Vieni Gesù abbiamo bisogno di te
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Sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre. Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti accolse, fanciullo, tra i fanciulli e, giustiziabile, tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un Povero che compra il suo pane da se e nessuno lo guarda.
Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione. Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai quanto sognamo d'una tua intervenzione, quant'è necessario un tuo ritorno.
Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguita da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare .. e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, una risplendenza nella notte, un'ora sola della tua eternità, una parola sola per tutto il tuo silenzio.
Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c' è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun' altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che sanno. L 'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro.
Noi non gridiamo verso di te per la vanità di poterti vedere come ti videro Galilei e Giudei, ne per la gioia di guardare una volta i tuoi occhi, ne per l' orgoglio matto di vincerti colla nostra supplicazione. Non chiediamo, noi, la grande discesa nella gloria dei cieli, né il fulgore della Trasfigurazione, né gli squilli degli angeli e tutta la sublime liturgia dell'ultima venuta. C'è tanta umiltà, tu lo sai, nella nostra irrompente tracotanza! Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d'operaio povero; vogliamo veder quegli occhi che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo udire la tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini da quanto è forte.
Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola. Tu lo sai bene che un tuo sguardo può stravolgere e mutare le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce.
Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E..noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento e un accrescimento incomportabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati!
Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male, anche dopo la tua morte, e più dopo la morte che in vita, gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri, l'abbiamo fatto. Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e milioni di volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi insobilliti t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi; e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustate le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio.
Ma tu hai perdonato tutto e sempre. Tu sai, tu che sei stato in mezzo a noi, qual è il fondo della nostra natura sciagurata. Non siamo che rappezzi e bastardume, foglie instabili e passanti, carnefici di noi medesimi, aborti malvenuti che si sdraiano nel male a guisa d'un lattante rinvoltato nel suo piscio, d'un briaco stramazzato nel suo vomito, d'un accoltellato disteso nel suo sangue d'un ulceroso giacente nel suo marciume. T'abbiamo respinto perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita. Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato, e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore». Tutte le generazioni sono eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano. «Simili, - tu dicesti - a quei ragazzi che stanno per le piazze e gridano ai compagni: "V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto" ». Così abbiamo fatto noi, per quasi sessanta generazioni.
Ma ora è venuto il tempo che gli uomini son più ebbri d'allora ma più sitibondi. In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d'una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo, l'abbiettezza è stata così abbietta e l'arsura così ardente. La terra è un Inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono attuffati in una pegola di sterco stemperato nel pianto, dalla quale si levano, talvolta, frenetici e sfigurati, per buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi. Da poco sono usciti da uno di questi feroci lavacri e son tornati, dopo l'immensa decimazione, nel comun brago escrementizio. Le pestilenze hanno seguito le guerre; i terremoti le pestilenze; immani armenti di cadaveri infraciditi, quanti ne bastava una volta per popolare un regno, son distesi sotto il lieve schermo della terra bacosa, occupando, se fossero insieme, lo spazio di molte province. Eppure, come se tutti quei morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere. Le nazioni opulente condannano alla fame le nazioni povere; i ribelli ammazzano i loro padroni di ieri; i padroni fanno ammazzare i rivoltosi dai loro mercenari; nuovi dittatori, profittando dello sfasciume di tutti i sistemi e di tutti i regimi, conducono intere nazioni alla carestia, alla strage e alla dissoluzione.
L 'amor bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per se medesima, di ogni popolo per se solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l'odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d'ossami la terra. L 'amore di se, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l'odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servipadroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro le razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori. L'ingordigia del troppo ha generato l'indigenza del necessario; la prurigine dei piaceri il rodìo delle torture, la smania di libertà l'aggravamento delle pastoie.
Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona del fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli uomini ch'eran rimasti intatti nella pace dell'ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire.
Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l'aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e della propria scontentezza. Gli uomini, nell'ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e, pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l'alcool, i giuochi, le armi, prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie.
Il mondo, per quattr'anni interi, s'è imbrattato di sangue per decidere chi doveva aver l'aiola più grande e il più grosso marsupio. I servitori di Mammona hanno cacciato Calibano in opposte interminabili fosse per diventare più ricchi e impoverire i nemici. Ma questa spaventevole esperienza non ha giovato a nessuno. Più poveri tutti di prima, più affamati di prima, ogni gente è tornata ai piedi di fango del Dio Negozio a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino Affare e la santa Moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati. Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto. Avvezzati allo sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i ladri. L 'ostentazione dei ricchi ha chiodato nella testa di tutti che altro non conta, sulla terra finalmente liberata dal cielo, che l'oro e quel che si può comprare e sciupare coll'oro.
Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno. Una sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, Mammona e Priapo: la Forza che ha per simbolo la Spada e per tempio la Caserma; la Ricchezza che ha per simbolo l'Oro e per tempio la Borsa; la Carne che ha per simbolo il Phallus e per tempio il Bordello. Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore dai fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi. L 'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e i suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici.
Non c'è più Monarchie e neanche Repubbliche. Ogni ordine non è che fregio e simulacro. La Plutocrazia e la Demagogia, sorelle nello spirito e nei fini, si contendono la dominazione dell'orde sediziose, malamente servite dalla Mediocrità salariata. E intanto sopra l'una e l'altra delle caste in campo, la Coprocrazia, realtà effettiva e incontestata, ha sottomesso l' Alto al Basso, la Qualità alla Quantità, lo Spirito al Fango.
Tu sai queste cose, Cristo Gesù, e vedi ch'è giunta un'altra volta la pienezza dei tempi e che questo mondo febbroso e imbestiato non merita che d'esser punito da un diluvio di fuoco o salvato dalla tua mediazione. Soltanto la tua Chiesa, la Chiesa da te fondata sulla pietra ai Pietro, la sola che meriti il nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma colle parole infallibili del tuo vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e minaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti, perfino fra quelli che vi son nati, vivon fuori dalla sua legge .
Hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e li mi ritroverai, incidi il legno ed io son qui.». Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi i più degli uomini non vogliono non sanno trovarti. Se non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi ti preghiamo, dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te, e ci sforziamo di viver con te , ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi , i disperati, i reduci dai peripli e dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera.
Più d'una volta sei apparso, dopo la Resurrezione, ai viventi a quelli che credevan d'odiarti, a quelli che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te. Tu eri la luce e parola sulla strada di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti ? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell'appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione. Quell'anime ti evocarono col potere dell'innocenza; le nostre ti chiamano dal fondo della debolezza e dell'avvilimento. Se appagasti l'estasi dei Santi perché non dovresti accorrere al pianto dei Dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbricitanti e che ognuno di noi, cercando se, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo Messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato. Il Regno di Satana è giunto ormai alla piena maturazione e la salvezza che tutti cercano brancolando non può esser che nel tuo Regno.
La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormienti accovati nella belletta puzzante del nostro inferno, è segno che il gastigo ti sembra ancor troppo certo e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra.
Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore.
Giovanni Papini , Storia di Cristo , FI , Vallecchi , 1922, pp. XII-XIII .
Postato da: giacabi a 20:52 |
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preghiere, papini
SENTENZE DI GIOVANNI PAPINI
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Testo
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NONOSTANTE I MORTI NUMEROSI DELLE GUERRE DEL PASSATO, SI SEGUITA A UCCIDERE
1 . Eppure, come se tutti quei morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere
AVIDITA' E LATROCINIO GENERALE
2 . Ogni gente è tornata ai piedi di fango del Dio Negozio
a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino Affare e la
santa Moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati.
Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più
vuol tutto. Avvezzati allo sperpero degli anni divoratori, i sobri son
diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati
al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si
pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande
industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i
malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa
parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad
osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia,
neppure i ladri.
LA NUOVA RELIGIONE REGNANTE SULLA TERRA
3 . Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno. Una
sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità
di Wotan, Mammona e Priapo: la Forza che ha per simbolo la Spada e per
tempio la Caserma; la Ricchezza che ha per simbolo l'Oro e per tempio la
Borsa; la Carne che ha per simbolo il Phallus e per tempio il Bordello.
Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore
dai fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi. L 'antica
famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla
bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le
varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori
legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e i suoi lupanari; le
meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di
slombati e di sifilitici.
SOLTANTO LA CHIESA RESISTE AL GENERALE SFASCIO DELLE CREDENZE
4 . Soltanto la tua Chiesa,
la Chiesa da te fondata sulla pietra di Pietro, la sola che meriti il
nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma colle
parole infallibili del tuo vicario, ancora emerge,
rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai
secoli, sul mare furioso e minaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col
tuo spirito sai quanti e quanti, perfino fra quelli che vi son
nati, vivon fuori dalla sua legge .
TI PREGHIAMO (O CRISTO) CHE TU RITORNI
5 . Noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera.
CERCANO TE, O CRISTO, SENZA SAPERLO
6 .
L 'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato
crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare
la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza
intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza
volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna
dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più
inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è
inesprimibilmente più doloroso del nostro.
QUESTO TEMPO HA UN GRANDE BISOGNO DEL TUO SGUARDO E PAROLA
7 . Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola
(o Cristo). Tu lo sai bene che un tuo sguardo può stravolgere e mutare
le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della
nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente
di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che
non ti conosce.
TUTTE LE GENERAZIONI SONO UGUALI A QUELLA CHE TI CROCIFISSE
8 . T'abbiamo respinto (o Cristo) perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita.
Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella
carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra
loro assetato, e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché
son ciechi nel loro cuore». Tutte le generazioni sono eguali a quella
che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano.
«Simili, - tu dicesti - a quei ragazzi che stanno per le piazze e
gridano ai compagni: "V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
abbiamo intonato lamenti e non avete pianto" ». Così abbiamo fatto noi,
per quasi sessanta generazioni.da:http://www.lettereadioealluomo.com/Pap_sentenze.htm
Postato da: giacabi a 21:41 |
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papini
CRISTO DEVE NASCERE ANCHE NEL PROPRIO CUORE
(Da: Giovanni Papini, La vera nascita, in: La felicità dell'infelice, Firenze, Vallecchi, 1956 pp. 243-44)Questi due versi da me malamente tradotti, si trovano nelPellegrino cherubico di Angelo Silesio, un protestante tedesco del seicento che quando si convertì al cattolicesimo, diventò frate minore e poeta maggiore.
Ma come potrà accadere questa nascita interiore?
La nostra anima è spesso simile a una stalla, tanto è stretta e buia e così ingombra di lerciume, che pare non ci possa essere posto per un Dio, anche se fanciullo.
Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile purché sia desiderato e aspettato.
Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima.
Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina.
Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un pò di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore e la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo del Dio è imminente.
E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore.
Non sei più solo, non sarai mai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo per festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità.
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Postato da: giacabi a 19:49 |
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papini
LA MANGIATOIA SIMBOLO
DELLA "CRISTOFAGIA"
Luca evangelista ripete due volte che Gesù appena nato, fu deposto in una mangiatoia. Quando Elena madre dell'imperatore Costatntino, volle far costruire una fastosa basilica sulla grotta della Natività, ornata di marmi e di metalli preziosi secondo il suo gusto di levantina arricchita, volle che nel posto della mangiatoia rustica fosse collocato un cofano d'oro massiccio.
(...).
La vera mangiatoia della grotta non era soltanto un segno di più della miseria e umiltà che dovevano accompagnare la nascita di Gesù ma era soprattutto un simbolo profetico del suo futuro destino. La mangiatoia è fatta per contenere il cibo e Gesù sarà il cibo di quelli che crederanno in lui. La cristofagia è uno dei doveri essenziali di tutti coloro che hanno fede nel Figlio dello Spirito Santo.
(Da: Giovanni Papini, La mangiatoia d'oro, in: La felicità dell'infelice, Firenze, Vallecchi, 1956 pp. 254-55)
da:http://www.lettereadioealluomo.com/Mangiatoia_simbolo.htm
Postato da: giacabi a 17:52 |
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gesù, papini
PROFESSIONE DI FEDE DEGLI ATEI: IL DIO DEGLI ATEI
(Da: Giovanni Papini, La Seconda Nascita, Firenze, Vallecchi, 1959, pp. 213-18)
Son
nel mio alpestre lavoratoio. Da due parti mi circondano i libri;
dall'altre due i monti. Immagine della mia vita solitaria e antica,
trascorsa tra le parole dei morti e il mormorar delle piante. La sera
s'avvia per smorzare il mondo: ogni giorno diversa, ogni volta più
bella. Il grigiore ferroso dei crepuscoli d'autunno occupa già gli
schienali a bacìo, ma su in alto che munificenza di grigi, di rosacei,
di ceruli! Se non fossero i colpi sordi dell'accetta che tanto male mi
fanno al cuore (perché domani ci sarà un'albero vivo di meno) non avrei
di che nutrire la mia vorace malinconia.
A
molti il mondo par brutto. Siamo noi che siam brutti dentro, talvolta, e
vediamo la nostra bruttezza triste riflessa nel mondo. Una volta un
essere in aspetto d'uomo, ma che somigliava piuttosto a un baco spento,
mi disse che odiava la campagna. Ch'è lo stesso che odiare l'opera
d'Iddio perché soltanto le città sono opera dell'uomo, e si vede!
Diffidate di colui che odia la solitudine: vuol dir che la sua compagnia
gli è odiosa e che non sa come riempire la sua miserevole vacuità.
Diffidate di colui che non ama la campagna: vuol dire che ha paura
d'iddio.
Ha
paura d'una testimonianza, troppo patente per essere agevolmente
ricusata. Ha paura di dover riconoscere Dio anche in se stesso, in quel
silenzio dilatato e reverente che non permette finzioni, sotterfugi,
scappatoie. Negli strepiti, nei chiassi, nei garbugli delle società
rammontate, l'ipocrisia verso noi stessi e gli altri ci concede anno per
anno proroghe e moratorie. Ma volete mentire al cielo, al deserto, alla
notte?
Prova a negare quando sei solo a faccia a faccia coll'universo.
Rinsacca le filosofie dello Spirito -poveri segni senza sostanza,
senza connessione col respiro dell'anima, colla ricchezza infinita
dell'essere- e prova
a dir forte dinanzi a un pezzo qualunque della creazione, che Dio non
è, che questa meravigliosa macchina dell'universo non ha avuto né
principio né autore e si regge senza un supremo padrone, per un miracolo
costante di coincidenze, di atomi, di monadi, di spiriti.
Risponde Dio: tu non cercheresti d'uccidermi se tu non sapessi che io
son vivo, il Dio dei viventi.
Se Dio non esistesse, tu stesso che lo vuoi negare non esisteresti. Per
negarlo devi adoprare il tuo pensiero, pronunziar parole: ma nel primo
atto del tuo pensiero, Dio è già presente e appena hai pronunziato la
prima parola, essa contiene, senza che te n'accorga, l'affermazione
d'Iddio. A Dio non si sfugge: se l'affermi, l'ami, se vuoi sopprimerlo,
lo riconosci. Qualunque cosa si dica, non si fa che parlar d'Iddio. E di
che altro si potrebbe parlare se non d'Iddio? Ogni altro discorso è
inintelligibile, perché dove non si presuppone l'essere e la legge, si
emettono suoni senza senso, e l'essere e la legge non son pensabili al
difuori della Divinità.
Ci son molti che provano Iddio coi ragionamenti e i sillogismi. Li
ascolto e li venero perché le riprove giovano agli immemori, ma per me
gli argomenti più persuasivi dell'esistenza d'Iddio son contenuti nei
discorsi degli atei.
Quelli che si chiamano atei non negano Dio: confessano di aver perduto
Dio. Hanno paura d'Iddio e si vantano d'averlo ucciso con la speranza di
uccidere il loro spavento. Non lo sentono più dentro di sé e questa
solitudine interiore li fa uscir di sé. Hanno terrore dei suoi
comandamenti, della sua potenza della sua onniveggenza. Oppure son così
onnubilati all'interno, e tanto si son ravvolti nella sensualità
torbidosa che non lo sentono più, non sanno più d'averlo, non sanno
ritrovarlo nell'intimo fondo della posatura spirituale. E allora, come
liberati da uno sguardo, da una sorveglianza, da un peso, vanno dicendo
che Dio non è. Ma Dio è anche in loro come in tutti, e qualcuno ha il
presentimento di questa silenziosa e paziente Presenza. Son quelli che
si sfogano a dire, a proclamare a dimostrare che Dio è abolito,
superato, morto. Tremano all'idea di un solo ritorno : di quel tremore è
fatto il loro ateismo.
Né Samt'Anselmo né San Tommaso hanno mai escogitato argomenti più
formidabili di quella spaventosa e spaventata negazione.
Tu non mi cercheresti se tu non mi avessi trovato, dice il Dio di
Pascal. Tu non mi uccideresti se tu non mi sentissi vivere, dice il dio
degli atei.
L'uomo a cui hanno mozzato le mani, sostiene che non vi sono carezze;
un altro a cui hanno riempito gli orecchi di fango afferma che non v'è
musica. Un terzo l'hanno confinato in una chiavica e proclama che il
sole s'è spento. Potete dar loro torto? Ma, d'altra parte, dove
ritroveremo, fuor che in queste loro negazioni, una prova più sicura e
salda che le carezze, la musica, il sole esistono per colui che ha mani,
orecchi, occhi liberi e vive sopra e non sotto la terra?
L'escogitazioni de' negatori per render ragione dell'esistenza delle
cose e di noi -sia pur fatta tutta di spirito- sono i più
validi contrafforti della fortezza tomista.
Le confusioni, le contraddizioni, il continuo ricorrere all'impensabile
o al prodigio spicciolo e continuo, sono le pietre che i nemici stessi
pongono con le loro mani per inalzare bastioni e barbacani che
serviranno a difendere la nostra vecchia città contro di loro. Gli atei,
di qualunque schiatta e scuola, sono i più gagliardi e fedeli ausiliari
dei teologi. Tutte le strade che precipitosamente scavano, assillati
dalla paura d'Iddio, menano tutte all'assurdo, alla nichilità del
pensiero, alla morte dell'anima. Chi li segue e li vede, non ha scelta
che tra il nulla e il ritorno. Molti, non abili a riconoscere il nulla e
la morte sotto i cenci frangiati delle parole, si baloccano sugli orli
degli abissi e si arrischian persino alla danza -ballo di specchi
briachi di ventosità dotte-, gli altri, quelli che hanno occhi e vedono,
che hanno orecchi e odono, tornano verso l'unico ricovero, verso la
Porta Stretta: stretta apertura che da il passo a una divina città di
viventi, di verità viventi ed eterne.
Perciò noi dobbiamo grandissima gratitudine agli atei: sono gli iloti
della Gerusalemme cristiana. E in qual modo manifestar meglio la nostra
gratitudine che nel richiamarli alla vera patria della quale, pur
disertori e fuggiaschi, son cittadini? Nel renderli consapevoli della
certezza soprannaturale ch'è involta nei loro no? Nel liberarli da uno
spavento che fa scambiar per un'ombra, a' poveri occhi stravolti, colui
che per amore l'insegue? Perché non ho di quelle parole sfolgoranti che
son di per se stesse oltrepossenti incantazioni? V'è un'altra lingua
oltre questa, troppo terrosa ancora, per formare i canti che legano, che
chiamano, che sciolgono le pietruzze dei cuori, le riluttanze degli
intellettuali? La lingua che doveva parlare Adamo nel Paradiso, intrisa
di luce e di odori, che può esprimer soltanto verità, amore, adorazione;
con parole valide per la terra e per il cielo, commiste di cielo e di
terra, che volticano le anime e danno ali, moto, respiro a chi l'ascolta
e lo imparadisano di una ferma illuminazione di speranza e concordia.
Ma Dio che già troppo mi dette, non mi ha spirato il genio col suo
respiro e le lingue dei terrestri, che risentono, come ogni altra opera
umana, dell'infiacchimento della prima caduta, non sono che
incastonature di piombo per diamanti sognati. Non ho fra le mani che
rena: la passo tra i diti al sole e mi pare che scintilli. Meno però
delle lagrime che nessuno vide.
Postato da: giacabi a 15:07 |
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ateismo, papini
Quell'atomo di adesione
***
La
salvezza, come tutto ciò che innalza la natura umana, non può essere
che il frutto di una collaborazione. Collaborazione ineguale, dove tu, o
Signore, hai largito quasi tutto e a noi chiedi quasi nulla. Ma senza quell’atomo di adesione dell’uomo, perfino la tua onnipotenza è impotente a salvarci. ***
(Giovanni Papini)
Postato da: giacabi a 20:40 |
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papini
PREGHIERA A CRISTO
***
Tu,
Cristo, hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi
la pietra e lì mi troverai, incidi il legno ed io son qui» (agraphon).
Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi il più degli uomini non vogliono, non sanno trovarti. Se
non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro
cuori, seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi,
perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi
ti preghiamo dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati
fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te e ci sforziamo di
vivere con te, ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi, i
disperati, i reduci dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni
ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che
seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la
luce della vita vera.
Più d'una volta sei apparso, dopo la Risurrezione, ai viventi. A quelli che credevano d'odiarti, a quelli che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te. Tu eri luce e parola sulla strada di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell'appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione. Quell'anime ti evocarono col potere della innocenza; le nostre ti chiamano dal fondo della debolezza e dell'avvilimento. Se appagasti l'estasi dei Santi perché non dovresti accorrere al pianto dei Dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbri citanti e che ognuno di noi, cercando sé, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo Messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato. Ma noi, gli Ultimi, ti aspettiamo, ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore.
Giovanni Papini
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Postato da: giacabi a 19:36 |
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gesù, papini
Preghiera a Cristo
***
Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti raccolse, fanciullo, tra i fanciulli e, giustiziabile, tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda. Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione. Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro grande bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai quanto abbisognamo d'una tua intervenzione, quant'è necessario un tuo ritorno. Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguita da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, una risplendenza nella notte - un'ora sola della tua eternità, una parola sola: per tutto il tuo silenzio. Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c'è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno, assai più di quelli che sanno. L'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l’acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro. Noi non gridiamo verso di te per la vanità di poterti vedere come ti videro Galilei e Giudei, né per la gioia di guardare una volta i tuoi occhi, né per l'orgoglio matto di vincerti colla nostra supplicazione. Non chiediamo, noi, la grande discesa nella gloria dei cieli, né il fulgore della Trasfigurazione, né gli squilli degli angeli e tutta la sublime liturgia dell'ultima venuta. C'è tanta umiltà, tu lo sai, nella nostra irrompente tracotanza! Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d'operaio povero; vogliamo veder quegli occhi che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo udire la tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini da quanto è forte. Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola. Tu lo sai bene che un tuo sguardo può travolgere e mutare le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce. Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare: ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento, un accrescimento incomparabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati! Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male anche dopo la tua morte, e più dopo la morte che in vita, gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri. l'abbiamo fatto. sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser inchiodato; e milioni di volte col pensiero e la volontà ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi insobilliti t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi, e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustate le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio. Ma tu hai perdonato tutto e sempre. Tu sai, tu che sei stato in mezzo a noi, qual è il fondo della nostra natura sciagurata. Non siamo che rappezzi e bastardume, foglie instabili e passanti, carnefici di noi medesimi, aborti malvenuti che si sdraiano nel male a guisa d'un lattante rinvoltato nel suo piscio, d'un briaco stramazzato nel suo vomito, d'un accoltellato disteso nel suo sangue, d'un ulceroso giacente nel suo marciume. T'abbiamo respinto perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita. Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore ». Tutte le generazioni sono eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano. « Simili, - tu dicesti -. a quei ragazzi che stanno per le piazze e gridano ai compagni: V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto ». Così abbiamo fatto noi, per quasi sessanta generazioni. Ma ora è venuto il tempo che gli uomini son più ebbri d'allora ma più sitibondi. In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d'una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo, l'abbiettezza è stata così abbietta e l'arsura così ardente. La terra è un inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono attu1tati in una pegola di sterco temperato nel pianto, dalla quale si levano, talvolta, frenetici e sfigurati, per .buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi. Da poco sono usciti da uno di questi feroci lavacri e son tornati, dopo l'immensa decimazione, nel comun brago escrementizio. Le pestilenze hanno seguito le guerre; i terremoti le pestilenze; immani armenti di cadaveri infraciditi, quanti ne bastava una volta per popolare un regno, son distesi sotto il lieve schermo della terra bacosa, occupando, se fossero insieme, lo spazio di molte provincie. Eppure, come se tutti quei. morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere. Le nazioni opulente condannano alla fame le nazioni povere; i ribelli ammazzano i loro padroni di ieri; i padroni fanno ammazzare i rivoltosi dai loro mercenari; nuovi dittatori, profittando dello sfasciume di tutti i sistemi e di tutti i regimi, conducono intere nazioni alla carestia, alla strage e alla dissoluzione. L'amore bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per sé medesima, di ogni popolo per sé solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l'odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d'ossami la terra. L'amore di sé, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l'odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servi-padroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro le razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori. L'ingordigia del troppo ha generato l'indigenza del necessario; la prurigine dei piaceri il rodio delle torture; la smania di libertà l'aggravamento delle pastoie. Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona del fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli uomini ch'eran rimasti intatti nella pace dell'ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire. Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l'aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e della propria scontentezza. Gli uomini, nell'ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l'alcool, i giuochi, le armi, prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie. Il mondo, per quattr'anni interi, s'è imbrattato di sangue per decidere chi doveva aver l'aiola più grande e il più grosso marsupio. I servitori di Mammona hanno cacciato Calibano in opposte interminabili fosse per diventare più ricchi e impoverire i nemici. Ma questa spaventevole esperienza non ha giovato a nessuno. Più poveri tutti di prima, più affamati di prima, ogni gente è tornata ai piedi di fango del dio negozio a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino affare e la santa moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati. Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto. Avvezzati allo, sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i ladri. L'ostentazione dei ricchi ha chiovato nella testa di tutti che altro non conta, sulla terra finalmente liberata dal cielo, che l'oro e quel che si può comprare e sciupare coll'oro. Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno. Una sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, Mammona e Priapo; la Forza che ha per simbolo la spada e per tempio la caserma: la Ricchezza che ha per simbolo l'oro e per tempio la borsa; la Carne che ha per simbolo il phallus e per tempio il bordello. Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore nei fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi. L'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici. Non c'è più monarchie e neanche repubbliche. Ogni ordine non è che fregio e simulacro. La plutocrazia e la demagogia, sorelle nello spirito e nei fini, si contendono la dominazione dell'orde sediziose, malamente servite dalla mediocrità salariata. E intanto sopra l' una e l'altra delle caste in campo, la coprocrazia, realtà effettiva e incontestata, ha sottomesso l'alto al basso, qualità alla quantità, lo spirito al fango. Tu sai queste cose, Cristo Gesù, e vedi ch'è giunta un'altra volta la pienezza dei tempi e che questo mondi febbroso e imbestiato non merita che d'essere punito da un diluvio di fuoco o salvato dalla tua mediazione: Soltanto la tua Chiesa, la Chiesa da te fondata sulla Pietra di Pietro, la sola che meriti il nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma con parole ineffabili del tuo Vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e limaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti perfino tra quelli che vi son nati, vivon fuori della tua legge. Hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e lì mi troverai, incidi il legno ed io son qui ». Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi i più degli uomini non vogliono, non sanno trovarti. Se non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori, seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi ti preghiamo, dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te, e ci sforziamo di viver con te, ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi, i disperati, i reduci dai peripli e dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera. Più d'una volta sei apparso, dopo la Resurrezione, ai viventi. A quelli che credevan d'odiarti, a quelli , che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te. Tu eri luce e parola sulla strada, di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell’appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione Quell’anime ti invocarono col potere dell’innocenza; le nostre ti chiamano dal. fondo della debolezza e dell'avvilimento. Se appagasti l'estasi dei santi perché non dovresti accorrere al pianto dei dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbricitanti e che ognuno di noi, cercando sé, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato. Il Regno di Satana è giunto ormai alla piena maturazione e la salvezza che tutti cercano brancolando non può esser che nel tuo Regno. La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormenti accovati nella belletta puzzante del nostro inferno, è segno che il castigo ti sembra ancor troppo corto e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra. Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore. GIOVANNI PAPINI |
Postato da: giacabi a 16:23 |
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preghiere, gesù, papini
La Chiesa
***
"Anche se Roma fosse un mucchio di sassi e in mezzo alle rovine vivesse un papa e dodici cristiani con lui, lì sarebbe la Chiesa, lì la verità, lì Cristo. “
G. Papini
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Postato da: giacabi a 10:45 |
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chiesa, papini
Cristo può nascere in noi
***
"Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile purché sia desiderato e aspettato. Il
giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia
dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno
che quella nascita è prossima. Il giorno nel quale non sentirai una
segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui,
consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai il
bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di
alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto
perché l'arrivo di Dio è imminente. E se un giorno sarai percosso e
perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e
dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e
dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a
bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa
perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è
già nato nel tuo cuore. Non
sei più solo, non sarai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà
come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a
festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina
eternità"
Giovanni Papini Scriveva così il 25 dicembre 1955, poco più di sei mesi prima di morire
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Postato da: giacabi a 09:35 |
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gesù, papini
Noi abbiamo bisogno d'esser salvati!
***
"La grande esperienza volge alla fine. Gli
uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la
morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se
non vieni a destare i dormenti accovati nella melma puzzante del nostro
inferno, è segno che il castigo ti sembra ancor troppo corto e leggero
per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra. Ma
noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto
della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo
torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti
tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del
tuo implacabile amore".
Giovanni Papini |
Postato da: giacabi a 09:17 |
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gesù, papini
Noi abbiamo bisogno d'esser salvati!
***
"Sei
venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per
salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua
opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E
noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che
sono un condensamento e un accrescimento insopportabile d'orrore e
dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati! Se
tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un
Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto
alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti
di male, anche dopo la tua morte, e più dopo la tua morte che in vita,
gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme
agli altri, l'abbiamo fatto.
Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e non per trenta
denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di
Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e
milioni di volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e
un'eterna canaia di fecciosi esaltati t'ha ricoperto il viso di saliva e
di schiaffi; e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme
degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustato le
spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o
di vermiglio, e usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben
pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte
agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli
bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà
dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti,
perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso
all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti
dall'odio".
Giovanni Papini
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Postato da: giacabi a 09:08 |
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gesù, papini
Cristo, invece, è sempre vivo
***
Cesare
ha fatto, ai suoi tempi, più rumore di Gesù; e Platone insegnava più
scienza di Cristo. Ancora oggi si ragiona del primo e del secondo; ma chi si accalora per Cesare o contro Cesare? E dove sono oggi i platonisti e gli antiplatonisti?
Cristo, invece, è sempre vivo in noi. C'è
ancora chi lo ama e chi lo odia. C'è una passione per la passione di
Cristo e una per la sua distruzione. E l'accanirsi di tanti contro di
Lui dice che non è ancora morto. –
Giovanni Papini in Storia di Cristo
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Postato da: giacabi a 20:07 |
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gesù, papini
L’uomo ha bisogno di Verità
***
Giovanni Papini
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Postato da: giacabi a 20:41 |
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verità, papini
Perchè rifiutare la mano di un padre?
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« Le nostre filosofie son come l'erba de' tetti, che secca prima di aver fiorito - sentenze di cenere e ragioni di vento- siamo soli sull'orlo dell'infinito; perchè rifiuteremo la mano di un padre? Siamo sbattuti, noi effimeri, dall'alito dell'eternità: perchè rifiuteremo un sostegno, sia pure a patto d'esservi attaccati coi chiodi d'una croce di campagna. ».
Giovanni Papini, Il cielo sopra i dormienti
Grazie a: dal dentro delle cose
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Postato da: giacabi a 06:19 |
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papini
L'amicizia, scambio di doni
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L'amicizia: un continuo scambio
e contraccambio di doni spirituali e materiali. Quando si tratta di persone generose, colui che dà prova una gioia più grande di colui che riceve
. Giovanni Papini
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Postato da: giacabi a 21:07 |
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amicizia, papini
Il senso religioso
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Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Non domando abbracci alle donne o soldi ai banchieri o elogi ai "geniali". Di codeste cose fa a meno o le guadagno o rubo da me.
Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell'anima mia, un po' di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità!...
Ho bisogno di un po' di certezza -ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so.
G. PAPINI, Un uomo finito,
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Postato da: giacabi a 17:52 |
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papini, senso religioso
La nascita interiore
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Ma come potrà accadere questa nascita interiore?
Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima.
Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai
il bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di
alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente. E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore. Non sei più solo, non sarai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità.
Giovanni Papini.
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Postato da: giacabi a 14:29 |
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croce, gesù, papini
La positività scaturita da Cristo
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Mi stupiscono, talvolta, coloro che si stupiscono della mia calma nello stato miserando al quale mi ha ridotto la malattia. Ho
perduto l’uso delle gambe, delle braccia, delle mani e sono divenuto
quasi cieco e quasi muto. Non posso dunque camminare né stringere la
mano di un amico né scrivere neppure il mio nome; non posso più leggere e
mi riesce quasi impossibile conversare e dettare. Sono
perdite irrimediabili e rinunce tremende soprattutto per uno che aveva
la continua smania di camminare a passi rapidi, di leggere a tutte le
ore e di scrivere tutto da sé, lettere, appunti, pensieri, articoli e
libri. Ma non bisogna tenere in piccolo conto quello che mi è rimasto ed è molto ed è il meglio.
È bensì vero che le cose e le persone mi appariscono come forme
indeterminate e appannate, quasi fantasmi attraverso un velo di nebbia
cinerea, ma è anche vero
che non sono condannato alla tenebra totale; riesco ancora a godere una
festosa invasione di sole e la sfera di luce che s’irraggia da una
lampada. Posso inoltre intravedere, quando vengono molto avvicinate
all’occhio destro, le macchie colorate dei fiori e le fattezze di un
volto. Eppure questi barlumi ultimi della visione abolita
sembrano miracoli gaudiosi a un uomo che da più di vent’anni vive nel
terrore del buio perpetuo. E
tutto questo non è nulla a paragone dei doni ancor più divini che Dio
mi ha lasciato. Ho salvato, sia pure a prezzo di quotidiane guerre, la
fede, l’intelligenza, la memoria, l’immaginazione, la fantasia, la
passione di meditare e di ragionare e quella luce interiore che si
chiama intuizione o ispirazione. Ho
salvato anche l’affetto dei familiari, l’amicizia degli amici, la
facoltà di amare anche quelli che non conosco di persona e la felicità
di essere amato da quelli che mi conoscono soltanto attraverso le opere.
E ancora posso comunicare agli altri, sia pure con martoriante
lentezza, i miei pensieri e i miei sentimenti. Se
io potessi muovermi, parlare, vedere e scrivere, ma avessi la mente
confusa e ottusa, l’intelligenza torpida e sterile, la memoria lacunosa e
tarda, la fantasia svanita e stenta, il cuore arido e indifferente, la
mia sventura sarebbe infinitamente più terribile. Sarei un’anima morta
dentro un corpo inutilmente vivo. A che mi varrebbe possedere una
favella intelligibile se non avessi nulla da dire? Ho
sempre sostenuto la superiorità dello spirito sulla materia: sarei un
truffatore e un vigliacco se ora, arrivato al punto della riprova,
avessi cambiato opinione sotto il peso dei patiri. Ma io ho sempre
preferito il martirio all’imbecillità.
Giovanni Papini
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Postato da: giacabi a 09:07 |
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croce, cristianesimo, papini
Cristo non ci fa invecchiare
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E giacché sono in vena di confessioni voglio andare aldilà del verosimile e spingermi sino all'incredibile. I segni essenziali della giovinezza sono tre: la volontà di amare, la curiosità intellettuale e lo spirito aggressivo. Nonostante
la mia età, a dispetto dei miei mali, io sento fortissimo il bisogno di
amare e di essere amato, ho il desiderio insaziabile di imparare cose
nuove in ogni dominio del sapere e dell'arte e non rifuggo dalla
polemica e dall'assalto quando si tratta della difesa dei supremi valori.
Per quanto possa parere ridevole delirio ho la temerità di affermare
che mi sento anche oggi sollevato, nell'immenso mare della vita,
dall'alta marea della gioventù.
Papini
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Postato da: giacabi a 11:43 |
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cristianesimo, papini
La Chiesa Cattolica
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"
Finita che fu (la Storia di Cristo) mi si presentò l'esigenza di
appartenere alla società fondata da Cristo. E tra le Chiese innumerevoli
che si dicono sue fedeli interpreti scelsi, non senza contrasti interni
e qualche ripugnanza ora superata, quella cattolica, sia perché essa rappresenta veramente il tronco maestro dell'albero piantato da Gesù ma anche perché, a dispetto delle debolezze e degli errori umani di tanti suoi figli, essa è quella, a parer mio, che ha
offerto all'uomo le condizioni più perfette per una integrale
sublimazione di tutto l'esser suo e perché in essa soltanto mi parve che
fiorisse abbondante e splendente il tipo d'eroe che ritengo il più
alto: il Santo "
G. Papini (La pietra infernale, p. 152).
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Postato da: giacabi a 06:54 |
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chiesa, papini
L’ESSENZA DELL’UOMO:
RAPPORTO CON L’INFINITO
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«Il seme è libero, ma soltanto di trasformarsi in albero [il seme di pioppo è libero di trasformarsi in pioppo. Ognuno di noi è libero ma solo di diventare ciò che nella sua originale essenza era già. La nostra originale essenza è la sete di felicità; l'uomo è libero di diventare ciò che nella sua originale essenza era già: sete di felicità]. Gli ostacoli alla naturale crescita si chiamano schiavitù»…. «L'originale essenza dell'uomo è rapporto con l'Infinito».
Papini |
Postato da: giacabi a 12:45 |
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libertà, papini, senso religioso
Giovanni Papini
Il riconoscimento della sua impotenza
“Tutto
è finito, tutto è perduto, tutto è chiuso. Non c'è più nulla da fare.
Consolarsi? Neppure. Piangere? Ma per piangere ci vuole ancora
dell'energia, ci vuole un po' di speranza! Io non son più nulla, non
conto più, non voglio niente: non mi muovo. Sono una cosa e non un uomo.
Toccatemi: sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è
sotterrato un uomo che non poté diventare Dio".
La domanda di aiuto, di Significato
"Io
non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Ma chiedo e domando,
umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell'anima, un
po' di certezza: una sola, una piccola fede sicura, un
atomo di verità. Ho bisogno di un po' di certezza, ho bisogno di
qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non
chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è
una straordinaria cosa: lo so. Ma la voglio in tutti i modi, a tutti i
costi mi deve essere data, se pur c'è qualcuno al mondo cui preme la mia
vita. Senza questa verità non riesco più a vivere e se nessuno ha pietà
di me, se nessuno può rispondermi, cercherò nella morte la beatitudine
della piena luce o la quiete dell'eterno nulla".
La risposta
"Gesù, sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi.
E sarai con noi per sempre. Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra
ch'è tua e nostra, su questa terra che ti accolse fanciullo tra i
fanciulli e giustiziabile tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei
viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra
degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse
sotto l'aspetto d'un Povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo
guarda. Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare
un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione.
Tu
vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il
nostro grande bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è
improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra
angustia, la nostra indigenza, la nostra disperazione; tu sai quanto
abbisogniamo d'un tuo intervento, quant'è necessario un tuo ritorno. Sia
pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguìta da
un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un
ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire,
un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella
notte, un aprirsi del cielo, un risplendere nella notte, un'ora sola
della tua eternità, una parola sola per tutto il tuo silenzio.
Abbiamo
bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami,
puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi
sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande,
immisurabilmente grande, il bisogno che c'è di te, in questo mondo, in
questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono,
nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi
bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di
tutte, quella dell'anima, il bene che salva.
Tutti
hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo
sanno assai più di quelli che lo sanno. L'affamato s'immagina di
cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l'acqua e ha
sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è
l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza
accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei
pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità
degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace
dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza
sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso
del nostro”
Giovanni Papini
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Postato da: giacabi a 14:49 |
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papini
Preghiera di Cristo
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Abbiamo bisogno di Te, di Te solo,
e di nessun altro.
Tu solamente, che ci ami, puoi sentire per noi tutti
che soffriamo la pietà che ciascuno di noi sente per
se stesso.
Tu solo puoi sentire quanto è grande,
immisurabilmente grande,
il bisogno che c'è di Te, in questo mondo,
in questa ora del mondo.
Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono,
nessuno di quelli che dormono nella mota
della gloria, può dare, a noi bisognosi,
riversi nell'atroce penuria,
nella miseria più tremenda di tutte,
quella dell'anima, il bene che salva.
Tutti hanno bisogno di Te,
anche quelli che non lo sanno,
e quelli che non lo sanno,
assai più di quelli che sanno.
L'affamato s'immagina di cercare il pane
ed ha fame di Te.
L'assetato crede di voler l'acqua
ed ha sete di Te.
Il malato s'illude di agognare la salute
e il suo male è l'assenza di Te.
Chi cerca la bellezza del mondo cerca,
senza accorgersene,
Te che sei la bellezza intiera e perfetta;
chi persegue nei pensieri la verità,
desidera, senza volere,
Te che sei l'unica verità, degna di essere saputa;
chi s'affanna dietro la pace cerca Te,
sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti.
Essi ti chiamano senza sapere che Ti chiamano,
il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro
. . .
Giovanni Papini
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