In ogni cosa ho voglia di arrivare
***
***
In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.
Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.
Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.
Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.
Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.
Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.
I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.
Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.
Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.
Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata
di un arco teso.
(Boris Pasternak)
grazie a:http://pannacioccolata.splinder.com
del trionfo raggiunto,
corda incoccata
di un arco teso.
(Boris Pasternak)
grazie a:http://pannacioccolata.splinder.com
Postato da: giacabi a 21:36 |
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pasternak
***
“Ce ne sono al mondo di cose che meritino fedeltà? Ben poche. Io penso che si debba essere fedeli all’immortalità, quest’altro nome della vita, un po’ più forte. Essere fedeli all’immortalità, fedeli a Cristo!”.Pasternak:
Postato da: giacabi a 21:24 |
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pasternak
Pensieri di PASTERNAK
da: DOTTOR ZIVAGO
***
"Mi
è sempre sembrato che ogni concepimento sia immacolato, e che nel dogma
su quello della madre di Dio si esprima l’idea universale della
maternità.da: DOTTOR ZIVAGO
***
In ogni donna che genera si trova lo stesso senso di solitudine, di distacco, di abbandono a se stessa. L’uomo ormai, in questo particolare momento, rimane a tal punto estraneo che è come se in nessun modo ne fosse partecipe e tutto fosse caduto dal cielo.
La donna è sola a mettere al mondo la propria creatura, sola con lei si ritira su un altro piano dell’esistenza, Dove c’è più silenzio e si può tenere senza paura una culla. E sola, in silenziosa umiltà, la nutre e la cresce”
***
[Dal dialogo tra Lara e Jurij il giorno del loro rincontro]— [...] Ma voi siete cambiato. Prima non giudicavate la rivoluzione così aspramente, con tanto rancore.
— Tutto ha una misura, Larisa Fëdorovna. In questo frattempo si sarebbe potuto arrivare a qualcosa. E invece è apparso chiaro che, per gli ispiratori della rivoluzione, il vero elemento naturale è questa frenesia di cambiamenti e spostamenti. Per soddisfarli, ci vuole perlomeno tutto il globo terrestre. La costruzione di nuovi mondi, i periodi di transizione sono il loro fine; un fine a se stesso. Non hanno imparato nient’altro, non sanno fare altro. E sapete da che deriva l’irrequietezza di questi eterni preparativi? Dalla mancanza di capacità precise, di talento. L’uomo nasce per vivere, non per prepararsi alla vita, e la vita stessa, il fenomeno vita, il dono della vita sono una cosa così affascinante, così seria! Perché barattarla con la puerile arlecchinata di immature innovazioni, con queste fughe da scolaretti di Cechov in America?
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BORIS PASTERNAK DA: DOTTOR ZIVAGO
Postato da: giacabi a 10:35 |
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pasternak
01/06/2002
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Tracce pp. ss |
Verso il Meeting
Il bello è splendore del vero
Mimmo Stolfi*** |
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Luzi, Degas, Solmi, Weil… Pillole di genialità verso il prossimo Meeting: «Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza». Apparenza, Mistero e realtà nella percezione di artisti del Novecento Con buona pace di Platone e di tutti i suoi seguaci, numerosissimi ancora oggi, la bellezza non è l’idea del bello. L’oggetto dell’estetica è la percezione, non un concetto. Non c’è dunque niente di più concreto della bellezza, la cui contemplazione non avviene nell’iperuranio, ma qui e ora nel mondo attraverso i sensi. Ecco perché in questa scelta antologica ispirata alla frase «il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza», non troverete quasi mai citazioni tratte da filosofi di professione, ma piuttosto pensieri di poeti, artisti, scrittori. Tutta gente per la quale la bellezza non è materia teorica, ma quello stimolo, quella scossa o quella carezza che la realtà spesso concede a chi non distolga lo sguardo dalle cose e dai volti. Ma la potenza della bellezza è tale che spesso assume i caratteri di una vera propria epifania. Di un’apparizione improvvisa che può coglierci anche nel tran tran quotidiano. Un vero e proprio urto che ci scuote suscitando in noi quell’anelito a un oltre, soffocato dal chiacchiericcio assordante che ci circonda. È quello che accade, per esempio, nella poesia A una passante di Baudelaire: «La via assordante strepitava intorno a me./ Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore immenso,/ passò sollevando e agitando/ con mano fastosa il pizzo e l’orlo della sua gonna/ (...) Un lampo...poi la notte! - bellezza fuggitiva/ dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere,/ ti rivedrò solo nell’eternità?». L’urto della bellezza risveglia anche quella promessa di felicità, quel desiderio di infinito che alberga in ogni uomo. E ancora una volta a donarci le parole più intense per dire quell’emozione che ci lavora dentro, e la cui intensità è tale che spesso non riusciamo a verbalizzarla, è un poeta. Un poeta, Rainer Maria Rilke, che quella felicità, quella bellezza, non la coglie in un platonico “mondo delle Idee”, ma nella terra, la nostra terra: «E noi che pensiamo la felicità/ come un’ascesa, ne avremmo l’emozione/ quasi sconcertante/ di quando cosa ch’è felice, cade». «Quella che io intendo per bellezza, ed è la sola che mi interessa, mi tocca e mi commuove, è una promanazione interiore armonizzata con la forma esterna». (Mario Luzi, Intervista a Doriano Fasoli, Radiotre) «Tanto in cuore aver d’amore/ da dire tutto è bello,/ anche l’uomo e il suo male,/ anche in me quello che m’addolora». (Umberto Saba, Canzoniere) «Se non vedi il gioiello nel sassolino circondato da fili d’oro, può darsi che ti lavi le mani così spesso da sbiadire i pensieri che vi sono stati riposti». (Emily Dickinson, Poesie) «Ho visto cose bellissime, grazie alla diversa prospettiva suggerita dalla mia perenne insoddisfazione, e quel che mi consola ancora, è che non smetto di osservare». (Edgar Degas, Scritti) «Il colore di ogni cosa ci commuove come un’armonia; ci vien voglia di piangere vedendo che le rose son rose o, se è inverno, scorgendo sui tronchi delle piante dei bei colori verdi quasi riflettenti; e, se un poco di luce batte su quei colori, come, ad esempio, nell’ora del tramonto, quando il lilla bianco fa cantare la propria bianchezza, ci si sente inondati di bellezza». (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto) «Altrove, senza dubbio, esistono i tramonti. Ma perfino da questo quarto piano sulla città si può pensare all’infinito. Un infinito con magazzini sottostanti, è vero, ma con stelle all’orizzonte». (Fernando Pessoa, Il libro) «L’abbandono di fronte alle cose e l’apertura al mistero si appartengono l’uno all’altra». (Martin Heidegger, L’abbandono) «La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua». (Andrej Tarkovskij, Intervista a Poiesis) «La rivelazione della poesia, una volta affacciandomi a una finestra, si impersonò per me in un grande mandorlo fiorito, candido nell’abbagliante chiarore della luna piena». (Sergio Solmi, Meditazioni e ricordi) «Ma perché essere qui è molto, e perché sembra che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste effimere che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri». (Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi) «Sono solo un uomo, ho bisogno di segni sensibili, costruire scale di astrazioni mi stanca presto. Desta, dunque, o Dio, un uomo in un posto qualsiasi della terra e permetti che guardandolo io possa ammirare Te». (Czeslaw Milosz, La mente prigioniera) «Ringraziavo Dio del fatto di avermi creato artista per amare tutte le forme in cui Egli si manifesta, e piangere di esultanza e di giubilo davanti ad esse». (Boris Pasternak, Il soffio della vita) «Il bello è l’apparenza manifesta del reale». (Simone Weil, Quaderni) «L’uomo non può fare a meno della bellezza, e la nostra epoca finge di volerlo ignorare. Essa non vede il bello perché s’irrigidisce per raggiungere l’assoluto e il dominio, vuole trasfigurare il mondo prima di averlo esaurito, ordinarlo prima d’averlo capito. Per quanto dica, essa diserta da questo mondo». (Albert Camus, Lo straniero) «La bellezza si nasconde in ogni piega del mondo, anche nei posti più inimmaginabili. Coglierla significa dischiudersi alle ricchezze della vita. E anche comprenderne la responsabilità». (Elaine Scarry, Sulla bellezza) |
Postato da: giacabi a 20:13 |
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baudelaire, bellezza, luzi, proust, camus, rilke, tarkovskij, pasternak
La Stella di Natale *** di Boris Pasternak C’era l’inverno. Soffiava il vento dalla steppa. E freddo aveva il neonato nella tana sul pendio del colle. L’alito del bue lo riscaldava. Animali domestici stavano nella grotta, sulla culla vagava un tiepido vapore. La notte di gelo somigliava a una fiaba e, dalla nevosa catena dei monti, nella tormenta, qualcuno per tutto il tempo scese invisibile tra loro. Per quella stessa strada, per quegli stessi luoghi, alcuni angeli andavano in mezzo alla folla. L'incorporeità li rendeva invisibili, ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede. Una folla di popolo si raccoglieva presso la rupe. Albeggiava. Si delineavano i tronchi dei cedri. “E voi chi siete?” domandò Maria. “Noi stirpe di pastori e messaggeri del cielo, siamo accorsi a cantar lode a voi due”. “Non si può tutti insieme, aspettate alla porta”. Nella foschia di cenere, che precede il mattino, battevano i piedi mulattieri e allevatori. Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo; e accanto al tronco cavo dell'abbeverata mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini. Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava, come granelli di cenere, le ultime stelle. E della innumerevole folla solo i Magi Maria lasciò entrare nella cavità della roccia. Lui dormiva, tutto splendente, in una culla di quercia, come un raggio di luna dentro il cavo di un tronco. Invece di pelli di pecora le labbra di un asino e le nari di un bue. Ad un tratto qualcuno, un po’ a sinistra nell’oscurità, con la mano scansò dalla culla uno dei Magi e quello si voltò. Dalla soglia la Vergine Maria guardava come un ospite la stella di Natale. |
Postato da: giacabi a 22:49 |
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natale, pasternak
MARIJA JUDINALa pianista che commosse Stalin
lunedì 30 marzo 2009
Il toccante libro di Giovanna Parravicini, Liberi, recentemente edito da Rizzoli
– inconsueta galleria di ritratti di nove protagonisti della Russia
novecentesca, storie di grandi uomini, di luminosi testimoni della Fede,
di martiri catacombali – fa riemergere da lontane nebbie la leggendaria
figura della pianista Marija Judina.
Notizie biografiche ridotte al minimo. Scarse le registrazioni sopravvissute. Alcuni conoscitori ne tramandano giudizi entusiasti. Una certezza: fu la più grande pianista russa di tutti i tempi. Virtuosismo, scatto, elettricità, bellezza del suono, un’eccezionalità umana più grandi del suo mito. Prodigio di perfezione e di poesia. Classe 1899, a dodici anni è già artista completa. Legge avidamente Platone, Agostino, Tommaso d’Aquino, si appassiona ai poeti simbolisti, studia arti figurative, architettura, teatro, filologia, storia. Al suo cospetto i colleghi Richter, Gilels, Sofronitskij tremano come ragazzini. «Le sue dita sono artigli d’aquila», esclama un ammirato Shostakovich. Anche Prokofiev ne è sbalordito. «Suonare per me è un avvenimento interiore», testimonia la giovane Judina, donna inquieta, inappagata, sempre in ricerca. «Non m’interessano la fama o la tranquillità. Al centro della mia vita c’è la ricerca della verità. Devo inoltrarmi nella mia vocazione, alla ricerca di un’illuminazione che mi sorprenderà», riassume. Questa sua tormentosa indagine approderà finalmente alla Fede. A vent’anni si fa battezzare nella Chiesa ortodossa: «Conosco solo una strada che porta a Dio, l’arte». Autorevoli membri di partito rimpiangono questa sua sciagurata decisione: «Noi la porteremmo in trionfo, se solo Lei non credesse in Dio!». «Non rinnegherò la mia fede. Sarete voi, invece, a venire tutti dalla nostra. Voglio mostrare alla gente che si può vivere senza odiare, pur essendo liberi e indipendenti», replica. Non nasconde amicizie pericolose (Pasternak, padre Pavel Florenskij, la poetessa Marina Cvetaeva, il monaco Feodor Andreev), ma fortunosamente evita sempre la reclusione. Neri capelli lisci, occhi che mandano bagliori, lunghi abiti scuri su scarpe scalcagnate. Ai suoi concerti il pubblico non vuole andarsene, nemmeno dopo l’ennesimo bis. Lei entra in scena e recita poesie di autori proibiti, scatenando uragani di applausi. Subito le sue tournée sono cancellate. La sua notorietà è ormai mondiale, numerosi inviti le giungono dall’estero, ma ogni volta è costretta a rifiutare. «Ostenta la sua religione», è l’accusa. «Una sua lezione su Bach è catechismo, sembra di leggere un pezzo di Vangelo», confermano i suoi allievi. La licenziano dal Conservatorio di Leningrado. Si trasferisce allora a Mosca, dove fatica perfino a pagarsi l’affitto e riesce a malapena a noleggiare un pianoforte. Aiuta tutti, paga visite mediche agli amici indigenti, difende i perseguitati dal regime. Quando tiene concerti, affigge avvisi di questo tipo: «Suonerò nella tale città. Posso portare pacchi di un chilo massimo l’uno». Poi recapita i vari pacchi agli sconosciuti destinatari, fino all’ultimo. Non teme nulla, nella certezza indistruttibile di un rapporto con un Tu vivo, presente, che la sostiene: «Ho due stelle che mi guidano: la musica e Dio». Nel 1943 Stalin ascolta alla radio il Concerto K 488 di Mozart eseguito dal vivo dalla Judina. Ne resta così colpito da chiederne immediatamente il disco. Ma il disco non esiste perché si tratta di una diretta, effettuata negli studi della radio di Mosca. Non è il caso di perdere tempo in spiegazioni: la Judina è convocata d’urgenza, l’orchestra è pronta, due direttori declinano l’invito, solo un terzo accetta, in una notte la registrazione è fatta, il disco confezionato in pochi esemplari e recapitato all’illustre ammiratore. Stalin è generoso, fa avere alla Judina ventimila rubli, una cifra strepitosa per l’epoca. Con un gesto folle, li rifiuta: «La ringrazio. Pregherò giorno e notte per Lei e chiederò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso, La perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della chiesa in cui vado». Ancora una volta, non le viene torto un capello. Sale spontaneamente alla bocca la parola “miracolo”. Alla morte di Stalin, sul grammofono del dittatore, c’è quel disco della Judina. «Due stelle mi guidano, come una volta», continuerà a ripetere Marija, «ma ora mi sono accorta che l’ordine è diverso: Dio e la musica». «L’esperienza della musica è uno squarcio che si apre su un altro mondo, su una realtà più grande, sulla realtà: la Grazia di Dio». Sono le ultime parole della Judina. Le legge il suo parroco, padre Vsevold Spiller, durante l’omelia funebre, il 24 novembre 1970.
Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - I. Allegro
Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - II. Adagio
Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - III. Allegro assai
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Postato da: giacabi a 20:21 |
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pasternak, judina
Se non lo farò io, chi lo farà?
***
...No, né le bombe atomiche, né le dittature sanguinarie né le teorie della "moderazione" o della convergenza salveranno la democrazia. Noi, che siamo nati e cresciuti nell'atmosfera del terrore, conosciamo un mezzo solo, i panni del cittadino.
C'è una differenza di qualità nel comportamento della massa e del
singolo in una situazione estrema. Il popolo, la nazione, la classe, il
partito o semplicemente la folla, in una situazione estrema,
vince l’istinto di autoconservazione.
Essa può sacrificare una parte sperando
di salvare il resto, può disgregarsi in
gruppi cercando la salvezza. Ed è proprio
questo a perderla. -Perché proprio
io?- si chiede ognuno nella folla -Da solo
non posso far niente-. E periscono tutti.
Stretto contro il muro, l’uomo riconosce:
“Io sono il popolo, io sono la nazione”.
Non può indietreggiare, e preferisce la
morte fisica a quella spirituale. E, cosa
straordinaria, nel difendere la propria
integrità egli difende il proprio popolo,
la propria classe o partito. Sono questi
uomini a conquistare il diritto alla vita
per la propria comunità, anche se forse
non ci pensano. -Se non lo farò io, chi lo
farà?- si domanda l’uomo stretto al muro.
E salva tutti. Così l’uomo comincia a
costruire il proprio castello.
V. Bukovskij: Il vento va e poi ritorna
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Postato da: giacabi a 20:46 |
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majakovskij, pasternak
Essere famosi non è bello
Borìs Pasternàk
***
Essere famosi non è bello,
non è così che ci si leva in alto.
Non c’è bisogno di tenere archivi,
di trepidare per i manoscritti.
Scopo della creazione è il restituirsi,
non il clamore, non il gran successo.
È vergognoso, non contando nulla,
essere favola in bocca di tutti.
Ma occorre vivere senza impostura,
viver così da cattivarsi in fine
l’amore dello spazio, da sentire
il lontano richiamo del futuro.
Ed occorre lasciare le lacune
nel destino, non già fra le carte,
annotando sul margine i capitoli
e i luoghi di tutta una vita.
Ed occorre tuffarsi nell’ignoto
e nascondere in esso i propri passi,
come si nasconde nella nebbia
un luogo, quando vi discende il buio.
Altri, seguendo le tue vive tracce,
faranno la tua strada a palmo a palmo,
ma non sei tu che devi sceverare
dalla vittoria tutte le sconfitte.
E non devi recedere d’un solo
briciolo dalla tua persona umana,
ma essere vivo, nient’altro che vivo,
vivo e nient’altro sino alla fine
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Postato da: giacabi a 20:32 |
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pasternak
Il calore umano
***
“Che piacere ti fa l’uomo della strada quando ti dice «per favore» oppure «grazie». E lo dice con tanto calore, come se ti augurasse veramente la salvezza. Solo su questo calore umano si regge il mondo, specie il mondo russo. «Fratello», «paparino», «siate buono», basta una qualsiasi di queste parole. Senza particolare riguardo, ma con una intonazione familiare”
Pasternak(Abram Terz)
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Postato da: giacabi a 13:59 |
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pasternak
Nazismo e comunismo sono gemelli
***
"Mi tormenta la stessa cosa nel nostro sistema qui e nel vostro, per quanto possa sembrarti strano cioè il fatto che si tratta di movimenti nazionalistici e non cristiani, che corrono l'uguale rischio di scivolare nel bestialismo del fatto e che comportano un'identica rottura con la tradizione secolare misericordiosa,che si nutriva di trasformazioni e di prefigurazioni e non delle mere constatazioni della cieca inclinazione. Sono due movimenti gemelli, di pari livello, dove uno emula l'altro, il che è sempre più' triste. Sono le due ali, destra e sinistra, della stessa notte materialistica. "
Boris Pasternak da: Lettera ai genitori 5 marzo 1933
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Postato da: giacabi a 19:12 |
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comunismo, pasternak
La storia moderna incominciava da Cristo e dal Vangelo
***
«E
[Pasternak] si mise a parlare di Cristo che viene a noi di là, dalle
lontananze della storia, come se queste lontananze fossero l’oggi e
declinassero verso sera con la trasparenza dell’oggi, fluendo in un
illimitato futuro. […]. Cristo
veniva oggi perché tutta la storia moderna incominciava da Cristo e dal
Vangelo, non escluso il giorno presente. E Cristo era la realtà più
naturale e più prossima. Per Pasternak non esistevano separazioni in
secoli, popoli, chiese. […].
Guardando attraverso la piccola finestra i campi e le alture coperte di
neve, Pasternak parlava di Cristo che viene a noi di là; parlava senza
affettazione, senza alcun pathos solenne e magnificente, in modo
semplice e quieto, come se quel “là” e quel “di là” fossero
l’appezzamento adiacente alla sua casa, con tutto il panorama di campi
coperti di neve e che si perdevano in lontananza».
Andrej Sinjavskij
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Postato da: giacabi a 22:42 |
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gesù, pasternak, sinjavskij
***
"Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita."
PASTERNAK
|
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Postato da: giacabi a 16:51 |
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pasternak
Se non ritornerete
come i bambini.....
***
"Perdere
la fanciullezza è perdere tutto. E' dubitare. E' vedere le cose
attraverso la nebbia fuorviante dei pregiudizi e dello scetticismo."
Boris Pasternak
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Postato da: giacabi a 08:56 |
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pasternak
In ogni cosa ho voglia di arrivare
***
In ogni cosa ho voglia di arrivare sino alla sostanza. Nel lavoro, cercando la mia strada, nel tumulto del cuore. Sino all'essenza dei giorni passati, sino alla loro ragione, sino ai motivi, sino alle radici, sino al midollo. Eternamente aggrappandomi al filo dei destini, degli avvenimenti, sentire, amare, vivere, pensare, effettuare scoperte.
Boris Pasternak
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Postato da: giacabi a 14:39 |
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pasternak
Postato da: giacabi a 09:09 |
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natale, pascoli, pasternak
E venne lui il galileo…
«Nikolàj
Nikolàevič […] non teneva un diario, ma due o tre volte all’anno
annotava su un grosso quaderno i pensieri che lo colpivano. Prese il
quaderno e cominciò a scrivere con la sua calligrafia grande e chiara.
“tutto
il giorno fuori di me per quella stupida della Schlesinger. È venuta di
mattina ed è rimasta fino all’ora del pranzo, e per due ore buone mi ha
oppresso con la lettura di quelle fanfaluche. Testo poetico del
simbolista A. per la sinfonia cosmogonica del compositore B., con gli
spiriti dei pianeti, le voci dei quattro elementi, e così via. Ho retto,
ho retto, poi non ce l’ho fatta più, ho chiesto grazia, no, vi
supplico, non resisto, risparmiatemi.
D’improvviso ho compreso tutto. Ho compreso perché perfino nel Faust c’è sempre qualcosa di mortalmente insopportabile e artificioso. È un interesse precostituito, falso. L’uomo
d’oggi non sente queste esigenze. Quando è assalito dagli interrogativi
dell’universo, si immerge nella fisica e non negli esametri di Esiodo.
Ma
non si tratta soltanto del fatto che queste forme sono invecchiate,
anacronistiche, né che questi spiriti del fuoco e dell’acqua portino a
di nuovo a confondere e annebbiare ciò che la scienza ha sempre chiarito
in modo così lampante. È che questo genere contraddice a tutto lo
spirito dell’arte contemporanea, alla sua essenza, ai motivi che la
sollecitano.
Queste
cosmogonie erano legittime anticamente, quando sulla terra gli uomini
erano ancora così radi che non offuscavano la natura. Vagavano i mammuth
ed era recente il ricordo dei dinosauri e dei draghi. La natura così
evidentemente balzava agli occhi dell’uomo e così aggressiva e palpabile
irrompeva addosso a lui che, forse, veramente tutto era ancora pieno di
déi. Sono le primissime pagine, l’inizio della cronaca umana.
Il mondo antico finì in Roma, per sovrappopolazione.
Roma
fu un gran mercato di déi presi a prestito e di popoli conquistati, una
duplice ressa, in terra e in cielo, uno schifo, un triplice nodo
attorcigliato su sé stesso, come un volvolo. Daci, Eruli, Sciti,
Sarmati, Iperborei, pesanti ruote senza raggi, occhi nuotanti nel
grasso, sodomia, doppi menti, pesci nutriti con la carne di schiavi
cólti, imperatori analfabeti. Al mondo c’erano più uomini di quanti ce
ne furono in seguito e si affollavano nei passaggi del Colosseo e
soffrivano.
Ed ecco che in quell’orgia pacchiana d’oro e di marmi, venne lui, leggero e vestito di luce, ostentatamente umano, volutamente provinciale, galileo, e da quel momento i popoli e gli déi cessarono d’esistere e cominciò l’uomo,
l’uomo falegname, l’uomo agricoltore, l’uomo pastore di un gregge di
pecore al tramonto, l’uomo il cui nome non suonava minimamente fiero, l’uomo celebrato con riconoscenza da tutte le ninne nanne materne e da tutte le gallerie di pittura del mondo.” »
Dottor Živago di Borìs Pasternàk
Auguro a tutti
un felice e santo Natale
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Postato da: giacabi a 21:26 |
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natale, gesù, pasternak
…..Dicevo bisogna essere fedeli a Cristo. Mi spiego meglio. Voi non capite che si può essere atei, si può non sapere se Dio esista e per che cosa, e nello stesso tempo sapere che l’uomo non vive nella natura ma nella storia, e che, il Vangelo ne è fondamento.
Ma che cosa è la storia? È un dar principio a lavori secolari per
riuscire a poco a poco a risolvere il mistero della morte e a vincerla
un giorno. Per questo si scoprono l’infinito matematico e le onde elettromagnetiche, per
questo si scrivono sinfonie, ma non si può progredire in tale direzione
senza una certa spinta. Per scoperte del genere occorre un’attrezzatura
spirituale , e in questo senso, i dati sono già nel vangelo. Eccoli. In primo luogo, l’amore per il prossimo, questa forma suprema dell’energia vivente, che riempie il cuore dell’uomo ed esige di espandersi e di essere spesa. Poi, i principali elementi costitutivi dell’uomo d’oggi, senza i quali l’uomo non è pensabile , e cioè l’idea della libera individualità e della vita come sacrificio. Tenete conto che oggi ciò è ancora straordinariamente nuovo. Gli antichi non avevano storia in questo senso. C’era allora la ferocia laida e sanguinaria dei Caligola butterati dal vaiolo, i quali non sospettavano neanche quanto sia mediocre chiunque asservisca un altro. C’era la pomposa, morta eternità dei monumenti di bronzo e delle colonne marmoree, solo dopo Cristo, i secoli e le generazioni hanno potuto respirare liberamente. Solo dopo di lui, è cominciata la vita nella posterità e l’uomo non muore più per la strada, ma in casa sua, nella storia, nel pieno di un’attività consacrata a vincere la morte, dedito lui stesso a questa impresa.…….
dal Romanzo: dottor Zivago di Pasternak
La spiaggia del Poetto di Cagliari "La sella del Diavolo " nella penombra e nella Luce
guardate bene c'è anche la barchetta
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