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domenica 19 febbraio 2012

Peguy2


Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza!
***


Non saranno questi saggi maestrucoli
che ci adorneranno il giorno del giudizio.
E non saranno le loro illustri opere
ad adornarci il giorno della collera.
Non gli articoli del Codice penale
invocheremo in quella estrema lotta.
Conosceremo un altro Tribunale,
e cercheremo cogli occhi altro Avvocato.
Non del Codice e dei suoi accessori
ci copriremo in quella radunanza
e non col Codice e colle sue fandonie
rivestiremo il nostro spogliamento.
E gli occhi cercheran per l'alma scellerata
un'altra copertura, un altro vestimento.
E gli occhi cercheran per questa copertura
il materno manto d'un'illustre Avvocata.
E gli occhi cercheran per l'alma candidata
un'altra copertura, un altro vestimento.
E gli occhi cercheran per questa copertura
lo splendido mantello di giovane Avvocata.
E gli occhi cercheran per l'alma rinnegata
un'altra copertura, un altro vestimento.
E gli occhi cercheran per questa copertura
il mantello virtuoso d'una grande Avvocata.
E gli occhi cercheran per l'alma laureata
un'altra copertura, un altro vestimento.
E gli occhi cercheran per questa copertura
il candido mantello d'una bella Avvocata.
Advocata nostra, ciò che cercheremo
è il ricoprirci d'un illustre mantello.
Et spes nostra, salve, ciò che troveremo
è la porta e l'accesso a un illustre castello."
Charles Pèguy



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maria, peguy

giovedì, 01 novembre 2007


La  vera Speranza
***
Conosco bene l’uomo. Sono io che l’ho fatto. E’ uno strano essere.
Perché in lui entra in gioco questa libertà che è il mistero dei misteri.
Gli si può ancora chiedere molto. Non è troppo cattivo…
Quando si sa come prenderlo gli si può ancora chiedere molto.
Farlo rendere molto. E Dio sa se la mia grazia sa prenderlo,
se con la mia grazia so prenderlo. Se la mia grazia è insidiosa,
abile come un ladro. E come un uomo che caccia la volpe.
Io so prenderlo. E’ il mio mestiere. E anche questa libertà è mia creazione.
Gli si può chiedere molto cuore, molta carità, molto sacrificio.
Ha molta fede e molta carità.
Ma quel che non gli si può chiedere, Dio buono, è un po’ di speranza.
Un po’ di fiducia, insomma, un po’ di distensione.
Un po’ di resa, un po’ di abbandono nelle mie mani,
un po’ di desistenza. Lui si irrigidisce sempre.
Ora tu, notte figlia mia, ci riesci, a volte, lo ottieni a volte questo.
Dall’uomo ribelle.
Che acconsenta, questo signore, che si arrenda un po’ a me.
Che distenda le sue povere membra stanche su un letto di riposo.
Che distenda un po’ su un letto di riposo il suo cuore indolenzito.
Che la sua testa soprattutto non funzioni più. Funziona già troppo, la sua testa. E lui crede che sia una cosa seria, che la sua testa funzioni così.
E i suoi pensieri, no, quel che lui chiama i suoi pensieri.
Che le sue idee non girino e non sbattano più nella sua testa e non suonino più come semi di zucca.
Come un sonaglio in una zucca vuota.
Quando si vede cosa sono, quel che lui chiama le sue idee.
Povero essere. Non mi piace, dice Dio, l’uomo che non dorme.
Quello che brucia nel suo letto di inquietudine e di febbre…
Colui che la sera andando a letto fa piani per l’indomani.
Costui non mi piace, dice Dio.
Lo sciocco, non sa neanche come sarà fatto il domani.
Non conosce neanche di che colore sarà il cielo.
Farebbe meglio a dire la sua preghiera. Non ho mai rifiutato il pane del giorno dopo.
Colui che è nella mia mano come il bastone nella mano del viaggiatore, costui mi è gradito, dice Dio.
Colui che è nelle mie braccia come un neonato che ride,
e che non si preoccupa di niente,
e che vede il mondo negli occhi di sua madre e della sua balia,
e che non lo vede e non lo guarda che lì,
costui mi è gradito, dice Dio.
Ma colui che fa dei calcoli, colui che in se stesso, nella sua testa, per l’indomani lavora come un mercenario.
Lavora spaventosamente come uno schiavo che gira una ruota in eterno (e detto fra noi come un imbecille)
Ebbene costui non mi è gradito affatto, dice Dio.
Colui che si abbandona mi piace. Colui che non si abbandona non mi piace, è così semplice.
Colui che si abbandona non si abbandona ed è l’unico a non abbandonarsi.
Ora tu notte, figlia mia, mia figlia dal grande manto, mia figlia dal manto d’argento,sei l’unica che vince talvolta questo ribelle e fa piegare questa dura cervice.
C. Peguy

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speranza, peguy

martedì, 30 ottobre 2007

La sedia di Péguy
***
«Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone né per gli intenditori né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta per sé, in sé, nella sua stessa natura. Esigevano che quella gamba fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio con cui costruivano le cattedrali». E sono solo io - io ormai così imbastardito - a farla adesso tanto lunga. Per loro,  in loro non c'era allora neppure l'ombra di una riflessione. il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sè che doveva essere ben fatto."
Charles Péguy
 

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bellezza, cristianesimo, peguy

giovedì, 27 settembre 2007

Preghiera alla Madonna
***
      «Ecco il luogo del mondo dove tutto diviene facile,
      Il rimpianto, la partenza e anche l’avvenimento,
      E l’addio temporaneo e la separazione,
      Il solo angolo della terra ove tutto si fa docile […].

      Ciò che dappertutto altrove è un’aspra lotta
      E una lama da macello tesa alla gola,
      Ciò che dappertutto altrove è la potatura e l’innesto

      Qui non è che il fiore e il frutto del pesco […].
      Ciò che dappertutto altrove è la noiosa abitudine

     
Seduta accanto al fuoco, le mani sotto il mento,
      Ciò che dappertutto altrove è solitudine
      Qui non è che un vivace e forte germoglio
[…].
      Ce ne han dette tante, Regina degli apostoli,
      Abbiamo perso il gusto dei discorsi
      Non abbiamo più altari se non i vostri
      Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice
».
      «Ce ne han dette tante, Regina degli apostoli,
Abbiamo perso il gusto dei discorsi
Non abbiamo più altari se non i vostri.
 Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice»
[è stato benedetto e confermato, io credo, specialmente da una cosa: il Santo Rosario].
      «
Non domandiamo niente, rifugio del peccatore,
      se non l’ultimo posto nel vostro purgatorio
,
 [perché la perseveranza finale è il dono più grande e così si domanda l’ultimo posto nel vostro purgatorio]
      per piangere a lungo sulla nostra povera storia,
      e contemplare da lontano il vostro giovane splendore
».

Charles Peguy pellegrinaggio a  Chartres

 

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preghiere, peguy

sabato, 22 settembre 2007

L’inizio vero,
una provocazione alla vita
***
Da Tracce di settembre07: editoriale
«Solo quando si ricomincia prendendo sul serio le proprie domande e le urgenze che stanno sotto il desiderio di significato, di vero e di bello che ci costituisce, la realtà quotidiana apre il suo tesoro di occasioni, di incontri, di scoperte. Se così non è, la scuola - come ogni altro luogo dove si vive - diviene un anonimo deserto dove si incontrano apparenze di persone, che esibiscono solo la parte esteriore, spesso più superficiale e perciò violenta, di se stesse. E invece che aule, ore, dialoghi dove si impara a essere liberi, diventa un caravanserraglio di mezzi schiavi. Invece che speranza per il futuro del Paese, emergenza sociale. «Le crisi di insegnamento - scriveva Charles Péguy, nel 1904, in un articolo per la riapertura delle scuole - non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita. Una società che non insegna è una società che non si ama, che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna»

 

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educazione, cristianesimo, peguy

giovedì, 06 settembre 2007

I Cristiani
***
«Che lo si voglia o no, siamo una società, una società del tutto libera, formiamo un’impresa di moralizzazione e forse, soprattutto, il che sicuramente è più complesso, e certo più importante, un’impresa che impedisce la demoralizzazione.  In un popolo ogni giorno più spezzato e ogni giorno sempre più dissolto nel fendersi e nel liquefarsi di tutte le demagogie, noi rappresentiamo, dobbiamo proprio rappresentare, un nucleo di resistenza, quasi fisicamente, siamo un corpo, un focolaio di resistenza alla demoralizzazione crescente, per così dire almeno a questa disintegrazione, a questa debacle, a questo disastro per così dire crescente ; a questa defezione perpetua, a questo smarrimento degli spiriti e dei cuori
Charles Péguy, Siamo dei vinti, 1909



 

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cristianesimo, peguy

sabato, 01 settembre 2007


La speranza
***
Si dimentica troppo, bambina mia, che la speranza è una virtù, che è una virtù teologale, e che di tutte le virtù, e delle tre virtù teologali, è forse quella più gradita a Dio.
Che è certamente la più difficile, che è forse l'unica difficile, e che probabilmente è la più gradita a Dio.
 La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare. Per non credere bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi a rovescio, mettersi a rovescio, andare all'inverso. La fede è tutta naturale, tutta sciolta, tutta semplice, tutta quieta. Se ne viene pacifica. E se ne va tranquilla. È una brava donna che si conosce, una brava vecchia, una brava vecchia parrocchiana, una brava donna della parrocchia, una vecchia nonna, una brava parrocchiana. Ci racconta le storie del tempo antico, che sono accadute nel tempo antico. Per non credere, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie. Per non vedere, per non credere.
 La carità va purtroppo da sé. La carità cammina da sola. Per amare il proprio prossimo basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare una tal miseria. Per non amare il proprio prossimo bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male. Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio. Andare all'inverso. La carità è tutta naturale, tutta fresca, tutta semplice, tutta quieta. È il primo movimento del cuore. E il primo movimento quello buono. La carità è una madre e una sorella.
 Per non amare il proprio prossimo, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie.
Dinanzi a tanto grido di miseria.
 Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.
 È la fede che è facile ed è non credere che sarebbe impossibile. È la carità che è facile ed è non amare che sarebbe impossibile. Ma è sperare che è difficile
(...)
 E quel che è facile e istintivo è disperare ed è la grande tentazione.
 La piccola speranza avanza fra le due sorelle maggiori e su di lei nessuno volge lo sguardo.
Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada fra le sue due sorelle la piccola speranza.
Avanza.
Fra le due sorelle maggiori.
Quella che è sposata.
E quella che è madre.
E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle maggiori.
La prima e l'ultima.
Che badano alle cose più urgenti.
Al tempo presente.
All'attimo momentaneo che passa.
il popolo cristiano non vede che le due sorelle maggiori, non ha occhi che per le due sorelle maggiori.
Quella a destra e quella a sinistra.
E quasi non vede quella ch'è al centro.
La piccola, quella che va ancora a scuola.
E che cammina.
Persa fra le gonne delle sorelle.
E ama credere che sono le due grandi a portarsi dietro la piccola per mano.
Al centro.
Fra loro due.
Per farle fare questa strada accidentata della salvezza.
Ciechi che sono a non veder invece
Che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori.
E che senza di lei loro non sarebbero nulla.
Se non due donne avanti negli anni.
Due donne d'una certa età.
Sciupate dalla vita.
 È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.
Perché la Fede non vede se non ciò che è.
E lei, lei vede ciò che sarà.
La Carità non ama se non ciò che è.
E lei, lei ama ciò che sarà.
La Fede vede ciò che è.
Nel Tempo e nell'Eternità.
La Speranza vede ciò che sarà.
Nel tempo e per l'eternità.
Per così dire nel futuro della stessa eternità.
La Carità ama ciò che è.
Nel Tempo e nell'Eternità.
Dio e il prossimo.
Così come la Fede vede.
Dio e la creazione.
Ma la Speranza ama ciò che sarà.
Nel tempo e per l'eternità.
Per così dire nel futuro dell'eternità.
La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà.
Ama quel che non è ancora e che sarà.
Nel futuro del tempo e dell'eternità.
Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole.
Sulla strada in salita.
Trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori,
Che la tengono per mano,
La piccola speranza.
Avanza.
E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare.
Come una bambina che non abbia la forza di camminare.
E venga trascinata su questa strada contro la sua volontà.
Mentre è lei a far camminar le altre due.
E a trascinarle,
E a far camminare tutti quanti,
E a trascinarli.
Perché si lavora sempre solo per i bambini.
E le due grandi camminan solo per la piccola
Peguy     Il Portico del Mistero della seconda virtù
 i bambini
 


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speranza, peguy

venerdì, 31 agosto 2007

Il Cristianesimo
***
 Cosi' noi navighiamo costantemente fra due curiali, noi manovriamo fra due bande di curiali: i curiali laici e i curiali ecclesiastici; i curiali laici che negano l'eterno del tempo, che vogliono disfare, smontare l'eterno del tempo, dal di dentro del temporale; e i curiali ecclesiastici che negano il temporale dell'eterno, che vogliono disfare, smontare il temporale dell'eterno, dal di dentro dell'eterno... Il cuore del cristianesimo, il centro, e' esattamente questo. Questo innesto del temporale dentro l'eterno e dell'eterno dentro al temporale. Sciolto questo innesto non c'e' piu' nulla. Non c'e' piu' il mondo da salvare. Non c'e' piu' nessuna anima da salvare. Non c'e' piu' nessun cristianesimo.
Peguy Clio
 

Postato da: giacabi a 20:26 | link | commenti (1)
cristianesimo, peguy

domenica, 12 agosto 2007

Le «persone oneste»
***
Proprio le persone più oneste, o semplicemente le persone oneste, o insomma coloro che vengono denominati tali, che amano ritenersi tali, non hanno essi stessi difetti nell'armatura. Non sono feriti. La loro pelle morale sempre intatta dà loro un cuoio e una corazza senza difetti. Non presentano quella apertura prodotta da una spaventosa ferita, da un'indimenticabile miseria, da un invincibile rimpianto, da un punto di sutura eternamente mal legato, da una mortale inquietudine, da un'invisibile recondita ansietà, da una segreta amarezza, da un precipitare perpetuamente mascherato, da una cicatrice eternamente mal rimarginata. Non presentano quell'apertura alla grazia che è essenzialmente il peccato. Poiché non sono feriti, essi non sono più vulnerabili. Poiché non mancano di niente non si dà loro niente. Poiché non mancano di niente non si dà loro ciò che è tutto. La stessa carità di Dio non medica colui che non ha piaghe. Perché un uomo era a terra, il Samaritano lo rialzò. Perché la faccia di Gesù era sporca Veronica la asciugò con un panno. Ora colui che non è caduto non sarà mai rialzato; e colui che non è sporco non sarà mai asciugato.
Le «persone oneste» non si lasciano bagnare dalla grazia. E una questione di fisica molecolare e globulare. Ciò che si definisce morale è uno strato che rende l'uomo impermeabile alla grazia. Da ciò deriva che la grazia agisce sui più grandi criminali e rialza i più miseri peccatori. Perché essa ha cominciato col penetrarli, col poterli penetrare. E da ciò deriva che gli esseri che sono a noi più cari, se sono sfortunatamente ricoperti di morale, sono intaccabili dalla grazia, impenetrabili. [...]
Perciò niente è contrario a ciò che si definisce (con un nome un po' vergognoso) religione quanto ciò che si definiste morale. La morale ricopre l'uomo contro la grazia. [...]
La morale è una proprietà, un regime e certamente un gusto della proprietà. La morale ci fa proprietari delle nostre povere virtù. La grazia ci dà una famiglia e una razza. La grazia ci fa figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo.
Charles Peguy :Lui è qui  Pagine scelte BUR

 

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peguy

domenica, 05 agosto 2007

Avere un'anima bell'e fatta 
***
 C'è qualcosa di peggio dell'avere un cattivo pensiero. E avere un pensiero bell' e fatto. C'è qualcosa di peggio dell'avere una cattiva anima e anche del farsi una cattiva anima. È avere un'anima bell'e fatta. C'è qualcosa di peggio anche dell'avere un'anima  perversa. È avere un'anima abituata. Si sono visti i giochi incredibili della grazia e le grazie incredibili della grazia penetrare in una cattiva anima e anche un'anima perversa e si è visto salvare ciò che sembrava perduto. Ma non si è visto bagnare ciò che era verniciato, non si è visto attraversare ciò che era impermeabile, non si è visto ammorbidire ciò che era abituato. Le cure e i successi e i salvataggi della grazia sono meravigliosi e si è visto recuperare e si è visto salvare ciò che era (come) perduto. Ma le peggiori miserie, le peggiori bassezze, le nefandezze e i delitti, ma il peccato stesso sono spesso i punti vulnerabili dell'armatura del- l'uomo, i punti vulnerabili della corazza attraverso la quale la grazia può penetrare nella corazza della durezza dell'uomo. Ma su questa inorganica corazza dell'abitudine tutto scivola, e ogni spada è smussata.
Charles Péguy, Lui è qui. Pagine scelte, a cura di Davide Rondoni e Flora Crescini, Rizzoli, Milano 1997

 

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peguy

venerdì, 03 agosto 2007

Il lavoro
***
Abbiamo conosciuto questo zelo spinto fino alla perfezione, uguale nell'insieme di un'opera come nei suoi dettagli. Abbiamo conosciuto questo desiderio del lavoro ben fatto, spinto e mantenuto fino all'estremo. Nella mia infanzia ho visto rimpagliare sedie in modo perfetto, con lo stesso spirito, lo stesso cuore e la stessa arte con cui lo stesso popolo aveva costruito le sue cattedrali. Anche ai nostri giorni, in fondo, il popolo non e per nulla soddisfatto di starsene nei cantieri con le mani in mano; preferirebbe lavorare, ha nel sangue questo desiderio: la mano non può stare inerte, ha voglia di lavorare. Ma sono venuti dei signori per bene, dei dotti, dei borghesi ed hanno spiegato a questi uomini operosi il socialismo e la rivoluzione.


 

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peguy

mercoledì, 28 marzo 2007

  LA SCRISTIANIZZAZIONE (Vedi  DICO)
***
Quando noi parliamo di scristianizzazione, quando noi constatiamo questo disastro della scristianizzazione, bisogna intendersi sui termini. Il peccatore ed il santo sono tutti e due propri del cristianesimo. Quando si dice che il mondo si scristianizza non si vuol dire affatto che nel sistema cristiano la santità sia stata una volta di più sommersa dai peccati. Quand’anche fosse, tutto questo non sarebbe niente…Ciò che constatiamo è infinitamente più grave: questo mondo moderno non è solamente un cattivo mondo cristiano, un mondo di cattivo cristianesimo, ma un mondo incristiano, scristianizzato. Ecco ciò che bisogna dire, vedere. Ecco ciò che tanti cristiani, e soprattutto tanti cattolici, ben intenzionati, non vogliono riconoscere, non vogliono vedere. E questa viltà impedisce loro di far qualcosa di utile, di salvare qualcosa… Sempre forse il contingente dei santi è stato miserabile in paragone al contingente dei peccatori… Ma il disastro, oggi, è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane. Ecco la novità. Finchè le nostre bassezze erano cristiane c’era scampo, c’era materia per la grazia… C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù non se ne va affatto. Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria di tempi. Non impiegò i suoi anni a gemere e lamentare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto semplice! Facendo il cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo: salvò il  mondo. Questi altri invece [parla degli “ecclesistici-intellettuali” laici o chierici che siano] vituperano, raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di Gesù c’erano anche allora il secolo e  le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare”.
 In “Véronique. Dialogue de l’histoire et de l’ame charnelle”, scritto pochi mesi prima della morte
Von Balthasar disse di Péguy: “Non si è mai parlato così cristiano”.

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cristianesimo, peguy

giovedì, 31 agosto 2006


IL BISOGNO UMANO
DEL “VERBO INCARNATO”

Da:IL PORTICO DEL MISTERO DELLA SECONDA VIRTÙ
(Questo e i seguenti brani di Ch. Peg
uy sono tratti da: Ch. Peguy, I Misteri, Milano, Jaca Book 1991.)

Gesù
Cristo, bambina, non è venuto per dirci frivolezze,
Capisci, non ha fatto il viaggio di venire sulla terra,
Un grande viaggio, detto tra di noi,
(E stava così
bene là dove era).
(Prima di venire
Non aveva tutte le nostre preoccupazioni),
Non ha fatto il viaggio di scendere sulla
terra
Per venire a contarci indovinelli E barzellette.
Non c
’è il tempo di divertirsi.
Lui non ha messo, non ha impiegato, non ha speso
I trentatrè anni della sua vita terrestre,
Della sua vita carnale,
I trent’
anni della sua vita privata,
I tre anni
della sua vita pubblica,
I tre giorni della sua passione e della sua morte,
(E nel limbo i tre giorni del suo sepolcro).
Non ha messo, non ha impiegato, non ha speso tutto questo,
I suoi trent
’anni di lavoro e i suoi tre anni di predicazione e i
suoi t
re giorni di passione e di morte,
I suoi trentatrè
anni di preghiera,
La sua incarnazione, che
è propriamente il suo incarnamento,
La sua messa in carne e in carnale, la sua messa in uomo e La sua messa in croce e la sua messa nella tomba,
La sua messa
nel carnale e il suo supplizio,
La sua vita d
ell’uomo e la sua vita d’operaio e la sua vita di prete
e la sua vita di santo e la sua vita di martire,
La sua vita di fedele,
La sua vita di Gesù
Per venire in seguito (nello stesso tempo) a contarci frottole.

Non ha messo, non ha impiegato, non ha speso tutto questo.
Non ha fatto tutta questa spesa
Considerevole
Per venire a darci, per darci in seguito
Degli indovinelli
Da indovinare
Come uno stregone.
Facendo il furbo.

No, no, bambina e Gesù
non ci ha neanche dato delle parole morte
Che noi dobbiamo chiudere in piccole scatole (o in grandi).
E che dobbiamo conservare in olio rancido
Come le mummie d
’Egitto.
Gesù Cristo, bambina, non ci dà delle conserve di parole
Da conservare,
Ma ci ha dato delle
parole vive
Da nutrire.
Ego sum via, veritas et vita,
Io sono la via, la verità
e la vita.
Le parole di (della) vita, le parole vive non si possono conser-vare che vive,
Nutrire vive,
Nutrite, portate, scaldate, calde in un cuore vivo.
Per nulla c
onservate ammuffite in piccole scatole di legno o di cartone.
Come Gesù
ha preso, è stato costretto a prendere corpo, a  rivestire la carne
Per pronunciare queste parole (carnali) e per farle intendere,
Per poterle comunicare,
Così noi, ugualmente noi, a
imitazione di Gesù
Così noi, che siamo carne, dobbiamo approfittarne,
Approfittare del fatto che siamo carnali per conservarle, per
scaldarle, per nutrirle in noi vive e carnali,
(Ecco ciò che gli angeli stessi non conoscono, bambina, ecco

cosa non han
no provato)
Come una madre carnale nutre, e fomenta sul suo cuore il suo
ultimo nato,
Il suo lattante carnale, sui suo seno,
Ben posato nella piega del suo braccio,
Così
approfittando del fatto che siamo carnali,
Dobbiamo nutrire, abbiamo da nutrire
nel nostro cuore,
Con la nostra carne e col nostro sangue,
Col nostro cuore,
Le Parole carnali,
Le Parole eterne, temporalmente, carnalmente pronunciate.
Miracolo dei miracoli, bambina, mistero dei misteri.
Perché
Gesù Cristo è divenuto nostro fratello carnale
Perché
ha pronunciato temporalmente e carnalmente le parole
eterne,
In monte, sulla montagna,
È a noi, infermi, che è stato dato,
È da noi che dipende, infermi e carnali,
Di far vivere e di nutrire e di mantenere vive nel tempo
Quelle parole p
ronunciate vive nel tempo.
Cristo e i Santi

Postato da: giacabi a 14:17 | link | commenti
chiesa, peguy

lunedì, 28 agosto 2006

Il modernismo
.
Siamo gli ultimi. Quasi quelli che vengono dopo gli ultimi. Subito dopo di noi ha inizio un'altra epoca, un altro mondo, il mondo di chi non crede più a niente, di chi se ne vanta e se ne inorgoglisce. Subito dopo di noi ha inizio il mondo che abbiamo definito, che non cesseremo mai di definire, il mondo moderno. Il mondo degli intelligenti,  dei progressisti, di quelli che la sanno più lunga, di quelli ai quali non la si dà a bere. Il mondo di chi non ha più niente da imparare. Il mondo di chi fa il furbo. Il mondo di chi non si lascia abbindolare, di chi non è imbecille. Come noi. Cioè, il mondo di chi non crede più a niente, neppure all'ateismo, di chi non si prodiga per nulla e non si sacrifica per nulla.
Non abbiamo paura delle parole. Il modernismo consiste nel non credere in ciò che si crede. La libertà consiste nel credere in ciò che si crede e nell'ammettere, (nell'esigere, in fondo) che anche il nostro vicino creda in ciò che crede.
Il modernismo consiste nel non aver nessuna credenza per non danneggiare l'avversario che anche lui non crede. È un sistema di reciproca abdicazione. La libertà consiste nel credere. E nell'ammettere, e nel credere che l'avversario creda.
Il modernismo è un sistema di compiacenza. La libertà è un sistema di deferenza.
Il modernismo è un sistema di politesse. La libertà è un sistema di rispetto.
Non bisognerebbe usare parole grosse, ma infine il modernismo è un sistema di viltà. La libertà è un sistema di coraggio.
Il modernismo è la virtù della gente di mondo. La libertà è la virtù del povero.

Charles P. Peguy

La nostra gioventù – Il denaro, UTET, Torino 1972

Charles Peguy


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laicismo, peguy

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