REALTA',SORRISO DI DIO
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Il santo di giugno
Lettera del 21/06/09
Carissimi,
“Il pensiero piú risoluto, piú scientifico non é nulla di fronte a ció che accadde, la pazzia consiste nel credere eventi i semplici pensieri” Questa affermazione di Pavese descrive bene la mia storia ed anche il lavoro quotidiano di cui parla Carron, che sono chiamato a fare su me stesso. Un lavoro sostenuto in modo davvero eccezionale dal dolore che mi circonda e che é dentro di me durante le 24 ore del giorno. Sembrerá per molte un assurdo, peró trovo molto bello una frase che oggi mi ha detto un amico, commentando la frase de Pavese: “il rimedio alla pazzia é dato dal dolore, che ci fa mettere i piedi per terra”. Mettere i piedi per terra é la grande battaglia da 20 anni ad oggi, che compio 38 anni di sacerdozio. E che cosa mi permette questo miracolo che é quello di amare la veritá dei “piedi per terra”, della realtá, per cui vivo comosso, in pace anche quando, come in questi giorni le circostanze sembrano (il dramma dei pensieri o pensieri cattivi, che sono ció che distraggono dalla veritá, dalla realtá) negative, mentre sono positive? La grazia, mendicata attimo per attimo, anche fisicamente, ripetendo sempre “Io sono Tu che mi fai” o “anche i capelli del vostro capo sono contati”. Oggi, 38 anni fa ero ordinato sacerdote. Il vangelo del giorno é quello di Matteo 6,24-34 dove Gesú pone ai suoi discepoli tante domande che hanno come fondo quanto Carron ci ripete spesso “anche i capelli del vostro capo sono contati”. Ma allora capite che davvero il primo lavoro da fare é chiedere che questo capitolo 6,24-34 di Matteo diventi carne. Umilmente, peró veramente guardando me stesso, la mia storia, ció che accadde qui é letteralmente quanto scrive San Matteo. Ma pensate se la mia vita non fosse cosi, se tutte queste opere non fossero cosí, ma che senso avrebbero? Nessuno. Si, per uscire dalla “pazzia”, cioé dalle immaginazioni, dai progetti, dai pensieri é neccessario che le parole di Matteo diventino carne. Cari amici mentre vi scrivo queste cose sono qui davanti ai miei piccoli crocifissi: Victor, Aldo e Cristina. Per cui potete capire cosa vuol dire per me la parola “dolore”. Nella stanza a fianco. Marziana di 20 anni é sempre piú grave. Al suo fianco Claudia di 35 anni, evangelica, mi ha detto: “Sono alla fine, voglio confessarmi, la comunione, torniare alla Chiesa cattolica”. In due giorni, poi, due morti, fra cui una giovane mamma, morta dopo aver cantato: “Ti adoriam ostia divina...” e dicendo “adesso ho cantato tutto”. Adesso sono arrivati i miei bambini della casetta di Betlemme, quelli piú grandicelli. Con me faranno la processione con il Santissimo. Staranno a fianco di ogni ammalato grave e anche moribondo. Loro sono educati a guardare in faccia la veritá della realtà. La realtà non fa mai paura perchè grida la sua presenza. Guardateli nella foto, appena fatta, con Attilio, anche lui alla fine. Guardate le loro facce e quella di Attilio. “Dov´è o morte il tuo pungiglione?” Attilio e i miei bambini guardano in faccia alla morte, come guardano la vita. Osservo e capisco la bellezza della frase di Pavese. Giasmina, quella con la faccina fra le mani, vedendo Marziana mi dice: “Che bella, sembra la mia mamma quand´era viva qui in clinica”. Ogni sabato vogliono venire qui a vedere il letto, la camera dove sono morte le loro mamme. Come vedete la realtá é stupendamente amica, come ogni circostanza che per noi sono il sorriso di Dio. È propio bella la vita.
Buone vacanze, peró vissute cosí...
Lettera del 25/06/09
Cari amici,
dopo gli esercizi di Rimini, che noi abbiamo vissuti quest`ultimo fine settimana attraverso la registrazione, ho sentito l'urgenza di andare da Marcos e Cleuza per condividere la commozione, come già loro in aprile, di ogni parola ascoltata. Normalmente da alcuni mesi ci troviamo spessissimo. Adesso sono io che vado, perchè solo in questo modo quanto Carron ci dice diventa carne. Ed è stato bello. Ci siamo ritrovati all`aeroporto alle 15 e già è stato una festa, come sempre. Quindi, a casa di Marcos e Cleuza, insieme al grande amico P. Julian de la Morena, e altri 15 persone abbiamo iniziato la fraternità. Erano le 17 e senza accorgerci siamo arrivati alle 21. Quindi Messa, cena e avanti fino alle 24, quando la Paola di Savador de Bahia disse: “Dopo aver ascoltato tanti miracoli, andiamo a dormire per la stanchezza”. Che febbre di vita! La domanda da cui siamo partiti e posta dagli Zerbini era: “Com'è cambiata la nostra vita dopo l`ultimo incontro fatto in Paraguay?” e ovviamente alle luce degli esercizi. I nostri amici del movimento dei “Sem terra” quelli che già sono totalmente presi, affezionati dal carisma di Don Giussani, ci hanno letteralmente commossi per i miracoli, per la verità con cui raccontavano la vita. Davvero ho sperimentato come sempre quanto gli apostoli vivevano con Gesù. E non solo io, ma anche chi è andato a letto alle 1:30 del mattino, tanto era bello respirare di Gesù, della realtà. Qualcuno si domanderà, ma dove nasce questa potente amicizia che è diventata più necessaria dell`aria che respiriamo? Un amico ha detto quella sera: Questa amicizia è bella e vera per questi motivi: 1- Perchè tutti guardiamo a Carron. Ci sentiamo figli. I nomi che ricorrono di continuo fra noi sono: Gesù, il Papa, Giussani e Carron. Senza Carron non ci saremmo mai conosciuti, perchè tutto è iniziato quando Carron ci disse dove guardare. Ed è qualcosa che se uno non lo vive non può capire. 2- La caritativa: la “sopa di P. Aldo” (sopa=zuppa). Si tratta di un gesto di carità che nell`associazione di Marcos si compie ogni giovedì dopo la Scuola di comunità. Vendono la “sopa” anche nella strada per aiutare la mia casetta di Betlemme. Ma sapete come Marcos e Cleuza definiscono la caritativa? Un gesto per ricordare il volto dell'amico P. Aldo. Cioè un gesto per vivere la memoria di volti che camminano assieme seguendo Carron. Mai avevo sentito definire così la caritativa. Cuociono la “sopa” e dopo la Scuola di comunità, la vendono per ricordare un amico, il volto, lo sguardo di un amico. Quindi un amicizia che è operativa e non buone intenzioni. 3- Il tempo ci è dato per incontrarci, cioè per andare al cuore della realtà, per vivere le circostanze, qualunque siano, come il sorriso di Dio (numerare i fatti raccontati sarebbe troppo lungo). 4- Questa amicizia è una proposta per tutti perchè il movimento è chiunque rimane sorpreso da uomini che si vogliono bene così tanto per la passione con cui guardano al loro destino. Uomini la cui unica grande opera non è il movimento dei “Sem terra” o le opere di San Rafael, ma la costruzione del proprio io. Non si fanno 3000 km ogni 15 giorni se non è per quest`opera: la costruzione dell’io. 5- È un amicizia definita per la festa. Anche la Messa, la cena che non vi dico che squisitezza è segno di questa festa. Una nota finale: una donna dei “Sem terra” ha detto: “Se la gente della clinica di San Rafael non ha paura di morire perchè dovrei avere paura di ciò che accade ogni giorno? E' cambiata la concezione che avevo della mia vita?” Davvero sono tornato - andata e ritorno - con il cuore traboccante di gioia, desideroso di gridare a tutti e in tutti modi il miracolo di questa amicizia che solo seguendo chi oggi ci garantisce il carisma del Giuss, Carron, è possibile vivere. L'unica opera che mi interessa è sempre più seguire questo uomo, perchè nel seguire lui perfino il concetto di sviluppo, il concetto di collaborazione, di economia cambia e tutto diventa una voglia pazza che Cristo sia conosciuto ed amato. Sono qui solo per testimoniare questa esperienza per me piena di letizia...e a 62 anni e mezzo. E pensare che come ricorda sempre Cleuza, un anno fa loro non sapevano della mia esistenza, mentre io si, ma non potevo neanche immaginare quello che sarebbe accaduto da novembre 2008 ad oggi. Veramente non potrei più stare senza vederli, ascoltarli perchè è come rivivere ogni volta quell’abbraccio del Gius, di molti anni fa e che ha cambiato la mia vita. Oggi loro sono per noi qui il punto luminoso che rende lieta la nostra vita.
con affetto, P. Aldo Trento
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Postato da: giacabi a 21:04 |
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pavese, padre trento
Gli indios di Rimini
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Come
i guaranì quattrocento anni fa. Come i malati con tre giorni di vita.
Il titolo del Meeting raccontato da un sacerdote in missione in Paraguay
di Padre Aldo Trento
Siamo
nel 1609, 400 anni fa, quando i gesuiti hanno dato inizio al “sacro
esperimento”, come sono state chiamate più tardi le Riduzioni
gesuitiche. Durante
150 anni circa nella foresta subtropicale è nato un nuovo modo di
guardare la realtà. O meglio, gli indios guaranì hanno finalmente potuto
conoscere ciò che da centinaia di anni stavano cercando: la terra senza
il male.
Di che cosa si trattava? La storia è andata così: Tupà (in guaranì Tu è
“meraviglia”, “stupore”; pà è una domanda: “Chi ha fatto questa
bellezza?”), il dio dei guaranì, aveva creato la terra sopra quattro
palme, una ad ogni lato. Quindi aveva creato l’uomo immortale (karaì, in
guaranì) maschio e femmina. Tutto
andava bene, fino a quando il serpente contaminò la terra originaria,
togliendo all’uomo la sua immortalità. Il castigo di Tupà non si fece
attendere e il dio mandò un diluvio. Da quel momento, il Karaì, l’uomo
maschio e femmina, cominciò la grande peregrinazione alla ricerca delle
terra originaria che aveva perduto. La ricerca avveniva mediante tre
gesti: il caminare (erano seminomadi), il ballare e il cantare.
Quando
giunsero i primi missionari, in particolare i francescani e i gesuiti,
si resero conto della bellissima concezione del mondo che avevano i
guaranì. Benché
fossero cannibali e poligamici, i missionari (in particolare i gesuiti)
capirono subito che il primo approccio non doveva essere morale, ma
ontologico. Quindi l’evangelizzazione doveva rispettare due binari: il primo
era la valorizzazione della loro concezione del mondo e, per questo, in
nessuna chiesa gesuitica dell’epoca esiste un segno o un’immagine che
rimandi al Vecchio Testamento.
I gesuiti vollero valorizzare il “Genesi” dei guaranì, introducendoli a
figure come quelle di Gioacchino ed Anna, i genitori della Madonna,
simboli del passaggio tra l’Antico e il Nuovo. Il secondo binario su cui si mossero i missionari fu quello di mettere in maggior risalto l’avvenimento cristiano rispetto alla morale.
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Postato da: giacabi a 21:21 |
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padre trento
Padre è chi ti fa vedere il volto del destino
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Cari amici,
scusate se “turbo” le vostre vacanze con fatti di vita. Guardate la foto. Il malato terminale che suona la chitarra e canta è Carlos. Presenti 60 amici di C.L. di San Paolo. Durante la messa la cresima di Noelia, 24 anni, ammalata di cancro e terminale.
Gli amici del Brasile, Annalidia, Gisella, Dalton, membro
dell’Accademia di Bioetica etc. etc., erano commossi fino alle lacrime. Vedere un “condannato a morte” cantare felice è una cosa che ci riconduce a Gesù quando operava questi miracoli.
Oggi è morto Attilio, l’altro musicista, quello della pizza di sabato scorso. E’ morto recitando il rosario, al secondo mistero, assistito dall’angelo della clinica, Hermana Sonia. Prima
che morisse gli ho detto: “Attilio, salutami Gesù e la Madonna e tu non
dimenticarti mai di tuo papà (mi chiamava papá ed era della mia stessa
età)”. Ma padre è chi ti fa vedere il volto del destino.
Che bello: questa sera alla S. Messa nelle celle dell’ospedale c’erano
tutti, dai medici, infermieri ai prossimi a morire. Che bella famiglia!
Aspettiamo tutti il nostro turno... per questo cantiamo, andiamo in
pizzeria, facciamo festa finché la morte non ci conduce in vacanza, in
ferie: al paradiso.
Buone vacanze... ma per essere buone è necessaria questa posizione che
la foto di Carlos testimonia. Anche lui, mentre scrivo, sta tanto male.
Pregate per noi,
P. Aldo
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Postato da: giacabi a 21:43 |
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padre trento
LA CONSEGNA DELLE PAGELLE AI MIEI BAMBINI
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P. Aldo: consegna delle pagelle in pizzeria
Cari amici,
e’ sempre più vero per me che le circostanze sono positive.
Siamo in pizzeria per festeggiare le pagelle del primo trimestre dei miei bambini.
Già
vi ho scritto a suo tempo chi sono, da dove vengono e le violenze
subite: da quelle sessuali, a quelle fisiche, a quelle psicologiche.
Tutto
e’ iniziato il febbraio 2008. Non vi dico in che condizioni sono
arrivati: erano come le “scimmie” da una parte e dall’altro marcati
dalla violenza. Dopo alcuni mesi erano passati da 0 a 1 nella pagella.
Un piccolo segno che erano passati da “nessuno a qualcuno”.
Per
me è stato un miracolo che ancora oggi mi stupisce, pensando alla mia
vita in cui per passare da 0 a 1 ci sono voluti anni e anni e solo dopo
l’abbraccio del Gius.
Perché il vero dramma della vita è passare dal sentirsi “nessuno” a sentirsi “qualcuno” cioè uno che vale.
E oggi chi ti aiuta in questo?
Personalmente vedo in Carròn e in chi lo segue questa possibilità.
Giugno
2008 - Giugno 2009: è passato un anno. Si consegnano le pagelle. Che
sorpresa: tutti sono passati da uno a cinque con qualche 2, 3, 4. Qui il
massimo voto è 5.
Lascio a voi immaginare la festa.
Pizzeria: la festa dell’autostima. Il papà (P. Aldo) e mamma Cristina festeggiati dai loro figli.
Noi volevamo festeggiare loro per l’accaduto e succede il contrario. Capisco e mi commuovo:
è riaccaduto per loro quell’abbraccio di vent’anni fa in via
Martinengo, per me, quando il Gius mi accolse dicendomi, unico nella mia
vita: (poi sarà P. Alberto) “ti porterò in vacanza con me”. Mi fece
compagnia. Ed è tutto quello che vivo e faccio.
I
miei bambini, vittime di tanto odio, guardateli come sono felici e
orgogliosi……Ma perché si sentono carne della mia carne e di Cristina.
Loro si sentono appartenere e questo uomo, a questa donna, di cui non capiscono come possono essere i loro papà e mamma.
E’
il miracolo della virginità per cui un prete e una donna diventano il
modo con cui Dio manifesta la sua Paternità e Maternità.
Amici sono contenti i miei bambini. Quanti bacini per la pagella.
Ma c’è una gioia ancora più grande. Una di queste bimbe, violenta dal “papà”, dopo un anno è passata da 0 a 1.
Per lei, una festa speciale.
Adesso
sorride, cerca i miei bacini, mi guarda con una tenerezza di figlia.
Quanto sofferto è una cosa lontana. Si, perché cerco di comunicare loro
che loro non sono il frutto del passato, ma di una certezza che mi
definisce: “Io sono Tu che mi fai”. Nelle casette di Betlemme non ci
sono psicologi (non perché non siano utili…per carità….)ma è chiarissima
questa certezza “Io son ora Tu che mi fai”. E qui sta il miracolo.
In fondo aveva ragione Pavese: “qualunque violenza nasce dalla mancanza di tenerezza”.
E con Luglio siamo al secondo quadrimestre.
Pregate perché questa certezza dell’Io sono Tu che mi fai cresca sempre di più. . Padre Aldo
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Postato da: giacabi a 12:18 |
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padre trento
“Passione per Cristo, passione per l'uomo”... ma Cristo è morto anche per il pedofilo...
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Una lettera di P.Aldo non facile da capire con la testa, ma che parla diritto al cuore.. di chi lo sa ascoltare:
Cari amici,
Carron
ci diceva nella sua lettera di alcuni mesi fa commentando la famosa
lettera del Papa: “Questa lettera ha un “respiro” di cui non possiamo
non ringraziare il Papa, tanto più quanto più aumentano gli irrigidimenti di coloro che riducono la vita cristiana a un moralismo soffocante.
Niente più di una lettera così mi fa sentire orgoglioso della mia
appartenenza ecclesiale, pieno di fiducia che il giorno in cui io
dovessi sbagliare sarei trattato con altrettanta misericordia.”
Da
marzo, quando lui ce l'ha detto, per me, per i miei ammalati e poveri é
diventata il senso del nostro stare, convivere con tutti. In fondo in
quella frase {e contenuta la grazia del mio modo di guardare gli
ammalati, le donne di strada, gli omosessuali, le lesbiche, i travestiti
che raccolgo nella mia clinica. Loro hanno bisogno di ciò che ho
bisogno io: LA CAREZZA DEL NAZARENO, sentirsi perdonati, abbracciati.
Uno cambia quando é guardato così e solo cosi.
L'altro
giorno é stato arrestato per pedofilia uno che ha abusato di uno dei
miei bambini. Lascio a voi immaginare il dolore e la “rabbia”. Ebbene
con il cuore in mano, senza badare a nessuno, sono andato ad
abbracciarlo. E così con ogni uomo, perché é scandaloso dirlo, ma anche
uno che é chiamato “pedofilo” é Cristo. Si anche lui é Cristo, come lo é
chiunque é nato da un uomo e da una donna. Anche i miei travestiti sono
Cristo. E così li guardo, le dono la mia povera vita. Una cosa é il
delitto, ma l'uomo é Cristo, É CRISTO.
E' relazione con il Mistero.
Come posso avere amici, anche preti che non capiscono questo?
Ma
Cristo é morto per me, é morto per il perverso, per l'omosessuale, per
il pedofilo, per l'uomo delle strade, é morto anche per Hitler...o no?
Tutti
i giorni vivo con quelli che sono chiamati la “feccia” della società,
eppure in nessun uomo ho visto come in loro il segno inconfondibile del
Mistero.
Ieri ho ricevuto una mail.
Sentite che cos'è il cristianesimo, cosa vuol dire guardare dove c'è qualcuno che guarda l'uomo in questa maniera...
Carissimo
Padre Aldo, ieri é venuto mio marito che cercava una sua cosa- siamo
separati da molti anni e già ti ho scritto- come é entrato l'ho
abbracciato e gli ho dato un bacione come MAI avevo fatto!!! E la colpa é
TUA!! Se tu guardi Gesù nei tuoi malati voglio vederlo anche io in
tutti specialmente quelli che mi ha dato la vocazione.
Ogni
giorno con i miei sacerdoti preghiamo per quelli che offendiamo perché
ci perdonino e per quelli che ci offendono perché sappiano perdonare.
Allora,
ogni uno di noi, prete o no ha a che fare con la propria miseria e
quelle altrui: per cui mi chiedo che cosa abbiamo fatto di quella
provocazione di Carron?
Qui da me c'è una bella donna, responsabile delle casette di Betlemme.
A
lei, il braccio destro del dittatore Stroessner le ha fatto sparire e
uccidere il papá, di cui non sanno dove hanno buttato il corpo. Nella
scuola di comunità le ho chiesto: “Jazmin cosa provi per il torturatore
uccisore di tuo papá?”
Piangendo mi dice:
“Vedi quel crocifisso sulla parete. Ebbene al posto della testa di
gesso di quel Gesù metto la testa viva del torturatore di mio padre.
Sono cristiana e non posso non vivere così”
E
lo diceva piangendo. Allora amici, preghiamo il Sacro Cuore di Gesù
perché anche fra noi rifiorisca la caritá dentro tutte le nostre
miserie, che la carità sostenga le istituzioni perché o il cuore di
tutto é l'uomo o siamo davvero farisei.
“Passione per Cristo, passione per l'uomo”
L'ho pensato mentre incontravo e abbracciavo questo povero uomo.
Con affetto
P. Aldo
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Postato da: giacabi a 17:36 |
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padre trento
Segno e Mistero coincidono. Nel Presente.
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Cari amici,
oggi dopo 5 giorni bellissimi e commoventi in cui abbiamo rivissuto quella ingenua baldanza dei primi anni del movimento, peró una baldanza matura, sono ripartiti Marcos e Cleuza e i loro, i nostri altri amici: i coordinatori del
1-
in 5 mesi sono venuti qui giá 3 volte. Fra noi da quando ci siamo
conosciuti, grazie alle indicazioni di Carron, ci vediamo ogni mese. Questo é un miracolo che Dio regala quando un uomo é serio in ogni istante con la propria vita. Senza drammaticitá non nasce niente, e tutto diventa banale.
2-
“Incontrando Marcos e Cleuza e gli amici ho capito che il
movimento é per tutti” (Testimonianza di un ragazzino della parrocchia
che insieme a padre Paolino e altri 3 ragazzi hanno fatto 50 ore
di strada per andare dal Paraguay all'incontro di febbraio al
palasport di san Paulo).
3- “Noi
veniamo in Paraguay per imparare a come guardare ogni uomo, come
qui si guardano gli ammalati. Qui in San Rafael c'é solo dolore,
sofferenza e uno si dispererebbe nel vedere questo oceano di dolore, qui
non c'é niente di “bello” perché il dolore non é bello, i bambini
abbandonati non sono una cosa bella, gli anziani abbandonati e
alcoolizzati non é bello, i malati aids, di cancro che muoiono non “é
bello”. Qui non c'é niente di bello.
Peró c'é la bellezza: la evidente Presenza di Cristo. Qui é impossibile non vedere, non toccare, abbracciare Cristo. Qui, lo sguardo di Cristo ti prende.
E
per questo in 5 mesi siamo giá venuti 3 volte e questa volta abbiamo
portato anche i nostri amici piú cari, perché vedano, tocchino, la
familiaritá di Cristo” [testimonianza di Marcos]
4-
Carron, seguire Carron é stato il ritornello commovente in ogni
istante. Con Gesú é stato l'uomo più citato in questi giorni. Gesú –
Carron sono stati la presenza piú familiare in questi giorni.
5- Le testimonianze degli amici di Marcos e Cleuza, hanno sconvolto e segnato tutte le persone della parrocchia. Che storie di dolore, di solitudine, ed ora di una bellezza unica!
6 – “Ho
visto gente morire felice, e questo mi aiuta a crescere nella mia
umanita. É impossibile non dire "Tu" davanti a quanto qui accadde.
L'unica cosa che ci interessa é dire sempre con maggior consapevolezza
“Tu” a Cristo. C’é un segreto perché questo passa
- Stando in questa compagnia, in questa amicizia in cui sono evidenti i segui inconfundibili della Suo Presenza - Obbedire al cuore. Il cuore é il giudizio: “Io sono Tu che mi fai”, come ripete sempre P. Aldo. E lo si vede molto bene qui”
7-
L'altro giorno stavamo andando alla fattoria per una giornata di
convivenza tra i miei coordinatori e Marco e Cleuza con i loro, quando,
stando in macchina con padre Paolino ad un certo punto Cleusa domanda: Ma quanto vi costa un bambino della casa di Betlemme al mese?
Sul momento non ho capito e risposi a caso “piú o meno 30 dollari”.
E
loro : “Padre Aldo abbiamo deciso con la nostra gente di adottare tutti
i tuoi bambini delle casette di Betlemme e ti manderemo 1000 dollari al
mese. “La nostra amicizia che nasce della familiaritá con Cristo e' un
dono e deve arrivare a questo punto. Voi vivete di caritá vivete con chi
non puó aiutarvi, con chi non é autonomo e noi vogliamo aiutarvi”.
Ci guardiamo Paolino ed io con gli occhi umidi.
Che
dire? Solo con amici cosí il mondo cambia, protagonisti in tutto. Non
piú assistenzialismo ma protagonisti, amici. Vi giuro non so descrivere
il resto della giornata, ma sinceramente direi con Gesú “non ho mai
visto tanta fede, tanto amore, come in questa donna”. Vi ricordate il fatto evangelico.
Allora capisco perché Marco
e Cleuza al giornalista che gli chiedeva: “Ma perché siete venuti per
la terza volta in Paraguay” Hanno risposto: “Perché dove vediamo con piú
chiarezza la presenza di Dio, il volto di Cristo, lì corriamo.
Torniamo qui, perché qui possiamo toccare con piú intensitá il manto di Cristo. In nessun altro luogo é cosi evidente, cosí intensa la Presenza di Cristo”.
8-
Cleusa sta cucinando. Arrivo io: “Marcos e Cleusa, é morto Dionisio di
AIDS!?”. Risposta di Cleusa, intenta a preparare il pranzo: “Ha
incontrato Gesú, padre”
Questa é la familaritá con Cristo.
Con affetto, P. Aldo.
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Postato da: giacabi a 20:45 |
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cristianesimo, padre trento
Segno e Mistero coincidono. Nel Presente.
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Una recentissima lettera di P. Aldo:
Carissimi amici, i segni inconfondibile del Mistero coincidono con la realtá e grazie a questa Presenza la vita é sempre bella, perché posta di fronte alla veritá. Una posizione drammatica che trasforma la libertá in grido.- questa mattina mentre incontro gli ammalati arrivo giusto nel momento in cui Nicolas, un uomo adulto, mendicante, solo nel mondo, sta morendo. La bella infermiera gli tiene la mano. Che bella questa posizione! Tenere la mano con amore é la carezza di Dio, del Mistero. Recito la preghiera- la morte che arriva trasforma tutto in supplica- gli do la benedizione Papale (che grazia riceverla!) mentre il respiro si fa sempre piú affannoso e distanziato nel tempo. Lo guardo, é proprio bello come sta morendo. Il cancro lo ha consumato. Lo guardo, siamo in tre a guardarlo, a pregare, a fargli delle carezza. É sereno, inconsciente, ma giá vede Dio. E i suoi occhioni spalancati ce lo dicono. Alcuni minuti ed é giá con Gesú. La morte ha fatto il suo lavoro ma é uscita sconfitta. Adesso Nicolas é giá lassú. 2- ero alla fattoria lunedi, dove abbiamo gli ammalati di AIDS “recuperati”. La cuoca mi dice: “padre laggiú nel bosco c'e una capanna e una donna da 9 mesi che grida notte e giorno. É paralizzata. Nessuno si cura di lei, é un mare di sporcizia. Vado, la vedo, mi presento, parla solo guarani. La cuoca mi traduce. Le dico che sono il Pa'i, il padre. Mi guarda, si calma. La guardo con tenerezza. É ancora una volta il segno evidente del Mistero che mi ha condotto lí. La sua testa non funziona, sputa da tutte le parti. Il voltastomaco mi paralizzarebbe, ma la certezza piú certa del mio respiro che lei é un segno inconfondibile del Mistero, e la tenerezza di Dio per me, mi permette di baciarla. Ma sopratutto di decidere: me la porto a casa mia. Cosí il giorno dopo mando due persone a prenderla, la responsabile della casetta per anziani che vivono nelle strade e un autista. Lungo i 40 km di distanza, urla e sputa. Lascio a voi immaginare la signora...eppure quando finalmente arriva avvolta degli sputi di quel segno inconfondibile del Mistero, mi dice: “sono contenta, non ho provato nessun ribrezzo”. Adesso la poveretta é qui con noi, in un bel letto bianco, tutta pulita. Sputa dovunque, ma che importa: l'amore, lo sguardo a lei come il segno della Presenza di Cristo, la educherá e non sputerá piú. L'educazione é possibile a tutte le etá a condizione che i miei occhi brillino della Sua Presenza.
3- Nicolas Perez (guardate la foto) é un piccolo
Nicolas era abbandonato. Mangiava erba del prato e beveva acqua. Guardate la sua pancia quando é arrivato. Era pieno di vermi, era gonfio, era pieno di fame. Guardatelo in braccio a Cristina, la mamma dei miei bambini. Anche lui é un segno chiarissimo della Presenza del Mistero. Quanta tenerezza mi provoca questa piccola fiamma del divino che brilla fra le macerie di tanto dolore. Anche per lui é commovente l'atteggiamento del Mistero: “potrá una madre abbandonare Suo figlio? Peró Io non ti abbandoneró mai” “prima di formarti nel seno di tua madre Io ho pronunciato il tuo nome” “anche i capelli del tuo capo sono contati”
“Io
sono Tu che mi fai ” . Amici é questa granitica certezza che mi da la
garanzia di un futuro buono per ognuno di loro. Sono figli del dono che
Dio mi da, della speranza, della certezza, piú certa che la mia
esistenza “Io sono Tu che mi fai”. Cosí lo é chiunque Dio mi mette sui
marciapiedi della vita.
Ma se non fosse cosí … La vita sarebbe solo una fregatura. Ma non é
cosí, ma non lo é in assoluto perché é la mia umanitá a sbattermelo
tutti gli attimi in faccia. E quando l’umano é cosí vibrante non c'é una
virgola dell'umano che ti sia estraneo. Io sono Tu che mi fai. Capite,
cosa significa? Tutto, tutto é positivo.
4-
Un'altro imprevisto, perché la categoria del mistero, della realtá é
l'imprevisto. Sono le 21, mi chiamano : “Padre Aldo al bordo di una
strada c'é un vecchio abbandonato e ammalato non ha nessuno”. Stó
facendo la scuola di comunitá con la gente: “La differenza tra sogno e
ideale”. Il mio viso si illumina.
É la evidenza del paragrafo che stiamo leggendo, e la chiarezza della differenza tra sogno e ideale. Avviso l'autista, mamma Cristina, quella della casa di Belen e dopo un ora “l’ideale” é giá pulito, lavato, rifocillato, e messo a dormire in un bellissimo letto, in una casa famiglia dove raccogliamo i vecchietti, abbandonati e soli. É felice. Ecco questa felicitá é il segno della differenza tra sogno ed ideale. Vado a letto stanco ma contento perché Gesú stesso mi ha spiegato la scuola di comunitá mediante questo fatto. Davvero se non esiste l'umano, l' Avvenimento non entra, non attecchisce, ma quando attecchisce allora la tua umanitá vibra, e fa tremare il mondo come un vulcano vivo.
Amici
ma é proprio bello, bellissimo quanto Carron ha detto, agli esercizi
per quel poco che ho potuto sentire de Marcos e Cleuza che domani in
compagnia di Julian De la Morena, Bracco ed altri 13 amici verranno a
trovarmi e staremo assieme fino a martedí.
Dio mio che razza di amicizia, di tenerezza nasce quando uno prende sul serio la sua umanitá seguendo con intelligenza del cuore Carron, che quando parla va diretto al cuore provocando un movimento dell' umano che ti fa guidare “ O Cristo mio se non fossi tuo sarei creatura finita”.
Un abbraccio e pregate per me la Madonna in questo mese di maggio.
P. Aldo Il giorno dopo, il 2 maggio, è arrivata quest'altra mail:
Ecco Diego Perez, il piccolo indio che mangiava erba... finalmente figlio di Dio.
L’abbiamo batezzato ieri sera con la presenza di Marcos, Cleuza, Julian de la Morena e gli amici del Brasile.
Amici, che miracolo questa amicizia!
Con affetto
P. Aldo
postato da AnnaV
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Postato da: giacabi a 20:03 |
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padre trento
VIAGGIO A ROMA
E per guida l'amico padre Aldo
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Federico
Franco, vicepresidente del Paraguay, è stato in visita in Italia.
Da Roma a Riva del Garda con una guida speciale: un caro amico che vive
nel suo Paese, padre Aldo Trento (leggi tutto qui)
Ed ecco cosa ci scrive Padre Aldo:
Asunción, 31 marzo
Cari amici, volevo ringraziare il Signore e la Madonna con voi, di ritorno dal viaggio in Italia.
Un pellegrinaggio autentico come quelli medioevali.
Il
motivo di questa gioiosa fatica é stato fondamentalmente determinata
dal desiderio che il caro amico, l´attuale vicepresidente della
Repubblica, Dottor Federico Franco, conoscese il cuore di Comunione e
Liberazione.
E
cosí é accaduto. Dapprima l´incontro con il Santo Padre che ci ha
accolto con una felicitá che mi ha comosso. Ho potuto brevemente dirle
chi sono e ció che il buon Dio fa mediante questo povero uomo. Non
dimenticheró mai il suo sguardo, il suo sorriso, le sue espressioni
piene di affetto. Dare la vita per questo uomo é il primo sentimento che
mi ha preso.
Come continuitá di questo incontro é stato il ricevimento a Milano da parte di Julian Carron.
Ci
tenevo tantissimo che il Vicepresidente vedesse Giussani, conoscese
direttamente colui a cui Don Giussani, come 2000 anni fa, Gesú con
Pietro, ha conferito la responsabilitá di guidare un popolo nato dal suo
carisma. Non so come ringraziare Carron per l´ora e piú di tempo che ci
ha donato, dialogando con semplicitá come Gesú faceva con gli umili di
cuore con il Dottor Franco, peraltro curioso di tutto e pieno di
domande. Anche questo momento come quello con il Papa ha suscitato lo
stesso sentimento in me. “Signore ti offro la mia vita e quella dei miei
ammalati per questo uomo grande perché umile, cióe perché si vede che
vive toccato dal Mistero, si vede la sua familiaritá con Cristo”
E
la chiarezza con cui ci parla, la tenerezza del suo sguardo, e
l´umanitá con cui ci abbraccia ne sono l´evidenza. Ci ha impressionato
la sua libertá, cioé l´uomo che come Abramo sta davanti al Mistero. Dare
la vita per lui per il Santo Padre sono le ragioni della mia vita e il
mio grazie, perché senza questi due uomini la nostra vita si ridurebbe
uguale a quella dei famosi “reduci” o ex combattenti, che, magari
continuano a trovarse come gli alpini, vivendo di ricordi e di fiaschi
di vino.
Salendo
di metáfora: la nostra vita si ridurebbe a sostenerci prima di cadere
nella tomba. Da questi due momenti che hanno comosso il vicepresidente
sono partiti tutti gli altri incontri con la vita di C.L: dalla scuola
di comunitá con Maurizio Lupi, dei parlamentari in Roma, l´incontro con
Fini e Lupi al parlamento, con Alemano, con il Centro Internazionale con
Roberto Fontolán e amici,
con Mons. Camisasca, un incontro bello e significativo che ha permesso
di andare al cuore della Fraternitá San Carlo e rendersi conto del
perché noi tre preti siamo quello che siamo. I due giorni a Riva del
Garda dove é rimasto stupito da come C. L educa anche quanti sono
impegnati in politica.
“Mai
mi sarei immaginato che nella pagana Europa ci fossero politici che
vivono con una consapevolezza grande la propia fede, senza vergogna e
vivendo ogni gesto nella certezza che Egli é qui”
Insomma
é tornato in Paraguay, con la decisione che anche qui riaccadda lo
stesso avvenimento, giá presente nella nostra compagnia di San Rafael.
“Adesso comprendo perché voi siete cosí, perché la parrocchia é cosí ed é
per me un modello di come vivere anche a livello di governo”
I
giorni in piú che sono rimasto in Europa sono stati una gioia sia
perché in compagnia dei miei cari amici Marcos, Cleusa e Julian de la
Morena siamo stati a Barcellona, Monserrat, Santiago di Compostela,
Burgos e l´incontro a Madrid. A Barcellona l´incontro con la comunitá e
Sotoo, lo scultore della Sagrada Famiglia é stato un bagno di scuola di
comunitá.
L´incontro
nella basílica Santa Maria del Mare, una chiesa gotica bellísima ci ha
permesso di spiegare mediante l´esperienza del seguire Carrón come anche
la crisi attuale é una grazia, come ci ha ricordato il vangelo della
quinta domenica di quaresima quando Gesú dice a Marta che “la malattia
del fratello Lazzaro é perché sia riconosciuta la gloria di Dio”. Come
dire, e la Scuola di comunitá ce lo ricorda chiaramente che la speranza e
la gloria di Dio, da cui nace la sicurezza nel cammino. Allora il
problema é solo uno ed é la domanda che Gesú pone a Marta: “credi tu
questo?”. E da notare che aveva davanti il corpo giá puzzolente del
fratello
E lei “Si, Signore io credo”. Ecco
la crisi é perché finalmente l´uomo riconosca che é relazione con il
Mistero, non é il padrone del mondo, é creatura. Il problema é “credi tu
questo?”. Credi, crediamo che mai come questo momento storico é una
occasione bella per aprire nuove porte, vedere nuovi o rizzonti,
incontrare quei segni inconfondibili della Sua Presenza?
Pensando
alla mia vita e a quello di Marcos e Cleuza con entusiasmo ogni giorno
diciamo: “Si Gesú io credo”. Una settimana con questi amici, riprendendo
sempre quanto Carron ci dice, ha permesso di scoprire anche il modo con
cui Giussani ci educava al bello, al valore di ogni gesto, del
dettaglio, della comozzione di fronte alla realtá.
I
due grandi incontri di Carate e Lecco sono stati un aiuto per me e per
tutti a chiederci come stiamo davanti alla realtá, al Mistero, al fatto
se seguiamo con affetto Carron perché quelle febbre di vita di cui
parlava Giussani ci prenda e ci consumi. Ringrazio comosso queste due
grandi comunitá per avermi testimoniato una freschezza di vita e il
desiderio di seguire colui che ci permette di dire: Giussani é vivo, é
presente, attua. Come pure il gruppo del CLU del Canton Ticino o di
Varese, gli amici di Carron, che sono venuti di proposito a trovarmi
nella casa del Dottor Sega.
Mi
é sembrato di rivedere gli Zerbini quando ogni mese e mezzo, spinti
solo dall´amicizia vengono a trovarmi. E poi i tanti dialoghi con altre
persone, con quanti come Scoppa ci ha portato con Cleusa e Marco, Julian
de la Morena a Roma ed a Assisi, venendo apposto da Roma a Milano per
trasportarci. Insomma é stato propio bello vedere una nuova primavera
nel movimento. “Un movimento nel movimento” direbbe Giussani. E questo
grazie a quanti con allegria vogliamo seguire a Julian che con chiarezza
in ogni momento ci conduce al cuore dell´io”. Mi diceva una ragazza del
Gruppo adulto: “seguendo Carron sono tornata a rifiorire dopo anni di
invecchiamento”
Il
suo richiamo alla concretezza dell´io, del cuore come criterio
infallibile e oggettivo, all´io come relazione con il Mistero, alla
realtá come l´unico luogo dell´io, alla familiaritá con Cristo, etc. é
davvero l´aspetto piú reale, piú concreto della vita. E´di questo e solo
di questa concretezza di cui abbiamo bisogno. Al contrario quello che
noi chiamiamo “concretezza” e il massimo dell´astrazione, del
pregiudizio.
Il
problema, la crisi, verginitá si o no, matrimonio si o no, etc…tutto
ció che viviamo solo in questa concretezza a cui ci riconduce Carron
incontrano la chiarezza del cammino.
Abbiamo
bisogno di lui perché lui ci dice: ecco il problema é il io, é l’io tuo
cuore, é la realtá, é il tuo rapporto con il Mistero, é la tua
familiaritá con Cristo e poi ci dice: “guarda lí, guarda lá, non vedi i
segni inconfondibili della Sua Presenza che ti ricordano la possibilitá
del cristianismo anche per te”
Un abbraccio a tutti e grazie di cuore.
grazie ad :anna vercors |
Postato da: giacabi a 07:43 |
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padre trento
Aldo Trento
***
«Dicono
che sono folle perché curo gli incurabili, ma vorrei che la piantassero
di parlare a priori e venissero a vedere la vita dei miei rifiuti
umani»
di Rodolfo Casadei
Questo
prete ci darà un sacco di guai. Prossimo è il tempo in cui le sue
lettere, le toccanti e terribili lettere in cui descrive le sofferenze
dei suoi moribondi e l’amore che lo sospinge continuamente ai loro
capezzali, là nell’ospedale della missione di San Rafael in Paraguay,
verranno agitate nei talk-show per accusare i cattolici di sadismo e
forse scrutate negli uffici dei magistrati come notizie di reato per
chiudere i lazzaretti in cui i cristiani si compiacciono di assistere
l’agonia di «esseri mostruosi e deformi», come li ha definiti Giorgio
Bocca sull’Espresso. E il suo clamoroso gesto di protesta contro il capo
dello Stato che si è rifiutato di firmare il decreto legge che avrebbe
salvato la vita di Eluana Englaro (la restituzione della decorazione
della Stella della solidarietà di cui era stato insignito) ci sarà
rinfacciato come la prova della slealtà dei cristiani verso le
istituzioni. Guai a chi, quel giorno, lo rinnegherà. Perché sarà la
stessa cosa che rinnegare Cristo e se stessi. Padre Aldo Trento, 62
anni, quarant’anni di sacerdozio di cui venti di naufragio della
vocazione e della salute sprofondate nel nero gorgo della depressione, è
infatti un santo “per filiazione”. Figlio di don Luigi Giussani e
figlio del popolo di don Giussani, cioè Comunione e Liberazione. Non è
il santo che appare dal nulla come una folgore nella notte; è carne
della carne di don Giussani e dei figli di don Giussani (primo fra tutti
il sacerdote forlivese don Alberto Bertaccini), lentamente generato
nella fatica e nell’umiltà davanti alla sofferenza incomprensibile della
depressione. Don Aldo esercita il diritto e compie il dovere di
scandalizzare mostrando ed esaltando il contenuto provvidenziale della
sofferenza dei piccoli e degli innocenti, perché ha vissuto nella
propria carne patimento analogo e ne ha infine abbracciato la verità per
la Grazia della compagnia di chi gli è stato vicino sempre, fedelmente.
La sua voce rauca e nebbiosa, così simile a quella del più famoso prete
di Brianza da far trasalire, trasmette verità che non lasciano scampo,
perché coincidono con la drammaticità di una vita vissuta.
Padre Aldo, nel contesto della vicenda che ha portato alla soppressione di Eluana Englaro lei ha compiuto un gesto di protesta clamoroso: ha restituito l’onorificenza di cui era stato insignito dal capo dello Stato. Perché lo ha fatto? Perché l’uomo è un mistero, è relazione con l’Infinito. Io non posso pensare neanche per un istante che un presidente della Repubblica non rispetti la storia in cui questa coscienza dell’uomo come “io sono Tu che mi fai” ha creato il tessuto culturale e la civiltà non solo di un popolo, ma di un intero continente. Il gesto che ho fatto è stato come dire: «Caro presidente, guardi che lei non è il padrone della vita di nessuno. Anche lei in questo momento è fatto da un Altro, e mi duole che lei non possa capire questo». Anche perché io penso che col passare degli anni, avvicinandosi al giorno della propria morte, l’uomo se usa correttamente la ragione dovrebbe avere più acuto il senso dell’aldilà, il senso dei Novissimi, il senso del giudizio di Dio. E come può un uomo essere tanto arrogante da impedire che una persona umana, autenticamente umana, possa continuare vivere? Il secondo motivo della mia reazione è che mi sono sentito toccato nel cuore. Di Eluana si diceva che era allo stato vegetativo. Ma in fondo anch’io mi sono trovato allo stato vegetativo spiritualmente e moralmente per anni. Se è vero che la vita è vita quando ha un significato, io ho avuto momenti della vita in cui avevo perso il significato e avrei desiderato morire. Però ho incontrato un uomo, Giussani, che dallo stato vegetativo mi ha fatto rivivere, scoprire la bellezza della vita, il significato della vita. Facendomi anche capire che il significato non coincide con la funzione biologica, ma con il fatto che io possa essere cosciente di essere creatura divina. E se succedesse che io fossi incosciente, tuttavia farei ancora parte del Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Il terzo motivo è che nella mia clinica non ho un caso Eluana, ma tanti. Eppure quando mi inginocchio davanti a queste piccole Eluana, penso all’Amore del Padre verso di me, che potendo offrirsi Lui come vittima d’Amore, ha preferito come segno di Amore ancora più grande di offrire suo Figlio sulla croce per me. Un giorno mentre dicevo Messa nella stanzetta di questi bambini malati ho letto il passo della Lettera agli ebrei dove si dice che Dio castiga quelli che ama. Non capivo. Ma ho guardato il crocefisso e ho guardato Victor, uno dei piccoli malati. E in quel momento ho capito che Victor è un privilegiato. Perché se Gesù è stato castigato per amore nei miei confronti, allora Victor è Gesù che sta soffrendo per me e per tutti, perché possa salvarmi io e salvarsi il mondo intero. Ma l’uomo di oggi non vuole sentire questo, ha eliminato Eluana perché vuole eliminare il crocefisso. C’è questa tendenza a eliminare il crocefisso dai luoghi pubblici perché si vuole eliminare tutto quello che ci ricorda il dolore. Ma il dolore è l’inevitabile condizione per la bellezza, perché uno possa incontrare il Mistero. Se io non avessi conosciuto la depressione per anni, se non avessi conosciuto in me l’odio alla vita, però sotto il manto di Giussani e della Madonna, credo che Dio non avrebbe potuto fare di me uno strumento di amore e di tenerezza verso tutti i rifiuti umani che riempiono la città di Asunción e dintorni, che porto con me come figli e fratelli, come altri Cristi.
Oggi
la battaglia culturale è proprio su questo: ci sono intellettuali, come
Lidia Ravera, che accusano le persone come lei di sadismo, dicendo che
chi cura i malati incurabili lo fa per sfruttare le loro sofferenze, per
sentirsi buono attraverso di loro. Oggi il giudizio morale va
ribaltandosi: chi vuole curare i malati è crudele, perché vuole
mantenerli nella sofferenza, chi li sopprime invece è veramente
compassionevole.
Il problema è tutto nella risposta a una domanda: chi è l’uomo? Se l’uomo, come dice Sartre, è “una passione inutile”, un essere per la morte, allora non ho niente da obiettare. Però ci sono in noi delle cose inesplicabili come l’esigenza di amore, di infinito, di eternità, di bellezza. Questa nostalgia dell’eterno suggerisce che l’uomo è il frutto più bello del Mistero. Per cui, se Dio esiste, tutto ha un significato. In secondo luogo, questi signori non hanno conosciuto quello che ho conosciuto io, o che ha conosciuto Pavese, o che ha conosciuto Leopardi, o che hanno conosciuto tante persone: il “male del vivere”. Chi ha conosciuto il male del vivere ma ha avuto la Grazia, a differenza di Pavese, di incontrare un uomo come Giussani che lo ha amato, capisce bene che il sadismo è il loro, non il mio. Io sono uno che è resuscitato, che con molta facilità se non avesse avuto l’incontro con Giussani si sarebbe volentieri autoeliminato. Credo che quello che umilmente faccio io oggi sia l’espressione di un amore. Perché solo Dio sa quanto soffro, quanto soffro in questo dolore. Però non mi importa se non mi caspiscono. Forse grazie al mio dolore e al dolore dei miei figli anche per loro ci sarà, nell’ultimo istante della vita, un barlume minimo di lucidità per il quale si renderanno conto di ciò che ora, ubriachi di orgoglio come il demonio, disprezzano.
In
questo momento storico drammatico è però successo anche un fatto
inaspettato: mentre non pochi cristiani mostrano cedevolezza alla
mentalità comune sui temi bioetici – l’ultimo caso è appunto quello
dell’eutanasia a Eluana Englaro – ci sono stati degli atei e degli
agnostici che mostrano sensibilità per la sacralità della vita. Il caso
più clamoroso è quello del medico e cantante Enzo Jannacci, che si
dichiara ateo, e che ha evocato «una carezza del Nazareno» per Eluana.
Ci sono uomini autentici che hanno una coscienza limpida di cos’è la ragione. Perché se la ragione è la capacità di guardare la realtà secondo la totalità dei fattori, allora capisco perché Jannacci ha detto quelle cose. Mentre tanti cattolici, proprio perché non fanno un uso corretto della ragione, non hanno neanche la coscienza della fede. La ragione ti apre la totalità dell’altro, te lo fa vedere come il riflesso del Mistero, qualcosa che sfugge alla tua portata. Jannacci mi ha commosso perché, come Leopardi, non è realmente un ateo. È più autenticamente religioso di migliaia di cattolici e anche di preti come quelli di Udine, favorevoli all’eutanasia su Eluana.
Il
cristiano è chiamato alla testimonianza. Come deve essere la sua
testimonianza nell’ambito politico, in questo momento storico
drammatico? Che responsabilità deve esercitare?
È necessario prendere sul serio il magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II, cioè prendere sul serio il cuore del cristianesimo, che è l’amore alla persona nella sua totalità. Dio vuole che la politica torni realmente ad essere per l’uomo, per la sua integralità. Ciò sarà possibile solamente se recupereremo un concetto chiaro di ragione. La sfida è lì: dobbiamo decidere chi è l’uomo. Se l’uomo è un numero che è uscito alla roulette, come dice Monod, allora è possibile tutto. Ma se l’uomo è relazione con il Mistero, le cose stanno diversamente. La politica deve decidere: o seguire quello che dice Monod, o decidere per quello che è l’uomo secondo la ragione: “Io sono Tu che mi fai”. La politica deve recuperare questa prospettiva del Mistero, altrimenti tutto diventa assurdo.
Lei
ha fatto l’esperienza di quel che dice san Paolo: «Quando sono debole, è
allora che sono forte per Cristo». Oggi la Chiesa è debole davanti alle
potenze del mondo. Come può trasformare questa debolezza in forza?
A me impressiona quello che diceva Giussani: noi cristiani, e soprattutto molti pastori, vescovi, preti, religiosi, abbiamo vergogna di Cristo. Questo credo sia il delitto più grande. Se il mondo è quello che è, è perché noi, come dice Eliot, abbiamo abbandonato l’uomo. In America latina è evidente, anche nel mio paese: disobbedendo alle direttive del Santo Padre, un vescovo si è presentato alle elezioni e si è tirato dietro il 90 per cento del mondo cattolico. Invece dobbiamo recuperare la fedeltà effettiva e affettiva al Papa, superando quel complesso antiromano che da più di un secolo ci portiamo dietro. Quanto più saremo uniti al Papa, quanto più lo ameremo e lo seguiremo, tanto più il continente definito “il continente della speranza” da Giovanni Paolo II tornerà a rifiorire, mentre oggi è percorso da un asse del male che va da Raúl Castro a Chávez, a Rafael Correa, a Evo Morales e Lula.
Oggi
la parola d’ordine della nostra cultura è “autodeterminazione”. Tutto
va bene purché sia risultato di autodeterminazione. Va bene curare i
malati inguaribili ma va bene anche sopprimerli; va bene abortire così
come va bene tenere il bambino: basta che siano decisioni
autodeterminate. In questo caso cade l’accusa di sadismo contro chi
accudisce i sofferenti, ma a prezzo di un relativismo morale assoluto.
Anche alcuni teologi e cristiani impegnati vedono
nell’autodeterminazione una delle caratteristiche salienti dell’identità
cristiana. Cosa ne pensa?
L’esistenza stessa documenta la menzogna, la diabolicità di questa posizione. Quando chiedo a un bambino in braccio ai suoi genitori “come ti chiami?”, lui guarda suo padre e sua madre come a dirmi: «Padre Aldo, hai sbagliato domanda, la tua domanda avrebbe dovuto essere: “Di chi sei?”». In ogni istante, io dipendo da qualche cosa: anche dagli elementi chimici, dagli elementi cosmici, da tutto. Ma ancora di più dipendo dal mio cuore, che mi porta inesorabilmente a cercare, a mendicare l’infinito. Poi io parto dalla mia esperienza di vita: se non avessi avuto la Grazia di qualcuno che mi ha aiutato a prendere coscienza di questa dipendenza ontologica, non sarei qui a parlare con lei. Perché l’autodeterminazione, nel caso della mia malattia, mi avrebbe spinto a farla finita con la vita. E tutto sarebbe finito. Invece è sorto un popolo che oggi gode di questa gioiosa dipendenza dal Mistero che io ho vissuto grazie a Giussani, che mi ha permesso di ritrovare il senso della vita e di farlo riscoprire a centinaia, a migliaia di persone. Quindi la posizione anarchica potrà anche appassionare, ma uno deve spiegarmi: prima non c’ero, adesso ci sono. Quindi Qualcuno mi ha creato. E poi, perché tutti cerchiamo un gesto d’amore? «Una carezza del Nazareno»: che cosa voleva dire Jannacci con questa frase, se non che l’uomo è dipendenza, proprio perché ha bisogno di una carezza? Aver bisogno di una carezza è già un desiderio, un grido di dipendenza. È dire “io sono Tu che mi fai”. Io sfido tutte queste persone a dirmi se c’è un momento della loro giornata in cui possono prescindere da una dipendenza, non importa da che cosa. Anche un ateo nel profondo di sé, arrivando alla sera e guardandosi allo specchio, capisce che da solo non può niente, che da solo si autoeliminerebbe, ma il cuore gli dice: “No, guarda che tu sei fatto da un Altro”, ed è da qui che origina la tristezza che in fondo tutta questa gente ha dentro. Io non ho mai incontrato nessuno, in quarant’anni che son prete, che non mi abbia mai chiesto: «Padre, mi benedica». Io ho assistito morire i fondatori di Ordine Nuovo rifugiati in Paraguay, Graziani e Massagrande. Più atei di loro non c’era nessuno. Eppure sul letto di morte questa dipendenza, questa affermazione del Mistero, l’ho ritrovata sulle loro labbra: mi hanno chiesto di confessarsi. Quando nella vita urge il momento decisivo, l’orgoglio si dilegua.
Recentemente
è morto il figlio di 6 anni del capo dell’opposizione parlamentare in
Inghilterra, David Cameron. Era nato con una grave disabilità. Il padre
ha detto: «Quando è nato questo bambino, noi abbiamo pensato: “Avrà
bisogno di tutte le nostre cure, dovremo fare tanto per lui”. Adesso che
è morto, mi sono accorto che è lui che ha fatto tantissimo per noi. Chi
ha ricevuto di più dal rapporto siamo stati noi». Che ne pensa?
È la stessa cosa che mi dicono le cento persone che lavorano nella nostra clinica. Credete che vengano a lavorare solo per lo stipendio? No. Mi dicono: «Padre, non possiamo più lasciare questo luogo, perché siamo noi che tutti i giorni torniamo a casa arricchiti, più umani». Cambia il rapporto fra marito e moglie: c’è gente che riscopre il valore della famiglia e chiede il matrimonio, ci sono madri che riscoprono l’amore per i figli, depressi che vengono anche dall’Italia e tornano a casa con un ritrovato gusto di vivere, imprenditori falliti che scendono da me e tornano in patria recuperati. Tutti mi dicono: «Padre, ma siamo noi i beneficiati di questo ospedale, non gli ammalati. Sono gli ammalati che assistono noi. Ci comunicano la bellezza della vita, il senso del dolore come cammino redentivo». Capisco benissimo quello che ha detto David Cameron. E vorrei che tutti venissero a vedere la Grazia che ha ricevuto quest’uomo che sono io: centinaia di figli deformi, bambini malati di Aids, che mi fanno riscoprire ogni giorno di più uomo. Io non mi sarei curato della mia depressione, non la affronterei se non vedessi tutti i giorni, più volte al giorno, quei malati terminali, quei bambini che mi guardano con gli occhi e mi dicono senza parlare “ma tu mi vuoi bene!” e “padre Aldo, noi soffriamo per te, perché tu possa andare avanti e aiutare gli altri”. Per queste mie parole sul Manifesto del 17 dicembre hanno scritto: “Le follie del prete del Paraguay”. Io vorrei che questa gente imparasse a parlare partendo da un’esperienza, non da un a priori. Perché a priori si possono dire un sacco di sciocchezze. Ma è la vita che parla, come dice quel bellissimo blues. Quello dove Richard diceva alla nonna: «Ma Dio non esiste», e la nonna rispondeva «È la realtà che dice che Dio esiste». |
Postato da: giacabi a 14:22 |
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padre trento
Alicia, malata di AIDS,
finalmente tornata a casa
***
Carissimi amici,
Guardate
che bella Alicia, una delle mie figlie piú care, ammalata di AIDS,
finalmente ritornata a casa. Si perché piú volte, una volta recuperata,
se ne tornava nella strada a fare la vita di sempre e contangiando
centinaia di poveri essere umani. Ha tre bimbi, di cui una vive con me
insieme ad altri bambini miei. Ha 21 anni. E´bella questa mia figlia.
Sta malíssimo, l´AIDS la sta divorando.
L´ho
abbracciata come solo un uomo puó abbracciare una donna, come solo la
verginitá permette, perché solo la verginitá fa rifiorire un albero
secco. Ha chiesto: “papá voglio confessarmi”. “Figlia, mi basta questa
domanda e già ti assolvo”. Un minuto e poi la festa. Ma capite quando
Gesú dice: “Le prostitute vi precederanno nel Regno dei Cieli”. La
guardo, sta molto male. Mi avvicino, vuole sentirsi abbracciata,
accarezzata. Un oggetto da sempre per divertire gli assettati di sesso,
adesso é lei, una donna, che bello!
Una donna. La guardo mentre mi stringe le mani e penso a Gesú quella volta dell´adultera: “donna!...”
La chiama “donna”. Che bello! La parola “donna” per me, come la usa Gesú, descrive tutta la sua grandezza.
Ebbene
adesso é qui con un unico desiderio: vivere la dignitá incontrata. Per
lei é fiorita la speranza che come ci ricorda la Scuola di Comunità è la
Gloria di Dio, e la certezza che Cristo ha già vinto.
Per questo Alicia è sicura e non teme il futuro perchè sa che questo abbraccio che non l`ha mai mollata è definitivo.
Con affetto
P. Aldo
Nota: Una delle sue bambine vive con me nella Casetta di Betlemme
grazie ad annavercors.
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Postato da: giacabi a 12:11 |
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padre trento
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Postato da: giacabi a 20:30 |
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padre trento
Un abbraccio...
***
Da: padre Aldo TRENTO
Data: Thu, 26 Feb 2009 08:29:41 -0300
Oggetto: lettera 26/02/09
Cari amici,
Patrizia
era una giovane prostituta di 19 anni. Era stata trovata nuda,
violentata, distrutta in tutti i sensi e portata qui. AIDS galoppante.
Spaurita come un pulcino nella stoppa. Lavata, pulita, baciata,
abbracciata: cambia, sorride, diventa lei, lei come inizio di coscienza
di “io sono Tu che mi fai”. Il suo bisogno di amore è più grande della
fame che la portava a mangiare il cartone.
Un giorno dice alla psicologa: “vivevo prostituendomi perché almeno così qualcuno mi toccava, mi baciava, mi stava vicina…e mi dava un po’ di soldi”.
Ascoltavo
commosso quelle parole perché anch’io sarei stato come lei se quel 25
di Marzo 1989 non fossi stato abbracciato da Giussani e poi da P.Alberto
e poi da P.Paolino, da don Massimo ed ora da Carron.
Dopo
quel colloquio l’ho baciata, abbracciata, le ho detto che le voglio
bene. Finalmente un povero uomo…ma diverso da chi l’ha usata perché
continuamente cosciente di essere abbracciato da un Altro, ma un altro
concreto come nei giorni scorsi nell’esperienza dei responsabili
dell’America Latina e dai miei amici gli Zerbini, Julian de la Morena,
Paolino e Daf e questo mio popolo, anche lui nato da quell’abbraccio di
20 anni fa. Che commozione quando i giorni scorsi ho condiviso alcuni
giorni di vacanza con gli Zerbini, che si erano preoccupati perfino
della mia dieta (sono diabetico), di darmi una camera singola sapendo
della mia fatica a dormire…e quando sono tornato ad Asuncion mi hanno
subito chiamato per vedere come ero arrivato, se stavo bene ecc…
Un
abbraccio che diventa sempre più grande perché l’uomo ha solo bisogno
di questo. Che dolore quando vedo che spesso noi preti o consacrati
essere come un ferro arrugginito con uno sguardo spento.
Così
domenica Patrizia, dopo 15 giorni fra noi, ha ricevuto il Battesimo, la
Cresima e la prima Comunione. Mi piacerebbe mandarvi le foto, ma mi
sembra di capire che al Nord del mondo certe foto danno fastidio quando
ricordano che la realtà grida: “Lui esiste”.
Comunque da
domenica Patrizia è solo Patrizia, senza nessun aggettivo o sostantivo a
fianco. Da ieri lei ha cominciato a sorridere. Amici, Patrizia sa una
cosa: “io sono Tu che mi fai”. Come padrini P.Aldo e un’anziana signora
del mio ricovero (casa famiglia) senza memoria, ma ogni tanto
cosciente…quando l’abbraccio e le parlo con affetto.
Amici
cari, sono morte 4 persone questi giorni nella clinica…ma la morte
ormai sorride, non è più arrabbiata perché si è resa conto che la vita è
più forte e la vita è Gesù.
Un abbraccio
P.Aldo
NOTA:
è stato qui Bernard Scholtz. Ha detto: “mi è stato sufficiente leggere
quanto scritto nella porta della clinica per capire che qui c’è l’inizio
del paradiso: “chiudere la porta con delicatezza e accompagnandola
perché anche la porta è Cristo”. Del resto S.Paolo dice “la realtà è il
corpo di Cristo”.
Tutta l’educazione qui è sviluppare questa esperienza che “Il rischio educativo” esprime in modo eccezionale perché reale
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Postato da: giacabi a 12:21 |
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padre trento
Giussani è vivo ed è vivo se seguiamo radicalmente Carròn
***
Da: padre Aldo TRENTO
Data: Sat, 21 Feb 2009 09:56:07 -0300
Oggetto: lettera 22/02/200
Cari amici,
“non ci ardeva il cuore mentre lungo il cammino parlavamo con lui?”
Si domandavano i due discepoli di Emmaus. Ebbene, alla fine di questi
giorni passati in compagnia di Carron, durante l’incontro responsabili
dell’America Latina a S. Paolo e il commovente incontro allo stadio con 15000 amici guidati dai miei carissimi amici, gli Zerbini, è quanto vibra dentro di me.
Ho rivisto vivo, palpitante, fisicamente presente, don Giussani.
Guardando
Carròn, ascoltandolo, lasciandomi provocare dall’intensità della sua
umiltà che ci conduce sempre a quello che Giussani definisce “il
criterio oggettivo, infallibile per giudicare tutto, il cuore” era
evidente che Giussani stava lì. Che bello: per me Giussani non è morto,
anzi, direi che in Carròn è più vivo di prima. Ed è il mio cuore a
dirmelo, perché ero commosso nel seguirlo, era come quel primo giorno
che avevo incontrato Giussani in via Martinengo, era come quando 20 anni
fa mi ha tenuto con sé due mesi: la stessa intensità di sguardo, una
capacità impressionante di parlare al mio io. Davvero nei miei 62 anni
solo Giussani ed ora Carròn hanno saputo e sono capaci di parlare così
al mio cuore.
Uno spettacolo che, avvicinandosi l’anniversario della morte di Giussani, mi fa gridare: Giussani
è vivo, più vivo di prima perché adesso quelle parole che avevano
soffocato il mio cuore, salvandomi dall’ideologia, hanno in me uno
spessore impensabile allora. Allora sentivo la verità della promessa,
oggi vedo il lento, inesorabile, progressivo compimento.
Amici, che razza di uomo questo amico e padre Carròn!
E
come vorrei che con l’intelligenza dei “piccoli”, con la semplicità dei
bambini ci potessimo immedesimare con lui, con quanto ci indica. Ho
visto in lui il Giovanni Battista: un uomo che rimanda ad altro, ci
indica quei segni inconfondibili del Mistero che sono fra noi. Sono
tornato commosso, come ai primi giorni del mio incontro con il Giuss,
fino al punto di chiedere ai miei ammalati terminali questa mattina:
“amici, da oggi in avanti offriamo
i nostri dolori ed anche il sacrificio della nostra vita per questo
uomo che davvero è la garanzia per ognuno che quell’abbraccio del Giuss
mediante il quale Dio ha cambiato la mia vita, segua vivo”.
Come
vorrei che quanti hanno la grazia di ascoltarlo di frequente o vivergli
al fianco vibrassero come vibra il mio cuore da quando due anni fa l’ho
conosciuto prendendo sul serio la sua instancabile ripetizione: “io
sono Tu che mi fai” o quella del vangelo “anche i capelli del vostro
capo sono contati”. È proprio da quel giorno che è sbocciata anche la
grande amicizia con gli Zerbini, un’amicizia piena di chiarezza, di
tenerezza che ha spinto loro a venire ben due volte a visitarci e a P.
Paolino con 4 ragazzini fare 50 ore di corriera per partecipare al
grande gesto di domenica scorsa allo stadio.
Amici,
uno spettacolo di fede che, credo solo nel Medio Evo era possibile
vedere, quando un re aderiva alla fede, tutti aderivano, così come
erano, grandi peccatori.
Davvero ho rivisto il cuore del Movimento, della libertà. Dopo
anni di stanchezza, di rischio di vivere di ricordi, oggi a 62 anni
comprendo, vedo che Giussani è vivo ed è vivo se seguiamo radicalmente
Carròn, assimilandoci con il suo modo di vivere Giussani. La paternità
umana di quest’uomo, che ha come centro l’io, la realtà, il cuore umano,
commuove e sconvolge tutti. Come è successo venerdì
mattina quando con gli Zerbini ho incontrato il cardinale di S. Paolo e
alcuni fra i più importanti Rettori universitari della città.
Amici,
volevo solo “festeggiare” con voi la certezza che Giussani vive e che
quanti seguono con intelligenza Carròn toccano con mano questa verità:
siamo più felici, più contenti. Mentre chi vive di nostalgia è triste.
Un abbraccio
P.Aldo
grazie a: http://ceccus.blogspot.com/
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Postato da: giacabi a 20:39 |
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giussani, carron, padre trento
Siamo insieme per l’effervescenza del proprio io. Siamo insieme per dire “Tu o Cristo mio” ***
Nec lingua valet dicere / nec littera exprimere
Expertus potest credere / quid sit Jesum diligere
Da: padre Aldo TRENTO
Data: Fri, 13 Feb 2009 10:57:54 -0300
Oggetto: lettera 13/02/09
Cari amici,
vorrei
mandarvi qualcuna delle 3500 mail che mi sono arrivate dal 28 agosto ad
oggi. Quanto dolore, quanti drammi di ogni tipo. Ecco, questo è l’uomo,
questo sono io. Una domanda di aiuto, di una carezza, di qualcuno che
si metta in adorazione davanti alla grandezza dell’io. Ogni giorno il
mio cuore soffre e arde dal desiderio di abbracciare, consolare questo
“io” cosmico di dolore. Ed è in questa prospettiva che la mia clinica è
bella. È proprio bella perché qui si “adora” l’uomo, qui l’uomo appare
in tutta la sua grandezza. Per questo ieri sera dicevo al Vicepresidente
della Repubblica e al ministro dell’educazione venuti a cenare in
gioiosa compagnia:
1. questa clinica è opera esclusiva della Provvidenza, che mi da il necessario ogni giorno.
2.
qui o si vive con questa coscienza o uno è meglio che se ne vada,
quando non desidera capire che la “realtà è provvidenziale”.
3. non mi interessano collaboratori. Io ho bisogno di amici,
come ad esempio lei, signor Vicepresidente. Non ho bisogno e non voglio
sapere niente di organizzatrici perché la Provvidenza non si organizza,
ma ha solo bisogno di persone innamorate della realtà, perché è da
questa passione che nasce un rapporto, un’amicizia.
4. questa clinica è proprietà della Provvidenza che ha creato e crea in ogni istante questo popolo.
E questo popolo esprime persone professionalmente capacissime e in
particolare innamorate di Cristo. Innamorate nel senso che saltano sulla
sedia quando siamo richiamati al fatto che “io sono Tu che mi fai”. Per
queste persone non esiste il nominalismo, le parole commuovono con ogni
cosa che accade.
5. alla domanda: “ma dall’Italia cosa ricevete, come sono i vostri rapporti?” ho risposto:
“dall’Italia voglio solo amici, voglio solo persone che seguendo Carròn
e quanto ho incontrato e che ha cambiato la mia vita, sia anche per
loro una possibilità di conversione. Io non ho rapporti
economici, e per questo non mi mancano i soldi. I rapporti sono solo
rapporti umani. Non esistono rapporti economici perché l’io è relazione
con il Mistero. Per questo obbedisco solo a questi rapporti, obbedisco
alla realtà che, lo giuro, non mi ha mai lasciato tranquillo,
comodo…anzi, è un tormento, è una spina nel fianco che mi fa gridare,
chiedere, mendicare. La stessa amicizia con lei, che ci porta, unica
cosa al mondo, a trovarci ogni lunedì alle 6 del mattino a dire Lodi e
quindi fare colazione con i miei amatissimi e bellissimi confratelli,
Paolino e Daf, nasce da questa coscienza dell’io come Mistero. Signor
Vicepresidente, a me interessa lei come “io sono Tu che mi fai”.
Amici,
capite perché qui tutto è sacramentale. La gente viene e cambia. Avete
letto la testimonianza di Anna, la nipote di Giovanna. Per questo mi
commuove Quinto che da anni vibra con me di quanto accade. Ed è per
questo che Quinto è diventato per tutto l’ospedale la voce dell’amicizia
di P. Aldo in Italia. E lo sottolineo: è proprio così. Come vorrei che
tutti assistessero quando il mercoledì i miei medici realizzano in
audioconferenza l’incontro, per capire cosa vuol dire amicizia, scuola
di comunità, prendere sul serio Carròn, guardare chi lui indica. E per
di più mi commuove come Quinto mi sostiene, mi conforti in tutto, di
come si occupa della mia persona. Questo tipo di rapporto ci interessa.
Altro, assolutamente no. Si obbedisce ad una amicizia, ad un uomo che
come Giussani diceva: “ma che bello” e poi correggeva. Perché la prima
correzione è lo stupore per quanto accade.
Amici,
a questa età su queste cose non mollo, anzi, mi convinco sempre di più:
siamo insieme per l’effervescenza del proprio io. Siamo insieme per
dire “Tu o Cristo mio”. Il tempo si è fatto breve per me e ho solo
fretta che Cristo sia conosciuto e amato.
Il resto è spazzatura. Anni e anni di dolore e 4 anni e mezzo, le 24
ore con i moribondi mi hanno fatto impazzire per Cristo, per la realtà. E
credo sia questa prassi che affascina, che attrae. La
metà dei miei responsabili, dinamici, precisi, professionalmente
preparati, prendono psicofarmaci, come questo povero uomo, me lo
raccontavano stamattina durante il consiglio di amministrazione, che per
noi è scuola di comunità, di tutte le 13 opere profit e non della
fondazione S. Rafael. Capite, metà hanno problemi di depressione, però
non è questa malattia a definirci, ma la certezza di Cristo risorto.
Queste cose le racconterò agli amici domani sera all’assemblea
dell’ARAL e poi, avendo avuto una grazia unica e immeritata di passare
alcuni giorni di riposo con Carròn ed altri amici, potrò verificare
tutto punto per punto, perché voglio che il mio io arda di Cristo e che
il mio popolo sia sempre più il protagonista con quanti ardono della
stessa domanda, di quanto qui la Provvidenza crea usando le mani di
questo popolo. Questa
è l’amicizia che prego, supplico alla Madonna che accada (e che accada è
una grazia che va chiesta ed io supplico per me e per voi) sempre di
più fra noi. Insieme non per fare, ma perché l’io non muoia, perché l’io
vibri, cresca, perché solo un io commosso genera, crea e sostiene
un’opera.
Ciao a risentirci
P. Aldo
PS:
Cari amici, risponderò le sue e-mail al mio ritorno ad Assunzione il
giovedi 22 di gennaio. Starò in Brasile accompagnando a Carron
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Postato da: giacabi a 20:10 |
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padre trento
La testimonianza
***
Di: padre Aldo TRENTO
Data: Tue, 10 Feb 2009 16:26:17 -0300
Cari amici,a Eluana l'abbiamo amazzata ed ora, in questo momento è morto il mio piccolo Andrès.
Lo
guardo ma oggi i miei occhi, il mio cuore sono duramente provati, come
lo sono tutti i giorni vedendo morire tutti i miei figli che arrivano
qui. Più di 600 in quattro anni e mezzo. Solo chi ha perso un figlio può
capirmi. O meglio chi ha perso un figlio avendo il cuore innamorato di Cristo.
E' un dolore come quello della Madonna ai piedi della croce, ma pieno
di pace. Sento il cuore piegato anche fisicamente e nello stesso tempo
vedo le porte del paradiso aperte. Andrès è morto circondato da noi, in
ginocchio al suo fianco, celebrando la Messa. La sua agonia lunga e
dolorosa. I suoi gemiti mi soffocavano le parole della Messa nella gola.
Vedere per la seicentesima volta morire un altro figlio. E' sempre un
dolore nuovo e profondo. E' sempre rivivere il Mistero della morte e
risurrezione di Cristo.
Molti mi chiedono: ma come fai a resistere?
Cosa ti risponderebbe un padre, innamorato di Cristo? Ecco lì è il cuore di tutto.
E' vivendo la realtà di cui il dolore vissuto dentro un abbraccio come
quello che Giussani ha avuto per me, che si trasforma in una porta che
ti introduce nel cuore di lei, dove scopri la bellezza del Mistero che
mediante la morte ti porta con sè per poterlo vedere “in faccia”. Il corpicino freddo di Andrès è qui al mio fianco.
Ci starebbe in un sacchettino. Ma lui, Andrès è il mio Gesù in braccio alla Madonna ai piedi
della croce. Che bello questo suo corpo che per tanto ho adorato in
compagnia dei miei amici medici e tutto il personale. Come vorrei che
Eluana in questo momento avesse la stessa compagnia che ha il mio
Andrès. Amici cosi Eluana è come ci dicesse; “abbiate
il coraggio di guardare in faccia la realtà...riprendete il capitolo X
del Senso Religioso....è l' unico cammino perchè non abbiamo da seguire
uccidendo la realtà di cui ogni uno è il cuore”. I
miei figli che muoiono, i miei bimbi completamente muti per la
malattia, tutti con il sondino per poterli alimentare.....sono tutti
piccole Eluana....e mi rimandano al Mistero fatto carne in loro. Loro
sono Gesù nella croce. Ma capite cosa vuol dire per me e perchè vi
scrivo in un certo modo....che può infastidire chi non è padre, chi non
ha mai perso un figlio...chi è borghese. Si può stare davanti alla morte
di Eluana come stiamo normalmente davanti alla realtà: distratti.
La
verginità è una pienezza di paternità e maternità con una ferita che si
rimarginerà solo nel mio incontro definitivo con Cristo. La
Verginità esige le stimate del cuore e solo così diventa la forma più
alta di dolore, di amore e di gioia, di paternità. Che Eluana ci perdoni
il poco amore alla realtà, il poco senso del Mistero che viviamo e che
Andrès ci doni la grazia di morire come lui: in compagnia di Gesù,
Giuseppe e Maria.
La compagnia di chi ci vuole bene.
Lo
affido alle vostre preghiere. Domani lo porterò con me al cimitero. Mi
viene in mente quella donna dei Promessi sposi che usciva di casa con il
suo piccolo morto per peste in braccia... Anche
il mio Andrès e così piccolo e riposerà fra i tanti miei figli morti in
compagnia di questo povero peccatore e dei miei amici. Vorrei tanto che
fosse sempre lo stupore a muoverci, perchè solo cosi scopriremo che la
realtà è Provvidenziale per cui Eluana ed Andrès diventano cammino al
riconoscimento del Mistero.
Termino questa mattina la lettera. Ho dormito poco e neanche il sonnifero non ha servito a niente. O
meglio ha servito perchè la prima cosa fatta stamani è stata quella di
confessarmi, perchè, essendo il corpo mistico di Cristo tutti siamo
responsabili dell' accaduto a Eluana. “Datemi 4 persone innamorate di
Cristo e metterò a ferro e fuoco l' Italia” diceva Santa Caterina. Dio
voglia che siamo fra questi
Con affetto
P. Aldo
Messaggio inoltrato
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Da: padre Aldo TRENTO
Data: Mon, 9 Feb 2009 12:08:45 -0300
Oggetto: LETTERA 09/02/09
Cari amici,
QUESTA MATTINA
guardando gli amici che stanno imbottigliando la nuova acqua minerale “S.Rafael” mi
sono ricordato di Giussani che di fronte ad ogni iniziativa esclamava:
che bello! Il contrario di noi che diciamo: ma, riuscirò, vale la pena…
Lui reagiva sempre con lo stupore, la commozione. E solo in un secondo
momento guardandoti in azione correggeva. Per questo affascinava, da
subito.
ORE 18:00
Sono
qui in adorazione a fianco del piccolo Victor, il quale oggi, non
bastasse quello che ha, è tormentato da una polmonite. Non può tossire,
mi dicono i medici, ed è un problema per il catarro, ma i medici con il
cuore di carne e la ragione umilmente piegata al Mistero lo stanno
aiutando bene. Lui geme. Lo guardo: è quasi peggio di Gesù sulla croce,
perché per lo meno Gesù era tutto intero, ma Victor… E resiste,
stringendo da sempre i piccoli pugni. L’altro giorno, celebravo la Messa
nella sua camera. La prima lettura diceva: “Dio castiga i suoi figli
prediletti”, “corregge quelli che ama” (lettera agli Ebrei). Guardavo il
mio Victor. Facevo fatica a capire quel versetto, ma poi ho visto il
crocifisso e il mio cuore, il mio viso, si sono illuminati. Victor,
Eluana, Celeste, Cristina, Aldo, sono i prediletti di Dio e per questo
li ha associati, resi partecipi della condizione di Suo figlio sulla
croce. Che privilegio, amici miei! Ho celebrato la Messa con una
commozione unica: Eucaristia e Victor, Cristina, Aldo erano la stessa
cosa ed io il padre che offriva nell’altare quest’unica ostia bianca, in
remissione dei nostri peccati.
Per questo qui nella clinica si vive, si cammina, si lavora con il cuore e la mente in ginocchio.
Per
questo chi passa per di qui esce cambiato, se ha il cuore semplice dei
miei medici, infermieri e delle donne delle pulizie. La ragione è umile
quando vive in ginocchio davanti al Mistero.
Il
Mistero ci sorprende sempre attraverso la realtà. L’imprevisto è,
credo, una delle più belle e affascinanti caratteristiche del Mistero.
N.N.
è stata trovata nuda nella strada a 400 km da qui. Un veloce test
medico: AIDS. Portata come in coma ad Asuncion viene depositata durante
la notte davanti alla porta dell’ospedale di medicina tropicale. Però le
hanno messo un pannolone. Quando
i medici se ne accorgono la ricoverano. Avrà 19 anni, la chiamano
Patrizia. È anche morta di fame. Mangia il cartone che trova. È
abbandonata. La portano qui. Mi pongo in ginocchio davanti a lei, la
bacio con tenerezza. Le lacrime mi irrigano il volto. Cristina, la santa
dottoressa infettologa del mio ospedale, laureata a Cuba, ma con una
fede grande e bella come il sole, mi racconta nei dettagli la situazione
di Patrizia. Ho il cuore rotto. L’unica cosa che riesco a fare è
adorare la sua persona, quel corpo sfigurato, abusato, violentato…eppure
tempio dello Spirito Santo.
La guardo avvolta nelle lenzuola bianche. È molto bella, profumata, la
bacio. È proprio Gesù, è la Maddalena che è venuta a trovarmi. Così,
dopo la cresima appena celebrata di Gessica, adesso Ruben, che ha
ritrovato la sua identità maschile, abbiamo fatto festa anche a
Patrizia. Che belli questi miei figliocci, tutti un tempo transessuali o
travestiti ed oggi qui con me, loro padrino, a fare festa.
Ma che grande scenario questa clinica dove ogni minuto si vive la
parabola del figlio prodigo, dove ogni domenica mangiamo la torta perché
un figlio torna al padre. Adesso anche Patrizia, di cui non sappiamo
niente delle sue origini, niente di niente del suo passato, fa parte di
questa storia di salvezza.
Amici, l’uomo è un mistero, così com’è quando lo incontri ed io vivo solo per adorarlo.
Pregate
per Patrizia e per Andrei, il ragazzo di soli 22 anni, tutto deformato e
che pesa 18 kg che è molto grave. Lo stiamo accompagnando a casa, lassù
dove c’è Gesù che ci aspetta tutti. È proprio bello vivere con questa
certezza.
Oggi abbiamo pregato, noi terminali, per Eluana perché lei possa vivere.
P.Aldo e amici
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Postato da: giacabi a 21:59 |
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eutanasia, padre trento
Sig. Presidente sono sdegnato,
Lei permette la morte di Eluana
***
Stimato Sig. Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano:
Dopo che Lei ha negato la firma “perchè incostituzionale” al decreto urgente adottato dal governo per ostacolare la sospensione dell'alimentazione ed idratazione di Eluana Englaro, in coma da 17 anni,
RIFIUTO il titolo che Lei mi ha concesso di “Cavaliere dell'Ordine della stella della Solidarietá Italiana”, il 2 giugno 2008.
Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore di Cavaliere dell’ordine della stella della solidarietá della Repubblica Italiana, quando Lei, con il suo intervento, permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica Italiana?
Sono sdegnato e ripeto il mio rifiuto al Titolo che Lei mi concesse.
Padre Aldo Trento
Misionero en Paraguay
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Postato da: giacabi a 10:57 |
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eutanasia, padre trento
L'umiltà della ragione
***
Da: padre Aldo TRENTO
Data: Mon, 26 Jan 2009 08:27:00 -0300
La bocca parla della pienezza del cuore.
E davvero ho il cuore traboccante di gioia dopo l’esperienza con gli
Zerbini, Alexander e Carlos del Gruppo Adulto di San Paolo e di Rio, due
medici eccezionali che sono ripartiti dicendomi: “abbiamo visto il
Paradiso e se dipendesse da noi verremmo qui a lavorare”. Alexander,
pediatra, capo casa a San Paolo è il medico che ha incontrato gli
Zerbini; Carlos, ginecologo professore universitario a Rio de Janeiro.
Cleusa e Marcos sono voluti ritornare e ritorneranno in Maggio perché
hanno come scoperto che il movimento è per tutti. Hanno
visto il Vicepresidente della Repubblica venire a pregare e fare
colazione con loro, un travestito infermo grave di AIDs fare la sua
prima comunione, mendicanti chiedere da mangiare, barboni dormire nella
parrocchia, vecchi abbandonati con una casa, bambini ammalati di AIDS o
violentati o vittime di violenza avere una famiglia. “Abbiamo visto che il movimento è per tutti. Siamo felici, ci sentiamo confortati”.
Immaginatevi me…che vede questo popolo ogni giorno più, “soggetto”,
protagonista di tutto, dall’economia all’assistenza…e che razza di
amore. È davvero l’inizio di cosa vuol dire nuova evangelizzazione, un
rapporto nuovo fra paesi sviluppati e sottosviluppati…l’inizio della
fine dell’assistenzialismo. Vedere
come 38 persone, la stragrande maggioranza universitari di San Paolo e
Rio, molti impegnati con gli Zerbini hanno fatto 3000 km circa in
corriera per vedere la clinica, la Riduzione di San Rafael e per tre
giorni stare davanti a questo Avvenimento con gli occhi di “Marcellino”,
è stato qualcosa di stravolgente. E manderò le loro
testimonianze… perché possiate commuovervi con me. Domenica scorsa tutti
insieme, con padre Julian de la Morena della San Carlo, responsabile
dell’ARAL e del CLU di San Paolo con Alexander, abbiamo celebrato la
S.Messa nella clinica con la cresima di Celeste e
la prima comunione di Ruben (prima Gessica) che solo entrando nella
clinica ha desiderato essere riconosciuto come un uomo e non come una
donna. Non riesco a descrivere l’accaduto. Per
tre giorni hanno visitato tutto e tutti i dettagli, chiedendo e noi
chiedendo loro tutto, stabilendo una relazione di amicizia con loro per
crescere assieme nella fede. Mai avevo visto da parte di nessuno tanta
curiosità, passione, voglia di imparare. Sembravano bambini
davanti al papà, cioè davanti ai segni inconfondibili della Presenza del
Mistero. Siamo stati insieme tre giorni, ma 18-19 ore al giorno, senza
mai stancarci. Non progetti, non domande economiche o di gestione, ma solo l’appassionante comunicazione di Cristo, della realtà.
Guardando loro capivo perché nel Medioevo quando un re, un capo si
convertiva tutto il popolo incontrava la fede. È quanto sta accadendo
con loro e piano piano anche qui. Come
vorrei che Gesù, la Madonna ci donassero quell’umiltà della ragione di
cui parla Carron nello scritto prima di Natale per riconoscere in ciò
che lui ci indica: i tratti inconfondibili del Mistero presente.
Personalmente chiedo solo questo alla Madonna e solo questa posizione
voglio per me ed i miei amici. Adesso
corro solo lì dove mi viene indicata la vita, il segno presente del
Mistero. A 62 anni ho poco tempo da perdere, il tempo si è fatto breve e
sono stanco di discussioni, di problematiche sterili. Ho bisogno solo di amici, di compagni di cammino che mi accompagnino a prepararmi all’incontro definitivo con Cristo.
Il futuro mi affascina perché è come se, vedendo il tempo che corre,
volessi arrivare al capolinea avendo speso ogni respiro perché Gesù sia
conosciuto ed amato, conosciuto ed amato da questo popolo che ogni
giorno cresce in quantità e qualità. Che razza di avventura, amici:
“sento un fuoco ardente nelle mie ossa che non riesco a contenere”. E per di più ho la certezza più limpida del sole che quanto qui accade è tutto della Provvidenza e lei si incarica e si incaricherà di portare avanti tutto. Ma capite: ciò che c’è qui non è nato da me, ma da Lui…e quindi sono affari Suoi. A me, a noi, riconoscere e credere in Lui. Insomma
quest’opera ha bisogno solo ed esclusivamente di santi. Cioè di
peccatori per cui Cristo è tutto, dai capelli al portafoglio, alla
sessualità, dal pensiero alla memoria, alla volontà, a tutto, proprio
tutto.
Un abbraccio pieno di Cristo.
P.Aldo
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Postato da: giacabi a 21:19 |
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padre trento
La bellezza della morte
***
ieri è morto Antonio, 41 anni, con AIDS. La realtá si impone ed è bello guardala e imparare. La veritá sta nella realtá. A discrezione per i pusillanimi sta nella realtá ed avere il coraggio per guardarla... e poi scoprire cosa vuol dire vivere il morire.
Vi mando un piccolo "video" per chi desidera vedere la
bellezza della morte, di come si muore nel mio ospedale. Ripeto: solo
per chi desidera conoscere cosa vuol dire "Vivere il morire", di
come muoiono i miei figli.
Potete
anche ascoltare come il moribondo prega, saluta e accoglie P. Aldo che
gli chiede di salutargli Gesú, la Madonna e S. Giuseppe dicendo loro che
mi tangano sempre le mani sulla testa. Per piú di mezz'ora Antonio, con
l'ossigeno supplicava: Gesù, Giuseppe, Maria, senza un attimo di pausa.
Io non ci stavo dietro e poi é morto. E prima di morire ha ringraziato tutti e poi é andato in paradiso; abbiate il coraggio di vedere Antonio che sta morendo: é come Gesù sulla croce.
Con affetto P. Aldo
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Postato da: giacabi a 22:56 |
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padre trento
La realtà è proprio bella e drammatica
***
Da: Padre Aldo Trento
La realtá si impone e obbedirle é la cosa piú drammatica, difficile e bella. Difficile, ma semplice: basta guardarla. Difficile: perchè partiamo dagli stati d’animo, dall’umore, dai pregiudizi, da quanto respiriamo ogni giorno vittime piú o meno coscienti del sistema dominante. Allora ecco alcuni fatti che mi commuovono, perchè la realtá è proprio bella e drammatica. 1- Sono tornato dal Brasile, il caldo è terribile e mi aspettava la colonia estiva-seconda parte. La prima parte era stata in dicembre. Lascio a voi immaginare cosa ha voluto dire per me, a 62 anni, con un caldo impressionante mettermi subito al lavoro con i bambini piú tutto il resto. Peró la realtá é amica ed eccomi giá alle 9 del mattino in mezzo ai bambini. Si educa solo cosí: stando e comunicando la passione per la realtá. Come posso lasciare tutti questi bambini nella strada o a guardare la TV ecc...? no, la realtá chiede un’altra cosa...e allora si obbedisce. Per questo dico sempre è molto piú difficile obbedire alla realtá che ai superiori. In questo caso la realtá mi chiede una cosa che i superiori non mi chiederebbero e un borghese direbbe “sono a posto...ho fatto quanto richiesto ed essendo estate ho il diritto alla vacanza”. La realtá non lasciandomi “riposare” mi fa riposare perchè per iniziare con questo caldo ogni mattino con i bambini che sono un terremoto devo mettermi in ginocchio. E questo è il riposo. 2- Le vacanze con gli Zerbini. Un mondo che ho sempre vissuto con alcuni amici qui, ma che certamente, scusate se sono impertinente, non vedevo piú da quando Giussani per la malattia non ha piú potuto guidare il movimento. Mi rendo conto che solo Carron poteva, e ce lo sta testimoniando, farci rivivere, rinverdire nel carisma del Giuss. Dio mio, ma non c’è parola di quest’uomo che non mi faccia “piangere” dalla commozione. Con lui sono tornato all’inizio, quando ho incontrato Giussani. Come è evidente che per i semplici di cuore lui ha un’unica preoccupazione: portarci nel cuore del carisma. Con lui Giussani non è piú un mito o un “c’era una volta...” come nelle favole, ma un c’è oggi, oggi è possibile, oggi accade. L’incontro con gli Zerbini è stato vivere con intensitá questa posizione, questa avventura. Dopo anni in cui ho vissuto, quasi da solo o con pochi amici, l’avventura della prima ora, della grande storia degli inizi e che i vecchi come me si o si ricordano, ho ritrovato in modo sorprendente e commovente, come Giovanni e Andrea, il volto umano del Mistero. Guardare gli Zerbini è stato rivedere la mia umanitá, guardando loro e con loro Carron il mio io si è una volta ancora manifestato a me in tutto il suo splendore. Alcuni esempi: a) l’entusiasmo per la realtá, per cui tutto è segno inconfondibile di Cristo. Abbiamo passato ore e ore parlando della realtá, cioé di Cristo, perchè come dice S.Paolo ai Colossesi: “la realtá è il corpo di Cristo” . Non dice: “il corpo di Cristo è la realtá”. È partendo dalla realtá nella sua totalitá che posso toccare e abbracciare il lebbroso che ho nella clinica o l’ammalato di AIDS con la tubercolosi. Viceversa avrei un’immagine di Cristo che non me lo permetterebbe. Con Cleusa e Marcos e Bracco abbiamo fatto ore e ore di macchina, con un caldo che per me è una sofferenza, senza accorgerci, perchè parlando di tutto in tutto c’era chiarissima la Presenza di Cristo. Era come quando mangiavo, andavo in vacanza, facevo a Corvara una buona camminata con lui. Lui ci faceva gustare Cristo in tutto. In lui tutto era unito. Lui si commuoveva per l’ago di un pino. Vecchi amici, ve lo ricordate o no? O siamo diventati come dice Cleusa gli esegeti, gli intermediari di Giussani o della Scuola di Comunitá? Con gli Zerbini è impossibile ricondurre a Cristo le cose, perchè ti fanno scoprire dentro le cose la “res” la presenza di Cristo. b) l’impeto missionario. Vi ricordate quando facevamo un mare di volantini, quando andavamo al mare e in montagna a volantinare, a vendere le riviste, quando una comunitá visitava l’altra, quando si pregava “le ore” davanti alla scuola, in universitá, quando la vita era “una ingenua baldanza” come la chiamava il Giuss, l’impeto missionario? Vi ricordate quando si giudicava tutto e si tratteneva il valore? Vi ricordate quando in tutti l’ideale della verginitá ci affascinava e il desiderio della missione ci bruciava il cuore? Ebbene, per me è sempre stato cosí per pura grazia, ma oggi lo vedo brillare negli Zerbini. Loro sono quelli che eravamo noi, ma con una maturitá impressionante. Loro fanno quello che noi borghesi, comodi, direbbe Cleusa, non facciamo piú. Ma che bello stare con questi uomini. Capite che tutto il Brasile freme per questa presenza. Capite che solo ora capisco quanto detto da Giovanni Paolo II: “l’America Latina è la speranza della Chiesa”. Come, se anche un vescovo qui è Presidente, come, se tutta l’America Latina segue la teologia della Liberazione? Carron a Natale ci parlava del tronco secco da cui spunta un germoglio. È ciò che sta accadendo qui, qui fra noi, qui dove finalmente vedo l’inizio del compiersi della profezia di Paolo VI. Questi uomini, che guidano piú di 100.000 persone, le ho viste, con alcuni ho vissuto, stanno portando il seme di una novitá destinata a dare a tutti una speranza, una baldanza nuova...sempre che siamo “umili e semplici” come ci ricorda Carron. I loro volantinaggi (2.000.000) a S.Paolo mi fanno rivivere ció che da sempre vivo. Per Natale qui in questo povero paese abbiamo distribuito 20.000 editoriali dell’articolo di Carron sul Natale. Allora capite perchè il Vicepresidente della Repubblica, parlamentari, ministri, mendicanti, ubriaconi, vengono qui ad incontrarci. Stando con gli Zerbini e vedendo tutto questo ho rivisto tutta una storia, che è oggi quella di 35 anni fa per me, peró con uno spessore unico. La politica: ma chi fa politica come loro, con la coscienza di loro? Cleusa il grido dei poveri, “la sindacalista”, mi diceva lei che grida e Marcos il deputato calmo, preciso, che ascolta, accoglie e porta avanti con chiarezza e amore il grido dei poveri, nel parlamento. Se i nostri politici vedessero, vedessero le periferie di S.Paolo dove loro vivono cosa sta diventando, si entusiasmerebbero se semplici di cuore. c) la scuola di comunitá. È la vita, la realtá che parla. Non si fa esegesi. Una breve lettura del testo, 15 minuti di meditazione lì nel salone con 2.000 persone e poi domande o racconti di fatti, di esperienze di vita. E la vita cambia. d) l’accoglienza: il cuore di tutto è il bisogno, il bisogno di ognuno. Per questo mi sono sentito abbracciato, accolto. Non mi hanno lasciato solo un secondo. Mi hanno portato all’aeroporto. Poi mi ero sbagliato di aeroporto a S.Paolo e vedendomi un po nervoso Cleusa mi dice: “padre, è la Provvidenza, è la Provvidenza, cosí possiamo stare un’ora in piú con te.”. E mi hanno riportato all’altro aeroporto. E fino a chè non sono sparito dietro i vetri non mi hanno mollato. Era come fossi tornato a 20 anni fa quando Giussani mi ha accompagnato a Linate per prendere l’aereo per il Paraguay. Mi hanno portato a vedere lo stadio dove faremo l’incontro con Carron a metá febbraio. Mi chiedevano consigli, che umiltá! Ed infine loro che hanno deciso con 30 universitari di venire qui ad Asuncion per vedere quanto il Mistero sta facendo. Esattamente come sempre per me quando andavo ad incontrare gente, visitare comunitá, fare esperienza dovunque di quanto incontrato. “Litterae comuninis” torna a rivivere. Il Brasile viene in Paraguay e il Paraguay va in Brasile. Dove ci sono punti inconfondibili del Mistero chi è “VIR” UOMO sente il fascino dell’attrazione, dell’andare. Vi ricordate, sessantenni come me 30 o 40 anni fa? Ringrazio Dio perchè per me peccatore è ancora cosí e sono felice. Cosí una volta al mese andró a vivere un giorno con loro. Ho bisogno di guardarli perchè guardandoli ritrovo me stesso. Questi giorni sono stati il piú bel regalo per i miei 62 anni suonati. Ciao Con affetto P.Aldo grazie a : ceccus. |
Postato da: giacabi a 18:00 |
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padre trento
Ma come fate voi, in Paraguay?
Noi benediciamo le scope, e i calli.
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Da padre Aldo Trento
(link al video che racconta la sua stora paraguaja) riceviamo, e molto
volentieri pubblichiamo come augurio di buon anno nuovo a chi ci legge:
Carissimi amici, oggi è la festa della Sacra Famiglia, e per noi della parrocchia è il giorno nel quale durante la Santa Messa dei bambini, alle 8 della mattina, benediciamo le scope (vedi foto) e le consegnamo ad ogni bambino. Il motivo è educativo. Non dimenticate le tre regole fondamentali del cammino educativo che ha portato questo non-popolo a essere popolo, comunitá viva. Tre regole che nascono dalla coscienza di “Io sono Tu che mi fai” e che “la realtá è grande amica dell’Uomo” come ci ricorda ogni giorno Carron. 1) Calli nelle ginocchia: l’Uomo è supplica, preghiera. 2) Calli nelle mani: il nesso fra la realtá e il Destino si chiama lavoro. E la scopa è il primo strumento perché la casa, la memoria del Signore, possa essere pulita e bella. Mia madre è stata la prima a regalarmi una scopa. E così, fin da piccino, la scopa è diventata per me lo strumento principale di relazione con la realtà quotidiana. Per questo è uno strumento che tanto apprezzo e stimo, fino al punto di riservarle un posto tutto suo nella mia casa. Per di più non posso dimenticare che san Martin de Porres, il Santo Peruviano, si è santificato usando la scopa e per questo è rappresentato sempre stringendone una tra le mani. E per i miei bambini è un onore ricevere la scopa benedetta. In fondo è una piccola applicazione del “rischio educativo”. Tutto si gioca nei minimi dettagli... però se uno non vive drammaticamente le 24 ore del giorno rimane un elefante o un intellettualoide. E certamente non educa.
3) Calli nel cervello: il valore dello studio, che permette di contemplare le leggi del cosmo e la bellezza della realtà.
Guardate la facciata della nuova clinica (vedi foto): è una replica
tutta in pietra di una chiesa delle Riduzioni Gesuitiche. Mancano ancora
due piani e molti dettagli. Nella pietra vedete raffigurati i motivi
floreali dell’Eucarestia: l’uva e il “flor de Mburucuya” o passionaria,
fiore sacro per il popolo Guaranì. Ancora: gli angeli cantori che
adorano il bimbo Gesù in braccio alla Vergine. Questo lungo bassorilievo
è uguale a quello che si trova nella grande e bella chiesa di Trinidad,
una riduzione in cui ha lavorato il grande architetto gesuita milanese
Primoli. Dalla lettura dei bassorilievi, adesso visibilissimi nella
clinica, si è potuto capire quali strumenti musicali si usavano nelle
riduzioni.
Ebbene i miei bambini, i miei vecchi e i miei ammalati, vivono oggi in un ambiente culturale che ricorda l’Europa Medievale (la scuola e la pizzeria sono le due parti di un edificio che ricorda un castello della Lorena) e le riduzioni gesuitiche (la clinica). Una sintesi fra il vecchio mondo della fede e quello nuovo creato dalla fede. Come dire che questa piccolissima cittá dell’amore educa anche con le pareti, con le pietre e con i mattoni. Ma il cuore di tutto è solo ed esclusivamente la Divina Provvidenza che “move il sol e l’altre stelle”. Non ho in assoluto altro principio economico, me lo hanno insegnato mia madre e mio padre. Provvidenza che si muove in particolare con il prendere sul serio quanto Carron ci ripete continuamente. Che bello il suo articolo! Il Natale e la Speranza. L’ho letto in tutte le Messe di questi giorni, me lo sono tradotto, ho fatto migliaia di copie e l’ho distribuito dovunque. Uscirà come editoriale sulle pagine settimanali che abbiamo all’interno del quotidiano nazionale “Ultima Hora”. Mi ha commosso, mi commuove, perchè Carron in maniera bellissima descrive la mia storia, descrive l’elezione che Dio ha fatto e fa di me, l’opera che la Divina Provvidenza mediante questo asino sta realizzando. Sì, perchè come dice il vice presidente della Repubblica del Paraguay: “In quest’opera si vede l’inizio del Paraguay a cui tutti aspiriamo. Non posso cambiare il paese con un decreto, ma si vede quello che puó cambiare la Provvidenza Divina...” Per questo sono riconoscente a Carron, perchè mi fa rivivere quella compagnia di Giussani che non mi ha dato consigli, non ha inviato controllori o esperti per vedere ció che facevo o non facevo... mi ha fatto solo e sempre compagnia. Come Julian oggi, richiamandoci continuamente al cuore di tutto: l’obbedienza al proprio cuore, alla propria umanitá. Che commozione ricevere questo breve scritto della sorella di don Giussani alla Vigilia di Natale: “Voglio inviare il mio augurio natalizio all’amico che ha voluto tanto bene al mio amatissimo fratello e che ho conosciuto a Rimini. Mi ricordo nella preghiera perchè il Signore benedica la tua missione sempre sotto lo sguardo sorridente del Gius!. Livia” Non me l’aspettavo, mi sono scese le lacrime. Ecco in queste parole c’è tutto... in quel “sotto lo sguardo sorridente del Gius” c’è il miracolo della mia vita. E oggi quel sorriso è quanto Carron ci indica, ci sottolinea, non lasciandoci mai tranquilli. In questi ultimi giorni dell’anno ringrazio Dio per questi due grandi amici e padri, assieme ad alcuni altri (non importa quanti) amici che mi sono di consolazione, di compagnia e che mi indicano con chiara voce come l’apostolo Giovanni quella notte sul lago: “È il Signore!”. Auguro alla schiera di amici che mi scrivono i loro drammi, le loro grandi e piccole sofferenze, che la mia insignificante persona possa essere, assieme a questo popolo che Dio mi ha donato, motivo di conforto e di certezza. Aiutiamoci a ripetere all’infinito: “Io sono Tu che mi fai.”
Buon Anno Nuovo,
Padre Aldo
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Postato da: giacabi a 20:53 |
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padre trento
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Uno spettacolo incredibile che apre il cuore, vedere come tutti si sono coinvolti: i
bimbi cantavano nel coro degli angeli, i malati han portato i doni dei
Re Magi, San Giuseppe non poteva essere più perfetto: Jorge, malato di
Aids di origine ebraica. E poi le anziane della casa di accoglienza, che
hanno acclamato il Signore vestite da pastorelle, mentre nella paglia
piangeva appena nato Arnaldito, bimbo sieropositivo della Casita.
Un Presepe così bello e così commovente apre il cuore alla venuta del Signore,
Buon Natale da tutti gli ospiti della clinica e i bambini della casita*
visita il sito della Fondazione San Rafael in Paraguay |
Postato da: giacabi a 15:34 |
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natale, presepe, padre trento
Il vecchietto Oscar
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che bello!
Cari amici “puó una madre abbandonare i suoi figli?”
“Ebbene Io non ti dimenticheró mai” dice il profeta.
Un fatto accaduto nella clinica che mi ha riempito di gioia. Viene
ricoverato un uomo anziano, ammalato grave di cancro alla prostata.
Viveva in una sgabuzzino del famoso “Mercato 4” cosi chiamato e
conosciuto in tutto il Paraguay per essere l´immondezzaio della vendita a
poco costo di tutto e centro di qualunque traffico. Pericolosissimo passare di notte per quella zona.
L´hanno trovato solo, sporco, abbandonato.
La donna, una persona anonima ci disse per telefono: “andate lì…e
troverete un uomo solo e che soffre”. Mi sembrava ascoltare l’annuncio
degli angeli quelle notte a Betlemme ai pastori: “andate e troverete…”. E
cosí fu per noi. Portato alla clinica subito ben pulito e lavato e
posto in un bellissimo letto bianco, con la camera con l’aria
condizionata a tutto vapore (48º sono troppi…fuori). Una volta ambientato si sfoga il suo dramma terribile. “Padre, grazie, padre grazie”
Vede
io sono nato in una regione italiana (per rispetto non diró né il nome,
ne i luoghi). Sono rimasto orfano da piccolo e sono stato messo in un
istituto agrario gestito da religiosi. Sono nato nel 1922. Li ho
studiato diventando perito agrario. Il fascino di quella congregazione mi ispirò a farmi religioso. Vissi fino alla seconda guerra mondiale in un convento in Italia.
Poi i Superiori mi mandarono in Paraguay dove vivo da 50 anni. Ho fatto di tutto nelle diverse case della congregazione. Poi ho perso la testa per una donna e la mia vita é diventata un inferno. Tutti mi hanno abbandonato: ero un condannato a morte…quelle morte morale che distrugge l´uomo.
Ho
fatto di tutto, Padre. Solo qualche confratello si ricordava di me
(anche nella chiesa, aggiungo io, succede quello che dice il profeta a
proposito della madre) Peccato, solitudine disperazione…e adesso sono
qui. “Padre mi confessi, mi perdoni”
Il
mio cuore addolorato i miei occhi umidi, l´ho ascoltato,
assolto…abbiamo rinnovato insieme i voti religiosi…in fondo anche´io
sarei un ex religioso, peró sono come non mai tutto di Gesú. Vedendolo,
questo fratello, sorrideva, una volta in piú ho sentito quelle braccia
di Giussani che mi accoglievano in Via Martinengo 17 quel 25 marzo 1989. Se
una parte dichiara che ha servito e amato lo ha abbandonato per il suo
peccato, sempre un altra parte di chiesa lo ha accolto, abbracciato,
amato.
Che bella la clinica: c´é solo parte per i disgraziati, peccatori come me.
E
il vecchietto Oscar adesso é con me, rivive la sua vita religiosa, ha
rinnovato i suoi voti, ha riconosciuto i suoi peccati. Rare volte ho
visto e sentito una confessione come lui. Mi verrebbe da dire: se
per gustare cosí il senso di essere peccatore e soprattutto di
confessarsi come lui, servisse una vita disordinata come lui….ne
varrebbe la pena.
Ho
ritrovato un santo…vedesti come riceve la Eucaristia, come sopporta il
cancro che lo consuma come mi guarda. Solo i peccatori, cioé quelli che
hanno incontrato Cristo hanno questo sguardo..
Mi sento un fariseo paragonandomi con lui.
Gli
innocenti Victor, Celeste, Cristina, Aldo convivono con l´innocenza
comportano l´ospedale con i santi innocenti recuperati, che grazie al
dolore diventato confessione, Eucaristica hanno recuperato l´innocenza
dottrinale.
Un abbraccio
P. Aldo
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Postato da: giacabi a 14:28 |
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testimonianza, padre trento
Postato da: giacabi a 21:29 |
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padre trento
· Il santo di novembre
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Cari amici,
questa sera prima di iniziare le S.d.c. (scuola di comunità) ho sentito un bisogno tremendo di far cantare “Povera voce di un uomo che non c’è…”. Però arrivati alla fine “la nostra voce deve gridare, deve cantare perché la vita c’è e tutta la vita chiede l’eternità”, mi ha preso un nodo alla gola. Perché pochi attimi prima avevo celebrato la S. Messa nella clinica, nella camera dove giacciono: Andres, un ragazzo di 22 anni che pesa 15 kg, con il corpo tutto arrotolato come un gomitolo. Non c’è una posizione che gli vedo bene perché non ha una parte del corpo normale. Ermanno lo storpio, spero che molti se lo ricordino altrimenti leggete la sua vita sul libro dei “Santi” di Martinalde, era un “capolavoro” rispetto ad Andres; e Celeste, la bimba distrutta dalla leucemia e incamminata verso la morte. Una leucemia di cui, a motivo della povertà, i suoi genitori non hanno mai avuto consapevolezza. Incomincio la Messa, arrivo alla prima lettura e come un tuono Celeste apre la bocca gridando dal dolore. Urla terribili, soffocanti. Il mio cuore, tutti i giorni fa i conti con queste grida, sembrava non farcela. Mentre l’infermiera legge la prima lettura, mi siedo a fianco di Celeste, le stringo le mani, le braccia, ma le sue grida sono più forti del mio povero cuore di padre. Non ascolto quanto l’infermiera legge, ascolto solo quel grido divino di un nuovo Gesù che stà morendo sulla croce. Mi passano per la mente le parole del Giuss nella S.d.c. dove parla dell’obbedienza, del seguire, del contenuto del seguire, della ragionevolezza del seguire. Quelle parole in particolare dove commenta il cap. VI di Giovanni e la relazione di Gesù con il padre, dal Getzemani alla croce. Parole che mi aiutano a vivere con grande ragionevolezza quelle grida, perché certo che quelle grida come quelle di Gesù sono per la salvezza mia, tua, del mondo. Se non avessi la S.d.c. (se molti non sono di C.L. dei moltissimi a cui scrivo quando mi rispondono mi chiedano cos’è che volentieri spiegherò loro di che si tratta) non potrei avere le ragioni per affrontare questi drammi che da quattro anni vivo giorno e notte. Terminata la lettura sì o sì dovetti alzarmi per leggere il vangelo… ma non riuscivo. Non riuscivo a parlare, né le parole di Dio. Volevo stare li inchiodato al suo fianco, baciarla, accarezzarla… però la Messa doveva continuare. Al momento dell’offertorio con il pane e il vino ho offerto Celeste al Padre per tutti noi. Ma il dramma era appena iniziato perché arrivato alla consacrazione mentre pronunciavo le parole di Gesù sul pane e sul vino, e dopo mentre alzavo il calice dicendo “ Fate questo in memori di me” Celeste è scoppiata in un grido fortissimo lacerante che ha pervaso tutta la clinica. Il medico di turno, le infermiere sono corse, l’ennesima dose di morfina… ma le urla continuavano. Ecco mi sentivo come la Madonna ai piedi della croce con Gesù che come dice l’evangelo: ”emesso un forte grido, spirò”. Quel “grido” di Gesù lo vedevo in quel calice che alzavo e in quell’urlo pieno di dolore di Celeste. In quel momento era un’unica scena, quella del Calvario, quella di Celeste, quella della Messa. “povera voce… ma ora deve gridare, deve cantare perché la vita c’è”. Lascio a voi immaginare cosa è stato per me, per tutta quella S.d.c. non era la lettura di un libro, era l’Accaduto alcuni minuti prima a parlare, a spiegare. Ora sempre per me è così la S.d.c. e per questo non posso stare senza di essa… non ce la farei a sopportare questa croce, queste grida, questo tormento con le migliaia di perché, di domande. Oh Dio se tutti vivessero così la S.d.c., tutto sarebbe diverso perché uno comunicherebbe solo ciò che è vero per se e quindi vero per tutti e per di più sperimenteremmo come la S.d.c. sia la carne della nostra umanità.“la nostra voce canta con un perché”. Le urla di Celeste erano davvero la verità di questo perché. Il suo grido è per la mia e tua salvezza. E questo è il centuplo perché il centuplo è l’uomo che grida, che riconosce, cosciente o no, il Mistero. Dico cosciente o no perché anche i miei piccoli figli ammalati per il mondo non hanno coscienza ma appartenendo al corpo mistico di Dio, Cristo, eccome che ce l’hanno! Un altro fatto accadutomi. Ieri sera, oggi è il 30 ottobre, come ogni notte vado alla clinica per il bacio della buona notte. Prima verso le 20.30 vado a mettere a letto i miei 14 bambini della casetta di Betlemme N°2, la casetta più numerosa con 4 bebè. Ogni sera è uno spettacolo: “ papà, papà, diciamo le preghiere e come angioletti si mettono in ginocchio sul pavimento e, dopo un bacino, tutti a letto. Tornando alla clinica, dopo aver salutato i bambini, rimango a fianco di Victor, Aldo e Cristina. Victor è come sempre in preda alla febbre alta… ma non geme nonostante le grandi piaghe da decubito dietro la testa e la parte sopra piena di acqua tenuta ferma dalla pelle che sostituisce il cranio che non c’è. Poi vedo il volto di Cristina che soffre. E’ piccola, di appena un anno e mezzo, sorda e quasi cieca. Eppure con i suoi occhi neri e bellissimi segue i miei movimenti. Quasi non mi vede, ma il contatto fisico certamente lo avverte. A motivo delle convulsioni capita che si morda la lingua lasciando trasparire un poco di sangue sulle labbra che bisogna pulire continuamente. Li guardo tutti e tre lì soli e penso ai loro coetanei che alla stessa ora dormono tra le carezze e le tenerezze dei genitori. Loro invece hanno solo me e le infermiere che cercano di fare del loro meglio. Li riempio di baci e di carezze finche non si addormentano. Adesso dormono tutti e tre, li guardo e continuo a pregare. Mi sembra di essere in paradiso con gli angioletti. Penso a Gesù quando dice: ”lasciate che i bambini vengano a me perché di essi è il regno dei cieli”. Sto per andarmene e si avvicina la moglie di un ammalato grave di AIDS: “Padre, le chiedo il permesso di poter andare al mercato generale a sfogliare mais. Ogni borsa di 50 kg sfogliate mi rende 2000 guarani (1 euro=5800guarani) e in una notte riesco a sfogliarne anche 15 sacche. Padre, mi dia il permesso perché oggi è venuto uno dei miei quattro figli dicendomi che non mangiano da 2 giorni”. La guardo e il mio cuore scoppia vedendo le sue lacrime. Tiro fuori il portafoglio ma lei: ”no padre, quello che mi da è già troppo, io voglio lavorare e guadagnarmeli”. Prego per lei e l’ho assunta oggi come lavandaia. Era raggiante per la gioia. Giussani nella S.d.c. nel capitolo della obbedienza dove augura Buon Natale parla del centuplo come del vero esito. Ritrovarmi ogni giorno commosso è proprio l’esito, il centuplo. Per cui incominciare alle 4.45 e terminare alle 23.30 non è un peso, è un centuplo, un uso nuovo e pieno del tempo sempre più per me l’alba dell’eternità. Sono andato a dormire con il cuore pieno di pace. Anche se con il cuore rotto dalle urla di Celeste, dalla solitudine dei miei tanti bambini, di cui sono papà, a cui vorrei dedicare più tempo, dal dolore di Victor,Cristina e Aldo che con Celeste sono il cuore del mio ospedale, dove anche oggi è morto un uomo. La morte… ma che bella! Perché mi aiuta a capire che il dolore è una condizione momentanea di oggi. Lei infatti mi porterà definitivamente dal mio Gesù. Pregate per i miei moribondi. Preghiamo per i miei santi e per i miei morti visto che è già Novembre e la Chiesa ci ricorda insieme con i 4 novissimi (morte, giudizio,inferno,paradiso) che la scena di questo mondo è destinata a sparire per lasciare il posto a ciò che è eterno. Grazie per le vostre preghiere.
· con affetto, P. Aldo Trento
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Postato da: giacabi a 19:50 |
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padre trento
Il santo di ottobre
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Una piccola trinità d’angeli sofferenti: Cristina, Victor e Aldo
Cari amici,
ho il cuore molto gonfio nel vedere i miei tre bambini, Cristina, Victor e Aldo trafitti dal dolore. Da giorni soffrono terribilmente. Cristina piange emettendo dei gemiti indescrivibili. Ha due anni circa, è cieca, sorda, idrocefala e altre deficienze. Quando la prendiamo in braccio non sappiamo da che parte appoggiare la sua testa. E’ lì nel lettino, la bacio teneramente, le metto la mia guancia vicino alla sua…si quieta un poco e poi riprende a piangere. Non ha nessuno al mondo, ha solo le nostre, le mie carezze. La sua malattia, dicono i miei cari medici, ha origine nei maltrattamenti sofferti appena nata. E’ da più di un anno che è qui con me. Vicino a lei, il piccolo Victor che già tutti conoscete. Questi giorni sono terribili per lui. Febbre a 39-40, impacchi di acqua fredda, ogni 10 minuti la misurazione della temperatura, convulsioni continue, stringe fortemente i piccoli pugni, respira affannosamente, il suo petto si gonfia e si sgonfia per lo sforzo continuo di respirare. Geme in continuazione. Sono seduto al suo fianco, ho gli occhi più che rossi e il cuore spezzato… Prego, sto in adorazione, gli accarezzo le manine, le stringo a me, le bacio delicatamente, lo chiamo soavemente. Non possiamo muoverlo facilmente, la sua testa che è un piccolo lago di acqua non ce lo permette. Eppure le mie care e tenere infermiere lo fanno, perché dietro ha tre grosse ulcere di decubito. Sono ferite aperte, che aumentano il suo già grande dolore. Chiunque lo vede non riesce a stare più di alcuni minuti senza il rischio di svenire. Tutti pieni di domande e in particolare: Perché? Per che cosa? Io, con le mie infermiere, stiamo lì con lui. Personalmente non riesco a lasciarlo solo eppure i tanti impegni mi obbligano e soffro ancora di più. Oggi, per esempio, è domenica, mi sono alzato alle 4.45. Avevo un ritiro dei bambini della prima comunione nella fattoria che abbiamo a 40 km da Asunciòn, dove vivono gli ammalati di AIDS non terminali. Poi alle 13.00 sono corso a casa dove mi aspettavano i bambini delle due casette di Betlemme per una grigliata. Sono 20 bambini da 6 mesi a 12 anni, di cui ho l’affido. Una grande tavolata con la mamma Cristina e noi 4 sacerdoti: uno spettacolo unico. Tutti insieme, mangiando, cantando, ridendo. I neonati nelle carrozzine con il biberon o in braccio. Ma che bella famiglia siamo, ho detto ad un certo punto! Ma il mio cuore stava nella clinica e così sono ritornato a vedere le mie piccole ostie bianche. Sono stato con loro recitando il breviario, pregando per tutti voi. Questa volta ho fissato gli occhi di Aldo, il mio figlio adottivo, con il suo testone di 50 cm di diametro e un corpo lungo e fino come uno stuzzicadente. Quando si muove, prima gira il testone enorme e per conseguenza tutto il resto del corpo gli va dietro. Sono 15 giorni che non ride più, non fa più casino con gli oggetti che gli mettiamo fra le mani. E’ sempre girato verso l’immobile e gemente Victor. Da quando Victor e Cristina sono peggiorati è peggiorato pure lui. Mi commuove, mi mette in adorazione perché vedo concretamente cos’è il corpo mistico di Cristo, per cui se uno soffre l’altro soffre, se uno gode l’altro fa casino. Come spiegare diversamente questo strano rapporto fra i tre bimbi, di cui solo il mio figlio adottivo, ma lo sono anche gli altri anche se non riconosciuti per legge, vede e ascolta però è muto e d’accordo con il giudice gli abbiamo dato 10 anni di età, facendolo nascere il giorno di Natale: 25 Dicembre 1998, se non perché il Mistero che li fa in ogni momento li mette insieme facendo di loro tre un movimento di fede unico e indispensabile per me, per voi, per la chiesa, per il mondo? Soffro tanto guardandoli e li guardo le 24 ore del giorno e sono geloso di questa piccola mia comunità, di questa comunione che è davvero liberazione, cioè esaltazione del mio io, della mia coscienza di essere rapporto con il Mistero. I gemiti terribili e forti di Cristinita, quelli deboli, sottili ma più dolorosi di Victor e il silenzio pieno di tristezza del mio piccolo e lungo Aldo mi fanno capire che la bellezza della vita è nel mio nesso ontologico con il Mistero. Fenomenicamente parlando sembrano “inutili”, direbbe il diabolico mondo (per me sono bellissimi anche nell’aspetto, come lo è ogni figlio, come lo è l’accattone, pieno di sporcizia che arriva al mio ospedale moribondo e putrefatto), ma ontologicamente sono Gesù, capite…sono Gesù: è la mia piccola compagnia di Gesù, è la mia piccola “Riduzione” che fa respirare il mondo. A me il compito di curarli e a voi di sostenerci con la vostra preghiera. Dopo la Messa delle 15.00 sono tornato a dare il bacino della buona notte agli altri miei figlioletti delle 2 case di Betlemme. Erano tutti lì seduti attorno al grande tavolo con la mamma Cristina, mentre i bebè erano già nelle loro culle che dormivano. Mi sono seduto con loro. Erano felici. Fanno fatica a capire quello strano rapporto fra me (il papà) e Cristina (la giovane mamma rimasta solo con un figlio naturale e le altre due piccole morte nella mia clinica e il marito in Spagna a lavorare), ma la verginità è un linguaggio, è l’unico linguaggio che anche i bambini comprendono e per questo ci vogliono un bene dell’altro mondo. I bambini mi sono saltati al collo e dopo tanti bacini ci siamo raccontati delle barzellette per mezz’ora. Ma che bella la verginità, ti fa vivere una tenerezza con Cristina che poi diventa paternità, maternità con questi bambini. Alle 21.00 tutti a letto. Do loro il bacino della buona notte, le preghiere…e poi adesso sanno mettersi il pigiamino, quindi ho un lavoro in meno. Sono 8 bambine, 4 bambini e 3 bebè. Qualcuno ha l’AIDS, altre sono state violentate dai “patrigni”, altri sono figli di nessuno. O meglio, Dio li ha dati a me. Per ultimo saluto Cristina con un bacino sulla testa (è piccola ma bella) e torno in convento in compagnia dei miei confratelli. Però prima vado alla clinica perché mi aspettano…Anche le belle infermiere del turno notte. Bacio i miei piccoli ammalati, li tocco e mi faccio il segno della croce, un bacino (sono gli ultimi del giro), passo per il S. Sacramento per consegnargli la giornata. Alle 23.00 vado a letto…un po’ di sonnifero con un po’ di antidepressivo (come vedete obbedisco anche al medico e non mi dà fastidio usare anche ciò che la scienza regala per vivere meglio…tutto ciò che è buono viene da Gesù) e dormo, dormo quanto necessario perché poi alle 04.45 devo già essere in piedi per l’ora di ginnastica, trotto recitando i 4 misteri del Rosario, così già il lunedì e ogni giorno inizio contemplando tutta la vita di Gesù. E poi il lunedì mattina viene il Vicepresidente della Repubblica, il vice ministro delle finanze e dalla prossima settimana anche l’amico ministro della pubblica istruzione a recitare le lodi con me, Paolino e Daf (l’ultimo sacerdote che don Massimo ci ha regalato).
con affetto, P. Aldo Trento
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Postato da: giacabi a 20:59 |
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padre trento
Io giaccio con la verginità
***
al Meeting di Rimini
Di Aldo Trento
"Corazón
maldito por qué palpitas?", "cuore maledetto, perché batti?", diceva
Violeta Parra. E poi: "Gracias a la vida que me ha dado tanto". E poco
tempo dopo si toglie la vita. Perché comincio così? Perché vorrei
rispondere qui a quello che mi ha commosso molti anni fa quando Giussani
ha detto: "Vi auguro di non essere mai tranquilli".
Luglio
2008, sono lì con i bebé a cui sto dando il biberon. Torna Cristina, la
mamma che mi aiuta coi bambini piccoli malati di Aids o violentati,
tornano con le pagelle, li metto in girotondo, leggo le pagelle. Lì si
va dall'uno al cinque. Uno, uno, uno, uno, tutti uno. Sorrido e gli
dico: "Assomigliate a vostro padre che sempre ha avuto problemi di
scuola e di risultati, era buono a nulla. Placido si chiamava, e spera
di diventare santo. Però c'è un motivo che mi fa contento. Perché
nella vita la cosa difficile non è passare da uno a cinque, è passare
da zero a uno. E voi da febbraio a luglio siete passati da zero a uno."
Poi ho spiegato alla mamma cosa volevo dire. Bene, io sono questo
ragazzino di sessantadue anni che forse è arrivato a due, per pura
grazia divina. Per questo, più che parlarvi delle opere, ho scritto un
omaggio a Giussani, perché io vivo di lui: è lui, è Dio, è lui dietro
tutto quello che potete vedere o leggere. "Padre Aldo – mi disse
Giussani – ho deciso, adesso che stai diventando un uomo, di mandarti in
Paraguay." "Ma come, mio fratello mi ha detto che sarebbe meglio che mi
ricoverassi al reparto per esauriti mentali a Feltre, visto la grande
depressione che sto vivendo, una malattia inattesa, che mi ha portato
d'improvviso a perdere il gusto della vita, mi ha reso difficile ma non
impossibile il nesso con la realtà, e tu , mi vuoi mandare in missione?"
Giussani mi guardò come quella volta che Gesù fissò con tenerezza il
giovane ricco, Zaccheo, la Maddalena, Matteo, e mi disse: "Ebbene, io ti
mando in missione perché solo adesso mi sento sicuro di te. Parti. Ti
faranno il biglietto e io ti accompagnerò a Linate con lei e i suoi tre
bambini."
Era il maggio del 1989, a Riva del Garda. Ma cosa era successo prima,
perché mi accadesse tutto questo? Perché il Giuss mi prendesse per mano e
mi dicesse quelle parole? A sette anni la chiamata chiara ad essere
tutto di Gesù. Cinquant'anni fa, il 28 luglio 1958, abbandonai la mia
famiglia alla quale non chiesi il permesso, semplicemente la posi al
corrente della decisione, e in autostop fermai un trattore che mi portò
in seminario. Mia madre mi guardava sbalordita e incredula dalla
finestra e piangeva, e io: "Mamma mi verrai a trovare?", ed il trattore
si avviò lentamente verso un destino in cui era chiara solo una cosa in
me, dentro la mia irrequietezza: Gesù mi voleva tutto, tutto per sé. Molti
anni più tardi compresi che tutto questo si chiama verginità, che è la
bellezza, lo stupore, la capacità di commuoversi di fronte alla realtà,
paternità, pienezza affettiva. Il
seminario: anni difficili, belli e rabbiosi. Finalmente, nel pieno
della contestazione del '68, nel '71 mi ordinano sacerdote. Dubitavo che
mi ammettessero. Ero totalmente di Cristo, ma l'insoddisfazione e il
desiderio di un mondo nuovo, l'irrequietezza per un vuoto
esistenzialmente e socialmente poco interessante, mi portò a simpatizzare per Potere Operaio, l'ideologia piano piano cercava di riempire quel vuoto,
ma il male di viere già faceva capolino dentro le fibre del mio cuore e
si manifestava in ribellione. Così mi spedirono a Salerno, fra i figli
dei carcerati, per vedere se entravo nell'ordine, nel politicamente
corretto, diremmo oggi. Lì un giorno quattro ragazzini di Battipaglia, come un fulmine cambiarono la mia vita. Primo
avevo partecipato a organizzare uno sciopero contro l'imperialismo del
Vietnam e insegnavo la teoria di Paulo Freire invece di religione. Quei
ragazzi mi dissero: "Professore, non è così che lei cambia il mondo, il
mondo cambia se cambia lei, e lei cambia se si lascia amare da Gesù."
Sconvolto, da quel momento, una possibilità nuova apparì all'orizzonte
della mia vita: potevo prendere sul serio la mia umanità senza paura,
senza censurare niente.
Le cose però precipitarono e i miei superiori mi spedirono a nord,
vicino a mia madre, per vedere un possibile miracolo nella mia vita.
Così mi stabilii a Feltre, in provincia di Belluno. Tutto
continuava in una guerra interiore fra l'ideologia e il vuoto
esistenziale, la domanda sul perché della vita e una aridità affettiva
terribile, perché si era pietrificato il cuore. Si diceva (e l'avevo
imparato a memoria): "Il privato non esiste, ciò che conta è il
politico". Due anni durissimi, dove solo quella scintilla accesa a
Salerno mi dava una fragile speranza.
Però la disperazione cresceva e fu così che un giorno un amico i invitò ad un'assemblea a Padova con don Giussani. Sul
palco, ricordo come adesso, salì una giovane bella donna, vedova con
tre bambini piccoli, lesse il suo dramma e la sua fede di fronte a
quanto le era accaduto. Rimasi sconvolto da quel gennaio '87 non ebbi
più pace. Ero rimasto affascinato. Un fascino che dopo alcuni mesi si
trasformò in una grande affezione. Mi
sembrava di sognare. Ma date le reciproche condizioni di vita, tutto
sfociò in disperazione che diventerà ben presto la depressione che non
mi abbandonerà più.
Da quel momento mi spaventai perché non potevo credere che la mia
umanità fosse un impasto di desideri, di aspirazioni di infinito, di
amare, di essere amato, di bellezza e di giustizia e anche di gelosia e
di possessività. Ma che fare? Il grido, l'umano è solo grido, mi rese
mendicante; mendicante di un rapporto di qualcuno che mi facesse vedere
che quell'affetto non solo non era incompatibile con quello che ero, con
il mio sacerdozio, ma era come il cammino necessario per gustare la
bellezza della verginità, il possesso senza possedere, per vincere quel
vuoto affettivo riempito per anni dall'anestesia dell'ideologia.
E così il 25 marzo 1988, in ginocchio, piangendo, andai da Giussani. Mi
accolse come lui sapeva fare, perché nel suo cuore c'era posto per uno
come per un milione. Mi abbracciò, mi lasciò piangere, mi dette le
caramelle dopo un lungo tempo di singhiozzi e mi disse: "Che
bello, adesso finalmente cominci ad essere un uomo! Quanto stai vivendo
è una grazia per te, per lei, per i suoi figli , per il movimento e per
la Chiesa. Vai e porta loro l'uovo di Pasqua."
Da
quel giorno e fino alla morte mi tenne con sé. Prima di uscire da
quella stanza a Milano mi richiamò indietro e mi disse: "Come sarebbe
bello che quest'estate qualcuno ti facesse compagnia!" Lo guardai e gli
dissi: "Ma Giussani, dove potrei incontrare un uomo, un prete, disposto a
condividere l'estate con uno schizzato, un ossesso, con tutto quello
che devono fare?" Mi fissò come Gesù: "Va bene, ti porterò con me." Per
due mesi, fino alla partenza per il Paraguay, mi tenne con sé, pagandomi
tutto e trasferendomi dalla mia congregazione alla Fraternità San Carlo. Don Massimo Camisasca si vide arrivare questo pacco, questo povero uomo, buono a nulla, nelle sue mani e mi accolse. "Prendere sul serio la propria umanità senza censurarla – dice Giussani in "Tracce d'esperienza cristiana" – è la strada necessaria perché riaccada l'incontro con Cristo."
Ma che terribile, che bella la propria umanità così fragile, così
povera e grande nello stesso tempo! Mi ha fatto paura il mio io. Non
pensavo che l'umano fosse una miscela di cose belle e disperate, che
fosse insieme ironia e disperazione. Così per non perdere quanto amavo,
mi accompagnò all'aeroporto e volle che ci fosse quel segno sacramentale
dell'amore divino con i suoi tre bambini. Ricordo quando con gli occhi
rossi, sul marciapiedi di Linate, guardando lei sofferente, dissi a don
Giuss: "E lei?" La guardò e le disse: "Al prossimo ritiro del Gruppo
Adulto ti aspetto".
Era il giorno della Natività della Madonna quando giunsi in Paraguay. Passò un anno, e il
15 ottobre 1990, giorno del compleanno del Giuss, mi chiamò lui per
telefono: "Padre Aldo, chiama lei e dille che il direttivo del Gruppo
Adulto ha deciso di accoglierla nel suo grembo." Non riuscii neanche ad
augurargli buon compleanno per la commozione, perché non potevo capire
tanta tenerezza sua e tanta umanità. Non poteva far lui questa cosa?
Dirglielo lui! Perché si preoccupa che sia io a dirlo a lei, che stavo a
dodicimila chilometri di distanza? Solo un uomo come lui poteva essere
capace di amare così.
Da quel giorno sono dovuti passare quindici lunghi anni dove solo la
compagnia di Padre Alberto continuità visibile di quella del Giuss, non
solo ha impedito che la facessi finita con la vita, diventata
insopportabile per l'acuirsi ogni giorno di più della depressione, ma mi
ha fatto lentamente capire una cosa essenziale nella vita: solo un
grande amore, un grande dolore, dentro la forte e tenera amicizia, per
quanto fragile, fanno di un io un uomo, cioè un padre.
Padre Alberto ha vissuto per dieci anni solo per fare compagnia ad un
disperato, dibattuto fra la percezione che amare ed essere amato è
possibile e la crudeltà della vita che pareva fregarmi. Ma
la realtà, l’umano di ognuno, non sono mai nemici dell’io, neanche
quando ti rendi conto che non ti fanno nessuno sconto. Perché vi
garantisco, è terribile prendere sul serio la realtà, la propria
umanità. Perché non puoi che gridare, mendicare, consegnarti come da
quando ho sette anni continuo a gridare. E così ad un certo punto Dio,
la realtà, mi toglie anche la compagnia di Alberto e rimango solo. Solo
col mio dramma, con la mia non voglia di vivere, con la mia stanchezza.
L'unico conforto, da quel momento, sarà l'Eucaristia, che porrò come
parroco e signore di tutto.
Da
lontano, Alberto e monsignor Pezzi mi guidano ogni giorno: "Aldo, in
alto i cuori!" La chiarezza del destino , pur nella confusione della
mente e nell'assenza di ogni emotività; la percezione della distanza
come condizione del "già", di una possibile pienezza affettiva, l'unica
che fa di un uomo un uomo; la possibilità di amare virilmente colei che
Dio mi aveva posto sul cammino come inizio di cambiamento: tutto questo
si chiama verginità che ha dato origine a quella piccola città della
carità che, in compagnia di Paolino e Ettore, è diventata la comunità di
San Rafael in Paraguay. La verginità, ossia la carità, è la pienezza
oggi, è come l'albore dell'io a cui è data la grazia di sperimentare
adesso quello che ogni ragazzino con la tenerezza che porta dentro dice
alla sua ragazzina: "Tuo per sempre, ti voglio bene per sempre". In
fondo siamo realisti, aveva ragione Camus quando metteva in bocca a
Caligola: "Voglio la luna" O quanto scriveva Karl Marx a sua moglie:
"Ciò che fa di me un uomo è il mio amore per te e il tuo per me".
Si ama, si è padri, solo se si è amati, attraverso tutte le belle,
drammatiche, ironiche pieghe dell'umano. Io vivo facendo compagnia
all'uomo che grida, piccolo, giovane o ammalato terminale che sia.
Quanto è nato e creato da Dio, mediante questo povero uomo, è stato da
lui voluto perché io possa fare a tutti quello che Giussani ha fatto a
me: compagnia.
È così che quando ho visto per la prima volta un cadavere per strada me
lo sono preso, l'ho portato a casa, l'ho pulito. E così di giorno in
giorno. Ho preso i moribondi, gli abbandonati, quelli putrefatti delle
favelas. E Dio ha creato quell’insieme di opere che oggi vedono
impiegate più di 100 persone pagate e centinaia di volontari.
L’uomo sano, bello o putrefatto non ha bisogno di consigli, ma di
qualcuno che lo tenga per mano. Prendere sul serio il grido che siamo.
Dare fiducia a qualcuno che Dio certamente mette sul tuo cammino per
indicarti il destino. Accogliere il sacrificio, il dolore, non come una
malattia ma come una grazia. Ricordo un editoriale su un settimanale di molti anni fa, in Paraguay, l’Osservatore della settimana: “La
depressione non è una malattia, ma una grazia”. Un senatore molto
conosciuto si avvicina dopo avermi cercato. Voleva togliersi la vita:
questo editoriale lo cambia. Da quel momento diventa un altro. Presiede
la commissione Bicamerale. Riesce a mettere tutte le nostre opere nella
finanziaria.
Così un governo del terzo mondo applica un articolo in cui sostiene
finanzia per mille milioni, duecentocinquantamila dollari, un’opera, una
realtà che certamente non ha appoggiato il governo attuale. Una cosa
impressionante; e così tutto quello che viene dopo. La
depressione non è una malattia, è una grazia, perché ti spoglia di
tutto. Oggi la chiamano malattia, un tempo la chiamavano
purificazione,notte dell’anima, possibilità della santità: per me è
ancora quello. Per questo oggi raccolgo anche i matti. Mi facevano
tremendamente paura anni fa, perché mi vedevo un possibile candidato ad
essere uno di loro. Oggi li guardo con ironia e rido con loro perché
anche nella pazzia ho visto che in tutti c’è un minimo di libertà.
Perché ho sperimentato che se non fosse vero questo non esisterebbe Dio,
perché non ci sarebbe l’uomo. L’uomo è libero anche quando perde la
ragione. Ho la certezza perché l’ho visto su di me.
Voglio
dire che realmente il dolore è una grazia che ti permette di essere
contento perché ti permette di amare, ti permette di vivere la
verginità, che è l’unica e reale e concreta vocazione dell’uomo: la
pienezza dell’io. Perché c’è la verginità? L’io compiuto, già come
possibilità adesso, come possibilità affettiva. Grazie Gesù per il tanto
amore, per il tanto dolore ch emi permetti di vivere ogni giorno.
Stretto a te sulla croce per poter dire a tutti: “Ti voglio bene per
l’eternità così come io sono voluto bene da te o Gesù.” Davvero si è
compiuta quella promessa. Io
a 62 anni sono un uomo contento dentro un inizio di compiutezza che mi
fa guardarla morte con serenità. Ho accompagnato a morire più di
cinquecento persone in quattro anni. Tutte con il sorriso sulle labbra.
Son diventato padre di decine di bambini che non hanno nessuno e mi
chiamano papà: “Papà, quando torni, e perché te ne vai?” Li metto a
letto la sera, li prendo la mattina e li accompagno a scuola. In me si è
compiuta , si sta compiendo quella profezia di Giussani: “È una grazia
per te.” Per lei anche, perché è una donna contenta, per i suoi figli:
due consacrati e uno sposato, per il movimento. Credo
che l’esperienza che vivo sia un esempio per la chiesa. Io vivo per
quello. Anche oggi che in Paraguay c’è un governo socialista, il
vicepresidente pur sapendo tutta la battaglia che abbiamo fatto perché
non vincesse questo governo, mi ha chiesto: “Padre, posso ogni lunedì
alle sei, venire a pregare lodi con te?” Ebbene, da quando è stato
nominato, il 15 agosto, tutti i lunedì mattina il vicepresidente prega
lodi con me e fa un po’ di adorazione. Un miracolo insperato. È nato
perfino un partito trasversale per i temi della vita, per i temi dei
poveri. Perché anche dentro a questa condizione impensata del socialismo
del Ventunesimo secolo che vuole svuotare il cristianesimo di Cristo ,
uno deve lavorare con intelligenza, con amore, con Cristo, partendo da
Dio. Anche il vescovo presidente ha detto al Nunzio: “Padre Aldo io lo
rispetto, e così i suoi confratelli. Perché di fronte a quello che lì
accade, non è possibile fare rappresaglie, perché è qualcosa che noi
desideriamo che accadesse in tutto il Paraguay”. Grazie, e pregate per
me.
Da Il Foglio, trascritto dal cartaceo di sabato 30 agosto 2008
grazie a:centroculturalelugano.blogspot.com/
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Postato da: giacabi a 17:20 |
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testimonianza, padre trento
I SANTI - PICCOLE STORIE DAL PARAGUAY
Il santo di settembre
***
A
dire il vero sarebbero tanti i santi di questo mese. Santi incontrati
al Meeting di Rimini, santi che ogni giorno mi riempiono di e-mail, una
più bella dell’altra, e santi che stanno morendo nella clinica “Casa
Divina Provvidenza S. Riccardo Pampuri”.
E chi sono questi santi? Sono le centinaia di persone, di tutte le età che dopo l’incontro di Rimini mi “assediano” con il loro grido di verità, di bellezza, di amore, di felicità. Persone desiderose, bramose di saperne di più rispetto al centuplo. Padre ma è vero che quanto è accaduto a lei è possibile anche per me? Padre è vero che la depressione è una grazia? E come accettarla così? Dove trovare un uomo con questa libertà di vivere, di amare? Padre ho paura del sacrificio, del dolore…come ha fatto lei a sopportare tutti questi anni di sofferenza psichica e morale? Ma è possibile amare e come coniugare l’amore con il dolore? Ma che bella la verginità se poi accade quanto è accaduto a lei! Dove ha trovato l’energia per obbedire a Giussani? Come ha fatto a dargli credito? Padre ci parli dell’umanità di questo uomo che ha saputo condurlo per mano in un modo così umano che sbalordisce e nello stesso tempo sentiamo che se non fosse così non varrebbe la pena credere in Cristo. Le e-mail di questi giorni sono tutte un tentativo di rispondere a queste domande. C’è un vuoto affettivo, una paura d’amare e un’assenza di padri impressionante. Come non ricordare le code di ragazzi, ragazze, adulti che hanno fatto impazzire Miriam, la hostess, per poter sentirsi dire che ciò che il cuore desidera è vero e può incontrare una risposta adeguata? Perfino mi correvano dietro con il loro dramma anche quando andavo al bagno. No, non è spento il cuore dell’uomo, il cuore del santo. Solamente, mi domando, dove siamo noi adulti? Sentiamo che il grido dell’uomo è sempre potente ed è un grido che ha bisogno non di telefonate,di consigli, ma di una compagnia? Vorrei mandarvi le e-mail che ricevo perché potessimo rendercene conto. I santi sono quelli che gridano, che vivono irrequieti, senza patria, mendicanti dell’Infinito. Tornando a casa ho rivisto tutti i miei figli ed è stata una festa. Ma ho rivisto in particolare il piccolo Victor di un anno. Se non ve lo ricordate vi rimando la foto… però così come è ora. Sono rimasto sconvolto appena l’ho visto. Gemeva, geme in continuazione…mmm, ah, ah, ah…e tende le braccia stringendo forte le manine a forma di pugno. La sua testa è enorme e come d’improvviso la parte inferiore si è sprofondata lasciando una piccola fossa, lì dove non ha il cranio. Cos’è successo? D’improvviso, attraverso l’apparato messogli dai medici, è uscita tutta l’acqua della testa, quell’acqua che avvolgeva il suo piccolissimo cervello. Una immagine impressionante, dolorosissima. E’ come guardare un pallone da calcio bucato. Non bastasse questo, l’altro giorno gli è scappato l’occhio sinistro, rimanendo una cavità vuota che spurga di tutto. Abbiamo dovuto mettergli una garza. Lo guardo e non posso non andare con la mente al testo di Isaia, lì dove il profeta parla del servo sofferente, di Gesù, senza apparenza senza nessuna bellezza, distrutto fisicamente, gemente per l’atrocità del dolore. Victor il mio bambino non solo è un piccolo cadaverino che vive, ma è tutto deformato, lacerato, pieno di cannucce che entrano ed escono dal corpo. Il mondo ha paura di lui, sente ribrezzo, non sopporta vedere questo piccolo ridotto ad un mostro. Il mondo dice: perché non lo lasciate morire? Ma voi siete inumani, non è giusto, etc…Io lo guardo, piango, soffro perché Victor è Gesù, il mio piccolo Gesù che agonizza, che soffre, che geme, che chiede un po’ di amore. Lo bacio, lo bacio sempre…i gemiti si calmano. Gli accarezzo la fronte…non più testa ormai sgonfiata con la pelle infossata, come un laghetto di montagna…e sento che accarezzo Gesù. Le domande mie sono tante e tutte rivolte a Gesù e così pure le domande di chi ha il cuore di Cristo per vederlo, perché senza questo cuore posseduto da Cristo uno non ce la fa. Chiedo a Gesù di aiutarmi perché questa piccola ostia bianca, ridotta ad un “mostro”, così lo definirebbero quanti in Italia vogliono che Eluana muoia, cambi il cuore, lasciando a Gesù di possederlo, tenga desto in me quella drammaticità toccata con mano in Rimini. Mentre scrivo sento i suoi gemiti continui, come un sibilo che ti rompe il cuore…e non mi resta che inginocchiarmi davanti a Lui, Gesù che sta morendo sulla croce. Però Gesù aveva il Padre, la mamma ai suoi piedi, questo Gesù ha solo me, noi poveri uomini e per di più non ha mai conosciuto il sorriso, né il pianto…ma solo un gemito che dura dalla nascita fino ad ora. Il suo corpicino deformate non ha più niente di sano, gli manca solo che si spappoli l’occhio sinistro poi tutto è consumato. Amici, quanto dolore nel mondo e noi? Noi siamo grati a Gesù per quanto ci dà? Per me Rimini ha voluto dire la percezione che Gesù da quel momento in avanti mi avrebbe chiesto ancor di più sia come capacità di soffrire, sia come capacità di fare compagnia. E ne ho avuto subito l’esperienza appena tornato in cui da subito, lontano da quel frastuono umano, mi sono trovato alle prese con la vita quotidiana.
Aiutatemi
con la vostra preghiera perché a chi molto è stato dato, molto gli è
chiesto. Sono grato a Gesù perché non mi lascia tranquillo un secondo e
così la vita diventa supplica.
Con affetto , P. Aldo Trento
Nota Bene: Come
vorrei che questo scritto con la foto arrivasse a coloro che hanno
deciso che Elvana “deve” morire. No, non può morire se Dio non ha ancora
deciso. La vita è sua, di Dio... se la uccidiamo saremmo tutti più
poveri e disgraziati.
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Postato da: giacabi a 16:37 |
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padre trento
Padre A.Trento
incontro a Cagliari
VIVERE E INVECCHIARE CON L'AIDS 29 Novembre 2007
^^^^^^^
se vuoi ascoltare solo P. Trento
portare il cursore dov'è la freccia
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Postato da: giacabi a 12:16 |
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cristianesimo, padre trento
Padre Aldo Maria " Chi lascia
Capita, nel marasma di esistenze
che si intrecciano e si sfiorano
in questi giorni, di reincontrare
volti che ci hanno cambiato la vita.
Così, due giorni fa, Maria e
padre Aldo si sono reincontrati.
Padre Trento al pubblico del
Meeting aveva raccontato tutto:
degli inizi, del sacerdozio, della
parrocchia dove incontra Maria,
una vedova con tre figli di cui si
innamora. Aveva raccontato del
periodo nero in cui pensa di mollare
tutto e poi dell’incontro con
don Giussani, la decisione di rimanere
prete e di partire in missione
per il Paraguay. Quello che
non
sappiamo, è quel che è accaduto dopo: la fioritura della vita di quei
due, uno prete dall’altra parte del mondo e l’altra a vedere i figli
diventare grandi.
Padre Aldo e Maria si sono rivisti,
in questo Meeting ed è lui
stesso a raccontarlo. L’occasione
è informale: tutte le sere gli autisti
si ritrovano per una “bombolonata”
in compagnia. Molte
brioche, ci si racconta la giornata:
l’unico momento in cui guardarsi
un attimo in faccia. Così
anche due giorni fa, solo che tra i
ragazzi c’è anche padre Aldo.
L’ora è tarda, gli autisti sono
stanchi, ma la sala Tiglio è piena.
L’hanno invitato, raccontano,
perché all’incontro che ha tenuto
al pomeriggio non sono potuti
andare. «Ho conosciuto padre Aldo
portandolo in macchina da
San Marino alla Fiera. Durante il
viaggio mi ha raccontato la sua
storia, la stessa che ha ripetuto al
pubblico del Meeting», racconta
uno degli autisti. Dice che quelle
parole l’hanno inseguito per tutto
il giorno, che hanno «rivoluzionato
il mio modo di guardare il
rapporto tra fidanzati».
Padre Aldo attacca subito: sono
passati vent’anni da quando decise
di lasciare la sua parrocchia e
Maria, per partire in missione.
Lei due giorni fa era in Auditorium, l’ha sentito parlare e si ècommossa. Si sono incontrati,
|
riabbraccia
possiede davvero"
abbracciati. Non si schermisce,
padre Aldo, nel raccontare la
grandezza di quell’abbraccio.
«Mi
ha detto che ha paura di perdermi, proprio come era successo con la
morte di suo marito. Quando tutte le cose sembrava che andassero bene, il Signore glielo aveva
portato via. E invece - continua
- non ha perso nulla. Le ho detto che non deve aver paura, perché solo lasciando si guadagna per sempre». Don Giussani
l’avrebbe chiamato “un possesso con il distacco”.
Racconta dei frutti che quel distacco
ha portato, della certezza
del bene che sente su di sé «perché
il problema di amare ce l’abbiamo
tutti, io desidero amare.
Ma ancora più grande è essere
capaci di sentirsi voluti bene».
I figli di Maria in questi anni
sono diventati grandi: le due ragazze sono entrate nei Memores
Domini, il maschio si è sposato e
ha due bambini: «Pensate che è
tornato da me e mi ha chiesto se
può venire a salutarmi a Roma».
Parla della verginità come miglior
forma di possesso, del miracolo
che il buon Dio ha compiuto
nella sua vita e, giura chi era là, i
suoi occhi dicono d’una gioia rara.
Nessuno fiata. I bomboloni sono
quasi finiti. Padre Aldo non
può assaggiarne neanche uno
perché ha il diabete e allora gli
portano del formaggio. È stanco,
si fa accompagnare all’uscita, dove
gli viene regalata una maglia
firmata da tutti gli autisti. Hanno
anche raccolto un’offerta, quel
che potevano.
Ci ha lasciato augurandoci di
non essere mai tranquilli, che la
strada è segnata per ciascuno».
Proprio come diceva il suo amico
don Giussani ventitré anni fa, in
quel di Rimini.
Maria Acqua Simi
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Postato da: giacabi a 09:24 |
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padre trento
Il Vento di Dio
(Storia di una Fraternità)
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