"La grande aspirazione"
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Postato da: giacabi a 14:27 |
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pascoli
IL FANCIULLINO
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Egli
(il fanciullino) nell'interno dell'uomo serio sta ad ascoltare,
ammirando, le fiabe e le leggende, e in quello dell'uomo pacifico fa
echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in un cantuccio
dell'anima di chi più non crede, vapora d'incenso l'altarino che il
bimbo ha ancora conservato da allora. Egli
ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, ché ora
vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere un fiore che
odora, ora vuol toccare la selce che riluce. [ ... ]
Egli
scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli
adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E
a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che
loquacità: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter
ammirare. Né il suo
linguaggio è imperfetto come di chi non dica la cosa se non a mezzo, ma
prodigo anzi, come di chi due pensieri dia per una parola. E a ogni modo
è un segno, un suono, un colore, a cui riconoscere sempre ciò che vide
una volta. [ ... ]
Sì,
anch'essi, gli oratori, ingrandiscono e impiccioliscono ciò che loro
piaccia, e adoperano, quando loro piace, una parola che dipinga invece
di un'altra che indichi. Ma la differenza è che essi fanno ciò appunto
quando loro piace e di quello che loro piaccia. Tu no, fanciullo:
tu dici sempre quello che vedi come lo vedi. Essi lo fanno per
malizia! Tu non sapresti come dire altrimenti; ed essi dicono
altrimenti da quello che sanno che si dice. Tu illumini la cosa, essi
abbagliano gli occhi. Tu voi che si veda meglio, essi vogliono che non
si veda più.
Tu
sei ancora in presenza del mondo novello e adoperi a significarlo la
novella parola. Il mondo nasce per ognun che nasce al mondo. E in ciò è
il mistero della tua essenza e della tua funzione. Tu sei antichissimo, o
fanciullo!
E
vecchissimo è il mondo che tu vedi nuovamente! E primitivo il ritmo
(non questo o quello, ma il ritmo in generale) col quale tu, in certo
modo, lo culli o lo danzi! Come sono stolti quelli che vogliono
ribellarsi o all'una o all'altra di queste due necessita che paiono
cozzare tra loro: veder nuovo e veder antico, e dire ciò che non s'è
mai detto e dirlo come sempre si è detto e si dirà!
Non vuoi né ripetere il già detto né trovare l'indicibile; non vuoi essere né un’inutilità né una vanità. Vuoi il nuovo, ma sai che nelle cose è il nuovo, per chi sa vederlo, e non t'indurrai a trovarlo, affatturando e sofisticando.
Poesia
è trovare nelle cose - come ho da dire? - il loro sorriso e la loro
lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e
serenamente di tra l'oscuro tumulto della nostra anima.
A
volte, non ravvisando essi nulla di luminoso e di bello nelle cose che
li circondano, si chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma pur nelle
cose vicine era quello che cercavano, e non avervelo trovato fu difetto,
non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi. Direte voi (non
parlo a te, ora, o fanciullo, ma a cotali fanciulloni) direte voi che il
sentimento poetico abbondi più in chi, torcendo o alzando gli occhi
dalla realtà presente, trovi solo belli e degni del suo canto i fiori
delle agavi americane, o in chi ammiri e faccia ammirare anche le minime
nappine, color gridellino, della pimpinella, sul greppo in cui siede? E
non voglio dire che non abbondi nel primo, quel sentimento, e non si
trovi anzi unito ad altre virtù di scienza e di fantasia che lo
facciano giustamente ammirabile; sebbene, come più agevolmente muove,
così presto annoia il suo lettore, e, a ogni modo, poiché le cose
assenti, o non viste mai, sono sempre a tutti maravigliose, egli fa come
l'uomo che pretende d'aver rallegrato con sue novellette l'uditore
che, pure ascoltando, abbia bevuto largamente del vino letificante.
Egli è stato, forse, arguto e festevole; ma chi rallegra con la parola
sua schietta, senza bisogno di calici, ha maggior merito.
Or
dunque intenso il sentimento poetico è di chi trova la poesia in ciò
che lo circonda, e in ciò che altri soglia spregiare, non di chi non la
trova lì e deve fare sforzi per cercarla altrove.
E sommamente benefico è tale sentimento, che pone un soave e leggero
freno all'instancabile desiderio, il qual ci fa perpetuamente correre
con infelice ansia per la via della felicità. Oh! chi sapesse
rafforzarlo in quelli che l'hanno, fermarlo in quelli che sono per
perderlo, insinuarlo in quelli che ne mancano, non farebbe per la vita
umana opera più utile di qualunque più ingegnoso trovatore di comodità e
medicine?
Il
poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico,
non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E
nemmeno è, sia con pace del Maestro, un artiere che foggi spada e scudi e
vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e
ceselli l'oro che altri paga. A costituire il poeta vale infinitamente
più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri
trasmette l'uno e l'altra. Egli,
anzi, quando li trasmette, pur essendo in cospetto d'un pubblico, parla
piuttosto tra sé, che a quello. Del pubblico, non pare che si accorga.
Parla forte (ma non tanto!) più per udir meglio esso, che per farsi
intendere dagli altri. [...]
Ora
il poeta sarà invece un autore di provvidenze civili e sociali? Senza
accorgersene, se mai. Si trova esso tra la folla; e vede passar le
bandiere e sonar le trombe. Getta la sua parola, la quale tutti gli
altri, appena esso l'ha pronunziata, sentono che è quella che avrebbero
pronunziata loro. Si trova ancora tra la folla: vede buttare in istrada
le masserizie di una famiglia povera. Ed esso dice la parola che si
trova subito piena delle lagrime di tutti. Il poeta è colui che esprime
la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta.
Ma non è lui che sale su una sedia o su un tavolo, ad arringare. Egli
non trascina, ma è trascinato; non persuade, ma è persuaso. Ricordati
che la poesia vera fa battere, se mai, il cuore, non mai le mani.
Giovanni Pascoli da "PROSE"
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Postato da: giacabi a 16:25 |
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pascoli
La mia sera
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell'umida sera. E`, quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera. Che voli di rondini intorno! che gridi nell'aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l'ebbero intera. Né io... e che voli, che gridi, mia limpida sera! Don... Don... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era... sentivo mia madre... poi nulla... sul far della sera.
Giovanni Pascoli
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Postato da: giacabi a 16:14 |
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pascoli
Quando manca
la Chiesa
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Postato da: giacabi a 15:06 |
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chiesa, pascoli
"Il cieco "
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Postato da: giacabi a 07:37 |
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pascoli, senso religioso
LA CHIESA
Il focolare
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Postato da: giacabi a 07:21 |
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chiesa, pascoli
IL SENSO RELIGIOSO
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“non trovar fondo, non trovar mai posa,
da spazio immenso ad altro spazio immenso; forse, giù giù, via via, sperar... che cosa? La sosta! Il fine! Il termine ultimo! Io, io te, di nebulosa in nebulosa, di cielo in cielo, in vano e sempre, Dio!”
G.Pascoli
La vertigine da Nuovi poemetti
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Postato da: giacabi a 06:37 |
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pascoli, senso religioso
IL SENSO RELIGIOSO
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Chi che tu sia, che non vedo io, che vedi me, parla dunque: dove sono? Io voglio cansar l'abisso che mi sento ai piedi...
di fronte? a tergo? Parlami. Il gorgoglio n'odo incessante; e d'ogni intorno pare che venga; ed io qui sto, come uno scoglio, tra un nero immenso fluttuar di mare".
G. Pascoli, Il cieco, in Poesie
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