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domenica 19 febbraio 2012

padre trento2


Il santo di luglio
"Contemplate ogni giorno il volto dei santi per incontrare riposo nei loro discorsi".
***
il santo di luglio
Personalmente direi nel loro modo di affrontare la morte, come il momento bello di incontrare il volto di Gesü, ogni giorno esperimento il riposo. Quel riposo che nasce dalla drammaticità della vita di cui il contatto quotidiano con i moribondi è la grazia piu grande che tengo.
In questi ultimi giorni ho avuto una grazia meravigliosa: la celebrazione nella clinica di tutti i sacramenti!
La clinica, un ospedale o è un luogo sacramentale o è una cella mortuaria, ed è un ospedale quando l'Eucarestia è il cuore di tutto. La clinica come luogo sacramentale contiene ed esprime Cristo presente nell'Eucarestia e nel malato. Che bello iniziare il giorno con la processione Eucaristica, dando ad ognuno la comunione e inginocchiandomi davanti ad ogni ammalato e dandogli un bacio senza la preoccupazione se è un tubercolotico, un piagato per l'AIDS etc.
E' Gesù, capite è Gesù e Gesù è per me tutto.
E' il mio cuore, è il mio respiro. Con quanta commozione ho baciato questa mattina la faccia fredda della bella Schirley la mamma di tre bambini, morta a trentadue anni. La guardavo morta e già viva, viva con il mio Gesu. Domenica 29 di giugno ho celebrato il battesimo di Nicolas, quel malato di cui avete già visto le foto con il corpo mangiato dai vermi. Non solo il battesimo, ma anche gli altri sacramenti. I vermi spariti e lui felice come la primavera. Guardate adesso la sua foto e confrontatela con la precedenti.
L'altro miracolo è il matrimonio della bella e giovane madre di 6 figli, Marina, ammalata terminale di cancro. Guardatela nella foto! E' proprio bella. Ho celebrato il suo matrimonio domenica 29 giugno. Quando l'ho vista arrivare dal letto al salone non l'ho neanche riconosciuta tanto era bella. La pensavo nel suo letto, distrutta dal dolore e come d'improvviso la vedo rifiorire. " Dio è carita'": questa consapevolezza che si esprime nel sacramento ridà vita al corpo distrutto dal male. Era commossa. Ho voluto consacrare una relazione con una norma che da sempre l'ha teneramente ornata e che, però, come mi dicevano, sentivano che mancava qualcosa fra loro nonostante i molti figli. Il giorno del matrimonio mi dissero: "Era Gesu che ci mancava..... che grazie al dolore abbiamo incontrato". Terminata la Messa mi dicono: "Padre il corpo si consumerà, ma il nostro amore è eterno". La festa che è seguita è stata un anticipo del padre. Marina è riuscita, per la gioia del sacramento, anche a ballare. Marina..........con ometostosi....è riuscita a ballare. La guardavo e mi veniva da piangere.
Ecco quel bambino che già conoscete e che per il mondo sarebbe un piccolo mostricciattolo. Che bestemmia! E' Gesù nel giorno del suo battesimo .E' figlio di Dio. Capite cosa significa?
Mentre voi, giustamente, andate in ferie Victor di Gesù, gemendo notte e giorno si sta immolando come Gesù sulla croce. Senza la sua Presenza nè io nè voi avremmo la grazia di gustare la vita e per voi anche le ferie. Guardatelo e siate uomini cioè un " io" che vive drammaticamente ogni istante. Le vacanze si godono veramente solo in questa prospettiva.
Ed infine Rosetta, 6 mesi, la mia bambina datami da una giovane " madre" disperata. Anche lei, battezzata, figlia di Dio e figlia mia, dopo un lungo ricovero nella nostra clinica adesso è nella casetta di Betlemme in compagnia di altri sedici bambini, i miei bambini che mi ricordano "Marcellino, pane e vino". Come dire, uno sguardo grande sulla realtà e la totale fiducia nella divina Provvidenza.
Buone vacanze , P. Aldo Trento

Come aiutare p. Aldo (download modulo AVSI)


Postato da: giacabi a 13:49 | link | commenti
padre trento

domenica, 06 luglio 2008

Testimonianza
Padre Aldo Trento
(che grande!)
***

Documentario girato nella clinica di padre Aldo Trento, un ex attivista di ...
7 min - 28/mag/2008 -
Il vento di Dio (Storia di una Fraternità) - Terza parte
 Da: fmissione
ad: Annalisa e Annina

Postato da: giacabi a 06:26 | link | commenti (1)
padre trento

domenica, 01 giugno 2008

Il santo di giugno
***
Il santo bambino
Padre Aldo ha trovato questo piccolo abbandonato di due mesi, ammalato di Aids, e lo ha subito adottato dandogli il nome "Gesù" e diventando padre per la tredicesima volta... grazie al suo voto di Verginità. Perché la Verginità è feconda, dono di un Dio che è Padre!
Cari amici,
questa mattina il Signore mi ha fatto una sorpresa. Mi alzo e
trovo questo bambino nella casetta di Betlemme, abbandonato dalla giovane madre ammalata di AIDS. Lo chiamo Gesù e scopriamo che ha l’AIDS anche lui. Me lo prendo in braccio, lo guardo e sento un dolore immenso mescolato ad una grande tenerezza. Ringrazio Dio di avermi chiamato alla Verginità che sempre più vivo come l'unica pienezza di fraternità, perché è sinonimo di pura gratuità.
Quando a mezzogiorno tornano da scuola gli altri dieci figli dico loro: “ E' arrivato un nuovo fratellino, questa sera per festeggiarlo andremo tutti alla pizzeria con mamma Cristina”.
L’allegria è tanta, solamente i tre più piccolini, per gelosia fanno il musetto. Però quando alle 19.30 siamo tutti attorno alla tavola della Pizzeria “O sole mio”, con mamma Cristina alla testa, è una grande festa. Gesù ha due mesi ed è bello come il sole. Adesso la casetta è piena: sono 13: da Gesù che ha due mesi, Abigail 7 mesi, Giorgetto, anche lui con AIDS di 1 anno, attualmente ricoverato nella nostra clinica, Carlito 1 anno e su su fino a Natalia 11 anni. Sono tutti miei figli. Alla mattina alle 7 vado a prenderli per portarli a scuola. Mi aspettano già in fila, un bacio ed una benedizione ad ognuno, attraversiamo la strada, ci fermiamo davanti alla grotta della Madonna e subito raggiungiamo il cortile della scuola. L’ultimo abbraccio è poi... prima di dormire alle 20.30 con il bacino della buona notte, le preghiere, il pigiama, la benedizione e ... hasta mañana. Lascio i miei piccoli e passo alla clinica per salutare i miei figli terminali.
L’ultimo saluto forte è per Eucarestia.... e finalmente vado a riposare.
Davvero sono commosso per il dono della vocazione alla Verginità perché questi bambini non gusterebbero tanto amore se Gesù non mi avesse fatto questo dono
.
Con affetto, P. Aldo Trento

Postato da: giacabi a 17:28 | link | commenti (1)
santi, padre trento

mercoledì, 07 maggio 2008

Il santo di maggio
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Cari amici,
il 1° maggio, festa di S. Riccardo Pampuri abbiamo festeggiato il 4º Anniversario della Clinica, con la S. Messa alla quale hanno assistito ammalati, moribondi e la cosa più commovente i bambini della Casetta di Belemme (vedi foto), orfani dei genitori morti nella clinica e affidati a me. Mi chiamano "papà"! Guardateli, che belli. La mamma adottiva è Cristina, quella sulla destra. Quanto è bella la paternità che non è frutto della carne nè del sangue, ma dono puro di Dio.
Vi mando anche il Santo del mese. La testiminianza è di Crispino, un musulmano ateo che grazie al cancro ha chiesto il Battesimo e tutti i sacramenti. L'altro giorno ha compiuto 48 anni e ha voluto festeggiare con tutti il suo ultimo compleanno in questa terra. Ha pagato tutto: le pizze e le bevande.
Con affetto, P. Aldo Trento
Testimonianza di Crispin Morinigo
Asunciòn 23/04/08
Una coppia giunse in Brasile dalla Palestina e dal Libano per iniziare una nuova vita, con molti sforzi realizzarono i loro sogni e uno dei loro figli è mio padre, che ha avuto 54 figli.
Io sono nato nel 1960 da una relazione casuale tra mio padre e una paraguagia, allora adolescente, che al principio mi rifiutò e mi lasciò con mio padre con il quale ho passato una buona infanzia con molto affetto e molte attenzioni.
Quando ho compii i 14 anni volli conoscere mia mamma, allora andai in Paraguay, dove sono nato, e incontrai mia madre che al inizio mi rifiutò dicendomi che non aveva nessun figlio però con il passare del tempo si convinse che anch’io ero suo figlio e mi trattò con amore e affetto insieme agli fratelli miei.
Ho studiato nel CNC (Collegio Nazionale della Capitale) e più tardi lasciai gli studi per andare a lavorare per mantenermi. Ho sempre lavorato come venditore di confezioni e grazie a questo ho sempre mantenuto una buona posizione economica e tornai in Brasile e lavorai con imprese Brasiliane e girai tutta l’America, raggiunsi degli esiti, cose materiali e tutto quello che offriva il mondo sempre cercando qualcosa senza sapere mai cos’era, perché niente mi completava, niente mi riempiva, sentivo un vuoto terribile senza sapere perché.
Conobbi varie donne dalle quali ho avuto 35 figli in tutto ma la vita, per me, non era mai completa, addirittura mi innamorai di mia cugina con la quale ho convissuto 3 anni. Lei è stata il mio grande amore fino a quando, nel 1996
, vivendo con me si sposa con un americano e va a vivere negli USA. Persi totalmente il senso della vita, pensavo solamente alla vendetta per il suo tradimento perfino sua madre mi accusava che per colpa mia aveva perso una figlia.
Poco dopo iniziai a infermarmi, sentivo dolori allo stomaco, andai dal medico che mi diagnosticò gastrite acuta. Seguì un trattamento però il dolore non mi passava. Segui in questo modo fino al 2005 quando gia non sopportavo più il dolore e andai all’ospedale di Clinica e mi dissero che avevo il cancro. Mi operarono il 22/10/07 però appena aprirono tornarono a chiudere senza togliere niente perché era avanzato gia troppo e non c’era più niente da fare.
Li conobbi al Dr. Mazzotti, un buon medico e una buona persona che mi parlò di un luogo dove potevo stare meglio. E compì la sua parola, grazie a lui sono qui da febbraio del 2008
.
La mia prima impressione al entrare qui fu meravigliosa, sentì che c’era qualcosa di più grande, conobbi al Padre Aldo che rispettò il mio ateismo, senza smettere di accompagnarmi.
Col passare del tempo qualcosa mi attraeva, chiamava la mia attenzione, la forma che mi trattavano il personale della clinica, lo sguardo differente che avevano, l’amore con il quale mi trattavano, l’ambiente che si sente e non potei più sopportare finché un giorno mi inginocchiai davanti al Santissimo e piansi come un bambino che si aveva comportato male con la mamma e chiesi perdono a Dio per tutti i miei peccati e in quel preciso momento il mio cuore s’inondò di pace e serenità e dissi il Signore sta con me e non sarò mai più solo
.
Raccontai la mia esperienza al Padre Aldo e mi disse che il miracolo erra avvenuto e mi chiese se volevo ricevere il battesimo e gli dissi di si e tutto fu allegria e gioia.
Finalmente il vagabondo incontrò la sua casa che tanto aveva cercato senza sapere qual era. Da poco ho festeggiato il mio quarantottesimo compleanno ed è stato il migliore che ho avuto nella mia vita con Dio nel mio cuore e circondato da persone che mi vogliono bene.
Ho venduto tutto quello che avevo e resterò qui nella mia casa fino a quando Dio mi chiamerà per stare con Lui nel Paradiso.
Per me morire è bello, perchè finalmente vedrò il volto di Gesù che da un mese, solamente, ho potuto intravedere
.
Crispin Morinigo

Postato da: giacabi a 22:42 | link | commenti
santi, padre trento

domenica, 04 maggio 2008


VERSO LA TERRA SENZA MALE

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LA FRATERNITÀ SAN CARLO BORROMEO IN PARAGUAY        di :alfredotradigo
La missione di padre Aldo, Ettore e Paolino?
Mostrare agli indios attraverso la scuola, la clinica, il centro culturale che il cristianesimo è un’esperienza di bellezza per tutti.
Asunciòn, Paraguay
Padre Aldo Trento ha gli occhi e la pelle chiara, la voce afona e l’accento veneto che ci rende familiare il “suo” castigliano. Alle pareti d’ingresso della missione è riprodotta la serie completa degli affreschi della Cappella Scrovegni di Giotto; fuori, in cortile, una baita di montagna con la scritta Cafè literario van Gogh e la pizzeria O sole mio. Tutte le strutture della missione (asilo, scuola, clinica, poliambulatrio) sono raccolte in un bizzarro castello mediovale. Aiuole e siepi all’italiana, curatissime, incorniciano il quadro di questa orginale parrocchia-missione intitolata a san Rafael, l’arcangelo, “colui che guarisce”.
Se non fosse per il caldo tropicale, le grida dei tucani e quelle 14 ore di volo che ci separano dall’Italia, verrebbe da pensare che siamo capitati, fuoristagione, in un nostro oratorio estivo. Anche i parrocchiani – “paraguagi” discendenti degli antichi indios guaranì imparentati con meticci spagnoli – hanno tratti somatici non poi così diversi da noi.
Ci troviamo in un quartiere nè ricco nè povero di Asunciòn, capitale del Paraguay, dimenticato Paese del cono sud dell’America latina, stretto tra Argentina, Bolivia e Brasile. Paese verdissimo, attraversato dai rii Paraguay e Paranà, e che attrae i turisti per le bellissime cascate di Iguassu. Paese di un terzo più esteso dell’Italia e poco popolato: sei milioni di abitanti, un milione e mezzo in città, il resto disperso in spazi immensi, dove il chaco (steppa) e la foresta tropicale lasciano qua e là il posto ai grandi allevamenti di bestiame (estancias); e dove piccole fattorie schiacciate dal latifondo si perdono nei campos, mentre le casette unifamiliari si allineano lungo la statale o si raccolgono in ordinati pueblos intorno a qualche antica missione gesuitica o francescana. Dopo 35 anni di dittatura il paese vive dal 1989 un apparente, democratico progresso da "terzo mondo", che lascia comunque migliaia di paraguagi in condizioni di miseria.
Dalla favela alla missione
In auto, con padre Aldo, perlustriamo le sacche di povertà di Asunciòn. Un favelados armato ci allontana bruscamente dall’enorme discarica in cui ci siamo avventurati, brulicante di uomini “del riciclo” e naturale zona franca di illecite attività. Percorrendo le strade in terra rossa della grande favela che si stende ai piedi della discarica, si incontrano bambini che tornano da scuola coi colletti inamidati e la divisa blu. Stride il contrasto. Ma li ritroveremo sugli spartitraffico delle vie centrali, nel pomeriggio, a vendere frutta e verdura. Qui e nell’altra favela che degrada verso il fiume Paraguay (che ad ogni piena invade le baracche) padre Aldo viene a prendere i suoi ragazzi e gli ammalati terminali (Aids e tumori) di cui si prende cura nella clinica san Riccardo Pampuri, fiore all'occhiello della missione.
Scendiamo dall’auto per salutare un bimbetto, sì e no due anni, che vaga seminudo nella polvere del recinto intorno alla sua baracca. Tra un anno padre Aldo potrà portarlo a san Rafael, dove imparerà a giocare con gli altri bambini; e sopratutto a capire - in una società dove è totalmente assente la figura paterna - che tutti abbiamo un Padre; che per lui avrà il volto di padre Aldo, di padre Paolino (ex-carrozziere di Imola, già missionario in Cile, che organizza tra l’altro i lunedì del Caffè letterario e la redazione del foglio Observador Semanal); di padre Ettore, alla sua prima esperienza missionaria, che insegna all'Università cattolica di Asunciòn ed è bravissimo a far giocare i bambini.
Il cristianesimo è un incontro
Sulla porta della chiesa parrocchiale il “manifesto” della missione: «Lucifero il principe degli onesti, l’angelo più puro, più bello, senza difetti, la personificazione di tutti i valori di moda oggi; però orgoglioso, sino al punto di voler essere come Dio. E l’arcangelo Michele che significa “Chi è come Dio?lo caccia all'inferno». Parole che richiamano perfettamente nel senso l’inizio dell’enciclica Deus est caritas di Benedetto XVI: «All’inizio del cristianesimo non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la decisione definitiva».
Un orizzonte nuovo dunque, una decisione definitiva è all’origine di questa missione dove abbiamo imparato di nuovo – ce ne eravamo dimenticati – cos’è il cristianesimo: non progetti ideali, ma la concreta bellezza di una vita nuova sperimentabile subito, anche in mezzo al male. La terra sin mal che gli indios guaranì cercavano nella foresta tropicale – e che proprio qui in Paraguay, tra il 1600 e il 1750, i gesuiti fecero loro incontrare nell’esperienza delle antiche reducciones spazzate poi via dai Governi portoghese e spagnolo – rivive oggi qui nella parrocchia san Rafael.
Tutto nacque da un’intuizione di don Luigi Giussani, fondatore con don Massimo Camisasca della Fraternità sacerdotale missionaria san Carlo Borromeo, presente in oltre 20 Paesi al mondo e di cui fanno parte Aldo, Paolino e Ettore. Incontrando 17 anni fa padre Aldo, sacerdote canossiano in profonda crisi, don Giussani gli affidò questo compito : «Va in Paraguy e rifai l’esperienza delle antiche reducciones della Compagnia di Gesù».
Rinasce il popolo guaranì
Questa parola – compagnia, insieme all’altra, bellezza (incontrata da padre Aldo nell’arte gesuitica locale), sono il segreto delle opere sociali sorte come per miracolo qui a san Rafael in pochissimi anni. Se ne stupisce la stessa gente del posto che volentieri aiuta la missione con ogni mezzo, dal volontariato al sostegno economico. Senza la compagnia della fraternità san Carlo – in particolare l'amicizia con don Massimo – padre Aldo sarebbe un uomo perennemente angosciato; i primi anni, infatti, lo videro catapultato qui a cercare affannosamente tra le rovine delle reducciones (soffocate dalla foresta tropicale) e la miseria delle favelas cittadine quel filo di bellezza con cui poter riannodare al presente il passato glorioso del popolo guaranì. Oggi quel popolo è diventato il suo popolo e padre Aldo, anche attraverso studi e pubblicazioni apprezzatissime anche a livello locale, sta riscrivendone la storia artistico-religiosa.
Intanto, nella nuova foresta del degrado urbano, l’asilo e la scuola elementare raccolgono ogni giorno 150-200 bambini; il poliambulatorio, con i suoi 25 medici volontari, ha assistito in quattro anni quasi 1.000 malati; il Centro aiuto alla vita e il Banco alimentare sostengono ogni mese un centinaio di famiglie. Nella Granja Padre Pio, l’azienda agricola, lavorano la terra e allevano il bestiame ragazzi strappati al carcere minorile.
Un tabernacolo vivente
Nell’ospedale per malati terminali Casa Divina Provvidenza san Riccardo Pampuri chi ha vissuto in una baracca, nella povertà e nel disordine fisico e morale, si riconcilia con la vita, riceve i sacramenti, si sposa; incontrando, almeno prima di morire, un'esperienza di umanità e tenerezza che - non è un paradosso - lo riconcilii con la vita.
Tre volte al giorno si snoda, cantando tra i corridoi e le stanze, la processione delle volontarie dietro il sacerdote che benedice i malati con il Santissimo: il piccolo ospedale diventa un tabernacolo vivente. Tutte queste opere testimoniano che è bello vivere il cristianesimo, che la bellezza è possibile anche qui in uno tra i Paesi più poveri e dimenticati della terra. È questa bellezza che convince e attrae. Impossibile elencare i nomi e le storie dei tanti volontari incontrati. Riporto solo la testimonianza di tre quindicenni che danno la merenda ai malati terminali: «Torno a casa felice» (Ettore); «in famiglia c’è più ordine e armonia» (Andrea); «imparo a trattare il mondo fuori come qui» (Maria Pia). Sono molte le conversioni. Basta poco per iniziare: uno spunto, un pretesto; magari solo sapere che qui a san Rafael c’è la Messa con l’aria condizionata.
FAMIGLIA CRISTIANA n° 19 - maggio 2006


Postato da: giacabi a 19:49 | link | commenti
padre trento

martedì, 08 aprile 2008

Il santo di aprile
 ***
Cari amici, sentite cosa mi scrive un paziente terminale di cancro, già verso la fine.
Ogni giorno mi abbraccia come un figlio. La sua FEDE rispetto alla mia è come l’Everest rispetto ad una collina. Che cos’è la morte? E’ come la cima del “Civetta” che mi permette di entrare nel bellissimo orizzonte delle mie dolomiti. Per usare un esempio a me tanto caro e ormai lontano. Il titolo della lettera è:
Dall'infermo al Paradiso
Caro P. Aldo,
Ti voglio raccontare la mia vita di ammalato terminale di cancro. Quando giá la mia situazione era insostenibile ricorsi a un Centro Medico, dove mi ricevettero. Peró mai avrei potuto immaginare che in quel luogo che è anche l´ospedale universitario di Asunción, avrei dovuto passare la più triste e dolorosa esperienza della mia vita.
Tre lunghi mesi mi portavano alla disperazione fino al punto di pensare che fosse un castigo di Dio a motivo dei miei peccati. Non faccio nomi, anche perché in quel inferno avevo incontrato alcune persone buone, che però sempre furono ostacolate per l´istituzione nel blindarmi l’aiuto necessario. Tre mesi in quell’ospedale sono stati per me l´antisala dell’inferno. Ma la fede non conobbe oscillazioni perché ero certo che il Dio fatto uomo e morto per me non mi avrebbe abbandonato. Ero comunque convinto che la salute non l’avrei più recuperata. L’angelo che mai mancò di assistermi è stato mia figlia, sposata e madre di tre bambini, perché mia moglie morì 14 anni fa. A questa figlia debbo tutto perché senza la sua presenza non so cosa sarebbe stato di me. E sarà lei a portarmi fuori da quell’inferno, dopo aver sentito parlare della “Casa Divina Provvidenza San Riccardo Pampuri”. Quando mi diede la notizia da subito ho immaginato il paradiso, anche se non conoscevo l´ospedale. Al momento di lasciare l’inferno dell’ospedale Universitario la figlia mi disse: “Papà ti porto nella casa Divina Provvidenza. Ed io le risposi: “Dio e la Vergine Santissima ci portano nel paradiso di Padre Aldo”. Arrivato in questo luogo ho visto la faccia di Padre Aldo che subito mi disse: “sono qui con te”. In quel momento compresi che realmente Dio mi aveva tolto dall’inferno e portato in Paradiso. I tre mesi di sofferenza non nell’anima, ma nel corpo incominciarono ad essere come un ricordo lontano in modo particolare quando mi facevo il bagno, mi posero il pigiama ben pulito e mi diedero un letto tutto bianco con le lenzuola belle bianche. Mi sono sentito un angelo avvolto nella purezza.
Grazie Padre Aldo per ricevermi nel tuo paradiso. I tuoi angeli sono i tuoi ammalati ai quali
con il tuo affetto li trasmetti pace, tranquillità e rassegnazione.
Paziente Roque Alcaraz
Non nobis Domine sed tuo nomini tuo da gloriam”
Io sono un niente che ha avuto la grazia di incontrare Giussani che non mi ha dato consigli o guardato l´orologio per darmi del tempo e molto meno l´agenda o la segretaria. Al contrario mi ha preso per mano e fino alla morte mi ha fatto compagnia. Se l’ospedale è un susseguirsi di miracoli (500 sono i pazienti come Roque che sono morti) è solo perché quest’uomo mi ha rivelato concretamente cosa vuol dire che Cristo è la COMPAGNIA di Dio all’uomo. Lui mi ha preso in consegna, lui mi ha mandato in Paraguay quando mio fratello voleva ricoverarmi al reparto “esaurimenti” di Feltre, lui mi ha accompagnato a Linate e caricato sull’aereo, lui mi chiamava al telefono, lui mi diceva “chiamami quando vuoi, lui mi ha portato un mese a Corvara nel 1989 e mi ha pagato l’albergo, lui ha chiesto e voluto che Don Massimo mi ricevesse nella San Carlo e vedesse tutte le questioni giuridiche con la mia congregazione di appartenenza, lui ogni volta che veniva a Rio de Janeiro per l’incontro responsabili mi voleva vedere e sentire come stavo. Potrei continuare all’infinito raccontando dettagli e dettagli di come quest’uomo mi ha voluto bene, dandomi fiducia che anche oggi credo che difficilmente, conoscendo quanto mi è accaduto, un altro mi darebbe. Allora capite, cari amici che io non posso non cercare di vivere così con tutti, in particolare con chi soffre nel corpo e in particolare nell’anima o nella mente.
Quell’uomo ha dato la vita per me, come per tutti. Per cui quanto accade qui è solo opera sua e non certamente mia che solo da tre anni riesco a vedere un po’ chiaro nella mia vita, cosa che mi permette di gridare a Gesù giorno e notte, consegnandomi totalmente al Suo disegno su di me. E vi garantisco che a 61 anni è davvero bello vivere, essere papà come mi chiamano i miei 11 bambini orfani dei genitori morti per AIDS
e che tengo con me in una casetta vicina alla parrocchia e regalataci da un industriale, e che ogni mattina alle 7 vado a prenderli per portarli nella nostra scuola. “Ciao papà” mi dicono ogni volta che mi incontrano.
Domenica è venuto il Nunzio Apostolico del Papa a pranzo con noi, i bambini e le tre mamme che li custodiscono con tanto amore. Ad un certo punto il Nunzio Apostolico guardandomi mi disse: “Padre Aldo, solo la verginità compie queste miracoli, genera questa fecondità, permette una paternità impensabile all’uomo. La verginità è la forma suprema della paternità e per questo da subito ti hanno riconosciuto come papà”.
Una gioia indescrivibile che mi spinge non solo a stare più ore al giorno davanti al Santissimo Sacramento, ma passare ogni momento libero a giocare, fare loro compagnia. Quella compagnia che Giussani ed P. Alberto hanno fatto a me giorno per giorno. Mi piace immaginare Giussani lassù in cielo che sorride e mi dice: “vedi P. Aldo che avevo ragione quella volta che ti dissi e te non ci credevi che quanto ti era accaduto sarebbe stato una grazia per te, per la chiesa e per il movimento”.
P.S: il parroco della parrocchia è il Santissimo Sacramento, il primario o direttore sanitario della clinica è il Santissimo Sacramento. Funziona a meraviglia. Anzi credo fermamente che un ospedale senza il Santissimo serve ben poco. In questi giorni abbiamo ricoverato un poveraccio, ateo fino al midollo, con cancro terminale. Dopo un dialogo pieno di affetto mi sono reso conto che parlargli di Dio era disgustarlo. Per cui, ho lasciato perdere. Però, siccome ogni giorno, tre volte al giorno faccio la processione con il Santissimo Sacramento quando arrivo davanti a lui e gli do un bacio chiedendogli come a tutti, come stai. E lui: padre molto meglio. Un giorno lo vedo partecipare alla processione, con il Rosario al collo e inginocchiarsi. Tutti siamo rimasti colpiti e commossi. Conclusione: quello che le mie parole non riescono a fare se non confusione, lo ottiene l’Eucarestia. E’ un miracolo del Santissimo Sacramento.
Dice il Papa: “non si cura nessun ammalato se il medico non lo aiuta a incontrare l´amore di Dio”. Ecco il problema degli ospedali: al posto dell’Eucarestia si è messo sul piedistallo l’orgoglio professionale dei medici e del personale.
Amici: provare per credere. Qui tutto cammina, come in parrocchia perché l´Eucarestia è il cuore, l´anima della clinica ed è un spettacolo. Vedere anche di notte gli ammalati trascinarsi davanti al Santissimo Sacramento esposto e mettersi in ginocchio davanti a Lui che è il massimo e l’unico vero medico li cura tutti, é commovente.

E’ per ricordarci il valore delle 40 ore della settimana santa, davanti al Santissimo Sacramento.
Approfittiamone. Buona Pasqua.
Con affetto, P. Aldo Trento                          da: alfredotradigo

Postato da: giacabi a 22:14 | link | commenti
giussani, padre trento

giovedì, 06 marzo 2008

I SANTI - PICCOLE STORIE DAL PARAGUAY n° 08 - marzo 2008
Il santo di marzo
Fatima
***
il santo di marzo

Cari amici, solo con chi ti è vero amico, puoi condividere le grandi gioie e i grandi dolori.
Per questo mi permetto mandarvi le foto delle mia ultima bambina ammalata di un orribile cancro.
E' qui con me da un mese questa bellissima ostia bianca. Ha 18 mesi, viene dalla miseria piú terribile. La giovane mamma da un anno vive stesa al suo fianco, muovendosi solo per le necessità basiche, perché solo il calore del suo corpo ottiene quelle che ormai la morfina non ottiene piú. La sua faccia è stata sostituita dal cancro che le ha mangiato tutto, perde pus, sangue e la mamma la bacia con tenerezza, la bacia su quello che era prima la bocca, gli occhi, il naso, che ormai il cancro ha distrutto. La guarda e vede Gesú.
Aggiungo il commento di una suora che ci aiuta a non aver paura nel guardare le foto.
Sono drammaticamente belle, come quelli di Gesú nel film di Mel Gibson. Non avere paura: è la realtá e questa bambina è il mio tesoro. Non posso vivere con gioia ogni istante se non fosse qui con me.
Anche e sopratutto per lei vale “anche i capelli che lei non ha piú, sono contento per il Padre Celeste”

Che bello, che grazia, che dono.
La nuova martire di Quaresima: Fatima un volto trasfigurato
Fatima è una piccola bambina di 18 mesi che è giunta nella nostra clinica con il volto totalmente “mangiato” da un cancro. Questa terribile malattia che le ha distrutto il volto ha reso Fatima un Cristo morente nella croce. Lei possiede un anima piú forte di tutti noi cristiani; per questo motivo Dio l´ha scelta per condividere la passione del suo figlio. Quando l´ho conosciuta non potevo comprendere come quel piccolo corpo potesse sopportare tanta sofferenza; ma prima dei vesperi del mercoledì delle ceneri, mentre con Padre Aldo facevamo la processione con il Santissimo mi sono inginocchiata con lui davanti a quel corpicino. La sensazione che mi prese fu quella di essere in adorazione davanti a Gesú in spirito e verità. Non saprei dire dove lo vedevo piú presente, se nella Eucarestia o in quel piccolo corpo sotto una apparenza misteriosa ma non meno reale.
Guardandola risuonavano nel mio cuore le parole che il profeta Isaia riferite al Servo sofferente:
“Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?

É cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza nè bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenza, si è addosato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, precorso da Dio e umiliato
.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbatuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”

Fatima come Gesú porta la nostra croce. Lei, così piccola “completa nella sua carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo” come ci ricorda San Paolo.
Essendo completamente innocente porta sopra di se tutto il peso dei nostri peccati, come Gesú, senza che per questo la sua anima rimanga minimamente macchiata. Al contrario, lei, così piccola e con pochi mesi di vita appare piena di grazia davanti agli occhi del Padre Eterno; adulta a causa delle sofferenze sopportate, bella e raggiante dopo di essere stata purificata come l'oro con il fuoco del dolore.
Alla mamma di Fatima guardo con ammirazione. Lei come la Vergine Maria è stata scelta da Dio per accompagnare la sua piccola figlia fino al calvario.
E lì, in piedi, guarda il corpo crocifisso del figlio senza comprendere misteriosi disegni di Dio.
Lì ai piedi come la Madonna, carica di amore consegna giorno e notte la sua vita per la piccola Fatima.

A Fatima la mia gratitudine e riconoscenza per la sua innocenza e grandezza davanti al dolore perché grazie alle sue ferite io sono stata sanata.
Non per casualità, oh Signore, hai mandato questo angelo davanti ai miei occhi nei vesperi de mercoledi delle ceneri. Ora ti contemplo faccia a faccia.
Suor Carmen
Carissimi, la piccola Fatima di 18 mesi è morta. Il suo corpo martoriato e il suo volto completamente distrutto dal cancro, adesso finalmente è trasfigurato, come ci ricordava il vangelo di domenica. La mamma è distrutta, solo Gesú, che per la prima volta ha ricevuto domenica (vedi foto) la consola... e il mio povero amor di padre.
C'è un'ultima amarezza: Fatima è una delle tante vittime innocenti dei proprietari terrieri della soia che sistematicamente spargono potenti prodotti chimici come insetticidi, con l’aereo, sulle immense distese di soia. Le denunce non servono a nulla, nonostante la documentazione medica con la grande lista dei bambini nati malformati, o come le piccole Fatima con il volto distrutto dal cancro, dopo un anno di atroci deliri.
 L’uomo non conta piú niente, meno i bambini. Solo Gesù e chi è innamorato di Gesù può capire il nostro immenso dolore. Vi chiedo di pregare. Fatima vittima innocente perdonaci.
Con affetto, P. Aldo Trento


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santi, padre trento

domenica, 10 febbraio 2008


Il santo di febbraio
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Bianca Neve e i sette...
Doni dello Spirito Santo. Qualcuno avrà pensato: adesso P. Aldo vuole raccontarci la storia di Bianca Neve e i sette nani, ma non é cosí, per questo insieme ai puntini, puntini, puntini, aggiungo: I sette doni dello Spirito Santo, perché solamente chi possiede questi doni può vivere come ha vissuto Bianca Neve”. La sua storia é l’evidenza del miracolo, di quello che puó fare la grazia Divina attraverso i sette doni dello Spirito Santo, che qui voglio ricordare per quelli che li hanno dimenticati o che non ne hanno mai sentito nemmeno parlare: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
Bianca Neve (che bel nome ... mi ricorda non solo una storia simpatica che quando ero piccolo mi raccontava mia madre, la notte, prima di andare a letto, ma alla neve bianca, molto bianca delle mie amate montagne
!). Bianca Neve é stata un'umile donna, che la malattia obbligò su una sedia a rotelle per 13 lunghi anni, impossibilitata a muoversi. L´unica forma che le rimaneva per comunicare era la parola, lo sguardo pieno di affetto e le mani, che con il tempo rimasero "mute", cioè immobili. Ha vissuto in un quartiere marginale, in un'umile casa, circondata dai suoi familiari e da sua figlia di 13 anni. Da giovane, aveva conseguito il diploma in scienze umanistiche; la fede, anima e respiro dei poveri di spirito, ha mosso tutta la sua vita, ma è diventata l’unica ragione della sua esistenza, quando un giorno, è rimasta paralizzata, assolutamente incapace di qualsiasi movimento.
Ancora giovane, ciò che per molti sarebbe stato un motivo di disperazione é diventata una ragione per vivere una vita più intensa ed impegnata, dalla sedia a rotelle creò una scuola per i bambini poveri ed analfabeti del quartiere. Tutti i giorni, circondata dai bambini, gli insegnava il catechismo, le preghiere, il gusto per la vita, inoltre, li aiutava nei compiti di scuola con una pazienza infinita. La testimonianza che, quando l´uomo vive l’esistenza come coscienza di essere relazione con il Mistero, di essere stato creato dal Signore, tutto si trasfigura, perche l'io ritrova quella unità persa con il peccato originale. Un'unità che si dilata, vivendo una solidarietá con il cosmo ed in particolare con il re del cosmo che é l’uomo stesso. Bianca Neve ha vissuto questa unità nella sua persona, un'unità ogni giorno più evidente grazie alla sua vita di fede, e perciò, in modo commovente e instancabile, completamente al servizio dei suoi bambini.
Con il tempo le sue condizioni sono peggiorate e il cancro si è impadronito di lei, ed a questa terribile malattia ne seguirono altre. La situazione diventava grave ed i medici le diagnosticavano 6 mesi di vita. La grande povertà non le permetteva di entrare in nessun sanatorio, ma la Provvidenza, che ama i suoi figli preferiti, i più umili e bisognosi, l’ha portata alla nostra clinica, dove adesso si trova anche suo fratello Pietro. É arrivata sorridente, nonostante il suo corpo era completamente rovinato. Già dal primo giorno il suo sorriso ha trasformato la sua camera in un tempio. Con tutti dimostrava una gentilezza ed una gratitudine impressionante. Non c’é una persona che si sia avvicinata a lei senza sentirsi provocata a un cambiamento. Era lei la presenza dello Spirito Santo con i suoi sette doni:
La pazienza, più grande che quella di Giacobbe, non le ha mai permesso di concedersi un piccolo lamento, neanche quando la morfina non riusciva più a calmare il suo dolore;  la sapienza le permetteva di gustare qualsiasi dettaglio; il dono del consiglio la spingeva ad incoraggiare chi, famigliare o no, si avvicina al suo letto; il dono della pietà trasforma il suo letto in un altare; il dono del timore di Dio era la coscienza chiara e intensa della tenerezza divina che trasformava il suo volto; il dono della fortezza le permetteva di affrontare tutto con sicurezza, nella certezza che tutto era grazia e che tutto era utile per testimoniare la gloria di Dio.
Prima di morire, dice a sua cognata:
non vedo l’ora che il Signore mi porti con sè, desidero che si compia la Sua volontà, desidero già essere con il mio Dio. Non si preoccupino per me, perché quando Dio dirà basta io sarò pronta per stare sempre con Lui”.
Pregava continuamente e, negli ultimi giorni, quando alternava momenti di lucidità ad altri di incoscienza, pregava, offriva. Personalmente sono stato testimone dell’ordine con il quale pregava l’“Ave Maria” e le preghiere che fin da piccola aveva imparato da sua madre. Quando passavo davanti al suo letto con il Santissimo Sacramento, tre volte al giorno, lei mi aspettava con le mani giunte, in posizione di supplica, di ringraziamento al Signore per il dono della vita e della malattia. Quando riceveva l’Eucarestia il suo volto si trasfigurava: era l’evidenza che lei e Cristo erano una sola cosa.
I famigliari, coscienti del dono della sua persona, non l’hanno lasciata sola un istante.
I suoi bambini, quelli del quartiere povero nel quale aveva vissuto la sua vita di madre e maestra, ogni giorno, volevano parlare con lei, purtroppo, la sua grave malattia non l’ha reso possibile. Ma questa intensitá di relazioni era l’evidenza che Bianca Neve era per loro la grande mamma e la buona maestra.
Quando è morta, dopo averla vegliata nella nostra clinica, é stata portata al suo quartiere perché i bambini, i bambini del quartiere volevano vederla, baciarla, salutarla, ringraziarla prima di lasciarla nella speranza della risurrezione. Bianca Neve, una grande persona sconosciuta al grande pubblico, appartiene a quella classe di persone nelle quali la santitá é vissuta come coscienza che qualsiasi cosa, qualsiasi istante é relazione con l’infinito, e perciò, segno in questa terra della bellezza e della misericordia divina.
Una goccia nell´oceano, direbbe qualcuno ... ma senza questa goccia l’oceano della vita sarebbe stato terribilmente più povero.
Grazie, Bianca Neve, eroina del istante, testimone di quello che puó la fede e la sofferenza vissuta come il sacrificio di Gesù nell’altare della croce.
Con affetto, P. Aldo Trento

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santi, padre trento

sabato, 02 febbraio 2008

La maestà della vita nel lazzaretto
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Tempi num.3 del 17/01/2008 0.00.00
Primalinea


Fra malati terminali già in putrefazione, uomini deformi e odori nauseanti, un missionario italiano lancia ogni giorno la sua moratoria pro life. Una lettera dal Paraguay
di Tempi

Pubblichiamo brani di una lettera inviata in Italia poco prima di Natale da padre Aldo Trento, sacerdote bellunese in Paraguay dal 1989, parroco della chiesa di San Rafael ad Asunción e dal 2004 responsabile della clinica per malati terminali intitolata a san Riccardo Pampuri.

Asunción
Che tenerezza ho provato ieri sera, quando è arrivato un uomo ammalato di cancro, con parte del collo e della spalla putrefatti e pieni di vermi. Un odore nauseabondo. Dandogli la comunione, ho visto un verme camminare sul cuscino, ma ho pensato subito al corpo di Cristo e non ho provato voltastomaco, ma tanta tenerezza. L'abbiamo messo in una stanza bella, da solo. Le infermiere con tenerezza l'hanno pulito. Però ci vorranno giorni di terapia perché quei vermi annidati nella profondità della sua carne, quella carne "divina", spariscano. Casualmente avevamo lasciato aperta la porta che dà sul giardino, e le mosche tropicali come inferocite per l'odore puzzolente hanno invaso la stanza. Quel Gesù sofferente si è spaventato e mi ha detto: «Aiutami a liberarmi da questa sporcizia, perché poi nidificano nelle mie piaghe».
Poveretto! Per mesi ha vissuto nella sporcizia in queste condizioni. Adesso è felice, anche se l'odore che emana è insopportabile anche per lui. Mi sono chinato su di lui, l'ho confessato e baciato. È tornato bello, bello perché è Gesù che nasce. In questi giorni la clinica è piena di casi come questo e l'odore è insopportabile. Che fare? Sì, i deodoranti ci sono. ma non bastano. Il profumo è Gesù Eucarestia che, esposto 24 ore, ci guarda e ci accompagna tenendoci per mano.
L'altra sera, erano le 23, mentre facevo l'ultimo giro in clinica, incontro Sisto - in questo momento il suo cadavere è nella cella mortuaria che mi sta aspettando per la Messa -, già moribondo. Vomita un liquido nero. Provo il voltastomaco. L'istinto mi direbbe di andare oltre, ma subito il pensiero: è Gesù. Mi siedo al suo fianco, lo pulisco e poi accarezzandolo termino di recitare il breviario che avevo incominciato nella cella mortuaria mentre facevo compagnia a Roberto, un altro povero, appena morto. Da un morto a un moribondo. È la Presenza del Mistero che mi accompagna. Quando viene l'infermiera per cambiare Sisto le dico: «Animo, è Gesù, trattalo bene». Vedere con quale tenerezza lo puliva mi ha commosso. Fisicamente, a volte, sembra che non ce la facciamo, ma Lui è lì che ci guarda nel Santissimo, nel vecchio putrefatto che vomita perfino materia fecale. Cose mai viste nella mia vita e che da tre anni mi accompagnano. Ed è bello, è una grande grazia, un dono unico perché è sempre Gesù che mi si manifesta con la Sua tenerezza, quella tenerezza con cui don Luigi Giussani e padre Alberto mi hanno sempre guardato.
Elena, 61 anni, un'emorragia continua. Il sangue non è contenuto da niente, esce dal pannolone, irriga il letto, sporca il pavimento. Ha un cancro terribile nel ventre, è tutta una metastasi. Ha il Rosario in mano: «Padre, dimmi di Gesù, preghiamo assieme». Si afferra al Rosario: «Adesso sto bene. Buona notte, padre».
Lucio, 40 anni, ammalato di Aids. Una diarrea interminabile che fuoriesce dal pannolone, sporca il letto e anche il pavimento. La bella infermiera Betty in un'ora lo ha cambiato già dodici volte, da cima a fondo. Però la diarrea non passa. Tutta la notte Betty, 27 anni, come un angelo ad assisterlo con la tenerezza di Gesù.
Stella, Aids, prostituta e alcolizzata, madre di 5 figli. È arrivata alla clinica per l'ennesima volta l'altro giorno, distrutta in tutti i sensi. Sta malissimo. Mi guarda, sa bene che ha fatto quello che non doveva e che mi aveva promesso che non sarebbe successo di nuovo. Più volte mi ero anche arrabbiato con lei, perché nonostante un sanguinamento quotidiano, continuava a vivere come sempre. L'ho guardata lí, distrutta, e non ho potuto che accoglierla di nuovo perché era Gesù in quelle condizioni disumane. E come d'improvviso, dalla reattività di quel momento, è sbocciata nel mio cuore una tenerezza. Che fare? Darle un bacio e metterla sul letto.
Ogni giorno è così, ogni settimana dalla clinica al cimitero e dal cimitero alla clinica.





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padre trento

sabato, 12 gennaio 2008

I SANTI - PICCOLE STORIE DAL PARAGUAY n° 06 - gennaio 2008
***

da: www.alfredotradigo.it

Il santo di gennaio
Contemplate il volto dei santi per incontrare il riposo in quello che ci dicono”. Credo che all´inizio di quest´anno sia essenziale ricordarci queste parole che da sempre accompagnano le mie giornate e non solo mi impediscono il borghesismo di chi sa già tutto o dà tutto per scontato (è il peccato più grave che possiamo vivere) ma come un pugno nello stomaco mi “obbligano” a vivere in ginocchio gridando: “Vieni Signore Gesù”.
Quanto scrivo ogni mese non ha niente di mio, neanche una virgola, ma è tutto opera della grazia che opera i miracoli che cerco di raccontarvi e la mia mano, tremolante per la commozione, cerca di mettere sulla carta come può. Come vorrei che ognuno leggendo queste testimonianze le potesse sentire con le proprie orecchie e vedere coi propri occhi!
A volte sembra “esagerato” quanto scrivo, eppure se c’è una esagerazione è per difetto, perché mai riuscirò a scrivere quanto in questo angolo di paradiso accadde ogni giorno. Desidero una sola cosa all'inizio di quest'anno: non perdere mai, neanche per un istante, lo sguardo di Marcellino pane e vino (ricordate il film?), non dare mai per scontato niente e vivere con la semplicità di un bambino.
La tristezza più grande è lasciarsi, anche senza accorgersi, guidare dalla scontatezza, dalle nostre categorie mentali. Dio voglia che stiamo sempre svegli e curiosi di imparare, coscienti che è la Divina Provvidenza che muove tutto.
Morire con letizia
Già in altre occasioni ho offerto ai lettori la testimonianza di questa “Santa”, come, senza un minimo di dubbio, amo definirla. Se la Santità, come dice il Papa Benedetto XVI quando era ancora cardinale: “è quel peccatore che nella sua vita ha vissuto in modo eroico le virtù; è sempre lo stesso peccatore che ha permesso a Dio di realizzare il disegno previsto dalla Sua Divina Provvidenza nella esistenza di ognuno di noi”; certamente Helena é stata una Santa.
Già provata nella sua vita da tanti dolori (l´ultimo è stata la morte di suo marito, morto nella nostra clinica), in questo ultimo anno è stata toccata dal terribile cancro maligno alle mammelle che in poco tempo sono diventate metastasi diffuse in tutto il corpo. Lascio a voi immaginare il dolore, un tormento che nell´ultimo tempo sembrava impedirle perfino di respirare e neanche la morfina riusciva a calmare. Mesi in questa situazione, una prova che avrebbe distrutto per fino l'acciaio. Ma in lei non abbiamo visto, quanti la hanno assistita, una smorfia sulle sue labbra, neanche un lamento dalla sua bocca. Impressionava per la sua serenità che spesso si trasformava in felicità.
“Padre, sono felice”, mi ripeteva spesso
. “Padre, sono cosciente di morire presto; ma lei sa cosa significa vedere faccia a faccia a Gesù? ”. “
Padre non ho paura di morire, perché Gesù mi sta aspettando”. “Padre non ho dolori, sto troppo bene, mi sento amata, sento che Gesù è al mio fianco...che si faccia la sua volontà”. “I miei figli sono pronti, protetti, e questa era l'unica cosa che mi preoccupava”. “Padre, parlami di Gesù, regalami la sua benedizione, prega con me”. “Padre, a tutte le ore prego il rosario, a tutti chiedo di pregare il rosario con me, ma ho paura che si stanchino per la mia insistenza nel pregare e non mi vengano più a visitare”. Io ho bisogno solamente di pregare, perché il rosario mi calma i dolori. Il rosario fa quello che la morfina non può. È la medicina più potente che esista, e come mi piacerebbe che tutti lo comprendessero”. Padre, che si faccia la sua volontà, finché il Signore non dica basta, perché tutto quello che viene da Lui, che è misericordia, è una cosa buona”. “Padre, che bello è amare la mia Madonnina. Quando dopo un piccolo sogno mi sveglio, immediatamente prendo il rosario e chiedo, chiedo! Inoltre, tra un rosario e l'altro lavoro, ricamo e faccio braccialetti per il rosario”. “Padre, desidero che mi trovi degli occhiali per trovare consolazione nella Parola di Dio”. “Il regalo più bello che mi fa è quando celebra la Santa Messa nella mia stanza, quando mi visita e mi benedice con il Santissimo Sacramento, quando posso contemplare l’ Ostia consacrata”. “Padre, tutto è al suo posto nella mia casa e nella mia famiglia...non sono preoccupata, perché so che il Signore accompagnerà i miei tre figli”. “Grazie, padre, per aver dato un lavoro a mia figlia. Che Dio e la Madonna la benedicano”.
Tutto ciò sono alcune delle molte testimonianze che Helena mi ha regalato. Mi parlava continuamente di Dio e della sua offerta, finché un giorno non ho potuto non chiedere un registratore per immortalare tutte le parole che uscivano dalla sua bocca. Ricordo con quanto affetto e amore riceveva la comunione, mi aspettava nel suo letto con la mente immedesimata nel Signore, le mani unite esprimevano la grande statura religiosa della sua personalità. Era cosciente e la posizione supplicante delle sue mani testimoniavano il suo essere una mendicante dell'Eterno. Le braccia distese e le mani strette una nell'altra in forma di grido, come chi è cosciente che le manca tutto, si mette in ginocchio e con le mani supplicanti urla: “Vieni, mio Signore, mio Dio”. Distrutta dal dolore che per lei era allegria, notte e giorno mendicava l'Eterno, desiderava già essere nelle braccia dell'amato Gesù.
Negli ultimi giorni, già aveva speso tutte le energie, domandava ai suoi figli o ai parenti che la aiutassero a mantenere le mani alzate in forma di supplica quando arrivavo con il Santissimo Sacramento o per darle la Comunione o benedirla. Sembrava Mosè sul monte Sinai quando, mentre nella valle il popolo lottava, egli stava giorno e notte con le mani alzate e pregava perché Dio desse la vittoria al suo popolo. Ugualmente, Helena ha vissuto i suoi ultimi giorni aiutata in questa posizione dalle persone che la accompagnavano al destino finale, oramai vicino. Mentre la morte giá stava bussando alla porta lei non guardava piú nessuno, non parlava piú. Ma, come per miracolo, quando ascoltava il canto “Alabado sea”, ed io entravo nella sua stanza, i suoi occhi si aprivano fissandoli nella Ostia bianca come un’ innamorata, e la sua bocca si apriva per unirsi al piccolo coro cantando “Alabado sea el Santísmo”. Era una sola cosa con l'Eucarestia. Non si accorgeva di chi era al suo fianco, ma in Cristo era come se tutto il cosmo fosse presente nella sua relazione ultima con il Mistero, nel sacramento dell'Eucarestia.
È morta dopo aver guardato intensamente il Santissimo Sacramento e averlo ricevuto fisicamente nel suo corpo. L'abbiamo vista andarsene in silenzio, senza nessun lamento. I suoi respiri si facevano ogni volta sempre piú distanziati l'uno dall'altro (era la sua ultima maniera di pregare), finché alle prime ore dell'alba della domenica 22 dicembre è andata all’incontro con Gesù.
Amici, ogni settimana i cari amici ammalati muoiono in questo modo.
Credo che se un ospedale non serve affinché accadano questi miracoli è meglio chiuderlo. Perché questi fatti accadano occorre che tutti, prete, medici, e personale, viviamo un’autentica e drammatica posizione religiosa, l’unica che ci permette di non essere mai tranquilli, ovvero borghesi o peggio ancora borghesi che osano definirsi cristiani.
Vi auguro, come diceva Giussani, che nel 2008 “non siate, e non sia” mai tranquilli.
Con affetto, P. Aldo Trento
a nome del direttore Sanitario
che è Gesù Cristo Eucarestia

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santi, padre trento

domenica, 06 gennaio 2008

L’ Ostia bianca
 ***
Con una settimana di anticipo ti scrivo la breve vita del santo del mese. E’ un bambino idrocefalo (la sua testa ha una circonferenza di 60 cm) impossibile da operare e destinato a morire. Figlio di nessuno, la sua esistenza non è registrata in nessun libro. Per gli uomini, per lo stato non è mai esistito. Viveva nella strada, usato da un presunto “padre ubriacone” per raccogliere soldi dai passanti, che spesso impauriti, perché sembrava un mostro, lo guardavano inorriditi, seduto su una specie di carrozzella con il suo testone barcollante da ogni parte.
Questo bambino è giunto a casa mia, nel mio ospedale e da piú di un anno vive con noi. I primi mesi sono stati tristi per lui. Giá non parlava, emetteva qualche urlo, mi guardava con i suoi due occhioni che davano alla sua enorme testa una luce che permetteva a chiunque guardarlo con tenerezza, dopo un iniziale smarrimento e paura.
Con il tempo l’amore lo ha trasformato e quel corpicino, esile come uno stuzzicadente sulla cui punta appoggia questa enorme testa, sempre di più è diventato la nostra “Ostia bianca. Stare davanti a lui, per me, è stato ed è come stare davanti al Santissimo Sacramento. Questa posizione di adorazione ha trasformato la sua tristezza in allegria. Da mesi sorride, grida, con l’unica mano che funziona mi prende per i capelli. Con una carota di plastica (il gioco che più gli piace) mi colpisce la testa e se la ride a crepapelle. Quello che per tutti, quando era sulle strada era un “mostricciattolo” o per l’Europa moderna un caso da eutanasia, qui è diventato la persona più importante della parrocchia, il più grande impresario della comunità.                             Il Vangelo di domenica ci ricordava Gesú a casa di Marta e María, nel quale il Maestro esalta la figura, apparentemente inerte di Maria, e tira le orecchie all’efficiente Marta. Ebbene questo bimbo è la continuità di Maria. Lui non può fare niente, niente per il mondo che lo vede come un essere inutile e niente neanche per Cristo. Lui non puó fare nessuna opera buona, lui non può fare tante cose per Gesù. Però lui fa quell’unica cosa che è necessaria e l’unica cosa che salva me e voi: vive per Gesù e di Gesù. Senza di lui il mondo sarebbe poverissimo e noi stessi saremmo ancora più miserabili. Per questo tutte le volte che lo tocco, mi faccio il segno della croce: tocco Gesù. E così diventa per me l’anticipo concreto del Paradiso.
In questi giorni una splendida notizia. Il tribunale ha deciso che deve esistere giuridicamente, per cui mi ha chiesto di mettergli il mio nome e cognome. Cosí adesso si chiama Trento Antonio (mio nome civile) Aldo (mio nome di frate). Quando il tribunale mi ha chiesto la data di nascita che volevo scegliere per lui, ho detto il “25 dicembre 1998”. Come Gesú! Puoi immaginare la mia gioia: anche giuridicamente è mio figlio. Un po’ come San Giuseppe con Gesú. Non so quanto vivrà, ma questo non è importante perché per me uno è padre… uno è figlio per sempre. Ed io a 60 anni sono stato scelto come San Giuseppe per custodirlo, perché nel disegno del Padre, Antonio Aldo di 9 anni esiste perché ognuno di noi si salvi.

Per  conoscerlo meglio clicca qui :p.Trento

Postato da: giacabi a 15:45 | link | commenti (10)
padre trento


Padre Aldo Trento
***
da: http://www.olivotti.org/:upload/2/att_punto%20a%20capo%20san%20francesco%202006.pdfda 
LASCIARSI EDUCARE  ALLA GRATUITÀ


Mi sembra valga la pena tradurre l’articolo che il nostro
amico Padre Aldo Trento, missionario nella Parrocchia
San Rafael di Asuncion (Paraguay) con il
quale collaboraiamo da qualche tempo, ha pubblicato
sul suo bollettino parrocchiale. Si tratta di una lettera
aperta, che fa riferimento ad una benestante volontaria
della Parrocchia, che aveva chiesto a Padre Aldo
di accogliere nella sua clinica per malati terminali un
suo parente vicino. Una riflessione sui valori del volontariato
dalle tinte forti, ma che proprio per questo
lascia il segno nelle coscienze.
“Io ho sempre collaborato con la parrocchia…”
“… e mi sorprende, Padre, la sua risposta in riferimento
al ricovero di un malato nella Clinica San Riccardo
Pampuri”.
Risposta ovviamente negativa, dato che il caso
non presentava i requisiti necessari per il ricovero in
questo tipo di struttura, che sono: lo stato di abbandono,
la malattia terminale e la situazione di povertà
o di vita nella strada.
La signora, davanti al nostro “No”, si è offesa,
ricordando ciò che aveva fatto per la nostra comunità.
Inevitabilmente, davanti ad una simile posizione,
non ho potuto tacere, anche perché mi rendo
conto che questa forma di porsi di fronte alla vita in
generale, ed all’aiuto che una persona offre ad
un’istituzione, è un ritornello che riempie il mondo.
Per questo è importante chiarire alcune cose.
1. Nessuno è obbligato a regalare o donare niente
a nessuno.
Se una persona intende offrire il proprio servizio o
un regalo, deve farlo solamente per amore alla
propria persona e per amore a Cristo. Amore alla
propria persona, perché il “condividere” è una legge
del cuore umano. Per amore a Cristo, perché
solo Cristo è con certezza ciò di cui ciascun uomo ha
bisogno, e anche perché è Cristo colui che ci chiede
questa libertà di riconoscere la sua Presenza nelle
persone più bisognose. Di conseguenza, se una persona
vuole prestare un servizio abbia chiaro questo
concetto, altrimenti è meglio che non faccia niente. È
importante che si lasci educare alla gratuità, che è
puro dono del Signore.
Un ragazzo che è stato testimone per alcuni mesi
di questa libertà nel servizio presso la Clinica, prima
di tornare in Argentina ci ha mandato una lettera
nella quale diceva: “Carissima Casa Divina Providencia,
durante il periodo in cui sono stato lì mi
hai fatto diventare più umano, obbligandomi a rispondere
alle mie esigenze esistenziali di giovane”.
Una posizione matura e autenticamente cristiana.
2. La generosità uccide, la gratuità salva.
Ciascun essere umano nasce con il sentimento positivo
del condividere. È qualcosa di naturale, è una
legge del cuore. Tuttavia nel tempo questa legge
del cuore, se non incontra il volto fisico di Cristo, diventa
un ricatto. Sarebbe a dire che se il mio cuore
non è educato alla gratuità, la generosità muore, o
diventa un terribile strumento di ricatto. “Guarda
quello che ho fatto per te… e guarda in che modo mi hai ripagato”…ecc.
Ma in che modo la generosità diventa gratuità? È
lo stesso Gesù che ce l’ha insegnato, facendosi carne
e morendo sulla croce obbedendo al Padre. È la
dipendenza, e questa dipendenza è sempre da una
compagnia che trasforma l’impeto di generosità in
gratuità.
Dentro, e solo dentro, una dipendenza da una
compagnia la persona impara la gratuità. Lo stesso
Gesù lo ha imparato vivendo la compagnia del Padre
e obbedendo al Padre: “Si è fatto obbediente
fino alla morte, morte in croce” afferma l’apostolo
San Paolo. Tutta la vita di Gesù è stata l’esperienza
più alta di dipendenza, e per questo, come afferma
sempre l’apostolo, “Cristo è morto per noi, che eravamo
i suoi nemici”.
Culmine della gratuità, Cristo non ha mai preteso
niente da nessuno, semplicemente ha proposto la
sua persona alla libertà degli altri, che nella grande
maggioranza lo rifiutarono, persino coloro che
avevano ricevuto un miracolo da Lui.
3. La gratuità è sinonimo di libertà.
Come dire: “Questa cosa la faccio indipendentemente
dalla risposta che l’altro mi darà. Lo faccio perché è
una mia necessità, perché aprendomi agli altri cresce
la mia umanità, lo faccio per Cristo”.
La conseguenza è una libertà: libertà dalle mie
istintività, dai miei progetti, dai miei sentimenti, che
esigeranno sempre una contropartita.
Quando mi offendo perché non ricevo una ricompensa
dagli altri, il problema non è negli altri, bensì
in me stesso, che sono vittima dei progetti che ho
fatto sugli altri.
Quante volte lo sperimentiamo nella vita. Soffriamo
perché vediamo il fallimento di un progetto
personale. Perfino quando muore una persona cara,
esprimiamo sempre un dolore che sgorga dal fatto
che è venuta a mancare un’immagine, un progetto
che avevamo nell’altro. Anche se è un’immagine ed
un progetto buono. Nelle relazioni esiste sempre
un’impurità che solo la grazia di Cristo e la pazienza possono purificare. La gratuità ama anche se non
è amata, corrisposta.
Continuare ad arrabbiarci è continuare ad essere
infantili, e per questo “grandi amori e grandi
rancori”, “grandi simpatie e grandi antipatie”. La
relazione tra uomo e donna rappresenta in questo
senso un esempio eloquente. Ma anche qualsiasi altra
relazione. Perciò l’unico cammino che ci educa
alla libertà, a quella libertà che permette perfino di
abbracciare il nemico, e quello dell’obbedienza
alla compagnia che ci educa. Una compagnia che
esige una grande umiltà, una grande coscienza del
proprio essere nulla.
È bello vedere quante persone che ci circondano,
avendo percepito questa verità che è Cristo stesso,
sono cambiate e continuano a godere di un cambiamento
ogni giorno più grande e più bello. In definitiva,
l’unico diritto che l’uomo possiede, ed anche
l’unico grande dovere, è quello di lasciarsi educare
alla gratuità, ovvero alla libertà anche dei propri
criteri e schemi mentali, che sono origine di tanti disastri
nel mondo.
P. Aldo Trento



Postato da: giacabi a 14:23 | link | commenti
testimonianza, padre trento


Padre Aldo Trento
testimonianza di un "vero cristiano"
***.



Così rinascono i miei moribondi»
di Marina Corradi 31/05/2007
LA STORIA
Gli anni della contestazione, la malattia, l’incontro con don Giussani che lo rilancia nella vita Oggi padre Aldo accoglie i derelitti di Asuncion e li accompagna ad affrontare con dignità la fine dell’esistenza Un uomo che ha conosciuto il dolore aiuta gli agonizzanti a viverne il significato
«Così rinascono i miei moribondi»
«Una casa per terminali: come la facciamo?» «Noi come vorremmo morire?» «Prima di tutto, accompagnati da qualcuno che ci vuole bene E in una stanza pulita e bella» Oggi è una clinica-modello «La mia malattia è stata come una ruspa che ha scavato dentro di me, svuotandomi da tutto quello che ero prima Occorreva che venissi triturato perché Gesù potesse farsi largo e diventare tutto in me» Quelli che arrivano, segnati dall’Aids, vengono abbracciati lavati, messi in un letto con le lenzuola candide«Parlo di Cristo e vedo gente disperata capace di assistere nella morte i vicini di letto, e poi morire in pace»
Di Marina Corradi
«Estimado Director, pido disculpas por usar el español para escribirle…». La lettera che arriva in redazione da Asuncion, Paraguay, è di un missionario italiano, ma dopo quasi vent'anni laggiù a padre Aldo Trento, classe 1947, da Feltre, provincia di Belluno, lo spagnolo viene più spontaneo che l'italiano. Il sacerdote scrive dalla sua parrocchia di San Rafael, dove ha aperto una scuola, un ospedale, una casa per i moribondi. Ma in quelle due pagine fitte non sollecita aiuti. Dal Sudamerica segue su Internet le cronache italiane, e la storia di Welby lo ha colpito. Scrive, padre Trento, non per domandare, ma per raccontare una storia, la sua.
Che comincia alle pendici delle Dolomiti nel dopoguerra, cinque fratelli in una famiglia povera. Aldo vuole andare prete, i genitori sono contrari. Lui svuota un sacco di patate e ci infila dentro due vestiti. Poi si mette sul ciglio della strada a fare l'autostop. Lo raccatta un trattore. Aldo, 11 anni, è partito per il seminario.
Dove, a prenderlo, esitano un po'. Quel montanaro non sembra abbastanza intelligente per studiare il latino. Comunque, diventerà prete. Negli anni giusti per essere travolto dalla contestazione. Si avvicina a Potere Operaio. Nel liceo di Battipaglia dove insegna organizza le manifestazioni contro l'America e la guerra nel Vietnam. Un gruppetto di ragazzi gli si oppone: «Padre, per noi la liberazione della società dal male comincia con Cristo. E dovrebbe essere lei a insegnarcelo». Per il prete - compagno è uno schiaffo, che lo riporta bruscamente alla sua fede di ragazzo, alla decisione con cui salì a 11 anni su quel trattore.
Si avvicina a Cl quando, alcuni anni dopo, viene preso da una violentissima depressione. Una viscerale voglia di morire che per anni non gli dà tregua. «Non riuscivo a dormire, tanto che mi si spaccavano i capillari degli occhi per l'affaticamento, e come un nottambulo cadevo dalle scale. Ero disperato e desideravo solo morire. Se qualcuno si fosse preoccupato di rispettare la mia volontà, come nella vicenda di Welby, oggi non sarei a scrivere questa lettera».

«Io mi fido di te»

Il 25 marzo 1988, padre Aldo non dimentica questa data, incontra don Giussani e gli dice piangendo che vuole farla finita. «Lui mi ha risposto: bene, io ora ti tengo con me. Mio fratello voleva farmi ricoverare in ospedale, ma Giussani mi ha portato con sé per mesi. Diceva che era certo che quella malattia era per un progetto che Dio aveva su di me. Io stavo come un cane, ma mi sono fidato. Un giorno mi ha annunciato: "Ora è tempo che parti per la tua missione". E io sbalordito: ma dove vado, cosa annuncio, io che ho solo voglia di essere morto? "Io mi fido di te", mi ha risposto. E sono partito».
L'impatto col Paraguay è durissimo. Quaranta gradi, la miseria delle periferie di Asuncion, e sempre quella voglia di morire addosso, e quell'insonnia spietata, tormento che toglie il respiro. Padre Alberto, un sacerdote «fidei donum» (missionario diocesano), gli si mette accanto come un fratello, lo conduce con sé per le favelas di Asuncion. Dialoghi fra due preti in una missione cattolica nel fondo di notti torride: «Ma perché devo soffrire tanto? Perché Dio non mi fa morire?» E l'amico: «Dio conosce il perché, di quel che ti domanda». «Lui lo saprà - rispondevo io - ma io non ne posso più di soffrire».
Nove anni così, a sperare di addormentarsi per sempre. Padre Aldo si sente talmente incapace e vuoto che «nomina» parroco della missione il Santissimo Sacramento, lo espone in chiesa 24 ore al giorno, in un affidamento totale: Me entregue totalmente a Cristo, dice in quella lingua spagnola che rende ancora di più il senso di un affidarsi, un mettersi fra le braccia. E come nella muta compagnia di Cristo comincia a prendersi cura dei moribondi delle periferie di Asuncion, stremati dal cancro e dall'Aids, abbandonati come cani ai bordi delle strade. Intanto padre Alberto se ne è andato, ma dalla Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo, che da qualche anno lo ha accolto, gli è stato mandato un nuovo compagno («uno che come me aveva conosciuto il dolore»). Insieme i due italiani cominciano a prendersi cura dei moribondi, e poi a seppellirli. Nasce l'idea di fondare un consultorio medico, e poi una casa per malati terminali. «Come la facciamo?, mi chiede il mio compagno. Tu, come vorresti morire?, gli rispondo io. Prima di tutto, ci diciamo, vorremmo morire accompagnati da qualcuno che ci vuole bene. E poi, in questo Terzo Mondo di baracche e cemento e mosche, vorremmo poter morire in una stanza pulita e bella. Abbiamo fatto una clinica da nord Europa, con solo l'immagine della Madonna davanti al letto, e nessun Crocefisso, perché in quelle stanze il Crocefisso è il morente. Ai nostri medici insegniamo a stare di fronte ai malati come davanti all'Eucarestia. Tutti quelli che arrivano, moribondi di Aids, agonizzanti con le gambe in cancrena, vengono abbracciati, lavati, messi in un letto le cui lenzuola devono sempre essere candide. Io sto loro accanto senza i guanti e la mascherina, perché non voglio che pensino che li considero diversi da me. Parlo di Cristo, e vedo uomini disperati diventare capaci di assistere nella morte i vicini di letto, e poi morire in pace. I bambini della scuola della missione vedono che gli ammalati muoiono, ma anche in che modo muoiono, e imparano che quando c'è Cristo la morte non fa più paura».

La morte non fa più paura

Stai ad ascoltare, come sbalordito dalla forza di una fede antica, come riportato nelle corsie dei primi ospedali dell'Europa cristiana, a Beaune, in Borgogna, dove davanti ai moribondi - per la prima volta curati e puliti e assistiti - veniva spalancato davanti agli occhi, nell'ultima ora, un trittico raffigurante la vita eterna. O più indietro nel tempo, ancora.«Un'infermiera un giorno mi ha detto: padre, mi è morto fra le braccia un ragazzo di vent'anni e ho pensato alle donne che andavano al Sepolcro con gli olii e i profumi. Ho detto: bene, facciamolo anche noi».
Un'altra morte, una morte che non fa paura nella periferia di una città del Sudamerica. Quel missionario legge del caso Welby in Italia e scrive a un giornale:
non è dell'eutanasia che avete bisogno. Sa cos'è il male di vivere, questo prete, e ricorda bene di quando leggeva solo Pavese, perché soltanto nelle sue pagine, nella sua sofferenza non si sentiva straniero. Si ricorda, padre Trento, quando passava le notti a pregare di morire, e non gli interessavano più i pensieri di Dio perché lui, comunque, era stanco. «È stata la grazia di un'amicizia, prima di Giussani, poi di padre Alberto e dei confratelli della San Carlo Borromeo, a salvarmi».
E cosa è stata allora, e perché, quella notte così lunga da sembrare infinita?

«Solo dopo tanti anni ho capito. La mia malattia è stata come una ruspa, che ha scavato dentro di me facendo il vuoto, svuotandomi da tutto quello che ero prima. Occorreva che venissi scavato, triturato perché Cristo potesse farsi largo e diventare tutto in me. Perché prendesse il posto dei miei poveri progetti».
Poi, una mattina, lo spazio allargato dalla ruspa è stato abbastanza. «Mi sono svegliato e dopo tanto tempo mi sono accorto che i fiori nel cortile della missione erano belli». Dopo nove, o forse cento anni di buio, ha potuto vedere di nuovo che i fiori erano belli. Ma di quei nove anni ciechi resta, al prete italiano, la memoria di chi è stato ultimo. La silenziosa affinità con gli abbandonati a morire per le strade di Asuncion
. Dal viottolo dove un trattore raccattò un ragazzino su una strada di Feltre, la strada è stata lunga e tormentata. Padre Trento conclude la sua lettera con una frase in spagnolo, che non ha bisogno di traduzione: «Donde abundo el odio por la vida, ahora sobreabunda la vida».
www.avvenire.it

 Per  conoscerlo meglio clicca qui :p.Trento

Postato da: giacabi a 12:45 | link | commenti
padre trento

giovedì, 27 dicembre 2007

Il santo di Natale
Una carriola al posto della culla: è Natale
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Carissimi amici,
queste settimane inizia la novena di Natale. Quest'anno il Papa ci ha davvero sorpresi con un regalo unico e bellissimo: “Spe salvi”. Nelle sue parole c’è tutta la clinica, il volto addolorato e sereno di ogni paziente, perché la speranza è un “già” evidentissimo nella Presenza Eucaristica. In questi giorni in cui sono stato in Italia il Direttore Sanitario, cioè Cristo stesso Eucarestia esposto 24 ore su 24 nel cuore della Clinica, e il Parroco, sempre Lui, ha portato avanti l'opera come nessuno potrebbe neppure immaginare. Il segno più evidente è l’atteggiamento del personale, pieno di responsabilità e l’allegria con cui i pazienti, quelli che hanno sopravvissuto, mi hanno ri-accolto.
Che bello che sia tornato... così a notte fonda vediamo ancora la tua sagoma aggirarsi nei corridoi per vedere chi dorme o chi sta male e non riesce a chiudere occhio neanche con dosi forti di morfina. L´uomo ha solo bisogno di compagnia, dicevo ai medici e al personale. L'uomo non ha bisogno di consigli ma di qualcuno che lo prenda per la mano e l´accompagni davanti al Padre Eterno. E così il giorno dopo il mio ritorno, siamo andati in un luogo indescrivibile per la sporcizia e la violenza a prendere Giuseppe, di cui vedete la foto, l´uomo della “caretilla” si dice da questa parte. Ossia l´uomo che ha avuto come casa una cariola, che potete vedere nell’immagine. Giuseppe di giorno con la cariola andava a portare di qua e di là la merce per i padroni di turno e di notte ci dormiva. La carriola racchiude tutta la sua vita. Però da alcuni mesi era diventato il suo letto di agonia. Parcheggiata al solito posto, in uno sgabuzzino ricoperto di plastica, era diventato per lui l´unico luogo di accoglienza. Quando già non parlava più, disidratato, già in fin di vita, un vicino non vedendolo da tempo si è avvicinato a quell´immondezzaio e vedendo Giuseppe in quelle condizioni, aiutato dai vicini, l´ha portato in vari ospedali statali, dove è stato rifiutato. E così e stato riportato nella sua cariola, nell´attesa della morte. Ma Dio che non dimentica un istante i suoi figli bisognosi ha fatto il miracolo. Una donna avvisa l’amico di Giuseppe della nostra Clinica. La nostra assistente sociale - come una freccia con la punta piena della carità di Cristo - corre a vedere. Torna, e al Direttivo sanitario riunito pone all’attenzione di tutti i membri il problema, e ovviamente subito diamo l’ordine all’autista dell’ambulanza di andare a prenderlo. Le condizioni in cui lo troviamo sono indescrivibili, peggiori di quelle che la foto di qualche mese fa mostra. Arriva da noi e subito il personale, cosciente che è arrivato un nuovo Gesù Bambino sporco, con la barba incolta, avvolto in poveri cenci, lo puliscono e lo mettono in un letto bello, tutto bianco. Adesso sembra l’ostia, meglio è come l’ostia consacrata che domina la clinica. Non parla, non vede, solo qualche movimento... peró capisce il linguaggio dell’amore… ed è tutto. Anche per lui è iniziata la novena di Natale. Mi inginocchio davanti a questo Cristo crocifisso, lo bacio, lo adoro: è il mio nuovo Gesù.
Questa mattina gli ho dato gli oli santi, la benedizione Papale e l'ho consegnato nelle mani della Madonna. Sono contento perché davvero non potevo desiderare una cosa più grande e più bella per iniziare la novena di Natale. Un po' in anticipo... però che importa per chi ogni giorno è Natale. Lo vedo lì avvolto nelle lenzuola bianche e lo guardo, possibilmente e con la grazia di Dio, come la Madonna e Giuseppe guardavano quel bambino nelle grotta di Betlemme.
Pregate per me e per questi miei figli.
Con affetto,
P. Aldo Trento


Postato da: giacabi a 18:34 | link | commenti
natale, testimonianza, padre trento

sabato, 08 dicembre 2007

Cristo Salvatore reale dell’uomo
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Padre Aldo Trento - Cagliari - 30 Novembre 2007
purtroppo non c'ero
 GRAZIE: fontanavivace 
 
Padre Aldo Trento - TG5 insieme
La registrazione della puntata di TG5 Insieme dell'8 dicembre 2007

Il "giro d'Italia" di padre Aldo

di Francesco Rositano 29/11/2007

padre Aldo TrentoBelluno, Agordo, Roma, Rimini. Infine Cagliari. Sono le tappe del “giro d’Italia” di Padre Aldo Trento, missionario della Fraternità san Carlo in Paraguay. Il sacerdote da una settimana sta attraversando la penisola per raccontare la sua esperienza in America Latina, dove vive con don Paolino Buscaroli e don Ettore Ferrario. Pochi giorni fa ha parlato al teatro Tarkovsky di Rimini davanti ad una platea di ottocento persone. Il tema dell’incontro era la carità. Un tema molto caro a questo sacerdote di origini bellunesi che insieme ai suoi confratelli ha dato vita ad una clinica per malati terminali, a una scuola, a un policonsultorio. Opere nate tutte grazie al sostegno di amici e benefattori. Per padre Aldo nulla comunque sarebbe sorto senza l’intervento decisivo della Provvidenza.
«In questi anni – ha spiegato – ho scoperto che la prima legge dell’economia è la Provvidenza. Non mi sono mai preoccupato di cosa fare per ottenere i fondi per realizzare le opere, perché i soldi inaspettatamente sono sempre arrivati, ma ho sempre pensato allo scopo per cui queste opere nascevano. E lo scopo è quello di rendere presente alle persone che incontriamo l’abbraccio di Cristo. Un abbraccio che io per primo ho sentito su di me attraverso la persona di don Giussani.
È solo grazie a quell’abbraccio che ho avuto la forza di impegnarmi in qualcosa di veramente significativo e di andare al fondo del significato della carità».
Ma cos’è la carità? Padre Aldo si guarda bene dal confonderla con l’assistenzialismo. «La carità – dice – non è un insieme di cose da fare, ma è uno sguardo pieno di amore. Uno sguardo di amore alla vita, ai bisogni della gente, alla loro umanità. Quando riceviamo i malati nella clinica la prima medicina che diamo loro è l’amore: stiamo attenti ad ogni dettaglio, ad esempio, cambiamo spessissimo la biancheria e ci preoccupiamo che a loro non manchi nulla. Possono sembrare solo dettagli, ma attraverso questi gesti molte persone messe a dura prova dalla vita cominciano a sentirsi volute bene; cominciano ad accettare anche il peso della morte e del dolore. Questo è possibile solo perché incontrano Cristo».
In questi giorni il sacerdote ha avuto modo di toccare con mano la carità nei suoi confronti. In particolare pensa al rapporto di amicizia nato con Gianni Contini, un imprenditore per anni a capo di una grande azienda internazionale, che in questi giorni lo sta accompagnando in lungo e in largo per l’Italia, curando ogni particolare del suo viaggio. «Ci siamo conosciuti ad Asunción, quando era venuto a trovarci. E da allora non ci siamo più lasciati. Sorprende vedere la gratuità con cui si è messo a mia disposizione, l’amore con cui lui e la sua famiglia mi hanno accolto nella loro casa. Il suo è un esempio da cui io per primo imparo cos’è la gratuità».
Aldo poi pensa allo sguardo della gente che ha incontrato. «Negli occhi di molte persone ho visto una grande solitudine. Mi ha colpito in particolare un ragazzo di diciotto anni. Era molto triste, voleva raccontarmi della sua vita, ma non c’era il tempo per farlo. Ad un certo punto si è avvicinato a me, ringraziandomi per la mia testimonianza e ha voluto darmi un bacio. Dietro quel bacio c’era una tristezza che però non annientava la speranza».


Postato da: giacabi a 22:13 | link | commenti
testimonianza, padre trento

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