Padre Giuseppe Beduschi
Il fuoco di Dio (1874-1924) |
Padre
Beduschi ha percorso le missioni del Sudan e dell'Uganda, ma anche i
seminari d'Italia, come un fuoco di Dio che, dove passa, lascia il
segno. Carattere ardito e deciso, era nato a Milano il primo novembre
1874. Muore il 10 novembre 1924 dopo aver abbracciato i confratelli.
Aveva 50 anni, come Comboni.
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da: www.comboni.org |
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P.
Giuseppe Beduschi ha percorso le missioni del Sudan e dell'Uganda, ma
anche i seminari d'Italia, come un fuoco di Dio che, dove passa, lascia
il segno. Carattere ardente e deciso, era nato a Milano il primo novembre 1874.
Da seminarista nel seminario di Milano legge la storia dei Martiri
ugandesi e mentre si trova nel Santuario di Maria delle Vittorie sente
l'impulso di farsi missionario. Il papà, nonostante gli undici figli,
non vuol sentir parlare di missioni. Giuseppe fugge a Verona; il papà lo
raggiunge e segue un incontro burrascoso. Giuseppe conclude gridando:
“Se mi impedisci di seguire la mia vocazione sarò un disgraziato e tu ne
sei responsabile!”. Il papà cede. A mandarlo via sono, quasi, i
superiori perché Giuseppe è fragile, mingherlino, tutto ossa. “Questi
non ariverà al Cairo!”, dicono i compagni.
Ordinato
sacerdote nella cattedrale di Verona il 13 agosto 1899, parte subito
per l'Africa. Fa una tappa di due anni alla Gesira dove impara la lingua
araba e si dedica alla catechesi. Nel 1901 arriva a Lul, la missione
fondata da mons. Roveggio l'anno prima, e trova che
quasi tutto era stato dato alle fiamme. Senza perdersi d'animo, i
missionari cominciano daccapo. Beduschi, vedendo che un ragazzo che era
andato nel Nilo stava per essere aggredito da un coccodrillo, si getta
in acqua e lo salva. Gli Scilluk apprezzano questo gesto e depongono un
po' della loro diffidenza nei confronti dei missionari.
Siamo agli ultimi giorni di agosto del 1903. P.
Beduschi si ammala gravemente. Tutti temono per la sua vita; lui stesso
chiede gli ultimi sacramenti e si dispone con serenità alla morte. In
missione c'è suor Giuseppa Scandola, la prima Pia Madre reclutata da
Comboni, che conduce una vita da santa, tra preghiere e opere di carità.
Viene a sapere che p. Beduschi è grave e lei , con sicurezza e
semplicità, gli manda a dire di stare tranquillo: non sarebbe morto,
perché gli Scilluk avevano bisogno di lui; in sua vece sarebbe morta
lei, ormai vecchia (aveva 54 anni) e inutile. Alla sera di quel giorno
una febbre la prende e, dopo aver ricevuto i conforti religiosi, spira,
mentre p. Beduschi guarisce istantaneamente.
Nel 1904, in compagnia del fedele fr. Giosuè dei
Cas, p. Beduschi emigra a Tonga per dare inizio ad una seconda missione
tra gli Scilluk. L'ambiente è pessimo: per alcuni mesi la missione è
come un'isoletta in mezzo alla palude. Per uscire, bisogna affrontare
l'acqua fino al collo. P. Beduschi visita i villaggi cercando di portare
il messaggio evangelico. Ma
pare che gli Scilluk non capiscano niente. Quando parla di cielo, di
paradiso, si mettono a ridere: “In cielo ci sono gli uccelli, ma anche
loro per mangiare devono scendere a terra…”. Nel 1906 scrive: “Sono
stanco, divorato dalle zanzare e non c'è neppure un cristiano”. Per
creare un po' di benessere tra quella gente, dà inizio ad una colonia
agricola. I suoi compagni sacerdoti di Milano gli mandano gli aiuti ed
egli crea una superba struttura, ma poi si accorge che gli Scilluk non
ne vogliono sapere di lavorare. E tutto si conclude in un fallimento.
In Uganda
Nel 1911 p. Beduschi raggiunge l'Uganda e va a
Gulu. I missionari sono così poveri che hanno un unico paio di scarpe
buone che usano a turno quando vanno a parlare con le autorità inglesi.
La prima guerra mondiale (1914-18) rende la situazione ancora più
disperata. P. Beduschi mira diritto all'evangelizzazione di quel popolo
ben disposto e crea gruppi di catechisti ben preparati che portano il
Vangelo nei villaggi più lontani. I protestanti bruciano di invidia e
strappano dal collo dei ragazzi le medaglie della Madonna. P. Beduschi
aggredisce il ministro inglese e lo svergogna in pubblico dicendo che
“chi non ama la Madre del Capo, non può essere amico del Capo”. I Neri
capiscono e applaudono al missionario. Le autorità inglesi non mandano
giù il boccone amaro ed espellono dall'Uganda quel missionario troppo
zelante. Mugugnando, in 21 giorni di cammino attraverso la foresta, p.
Beduschi arriva a Gondokoro, in Sudan meridionale dove c'è “miseria
nera”.
Dopo qualche mese è a Kitgum dove è scoppiato il
vaiolo che miete tante vittime. Gli stregoni incolpano ancora una volta
i missionari di quella disgrazia. La lotta con le forze del male è
accanita e p. Beduschi non si tira indietro. Quando passa qualche
confratello da quella solitudine, gli si fa incontro, lo accoglie e gli
mette davanti quel poco che la missione possiede. E se nella dispensa
non c'è più niente, imbraccia il fucile e si immerge nell'acqua della
palude finché riesce a portare a casa qualche anatra selvatica.
Nel 1919 è nuovamente in Italia a rimettersi in
forze. Nel terzo Capitolo della Congregazione che ha luogo in
quell'anno, diventa consigliere del Superiore generale. P. Meroni (il
nuovo Generale) lo incarica di visitare i seminari maggiori d'Italia per
cercare vocazioni. La passione per l'Africa gli sprizza dagli occhi e
incendia gli ascoltatori. Non c'è seminario che non abbia dato alle
missioni un missionario o anche più di uno. Anticipando il Concilio
Vaticano I dice che tutta la Chiesa è missionaria, e poi, per scendere
al concreto, organizza gemellaggi tra le diocesi e le varie missioni,
predica Giornate missionarie, istituisce il gruppo delle zelatrici
missionarie, sostiene con lettere i giovani che recluta e, mentre è in
ospedale a Verona per rimettersi in salute, scrive il libro “I martiri
d'Uganda”. Nel 1920 chiede al Papa perché di istituire una Giornata Missionaria Mondiale (avrà luogo nel 1926)
Ritorno al primo amore
Nel 1923 i superiori mandano nuovamente p.
Beduschi tra gli Scilluk; così si realizza la profezia di suor Scandola
che gli aveva detto: “Gli Scilluk hanno bisogno di te”. Egli
inizia la missione di Detwok: “Siamo tra paludi e zanzare, ma c'è tanta
gente che ha bisogno del messaggio evangelico. Gli stregoni congiurano
contro di noi, ci incendiano le capanne, ci vogliono mandar via perché
compromettiamo i loro interessi”, scrive.
Nell'ultima lettera, scritta al Sodalizio di San Pietro, dice: “Sono sfinito, ma non stanco”. Per
poter battezzare un ragazzo morente accetta la sfida dello stregone e
beve una ciotola di latte mescolato ad orina di mucca. Trangugiata la
pozione, battezza il ragazzo e poi stramazza a terra colpito da brividi,
vomito e febbre. Portato in barella alla missione, il medico
prontamente chiamato vuole portarlo al suo ospedale e fa venire un
battello, ma il Padre si rifiuta di salire a bordo perché: “Voglio
morire tra gli Scilluk che sono il mio popolo”. Muore dopo aver abbracciato i confratelli. Era il 10 novembre 1924. P. Giuseppe aveva 50 anni, come Comboni.
(P. Lorenzo Gaiga)
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a P.
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