C’è
un “Claudio Magris” dentro ognuno di noi. Avverto anche io,
istintivamente, la repulsione per la riesumazione del corpo di padre Pio
e per la sua esposizione alla venerazione dei fedeli (dal 24 aprile)
che stanno per arrivare a milioni a S. Giovanni Rotondo. La cosa ha
indotto lo scrittore triestino a protestare sul Corriere della sera.
Perché noi, come lui, siamo naturalmente “spiritualisti”, mentre
il cristianesimo è scandalosamente “materialista”. Anzi, come hanno
detto Giorgio la Pira e Romano Guardini, “i cristiani sono gli unici,
veri materialisti”.
La
nostra mentalità naturale – oggi dominante – è quella degli antichi
gnostici: lo schifo della corporeità. Il terrore e la disperazione della
morte. Abbiamo
allestito una colossale macchina sociale per esorcizzare il corpo e i
suoi processi biologici, perché mostrano il suo continuo disfacimento.
Abbiamo orrore di tutti i segni della decadenza fisica, ci repellono gli
umori e gli odori del corpo, l’imbiancarsi dei capelli, la loro caduta o
le rughe perché questo inesorabile decadere della carne prefigura la
morte. Il lento putrefarsi del corpo ha bisogno di continui lavori di
restauro e manutenzione.
Non
a caso il fatturato dell’industria cosmetica è in costante crescita. Un
vero boom. L’uso di deodoranti, creme e altre diavolerie serve proprio a
costruirci un corpo virtuale come quello che andiamo a modellarci con
la “plastica” (facciale o meno) o in palestra o su “Second Life”.
Ciò
che chiamiamo bello è in realtà una “immagine” che nasconde, perché è
costruita per fermare l’istante ed esorcizzare la natura materiale delle
cose che consuma e disfa.
L’arte è nata così, anticamente, in Egitto e in Grecia. Oggi basta
considerare il “culto della bellezza femminile” a cui si dedica una
colossale industria mediatica maschile con cui – come scrive Camille
Paglia – “l’uomo
si è sforzato di fissare e stabilizzare il pauroso divenire naturale…
La bellezza arresta e raggela il flusso turbolento della natura” perché ferma (almeno in apparenza, come immagine) lo sfacelo della materia.
Nella nostra epoca cancelliamo tutto ciò che ci ricorda la decadenza fisica e la malattia. “La
vita moderna, con i suoi ospedali e i suoi articoli igienici”, scrive
la Paglia “tiene a distanza e sterilizza questi primordiali misteri
proprio come ha fatto con la morte, un tempo pietosa incombenza
domestica”.
Un tempo, cioè quando si era cristiani.
Il cristianesimo infatti è entrato in questa nostra mentalità naturale
come un ciclone. La Chiesa ha letteralmente inventato gli ospedali e li
ha costruiti al centro delle città, spesso davanti alle cattedrali, non
ai margini dell’abitato come si usa fare oggi. Il malato che era
schifato e abbandonato nell’antichità greca e romana, è diventato in
tempi cristiani venerato “come Gesù crocifisso”, accudito, curato, amato
pietosamente fin nelle sue piaghe che naturalmente ci repellono.
Citavamo all’inizio La Pira e Guardini: in effetti “sono i cristiani i veri materialisti”. Non
potrebbe essere altrimenti, perché sono gli unici a poter abbracciare
tutta la realtà, anche la sua dolente carnalità, senza l’angoscia e la
malinconia del disfacimento fisico e della morte.
Perché
il cristianesimo è la notizia di Dio che “si è fatto carne”, uomo come
noi. L’uomo-Dio si è piegato teneramente su tutte le ferite umane e le
ha guarite, ha preso su di sé, sulla sua stessa carne, tutta la violenza
e la sofferenza del mondo, facendosi macellare e morendo. Infine è
risorto nella carne, mostrando, facendo toccare con mano il suo stesso
corpo divinizzato come è destinato a diventare il nostro.
Ha
rivelato agli esseri umani: “Anche i capelli del vostro capo sono tutti
contati”. E così ha confessato il folle amore che l’Onnipotente ha per
ogni sua creatura. La nostra mentalità pagana ha orrore del corpo,
invece Dio lo ama, tanto più quando è ferito, sofferente e debole. Se
Dio ha contato perfino i nostri capelli è perché ci guarda come un
innamorato. Che vuole sottrarci alla morte.
Nessun
amante di questo mondo ha mai potuto promettere alla sua amata che
niente di lei, neanche un capello, sarebbe mai perito. Così invece ha
fatto l’Uomo-Dio. E dunque, attraverso Gesù, tutto ci sarà restituito
(per sempre) di noi e delle persone che amiamo. Dante, nella Divina
Commedia, ha questa intuizione geniale: che le anime sono felicissime in
Paradiso e non mancano di nulla, ma hanno “il disìo d’i corpi morti/
forse non pur per lor, ma per le mamme,/ per li padri e per li altri che
fuor cari” (Par XIV, 63-65). E’ l’idea che la felicità sarà perfetta e
totale in Paradiso non tanto per la resurrezione dei propri corpi, ma
per la resurrezione delle persone che amammo. Ci sarà restituito tutto,
perfino il loro sorriso perduto e il loro sguardo.
E
trasfigurati in una eterna giovinezza come quella che è evidente in
Maria quando appare ai veggenti (da Lourdes a Medjugorje) che, fra
l’altro, la descrivono bellissima. La Madonna è infatti la prima dopo
Gesù ad essere entrata nella gloria col suo stesso corpo. Il
dogma dell’Assunzione ha questo significato: che tutto il nostro corpo è
sacro. Ed è destinato all’eternità. Alla divinizzazione. I “gesti” con
cui Gesù ci abbraccia, ci sostiene e ci trasfigura sulla terra – cioè i
sacramenti – sono tutti legati a segni fisici. Trasformano anche il
corpo. Niente come il cristianesimo esalta l’uomo, fin nella sua povera
corporeità.
Con
l’Eucaristia, fatta per struggersi in un cuore umano, entra nel
cristiano la stessa Trinità: “per questo divino e ineffabile contatto”,
dice il teologo, “l’anima e anche il corpo del cristiano diventano più
sacri della pisside e delle stesse specie sacramentali” (Royo
Marin).Per questo non stupisce che la Chiesa, nella liturgia funebre,
incensi il corpo dell’uomo che appartiene al corpo stesso di Cristo. E
non stupisce che il corpo dei santi sia particolarmente venerato.
Infatti in molti casi Dio si degna di fare miracoli proprio attraverso
le reliquie dei santi.
Padre Pio oltretutto portò nel suo stesso corpo i segni prodigiosi della
crocifissione di Gesù, e per 50 anni, contro ogni legge naturale e
biologica. La sua carne e il suo sangue emanavano il profumo di Cristo.
Così
il corpo dei santi trasforma tutta la terra in altare e prepara la
festa della resurrezione finale. Ricordate Alioscia Karamazov ?
Rifiutando il padre biologico, descritto da Dostoevskij come fisicamente
e moralmente brutto, il giovane scelse un padre spirituale dentro la
vita monastica: lo starec Zosima. Ma fu sconvolgente per lui, alla morte
del monaco, percepire, dopo poche ore, i segni della sua decomposizione
fisica. Finché comprese, nel pianto, che quella era l’ultima lezione
che gli dava lo starec. Capì che il corpo dei cristiani è il seme della
prossima resurrezione e, disteso, abbracciò amorosamente la terra. Che
“geme per le doglie del parto”. Finché vedremo la bellezza di “cieli
nuovi e terra nuova” dove la giustizia ha stabile dimora e non c’è più
il pianto.
E’ l’unica giustizia possibile. Il filosofo della Scuola di Francoforte,
Theodor Adorno, pur marxista, osservò che una vera giustizia
richiederebbe un mondo “in cui non solo la sofferenza presente fosse
annullata, ma anche fosse revocato ciò che è irrevocabilmente passato”.
Concluse che dunque ci vorrebbe “la resurrezione della carne”.
E’
precisamente questa giustizia che la Chiesa annuncia, anche con la
venerazione del corpo dei santi. Annuncia la risurrezione. Duemila
anni fa gli intellettuali di Atene – dopo aver ascoltato con interesse
Paolo – si misero di colpo a irriderlo appena annunciò la risurrezione
dei morti. Come se fosse un ciarlatano o un matto. Il cristianesimo è
questa rivoluzione (la sola!), una “notizia da pazzi”, non una
minestrina di regole di buona educazione e di buoni sentimenti. Infatti
si parlò di follia ieri sull’Areopago come oggi sulle colonne del
Corriere della sera.
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Postato da: giacabi a 20:13 |
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padre pio
Lo Spirito di Dio e lo spirito del Male ***
“Lo Spirito di Dio è spirito di pace… Egli ci fa sentire un dolore tranquillo, umile e fiducioso dovuto precisamente alla Sua Misericordia… Invece lo spirito del Male esaspera…
e ci fa provare una specie di ira contro di noi: mentre proprio nei
nostri confronti dovremmo esercitare la carità più grande”
S.Padre Pio
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