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domenica 19 febbraio 2012

Pascal


I giovani e la noia

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“Chi non vede la vanità del mondo è ben vano anche lui. Ma chi non la vede, tranne i giovani che sono sempre nel chiasso, nel divertimento e nel pensiero dell’avvenire? Eppure, togliete loro la distrazione e li vedrete morire di noia; essi sentono allora il loro niente senza conoscerlo: perché è davvero essere infelici il trovarsi in una tristezza insopportabile non appena si è ridotti a pensare a sé, a non avere alcun motivo di distrazione.”
Blaise Pascal da: Pensieri

***


“Anche quando, e proprio quando, non siamo particolarmente occupati dalle cose e da noi stessi, incombe su di noi questo “tutto”, per esempio nella noia autentica. Essa è ancora lontana quando ad annoiarci è solo questo libro o quello spettacolo, quell’occupazione o quest’ozio, ma affiora quando “uno si annoia”. La noia profonda, che va e viene nelle profondità dell’esserci come una nebbia silenziosa, accomuna tutte le cose, tutti gli uomini, e con loro noi stessi, in una strana indifferenza.”

M.Heidegger, Che cos’è metafisica? Tr. it. di Franco Volpi, Adelphi 2001



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noia, pascal, heidegger


La sventura di un uomo senza Dio  ***
Nulla denuncia maggiormente una strema fiacchezza di spirito quanto il non riconoscere qual è la sventura di un uomo senza Dio; nulla denota di più una cattiva disposizione del cuore quanto il non desiderare la verità delle promesse eterne; nulla è più vile quanto il fare lo spavaldo contro Dio. Lascino dunque tali empietà a quelli che sono tanto mal nati da esserne realmente capaci; siano almeno persone oneste se non possono essere cristiani, e riconoscano in fine che vi sono due categorie di persone che si possono dire ragionevoli: o quelli che servono Dio con tutto il cuore perché lo conoscono, o quelli che lo cercano con tutto il cuore perché non lo conoscono.
Ma quanto a quelli che vivono senza conoscerlo e senza cercarlo, essi si giudicano da sé tanto poco degni di prendersi cura di se stessi, che non possono essere degni delle cure degli altri; e occorre avere tutta la carità della religione che essi disprezzano per non disprezzarli fino ad abbandonarli alla loro insensatezza. Ma poiché questa religione ci obbliga a considerarli sempre, fino a che vivono, come capaci della grazia che può illuminarli, e di credere che possono essere fra breve più colmi di fede di quanto non lo siamo noi, e che potremo, al contrario, cadere nell’accecamento in cui loro si trovano, occorre fare per loro quello che noi vorremmo si facesse per noi se fossimo al loro posto, e invitarli ad aver pietà di loro stessi, e a fare almeno qualche passo per tentare di trovare qualche lume.
Pascal Da Pensieri, opuscoli, lettere, a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano

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ateismo, pascal

domenica, 04 gennaio 2009

Gesù di Nazareth
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La divinità dei cristiani non consiste solo in un Dio semplice autore delle verità geometriche e dell'ordine degli elementi: questa è una concezione pagana. Essa non consiste in un Dio che esercita la sua Provvidenza sulla vita e sui beni degli uomini per concedere un felice seguito d'anni: questa è una concezione ebraica.
Ma il Dio di Abramo e di Giacobbe, il Dio dei cristiani è un Dio di amore e di consolazione: è un Dio che riempie l'anima e il cuore di coloro che lo possiedono. È un Dio che fa sentire interiormente la loro miseria e la sua infinita misericordia; che li raggiunge in fondo alla loro anima; che li riempie di umiltà, di fede, di fiducia e di amore; che li rende incapaci di un altro scopo oltre se stesso.
Il Dio dei cristiani è un Dio che fa sentire all'anima che egli è il suo unico bene; che il suo riposo è in lui, che proverà gioia solo ad amarlo; e che, al tempo stesso, le fa aborrire gli ostacoli che la trattengono e le impediscono di amarlo con tutte le sue forze.
L'amor proprio e la concupiscenza che la fermano gli sono insopportabili, e Dio le fa sentire che essa ha questo fondo di amor proprio e che lui solo può guarirla.

Blaise Pascal

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pascal, gesù

venerdì, 19 dicembre 2008

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O uomini, è inutile che cerchiate in voi stessi il rimedio per le vostre miserie. Tutto il vostro lume può soltanto arrivare a capire che in voi non troverete la soluzione.
B. Pascal

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pascal

sabato, 26 luglio 2008

Le due categorie di uomini
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Non ci sono che due categorie di uomini: i giusti, che si credono peccatori, e i peccatori, che si credono giusti.”
Blaise Pascal


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pascal

lunedì, 30 giugno 2008

La noia  
             ***              
Nulla è così insopportabile all'uomo come essere in un pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazioni. Egli sente allora la sua nullità, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. E subito sorgono dal fondo della sua anima il tedio, l'umor nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione.
 Pascal da: I pensieri

Postato da: giacabi a 19:29 | link | commenti (3)
noia, pascal

sabato, 28 giugno 2008

Gesù Cristo
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113. Non solo noi non conosciamo Dio se non per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non per mezzo di Gesù Cristo; non conosciamo la vita, la morte se non per mezzo di Gesù Cristo. Senza Gesù Cristo, non sappiamo che cosa sia la nostra vita, la nostra morte, Dio, noi stessi. Pertanto, senza la Scrittura, che ha come unico oggetto Gesù Cristo, non conosciamo nulla e vediamo solamente oscurità e confusione nella natura di Dio come nella nostra.
 
114. Coloro che van fuori strada si perdono perché non vedono l’una o l’altra di queste due verità. Si può bensì conoscere Dio senza la propria miseria, e la propria miseria senza conoscere Dio; ma non si può conoscere Gesù Cristo senza conoscere a un tempo sia Dio sia la propria miseria.
Ecco perché non prenderò qui a dimostrare con prove naturali l’esistenza di Dio o la Trinità o l’immortalità dell’anima, né altre cose della stessa specie: non solo perché non mi sento abbastanza forte da trovare nella natura di che convincere atei induriti, ma anche perché senza Gesù Cristo tale conoscenza è inutile e sterile. Quand’uno fosse convinto che le proporzioni dei numeri sono verità immateriali, eterne, e dipendenti da una verità prima in cui sussistono, e che viene chiamata Dio, non mi parrebbe per questo molto progredito nel cammino della salute.
Il Dio dei Cristiani non è semplicemente un Dio autore delle verità matematiche e dell’ordine cosmico: come quello dei pagani e degli epicurei. Né è solamente un Dio il quale eserciti la sua provvidenza sulla vita e i beni degli uomini, per largire ai suoi fedeli una felice serie d’anni: conforme alla concezione degli Ebrei. Il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei cristiani, è un Dio di amore e di consolazione: un Dio che riempie l’anima e il cuore di coloro che possiede; un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la propria misericordia infinita; che si unisce al più profondo della loro anima; che la colma di umiltà, di gioia, di fiducia, di amore, e che li rende incapaci di altro fine che non sia lui medesimo.
Tutti coloro che cercano Dio fuori di Gesù Cristo, e che si arrestano alla natura, o non trovano nessuna luce che li soddisfi o riescono a trovare un mezzo di conoscere e servire Dio senza mediatore; e così cadono o nell’ateismo o nel deismo: due cose che la religione cristiana aborre quasi in egual misura.
Senza Gesù Cristo, il mondo non sussisterebbe: sarebbe di necessità distrutto o sarebbe simile a un inferno.
 
689. Tutto quel che non mira alla carità è figura.
L’unico oggetto della Scrittura è la carità.
 
206. Come mi sono odiose queste sciocchezze: di non credere nell’Eucarestia, ecc.? Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà c’è in tutto questo?
Pascal : I Pensieri

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pascal, gesù

mercoledì, 25 giugno 2008

Il cuore semplice e sincero
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"C’è nella Chiesa così tanta luce e ci sono così tante ombre che è possibile credere per chi lo voglia con cuore semplice e sincero ed è possibile negare per chi preferisca i suoi pregiudizi."
Le prove della nostra religione non sono tali da potersi dire assolutamente convincenti. Ma sono tali che non si può affermare che il crederci significa mancare di ragione. C’è in essi evidenza e oscurità per illuminare gli uni e confondere gli altri. Ma l’evidenza è tale che sorpassa, o almeno uguaglia, l’evidenza del contrario; cosicché non è la ragione a determinarci a non seguirla, ma soltanto la concupiscenza e la malizia del cuore. In questo modo c’è in essa abbastanza per convincere: affinché sia chiaro che in quelli che la seguono è la grazia e non la ragione a spingerli a seguirla, mentre in quelli che la fuggono è la concupiscenza e non la ragione a farla fuggire.(fr. 564
Blaise Pascal da: i pensieri

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ragione, pascal

venerdì, 20 giugno 2008

L’uomo ha due vite
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“L’uomo ha due vite: una è la vita vera, l’altra quella immaginaria che vive nell’opinione, sua o della gente. Noi lavoriamo senza posa ad abbellire e conservare il nostro essere immaginario e trascuriamo quello vero. Se possediamo qualche virtù o merito, ci diamo premura di farlo sapere, in un modo o in un altro, per arricchire di tale virtù o merito il nostro essere immaginario, disposti perfino a farne a meno noi, per aggiungere qualcosa a lui, fino a consentire, talvolta, a essere vigliacchi, pur di sembrare valorosi e a dare anche la vita, purché la gente ne parli.”
B. Pascal  I pensieri


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persona, pascal

martedì, 03 giugno 2008

Il Dio dei cristiani, è un Dio di amore e di consolazione
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Il Dio dei Cristiani non è semplicemente un Dio autore delle verità matematiche e dell’ordine cosmico: come quello dei pagani e degli epicurei. Né è solamente un Dio il quale eserciti la sua provvidenza sulla vita e i beni degli uomini, per largire ai suoi fedeli una felice serie d’anni: conforme alla concezione degli Ebrei. Il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei cristiani, è un Dio di amore e di consolazione: un Dio che riempie l’anima e il cuore di coloro che possiede; un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la propria misericordia infinita; che si unisce al più profondo della loro anima; che la colma di umiltà, di gioia, di fiducia, di amore, e che li rende incapaci di altro fine che non sia lui medesimo.
Tutti coloro che cercano Dio fuori di Gesù Cristo, e che si arrestano alla natura, o non trovano nessuna luce che li soddisfi o riescono a trovare un mezzo di conoscere e servire Dio senza mediatore; e così cadono o nell’ateismo o nel deismo: due cose che la religione cristiana aborre quasi in egual misura.
Senza Gesù Cristo, il mondo non sussisterebbe: sarebbe di necessità distrutto o sarebbe simile a un inferno.
 
Blaise Pascal I pensieri

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dio, pascal


Il memoriale, testo che Pascal portava sempre con sé cucito nell’interno della giacca. Gli fu trovato addosso il giorno della sua morte.   
***

L’anno di grazia 1654
Lunedì 23 novembre, giorno di S.Clemente, papa e martire, e di altri del martirologio.
Vigilia di S.Crisogono martire e di altri.
Dalle ore dieci e mezzo circa di sera fino a mezzanotte e trenta circa.
 

Fuoco

 
Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe”
non dei filosofi e dei dotti.
Certezza. Certezza. Sentimento. Gioia. Pace.
Dio di Gesù Cristo
Deum meum et Deum vestrum.
“Il tuo Dio sarà il mio Dio”.
Oblio del mondo e di tutto fuorché di Dio.
Egli non si trova che per le vie insegnate dal Vangelo.
Grandezza dell’anima umana.
“Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto”.
Gioia, gioia, gioia, lacrime di gioia.
Io me n’ero separato.
Dereliquerunt me fontem aquae vivae
“Mio Dio, mi abbandonerai?”.
Che io non ne sia separato in eterno.
“La vita eterna è questa: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”:
Gesù Cristo!
Gesù Cristo!
Io me n’ero separato. Io l’ho fuggito, rinnegato, crocifisso.
Che non ne sia mai più separato.
Egli non si conserva che per le vie insegnate dal Vangelo.
Rinuncia totale e dolce.
Sottomissione totale a Gesù Cristo e al mio direttore.

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pascal

giovedì, 07 febbraio 2008


Divertimento
***
 
Quando mi son messo qualche volta a considerare il vario agitarsi degli uomini e i pericoli e le pene a cui si espongono, nella Corte, in guerra, donde nascono tante liti, passioni, imprese audaci e spesso malvagie, eccetera, ho scoperto che tutta l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere starsene in pace, in una camera.

Un uomo che possiede a sufficienza per ben vivere, se sapesse starsene a casa sua con piacere, non la lascerebbe per andare per mare o andare ad assediare una piazzaforte.

Non si comprerebbe una carica nell'esercito a così caro prezzo se non si trovasse insopportabile non muoversi dalla città; e non si cercherebbero le conversazioni e lo svago dei giochi se si riuscisse a restare a casa propria con piacere.

Ma, quando ho considerato la cosa più a fondo e, trovata la causa di tutte le nostre infelicità, ho voluto scoprirne la ragione, ho trovato che ce n'è una molto reale: l'infelicità naturale della nostra condizione debole e mortale, condizione così miseranda che nulla ci può consolare, quando ci pensiamo seriamente.

Qualunque condizione ci si immagini, se si riuniscono insieme tutti i beni che potrebbero appartenerci, quella di re è la condizione più bella del mondo; e tuttavia si immagini un re che già ha raggiunto tutte le soddisfazioni che possono appagarlo; se non ha distrazioni e se gli si lascia la possibilità di meditare e riflettere su quello che egli è, tale effimera felicità non varrà a sorreggerlo; necessariamente finirà col fare oggetto delle sue considerazioni i pericoli che lo minacciano, le rivolte che potrebbero scoppiare e, infine, la morte e le malattie che sono inevitabili; di modo che, se è privo di ciò che si dice divertimento, eccolo infelice e più infelice dell'ultimo dei suoi sudditi, che giochi e che si diverta.

Da ciò deriva che il gioco e la conversazione con le donne, la guerra, gli alti uffici siano così ricercati.

Non è che in queste situazioni si raggiunga una effettiva felicità né che si immagini che la vera beatitudine stia nel denaro, che si può guadagnare al gioco, o nella lepre che si insegue: cose che neppure si vorrebbero se ci fossero offerte.

Non è questo uso molle e piacevole, e che ci lascerebbe spazio per pensare alla nostra infelice condizione, quel che si cerca, né i pericoli della guerra, né i fastidi degli uffici; ma il trambusto che ci distoglie dal pensarvi, e ci diverte.

Da ciò deriva che agli uomini piacciono tanto il fracasso e il trambusto; da ciò deriva che il carcere è un supplizio così orribile; da ciò deriva che il piacere della solitudine sia una cosa incomprensibile.

E infine la ragione più grande di felicità nella condizione dei re sta nel fatto che la gente s'industria senza posa a divertirli e a procurar loro ogni sorta di piaceri.

Il re è attorniato da persone che non pensano che a divertirlo e a impedirgli di pensare a se stesso. Perché diventa infelice, per quanto sia re, se vi pensa. Ecco tutto ciò che gli uomini hanno saputo inventare per diventare felici.

E coloro che su questo argomento si impancano a filosofi e ritengono che la gente sia ben poco ragionevole a passare tutto il giorno a rincorrere una lepre che non vorrebbero, se comprata, non conoscono affatto la nostra natura.

Quella lepre non ci distoglierebbe dal pensiero della morte e delle nostre miserie, ma è la caccia che ce ne distrae.

E così, quando si osserva loro che ciò che cercano con tanto ardore non sarebbe in grado di soddisfarli, se essi rispondessero, come dovrebbero fare se ci pensassero bene, che cercano in ciò solo un'occupazione violenta e tumultuosa che li distolga dal pensare a se stessi, e che è per questo che si prefiggono un oggetto attraente che li alletti e li attiri con ardore, lascerebbero i loro oppositori senza possibilità di replicare.

Ma non rispondono così, perché non conoscono se stessi. Non sanno che è soltanto la caccia, e non la preda, quello che cercano. Essi s'immaginano che, ottenuta la tale carica, in seguito si riposerebbero con piacere; e non avvertono la natura insaziabile della loro cupidigia. Credono di cercare sinceramente il riposo e in realtà non cercano che l'agitazione.

C'è in loro un istinto segreto che li porta a cercare fuori di sé il divertimento e l'occupazione, che deriva dal risentire le loro continue miserie; e c'è in loro un altro istinto segreto, che è un residuo della grandezza della nostra natura originaria, che fa loro conoscere che la felicità vera sta soltanto nel riposo e non nel tumulto; e da questi due istinti opposti si forma in essi un progetto confuso che si nasconde alla loro vista nel profondo della loro anima, che li spinge a tendere al riposo attraverso l'agitazione e a credere sempre che la soddisfazione non ancora raggiunta giungerà senz'altro se, superando qualche particolare difficoltà che hanno preso in considerazione, possono aprirsi per questa strada la porta al riposo.

Così scorre tutta la vita. Si cerca il riposo col combattere certe difficoltà; e, se si sono superate, il riposo diventa insopportabile, perché o si pensa alle miserie che si hanno, o a quelle che ci minacciano.

E quand'anche ci si vedesse abbastanza al sicuro da ogni parte, la noia, di sua propria iniziativa, non tralascerebbe di sorgere dal profondo del cuore, in cui ha radici naturali, e di riempire l'animo del suo veleno.

Così l'uomo è tanto infelice che si annoierebbe perfino senza motivo alcuno di noia, per la natura della sua indole; ed è talmente vano che, pur essendo pieno di mille motivi di noia, la minima cosa, come un biliardo e una palla da tirare, bastano a svagarlo.

Ma, direte voi, quale scopo egli si propone in tutto questo? Quello di vantarsi domani fra gli amici di aver giocato meglio di un altro.

Similmente, altri sudano nel loro studio per dimostrare ai dotti che hanno saputo risolvere un problema di algebra che era rimasto insoluto sino ad oggi; e tanti altri si espongono ai più gravi pericoli per potersi poi vantare altrettanto scioccamente, a mio parere, di aver espugnato una piazzaforte; e infine altri si ammazzano dalla fatica per far notare tutte queste cose, non già per diventare più saggi, ma solo per dimostrare che le sanno, e questi sono i più sciocchi della compagnia, perché lo sono sapendolo, mentre degli altri si può pensare che non lo sarebbero se avessero una simile conoscenza.

Un uomo passa la vita senza annoiarsi giocando ogni giorno un po' di denaro. Dategli ogni mattina la somma che può guadagnare ogni giorno, a patto che non giochi più: lo rendete infelice. Forse, si dirà che egli cerca lo svago del gioco e non il guadagno. Fatelo dunque giocare per niente, non ci prenderà gusto e si annoierà. Dunque, non è soltanto lo svago che egli cerca: uno svago fiacco e senza passione lo annoierà.

Occorre che si ecciti e inganni se stesso, immaginando che sarebbe felice di vincere quello che non vorrebbe che gli fosse donato a patto di non giocare più, e questo per avere un oggetto a cui tendere con passione, un oggetto che ecciti il suo desiderio e la sua collera e susciti il suo timore, come i bambini che si spaventano per la faccia che hanno essi stessi impiastricciato.

Come è possibile che quest'uomo, che da pochi mesi ha perduto il suo unico figlio e che, oppresso da processi e da liti, questa mattina era così turbato, ora non ci pensi più? Non meravigliatevene: è tutto intento a vedere per dove passerà il cinghiale che i suoi cani inseguono con tanto ardore da sei ore. Basta questo.

L'uomo, per quanto sia pieno di tristezza, se si riesce ad attirarlo in qualche divertimento, eccolo felice finché dura il divertimento; e invece l'uomo, per quanto felice sia, se non si diverte e non è occupato da qualche passione o da qualche passatempo che impedisca alla noia di pervaderlo, sarà ben presto scontento e infelice.

Senza divertimento non c'è gioia, e col divertimento, non c'è tristezza. Ed è appunto questo che procura la felicità alle persone di elevata condizione: l'avere una quantità di gente che le distrae, e il potersi mantenere in tale stato.

Fate attenzione. Cosa significa l'essere sovrintendente, cancelliere, primo presidente, se non trovarsi nella condizione di avere in torno fin dal mattino un gran numero di persone che vengono da ogni parte, in modo da non lasciare loro un'ora in tutta la giornata in cui poter pensare a se stessi?

E quando cadono in disgrazia e sono rimandati alle loro case di campagna, dove non mancano né di beni né di domestici che li assistano nelle loro necessità, non cessano di sentirsi degni di compassione e abbandonati perché nessuno impedisce loro di pensare a se stessi.
 Pascal da: I pensieri

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pascal

martedì, 05 febbraio 2008

Il senso della vita
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Desideriamo la verità, e non troviamo in noi che incertezza. Cerchiamo la felicità, e non troviamo che miseria e morte.
Non siamo capaci di non desiderare la verità e la felicità, e non siamo capaci né di certezza né di felicità. Questo desiderio ci è lasciato tanto per punirci quanto per farci sentire da dove siamo caduti
.
(437)
Ci si figuri un gran numero di uomini in catene, tutti condannati a morte, alcuni dei quali siano sgozzati ogni giorno sotto gli occhi degli altri, dimodoché i superstiti vedano la loro sorte in quella dei loro simili e aspettino il loro turno, guardandosi l'un l'altro con dolore e senza speranza. Tale l'immagine della condizione degli uomini.(199)
L'ultimo atto è cruento, per quanto bella sia la commedia in tutto il resto: alla fine, ci gettano un po' di terra sulla testa, ed è finita per sempre. (210)
Tutti gli uomini, senza eccezione, cercano di essere felici; anche se usano mezzi diversi, tendono tutti a questo fine. Ciò che spinge alcuni ad andare in guerra, e altri a non andarci, è sempre questo desiderio, che è negli uni e negli altri, anche se vissuto sotto diversi punti di vista. La volontà non si muove mai di un passo se non in questa direzione. È il movente di tutte le azioni di tutti gli uomini, anche di quelli che decidono di impiccarsi.
Tuttavia, dopo un così gran numero di anni, mai nessuno, senza la fede, è giunto a quella meta cui tutti tendono continuamente. Tutti si lamentano: principi, sudditi; nobili, plebei; vecchi, giovani; forti, deboli; dotti, ignoranti; sani, malati; di ogni paese, di tutti i tempi, di tutte le età e di tutte le condizioni.
Una provocazione così lunga, così continua e così uniforme, ci dovrebbe pur convincere della nostra incapacità di giungere al bene con le nostre sole forze; ma l'esempio ci insegna poco. Un caso non è mai così perfettamente simile a un altro che non ci sia qualche piccola differenza; ed è per questo che noi speriamo che la nostra attesa non sia delusa in questa occasione come nella precedente. E così, il presente non ci soddisfa mai, l'esperienza si prende gioco di noi, e, di male in male, ci conduce fino alla morte, che ne è il culmine eterno.
Che cosa dunque ci gridano questo desiderio avido e questa impotenza, se non che un tempo c'è stata nell'uomo una vera felicità, di cui non gli restano attualmente che un segno e un involucro del tutto vuoto, che egli cerca inutilmente di riempire con tutto ciò che lo circonda, chiedendo alle cose assenti l'aiuto che non ottiene dalle presenti, che son tutte incapaci di darglielo, perché quell'abisso infinito non può essere colmato che da un essere infinito e immutabile, vale a dire da Dio stesso?
Lui solo è il suo vero bene; e, da quando l'ha abbandonato, è strano che non ci sia niente nella natura che non sia stato chiamato a tenerne il posto: astri, cielo, terra, elementi, piante, cavoli, porri, animali, insetti, vitelli, serpenti, febbre, guerra, carestia, vizi, adulterio, incesto. E da quando ha perduto il vero bene, tutto può ugualmente sembrargli tale, addirittura la sua stessa distruzione, benché così contraria a Dio, alla ragione e alla natura contemporaneamente.
Pascal  da :I pensieri


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pascal

venerdì, 07 dicembre 2007

Il presente ci ferisce
***
 «Noi non ci attendiamo mai al tempo presente. Anticipiamo l'avvenire, come se fosse troppo lento a venire, come per affrettare il suo corso; oppure ricordiamo il passato per fermarlo, come se fosse troppo veloce: tanto imprudenti da vagare nei tempi che non sono i nostri e da non pensare minimamente al solo che ci appartiene; tanto vani, da pensare a quelli che non sono più nulla e da fuggire senza riflessione il solo che è.  Il fatto è che di solito il presente ci ferisce. Noi lo nascondiamo alla nostra vista perché ci tormenta: e se ci dà gioia, ci affliggiamo di vederlo fuggire...
Ognuno esamini i suoi pensieri: li troverà completamente tesi al passato o all'avvenire.
Noi non pensiamo quasi mai al presente; e, se ci pensiamo, non lo facciamo che per prenderne la luce per disporre dell'avvenire.»
Pascal Pensieri


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pascal

domenica, 02 dicembre 2007

Il cuore
***
 «Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce:lo si osserva in mille cose».
«Noi conosciamo la verità, non soltanto
con la ragione, ma anche con il cuore».
«Su queste conoscenze del cuore e dell'istinto deve appoggiarsi la ragione e fondarvi tutta la sua attività discorsiva»
B.Pascal

 

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pascal, senso religioso

martedì, 13 novembre 2007

L’uomo

***

Quale chimera è dunque l’uomo? Quale novità, quale mostro, quale caos, quale soggetto di contraddizioni, quale prodigio? Giudice di tutte le cose, stupido verme della terra; depositario dl vero, cloaca di incertezze e d’errore; gloria e feccia dell’universo. Chi sbroglierà questo ingarbugliamento?
Blaise  Pascal

 


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persona, pascal

mercoledì, 31 ottobre 2007

LA SCOMMESSA SU DIO
Un aiuto per scommettere
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«Ignoro chi mi ha messo al mondo e cosa sia il mondo, e cosa io stesso. Mi trovo in una terribile ignoranza di tutte le cose, non so cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e quella stessa parte di me che pensa ciò che dico, che riflette su tutto e su se stessa, e non si conosce più di quanto conosca il resto. Io vedo questi spaventosi spazi dell'universo dentro cui sono rinchiuso, mi trovo come afferrato a un angolo di questa vasta estensione, senza sapere perché io mi trovi qui piuttosto che altrove, né perché quel poco di tempo che mi è stato concesso di vivere sia in un punto piuttosto che in un altro di tutta quell'eternità che mi ha preceduto e che mi seguirà.
Non vedo che infinità da ogni parte, che mi rinchiude come un atomo e come un'ombra che dura un solo istante.
Tutto ciò che so è che tra breve dovrò morire, ma ciò che maggiormente ignoro è proprio quella morte che posso evitare.
Così come non so da dove vengo, non so dove vado, so solo che uscendo da questo mondo cadrò per sempre nel nulla o nelle mani di un Dio incollerito, senza conoscere quale di queste due condizioni sarà la mia sorte eterna. Ecco la mia condizione, piena di debolezza e incertezza. Da tutto ciò deduco che devo dunque passare ogni giorno della mia vita senza pensare a ciò che mi capiterà. Forse potrei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi, ma non voglio preoccuparmene, né fare un solo passo per cercare; anzi, disprezzando quelli che si macereranno in questa preoccupazione, andrò incontro, incurante e senza paura, a questo grande avvenimento, mi lascerò docilmente condurre alla morte, incerto sull'eternità della mia condizione futura».
Chi si augurerebbe di avere per amico un uomo che parla in questo modo? Chi lo sceglierebbe per confidargli i propri problemi? Chi ricorrerebbe a lui nei momenti difficili?
E infine a quale impiego può essere destinato nella vita?
A dire il vero la religione può gloriarsi di avere per nemici uomini così irrazionali; e la loro opposizione è così poco pericolosa che, al contrario, serve a confermare le sue verità. Perché la fede cristiana si riduce quasi esclusivamente ad affermare queste due cose: la corruzione della natura e la redenzione di Gesù Cristo.
 B. Pascal:  I Pensieri

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pascal, senso religioso

lunedì, 22 ottobre 2007

Le guide
                     ***
Se Dio ci donasse di propria mano delle guide, come dovremmo obbedire loro di buon animo! La necessità e gli avvenimenti sono sicuramente queste guide.
Blaise Pascal


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pascal, avvenimento

domenica, 21 ottobre 2007

Il senso religioso

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"Quando considero la breve durata della mia vita, inghiottito dall'eternità che la precede e la segue, il piccolo spazio che occupo e che vedo, sprofondato nell'infinita immensità degli spazi che ignoro e mi ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perchè non c'è alcuna ragione per essere qui piuttosto che là, per esserci ora piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo? Per ordine e per opera di Chi questo luogo e questo tempo è stato a me destinato?"
Pascal


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pascal, senso religioso

domenica, 23 settembre 2007


L'uomo non è che una canna pensante
***

L'uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c'è bisogno che tutto l'universo s'armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d'acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell'universo su di lui; l'universo invece non ne sa niente. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. E' con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio e il tempo che potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensare bene: questo è il principio della morale. (Blaise Pascal, "Pensieri")

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ragione, pascal

sabato, 22 settembre 2007

Ragione e cuore
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 Noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore. I princìpi si sentono, le proposizioni si dimostrano, e il tutto con certezza, sebbene per differenti vie. Ed è altrettanto inutile e ridicolo che la ragione domandi al cuore prove dei suoi primi princìpi, per darvi il proprio consenso, quanto sarebbe ridicolo che il cuore chiedesse alla ragione un sentimento di tutte le proposizioni che essa dimostra, per indursi ad accettarle. Questa impotenza deve, dunque, servire solamente a umiliare la ragione, che vorrebbe tutto giudicare, e non a impugnare la nostra certezza, come se solo la ragione fosse capace d’istruirci. Piacesse a Dio che, all’opposto, non ne avessimo mai bisogno e conoscessimo ogni cosa per istinto e per sentimento! Ma la natura ci ha ricusato un tal dono; essa, per contro, ci ha dato solo pochissime cognizioni di questa specie; tutte le altre si possono acquistare solo per mezzo del ragionamento. Ecco perché coloro ai quali Dio ha dato la religione per sentimento del cuore sono ben fortunati e ben legittimamente persuasi. Ma a coloro che non l’hanno, noi possiamo darla solo per mezzo del ragionamento, in attesa che Dio la doni loro per sentimento del cuore: senza di che la fede è puramente umana, e inutile per la salvezza.

(B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Mondadori, Milano)
 

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ragione, pascal, senso religioso

venerdì, 06 ottobre 2006


PASCAL
 su GESU’
La divinità dei cristiani non consiste solo in un Dio semplice autore delle verità geometriche e dell'ordine degli elementi: questa è una concezione pagana. Essa non consiste in un Dio che esercita la sua Provvidenza sulla vita e sui beni degli uomini per concedere un felice seguito d'anni: questa è una concezione ebraica. Ma il Dio di Abramo e di Giacobbe, il Dio dei cristiani è un Dio di amore e di consolazione: è un Dio che riempie l'anima e il cuore di coloro che lo possiedono. È un Dio che fa sentire interiormente la loro miseria e la sua infinita misericordia; che li raggiunge in fondo alla loro anima; che li riempie di umiltà, di fede, di fiducia e di amore; che li rende incapaci di un altro scopo oltre se stesso.
Il Dio dei cristiani è un Dio che fa sentire all'anima che egli è il suo unico bene; che il suo riposo è in lui, che proverà gioia solo ad amarlo; e che, al tempo stesso, le fa aborrire gli ostacoli che la trattengono e le impediscono di amarlo con tutte le sue forze. L'amor proprio e la concupiscenza che la fermano gli sono insopportabili, e Dio le fa sentire che essa ha questo fondo di amor proprio e che lui solo può guarirla.
Ecco cosa significa conoscere Dio da cristiani. Ma per conoscere in questo modo bisogna al tempo stesso conoscere la propria miseria e la propria indegnità, e il bisogno di un mediatore per avvicinarsi e per unirsi a Dio. Non bisogna separare queste conoscenze; e, poiché separate sono non solo inutili, ma nocive, la conoscenza di Dio senza quella della nostra miseria fa nascere l'orgoglio, quella della nostra miseria senza quella di Gesù Cristo, fa nascere la disperazione. Ma la conoscenza di Gesù Cristo ci sottrae all'orgoglio e alla disperazione, perché vi troviamo Dio, unico consolatore della nostra miseria, unica via per porvi rimedio.
Possiamo conoscere Dio senza conoscere la nostra miseria, o la nostra miseria senza conoscere Dio, o anche Dio e la nostra miseria senza conoscere il mezzo per liberarci dalle miserie che ci opprimono. Ma non possiamo conoscere Gesù Cristo senza conoscere insieme Dio e la nostra miseria, perché egli non è solo Dio, ma il Dio che pone rimedio alle nostre miserie.
Così, tutti quelli che cercano Dio senza Gesù Cristo, non trovano alcun chiarimento che li soddisfi, o che sia loro veramente utile; o perché non arrivano a conoscere l'esistenza di un Dio, o, se vi arrivano, è inutile per loro, perché si formano un mezzo per comunicare senza mediatore con quel Dio che hanno conosciuto senza mediatore; così cadono nell'ateismo e nel teismo, che sono due cose che la religione cristiana aborre quasi allo stesso modo.
Bisogna dunque tendere unicamente a conoscere Gesù Cristo, perché solo attraverso lui possiamo arrivare a conoscere Dio in modo utile per noi. È lui il vero Dio degli uomini, dei miserabili e dei peccatori. Egli è il centro e l'oggetto di tutto; e chi non lo conosce non conosce niente riguardo all'ordine naturale del mondo, né riguardo a se stesso; perché, non solo conosciamo Dio solo attraverso Gesù Cristo, ma conosciamo noi stessi solo attraverso Gesù Cristo.
Senza Gesù Cristo, è necessario che l'uomo sia nel vizio e nella miseria; con Gesù Cristo, l'uomo è al riparo dal vizio e dalla miseria. In lui è tutta la nostra felicità, la nostra virtù, la nostra vita, la nostra luce, la nostra speranza; fuori di lui non ci sono che vizi, miserie, tenebre e disperazione, e vediamo solo oscurità e confusione nella natura divina e nella nostra,
 Queste sono sue parole, una per una, e ho creduto di doverle riportare perché ci fanno vedere in modo ammirevole quale fosse lo spirito della sua opera, e come la forma che voleva impiegare fosse senza dubbio la più adatta a convincere il cuore dell'uomo.
Gilberte Périer
Gilberte Périer è la sorella minore di Pascal e ospitò nella propria casa di Parigi il fratello nell'ultimo periodo della sua vita (dalla fine di giugno al 19 agosto 1662). Gilberte ha scritto una biografia di Pascal che è espressione non solo di amore fraterno, ma addirittura di devozione assoluta
 


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domenica, 01 ottobre 2006

Preghiera di Pascal
composta tra il 1659 e il 1662

 Preghiera per domandare a Dio il buon uso delle malattie

Vi si legge:

“Non vi domando né salute, né malattia, né vita, né morte;
ma che disponiate della mia salute e della mia malattia,
della mia vita e della mia morte,
per la vostra gloria, per la mia salvezza
e per l’utilità della Chiesa e dei vostri Santi,
di cui spero per la vostra grazia di far parte.
Voi solo sapete ciò che è opportuno per me:
siete il padrone  supremo, fate ciò che volete.
Datemi,  toglietemi;
ma conformate la mia volontà alla vostra;
e che con sottomissione umile e perfetta e con santa fiducia,
io mi disponga a ricevere gli ordini della vostra provvidenza eterna,
 e io adori ugualmente tutto ciò che mi viene da voi.
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Pascal

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