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domenica 19 febbraio 2012

Péguy



"La Chiesa è il luogo dove tutte le verità si incontrano". Gilbert Keith Chesterton

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Utente: giacabi

chi sono
Sono un ex vagabondo che ha avuto la grazia, durante il suo vagabondare di incontrare degli amici di Gesù che gli hanno mostrato la Bellezza della vita, quello che il suo cuore da sempre cercava. Ora sono diventato un pellegrino con lo sguardo rivolto alla “Roccia splendente” anche se spesse volte riabbasso lo sguardo verso terra col rischio di perdermi in vicoli ciechi; ma appena rialzo la testa vedo gli amici e la meta, di nuovo la realtà riprende forma e colore.



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giovedì, 03 novembre 2011

La verità chirurgica e
la verità igienica

***
Il culto della verità è il più scrupoloso dei culti; essa è preziosa. Solo uno spirito grossolano si contenta di fare una distinzione fra le grandi verità, le verità esplosive, gloriose, che meriterebbero di essere difese, e la minutaglia trascurabile delle piccole verità.
Sono le piccole menzogne e le piccole ingiustizie lentamente infiltratesi che fanno marcire un paese ed esigono una rivoluzione. Non dobbiamo avere preferenza, un gusto malsano per la verità chirurgica, dobbiamo al contrario cercare modestamente di evitare l’azione chirurgica con la pratica regolare della verità igienica.

Ch. Péguy, «Lettre du provincial»
***
"Ciò vuole dire che la grande " operazione chirurgica”
d'appartenere alla Chiesa o d'appartenere al movimento
invece che essere dentro le sabbie mobili dei più, della
folla irrazionale - non risolve il problema: occorre amare
la verità igienica, vale a dire come tu vivi quotidianamente
e, perché se tu vivi quotidianamente dissestato, distratto
senza pulirti, eccetera, a un certo punto ti viene il bubbone
e devi andarlo a operare, devi fare l'operazione chirurgica
<; se tu vai con chi
 vuoi, vai a vedere il cinema che vuoi, leggi tutto quello
che vuoi, partecipi alle compagnie che vuoi, a un certo
punto, se vorrai essere ancora di questa parte, bisognerà
tagliarti  via un certo lobo del cervello, oppure un'altra
parte della tua fisiologia, Occorre praticare la <
igienica>: la verità igienica è come si vive la compagnia
quotidianamente. Ed è su questo punto che noi amici dobbiamo
realizzare la nostra amicizia, dobbiamo
dimostrare se siamo amici o no."

Don Giussani da: Ciò che abbiamo di più caro ed.BUR



Postato da: giacabi a 20:45 | link | commenti (7)
giussani, peguy

giovedì, 29 settembre 2011

La misericordia di Dio
***
Mio Figlio ha saputo sbrigarsela bene. Per legare le braccia della mia giustizia e per slegare le braccia della mia misericordia. E adesso bisogna che io li giudichi come un padre. Per quel che può giudicare un padre… Per quel che è capace di giudicare… Si sa bene come giudica un padre. Ce n’è un esempio ben noto. Si sa bene come il padre ha giudicato il figlio che se n’era andato e che è ritornato. Era ancora il padre che piangeva di più. Ecco che cosa ha raccontato loro mio figlio. Mio Figlio ha svelato loro il segreto del giudizio
(C. Péguy, “Il mistero dei santi innocenti”, in I misteri, Jaca Book, Milano 1978, 306).

Postato da: giacabi a 16:23 | link | commenti
peguy, amore

venerdì, 19 agosto 2011

Fare una rivoluzione
***
Fare una rivoluzione non è  fomentare contro uno stato di fatto, ma preparare delle realtà nuove e delle reali novità, fare del reale e fare del nuovo.
(Charles Peguy)

Postato da: giacabi a 18:36 | link | commenti
peguy

lunedì, 15 agosto 2011

La preghiera di Péguy

Pigi Colognesi

 

lunedì 15 agosto 2011

 
Se c’è una cosa che sembra irrimediabilmente contraddire ogni possibilità di certezza, che sembra cioè togliere il sostegno solido ad ogni nostro passo, questa cosa è il male. Il male fisico, quello morale, quello psicologico; quello, insomma, che nella morte trova il suo implacabile e tragico emblema.
Charles Péguy, nella prima metà del 1912 arriva ad uno di quei momenti in cui il male e la morte bussano alla porta dell’esistenza, anzi vi entrano senza tanti complimenti e cercano di squassare ogni certezza. Sono le preoccupazioni nel lavoro (la rivista da cui trae sostentamento per sé, la moglie e i tre figli è ancora una volta sull’orlo del fallimento), le difficoltà familiari (si sente un estraneo a casa sua ed è tentato da una relazione extraconiugale a cui però non vuol cedere), le incomprensioni dei vecchi amici che non lo seguono più dopo il suo ritorno alla fede, gli scontri coi nuovi compagni di strada cattolici che non lo capiscono ed anzi lo esasperano con richieste per lui inaccettabili. Per di più, a febbraio, l’ultimo figlio, Pierre, ha una grave malattia che potrebbe costargli la vita. In mezzo a questo mare di prove Péguy decide di affidare tutto alla Madonna: andrà in pellegrinaggio a Chartres a chiederle di prendersi cura lei di tutte queste necessità.
La descrizione poetica di questa straordinaria esperienza è L’Arazzo di Nostra Signora. Esso è composto da una prima parte in cui il poeta racconta i motivi del pellegrinaggio e i pensieri che l’hanno accompagnato nel cammino e da una seconda che raccoglie le Preghiere fatte di fronte a Maria. C’è un pezzo commovente della prima parte, che si intitola Presentazione della Beauce alla Madonna di Chartres, che mi sembra descrivere bene l’unica cosa che può dare certezza in mezzo al dolore: la sicurezza di un rapporto che è capace di perdonare ogni male, di lenire ogni fatica, di vincere persino la morte: la grazia di Dio, che si manifesta come misericordia.
Tra i motivi per cui Péguy va a pregare a Chartres c’è anche la richiesta di perdono per un giovane collaboratore della sua rivista, René Bichet. Dopo una festa con gli amici dell’università, René si era lasciato andare a provare una iniezione di morfina, la droga di allora, e ne era morto.
Péguy lo affida alla Madonna: «Veniamo a pregarvi per quel povero ragazzo / Che è morto come uno stupido quest’anno, / quasi nella settimana e nello stesso giorno / quando nella paglia e nella crusca nacque vostro figlio»; René era infatti morto poco prima di Natale.
«O vergine, non era il peggiore del gregge. / Non aveva che un difetto nella giovane corazza, / ma la morte che ci fiuta e segue le nostre tracce, / è passata nel buco che s’è fatto nella pelle. / Eccolo ora nel vostro regno. / Siete regina e madre e saprete prenderlo. / Era un essere puro. Lo farete rientrare / nella vostra protezione e indulgenza. / Regina ricevetelo nel vostro perdono. / Dove è passata la morte passerà anche la grazia». Eccola la suprema certezza della misericordia: lo stesso buco della siringa che ha portato via la giovane vita di René è lo stesso buco (lo ripeto perché proprio in questa identità sta la forza della misericordia divina) da cui passa la vita che non finisce, la gioia che non viene meno. Troppo piccola e fragile sarebbe ogni altra certezza se non ci fosse anche quest’ultima, imprevedibile, immeritata sicurezza di una forza che sa abbracciare tutti i nostri mali, cambiando loro di segno. Ed è commovente pensare che la mediatrice di questa certezza sia una giovane donna di un paesino sconosciuto, che oggi, ferragosto, celebriamo nella sua gloria inaudita

Postato da: giacabi a 07:42 | link | commenti
peguy

domenica, 02 gennaio 2011

L'allievo
***

 
“Quando l’allievo non fa che ripetere non la stessa risonanza ma un miserabile ricalco del pensiero del maestro; quando l’allievo non è che un allievo, fosse anche pure il più grande degli allievi, non genererà mai nulla. Un allievo non comincia a creare se non quando introduce egli stesso una risonanza nuova (cioè nella misura in cui non è un allievo). Non che non si debba avere un maestro, ma uno deve discendere dall’altro per le vie naturali della filiazione, non per le vie scolastiche della discepolanza”.

Postato da: giacabi a 08:51 | link | commenti
peguy

sabato, 25 dicembre 2010

Natività NATALE
***
Sotto lo sguardo del bue e lo sguardo dell’asino Quel bimbo riposava nella pura luce. E nell’aria dorata del vecchio abituro Splendeva il suo sguardo incredibilmente nuovo. Il bam...bino guarda le due grosse teste, i loro occhi più profondi e più dolci dell’oceano e i loro grandi corpi che lo proteggono dal sole dal vento che fischia dalla larga breccia. E ucciderebbero il bimbo che è scoperto. Lo riscaldano col loro fiato in attesa del suo risveglio. Il bue e l’asino hanno protetto Gesù Bambino. Così dormiva il bambino nel suo primo mattino. Stava per cominciare DIO sa quale giornata. Stava per cominciare un’eterna annata. Stava per cominciare un immenso destino Così dormiva il bambino il suo primo sonno profondo. Stava per cominciare l’immenso evento. L’Avvento dell’ordine e della salvezza dell’uomo. E quel sangue che doveva un giorno sul Calvario Cadere come un’ardente e tragica rugiada Altro non era in quella felice e placida miseria Che un filo trasparente sotto il labbro di rosa. E quel sangue che doveva un giorno sul Calvario Scorrere come una calda e virile rugiada Altro non era nella sua tenerezza e originaria dolcezza Che un morbido, sottile reticolo sotto una rossa pelle. E quel sangue che doveva sull’ultima altura Piovere come la manna nei deserti dell’esodo Non era in quel felice e dolce periodo Che l’intrico di una rete rosa e azzurra. Gesù Cristo non è venuto per dirci delle frivolezze, Non ha fatto il viaggio di venire sulla terra Per raccontarci delle amenità e delle frottole. Non si ha il tempo per divertirsi. Lui non ha speso i trentatré anni della sua vita terrestre Per raccontarci fandonie… Non ci ha dato parole morte Da chiudere in piccole scatole [...].
Charles Peguy (1873-1914)

Postato da: giacabi a 20:59 | link | commenti
natale, peguy

domenica, 28 febbraio 2010

L’amore

***
Come la loro libertà è stata creata a immagine e somiglianza della mia libertà, dice Dio,
Come la loro libertà è il riflesso della mia libertà,
Così mi piace trovare in loro come una certa gratuità
Che sia il riflesso della gratuità della mia grazia
.

Che sia come creata a immagine e somiglianza della gratuità della mia grazia:
Mi piace che in un certo senso essi preghino non solo liberamente ma come gratuitamente.
Mi piace che cadano in ginocchio non solo liberamente ma come gratuitamente.
Mi piace che si diano e che diano il loro cuore e che si rimettano e che portino e che stimino non  solo liberamente ma come gratuitamente.
Mi piace che amino infine, dice Dio, non soltanto liberamente ma come gratuitamente.
Ora per questo, dice Dio, con i miei francesi sono ben servito.
E’ un popolo che è venuto al mondo con la mano aperta e il cuore liberale.
Dà, sa dare. E’ per natura gratuito.
Quando dà, non vende, lui, e non presta a breve scadenza e ad alto interesse.
Dà per nulla. Altrimenti è forse un dare?
Ama per nulla. Altrimenti è forse un amare?

Ch. Peguy da: Il mistero dei santi innnocenti


Postato da: giacabi a 08:45 | link | commenti
peguy

domenica, 27 dicembre 2009

La battaglia del  cristiano
***
“Quando il mattino della battaglia le compagnie si svegliano e si armano nella nebbia, ognuna occupa il suo posto e attende il giorno. Devono solo attendere e tenersi pronte.
Poi il caso sceglie una di esse fra tutte, e la pone al centro del combattimento.
Essa non l’aveva meritato: l’onore ha deciso per essa.

E le altre compagnie, sue compagne, mentre combattono, sentono oscuramente che altrove il combattimento è più vero, la morte più esigente, il sacrificio più utile e l’esito più decisivo.
Per esse , lo sforzo ha delle soste; non ce ne sono per quelli che sono al centro; e quelli sentono di essere nella battaglia;indovinano gli sguardi, le grida lanciate verso di loro, e su di loro il pensiero del capo.
Sotto questi sguardi, queste grida, questo pensiero, il loro gruppo ferito, decimato, lotta con coraggio maggiore del suo stesso coraggio, resiste con una forza maggiore della sua stessa forza.
Esso era al mattino simile agli altri, né più coraggioso, ne’ meno coraggioso ; e alla sera è diverso.
Ha superato la prova esce dal fuoco.
E’,rimane diverso, segnato agli occhi di tutti dalla augusta grazia del combattimento.

Un caso ne è la causa: l’eroismo è entrato in esso.
Tale è cristiano: un essere fra gli esseri, e simile ai più umili.
Ma egli combatte per l’intera natura, le potenze dall’alto sperano nel suo sforzo, è stato scelto e da ciò deriva il sovrappiù della sua forza”.


C. Peguy

Postato da: giacabi a 20:30 | link | commenti
cristianesimo, peguy

domenica, 13 dicembre 2009

La rivoluzione
***
« La rivoluzione, per dirla con Péguy, è «l’effetto ben ordinato di una lunga e invincibile pazienza». Per questo «noi dobbiamo cominciare la rivoluzione sociale dalla rivoluzione morale di noi stessi». Infatti «i grandi uomini d’azione rivoluzionaria sono eminentemente dei grandi uomini di grande vita interiore, dei meditativi, dei contemplativi; non sono gli uomini del “di fuori” che fanno la rivoluzione, ma gli uomini del “di dentro”.»

Postato da: giacabi a 18:20 | link | commenti
peguy

mercoledì, 28 ottobre 2009

***

"Come volete che si convertano e tornino a credere, quando vedono cos'è la nostra fedeltà? Come hanno ragione di spregiarci, quando ci vedono così deboli e tremanti! Di noi essi non conoscono che facce rivolte a terra, e ginocchia prone e schiene ricurve, nuche ricurve e  tremanti"
 Péguy

Postato da: giacabi a 08:20 | link | commenti
peguy

giovedì, 22 ottobre 2009

Il padre di famiglia
 ***
C'è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: é il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto. Non corrono assolutamente alcun perico­lo, al suo confronto. Tutto nel mondo moderno, e so­prattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro l'imprudente, contro il temerario,
Chi sarà  tanto prode, o tanto temerario?
contro lo sregolato, contro l'audace, contro l'uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l'uomo che osa fondare una famiglia. Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. Gli uomini, i fatti; l'accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. E infine il resto. Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia; e di conse­guenza contro la famiglia stessa, contro la vita di fami­glia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo.
Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre un'avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con la testa, che non è niente. Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non è niente. Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii patitur. Al secondo, al ven­tesimo grado. Fa soffrire altri, ne è responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. Gli altri navigano a secco di vele. Lui solo  qualunque sia la forza del vento è obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nes­suno. Si muove continuamente con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in pieno, di fronte, perché navi­ga su una larghezza immensa. Gli altri scantonano. So­no corsari. Sono a secco di vele.
Ma lui, che naviga, che è obbligato a governare la nave su questa rotta immen­samente larga, lui solo non può assolutamente passare senza che la fatalità si accorga di lui. E allora è lui che è coin­volto nel mondo, e lui solo. Tutti gli altri possono infi­schiarsene. Lui solo paga per tutti. Capo e padre di  ostaggi, anche lui stesso è sempre ostaggio. Che impor­ta agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili e guer­re straniere, l'avvenire di una società, ciò che accade alla città, la decadenza di tutto un popolo. Non rischia­no mai altro che la testa. Niente, meno di niente. Lui invece non solo è coinvolto dappertutto nella città pre­sente. Dalla famiglia, dalla sua razza, dalla sua discen­denza da quei bambini è coinvolto dappertutto nella citta futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il tempo­rale accadere della città. Si gioca la razza, si gioca il popolo, si gioca la società, mette come posta la società. Si gioca (tutta) la città, presente, passata, a venire. Tale è la sua posta in gioco. Gli altri scantonano sempre.  Sono carene leggere, sotti­li come lame di coltello. Lui è la nave grossa, pesante bastimento da carico. È il luogo d'appuntamento di tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e si mettono d'accordo, si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e si intersecano da tutti i punti del­l'orizzonte per assalirlo. Lui scopre alla sorte, alla for­tuna, alla sfortuna che vigila, alla fatalità una larghezza (di spalle) (su cui abbattersi), una superficie, un vo­lume incredibile. Non è coinvolto solo nella cit­tà presente.
E' coinvolto dappertutto nell'avvenire del mondo. E anche in tutto il passato, nella memoria, in tutta la storia. È assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in quale miserabile città, in quale deca­denza, in quale decadenza di tutto un popolo lasceran­no, consegneranno, domani, stanno per lasciare, entro qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri  si sentono così pienamente, così assoluta­mente responsabili, di cui sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente. Niente di quello che succede, niente di storico è per loro indiffe­rente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno esaurito la sofferenza temporale, tutto il dolore di chi vive nel tempo. Chi non ha mai avuto un bam­bino malato non sa cosa sia la malattia. Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto morto il suo bambino non sa cosa sia il dolore. E non sa cosa sia la morte. E, coinvolti da ogni parte nelle sof­ferenze, nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono tutti  ingolfati nell'esistenza, sono pesanti e impacciati, sono goffi, impediti nelle manovre; sembrano deboli e vili; non solo lo sembrano; sono deboli, sono vili, sono codardi. Nella manovra. Capi responsabili e appesanti­ti, carichi e responsabili di una banda di prigionieri, prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di ostaggi, ostaggi essi stessi, non fanno un passo che non sia vigliacco, sembrano, sono circospetti, sono prudenti, non fanno una mossa che non sia sconcertante. E tutti li disprez­zano e, quel che è peggio, hanno ragione a disprezzarli. Gli altri scantonano sempre. Non hanno bagagli. Vili, scantonano con districamenti politici. Coraggiosi scan­tonano con districamenti eroici, con districamenti d'au­dacia. Temporali, scantonano verso la carriera e le domi­nazioni temporali. Spirituali, scantonano, si defilano verso le osservanze della regola. Storici, scantonano verso le carriere della gloria. Riescono sempre, sia nella regola, sia nel secolo.
II padre di famiglia é solo, e condannato a non riuscire affatto. Non può mai scanto­nare. Deve sempre passare in tutta la sua larghezza. Ed è molto semplice, non ci passa. Non ci passa mai. Non passa da nessuna parte. Non riesce né nella regola né nel secolo. Non riesce nella regola, la regola si oppone. Prima di cominciare. Non riesce nel secolo. Il secolo si oppone prima, durante, dopo. Non riesce nella poli­tica e non riesce nell'audacia…È troppo grosso. Ha tutta la famiglia attorno al corpo.. È come la donnola di La Fontaine, ma dopo che è ingrassata. Ha socialmente un grasso, un tessuto adiposo sociale, che lo rende inadatto alla corsa. Ora, temporalmente tutto non è altro che corsa, non è altro che concorso e con­correnza. Gli altri corrono, intanto, gli altri arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente scarichi, sgombri di bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra di loro, lo schermi­scono; sordamente, involontariamente congiurano con­tro di lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno questo (di bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si riaccaniscono di preferenza. Prefe­renzialmente. E quello che chiamano la carità.   
Bisogna sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la meno affine alla regola. Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi ab­bindolare dalle apparenze più grossolane, commettere l'errore più smaccato, e anche naturalmente il più co­mune, l'errore più frequente,   quello di dire che la vita pubblica è vivace, e la vita di famiglia è silen­ziosa, e la regola, la vita regolare è anche lei silenziosa; e quindi la vita pubblica è non ritirata, e la vita di fa­miglia è ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei ritirata; e concluderne, credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla vita di regola, apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica che se ne è allontanata. Questo é lasciarsi prendere dalle più grossolane apparenze. È diame­tralmente il contrario. La vita di famiglia è agli antipodi della vita della regola. Nessun uomo al mondo è coin­volto nel mondo, nella storia e nel destino del mon­do quanto l'uomo di famiglia, tanto quanto il padre di famiglia, così pienamente, così carnalmente. L'uomo pubblico invece, il vir politicus,   non è affatto coinvolto nel mondo, non è affatto coinvolto nella storia e nel destino del mondo. Cosa importa all'uomo politico, al demagogo, al tribuno, all'oratore, al legislatore, all'eloquente, anche all'uomo politico serio, all'uomo pubblico, all'uomo di Stato, all'uomo di governo, (e a maggior ragione) al capo di partito (come tali), cosa importa al militare e al giudice, al generale e al presidente di corte e al presidente di camera, (come tali, come tali), che importa come tali al funzionario e al magistrato, al generale, al deputato, al senatore, al giornalista, al pubblici­sta, all'esattore, e all'usciere del ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa importa come tale a ogni uomo pubbli­co delle sorti della città presente, le sorti ulteriori, la destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di questo popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l'onore, quando ne hanno: niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al maximum; al meno, di solito l'avanzamento, la carriera, al più del meno l'apice; miserie. Gloria tem­porale, onore temporale; niente, meno di niente. Avan­zamento temporale, carriera temporale, apice temporale, testa temporale; miserie. E le gioie e le miserie del dominio. E le gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto quello che si giocano. Come tali. Se intanto, se insieme sono padri di famiglia, cosa estremamente rara, l'ope­razione è tutta diversa, il comportamento e l'azione pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione anche per così dire topografica, geografica, demogra­fica. Cosa importa loro, come tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di tutto un po­polo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt'al più si giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria, ulteriore, l'onore o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo di con­siderazione li lascia abbastanza freddi. Sono abba­stanza poco sensibili a considerazioni di questo tipo. Di solito.
Solo il padre di famiglia mette in gioco, rischia, impegna infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo, nella destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di tutto questo popolo, nell'avvenire di questa razza impegna tutto, mette tutto, la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre di famiglia da solo. Ed è un pover'uomo. Tormentato da scrupoli, assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha affatto commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri commetteranno, sente oscura­mente, molto profondamente, che è lui, in effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È uno dei casi più significativi che ci siano di responsa­bilità senza colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di colpevolezza reale; comune; misteriosa; di fatalità, anche; infinitamente più profonda; segreta; in comunità, in comunione; con la crea­zione con (tutto) il mondo; infinitamente più grave delle nostre proprie responsabilità, personali, particola­ri, limitate, note, individuali e collettive; infinitamente più profonda; infinitamente più vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente ce ne accorgiamo), quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazio­ne stessa, al mistero, al segreto della creazione; una col­pevolezza, allora, infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente criminali Per il padre di famiglia (questo è lo stato, costante, uno stato situazionale; è la sua stessa patente, la sua condizione ab urbe condita, una volta fondata la famiglia. È la sua stessa definizione, il pane di tutti i (suoi) giorni, il cruccio delle sue notti. È il midol­lo, stesso, della sua vita, il segreto della sua esistenza, la sua regola interiore, la sua regola esteriore, la regola del suo secolo, la sua regola di secolo. Ed è un pover'uomo; innocente criminale; innocente responsabile; innocente colpevole; innocente assalito da scrupoli; innocente tormentato dai rimorsi; legato, incatenato da ogni parte, mani, piedi, da tutti i lacci, da tutte le catene, è lui, amico mio, è lui, e lui solo, che ha le relazioni peri­colose; confuso, prigioniero, ostaggio, manette alle ma­ni, ganasce ai piedi, capo, responsabile dei prigionieri, capo, responsabile degli ostaggi, fa pena, è esposto a tutto, ai quodlibet, alle ingiurie, al peggio di tutto: a una sorta di riprovazione, di malevolenza universale, di presa in giro, di tacita ingiuria, (peggiore, infinitamen­te più grave di quella formale), perché se è così tacita, se può essere così sottintesa, come se andasse da sé, per così dire; non vale la pena di parlarne, perché tutti lo sanno bene; è una cosa intesa, senza che ci si pensi, una cosa alla quale tutti consentono, a cui tutti danno la mano. È infinitamente peggio di una cosa infinitamen­te concertata, che una cosa universalmente concertata. È una cosa universalmente non concertata. Così è infi­nitamente meno demolibile. Una cosa che va da sé. Che si sappia. Allora tutti ci calpestano sopra. Allora, rin­galluzzito, anche il prete ci calpesta sopra. Clericus. Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta lo av­verte, uno degli avvertimenti, uno degli istinti più si­curi, uno degli istinti più infallibili, un segreto orgo­glio infallibile lo avverte che è lui il nemico, il più lontano, il più straniero, che l'uomo di famiglia, che il padre di famiglia è l'uomo più lontano dalla regola e dalla clericatura, l'uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto segreto lo avverte che lui è infinita­mente più vicino al pubblico peccatore; e reciproca­mente; che il tribuno, l'oratore, l'eloquente, l'uomo della tribuna è infinitamente più vicino all'uomo del pulpito, infinitamente più imparentato all'uomo del pulpito, che l'uomo del meeting, della pubblica riunio­ne è infinitamente più vicino all'uomo della predica e all'uomo del sermone; più pronto, per l'uno e per l'al­tro, sia per diventarlo, sia per subirne l'effetto, sia insie­me l'uno e l'altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e quasi continuamente dall'uno all'altro, che c'è tra loro un'intesa, interna, un accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più che appartengono allo stesso mondo; e per la regola che il celibe, l'uomo libero, il non prigioniero, il non ostag­gio, lo slegato, il non legato, l'inlegato, il mai legato, lo scantonatore, il pié leggero, il corridore, il bombarolo, il festaiolo, l'uomo all'erta è infinitamente più vicino; e più pronto, più disponibile; che lui piace di più; che con lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre. E poi è lui che è un personaggio gradevole. Il padre di fami­glia è un povero essere. Tirar su solo tre bambini, pensa un po'. Che grottesco, che ridicolo. Tutte le forze della società sono congiurate, si congiurano contro una cosa del genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte delle forze della società. Allora tutti calpestano il padre di famiglia. Allora il sacerdote, ardi­to, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe, l'uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avven­turiero, che vive di avventure. Invece è l'uomo di fami­glia che è un avventuriero, che vive non solo alcune avventure, ma una sola, una grande, un'immensa, una totale avventura; l'avventura più terribile, la più costan­temente tragica; la cui vita stessa è un'avventura, il tes­suto stesso della vita, la trama e l'ordito, il pane quoti­diano. Ecco l'avventuriero, il vero, il reale avventuriero
.
Charles Peguy

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peguy

giovedì, 02 luglio 2009

La “mistica spirituale”
***
«Così noi navighiamo costantemente fra due curie, noi manovriamo tra due schieramenti di due curie; i curiali laici e i curiali ecclesiastici: i curiali clericali anticlericali e i curiali clericali clericali; i curiali laici che negano l'eterno del tempo, che vogliono disfare, smontare l'eterno del tempo, dal di dentro del tempo stesso; e i curiali ecclesiastici che negano il temporale dell'eterno, che vogliono disfare, smontare il temporale dell'eterno, dal di dentro dell'eterno. Così gli uni e gli altri non sono per nulla cristiani, perché la tecnica stessa del cristianesimo, la tecnica e il meccanismo della sua mistica, della mistica cristiana è questo: è l'inserzione di un pezzo del congegno dentro l'altro. Chi vuol smontare l'eterno del tempo non può cadere che in una sorta di materialismo, in una grossolanità e, come si dice, nel più basso materialismo. Non è un gran pericolo. Infine io voglio dire che questo non è affatto un pericolo infinito. Il materialismo ha una sua mistica. Ma è una mistica tutta particolare e che non è affatto pericolosa. Essa è inoffensiva, inerme per la sua stessa grossolanità. Essa dunque non è, relativamente, molto pericolosa. Al contrario, invece, dell'altra mistica. La mistica, quella che nega, quella che nega il temporale dell'eterno, quella che vuol disfare, osteggiare, smontare il temporale dell'eterno è più propriamente anticristiana, cade dentro o sale su, sale dentro, poco importa, perviene a, perviene in, è uguale a una mistica, per così dire, più propriamente anticristiana. Si cade dentro delle mistiche particolarmente pericolose, perché capaci di sedurre le anime più nobili e che si sarebbero credute le più perfettamente predestinate, predeterminate, preformate per la vocazione cristiana. Altrimenti, contrariamente si perviene infine a questi vaghi spiritualismi, idealismi, immaterialismi, religiosismi, panteismi, filosofismi, così pericolosi proprio perché non sono grossolani, si cade in queste vaghe mistiche spiritualiste, idealiste, immaterialiste, religiosiste, panteiste, filosofiste, così seducenti. Allora là c'è la concorrenza. E c'è danno e perdizione. E' generalmente, disgraziatamente, questa la situazione dei chierici. Intendo di coloro che sono molto buoni. Perché gli altri, la grande maggioranza oggi, la quasi totalità nel presente, è sprofondata nel secolo e nelle tentazioni del secolo sopra la gola e sopra la testa. Il centro è esattamente questo, il proprio del cristianesimo. Questo innesto del tempo dentro l'eterno e dell'eterno dentro il tempo. Sciolto questo innesto non c'è più nulla. Non c'è più il mondo da salvare. Non c'è più nessuna anima da salvare. Non c'è più nessun cristianesimo. E' sfalsato esso stesso, smontato nella sua stessa tecnica, di tutto ciò che è la sua tecnica propria. Non c'è più né tentazione, nè salvezza, né prova, né passaggio, né tempo, né niente. Non c'è più né redenzione, né incarnazione, né creazione stessa. Non c'è più né Giudei, né Cristiani. Non ci sono più promesse, né il mantenimento delle promesse, il compimento delle promesse. Non c'è più il Cristianesimo, non c'è più niente. Non vi è più che frammenti senza nome, dei materiali senza forma, delle macerie e delle demolizioni; delle rovine informi, degli ammassi di macerie, come quello che noi vediamo; delle contraffazioni vergognose, delle imitazioni amorfe, delle scandalose fantasie, delle parodie infami. Delle eresie balzane. Non c'è più il cristianesimo: non c 'è più questa storia meravigliosa, unica straordinaria, inverosimile, eterna temporale eterna, divina umana divina, questo punto di intersezione, questo incontro mirabile, unico del temporale dentro l'eterno e reciprocamente dell'eterno dentro al temporale, del divino dentro l'umano e mutualmente dell'umano dentro il divino. Non c'è più il cristianesimo, non c'è più questo meraviglioso congegno, unico al mondo».
CHARLES PÉGUY tratto da: «Dialogue de l'histoire et de l'ame charnelle»


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peguy

giovedì, 18 giugno 2009

L’uomo libero
 ***
Tutte le sottomissioni da schiavo nel mondo non valgono un bello sguardo da uomo libero o piuttosto tutte le sottomissioni da schiavo nel mondo mi ripugnano e io darei tutto per un bello sguardo da uomo libero"
C. Peguy


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peguy

domenica, 22 marzo 2009

La piccola gemma
***
Madame Gervaise
“…La Fede è un grande albero, è una quercia
radicata nel cuore della Francia.
E sotto le ali di quest’albero la Carità, mia figlia
la Carità ripara tutte le desolazioni del mondo.
E la mia piccola speranza non è altroché
quella piccola promessa di gemma che s’annuncia
proprio all’inizio di aprile.
E quando si vede l’albero, quando guardate la quercia.
Quella rude scorza della quercia tredici e
Quattordici volte e diciotto volte centenaria.
E che sarà centenaria secolare nei secoli dei secoli.
Quella dura scorza rugosa e quei rami che sono
come un’accozzaglia di braccia enormi.
(Un’accozzaglia che è un ordine).
Quando vedete tanta forza e tanta rudezza la piccola gemma tenera non sembra proprio più nulla.
È lei che ha l’aria di essere parassita dell’albero,
mangiare alla tavola dell’albero.
Come un vischio, come un fungo.
E’ lei che ha l’aria di nutrirsi dell’albero
(e il contadino le chiama golose), è lei che ha l’aria
di appoggiarsi all’albero, di uscire dall’albero,
di non poter essere nulla, di non poter esistere senza l’albero. E in effetti oggi esce dall’albero,
all’ascella delle foglie e non può esistere senza
l’albero. Ha l’aria di venire dall’albero,
di sottrarre il nutrimento dell’albero.
Eppure è da lei che tutto viene invece. Senza una
gemma che viene una volta, l’albero non sarebbe.
Senza quelle migliaia di gemme, che vengono una volta all’inizio di aprile e forse negli ultimi giorni di marzo, nulla durerebbe, l’albero non durerebbe, e non resterebbe al suo posto di albero, (bisogna che questo posto sia mantenuto,) senza quella linfa che sale e piange nel mese di maggio, senza quelle migliaia di gemme che spuntano teneramente all’ascella dei duri rami. Bisogna che ogni posto sia mantenuto. Ogni vita viene dalla tenerezza. Ogni vita viene da quella tenera, da quella fine gemma d’aprile, e da quella linfa che piange in maggio, e dall’ovatta e dal cotone di quella fine gemma bianca che è vestita, che è caldamente, che è teneramente protetta da un fiocco di un vello di lana vegetale, da una lana d’albero. In questo fiocco cotonoso è il segreto di ogni vita. La rude scorza non è altro che gemma indurita, che gemma invecchiata. Ed è per questo che la tenera gemma buca sempre, sprizza sempre di sotto la dura scorza. Il più duro uomo di guerra è stato un tenero bimbo nutrito di latte; e il più rude martire, il martire più duro sul cavalletto, il martire dalla scorza più rude, dalla pelle più rugosa, il martire più resistente ai raffî e agli artigli di ferro è stato un tenero bambino latteo. Senza quella gemma, che ha l’aria di non essere nulla, che non sembra nulla, tutto questo non sarebbe che del legno morto. E il legno morto sarà gettato nel fuoco. Ciò che v’inganna, è che quella rude scorza vi scortica le mani; e né con la spalla fate spostare il tronco di un millesimo di millimetro, né col piede potete far muovere una di quelle grosse radici di un millesimo di millimetro; né con la mano uno solo di quei grossi rami; ed a fatica potete scuotere qualcuno di quei rametti, e farli dondolare. Mentre la gemma non resiste sotto le dita e con un colpo d’unghia il primo venuto vi fa saltar via una gemma; che sviluppata vi farebbe un ramo più grosso della vostra coscia; Perché è più facile, dice Dio, rovinare che fondare; E far morire che far nascere; E dar la morte che dar la vita. E la gemma non resiste. È anche perché non è fatta per la resistenza, non è incaricata di resistere. È il tronco, e il ramo, e quella radice maestra che sono fatti per la resistenza, che sono incaricati di resistere. Ed è la rude scorza che è fatta per la rudezza e che è incaricata di essere rude. Ma la tenera gemma non è fatta che per la nascita e non è incaricata che di far nascere. (E di far durare.) (E di farsi amare.) Ora io ve lo dico, dice Dio, senza questo germogliare della fine d’aprile, senza quelle migliaia, senza quell’unico piccolo germogliare della speranza, che evidentemente chiunque può spezzare, senza quella tenera gemma cotonosa, che il primo venuto può far saltare con l’unghia, tutta la mia creazione non sarebbe che del legno morto. E il legno morto sarà gettato nel fuoco.
Charles Peguy da:IL MISTERO DEI SANTI INNOCENTI


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peguy

domenica, 22 febbraio 2009

Santuario
***
Gesù non è venuto per dirci delle cose semplici.

Gesù non ci ha affidato delle parole morte da conservare nell'olio rancido, come le mummie d'Egitto... Ci ha dato delle parole vive, di vita.

La morale è stata inventata dai deboli. Ma la vita cristiana è stata inventata da Gesù Cristo.

Gesù ha creato per noi il modello perfetto dell'obbedienza filiale e della sottomissione, nel medesimo tempo che creava per noi il modello perfetto del lavoro manuale e della pazienza.

L'obbedienza, la sottomissione quotidiana di Gesù a Giuseppe e a Maria non erano che l'annuncio, la raffigurazione, l'anticipo della tremenda obbedienza e sottomissione del Giovedì Santo.

L'incarnazione: ecco l'unica storia interessante che sia mai accaduta.

Gesù ha predicato, pregato, sofferto... Dobbiamo imitarlo secondo tutte le nostre forze... Dobbiamo sforzarci con tutte le nostre forze umane di diffondere, di insegnare la parola divina, meglio che ci è possibile; dobbiamo sforzarci con tutte le nostre forze umane di pregare meglio che ci è possibile, secondo la parola divina; dobbiamo sforzarci con tutte le nostre forze umane di soffrire quanto più ci è possibile, e fino all'estrema sofferenza, senza mai finire, tutto ciò che ci è possibile dell'umana sofferenza.

Vi è una questione, intorno alla quale siamo sicuri che non ci sarà mai riconciliazione, ma scissione eterna: la questione di Gesù:.. Sfido chiunque a trovarmi nei tempi dei tempi un solo uomo che come storico abbia parlato di Gesù. Di lui è possibile parlare solo da cristiani o da anticristiani.

La Comunione dei Santi comincia da Gesù, egli ne fa parte, ne è il capo. Tutte le preghiere, tutte le sofferenze messe insieme, tutte le fatiche, tutti i meriti, tutte le virtù messe insieme, sia di Gesù che di tutti gli altri santi messi insieme, tutte le santità messe insieme lavorano e pregano per tutto il mondo, per tutta la cristianità.

Gesù si è abbandonato all'esegeta, allo storico, al critico, come si è abbandonato ai soldati, ai giudici, al popolo... Se avesse tentato di sfuggire alla critica e alla controversia, se si fosse sottratto all'esegeta, al critico, allo storico, l'incarnazione non sarebbe stata integrale.

Vi è in Omero un certo cielo sopra la terra la quale è diversa dal suo cielo... Quel cielo non è una cosa sola con la terra... i suoi dei non sono gli dei di quegli uomini... Voi mi capite benissimo: Gesù è dell'ultimo dei peccatori e l'ultimo dei peccatori è di Gesù. È uno stesso. mondo. Per quelli invece, gli dei non sono loro amici, ed essi non sono amici loro.

C'è nel cielo un tesoro di grazia, che scende eternamente e che è eternamente pieno; ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro delle sofferenze, il tesoro eterno delle sofferenze. La passione di Gesù l'ha posseduto interamente, d'un tratto. Tuttavia egli aspetta sempre che anche noi l'abbiamo a possedere interamente, ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro delle preghiere. Subito, la prima volta, Gesù l'ha posseduto interamente. Egli aspetta sempre che noi l'abbiamo a possedere interamente, ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro dei meriti. Esso è colmo, completamente colmo dei meriti di Gesù. È un tesoro infinito, al quale tuttavia noi non possiamo aggiungere nulla. Ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro delle promesse. Subito Gesù ha mantenuto tutte le promesse... Esse aspettano il loro avverarsi, il loro compiersi eternamente da noi, anche da noi, perfino da noi.

Egli era troppo grande fra i dottori della legge... si era manifestato troppo come Dio. Ai dottori non piace questo... Quel giorno egli li aveva certamente feriti: a dodici anni... A trentatré anni l'avevano finalmente nelle unghie. I dottori hanno la memoria lunga.

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gesù, peguy

domenica, 01 febbraio 2009

 Tutto il resto son cazzate
 ***
«Un Dio, amico mio, Dio si è disturbato, Dio si è sacrificato per me. Questo è il fulcro e il punto di congiunzione del meccanismo. Tutto il resto non è altro che quel che Tucidide, in privato, chiamava cazzate»
Charles Péguy, Clio.

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peguy

martedì, 06 gennaio 2009

Egli è qui.
 E' qui come il primo giorno
***
«Così ciascuno poteva avvicinarti. E quel vecchio, alla sera della sua vita, ti ha baciato come un piccolo bimbo ordinario. Ti ha sicuramente baciato. Come a un vecchio, come ai vecchi piace baciare i bambini, i piccoli, i bimbi piccoli piccoli. (...) Che mistero, mio Dio, che mistero.
Quando si pensa, quando si pensa, bisognava essere lì, bastava essere nati giusto lì, in quel tempo e in quel paese. Mio Dio, mio Dio, hai dato ai tuoi carnefici ciò che fu rifiutato a tanti dei tuoi martiri. (...) Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi; felici coloro che mangiavano il pane alla tua tavola; e Giuda, Giuda stesso ha potuto avvicinarti. Felici coloro che bevevano il latte delle tue parole. Felici coloro che mangiarono, un giorno, un giorno unico, un giorno tra tutti i giorni, felici di una gioia unica, felici coloro che mangiarono un giorno, un giorno unico, quel giovedì santo, felici coloro che mangiarono il pane del tuo corpo; te stesso consacrato da te stesso; con una consacrazione unica;
un giorno che mai ricomincerà; quando tu stesso dicesti la tua prima messa; sul tuo stesso corpo; (...) quando di quel pane, davanti ai dodici, e davanti al dodicesimo, il tredicesimo, facesti il tuo corpo; e quando di quel vino facesti il tuo sangue; (...) Quando si pensa, mio Dio, quando si pensa, mio Dio, quando si pensa che tu eri lì, che non c'era che da avvicinarti, mistero terribile; che non c'era che da avvicinarsi a quel mistero terribile. No, quando si pensa che è successo una volta. Che si è visto questo sulla terra. (...) Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente. Se tu fossi qui, Dio, non andrebbe così, tuttavia. Le cose non sarebbero mai andate così.
(Madama Gervaise)
Egli è qui.
È qui come il primo giorno.
È qui tra di noi come il giorno della sua morte.
In eterno è qui tra di noi proprio come il primo giorno.
In eterno tutti i giorni.
È qui fra di noi in tutti i giorni della sua eternità.
Il suo corpo, il suo medesimo corpo, pende dalla medesima croce;
I suoi occhi, i suoi medesimi occhi, tremano per le medesime lacrime;
Il suo sangue, il suo medesimo sangue, sgorga dalle medesime piaghe;
Il suo cuore, il suo medesimo cuore, sanguina dal medesimo amore
.
(...)
È la medesima storia, esattamente la stessa, eternamente la stessa, che è accaduta in quel tempo e in quel paese e che accade tutti i giorni in tutti i giorni di ogni eternità».
(Da: Il mistero della carità di Giovanna D'Arco)
«Tant'è vero, tanto è reale che egli era divenuto uno di loro
E che si era legato alla loro sorte mortale
E che era divenuto uno di loro, per così dire a caso,
E che si era fatto uno di loro
Senza alcuna limitazione né misura.
Perché prima di quella perpetua, quell'imperfetta,
Quella perpetuamente imperfetta imitazione di Gesù Cristo,
Di cui essi parlano sempre,
Ci fu quella perfettissima imitazione dell'uomo da parte di Gesù Cristo,
Quell'inesorabile imitazione, da parte di Gesù Cristo,
Della miseria mortale e della condizione dell'uomo.
(...)
Un avvenimento è accaduto nell'intervallo, un avvenimento è intervenuto, un avvenimento ha fatto una barriera.
Il fatto che mio figlio è venuto».

Peguy
(Da: Il Mistero dei santi innocenti)
da:
http://www.tracce.it/

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gesù, peguy

venerdì, 10 ottobre 2008

Si è cristiani quando si appartiene alla Chiesa
 ***
 "Chi non è affatto cristiano, chi non capisce niente di cristianesimo, chi gli è veramente estraneo è colui che non è peccatore, letteralmente è colui che non commette alcun peccato. Invece il peccatore, insieme con il santo, entra nel sistema, è del sistema del cristianesimo. Chi non entra in questo sistema, chi non dà la mano è quello che non è affatto cristiano, che non capisce niente di cristianesimo. Il peccatore tende la mano al santo, dà la mano al santo, poiché il santo dà la mano al peccatore. E tutti insieme, l'uno attraverso l'altro, l'uno tirando l'altro, risalgono fino a Gesù, fanno una catena che risale fino a Gesù. Una catena inestricabile di dita. Chi non è cristiano, chi non capisce niente di cristianesimo, in cristianità, in materia di cristianità, è chi non dà la mano. Poco importa cosa ci faccia poi dopo con quella mano. Quand'anche un uomo potesse compiere anche l'azione più alta del mondo senza essere stato immerso nella grazia, quest'uomo sarebbe uno stoico, non un cristiano. E quando un uomo può commettere la più bassa azione del mondo precisamente senza commettere un peccato, quest'uomo non è un cristiano. Il cristiano non si definisce affatto per il livello che raggiunge, ma per la comunione. Non si è affatto cristiani perché si è ad un certo livello, morale, intellettuale, anche spirituale. Si è cristiani perché si appartiene ad una certa razza ascendente, ad una certa razza mistica, ad una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue".
Charles Péguy

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chiesa, peguy

lunedì, 06 ottobre 2008

L'ultimo ricorso
***
grazie a: cuoredipizza.

«La Madonna mi ha salvato dalla disperazione. Era il pericolo più grave: le persone come noi hanno sempre fede e carità quanto è necessario. Ma è la speranza che può mancare…
Per diciotto mesi non ho potuto dire il Padre Nostro… Non potevo dire: "Sia fatta la tua volontà". Non potevo proprio. Comprendete? Non si trattava di dire le preghiere in un modo qualsiasi. Si trattava di dire con verità quello che dicevo
. E non potevo dire con verità: "Sia fatta la tua volontà".
Allora ho pregato Maria. Le preghiere a Maria sono le preghiere di riserva... Non ce n'è una in tutta la liturgia, una, capite, una che il peggiore dei peccatori non possa dire con verità. Nel meccanismo della salvezza, l'Ave Maria è l'ultimo soccorso. Con essa non si può essere perduti. »
Charles Péguy, Lettera del 1909


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maria, peguy

martedì, 19 agosto 2008

L’apparenza
***
Oggi tutti i testi scompaiono sotto i commenti, tutti i testi vivi sono coricati morti sotto la polvere muta e sotto la cenere del cicalio delle chiose, tutti gli spiriti si pietrificano in tutte le lettere, tutti i popoli scompaiono sotto le demografie, le società sotto le sociologie, i monumenti crollano sotto le archeologie, le iscrizioni si disgregano sotto le epigrafie, gli affreschi cadono a scaglie, le nazioni scompaiono sotto le demagogie, persino tutte le infanzie scompaiono sotto le pedagogie, ogni vita scompare nel sudario della registrazione, ogni invenzione é morta, tutti gli istinti si vetrificano in intelletti...ogni razza, ogni linfa, ogni sorgente é sepolta in questo strascico mortuario, nello strascico nervoso e spugnoso e sporco di tutta questa cenere."
 C. Peguy

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peguy

mercoledì, 04 giugno 2008

La libertà
***
 «Come un padre che insegna a suo figlio a nuotare nella corrente del fiume e che è diviso fra due sentimenti./ Perché da un lato se lo sostiene sempre e lo sostiene troppo il bambino si attaccherà e non imparerà mai a nuotare./ Ma anche se non lo sostiene al momento giusto questo bambino berrà un sorso cattivo/Così sono io quando insegno loro a nuotare nelle loro prove. /Anch’io sono diviso fra questi due sentimenti./Perché se li sostengo sempre e li sostengo troppo /Non sapranno mai nuotare da soli./Ma se io non li sostenessi proprio al momento giusto/Questi poveri bambini berrebbero forse un sorso cattivo/ Tale è la difficoltà, talmente grande./ E tale è la duplicità stessa, la doppia faccia del problema./Da un lato bisogna che facciano la loro salvezza da soli./ è la regola./Ed è formale. Altrimenti non sarebbe interessante. Non sarebbero uomini./ Ora io voglio che siano virili, che siano uomini e che guadagnino da soli/ i loro speroni di cavaliere./ Dall’altro non bisogna che bevano un sorso cattivo/ Avendo fatto un’immersione nell’ingratitudine del peccato  Tale è il mistero della libertà dell’uomo, dice Dio, e del mio governo su di lui e sulla sua libertà./ Se lo sostengo troppo, non è più libero. E se non lo sostengo abbastanza, va giù./ Se lo sostengo troppo, espongo la sua libertà, se non lo sostengo abbastanza, espongo la sua salvezza./Due beni in  un  certo senso quasi ugualmente preziosi./ Perché questa salvezza ha un prezzo infinito./ Ma che cosa sarebbe una salvezza che non fosse libera./Come potrebbe qualificarsi/ Noi vogliamo che questa salvezza sia acquisita da lui stesso. / da lui stesso uomo./ Sia procurata da lui stesso./
Venga in un certo senso da lui stesso. Tale è il segreto,/ Tale è il mistero della libertà dell’uomo./ tale è il prezzo che diamo alla liberta dell’uomo./ Perché io stesso sono libero, dice Dio, e ho creato l’uomo a mia immagine e somiglianza./Tale è il mistero, tale è il segreto , tale è il prezzo/ Di ogni libertà /La libertà di questa creatura è il più bel riflesso che c’è nel mondo della libertà del Creatore»
 Ch. Péguy, Lui è qui                     a M.

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libertà, peguy

sabato, 03 maggio 2008

Non conosco niente di così bello  in tutto il mondo

***
Ora lo dico, dice Dio, non conosco niente di così bello  in tutto il mondo
Che un piccolo bambino che s'addormenta dicendo la  sua preghiera
 Sotto l'ala del suo angelo custode
E che sorride agli angeli iniziando a dormire.
 E che già confonde tutto insieme e che non ne capisce  più nulla
" E che affastella le parole del Padre Nostro a vanvera alla rinfusa con le parole dell'Ave Maria
Mentre un velo già gli cala sulle palpebre
Il velo della notte sul suo sguardo e sulla sua voce.
Ho visto i più grandi santi, dice Dio. Ebbene io ve lo dico. Non ho mai visto niente di così simpatico e quindi
non conosco niente di così bello nel mondo
Come questo bambino che s'addormenta dicendo la sua preghiera
(Come questo piccolo essere che s'addormenta confi- dando)
E che confonde il suo Padre Nostro con la suaAve Maria  Niente è così bello ed è anche un punto
Sul quale la Santa Vergine è del mio parere.
Su questo.
E posso ben dire che è l'unico punto sul quale abbiamo lo stesso parele. Perché generalmente siamo di parere diverso.
Perché lei è per la misericordia.
E io bisogna bene che sia per la giustizia.
§   Charles Peguy,  Lui è qui  pagine scelte Rizzoli

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bellezza, peguy

martedì, 25 marzo 2008

L'incarnazione

***

 
L'incarnazione: ecco l'unica cosa interessante che sia mai accaduta.

Peguy, Santuario

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gesù, peguy

martedì, 26 febbraio 2008

La Chiesa è comunione
***
«Tutta la debolezza crescente della Chiesa nel mondo moderno deriva dal fatto che non è rimasta quella che era: una comunione. È questa una delle  ragioni per cui i moderni non capiscono niente di cristianesimo, del vero, del reale cristianesimo, della storia reale del cristianesimo: la Chiesa nel mondo moderno non è più popolo, un popolo, un immenso popolo»
C. Peguy


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chiesa, peguy

domenica, 13 gennaio 2008

Egli e' qui
*** 
Egli e' qui.
E' qui come il primo giorno.
E' qui tra di noi come il giorno della sua morte.
In eterno e' qui tra di noi proprio come il primo giorno.
In eterno tutti i giorni.
E' qui fra di noi in tutti i giorni della sua eternita'
E' la medesima storia, esattamente la stessa, eternamente la stessa, che e' accaduta in quel tempo e in quel paese e che accade tutti i giorni in tutti i giorni di ogni eternita'.
In tutte le parrocchie di tutta la cristianita'.
C.  Peguy Da "Il mistero della carita' di Giovanna d'Arco"



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chiesa, peguy


Ne abbiamo ricevuti abbastanza di avvertimenti
***
Ne abbiamo ricevuti abbastanza di avvertimenti. Tredici secoli di cristiani, tredici secoli di santi, tredici secoli di cristianita'. Ne dovremmo sapere. Una volta. Una volta, due volte, tre volte. E il gallo canto'. Ma per noi e' la millesima, e' la centomillesima, e' la centesima di millesime volte che Lo consegnamo; che L'abbandoniamo, che Lo tradiamo; che Lo disconosciamo, che Lo rinneghiamo. Migliaia e centinaia di migliaia di volte che Lo rinneghiamo nello smarrimento del peccato... Ahime', ahime', deve cominciare a esserci abituato. Gliene abbiamo dato l'abitudine; un'abitudine proprio a Lui; ce l'abbiamo abituato. Gli abbiamo dato questa singolare abitudine: di essere rinnegato. La stessa storia succede sempre. Grazie alla presenza reale, alla presenza di Gesu', la stessa storia succede sempre... Gesu' perdono' e istantaneamente, in anticipo aveva perdonato il rinnegamento di Pietro. Dio voglia che ci abbia preso l'abitudine; e che parimenti perdoni anche i nostri rinnegamenti innumerevoli. Dio voglia che Dio abbia preso l'abitudine. Dio voglia aver preso l'abitudine. Anche quell'abitudine.
C.  Peguy Da "Il mistero della carita' di Giovanna d'Arco"



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peguy


PERCHÉ È CARNALE ANCHE IL SOPRANNATURALE
***
Signore, che li avete modellati con quella terra,
non meravigliatevi se di terra li trovate fatti.
Voi li avete confinati sulla dura galera.
Non meravigliatevi se li trovate galeotti.

Signore, che con quella terra li avete nutriti,
non meravigliatevi se quella pastura
ne ha fatto uomini ingrati ed eremiti,
poveri di nobiltà e poveri di natura.

Signore, che con quella terra li avete formati,
non meravigliatevi se li trovate informi,
gobbi, storti, sornioni e deformi,
cattivi di natura e di carattere depravati.

Signore, che con quella terra li avete nutriti,
non meravigliatevi se nella menzogna li trovate incalliti,
e se quell'origine e quella pastura
ne ha fatto questa razza oscura e dura.

Signore, che con quella terra li avete modellati,
non meravigliatevi se alla terra li trovate attaccati.
Voi avete tracciato il solco da seguire.
Non meravigliatevi se a piedi vogliono partire.

Signore, che con quella terra li avete nutriti,
non meravigliatevi se quella pastura
ne ha fatto uomini rozzi ed eremiti,
poveri di nobiltà e d'origin insicura.

Signore, che con quella terra li avete modellati,
non meravigliatevi se di terra li trovate impastati.
Col fango e con la polvere voi li avete plasmati,
non meravigliatevi se nella polver sono incamminati

Signore, che con la folgore li avete colpiti,
non meravigliatevi se li trovate pieni di paura.
Voi che in quella polvere li avete formati,
non meravigliatevi se la polvere è la loro copertura

Voi li avete modellati con quell'umile materia,
non meravigliatevi se li trovate senza forza e profondità
Voi li avete modellati con quell'umile miseria.
Non stupitevi se la miseria è la loro eredità.

Voi che li avete fatti con argilla tenera,
non stupitevi se di lebbra son malati.
E voi che li avete consegnati ai vermi della terra,
non meravigliatevi se dentro son bacati.

Perché è carnale anche il soprannaturale
e l'albero della grazia ha radici profonde
e s'innesta nel suolo e cerca fin in fondo
e l'albero della razza è pur esso immortale.

Ed anche l'eternità è nel temporale
e l'albero della grazia ha radici profonde e
s'innesta nel suol e tocca fin in fondo
ed anche il tempo è un tempo intemporale.

E l'albero della grazia e l'albero della natura
han legato i due tronchi con nodi così solenni,
han talmente unito i loro destini fraterni
da formar un'unica essenza e un'unica statura.
[...]
L'anima che si salva salva anche il suo corpo,
come una sorella maggior si porta una tenera creatura.
E l'anima che approda alle supreme sponde del porto
è come un mietitore alla fine della mietitura.

E l'albero della grazia e l'albero della natura
così ben stretti intimamente stanno
che l'un e l'altro l'anima e il corpo fanno
 l'un e l'altro son carena e son alberatura.

L'un e l'altro creati e insieme creature,
l'un e l'altro navi sullo stesso mare salpate.
L'un e l'altro armati delle stesse armature,
l'un e l'altro culle sullo stesso niente abbandonate.
[...]
E l'uno non morirà senza che l'altro non perisca.
E l'uno non vivrà senza che l'altro non viva.
E l'uno non resterà senza che l'altro non s'unisca.
E l'uno non passerà sull'estrema riva

Senza che l'altro non lo segua da presso.
E l'uno non partirà nell'ultimo abbigliamento
 senza che l'altro non faccia lo stesso
e non s'imbarchi con lui sull'ultimo bastimento.

E Gesù è il frutto d'un materno seno,
Fructus ventris lui, il tenero neonato
dorme nella paglia, la pula e il fieno profumato,
le ginocchia piegate sotto il suo ventre terreno.

Charles Peguy,  Lui è qui  pagine scelte Rizzoli

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giovedì, 20 dicembre 2007

Affidarsi

 ***


Egli pensa ai suoi bambini che ha messo particolarmente sotto la protezione della Santa Vergine.
Un giorno che erano malati.
E che aveva avuto una grande paura.
E pensa ancora fremendo a quel giorno.
Che aveva avuto così paura.
Per loro e per sé.
Perché erano malati.
Ne aveva tremato nella sua carne.
All’idea soltanto che fossero malati.
Aveva ben capito che non poteva vivere così.
Con dei bambini malati.
E sua moglie che aveva una tale paura.
Così spaventosamente.
Che aveva lo sguardo fisso al di dentro e la fronte sbarrata
e non diceva più una parola.
Come una bestia che ha male.
Che tace.
Perché aveva il cuore serrato.
La gola strozzata come una donna che viene strozzata.
Il cuore in una morsa.
La gola nelle dita; nelle mascelle della morsa.
Sua moglie che serrava i denti, che serrava le labbra.
E che parlava raramente e con un’altra voce.
Con una voce che non era la sua.
Tanto aveva spaventosamente paura.
E non voleva dirlo.
Ma lui, per Dio, era un uomo. Non aveva paura di parlare.
Aveva perfettamente capito che le cose non potevano andare così.
Non poteva durare.
Così.
Non poteva vivere con dei bambini malati.
Allora aveva fatto un colpo (un colpo d’audacia), ne rideva
ancora quando ci pensava.
Si ammirava anche un po’. Ed era anche un po’ il caso. E ne fremeva ancora
Bisogna dire che era stato piuttosto ardito e che era un colpo
ardito.
Eppure tutti i cristiani possono fare altrettanto.
Ci si domanda perfino perché non lo facciano.
Come si prendono tre bambini da terra e come li si mettono
tutti e tre.
Insieme. Contemporaneamente.
Per divertirsi. Per una specie di gioco.
Nelle braccia della loro madre e della loro nutrice che ride.
E dà in esclamazioni.
Perché gli se ne mettono troppi.
E non avrà la forza di portarli.
Lui, ardito come un uomo.
Aveva preso, con la preghiera aveva preso.
(Bisogna che Francia, bisogna che cristianità continui.)
I suoi tre bambini nella malattia, nella miseria in cui giacevano.
E tranquillamente te li aveva messi.
Con la preghiera te li aveva messi.
Molto tranquillamente nelle braccia di colei che è carica di
tutti i dolori del mondo.
E che ha già le braccia così cariche.
Perché il Figlio ha preso tutti i peccati.
Ma la Madre ha preso tutti i dolori.
Lui aveva detto, con la preghiera aveva detto: Non ne posso più.
Non ci capisco più nulla. Ne ho fin sopra la testa.
Non voglio saperne più nulla.
La cosa non mi riguarda.
(Bisogna che Francia, bisogna che cristianità continui.)
Prendili. Te li do. Fanne quel che vorrai.
Io ne ho abbastanza.
Colei che è stata la madre di Gesù Cristo può ben essere anche la madre di questi due maschietti e di questa bambina.
Che sono i fratelli di Gesù Cristo.
E per i quali Gesù Cristo è venuto al mondo.
Cosa ti può fare questo. Ne hai tanti altri.
Cosa ti può fare, uno di più uno di meno.
Hai avuto il piccolo Gesù. Ne hai avuti tanti altri.
(Voleva dire nei secoli dei secoli, tutti i bambini degli uomini,
tutti i fratelli di Gesù, i fratellini, e ne avrà talmente tanti
nei secoli dei secoli.)...
 
...E’ perfino curioso che non tutti i cristiani facciano altrettanto.
E’ così semplice.
Non si pensa mai a ciò che è semplice.
Si cerca, si cerca, ci si dà da fare, non si pensa mai alla cosa
più semplice.
Insomma si è sciocchi, tanto vale dirlo subito....
...E’ il contrario di un uomo che ha ingaggiato i suoi figli in
una fattoria.
Resta il proprietario dei suoi figli.
Ed è il fattore che ne diventa l’affittuario. Il fattore.
Lui al contrario non vuole più essere che l’affittuario dei suoi
figli.
Non ne ha più che l’usufrutto.
Ed è il buon Dio che ne ha la nuda (e la piena) proprietà.
Ma è un buon proprietario, il buon Dio.
Ammira come quest’uomo è saggio.
Quest’uomo che non vuole più essere che il fattore dei suoi
figli.
Quest’uomo che se ne va, che se ne ritorna a mani vuote.
Perché Dio non è geloso, né la santa Vergine.
Gli lasceranno tranquillamente tutto il godimento dei suoi figli.


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fede, peguy

sabato, 08 dicembre 2007

Il  Cristianesimo

***
“(...) Tutto ciò che sta al centro è questo.
Il coinvolgimento del temporale nell’eterno
e dell’eterno nel temporale. Tolto il
coinvolgimento non c’è più niente. Non c’è
più un mondo da salvare. Non ci sono più
anime da salvare. Non c’è più alcun
cristianesimo. (...) Non c’è più né tentazione,
né salvezza, né prova, né passaggio,
né tempo, né niente.
Non c’è più né redenzione, né incarnazione,
e neanche la creazione. Non ci sono più
né ebrei né cristiani. Non ci sono più
né promesse, né il mantenimento delle
promesse, il compimento delle promesse,
le promesse mantenute. Non c’è più
cristianesimo, non c’è più niente. (...) Non
c’è più l’operare della grazia. Non ci sono
più le promesse e i compimenti, il lento
disporsi lungo il tempo, lungo la storia.
L’incamminarsi e il raggiungere, l’ottenere.
(...) Cade tutto. Non c’è più cristianesimo
né niente. Ci sono solo cocci senza nome,
materiali senza forma, calcinacci e rovine;
rovine informi, cumuli e macerie,
mucchi e affastellamenti; scompigli, disastri,
come quello che abbiamo sotto gli occhi;
vergognose contraffazioni, imitazioni
amorfe, immagini scandalose, parodie
infami. Delle eresie grottesche. Non vi è più
il cristianesimo; non vi è più questa storia
meravigliosa, unica, straordinaria,
inverosimile, eterna temporale eterna,
divina umana divina, quel punto
d’intersezione, quell’incontro meraviglioso,
unico, del temporale nell’eterno,
e reciprocamente dell’eterno nel temporale,
del divino nell’umano e mutualmente
dell’umano nel divino.
(...) Ecco, amico mio, ecco il cristianesimo.
Ecco il cristianesimo. Di quello vero.
Il resto, amico mio, tutto il resto, va beh...
diciamo che tutto il resto è ottimo per la
storia delle religioni. È questa legatura,
eterna, temporale, più ancora che questa
legatura, quell’incastro perfetto,
quell’inversione, quell’incrostazione
dell’uno nell’altro; come questa
incrocificazione dell’uno nell’altro;
che fa il cristianesimo. Tutto il resto rimane
un’eccellente materia di insegnamento”.
(C. Péguy)



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cristianesimo, peguy

domenica, 02 dicembre 2007

Il Cristianesimo
***
 il cristianesimo non è la religione del progresso, ma della salvezza”
 C.Péguy


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cristianesimo, peguy



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