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domenica 19 febbraio 2012

Papini


Vieni Gesù abbiamo bisogno di te
***

Sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre. Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti accolse, fanciullo, tra i fanciulli e, giustiziabile, tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un Povero che compra il suo pane da se e nessuno lo guarda.
 

                Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione. Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai quanto sognamo d'una tua intervenzione, quant'è necessario un tuo ritorno.
                Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguita da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare .. e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, una risplendenza nella notte, un'ora sola della tua eternità, una parola sola per tutto il tuo silenzio.
                Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c' è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun' altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che sanno. L 'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro.
                Noi non gridiamo verso di te per la vanità di poterti vedere come ti videro Galilei e Giudei, ne per la gioia di guardare una volta i tuoi occhi, ne per l' orgoglio matto di vincerti colla nostra supplicazione. Non chiediamo, noi, la grande discesa nella gloria dei cieli, né il fulgore della Trasfigurazione, né gli squilli degli angeli e tutta la sublime liturgia dell'ultima venuta. C'è tanta umiltà, tu lo sai, nella nostra irrompente tracotanza! Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d'operaio povero; vogliamo veder quegli occhi che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo udire la tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini da quanto è forte.
                Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola. Tu lo sai bene che un tuo sguardo può stravolgere e mutare le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce.
                Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E..noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento e un accrescimento incomportabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati!
                Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male, anche dopo la tua morte, e più dopo la morte che in vita, gli uomini  l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri, l'abbiamo fatto. Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e milioni di volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi insobilliti t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi; e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustate le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio.
                Ma tu hai perdonato tutto e sempre. Tu sai, tu che sei stato in mezzo a noi, qual è il fondo della nostra natura sciagurata. Non siamo che rappezzi e bastardume, foglie instabili e passanti, carnefici di noi medesimi, aborti malvenuti che si sdraiano nel male a guisa d'un lattante rinvoltato nel suo piscio, d'un briaco stramazzato nel suo vomito, d'un accoltellato disteso nel suo sangue d'un ulceroso giacente nel suo marciume. T'abbiamo respinto perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita. Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato, e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore». Tutte le generazioni sono eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano. «Simili, - tu dicesti - a quei ragazzi che stanno per le piazze e gridano ai compagni: "V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto" ». Così abbiamo fatto noi, per quasi sessanta generazioni.
                Ma ora è venuto il tempo che gli uomini son più ebbri d'allora ma più sitibondi. In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d'una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo, l'abbiettezza è stata così abbietta e l'arsura così ardente. La terra è un Inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono attuffati in una pegola di sterco stemperato nel pianto, dalla quale si levano, talvolta, frenetici e sfigurati, per buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi. Da poco sono usciti da uno di questi feroci lavacri e son tornati, dopo l'immensa decimazione, nel comun brago escrementizio. Le pestilenze hanno seguito le guerre; i terremoti le pestilenze; immani armenti di cadaveri infraciditi, quanti ne bastava una volta per popolare un regno, son distesi sotto il lieve schermo della terra bacosa, occupando, se fossero insieme, lo spazio di molte province. Eppure, come se tutti quei morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere. Le nazioni opulente condannano alla fame le nazioni povere; i ribelli ammazzano i loro padroni di ieri; i padroni fanno ammazzare i rivoltosi dai loro mercenari; nuovi dittatori, profittando dello sfasciume di tutti i sistemi e di tutti i regimi, conducono intere nazioni alla carestia, alla strage e alla dissoluzione.
                L 'amor bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per se medesima, di ogni popolo per se solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l'odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d'ossami la terra. L 'amore di se, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l'odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servipadroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro le razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori. L'ingordigia del troppo ha generato l'indigenza del necessario; la prurigine dei piaceri il rodìo delle torture, la smania di libertà l'aggravamento delle pastoie.
                Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona del fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli uomini ch'eran rimasti intatti nella pace dell'ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire.
                Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l'aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e della propria scontentezza. Gli uomini, nell'ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e, pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l'alcool, i giuochi, le armi, prelevano ogni giorno a migliaia i   sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie.
                Il mondo, per quattr'anni interi, s'è imbrattato di sangue per decidere chi doveva aver l'aiola più grande e il più grosso marsupio. I servitori di Mammona hanno cacciato Calibano in opposte interminabili fosse per diventare più ricchi e impoverire i nemici. Ma questa spaventevole esperienza non ha giovato a nessuno. Più poveri tutti di prima, più affamati di prima, ogni gente è tornata ai piedi di fango del Dio Negozio a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino Affare e la santa Moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati. Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto. Avvezzati allo sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i ladri. L 'ostentazione dei ricchi ha chiodato nella testa di tutti che altro non conta, sulla terra finalmente liberata dal cielo, che l'oro e quel che si può comprare e sciupare coll'oro.
                Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno. Una sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, Mammona e Priapo: la Forza che ha per simbolo la Spada e per tempio la Caserma; la Ricchezza che ha per simbolo l'Oro e per tempio la Borsa; la Carne che ha per simbolo il Phallus e per tempio il Bordello. Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore dai fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi. L 'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e i suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici.
                Non c'è più Monarchie e neanche Repubbliche. Ogni ordine non è che fregio e simulacro. La Plutocrazia e la Demagogia, sorelle nello spirito e nei fini, si contendono la dominazione dell'orde sediziose, malamente servite dalla Mediocrità salariata. E intanto sopra l'una e l'altra delle caste in campo, la Coprocrazia, realtà effettiva e incontestata, ha sottomesso l' Alto al Basso, la Qualità alla Quantità, lo Spirito al Fango.
                Tu sai queste cose, Cristo Gesù, e vedi ch'è giunta un'altra volta la pienezza dei tempi e che questo mondo febbroso e imbestiato non merita che d'esser punito da un diluvio di fuoco o salvato dalla tua mediazione. Soltanto la tua Chiesa, la Chiesa da te fondata sulla pietra ai Pietro, la sola che meriti il nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma colle parole infallibili del tuo vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e minaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti, perfino fra quelli che vi son nati,  vivon fuori dalla sua legge .
                Hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e li mi ritroverai, incidi il legno ed io son qui.». Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi i più degli uomini non vogliono non sanno trovarti. Se non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi ti preghiamo, dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te, e ci sforziamo di viver con te , ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi , i disperati, i reduci dai peripli e dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera.
                Più d'una volta sei apparso, dopo la Resurrezione, ai viventi a quelli che credevan d'odiarti, a quelli che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te. Tu eri la luce e parola sulla strada di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti ? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell'appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione. Quell'anime ti evocarono col potere dell'innocenza; le nostre ti chiamano dal fondo della debolezza e dell'avvilimento. Se appagasti l'estasi dei Santi perché non dovresti accorrere al pianto dei Dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbricitanti e che ognuno di noi, cercando se, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo Messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato. Il Regno di Satana è giunto ormai alla piena maturazione e la salvezza che tutti cercano brancolando non può esser che nel tuo Regno.
                La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormienti accovati nella belletta puzzante del nostro inferno, è segno che il gastigo ti sembra ancor troppo certo e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra.
                Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore.

 Giovanni Papini , Storia di Cristo , FI , Vallecchi , 1922, pp. XII-XIII .
 

Postato da: giacabi a 20:52 | link | commenti
preghiere, papini


giovedì, 13 ottobre 2011



SENTENZE DI GIOVANNI PAPINI

***

Testo
NONOSTANTE I MORTI NUMEROSI DELLE GUERRE DEL PASSATO, SI SEGUITA A UCCIDERE
1 . Eppure, come se tutti quei morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere

AVIDITA'  E  LATROCINIO GENERALE
2 . Ogni gente è tornata ai piedi di fango del Dio Negozio a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino Affare e la santa Moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati. Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto. Avvezzati allo sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i ladri.

LA NUOVA RELIGIONE REGNANTE SULLA TERRA
3 . Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno. Una sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, Mammona e Priapo: la Forza che ha per simbolo la Spada e per tempio la Caserma; la Ricchezza che ha per simbolo l'Oro e per tempio la Borsa; la Carne che ha per simbolo il Phallus e per tempio il Bordello. Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore dai fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi. L 'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e i suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici.

SOLTANTO LA CHIESA RESISTE AL GENERALE SFASCIO DELLE CREDENZE
4 . Soltanto la tua Chiesa, la Chiesa da te fondata sulla pietra di Pietro, la sola che meriti il nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma colle parole infallibili del tuo vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e minaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti, perfino fra quelli che vi son nati,  vivon fuori dalla sua legge .

TI PREGHIAMO (O CRISTO) CHE TU RITORNI
5 . Noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera.

L'AFFAMATO, L'ASSETATO, IL MALATO, I CERCATORI DI BELLEZZA , VERITA', PACE,
CERCANO TE, O CRISTO, SENZA SAPERLO
6 . L 'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro.

QUESTO TEMPO HA UN GRANDE BISOGNO DEL TUO SGUARDO E PAROLA
7 . Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola (o Cristo). Tu lo sai bene che un tuo sguardo può stravolgere e mutare le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce.
TUTTE LE GENERAZIONI SONO UGUALI A QUELLA CHE TI CROCIFISSE
8 .  T'abbiamo respinto (o Cristo) perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita. Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato, e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore». Tutte le generazioni sono eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano. «Simili, - tu dicesti - a quei ragazzi che stanno per le piazze e gridano ai compagni: "V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto" ». Così abbiamo fatto noi, per quasi sessanta generazioni.
da:
http://www.lettereadioealluomo.com/Pap_sentenze.htm


Postato da: giacabi a 21:41 | link | commenti
papini


CRISTO DEVE NASCERE ANCHE NEL PROPRIO CUORE

(Da: Giovanni Papini, La vera nascita, in: La felicità dell'infelice,  Firenze, Vallecchi, 1956 pp. 243-44)
 

  Una delle parole più profonde sul cristianesimo che io abbia sentito è questa: Anche se Cristo nascesse mille e diecimila volte a Betlemme a nulla ti gioverà se non nasce almeno una volta nel tuo cuore.
                Questi due versi da me malamente tradotti, si trovano nelPellegrino cherubico di Angelo Silesio, un protestante tedesco del seicento che quando si convertì al cattolicesimo, diventò frate minore e poeta maggiore.
                Ma come potrà accadere questa nascita interiore? 
                La nostra anima è spesso simile a una stalla, tanto è stretta e buia e così ingombra di lerciume, che pare non ci possa essere posto per un Dio, anche se fanciullo.
                Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile purché sia desiderato e aspettato.
                Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e  di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima.
                Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina.
                Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un pò di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore e la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo del Dio è imminente.
                E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore
.
                  Non sei più solo, non sarai mai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo per festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità.


 
             da: questo sito

Postato da: giacabi a 19:49 | link | commenti
papini

       

LA MANGIATOIA SIMBOLO
DELLA "CRISTOFAGIA"

   
Luca evangelista ripete due volte che Gesù appena nato, fu deposto in una mangiatoia. Quando Elena madre dell'imperatore Costatntino, volle far costruire una fastosa basilica sulla grotta della Natività, ornata di marmi e di metalli preziosi secondo il suo gusto di levantina arricchita, volle che nel posto della mangiatoia rustica fosse collocato un cofano d'oro massiccio.
               (...).
La vera mangiatoia della grotta non era soltanto un segno di più della miseria e umiltà che dovevano accompagnare la nascita di Gesù ma era soprattutto un simbolo profetico del suo futuro destino. La mangiatoia è fatta per contenere il cibo e Gesù sarà il cibo di quelli che crederanno in lui. La cristofagia è uno dei doveri essenziali di tutti coloro che hanno fede nel Figlio dello Spirito Santo.

(Da: Giovanni Papini, La mangiatoia d'oro, in: La felicità dell'infelice,  Firenze, Vallecchi, 1956 pp. 254-55)
da:http://www.lettereadioealluomo.com/Mangiatoia_simbolo.htm

Postato da: giacabi a 17:52 | link | commenti
gesù, papini


PROFESSIONE DI FEDE DEGLI ATEI: IL DIO DEGLI ATEI

(Da: Giovanni Papini, La Seconda Nascita, Firenze, Vallecchi, 1959, pp. 213-18)
Son nel mio alpestre lavoratoio. Da due parti mi circondano i libri; dall'altre due i monti. Immagine della mia vita solitaria e antica, trascorsa tra le parole dei morti e il mormorar delle piante. La sera s'avvia per smorzare il mondo: ogni giorno diversa, ogni volta più bella. Il grigiore ferroso dei crepuscoli d'autunno occupa già gli schienali a bacìo, ma su in alto che munificenza di grigi, di rosacei, di ceruli! Se non fossero i colpi sordi dell'accetta che tanto male mi fanno al cuore (perché domani ci sarà un'albero vivo di meno) non avrei di che nutrire la mia vorace malinconia.
A molti il mondo par brutto. Siamo noi che siam brutti dentro, talvolta, e vediamo la nostra bruttezza triste riflessa nel mondo. Una volta un essere in aspetto d'uomo, ma che somigliava piuttosto a un baco spento, mi disse che odiava la campagna. Ch'è lo stesso che odiare l'opera d'Iddio perché soltanto le città sono opera dell'uomo, e si vede! Diffidate di colui che odia la solitudine: vuol dir che la sua compagnia gli è odiosa e che non sa come riempire la sua miserevole vacuità. Diffidate di colui che non ama la campagna: vuol dire che ha paura d'iddio.
Ha paura d'una testimonianza, troppo patente per essere agevolmente ricusata. Ha paura di dover riconoscere Dio anche in se stesso, in quel silenzio dilatato e reverente che non permette finzioni, sotterfugi, scappatoie. Negli strepiti, nei chiassi, nei garbugli delle società rammontate, l'ipocrisia verso noi stessi e gli altri ci concede anno per anno proroghe e moratorie. Ma volete mentire al cielo, al deserto, alla notte?
                Prova a negare quando sei solo a faccia a faccia coll'universo. Rinsacca le filosofie dello Spirito  -poveri segni senza sostanza, senza connessione col respiro dell'anima, colla ricchezza infinita dell'essere-  e prova a dir forte dinanzi a un pezzo qualunque della creazione, che Dio non è, che questa meravigliosa macchina dell'universo non ha avuto né principio né autore e si regge senza un supremo padrone, per un miracolo costante di coincidenze, di atomi, di monadi, di spiriti.
                Risponde Dio: tu non cercheresti d'uccidermi se tu non sapessi che io son vivo, il Dio dei viventi.
                Se Dio non esistesse, tu stesso che lo vuoi negare non esisteresti. Per negarlo devi adoprare il tuo pensiero, pronunziar parole: ma nel primo atto del tuo pensiero, Dio è già presente e appena hai pronunziato la prima parola, essa contiene, senza che te n'accorga, l'affermazione d'Iddio. A Dio non si sfugge: se l'affermi, l'ami, se vuoi sopprimerlo, lo riconosci. Qualunque cosa si dica, non si fa che parlar d'Iddio. E di che altro si potrebbe parlare se non d'Iddio? Ogni altro discorso è inintelligibile, perché dove non si presuppone l'essere e la legge, si emettono suoni senza senso, e l'essere e la legge non son pensabili al difuori della Divinità.
                Ci son molti che provano Iddio coi ragionamenti e i sillogismi. Li ascolto e li venero perché le riprove giovano agli immemori, ma per me gli argomenti più persuasivi dell'esistenza d'Iddio son contenuti nei discorsi degli atei.
                Quelli che si chiamano atei non negano Dio: confessano di aver perduto Dio. Hanno paura d'Iddio e si vantano d'averlo ucciso con la speranza di uccidere il loro spavento. Non lo sentono più dentro di sé e questa solitudine interiore li fa uscir di sé. Hanno terrore dei suoi comandamenti, della sua potenza della sua onniveggenza. Oppure son così onnubilati all'interno, e tanto si son ravvolti nella sensualità torbidosa che non lo sentono più, non sanno più d'averlo, non sanno ritrovarlo nell'intimo fondo della posatura spirituale. E allora, come liberati da uno sguardo, da una sorveglianza, da un peso, vanno dicendo che Dio non è. Ma Dio è anche in loro come in tutti, e qualcuno ha il presentimento di questa silenziosa e paziente Presenza. Son quelli che si sfogano a dire, a proclamare a dimostrare che Dio è abolito, superato, morto. Tremano all'idea di un solo ritorno : di quel tremore è fatto il loro ateismo.
                Né Samt'Anselmo né San Tommaso hanno mai escogitato argomenti più formidabili di quella spaventosa e spaventata negazione.
  Tu non mi cercheresti se tu non mi avessi trovato, dice il Dio di Pascal. Tu non mi uccideresti se tu non mi sentissi vivere, dice il dio degli atei.
                L'uomo a cui hanno mozzato le mani, sostiene che non vi sono carezze; un altro a cui hanno riempito gli orecchi di fango afferma che non v'è musica. Un terzo l'hanno confinato in una chiavica e proclama che il sole s'è spento. Potete dar loro torto? Ma, d'altra parte, dove ritroveremo, fuor che in queste loro negazioni, una prova più sicura e salda che le carezze, la musica, il sole esistono per colui che ha mani, orecchi, occhi liberi e vive sopra e non sotto la terra?
                L'escogitazioni de' negatori per render ragione dell'esistenza delle cose e di noi  -sia pur fatta tutta di spirito-  sono i più validi contrafforti della fortezza tomista.
                Le confusioni, le contraddizioni, il continuo ricorrere all'impensabile o al prodigio spicciolo e continuo, sono le pietre che i nemici stessi pongono con le loro mani per inalzare bastioni e barbacani che serviranno a difendere la nostra vecchia città contro di loro. Gli atei, di qualunque schiatta e scuola, sono i più gagliardi e fedeli ausiliari dei teologi. Tutte le strade che precipitosamente scavano, assillati dalla paura d'Iddio, menano tutte all'assurdo, alla nichilità del pensiero, alla morte dell'anima. Chi li segue e li vede, non ha scelta che tra il nulla e il ritorno. Molti, non abili a riconoscere il nulla e la morte sotto i cenci frangiati delle parole, si baloccano sugli orli degli abissi e si arrischian persino alla danza -ballo di specchi briachi di ventosità dotte-, gli altri, quelli che hanno occhi e vedono, che hanno orecchi e odono, tornano verso l'unico ricovero, verso la Porta Stretta: stretta apertura che da il passo a una divina città di viventi, di verità viventi ed eterne.
                  Perciò noi dobbiamo grandissima gratitudine agli atei: sono gli iloti della Gerusalemme cristiana. E in qual modo manifestar meglio la nostra gratitudine che nel richiamarli alla vera patria della quale, pur disertori e fuggiaschi, son cittadini? Nel renderli consapevoli della certezza soprannaturale ch'è involta nei loro no? Nel liberarli da uno spavento che fa scambiar per un'ombra, a' poveri occhi stravolti, colui che per amore l'insegue? Perché non ho di quelle parole sfolgoranti che son di per se stesse oltrepossenti incantazioni? V'è un'altra lingua oltre questa, troppo terrosa ancora, per formare i canti che legano, che chiamano, che sciolgono le pietruzze dei cuori, le riluttanze degli intellettuali? La lingua che doveva parlare Adamo nel Paradiso, intrisa di luce e di odori, che può esprimer soltanto verità, amore, adorazione; con parole valide per la terra e per il cielo, commiste di cielo e di terra, che volticano le anime e danno ali, moto, respiro a chi l'ascolta e lo imparadisano di una ferma illuminazione di speranza e concordia.
                Ma Dio che già troppo mi dette, non mi ha spirato il genio col suo respiro e le lingue dei terrestri, che risentono, come ogni altra opera umana, dell'infiacchimento della prima caduta, non sono che incastonature di piombo per diamanti sognati. Non ho fra le mani che rena: la passo tra i diti al sole e mi pare che scintilli. Meno però delle lagrime che nessuno vide.

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mercoledì, 03 agosto 2011

Quell'atomo di adesione
***
La salvezza, come tutto ciò che innalza la natura umana, non può essere che il frutto di una collaborazione. Collaborazione ineguale, dove tu, o Signore, hai largito quasi tutto e a noi chiedi quasi nulla. Ma senza quell’atomo di adesione dell’uomo, perfino la tua onnipotenza è impotente a salvarci.
(Giovanni Papini)

Postato da: giacabi a 20:40 | link | commenti
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martedì, 12 gennaio 2010

PREGHIERA A CRISTO

         ***
Tu, Cristo, hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e lì mi troverai, incidi il legno ed io son qui» (agraphon). Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi il più degli uomini non vogliono, non sanno trovarti. Se non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori, seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi ti preghiamo dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te e ci sforziamo di vivere con te, ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi, i disperati, i reduci dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera.
Più d'una volta sei apparso, dopo la Risurrezione, ai viventi. A quelli che credevano d'odiarti, a quelli che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te. Tu eri luce e parola sulla strada di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell'appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione. Quell'anime ti evocarono col potere della innocenza; le nostre ti chiamano dal fondo della debolezza e dell'avvilimento. Se appagasti l'estasi dei Santi perché non dovresti accorrere al pianto dei Dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbri citanti e che ognuno di noi, cercando sé, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo Messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato.
Ma noi, gli Ultimi, ti aspettiamo, ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore.
Giovanni Papini

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domenica, 22 febbraio 2009

Preghiera a Cristo
***




Sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre.
Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti raccolse, fanciullo, tra i fanciulli e, giustiziabile, tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda.
Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione.
Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro grande bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai quanto abbisognamo d'una tua intervenzione, quant'è necessario un tuo ritorno.
Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguita da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, una risplendenza nella notte - un'ora sola della tua eternità, una parola sola: per tutto il tuo silenzio.
Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c'è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno, assai più di quelli che sanno. L'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l’acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro.
Noi non gridiamo verso di te per la vanità di poterti vedere come ti videro Galilei e Giudei, né per la gioia di guardare una volta i tuoi occhi, né per l'orgoglio matto di vincerti colla nostra supplicazione. Non chiediamo, noi, la grande discesa nella gloria dei cieli, né il fulgore della Trasfigurazione, né gli squilli degli angeli e tutta la sublime liturgia dell'ultima venuta. C'è tanta umiltà, tu lo sai, nella nostra irrompente tracotanza! Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d'operaio povero; vogliamo veder quegli occhi che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo udire la tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini da quanto è forte.
Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola. Tu lo sai bene che un tuo sguardo può travolgere e mutare le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce
.
Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare: ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento, un accrescimento incomparabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati!
Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male anche dopo la tua morte, e più dopo la morte che in vita, gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri. l'abbiamo fatto. sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser inchiodato; e milioni di volte col pensiero e la volontà ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi insobilliti t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi, e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustate le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio.
Ma tu hai perdonato tutto e sempre. Tu sai, tu che sei stato in mezzo a noi, qual è il fondo della nostra natura sciagurata. Non siamo che rappezzi e bastardume, foglie instabili e passanti, carnefici di noi medesimi, aborti malvenuti che si sdraiano nel male a guisa d'un lattante rinvoltato nel suo piscio, d'un briaco stramazzato nel suo vomito, d'un accoltellato disteso nel suo sangue, d'un ulceroso giacente nel suo marciume. T'abbiamo respinto perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita.
Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore ». Tutte le generazioni sono eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano. « Simili, - tu dicesti -. a quei ragazzi che stanno per le piazze e gridano ai compagni: V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto ». Così abbiamo fatto noi, per quasi sessanta generazioni.
Ma ora è venuto il tempo che gli uomini son più ebbri d'allora ma più sitibondi. In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d'una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo, l'abbiettezza è stata così abbietta e l'arsura così ardente. La terra è un inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono attu1tati in una pegola di sterco temperato nel pianto, dalla quale si levano, talvolta, frenetici e sfigurati, per .buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi. Da poco sono usciti da uno di questi feroci lavacri e son tornati, dopo l'immensa decimazione, nel comun brago escrementizio.
Le pestilenze hanno seguito le guerre; i terremoti le pestilenze; immani armenti di cadaveri infraciditi, quanti ne bastava una volta per popolare un regno, son distesi sotto il lieve schermo della terra bacosa, occupando, se fossero insieme, lo spazio di molte provincie. Eppure, come se tutti quei. morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere.
Le nazioni opulente condannano alla fame le nazioni povere; i ribelli ammazzano i loro padroni di ieri; i padroni fanno ammazzare i rivoltosi dai loro mercenari; nuovi dittatori, profittando dello sfasciume di tutti i sistemi e di tutti i regimi, conducono intere nazioni alla carestia, alla strage e alla dissoluzione.
L'amore bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per sé medesima, di ogni popolo per sé solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l'odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d'ossami la terra.
L'amore di sé, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l'odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servi-padroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro le razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori. L'ingordigia del troppo ha generato l'indigenza del necessario; la prurigine dei piaceri il rodio delle torture; la smania di libertà l'aggravamento delle pastoie.

Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona del fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale.
Anche gli uomini ch'eran rimasti intatti nella pace dell'ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire.
Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l'aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e della propria scontentezza. Gli uomini, nell'ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l'alcool, i giuochi, le armi, prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie.
Il mondo, per quattr'anni interi, s'è imbrattato di sangue per decidere chi doveva aver l'aiola più grande e il più grosso marsupio. I servitori di Mammona hanno cacciato Calibano in opposte interminabili fosse per diventare più ricchi e impoverire i nemici. Ma questa spaventevole esperienza non ha giovato a nessuno. Più poveri tutti di prima, più affamati di prima, ogni gente è tornata ai piedi di fango del dio negozio a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino affare e la santa moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati.
Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto.
Avvezzati allo, sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i ladri. L'ostentazione dei ricchi ha chiovato nella testa di tutti che altro non conta, sulla terra finalmente liberata dal cielo, che l'oro e quel che si può comprare e sciupare coll'oro. Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno.
Una sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, Mammona e Priapo; la Forza che ha per simbolo la spada e per tempio la caserma: la Ricchezza che ha per simbolo l'oro e per tempio la borsa; la Carne che ha per simbolo il phallus e per tempio il bordello. Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore nei fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi
. L'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici. Non c'è più monarchie e neanche repubbliche. Ogni ordine non è che fregio e simulacro. La plutocrazia e la demagogia, sorelle nello spirito e nei fini, si contendono la dominazione dell'orde sediziose, malamente servite dalla mediocrità salariata. E intanto sopra l' una e l'altra delle caste in campo, la coprocrazia, realtà effettiva e incontestata, ha sottomesso l'alto al basso, qualità alla quantità, lo spirito al fango.
Tu sai queste cose, Cristo Gesù, e vedi ch'è giunta un'altra volta la pienezza dei tempi e che questo mondi febbroso e imbestiato non merita che d'essere punito da un diluvio di fuoco o salvato dalla tua mediazione: Soltanto la tua Chiesa, la Chiesa da te fondata sulla Pietra di Pietro, la sola che meriti il nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma con parole ineffabili del tuo Vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e limaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti perfino tra quelli che vi son nati, vivon fuori della tua legge. Hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e lì mi troverai, incidi il legno ed io son qui ». Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi i più degli uomini non vogliono, non sanno trovarti.
Se non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori, seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi ti preghiamo, dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te, e ci sforziamo di viver con te, ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi, i disperati, i reduci dai peripli e dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera. Più d'una volta sei apparso, dopo la Resurrezione, ai viventi. A quelli che credevan d'odiarti, a quelli , che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te.
Tu eri luce e parola sulla strada, di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell’appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione Quell’anime ti invocarono col potere dell’innocenza; le nostre ti chiamano dal. fondo della debolezza e dell'avvilimento.
Se appagasti l'estasi dei santi perché non dovresti accorrere al pianto dei dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbricitanti e che ognuno di noi, cercando sé, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato. Il Regno di Satana è giunto ormai alla piena maturazione e la salvezza che tutti cercano brancolando non può esser che nel tuo Regno.

La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormenti accovati nella belletta puzzante del nostro inferno, è segno che il castigo ti sembra ancor troppo corto e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra.
Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore
. GIOVANNI PAPINI

Postato da: giacabi a 16:23 | link | commenti
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martedì, 30 dicembre 2008

La Chiesa
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 "Anche se Roma fosse un mucchio di sassi e in mezzo alle rovine vivesse un papa e dodici cristiani con lui, lì sarebbe la Chiesa, lì la verità, lì Cristo.
G. Papini

Postato da: giacabi a 10:45 | link | commenti
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Cristo può nascere in noi
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 "Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile purché sia desiderato e aspettato. Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima. Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente. E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore. Non sei più solo, non sarai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità"
Giovanni Papini Scriveva così il 25 dicembre 1955, poco più di sei mesi prima di morire

Postato da: giacabi a 09:35 | link | commenti
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Noi abbiamo bisogno d'esser salvati!
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 "La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormenti accovati nella melma puzzante del nostro inferno, è segno che il castigo ti sembra ancor troppo corto e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra. Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore".
Giovanni Papini

Postato da: giacabi a 09:17 | link | commenti
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Noi abbiamo bisogno d'esser salvati!
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 "Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento e un accrescimento insopportabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati! Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male, anche dopo la tua morte, e più dopo la tua morte che in vita, gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri, l'abbiamo fatto. Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e milioni di volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi esaltati t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi; e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustato le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, e usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio".
Giovanni Papini

Postato da: giacabi a 09:08 | link | commenti
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lunedì, 29 dicembre 2008

Cristo, invece, è sempre vivo
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Cesare ha fatto, ai suoi tempi, più rumore di Gesù; e Platone insegnava più scienza di Cristo. Ancora oggi si ragiona del primo e del secondo; ma chi si accalora per Cesare o contro Cesare? E dove sono oggi i platonisti e gli antiplatonisti?

Cristo, invece, è sempre vivo in noi. C'è ancora chi lo ama e chi lo odia. C'è una passione per la passione di Cristo e una per la sua distruzione. E l'accanirsi di tanti contro di Lui dice che non è ancora morto.

Giovanni Papini in Storia di Cristo
 

Postato da: giacabi a 20:07 | link | commenti
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domenica, 09 novembre 2008

L’uomo ha bisogno di Verità
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  • « Ormai non voglio più viver così: non più sbattuto, come ora, tra il dubbio e la negazione, affannato dal desiderio sempre rinascente, accasciato dalla sconfitta sempre ripetuta. Voglio che qualcuno mi aiuti, e che colui che s’è quietato dia anche a me un po’ della sua pace. Ma non parole, veh! non inganni, non frottole, non speranze da ragazzi o chiacchiere da donne. Voglio una certezza certa - anche una sola! Voglio una fede indistruttibile - anche una sola! Voglio una verità vera, anche piccola, anche meschina  una sola! Ma una verità che mi faccia toccare la sostanza più intima del mondo; il sostegno ultimo, il più solido; una verità che s’impianti da sé nella testa e non faccia più concepire ciò che a lei contraddice; una verità, insomma, che sia una conoscenza, una conoscenza vera e propria, perfetta, definitiva, autentica, assoluta. Senza questa verità non riesco più a vivere».
Giovanni Papini

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verità, papini

domenica, 03 agosto 2008

Perchè rifiutare la mano di un padre?
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« Le nostre filosofie son come l'erba de' tetti, che secca prima di aver fiorito - sentenze di cenere e ragioni di vento- siamo soli sull'orlo dell'infinito; perchè rifiuteremo la mano di un padre? Siamo sbattuti, noi effimeri, dall'alito dell'eternità: perchè rifiuteremo un sostegno, sia pure a patto d'esservi attaccati coi chiodi d'una croce di campagna. ».

Giovanni Papini, Il cielo sopra i dormienti

Grazie a: dal dentro delle cose


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papini

giovedì, 13 dicembre 2007

L'amicizia, scambio di doni
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L'amicizia: un continuo scambio
e contraccambio di doni
spirituali e materiali
.
Quando si tratta di persone generose,
colui che dà prova una gioia più grande di colui che riceve
. Giovanni Papini


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amicizia, papini

mercoledì, 14 novembre 2007

Il senso religioso
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Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Non domando abbracci alle donne o soldi ai banchieri o elogi ai "geniali". Di codeste cose fa a meno o le guadagno o rubo da me.
Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell'anima mia, un po' di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità!...
Ho bisogno di un po' di certezza -ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so.
G. PAPINI, Un uomo finito,


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papini, senso religioso

giovedì, 11 ottobre 2007

La nascita interiore
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Ma come potrà accadere questa nascita interiore?
Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima. 
Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente. 
E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore.
Non sei più solo, non sarai più solo. 
Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità.
Giovanni Papini.
   


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croce, gesù, papini

sabato, 15 settembre 2007

La positività  scaturita da Cristo
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Mi stupiscono, talvolta, coloro che si stupiscono della mia calma nello stato miserando al quale mi ha ridotto la malattia. Ho perduto l’uso delle gambe, delle braccia, delle mani e sono divenuto quasi cieco e quasi muto. Non posso dunque camminare né stringere la mano di un amico né scrivere neppure il mio nome; non posso più leggere e mi riesce quasi impossibile conversare e dettare. Sono perdite irrimediabili e rinunce tremende soprattutto per uno che aveva la continua smania di camminare a passi rapidi, di leggere a tutte le ore e di scrivere tutto da sé, lettere, appunti, pensieri, articoli e libri. Ma non bisogna tenere in piccolo conto quello che mi è rimasto ed è molto ed è il meglio. È bensì vero che le cose e le persone mi appariscono come forme indeterminate e appannate, quasi fantasmi attraverso un velo di nebbia cinerea, ma è anche vero che non sono condannato alla tenebra totale; riesco ancora a godere una festosa invasione di sole e la sfera di luce che s’irraggia da una lampada. Posso inoltre intravedere, quando vengono molto avvicinate all’occhio destro, le macchie colorate dei fiori e le fattezze di un volto. Eppure questi barlumi ultimi della visione abolita sembrano miracoli gaudiosi a un uomo che da più di vent’anni vive nel terrore del buio perpetuo. E tutto questo non è nulla a paragone dei doni ancor più divini che Dio mi ha lasciato. Ho salvato, sia pure a prezzo di quotidiane guerre, la fede, l’intelligenza, la memoria, l’immaginazione, la fantasia, la passione di meditare e di ragionare e quella luce interiore che si chiama intuizione o ispirazione. Ho salvato anche l’affetto dei familiari, l’amicizia degli amici, la facoltà di amare anche quelli che non conosco di persona e la felicità di essere amato da quelli che mi conoscono soltanto attraverso le opere. E ancora posso comunicare agli altri, sia pure con martoriante lentezza, i miei pensieri e i miei sentimenti. Se io potessi muovermi, parlare, vedere e scrivere, ma avessi la mente confusa e ottusa, l’intelligenza torpida e sterile, la memoria lacunosa e tarda, la fantasia svanita e stenta, il cuore arido e indifferente, la mia sventura sarebbe infinitamente più terribile. Sarei un’anima morta dentro un corpo inutilmente vivo. A che mi varrebbe possedere una favella intelligibile se non avessi nulla da dire? Ho sempre sostenuto la superiorità dello spirito sulla materia: sarei un truffatore e un vigliacco se ora, arrivato al punto della riprova, avessi cambiato opinione sotto il peso dei patiri. Ma io ho sempre preferito il martirio all’imbecillità.
Giovanni Papini


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croce, cristianesimo, papini

giovedì, 12 luglio 2007

Cristo non ci fa invecchiare
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E giacché sono in vena di confessioni voglio andare aldilà del verosimile e spingermi sino all'incredibile. I segni essenziali della giovinezza sono tre: la volontà di amare, la curiosità intellettuale e lo spirito aggressivo. Nonostante la mia età, a dispetto dei miei mali, io sento fortissimo il bisogno di amare e di essere amato, ho il desiderio insaziabile di imparare cose nuove in ogni dominio del sapere e dell'arte e non rifuggo dalla polemica e dall'assalto quando si tratta della difesa dei supremi valori. Per quanto possa parere ridevole delirio ho la temerità di affermare che mi sento anche oggi sollevato, nell'immenso mare della vita, dall'alta marea della gioventù.
Papini




Postato da: giacabi a 11:43 | link | commenti
cristianesimo, papini


La Chiesa Cattolica
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" Finita che fu (la Storia di Cristo) mi si presentò l'esigenza di appartenere alla società fondata da Cristo. E tra le Chiese innumerevoli che si dicono sue fedeli interpreti scelsi, non senza contrasti interni e qualche ripugnanza ora superata, quella cattolica, sia perché essa rappresenta veramente il tronco maestro dell'albero piantato da Gesù ma anche perché, a dispetto delle debolezze e degli errori umani di tanti suoi figli, essa è quella, a parer mio, che ha offerto all'uomo le condizioni più perfette per una integrale sublimazione di tutto l'esser suo e perché in essa soltanto mi parve che fiorisse abbondante e splendente il tipo d'eroe che ritengo il più alto: il Santo "
G. Papini  (La pietra infernale, p. 152).

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chiesa, papini

lunedì, 09 luglio 2007

L’ESSENZA DELL’UOMO:
RAPPORTO CON L’INFINITO
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«Il seme è libero, ma soltanto di trasformarsi in albero [il seme di pioppo è libero di trasformarsi in pioppo. Ognuno di noi è libero ma solo di diventare ciò che nella sua originale essenza era già. La nostra originale essenza è la sete di felicità; l'uomo è libero di diventare ciò che nella sua originale essenza era già: sete di felicità]. Gli ostacoli alla naturale crescita si chiamano schiavitù»…. «L'originale essenza dell'uomo è rapporto con l'Infinito».
Papini






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libertà, papini, senso religioso

venerdì, 30 marzo 2007

Giovanni Papini 
Il riconoscimento della sua impotenza
“Tutto è finito, tutto è perduto, tutto è chiuso. Non c'è più nulla da fare. Consolarsi? Neppure. Piangere? Ma per piangere ci vuole ancora dell'energia, ci vuole un po' di speranza! Io non son più nulla, non conto più, non voglio niente: non mi muovo. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi: sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio".
La domanda  di aiuto, di Significato
"Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell'anima, un po' di certezza: una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità. Ho bisogno di un po' di certezza, ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so. Ma la voglio in tutti i modi, a tutti i costi mi deve essere data, se pur c'è qualcuno al mondo cui preme la mia vita. Senza questa verità non riesco più a vivere e se nessuno ha pietà di me, se nessuno può rispondermi, cercherò nella morte la beatitudine della piena luce o la quiete dell'eterno nulla".
La  risposta
"Gesù, sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre. Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti accolse fanciullo tra i fanciulli e giustiziabile tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un Povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda. Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione.

Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro grande bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperazione; tu sai quanto abbisogniamo d'un tuo intervento, quant'è necessario un tuo ritorno. Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguìta da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, un risplendere nella notte, un'ora sola della tua eternità, una parola sola per tutto il tuo silenzio.

Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c'è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva.

Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che lo sanno. L'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro”
Giovanni Papini

Postato da: giacabi a 14:49 | link | commenti
papini

venerdì, 09 febbraio 2007

Preghiera di Cristo
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Abbiamo bisogno di Te, di Te solo,
e di nessun altro.
Tu solamente, che ci ami, puoi sentire per noi tutti
che soffriamo la pietà che ciascuno di noi sente per
se stesso.
Tu solo puoi sentire quanto è grande,
immisurabilmente grande,
il bisogno che c'è di Te, in questo mondo,
in questa ora del mondo.
Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono,
nessuno di quelli che dormono nella mota
della gloria, può dare, a noi bisognosi,
riversi nell'atroce penuria,
nella miseria più tremenda di tutte,
quella dell'anima, il bene che salva.
Tutti hanno bisogno di Te,
anche quelli che non lo sanno,
e quelli che non lo sanno,
assai più di quelli che sanno.
L'affamato s'immagina di cercare il pane
ed ha fame di Te.
L'assetato crede di voler l'acqua
ed ha sete di Te.
Il malato s'illude di agognare la salute
e il suo male è l'assenza di Te.
Chi cerca la bellezza del mondo cerca,
senza accorgersene,
Te che sei la bellezza intiera e perfetta;
chi persegue nei pensieri la verità,
desidera, senza volere,
Te che sei l'unica verità, degna di essere saputa;
chi s'affanna dietro la pace cerca Te,
sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti.
Essi ti chiamano senza sapere che Ti chiamano,
il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro
. . .
Giovanni Papini

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