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domenica 19 febbraio 2012

persona2


    Il gran male dell’uomo :     
la perdita dell’io
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 C’è un’ideologia reale e incosciente che unifica tutti: è l’ideologia del consumo.
Uno prende una posizione ideologica fascista, un altro adotta una posizione ideologica antifascista, ma entrambi, davanti alle loro ideologie, hanno un terreno comune, che è l’ideologia del consumismo.
(...)Ora che posso fare un paragone, mi sono reso conto di una cosa che scandalizzerà i più, e che avrebbe scandalizzato anche me, appena 10 anni fa.
Che la povertà non è il peggiore dei mali, e nemmeno lo sfruttamento. Cioè, il gran male dell’uomo non consiste né nella povertà, né nello sfruttamento, ma nella perdita della singolarità umana sotto l’impero del consumismo.
Pier Paolo Pasolini


Postato da: giacabi a 20:24 | link | commenti
pasolini, persona

domenica, 02 dicembre 2007
Cristo divinizza l’uomo
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 :
 «Come la calamità attira a sé la limatura di ferro e, tenendola unita a sé, ne magnetizza ogni particella, così Egli attira e tiene stretti a sé, armonizza e divinizza i nostri istinti, i nostri desideri e le nostre passioni, i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Con questa molteplicità, Cristo ricostruisce nel suo amore, in una unità immortale, la nostra anima»

F. MAURIAC, Paro/e ai credenti, Morcelliana, Brescia 1954,
                                                    

Postato da: giacabi a 20:18 | link | commenti
persona, gesù, mauriac

domenica, 25 novembre 2007
La persona umana e la sua trascendenza
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La persona nella prospettiva cristiana: I corso di Antropologia cristiana

Individua substantia rationalis naturae

Le facoltà conoscitive: la ratio
L’intellectus
L’essere è pensato, voluto, amato
Il compimento dell’identità dell’uomo
L’ethos - La persona
Voglio cominciare la nostra riflessione dalla definizione, diventata ormai classica, di persona umana data da un filosofo del primo medioevo, Severino Boezio: persona è "individua substantia rationalis naturae", una sostanza individua della natura razionale.
Cominciamo con la parola razionale, con i problemi epistemologici. S. Tommaso ha individuato nella facoltà conoscitiva della persona umana due aspetti o piuttosto due funzioni: una è stata chiamata ratio, ragione, e l'altra intellectus, intelletto.
Per poter capire bene le parole è indispensabile ricavare il loro originario significato dalla loro etimologia. Le parole, a mio parere, nascono dall'esperienza umana e sono strettamente, organicamente legate a questa esperienza e alla realtà vissuta in tale esperienza.

Ratio deriva da reor e significa contare, calcolare. Oggi questa parola ha un grande successo, noi tutti esaltiamo il "razionalismo". Oggi questa ratio è applicata soprattutto nelle scienze esatte, come la matematica, la fisica, la biologia.
Per funzionare, la ratio deve prima ridurre tutto ad una realtà che possa essere calcolata; quindi il presupposto del funzionamento della ratio è una riduzione della realtà, compreso l'uomo, ad una realtà calcolabile. In filosofia questo avviene quando la materia è espressa solo attraverso la quantità. Ciò che conta per questa ragione è la quantità, la grandezza e il movimento della materia. Tutti noi che abbiamo studiato le scienze esatte sappiamo bene cosa significhi.
Come funziona questa ratio? Se riduco un oggetto a materia quantitate signata e sono determinato dal pregiudizio per cui della realtà così ridotta posso fare tutto ciò che voglio, poiché della materia che si esprime ed è determinata solo dalla quantità posso fare tutto ciò che mi permettono di fare la materia e la quantità stessa, allora non c'è nessun'altra regola per il mio comportamento se non la grandezza e il movimento (ad esempio, se non riesco a saltare tre metri è solo perché la materia e la quantità mi determinano così). Se non c'è nessun'altra regola, della realtà si può fare tutto ciò che si vuole.
Chi conosce solo attraverso la ratio, di fronte ad una certa materia deve prima sapere cosa ne vuole fare. Allora fa una ipotesi: se metto questa cosa in una determinata situazione dovrebbe comportarsi in un determinato modo; è una ipotesi che poi si deve verificare. Questo è il procedimento degli scienziati. Se riesco ad ottenere da una materia ciò che ho voluto applicando l'ipotesi che ho fatto, posso dire che la mia ipotesi si è verificata, ma non posso dire di aver conosciuto questa materia che mi è davanti.
Faccio un esempio: sto camminando per i campi di notte, c'è la luna, vedo un punto nero ad una certa distanza; cosa c'è? Come scienziato faccio un'ipotesi: forse è un ladro. Per verificare prendo un ragazzo e gli dico che quello è un ladro: se è un ladro il ragazzo dovrebbe spaventarsi. Ma anche se si spaventa, anche se la mia ipotesi funziona, non ho conosciuto veramente cosa c'è in quel punto; un altro ragazzo potrebbe non spaventarsi.
Noi facciamo un'ipotesi su tutto ciò che è e poi cerchiamo di verificarla, se così non avviene la modifichiamo; in questo modo ci costruiamo un mondo artificiale, astratto. La nostra civiltà oggi è tale: viviamo in un mondo artificiale, costruito dalle ipotesi e dagli esperimenti che verificano le ipotesi stesse. Questo mondo non si orienta secondo la verità degli esseri, delle cose, di questo punto nero su cui ho fatto tante ipotesi (ladro, elefante), ma è costruito dalle ipotesi, dalle verifiche ed è permeato dall'efficienza, dal successo, non dalla verità degli esseri.
Tutto questo nell'etica, nella vita morale, ha delle conseguenze disastrose perché perfino nell'etica, già da tempo, ci orientiamo secondo il successo e l'efficienza. È molto significativo che anche nel mondo ecclesiastico, anche nella pastorale ci si proponga come primo scopo l'efficienza. Tutti siamo formati un po' così. Per esempio: quando un ragazzo incontra una ragazza si comporta secondo una mentalità già formata: fa un'ipotesi sulla ragazza, ad esempio è bella, intelligente, ricca, si innamora e magari la sposa; così non ha sposato una ragazza, ma soltanto un'ipotesi su di lei. I giovani spesso sposano un'ipotesi sulla ragazza incontrata, non sposano questa ragazza. Di conseguenza la vita diventa solo una verifica di un'ipotesi. Se l'ipotesi non si verifica, o si verifica solo parzialmente, deve essere cambiata. (Ogni ipotesi può essere modificata perché spiega solo un particolare). Il divorzio spesso non è abbandonare questa ragazza, perché non l'ho mai conosciuta, ma abbandonare un'ipotesi su di lei, si divorzia da un'ipotesi; in questo caso addirittura il matrimonio non c'è stato. Tutta la nostra vita rischia di essere ridotta a costruzione di ipotesi e verifiche, rischia di essere un esperimento, o una serie di esperimenti; l'amore stesso diventa un esperimento.
Questo atteggiamento di fronte alla realtà e il mondo che esso produce, lo chiamo razionalismo. Da questo mondo razionalistico emergono tanti problemi: nel matrimonio, nella vita personale e interpersonale. Emergono anche i problemi ecologici perché riduciamo anche l'albero ad esempio, ad una ipotesi, considerandolo solo come una quantità di materia di cui possiamo fare qualsiasi cosa senza rispettare la verità stessa dell'albero, il suo essere soggetto, il suo essere qualcosa già determinato. Così riduciamo tutta la verità dell'albero alla sua quantità di materia e di movimento. Anche l'uomo viene considerato in questo modo.
Un tale mondo prima o poi si rivela non razionale, ma irrazionale. Il razionalismo non è razionale, costruisce solo un mondo artefatto, artificiale, astratto. Chi vive nel mondo artificiale del razionalismo non ha più nessun contatto con la realtà. Nella civiltà tecnica tutti viviamo "nelle nuvole", nell'astrazione, non abbiamo contatto con ciò che è, e perfino con noi stessi, perché anche noi costruiamo delle ipotesi su di noi, e il loro effetto è sempre un disastro. In un mondo del genere manca il contatto con ciò che è e così come è: manca la verità.
Il ragionare come calcolare può essere svolto anche da una macchina: nel mondo astratto, razionalistico, l'uomo sempre più viene sostituito da macchine calcolanti, perché la macchina conta meglio, è più efficiente; la regola è: minimo sforzo, massima efficienza.
Heidegger disse che le scienze esatte di oggi non pensano. Noi possiamo dire addirittura che lo scienziato, in quanto scienziato non pensa, ma calcola, fa ipotesi sulla materia, e se la realtà è ridotta alla materia e alla sua quantità, non ci resta che calcolare con precisione.

L'altra funzione della facoltà conoscitiva, di cui ha parlato S. Tommaso d'Aquino, è l'intelletto. La parola intelletto, anche dal punto di vista della sua etimologia, ci dice qualcosa di molto profondo. S. Tommaso ci ha dato un'etimologia sbagliata, ma in questo errore ci ha fatto intravvedere una grande intuizione sul funzionamento di questa facoltà conoscitiva. Secondo lui intellectus deriva da intus legere, leggere dentro, nell'intimo della realtà. La vera etimologia è invece un'altra: inter legere, leggere tra. Noi seguiamo l'etimologia di S. Tommaso perché esprime il suo vero pensiero. Intellectus, leggere dentro un essere, significa che devo entrare dentro questo albero, dentro questo fiore, dentro questo uomo se voglio conoscerli; entrare dentro e guardare, non costruire, ma guardare e leggere ciò che è la realtà.
S. Tommaso chiama questo atto di guardare dentro e dal di dentro la realtà, intuitio (Noi abbiamo banalizzato questo concetto: l'intuizione non è un presentimento, ma è un guardare). Intuitio deriva da in tueri: tueor significa custodire, vegliare.
Leggere la realtà così come essa è significa vegliare su di essa, custodirla. Colui che così conosce la realtà ne è custode, rispetta ciò che essa è. Conoscere la verità dell'albero, del fiore, dell'uomo significa vegliare, custodire, difendere la loro verità, cioè la loro identità. Heidegger ha detto che, non lo scienziato, ma il pensatore, l'uomo saggio è pastore dell'essere.
Se è così, è possibile affrontare la conoscenza dell'uomo in due modi: da un punto di vista razionalistico, che non è però razionale e permette solo di raggiungere un'ipotesi sull'uomo; oppure, dal punto di vista intellettuale, possiamo cercare di leggere dentro di lui ciò che è, vivendo così in un continuo stupore di fronte all'albero, al fiore, ma soprattutto di fronte all'uomo. Questo atteggiamento intellettuale ci porta all'uomo concreto, non ad un'idea dell'uomo.
Anche la metafisica è possibile solo sul piano intellettuale; purtroppo noi abbiamo costruito anche una metafisica razionalistica, che parla di un concetto astratto dell'essere, ma una tale metafisica è una scienza contraffatta, una imitazione della scienza, è una costruzione di teorie che non ci avvicina a ciò che è.
Studiando il pensiero di Rosmini, vi ho trovato un geniale senso del concreto e il rifiuto dell'astrattezza e delle ipotesi su ciò che è.
Rifiutiamo una filosofia astratta perché vogliamo conoscere l'uomo concreto. È ciò che Boezio esprime nella sua definizione dicendo che la persona umana e una sostanza individua, non è una cosa astratta, ma questa realtà concreta.

Quando noi "leggiamo" nella persona umana o in qualsiasi essere, troviamo per prima cosa, e questo ce lo dice la metafisica, che ogni essere (l'uomo, l'albero, il fiore) è già stato determinato, definito. I segni di questa definizione previa al nostro pensiero, riguardo all'uomo sono tre.
1) L'uomo rifiuta spontaneamente di essere trattato come un oggetto; anche guardando dentro di me, mi accorgo che qualsiasi tentativo di rendermi oggetto incontra un categorico "no", è un rifiuto spontaneo.
Possiamo rendere il fiore oggetto, sfruttarlo come vogliamo, ma ad un certo punto il fiore morirà: sparendo nei miei esperimenti, con la sua morte mi ha detto "no", che non mi sono comportato in modo adeguato alla sua verità, che l'ho violentato.
Così le scienze oggi trattano l'uomo come oggetto, perché hanno ridotto tutta la realtà, ogni realtà, ad una materia determinata dalla quantità di cui si può fare tutto ciò che la tecnica consente.

2) Il secondo segno che ogni essere è già definito è che quando io, malgrado il "no" che l'uomo mi risponde, lo tratto come un oggetto, sento il rimorso, mi vergogno. L'oggetto è sempre o utile per un interesse o utile per un piacere; rendere oggetto l'altra persona significa sfruttarla per quello che mi serve. Ma dopo sento il rimorso: significa che questo essere non era destinato ad essere sfruttato, ma a qualcosa d'altro. Rendendo oggetto l'altro uomo non ho conosciuto la sua verità.
3) Terzo segno che la realtà è già definita. Se io mi comporto secondo il "no" che l'altro dice, allora io mi adeguo a questa esigenza, a questa chiamata che proviene dall'altro essere o da me stesso. Così mi sento beato, mi sento come uno che è se stesso, libero, padrone di se stesso, mi sento uno che esiste secondo la propria identità. Questo significa essere dominus sui, padrone di se stesso, significa abitare nella propria casa: solo nella nostra casa siamo noi stessi, siamo liberi, come figli; solo il figlio è libero. Se in una casa qualcuno non è libero è mercenario, pagato: il mercenario non è libero, non agisce secondo la sua verità e la verità delle cose, ma secondo gli ordini e gli interessi per i quali viene pagato. È possibile sentirsi beati solo nella casa dove esistiamo come figli, nella casa del padre.
Il fatto che il fiore, l'uomo... è già determinato, significa che questo fiore, questo uomo è già stato o è continuamente pensato e, in questo senso, definito.
Se io costruisco ad esempio un fiammifero, un pezzetto di legno con dello zolfo, come fiammifero è solo una realizzazione del mio pensiero, un marziano potrebbe servirsene come arma; per poter conoscere il fiammifero il marziano dovrebbe leggere in esso la definizione che viene da me, perché sono stato io a costruire il fiammifero. Nel fiammifero come tale si rivela il mio pensiero. Così quando vedo un'opera d'arte leggo il pensiero dell'artista che si rivela nell'opera stessa. Immaginiamo ad esempio il Mosè di Michelangelo: il pensiero del suo creatore si rivela in quel pezzo di marmo; se io vedo che esso non è solo materia, ma una forma che esprime un pensiero, posso dire che quel pezzo di marmo è già definito da un pensiero che devo scoprire.
Così, se ogni essere è definito, significa che qualcuno sta pensando questo essere, questo albero, questo fiore, questo uomo: la realtà è già pensata. Pensare in questo modo significa creare: Michelangelo crea Mosè. In questo senso tutta la realtà in quanto pensata, è creata. Se qualcuno rifiuta la creazione non potrà mai pensare e parlare della verità.
Se oggi abbiamo la tendenza a ridurre il nostro parlare della verità e mettiamo tutto in dubbio, significa che abbiamo diminuito il significato della creazione stessa del mondo. Se sottolineiamo il mettere in dubbio significa che abbiamo ridotto il conoscere al calcolare, al costruire ipotesi modificabili, e che saranno senza dubbio modificate, in una continua ricerca della maggiore efficienza. Purtroppo questo modo di pensare si è insinuato perfino nella teologia e quando la teologia dovrebbe parlare di Dio, spesso ci parla di ipotesi su di Lui, prescindendo dalla Rivelazione costruisce delle ipotesi umane. Una teologia che ci porti a delle ipotesi su Dio e non a Dio stesso è una oscenità, è il frutto del razionalismo entrato nella teologia. Tali teologie sono contro il primo e il secondo comandamento.
Parlare della verità senza la creazione non ha alcun senso, rimane solo ciò che noi riusciamo a costruire e niente di più. Se il fiore non è pensato, se io non lo incontro come già pensato non posso conoscerlo, se il mondo non è già pensato, non è conoscibile, perché non c'è niente da conoscere, c'è tutto da costruire.
Alcuni filosofi, ad esempio Sartre, rifiutano a priori la creazione e arrivano a dire che quanto più siamo abili nel costruire, tanto più siamo liberi. Dostoevskij dice: "Se Dio non esiste tutto è lecito". Così non è la verità che decide della nostra libertà, ma sono le costruzioni efficienti che manifestano quanto è grande la nostra libertà. Sartre nella sua opera L'Essere e il Nulla dice che un ubriacone che si ubriaca ogni giorno liberamente, scegliendo la sua ubriachezza, è più grande moralmente di un leader che fa il bene del suo popolo, ma che si sente costretto a comportarsi così; allora un santo obbligato ad essere tale non è grande, ma un ubriacone che sceglie liberamente di essere così è grande. Si arriva ad un tale paradosso.
Allora se il fiore non è conosciuto non è conoscibile da noi, è solo da costruire; se il fiore così definito esiste significa che qualcuno l'ha pensato, l'ha definito, l'ha voluto: questo fiore esiste perché è stato voluto e continua ad essere voluto. Se io non volessi avere questa penna nelle mie mani, non ci sarebbe, se è qui significa che è stata voluta qui da me. Volere in questo senso, volere che ci sia ciò che è voluto, significa amare. Il fiore, il fiammifero, l'uomo in quanto esiste è voluto, è amato, quindi è amabile. Se questa penna è voluta da me nelle mie mani adesso, se è "amata" da me, allora, per questo motivo è amabile per tutti voi. Se vi rifiutate di amare questa penna, colpite il mio amore, e se la usate per uno scopo diverso da quello suo proprio, distruggete il mio pensiero creante questa penna; non solo vi comportate contro la penna, ma siete contro di me, contro il mio pensiero e contro il mio amore.
Lo stesso avviene con tutti gli esseri pensati e amati da Dio nell'atto della creazione. Rifiutare di conoscere ciò che è conoscibile perché è conosciuto e rifiutare di amare ciò che è amabile perché è amato, è un atto contro l'atto della creazione, contro la verità e contro l'amore.
Come non possiamo parlare della verità senza la creazione, così non possiamo neanche parlare dell'amore senza la creazione, perché diventerebbe solo una costruzione, servirsi di qualcosa per qualcosa e niente di più.
In questa prospettiva sarà più facile capire le parole della prima lettera di S. Giovanni: l'amore tra noi non consiste nel fatto che ci amiamo, ma nel fatto che siamo stati prima amati; in quanto amati siamo amabili tra di noi, in quanto conosciuti siamo conoscibili tra di noi.
Quindi senza la creazione non ha nessun senso parlare della conoscenza, della verità e dell'amore
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Da questo nascono importanti conseguenze, perché allora si può comprendere in che cosa consista la laicizzazione del fiore, dell'elefante, dell'uomo, in ultima analisi la laicizzazione della nostra coscienza, della nostra ratio e dell'intellectus: consiste nello staccare il fiore, l'elefante, l'uomo dall'atto della creazione, dal pensiero amoroso di Dio. Laicizzare significa quindi ridurre ogni essere alla sua fatticità, alla sua immanenza e tagliare il legame con Dio, con la Trascendenza. Quando questo legame è tagliato, quando il fiore non è più fiore perché non è più pensato né amato da nessuno, allora posso fare quello che voglio con esso, tutto è lecito. La scienza e la società laicizzate non si fermano nemmeno davanti all'uccisione dell'uomo (aborto, eutanasia) perché non c'è nessun legame tra quest'uomo e la Trascendenza, non è pensato, sono io che lo penso, se non mi serve più posso eliminarlo. Le conseguenze della laicizzazione sono disastrose per gli esseri, per il fiore, l'acqua, il bosco e soprattutto per l'uomo.
L'essere che si manifesta nel rifiuto di essere trattato come oggetto, perché è già pensato e amato, è l'essere che viene scoperto come soggetto. L'essere pensato da Dio costituisce ciò che in filosofia si chiama natura: è il contenuto, ciò che è stato definito in me in quanto costituisce il principio del mio agire e del mio esistere. Se io sono stato concepito, definito come uomo, significa che devo agire come soggetto, che questo contenuto, pensato dal pensiero creante di Dio, costituisce il principio del mio agire e del mio esistere: devo esistere e devo agire secondo la mia natura.
Chiamiamo pazzo chi pretende che un elefante si comporti come una rosa, ma purtroppo le scienze lo fanno perché considerano ogni essere solo come una materia di cui possono fare tutto ciò che vogliono. Allora per le scienze, teoricamente non è da escludere che in un futuro non si possano ottenere da un elefante gli effetti propri di una rosa, è solo un problema tecnico. Tutto questo è analogo all'esigere che l'uomo si comporti secondo una nostra ipotesi.
La definizione di persona umana, individua substantia rationalis naturae, può essere a questo punto compresa nel suo significato.

Ho detto che essere se stessi significa essere beati, realizzare in sé il pensiero che ci pensa creativamente e amorosamente. Se amo una ragazza devo rispettare il suo essere soggetto, così come è pensata da Dio.
Ma noi sappiamo dolorosamente, dall'esperienza, che non siamo pienamente noi stessi, esistiamo nel tempo, quindi diventiamo noi stessi. Divenire significa che la piena realizzazione del pensiero che sta pensandomi, creandomi adesso, che la piena realizzazione della mia identità, della mia natura, si trova nel futuro.
Se amo una ragazza, la amo attraverso il suo futuro: il fondamento dell'amore si trova nel futuro in cui ella sarà pienamente se stessa, in quel futuro verso cui sta già camminando. Ciascuno di noi cammina verso se stesso, partecipa di se stesso, in quanto deve ancora realizzarsi pienamente.
Volendo rispondere adeguatamente alla domanda "chi sei?" dovrei far vedere il mio futuro perché io sono pienamente in esso. Se mi rivelo ad una persona, io la chiamo a credere in me, nel futuro in cui sarò pienamente me stesso. Io mi sento chiamato ad essere me stesso, quindi chiamando un altro ad amarmi esigo da lui la fede in me, esigo che lui si senta obbligato a tenere conto del mio futuro.
Da ciò scaturiscono conseguenze enormi, per esempio per l'etica. Quando mi rivelo ad un altro attraverso il mio futuro, mi rivelo come uno che cammina verso se stesso, verso quel futuro. Io mi rivelo come uno che vive in un'estasi, sono un essere estatico, che sta nel suo futuro: sono qui, ma sono preso dal mio futuro, dal compimento di me stesso, dalla mia identità, vivo come uno che esce dal proprio presente verso il proprio futuro. Mi rivelo quindi agli altri come uno e doppio, qui e lì, come uno che c'è, ma nello stesso tempo deve ancora essere perché non è pienamente.
In questa prospettiva bisogna vedere tutta la storia degli Ebrei che fanno un esodo dall'Egitto, escono verso il loro futuro, verso la terra promessa.
Il compimento dell'identità, la cui promessa troviamo dentro di noi, costituisce per ciascuno di noi la terra promessa verso cui camminiamo: esistiamo come una continua risposta alla promessa, cioè come una fede, come una speranza, come un amore. Questa è la risposta alla chiamata che viene dalla terra promessa che è dentro di noi: io sono chiamato da me stesso ad esistere verso me stesso e verso il compimento della realtà, del fiore, del bosco, dell'acqua, della ragazza.
Siamo esseri estatici, la nostra piena definizione si trova nel futuro: quale è per me questo futuro, tale sono io. Io posso scegliere e dire: il mio futuro è un milione di dollari, rispondo a questa chiamata, questa è la mia terra promessa. Definirsi attraverso il futuro inteso come il compimento della mia identità significa identificarsi con tale realtà. Se la mia terra promessa sono i soldi, io mi identifico con i soldi, se è il sesso, mi identifico con il sesso, se è Dio mi identifico con Dio.
Qui possiamo trovare la più profonda spiegazione del termine alienazione. Il termine è stato divulgato da Marx e preso da Hegel, ma prima usato nel Nuovo Testamento da S. Paolo e da Cristo, ed espresso per la prima volta nella Genesi. Se io mi identifico con una realtà da possedere, con i soldi, con il sesso, con la carriera... allora io divento un oggetto da possedere, agisco contro il mio essere soggetto, divento uno alieno da se stesso, diverso da sé così come è stato concepito, pensato ed amato. Questo è alienarsi. Per poter salvare il mio essere soggetto dovrei identificarmi con una realtà che sia soggetto da ogni punto di vista e in ogni momento, che non possa essere in nessun modo posseduta.
Nel Simposio di Platone, la vecchietta Diotima risponde a Socrate spiegando come l'uomo esista liberandosi dai pregiudizi, come diventi più libero e meno schiavo uscendo dalla caverna, e che cosa sia la Bellezza. Dice che prima di tutto deve essere affascinato da qualcosa, per esempio da un corpo bello perché un bel corpo fa nascere dei bei pensieri; ma se si limita a possederlo, scoprirà che questo corpo non è solo bello, è anche brutto e allora sarà deluso. Se invece non cercherà di possederlo, scoprirà che in un corpo bello ci sono dei bei pensieri, delle belle azioni. Forse allora potrà essergli dato un istante in cui intravvedere cosa sia la Bellezza, una realtà che da ogni parte e in ogni momento è bella. Se si intravvede in un istante una tale realtà si è salvati, vale la pena di vivere solo grazie ad un tale istante.
Hölderlin, un poeta tedesco, disse che questi momenti sono rari, forse uno o due nella vita e tutta l'esistenza dopo è solo un sogno di questi istanti; se sentiamo che la nostra vita ha un senso è solo grazie alla memoria degli istanti in cui abbiamo intravisto la Bellezza.
Cercare un essere che è solo soggetto e identificarsi con esso, autodefinirsi attraverso di esso sarebbe diventare pienamente soggetti: è questo il compimento del nostro desiderio di essere soggetti e di essere trattati come soggetti. Secondo questo desiderio dobbiamo esistere verso la realtà identificandoci con la quale diventeremo pienamente soggetti, liberi, beati.
Dalla Rivelazione sappiamo che tutte le cose che si rivelano a noi (alberi, acqua, soldi, sesso) ci dicono che sono solo il riflesso del Soggetto, perché ogni cosa è soggetto in quanto è legata al Soggetto; ogni cosa mi dice che è qualcosa in quanto pensata da Qualcuno e mi orienta verso questo Qualcuno come verso la sorgente della soggettività degli esseri.
Una realtà che sia pienamente soggetto deve anche rivelarsi a noi, altrimenti possiamo solo intravvederla grazie al riflesso, come intravvediamo il sole dal riflesso sulla cima di una montagna.
Se io, come uomo laicizzato, taglio il legame che si riflette sulle cose, esse mi appaiano brutte. Quando uomini e donne, affascinati reciprocamente, si abbracciano in modo laicizzante, tagliano il legame, rimangono solo corpi che non sono neanche più belli. All'uomo laicizzato io applicherei ciò che gli psicologi prendono dall'esperienza degli animali e riferiscono all'uomo: "Post coitum omne animal triste". Questo è vero solo se è un coitus laicizzato, non adeguato all'identità degli esseri umani, se taglia il legame con il Soggetto che è Dio. Questo coitus laicizzato è un abbraccio in cui l'uomo non ha aiutato l'altro ad essere più se stesso, a camminare verso il compimento della propria identità che è in Dio, nel Soggetto.
Cristiani ed Ebrei sanno che questo puro Soggetto in cui non c'è niente da possedere è quel Dio che si rivelò come "sono Colui che Sono". Quando Diotima ha detto a Socrate che, avendo l'esperienza del bel corpo e dei bei pensieri, poteva essergli dato un istante in cui intravedere la Bellezza che è sempre bella, ha esposto un'esperienza che è molto vicina a quella di Mosè e del roveto ardente. Vedere nell'uomo, nel fiore, nell'albero, in ogni essere la rivelazione di Colui che è, è intravedere la rivelazione del Soggetto puro. Il legame degli esseri con un tale Soggetto compie la loro natura, il loro essere soggetto e non oggetto.
Se è così, allora il Soggetto puro, "sono Colui che Sono", che si rivela nel nostro essere pensati e amati, e per questo pensabili e amabili, costituisce il nostro futuro: possiamo chiamarlo anche Trascendenza (trascendere = sorpassare, andare oltre).
Ogni futuro è in un certo senso una trascendenza: se io oggi non ho, per esempio, mille dollari, essi, in quanto sono ancora da guadagnare, costituiscono una realtà che mi trascende. Per questo ogni realtà che ci manca e in cui abbiamo scelto di riporre il nostro compimento, può costituire per noi la trascendenza (essere presidente, ministro, essere beato...)
Da questo punto di vista si può leggere la storia di Don Giovanni che vede in una donna la sua trascendenza per oggi, ma, dopo averla conquistata e abbracciata in modo laicizzante, scopre che non è trascendenza perché non si è compiuto in essa; come una farfalla vola da un fiore all'altro. Il comportamento di Don Giovanni rivela una grande verità dell'uomo e sull'uomo. Solo una realtà che è puro Soggetto, Dio, "sono Colui che Sono", costituisce la Trascendenza in senso vero e proprio.
Fino a quando una realtà qualsiasi è posta dall'uomo come la sua trascendenza, essa è sacra e inviolabile; è fuori discussione; se pongo la mia trascendenza nei soldi, potrò discutere il modo in cui procurarmeli, ma non discuto i soldi stessi: la trascendenza è una cosa sacra.

Mircea Eliade racconta che i nomadi camminavano perché cercavano una terra che potesse essere per loro patria, dimora, una terra sulla quale sentirsi beati, padroni di se stessi. Come trovare tale terra? I nomadi aspettavano un segno senza cui non potevano decidere di rimanere in un posto, aspettavano un segno divino.
Anche il popolo polacco, per esempio, cercando la patria, la dimora, aspettava un segno. Una mattina questo popolo vide sulla quercia sotto cui aveva passato la notte, un'aquila che aveva fatto un nido. In una notte, in un tempo non adeguato e in un luogo dove non ci sono le aquile, al nord della Polonia, il fatto che l'aquila avesse nidificato era un segno attraverso il quale si rivelava per loro la divinità. Quel posto diventò allora il centro del loro mondo. Intorno alla quercia è nato il primo paese, che si chiama Gniezno (da gniazdo, nido) e che oggi è la sede del Primate. Il luogo in cui è avvenuta l'epifania del divino è diventato il centro della patria dei Polacchi. Oggi sullo stemma polacco c'è un'aquila.
Eraclito ha detto che la dimora per l'uomo è ciò che costituisce per lui la divinità, la dimora per l'uomo è il suo dio. Dimora in greco si dice ethos. Se io rispondo alla domanda: "chi sono?" attraverso il mio futuro, questa risposta rivela la mia casa, il luogo che ho scelto come dimora, come ethos (soldi, poltrona di presidente...).
Il segno dell'aquila ha introdotto subito un ordine nella vita dei polacchi, essi hanno incominciato a costruire le case intorno alla quercia. Anche nelle città medioevali c'era sempre un punto centrale dove si trovava la piazza, la chiesa, il municipio e tutte le strade erano ordinate in funzione di questo punto centrale.
Così anche la nostra vita, la vita della società e dell'uomo, si dispiega in funzione di un punto centrale, della trascendenza (Dio, soldi, sesso, carriera) intorno a cui noi costruiamo delle vie da percorrere, e cioè un'etica.
Ora, la trascendenza è l'epifania (o la rivelazione) del divino. Ma, come avviene tale epifania? Il divino si manifesta, si rivela, scende su questa terra e la ordina. I Greci (come gli Ebrei) iniziano la loro mitologia parlando di un Caos primordiale, poi il cielo, Uranos, è sceso e si è unito amorosamente con la terra, Gaia, così è nato il Kosmos, l'ordine. I Greci vedendo l'orizzonte hanno capito che l'atto di amore del cielo e della terra dà il punto di riferimento, l'orizzonte, che ci permette di capire la terra stessa; senza orizzonte non ci sarebbe ordine.
Ho detto che quando qualcuno mi chiede chi sono, rispondo indicando il mio compimento, il mio futuro, la mia trascendenza: soldi, carriera, pantaloni, sesso, Dio.
Nel teatro romano gli attori, quando rappresentavano un personaggio sul palcoscenico, portavano una maschera e alla domanda "chi sei?" rispondevano tramite la maschera. Maschera in latino si diceva persona. Vedete come è coerente con tutto ciò che abbiamo detto! Dio, soldi, sesso, giacca di Armani... sono la maschera che noi usiamo sul palcoscenico di questo mondo per rispondere alla domanda "chi sei?". Tutti noi siamo attori.
L'attore antico era tanto più bravo quanto più si identificava col suo ruolo, con la sua maschera, quanto più era difficile distinguere tra lui e il suo personaggio. Così chi si identifica con i soldi in modo tale che sia molto difficile distinguere i soldi da lui, è un buon attore; anche chi si identifica in questo modo con Dio, è un buon attore. Solo che c'è una differenza tra presentarsi attraverso la maschera, la persona che è Dio e quella che sono i soldi. Sul palcoscenico un buon attore rappresenta con lo stesso impegno un ladro, un cavallo, un santo o un re, ma nella vita non è così: non solo la nostra grandezza dipende dalla nostra abilità, ma anche dalla maschera stessa: c'è una grande differenza se la maschera è un cavallo o è Dio.
Inoltre immedesimarsi nella maschera del cavallo, per esempio, dipende solo dall'attore, dalla sua abilità, non dal cavallo; invece di fronte all'altra persona, che sarà nel suo futuro o di fronte a Dio pienamente Soggetto, l'immedesimarsi non dipende solo da me, ma anche dall'altra persona, da una grazia. Questo vale a fortiori nella relazione con Dio che è Infinito, a tal punto che, rispetto a questo futuro assolutamente puro e privo di oggettività, tutto dipende dalla grazia. Di fronte a questo Infinito, un ladro e S. Francesco d'Assisi si trovano alla stessa distanza e ci vuole la stessa grazia perché possano compiersi le loro identità.
Alla domanda: "chi sei?" l'uomo, che è il suo desiderio di essere soggetto, dovrebbe rispondere: "sono Dio", non adesso, ma attraverso la grazia. Non bisogna aver paura di questo; i Padri della Chiesa lo dicevano espressis verbis: S. Ireneo diceva che Dio è diventato uomo perché l'uomo potesse diventare Dio. In questa frase dei Padri si trova tutta la visione della persona umana che noi abbiamo cercato di spiegare.
Grygiel, Stanislaw   da: www.culturacattolica.it
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persona, gryigiel

giovedì, 22 novembre 2007
Cristo trasforma l’uomo:
da oggetto lo rende persona
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 Ezechiele 37

[1] La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa;
[2] mi fece passare tutt'intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite.
[3] Mi disse: "Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?". Io risposi: "Signore Dio, tu lo sai".
[4] Egli mi replicò: "
Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore.
[5]
Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete.
[6]
Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore".
[7] Io profetizzai come mi era stato ordinato;
mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l'uno all'altro, ciascuno al suo corrispondente.
[8] Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c'era spirito in loro.
[9] Egli aggiunse: "
Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell'uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano".
[10] Io profetizzai come mi aveva comandato e
lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
[11] Mi disse: "
Figlio dell'uomo, queste ossa sono tutta la gente d'Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti.
[12] Perciò profetizza e annunzia loro
: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d'Israele.
[13] Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio.
[14]
Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò". Oracolo del Signore Dio.
[15] Mi fu rivolta questa parola del Signore:
[16] "Figlio dell'uomo, prendi un legno e scrivici sopra: Giuda e gli Israeliti uniti a lui, poi prendi un altro legno e scrivici sopra: Giuseppe, legno di Efraim e tutta la casa d'Israele unita a lui,
[17] e accostali l'uno all'altro in modo da fare un legno solo, che formino una cosa sola nella tua mano.
[18] Quando i figli del tuo popolo ti diranno: Ci vuoi spiegare che significa questo per te?,
[19] tu dirai loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io prendo il legno di Giuseppe, che è in mano a Efraim e le tribù d'Israele unite a lui, e lo metto sul legno di Giuda per farne un legno solo; diventeranno una cosa sola in mano mia.
[20] Tieni in mano sotto i loro occhi i legni sui quali hai scritto e
[21] dì loro: Così dice il Signore Dio: Ecco, io prenderò gli Israeliti dalle genti fra le quali sono andati e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nel loro paese: [22] farò di loro un solo popolo nella mia terra, sui monti d'Israele; un solo re regnerà su tutti loro e non saranno più due popoli, né più saranno divisi in due regni.
[23]
Non si contamineranno più con i loro idoli, con i loro abomini e con tutte le loro iniquità; li libererò da tutte le ribellioni con cui hanno peccato; li purificherò e saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.
[24] Il mio servo Davide sarà su di loro e non vi sarà che un unico pastore per tutti; seguiranno i miei comandamenti, osserveranno le mie leggi e le metteranno in pratica.
[25] Abiteranno nella terra che ho dato al mio servo Giacobbe. In quella terra su cui abitarono i loro padri, abiteranno essi, i loro figli e i figli dei loro figli, attraverso i secoli; Davide mio servo sarà loro re per sempre.
[26]
Farò con loro un'alleanza di pace, che sarà con loro un'alleanza eterna. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre.
[27]
In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.

[28]
Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre".
 Bibbia CEI
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La Visione di Ezechiele --- La Valle di Ossa Secche

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persona, gesù, salmo

venerdì, 16 novembre 2007
L’uomo da sempre si interroga
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Che cos’è l’uomo? Questa è forse la principale e per molti anche la più drammatica delle domande della vita, un quesito posto da ogni generazione, da ogni individuo. […]
Sin dall’antichità l’uomo si è interrogato sulla sua essenza, sulla propria identità. Pensatori, filosofi, teologi, antropologi, scienziati, medici, sociologi, psicologi, letterati hanno cercato di definirlo, hanno detto molte cose dell’uomo, hanno asserito qualcosa su di lui, hanno costruito e continuano a costruire formule su questo bipede implume, non sono però riusciti a circoscriverlo in una semplice formula.
L’uomo  è un soggetto composto di tanti fattori, di tanti elementi, ma non è riducibile alla semplice somma di questi fattori e di questi elementi. Quando l’uomo s’interroga sulla propria natura e sul proprio destino, si rende conto di essere qualcosa d’infinito, di essere un soggetto che non può essere dedotto dalle semplici realtà di cui è composto.
Ognuno s’incontra o si scontra con il mistero, una domanda apre un’ulteriore domanda, la domanda sull’uomo è un cantiere costantemente aperto.
Nella storia si sono affermati vari modelli antropologici e culturali che hanno cercato di descrivere l’uomo.
Nell’antichità l’uomo è stato concepito come un vivente con la parola che lo distingue dal mondo degli animali; quello che distingue l’uomo è quindi la parola, il linguaggio, il pensiero. Con la parola l’uomo comunica con l’altro, nella cultura, nell’arte, nella politica, nella filosofia. Ma con la parola l’uomo comunica anche con l’Altro nella preghiera.
Nella modernità l’uomo è stato rappresentato come un animale razionale, l’uomo non è solo un essere comunicatore, subentra l’esercizio della ragione, della critica. L’uomo non è solo un comunicatore e un ascoltatore è anche un investigatore, un ricercatore e si mette alla ricerca del senso della propria esistenza, del senso delle cose, dell’origine e dell’esistenza del mondo.
Le  precedenti rappresentazioni sono state messe in crisi da quella che viene definita la rappresentazione postmoderna dell’uomo, che possiamo riassumere con una famosa espressione del romanziere austriaco Robert Musil (1880-1942):  l’uomo senza qualità. Secondo questa visione non ha più senso domandarsi chi è o che cosa è l’uomo, l’unico orizzonte di indagine è quello storico: l’uomo può essere solo descritto nel suo processo storico.
Il cristianesimo non può non reagire di fronte a questo ridursi dell’orizzonte, di fronte a questa diminuzione della ricerca, ogni cristiano è chiamato a essere sentinella dell’umanità contro ogni disumanizzazione.

(A.  Famà, Uomini e profeti, vol. I, Novara, 2007, pp 28-31)

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persona

giovedì, 15 novembre 2007
Senza Cristo
la persona diviene individuo
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Il nostro tempo mi sembra caratterizzato dall'eccedenza dell'idea di funzione. L'individuo tende ad apparire a se stesso ed agli altri come un semplice fascio di funzioni. L'individuo è stato indotto a considerarsi come una aggregato di funzioni la cui gerarchia gli appare come problematica e comunque soggetta alle interpretazioni più contraddittorie...
Mi accade spesso di chiedermi con una specie di ansia quale possa essere per esempio la vita di un impiegato della metropolitana: l'uomo che apre le porte o quello che fora i biglietti. Bisogna riconoscere che sia in lui che fuori di lui tutto concorre a determinare l'identificazione di quest'uomo con le sue funzioni, non dico soltanto la sua funzione di impiegato, di aderente ad un sindacato, di elettore, ma anche le sue funzioni vitali. L'espressione, in fondo infelicissima, «impiego del tempo» trova qui la sua piena utilizzazione. Tante ore sono dedicate a determinate funzioni. Anche il sonno è una funzione da assolvere per poter assolvere le altre.
E cosi il riposo, lo svago. Vediamo cosi precisarsi una specie di formulario vitale, i cui particolari variano naturalmente secondo i paesi, gli usi e i costumi... Ma l'importante è che vi sia un formulario.
Senza dubbio possono manifestarsi i principi di disordine, di rottura: l'incidente sotto tutte le forme, la malattia. Si comprenderà benissimo allora, ed è quello che accade spesso in America e credo in Russia, come l'individuo venga sottoposto come un orologio a verifiche periodiche. La clinica appare allora come una casa di controllo o un'officina di riparazioni. E, sempre da questo punto di vista del funzionamento, vedremo considerati problemi essenziali come quello della limitazione delle nascite ...
Non v'è quasi bisogno di insistere sull'impressione di soffocante tristezza che promana da un uomo tutto imperniato sulla funzione. Mi limito a ricordare la figura del pensionato, e l'immagine connessa delle domeniche in città, quando i passanti danno appunto la sensazione di essere dei pensionati della vita. In un mondo siffatto la tolleranza di cui gode il pensionato ha qualcosa di derisorio e di sinistro.
Da questo punto di vista obiettivo e funzionale, la morte appare come un mettere fuori uso, un rendere inutilizzabile, un ridurre a rottame.
G. Marcel, Approcci al mistero ontologico.

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marcel, persona

martedì, 13 novembre 2007

L’uomo nuovo

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La  Grande promessa di Progresso Illimitato – vale a dire la promessa del dominio della natura, di abbondanza materiale, della massima felicità per il massimo numero di persone e di illimitata libertà personale – ha sorretto le speranze e la fede delle generazioni che si sono succedute a partire dall’inizio dell’era industriale. […]
E’ innegabile che l’era industriale non sia riuscita a esaudire la Grande Promessa.
La funzione della nuova società è di incoraggiare il sorgere di un uomo nuovo.
Amore e rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni, con la consapevolezza che non le cose, il potere e tutto ciò che è morto, bensì la vita e tutto quanto perviene alla sua crescita hanno carattere sacro […].
Far propria una libertà che non sia arbitrarietà, ma equivalga alla possibilità di essere se stessi, intendendo con questo non già un coacervo di desideri e brame di possesso, bensì una struttura dal delicato equilibrio che a ogni istante si trova alla scelta tra crescita o declino, vita o morte.

Eric Fromm, Avere o essere, Milano, 1977

 

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persona, fromm

L’uomo

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Tutto è o può essere contento di se stesso, eccetto l’uomo, il che mostra che la sua esistenza non si limita a questo mondo, come quella dell’ altre cose.

G. Leopardi Zibaldone 29

 

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persona, leopardi

L’uomo

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Il posto dell’uomo è nel mezzo tra gli Dei e le bestie ed egli inclina talvolta verso gli uni talvolta verso le altre; certi uomini sono simili agli dei, altri alle bestie e i più tengono il mezzo.
Plotino

 

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persona

L’uomo

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Quale chimera è dunque l’uomo? Quale novità, quale mostro, quale caos, quale soggetto di contraddizioni, quale prodigio? Giudice di tutte le cose, stupido verme della terra; depositario dl vero, cloaca di incertezze e d’errore; gloria e feccia dell’universo. Chi sbroglierà questo ingarbugliamento?
Blaise  Pascal

 

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persona, pascal

L’uomo immagine di Dio

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L’uomo, per quanto considerato per se stesso finito, è anche immagine di Dio e sorgente dell’infinità in se stesso. Giacché è scopo a se stesso, ed ha in se stesso il valore infinito e la destinazione all’eternità.
Hegel

 

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persona

Le bestie sacre

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perché gli antichi credevano alla Creazione e cioè a una gerarchia sacra e ascendente. Agli animali aveva pensato Dio, che può pensare a tutto. L’uomo, per suo conto, aveva abbastanza della sua parte d’uomo, cioè a dire, d’esiliato figlio di Dio.
Ma i moderni preferiscono credere all’Evoluzione in altri termini a una gerarchia scientifica e degradante. E mentre un antico andava in chiesa, a ritrovare il suo posto sull’infinita, terrorizzante distanza che ancora lo separava da Dio, un moderno va  al Giardino Zoologico a ritrovare il suo posto sull’infinita, gloriosa distanza che ormai lo separa dal cercopiteco. Un antico per riconoscersi più uomo si confrontava, umiliandosi e annullandosi, agli dei. Un moderno, per riconoscersi più uomo, si confronta, applaudendosi e congratulandosi, alle bestie. Uno guardava avanti. Quest’altro è voltato indietro. Uno sentiva di avere ancora da attuarsi. Ma quest’altro si sente tutto attuato. E quel legame di operosa riconoscenza che nella scala degli esseri si stabiliva tra l’uomo e Dio, il quale era appunto lassù affinché l’uomo avesse sempre presente la propria perfettibilità e imperfezione, si tramuta nella riconoscenza verso il barbuto gorilla, che porta la croce delle ultime imperfezioni e redime l’uomo alla gioia dei perfetti. Si capisce allora il significato di questi palazzi di cristallo, di queste serre e acquari e giardini. Sono le case degli animali sacri. Sono i monumenti della gratitudine, i termini del trionfo. Sono i ricettacoli dei segni supremi dai quali si misura il pregio del  mondo, perchè guardando una scimmia che sbadiglia nessuna donna potrà dubitare di non essere Venere o Giunone. Sono le nuovissime cattedrali. Gli antichi inventarono San Pietro e Westminster. I moderni hanno inventato lo zoo. Gli antichi andarono in processione a San Pietro e Westminster, andarono crociati e pellegrini in terrasanta. E noi andremo al giardino di Villa Umberto.
E. Cecchi, Le bestie sacre



 

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nichilismo, persona

Uomo e perdita di identità

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Forse assistiamo oggi alla più vasta crisi d’identità che l’uomo abbia mai attraversato, crisi in cui molti secolari fondamenti dell’esistenza sono messi in discussione o vengono trascurati. Le parole che Max Scheler scrisse quasi mezzo secolo fa, non sembrano aver perduto nulla della loro attualità:
 “Nella storia di  oltre  diecimila anni noi   siamo la prima epoca in cui l’ uomo è diventato per se stesso radicalmente ed universalmente problematico: l’ uomo non sa più chi egli sia e si rende pure conto di non saperlo più. Soltanto facendo tabula rasa di tutte le tradizioni che riguardano questo problema, contemplando con estremo rigore metodologico ed estrema meraviglia quell’ essere che si chiama uomo, si potrà nuovamente giungere a dei giudizi fondati”.
 Martin Heidegger, parlando dell’antropologia di Kant fa eco a queste parole di Scheler:
Nessun’ epoca ha saputo conquistare tante e così svariate conoscenze sull’ uomo come la nostra […]. Eppure nessuna epoca ha conosciuto l’ uomo così poco come la nostra”.
La stessa idea, in termini pressa poco identici, viene ripresa da Gabriel Marcel, quando prende l’uomo dalla baracca, diseredato ed emarginato dalla cultura odierna, come modello dell’ uomo contemporaneo il quale non sa più chi egli sia e perché esista.
In questo contesto di perdita d’identità, d’ incertezza e di smarrimento riguardo all’immagine dell’ uomo, la riflessione filosofica, critica e sistematica, sull’ essere e sul significato dell’ uomo diventa uno fra i compiti più urgenti del nostro tempo.
                                                                    (Gevaert, Il problema dell’ uomo)

 

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marcel, persona, heidegger

Qualcuno vuol uccidere la maestà dell’ uomo

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La grande battaglia dei nostri giorni è solo in apparenza una battaglia tra opposte ideologie; solo in apparenza essa è una battaglia di classi; in verità è la battaglia tra il sacro segno di Dio che vive nell’uomo, tra il suo essere utile e suprema maestà creativa perché creata, e l’ imitazione o la sostituzione che di quell’uomo , di quella maestà, il meccanismo, che sempre più tenta di essere unico e totale, cerca e cercherà di compiere.
Tutto questo è terribile. Ma poiché l’ uomo quel segno e quel sigillo li porta dentro di se come porta le sue ossa e il suo sangue,tutto questo assume il senso e la grandezza d’ un rito in cui la salvezza dell’ anima è la salvezza stessa dell’ umana entità. E’ solo per questo che il corpo alberale in cui l’ essenza religiosa dell’ uomo va cercando di farsi carne rappresenta, in questa battaglia, una luce da proteggere, affinché possa crescere e reggere all’ urto in cui, ogni ora, ogni giorno, a essere messo in gioco è e sarà il senso e il destino stesso dell’ uomo, della sua maestà.
               G. Testori, Qualcuno vuol uccidere la maestà dell’ uomo

 

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persona, testori

sabato, 27 ottobre 2007
La vita
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8 agosto
«La vita non è ricerca di esperienze ma di se stessi. Scoperto il proprio proprio  stato fondamentale ci si accorge che esso combacia col proprio destino e si trova la pace»
C. Pavese Il mestiere di vivere

 

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vita, persona, pavese

giovedì, 18 ottobre 2007

La persona come realtà extranaturale

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Se l'uomo fosse soltanto un individuo non si innalzerebbe al di sopra del mondo naturale. Quella di individuo è una categoria naturalistica, innanzitutto biologica. L'individuo è qualcosa di indivisibile, un atomo. Tutte le formazioni relativamente stabili che si distinguono dal mondo circostante, quali per esempio una matita, una sedia, un orologio, una pietra preziosa e via dicendo, possono essere definite degli individui. L'individuo è una parte di un genere ed è soggetto al genere. Da un punto di vista biologico proviene dal grembo della vita naturale.
L'individuo è anche una categoria sociologica e sotto questo aspetto dipende dalla società, è una parte della società, un atomo dell'intero sociale. Dal punto di vista sociologico, la persona umana, intesa come individuo, è una parte della società e una parte molto piccola anche. L'individuo difende la propria indipendenza relativa, ma resta pur sempre all'interno del genere e della società, è condannato a considerarsi come una parte, la quale può insorgere contro il tutto ma non può opporglisi come un tutto a sé stante.
La persona è qualcosa di assolutamente diverso. La persona è una categoria dello spirito non della natura, e non è soggetta né alla natura né alla società. La persona non è assolutamente una parte della natura e della società, e non può essere pensata come una parte in relazione a un tutto, quale che esso sia. Dal punto di vista della filosofia esistenziale, dal punto di vista dell'uomo come centro esistenziale, la persona non è assolutamente una parte della società. È anzi vero il contrario: la società è una parte della persona, non è altro che il suo aspetto sociale. E così la persona non è neppure una parte del mondo, del cosmo, anzi è il cosmo a essere una parte della persona. La persona umana è un essere sociale e cosmico, ha cioè un aspetto sociale e cosmico, un corpo sociale e cosmico, ed è appunto per questo che non può essere pensata come una parte in relazione a un tutto sociale e cosmico. L'uomo è un microcosmo. La persona è un tutto e non può essere una parte. È questa la definizione fondamentale della persona, anche se a ben vedere non si può dare una definizione univoca della persona e si può dare soltanto una serie di definizioni formulate da diversi punti di vista. La persona, considerata come un tutto, non può essere soggetta a nessun altro intero, si trova al di fuori del rapporto tra genere e individuo. Si deve pensare la persona non come qualcosa che è sottomesso al genere, ma come una realtà che è in correlazione e in comunione con altre persone, con il mondo e con Dio. La persona non rientra assolutamente nell'ordine naturale e non le si può applicare nessuna delle categorie che si riferiscono alla natura. La persona non può assolutamente essere definita come sostanza. lntenderla come una sostanza equivarrebbe a naturalizzarla. La persona ha le proprie radici nel mondo spirituale, non rientra nella gerarchia naturale e non può essere confusa con essa. Il mondo spirituale non può affatto essere pensato come una parte del sistema gerarchico del cosmo. La dottrina di Tommaso d'Aquino è un chiaro esempio di come si possa vedere nella persona umana un gradino del sistema gerarchico del cosmo. La persona umana vi occupa un gradino intermedio tra l'animale e l'angelo, il che costituisce un modo di vedere naturalistico. Bisogna per altro dire che il tomismo distingue la persona dall'individuo. Per la filosofia esistenziale la persona umana ha un'esistenza sua propria extranaturale, pur avendo in sé degli elementi naturali. La persona si contrappone alla cosa, si contrappone al mondo degli oggetti, è un soggetto attivo, un centro esistenziale. Ed è solo per questo che la persona umana è indipendente dal regno di Cesare. Essa ha un carattere assiologico, è un valore. Il compito dell'uomo è appunto quello di diventare persona. Dire di qualcuno che è una persona significa dare una valutazione positiva di quell'uomo. La persona non nasce dai genitori come l'individuo, è creata da Dio e si autocrea, è l'idea che Dio ha di ogni uomo.
N.Berdjaev  Pensieri controcorrente La casa di Matriona


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persona, berdiaev

sabato, 08 settembre 2007
Staccarlo da lui stesso,
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Come preliminare allo staccarlo dal Nemico dovevi staccarlo da lui stesso, e avevi già fatto un poco di progresso su questa  linea. Ora, tutto è disfatto.
Naturalmente, so benissimo che anche il Nemico vuole distaccare gli uomini da se stessi, ma in modo diverso. Ricorda sempre che a Lui que¡ piccoli vermi piacciono veramente, e che pone un assurdo valore assoluto sulla distinzione di ciascuno di loro. Quando dice che debbono perdere il loro io, intende solamente dire che debbono abbandonare la volontà propria; una volta fatto ciò, in realtà dà loro indietro tutta la loro personalità, e si vanta (sinceramente, ho paura) che se saranno completamente suoi saranno più che mai se stessi. Quindi, mentre gode nel vederli sacrificare perfino le loro innocenti volontà a Lui, odia di vederli allontanare dalla loro natura per qualsiasi altra ragione.E noi invece dovremmo sempre incoraggiarli a farlo. Le più profonde simpatie e i più profondi impulsi di qualsiasi uomo sono la materia prima, il punto di partenza, del quale il Nemico lo ha fornito. Allontanarlo da essi è sempre un punto di guadagno; perfino in cose indifferenti è sempre desiderabile sostituire le misure del mondo, o della convenzione, o della moda, al posto di ciò che veramente piace o dispiace a un essere umano."
C.S. Lewis



 

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persona, lewis

martedì, 28 agosto 2007
La grandezza dell’uomo
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  L'uomo è se stesso solo per il fatto che il suo volto è illuminato da un raggio divino. Divinitas in luto tamquam imago in speculo refulget . Se il fuoco scompare, sparisce pure il suo riflesso. «Basta distruggere in tutto quello che avviene nel nostro mondo sublunare il rapporto con la eternità, per distruggere nello stesso tempo ogni profondità ed ogni contenuto reale di questo mondo». Dio non è soltanto per l'uomo una norma che a lui si impone e che, guidandolo lo solleva: Egli è l'Assoluto che lo fonda, è la calamita che l'attira, è l'Al di là che lo eccita, è l'Eterno che gli fornisce il solo clima in cui respirare, è in qualche modo quella terza dimensione in cui l'uomo trova la sua profondità . Se l'uomo si fa il suo proprio dio, può nutrire per qualche tempo l'illusione di elevarsi e di emanciparsi: esaltazione passeggera! In realtà, egli abbassa Dio ed egli stesso non tarderà a sentirsi abbassato.  
Henry De Lubac da: “Il dramma dell’umanesimo ateo” ed. Morcelliana
 

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persona, de lubac

martedì, 07 agosto 2007
La perdita dell’io
***
"Come preliminare allo staccarlo dal Nemico dovevi staccarlo da lui stesso, e avevi già fatto un poco di progresso su questa linea. Ora, tutto è disfatto"
LEWIS, C. S., Le lettere di Berlicche,  Mondadori,

 

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persona, lewis

sabato, 04 agosto 2007
IO e TU
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" Chi oggi guarda, ad occhi aperti, a se stesso e agli altri, noterà subito che nei confronti dell'io non si tiene più una posizione per sè ovvia e priva di complicazioni.

Di un uomo che è sempre scoraggiato e insofferente la gente dice: egli non ama sè stesso.
E in realtà il disaccordo con sè stesso è spesso la ragione più profonda del disaccordo con il tu.

L'egoismo è tutt'altra cosa dall'accettazione di sè stessi, dal vero amore di sè, che può diventare nello stesso tempo apertura all'amore del prossimo.
L'ultima annotazione che Bernanos fa registrare al suo parroco di campagna sul diario suona così: "Odiarsi è più facile di quanto si creda. La Grazia consiste nel dimenticarsi. Ma se in noi fosse morto ogni orgoglio, la grazia delle grazie sarebbe di amare umilmente sè stessi, allo stesso modo di qualunque altro membro sofferente di Gesù Cristo."

Di fatto, quanto è facile essere in discordia con sè stessi: perchè questo io è fatto in modo tale da spingermi a rinunciare all'istinto, a cercare continuamente un accordo con il tu e l'es?

Perchè mi è negata quella o questa dote che rende gli altri ricchi, liberi e felici? Perchè devo battermi con questo io testardo e intrattabile? Perchè esso è stato messo in un mondo con il quale non può andare d'accordo?


La radice più profonda di ogni malattia psichica, così ci insegna l'esperienza di molti psichiatri, è la fallita accettazione di sè stessi, il conflitto con questa creatura del mio io che mi è data dalla nascita.
E questa mancanza di unità sbarra la via al tu.


Oppure è vero forse il contrario: soltanto chi riconosce che la sua esistenza è resa autentica da un altro dal quale egli la riceve, può anche accettare sè stesso?
I
ntimamente connessi tra loro sono questi due aspetti: soltanto l'essere accolto da un tu rende possibile il si all'io; soltanto l'accordo con l'io apre la via al tu.

Amore di sè e amore del prossimo sono indissolubilmente intrecciati l'uno con l'altro"


1972- Card. Joseph Ratzinger
 

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persona, benedettoxvi

martedì, 31 luglio 2007
Ciascun uomo è irripetibile
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Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico. "Ciascuno in Israele ha l'obbligo di riconoscere e considerare che lui è unico al mondo nel suo genere, e che al mondo non è mai esistito nessun uomo identico a lui: se infatti fosse già esistito al mondo un uomo identico a lui, egli non avrebbe motivo di essere al mondo. Ogni singolo uomo è cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo. Perché, in verità, che questo non accada è ciò che ritarda la venuta del Messia". Ciascuno è tenuto a sviluppare e dar corpo proprio a questa unicità e irripetibilità, non invece a rifare ancora una volta ciò che un altro - fosse pure la persona più grande - ha già realizzato. Quand'era già vecchio e cieco, il saggio Rabbi Bunam disse un giorno: "Non vorrei barattare il mio posto con quello del padre Abramo. Che ne verrebbe a Dio se il patriarca Abramo diventasse come il cieco Bunam e il cieco Bunam come Abramo?". La stessa idea è stata espressa con ancora maggior acutezza da Rabbi Sussja che, in punto di morte, esclamò: "Nel mondo futuro non mi si chiederà: 'Perché non sei stato Mosè?'; mi si chiederà invece: 'Perché non sei stato Sussja?"'.
Siamo qui in presenza di un insegnamento che si basa sul fatto che gli uomini sono ineguali per natura e che pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. E infatti la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano. L'universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato a un uomo”
Martin Buber  da: IL CAMMINO DELL’UOMO
Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose
 

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persona, buber

martedì, 10 luglio 2007
L’autonomia dipende
***

 “L’autonomia di cui parlo non è una libertà assoluta emancipata da ogni dipendenza, ma un’autonomia che dipende dal suo ambiente, che sia biologico, culturale o sociale. Così un essere vivente, per salvaguardare la sua autonomia, lavora, consuma energia, e deve evidentemente nutrirsi di energia nel suo ambiente, dal quale dipende. Da parte nostra, noi esseri culturali e sociali, possiamo essere autonomi solo a partire da una dipendenza originaria rispetto a una cultura, rispetto a un linguaggio, rispetto a un sapere. L’autonomia è possibile non in termini assoluti, ma in termini relazionali e relativi
da Edgar Morin (Latesta ben fatta, Cortina, 2000):

 

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persona, morin

sabato, 28 aprile 2007
La  Chiesa generatrice
della Dignità  della persona
 ***
Tempi num.17 del 26/04/2007
Intervista

Nè ateo nè devoto
Il direttore del Foglio racconta l'ultimo libro di Benedetto XVI.
E se stesso, come non ha mai fatto prima

di Tempi

Per gentile concessione di Radio Maria, pubblichiamo ampi stralci dell'intervista del professore e sociologo Paolo Sorbi al direttore del Foglio Giuliano Ferrara, andata in onda giovedì 19 aprile.
«….. Ieri ho presentato alla Lateranense insieme a monsignor Stanislaw Rylko, a monsignor Giampaolo Crepaldi e a monsignor Rino Fisichella il libro di Camillo Ruini che è stato pubblicato adesso dall'editore Cantagalli e che contiene sia una bellissima lezione sul pensiero di Ratzinger tenuta al clero romano dopo il discorso di Ratisbona, sia un saggio portante sulla nuova questione antropologica. Quindi sono preparato.
Ruini cita due bellissime frasi di
Karl Lowith , pensatore e filosofo di straordinaria energia, un libro della prima metà degli anni Quaranta che si chiama Da Hegel a Nietzsche, cioè come si è andati dalla razionalizzazione assoluta del mondo e dalla filosofia dello spirito, al nichilismo nietzsciano. Lowith non è un cattolico, è un ebreo, ha avuto anche rapporti con Leo Strauss, epistolari famosi che sono stati pubblicati, ed è un osservatore molto acuto. Cosa dice? Una cosa molto semplice: guardate che il fatto che siamo tutti esseri umani, tutti uomini, non è naturale, non nasce nel mondo naturale generico, nasce nel mondo cristiano. Questo riconoscimento della universale dignità della persona nasce nel mondo cristiano. E poi aggiunge drammaticamente: con l'affievolirsi della forza del cristianesimo e della sua presa sul mondo, con l'indebolirsi, come dice Ruini, dell'attesa di salvezza, si è indebolita anche questa percezione dell'umano. è tutta qui la nuova questione antropologica. Il problema non è di rispolverare dalle biblioteche i testi dell'umanesimo, ma è di guardarsi in faccia. Allora, se possiamo selezionare la vita in modo eugenetico - e questa è una caratteristica che il mondo contemporaneo ha avuto sia nelle social democrazie laiche del nord o protestanti, sia nel mondo anglosassone e in America, diciamo nel mondo liberale, sia nel nazismo, lo sperimentalismo e la concezione dell'uomo come oggetto e il razzismo del Terzo Reich. Quindi, se possiamo fare questo, e lo possiamo fare in modo sempre più certificato e tecnicamente avanzato nei nostri laboratori, se possiamo permetterci un miliardo di aborti negli ultimi trenta anni, se possiamo permetterci una nozione della vita per cui l'uomo è solo corpo, solo i suoi referti clinici, le sue malattie, le sue carotidi otturate, il suo bisogno sessuale oggettivato in matrimoni che falliscono uno dopo l'altro, e questa sua ansia d'amore si disperde nel dualismo tra il suo io sempre più debole e il suo corpo sempre più forte, sempre più possente (e qui segnalo un racconto di Philip Roth che si chiama Everyman). Se il cristianesimo si è indebolito, se il primato del corpo insieme ai progressi della tecnoscienza stanno facendo di noi quello che stanno facendo di noi, cioè una civiltà decadente, in profonda e radicale crisi in relazione ai criteri che distinguono il bene dal male. bè la questione va affrontata, va presa per i capelli e va riproposta a tutti gli uomini di buona volontà e va trattata, discussa, pensata nel fuoco delle grandi battaglie contemporanee che sono anche battaglie sulle leggi, sulla dimensione pubblica dell'esistenza, su ciò che si può e non si può fare. In questo senso, la Chiesa, che non è un agente politico, come ha ben detto Ratzinger a Verona, è però l'unica tribuna dalla quale si può ripensare civilmente e politicamente la condizione del mondo contemporaneo a partire dal fatto che è fortemente offuscata una nozione credibile dell'uomo. Cioè quell'incontro di ragione, libertà e fede, o verità

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persona, cristianesimo

domenica, 21 gennaio 2007
PERSONA E AMORE
 di J. Lacroix
Nello stadio della forza pura gli esseri, opposti gli uni gli altri, sono in uno stato di conflitto permanente. Alla guerra di tutti contro tutti il diritto sostituisce legami, rapporti di equilibrio, contratti e patti. Grazie al diritto le forze si compongono, si limitano ed anche si uniscono. Ma il diritto non farebbe che sostituire la forza con l'astuzia se si accontentasse di creare un equilibrio, più o meno instabile, di interessi. Tutt'al più potrebbe regolare lo scambio dei servizi, e fondare una società puramente utilitarista dove gli individui comprenderebbero che una unione di interessi è meglio che una lotta di forze. Un tale diritto permette lo scambio regolato dell'avere senza raggiungere l'essere. Nella società fondata sul diritto gli individui restano estranei gli uni agli altri. Ora, mai il diritto è stato così limitato: nel diritto v'è stato sempre più che il solo diritto. Una società umana ridotta a scambi di servizi è, ad un tempo, incomprensibile ed impossibile; gli antichi stessi vedevano nell'amicizia il fondamento della Città. Il fatto essenziale è che la molta dialettica dell'umanità è il bisogno fondamentale di comunicare. Il linguaggio, in tutte le sue forme, non è che l'espressione più comune di questo carattere essenziale della nostra natura: l'uomo è amico per l'uomo. Il problema della comunità è per prima cosa un problema di amicizia e di amore. Nei rapporti giuridici gli individui restano ancora estranei e come esterni gli uni agli altri: essi non si raggiungono direttamente. Al contrario, l'amicizia costituisce gli esseri nella loro personalità ad un tempo indistruttibile ed irriducibile. L'amicizia è la scoperta di sé stessi e dell'altro in un aldilà che fonde nello stesso tempo la distinzione e l'unione.. Non c'è società vitale se i rapporti di diritto non possono aprirsi in rapporti di amicizia. Noi vediamo dunque dispiegarsi l'Idea presente nel concetto del diritto. Idea che gli fornisce il suo essere e il suo valore: l'Idea di amore e di carità. E per amore e carità intendiamo qui la più profonda comunione umana, la persona stessa nel suo centro misterioso che fonde, ad un tempo, l'individualità e la comunità. L'amore è il supremo intelligibile, poiché solo rende conto e della diversità e dell'unione.



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persona

martedì, 02 gennaio 2007
Poesia di C.K. Norwid
***
Quante poche sono le persone,
Quasi non ce ne sono più.
Che vogliono r i v e l a r si! ...
-Passano -passano –
Si spingono,
Ballando fra di loro o nel gioco
Segreto, mentono con scioltezza,
Si ingannano cordialmente:
Né contemporanei, né vicini,
Né conosciuti l'uno all'altro,
Prendendosi le mani,
Si sbavano in uno stretto abbraccio.
L'abisso fra di loro ribolle e gli oceani,
E sulle onde -loro;
Vicini perché? ...per il nome!
 Il mondo invece dice:
«S o n  f a m i l i a r i -è q u e s t o  u n  f o c o l a r e..,
 « S o n o  d e i  n o s t r i .» -
Più sinceramente, il Cielo azzurro unisce
Mille popoli, che si massacrano.
Attraverso i secoli, perché
Almeno uno, più sinceramente d'altri,
Crede nel comune Cielo.
-Essi invece ballano: petto contro petto,
Glacialmente incoscienti di se stessi, e separati;
Basta che su di loro brilli una lampada accesa,
Ed un 'unica moda li faccia tutti fra di loro uguali –
« So n o  d e i  n o s t r i !»- Se dall'alto
 Si tracciasse -una mappa -
Come la mappa - della terra? ...
Monti e deserti
Si trasferirebbero in un breve battito
Di ciglia e l'Oceano sarebbe, invece, là
Dove una piccola lacrima trascorre!
C.K. Norwid, Kofko (Cerchio)

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persona, norwid

martedì, 07 novembre 2006
PERSONA
Tratto da www.carimo.it

«Come spiega lo stesso S. Tommaso il termine proviene da personare, che significa "far ri­sonare", "proclamare ad alta voce": (il nome persona è stato tratto da personare perché nelle tragedie e nelle commedie gli attori si mettevano una maschera per rap­presentare colui del quale, cantando, narra­vano le gesta . Storicamente la parola persona segna la linea di demarcazione tra la cultura pagana e la cultura cristiana. Fino all’avvento del cristia­nesimo non esisteva né in greco né in latino una parola per esprimere il concetto di persona e fu una verità carica di un "potere sovversivo" come poche altre nella storia: man mano che essa riuscì a farsi strada e a penetrare nella cultura pagana, la trasformò profondamen­te, sostanzialmente, dando origine a una nuova cultura e a una nuova società: la cul­tura e la società che prenderanno forma nel­la respublica christiana del medioevo.

Come s’è detto, il concetto di persona, in quanto pone l’accento sul singolo, sull’indi­viduo, sul concreto, è estraneo a! pensiero greco, il quale annette importanza e ricono­sce valore soltanto all’universale, all’ideale, all’astratto e considera l’individuo solo come momentanea fenomenizzazione della spe­cie, dell’universale, oppure un attimo transi­torio del grande ciclo onnicomprensivo della storia.
Nel cristianesimo il concetto di persona non è stato tramandato come un semplice dato di fede, ma è diventato argomento di profonda meditazione filosofica e teologica Il primo esame approfondito di tale concetto fu compiuto da Agostino nel De Trinitate. L’obiettivo che egli perse­gue è quello di reperire un termine che si possa applicare distintamente al Padre, al Figlio e allo Spirito, senza incorrere da una parte nel pericolo di far di loro tre divinità e, dall’al­tra, nel pericolo di dissolvere la loro indivi­dualità. Agostino fa vedere che i termini "essenza e "sostanza" non possiedono que­sta duplice virtù, in quanto si riferiscono ad aspetti comuni a tutt’e tre I membri della Trinità. Essa compete invece al termine greco “hypostasis” e al suo equivalente latino "persona", il quale non significa una spe­cie, ma qualcosa di singolare e di individua­le (De Trinitate VII, q. 6, a. 11). Analogi­camente, oltre che a Dio, questo termine si applica anche all’uomo. Pertanto, per Agostino persona significa il singolo, l’individuo. Ciò attesta che nel se­colo IV d. C. la parola persona aveva già acquisito un significato profondamente diverso da quello che aveva avuto nella latinità classica: non designa più una maschera ma un uomo, un individuo della specie umana.

Il merito di avere elaborato una defini­zione adeguata del concetto di persona spetta a Severino Boezio . In uno dei suoi opuscoli teologici egli scrive: “La perso­na è una sostanza individuale di natura ra­gionevole (persona est rationalis naturae in­dividua substantia) (Contra Eutichen et Ne­storium, c. 4). Dalla definizione boeziana ri­sulta che persona non dice semplicemente indivi­dualità singola L’individualità singola infatti può appartenere anche all’ac­cidente (tutti gli accidenti concreti sono indi­viduali); per dar luogo alla persona non bastano né la natura né la sostanza, che possono an­che essere elementi generici. Ma neppure l’unione di individualità, natura e sostanza fa ancora la persona; questi elementi appar­tengono anche a un sasso o a un gatto, che non sono persone. Per definire adeguatamente la persona occorre aggiungere ai tre elementi precedenti la differenza spe­cifica che distingue gli uomini dagli animali, la quale consiste nella razionalità.

S. Tommaso ritocca la definizio­ne boeziana come segue: "Omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est perso­na” (C. G., IV, c. 35). Ponendo nella defini­zione di persona i nomi rationalis oppure intel­lectualis, S. Tommaso assegna implicitamente alla persona tutte quelle proprietà su cui insisteranno i filosofi moderni e contemporanei quando parlano della persona: l’autocoscienza, la libertà, la comunicazione, la coesistenza, la vocazio­ne ecc., perché tutte queste qualità trovano la loro radice profonda nella ragione oppure nella intelligenza: è la ragione (l’intelligen­za) che possiede l’autocoscienza, la libertà, la comunicazione, la coesistenza, la vocazio­ne, la partecipazione, la solidarietà ecc.

Tommaso definendo sinteticamente la persona co­me subsistens in natura rationali vel intellec­tuali indica tutt’e due gli aspetti essenziali e indispensabili per avere la persona: l’aspetto onto­logico (col subsistens) e l’aspetto psicologico (col rationalis o intellectualis). Una raziona­lità o un’intelligenza, per quanto perfetta, senza la sussistenza non fa ancora persona; tant’è vero che la natura umana di Cristo, non es­sendo sussistente, non fa persona. Né occorre che la razionalità o l’intelligenza siano presenti come operazioni in atto, ma è sufficiente che siano presenti come facoltà: così è persona anche chi dorme, anche chi è in stato comatoso ed è persona anche il feto. la sussistenza, nota essenziale della persona, ci si trova nella sua forma particolare e indivi­duale in modo più speciale e perfetto nelle sostanze razionali, che possiedono il domi­nio del loro agire e non sono solo oggetti passivi, come le altre sostanze, ma agiscono per sé medesime: perché solo gli esseri sin­golari possono agire, e tra tutte le altre so­stanze certi individui hanno un nome specia­le: questo nome è persona perché sono di natura ragionevole” 
Nell’uomo, come totalità dell’essere sin­golo, la persona abbraccia: la materia, la forma sostanziale (l’anima), le forme accidentali e l’atto d’essere (actus essendi). Il costitutivo formale della persona è dato da quest’ultimo ele­mento, perché l’atto dell’essere è la perfe­zione massima ed è ciò che conferisce attua­lità alla sostanza e a tutte le sue determina­zioni. Perciò "la personalità appartiene ne­cessariamente alla dignità e alla perfezione di una realtà, in quanto questa esiste per sé il che è inteso nel nome di persona 
Infatti, “il concetto di persona comporta che si tratti di qualcosa di distinto, sussistente e comprendente tutto ciò che c’è nella cosa; invece il concetto di natura ab­braccia solo gli elementi essenziali. 
Perciò non l’astratta ragione o la natura umana in generale, ma la ragione e la natura possedute da un essere in concretosussisten­te per un actus essendi fa la dignità irriduci­bile della persona umana, che possiede “has car­nes et haec ossa et hanc animam, quae sunt principia individuantia hominem" . Così S. Tommaso può legittimamente conclu­dere affermando che “il modo di esistere che comporta la persona è il più degno di tutti, essendo ciò che esiste per sé . 
L’uomo singolo come "individuo." sta ri­spetto alla totalità dell’universo e dell’uma­nità "sicut pars ad totum" .Nel cosmo l’individuo è un piccolo mo­scerino apparentemente insignificante che può esser spazzato via in qualsiasi istante. Invece come persona gode di una indipen­denza dominatrice. L’uomo come individuo è soggetto agli astri, ma come persona può dominarli. Analogamente, come individuo l’uomo singolo è membro dell’umanità alla quale è finalizzato, ma in quanto persona non è subordinato alla comunità politica, la quale trova invece nella persona la ragione ultima del suo essere: la società si costituisce infatti af­finché l’uomo cresca nella libertà e realizzi pienamente se stesso 

La definizione di persona in chiave ontologica. così come venne elaborata da Boezio e poi ulteriormente perfezionata da S. Tommaso con la sua dottrina dell’actus essendi, fu una con­quista definitiva, ed è un punto di riferimen­to sicuro per tutti coloro che cercano di com­prendere perché sia giusto affermare che l’essere umano è persona sin dal momento del concepimento. e che quindi la dignità della persona non dipende da qualche convenzione so­ciale o da qualche codice di diritto, ma è una qualità originaria, intangibile e perenne. Chi è persona è persona da sempre e per sempre: perché questo fa parte della sua stessa costituzione ontologica.»


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persona, stommaso

venerdì, 13 ottobre 2006
La persona si realizza nella comunione  

La persona è ben strettamente legata all'amore. È per un amore che si realizza, per amore supera la solitudine, per amore raggiunge la comunione.
A sua volta, l'amore implica la persona, una relazione tra persona e persona, una relazione nella quale la persona esce da se stessa, per entrare in un'altra persona, è l'atto in conseguenza del quale la persona è riconosciuta ed affermata nell'eternità. La comunione è una delle finalità della vita umana ed è  a carattere religioso.
La comunione è partecipazione, partecipazione reciproca, interpenetrazione. Ma questa partecipazione ha bisogno di essere compiuta nell’interno di una unità che racchiude tanto l’<>come il <>. È  in Dio che si opera questa interpretazione dell’<> e del <>.

(Berdiaev, L'io e il mondo)

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chiesa, persona, berdiaev

domenica, 03 settembre 2006
“Persona” da sempre indica la natura umana che porta in sè               la natura divina
Da: http://www.diocesidicagliari.it/aspPages/Funzioni/showArticle.asp?idArticolo=319
Intervista a Renato Versace, primario di chirurgia toracica all’Ospedale Binagli (Cagliari) 22/05/2005
Renato Versace, medico, master in Bioetica all’Università Lateranense, da due anni primario di chirurgia toracica all’Ospedale Binaghi.
Dobbiamo essere rigorosi. Lo ripete spesso Renato Versace, medico da una vita, master in Bioetica all’Università Lateranense, da due anni primario di chirurgia toracica all’Ospedale Binaghi, consapevole che non c’è in gioco solo un referendum.
“Sarebbe poca cosa – spiega – bisogna invece comprendere bene di cosa si parla: è un problema che va affrontato dal punto di vista biologico, medico e, per chi crede, scritturistico”. Quella che segue è l’insufficiente trascrizione di una conversazione avuta pochi giorni fa.

Entriamo subito nel merito del terzo quesito: l’embrione è persona?
Sì, da tutti i punti di vista, dal primo momento. Non lo dico per un sentimento, ma per  tutti gli studi compiuti. Del resto è quello che dice anche la 194, che dovrebbe tutelare la vita fin dal suo concepimento, salvo poi contraddirsi. Il rigore scientifico mostra una convergenza di conclusioni biologiche, giuridiche e filosofiche sul riconoscimento della natura umana all’embrione.

Partiamo dal punto di vista biologico: il fatto che l’embrione sia una realtà umana autonoma non significa automaticamente che è persona.
Che sia ‘persona’ potremmo dirlo sulla base di presupposti non biologici, ma sapere che l’embrione è assolutamente indipendente dalla mamma è utile. Il suo processo di sviluppo non dipende dalla madre: c’è un ordine nella procreazione in cui la mamma non c’entra. Quando lo spermatozoo entra nell’ovocita, si scatena una serie organizzata di azioni e reazioni e viene organizzato un nuovo genoma. Come un mazzo di carte che viene mischiato. Quando entra lo spermatozoo, vengono attivati 1185 nuovi geni, che saranno 11483 quando l’embrione dalla tuba va nell’utero, in sesta giornata. Stiamo parlando delle prime ore dal concepimento. La nuova cellula – l’ootide – è totalmente indipendente, va per i fatti suoi.

Dicono che sia soltanto un mucchio di cellule.
Anche quando sono solo due cellule, ognuna ha la sua funzione: una darà luogo all’embrione, l’altra agli annessi nutritivi. Non è un mucchio di cellule disordinato.

Cosa succede nello sviluppo?
Le cellule comunicano al massimo tra di loro, e si riorganizzano secondo precisi funzioni e localizzazioni. Non c’è scritto in nessun libro di embriologia che sono solo un gruppetto di cellule.

A che fenomeni del suo sviluppo si riferisce?
Tra il quinto e sesto giorno si forma del liquido dentro la blastocisti. Chi glielo avrà ordinato? Certo non la mamma. Nella blastocisti si registra anche una forte produzione di proteine di comunicazione, che non si registrerà più. Al decimo giorno produce i villi: nessuno gli ha dato l’ordine, è una cosa totalmente nuova. Entro il 30° giorno il disco embrionario darà luogo a cuore, ossa e muscoli (dal mesoderma), intestino, rene, polmoni (dall’endoderma) e la pelle e il sistema nervoso (dall’ectoderma).

Entro il 30° giorno?
Sì, con la legge sull’aborto che permette l’aborto entro il 90° giorno...

Lei dice che l’embrione è totalmente diverso dalla mamma.
E’ talmente diverso che deve produrre degli antigeni che impediscano il rigetto. Si deve proteggere dalla madre, che se lo mangerebbe se non producesse gli antigeni. Se gli dai da mangiare va avanti perchè il suo cervello funzionale c’è già. E’ diverso, tanto che produce i geni antirigetto. E’ coordinato, ha una sua continuità e una sua gradualità”.

Perchè dice che è autonomo?
Perché è sempre lui fin dalla fecondazione, anche se cambia forma, esattamente come me, che resto me stesso anche se ingrasso. E’ individuo, diverso dal padre e dalla madre; e pur nella sua complessità, è unico.

Alcuni scienziati, per indicare le fasi iniziali che lei sta descrivendo, usano termini come pre-embrione...
Sono neologismi assolutamente arbitrari da un punto di vista scientifico, servono per creare un far-west manipolatorio in cui tutto è possibile.

Lei dice che l’embrione è individuo. Come attribuirgli anche il concetto di persona?
Aristotele diceva nelle opere finali che l’animazione dell’embrione è immediata...

Ma questo non fa legge. E Aristotele distingueva tra l’uomo in atto e l’atto in potenza.
Sì, ma diceva che ciò che conta è ciò che esiste in atto. Ogni persona è in atto il suo presente. Tertulliano diceva “ciò che sarà l’uomo, lo è”. Il
concetto di persona nasce nei primi 4 secoli dopo Cristo: prima esisteva solo il cittadino, che era tale solo se era libero. Il concetto fu introdotto nella cultura cristiana di allora per risolvere un problema intorno a Gesù.

Quale?
La sua natura umana e la sua natura divina. La natura umana è servita per contenere la natura divina, è una maschera della natura divina. Si è posto il problema del termine da usare. E’ stato utilizzato Il termine maschera, e poi persona: la maschera copriva la voce di uno che non vedevi, da qui il termine “
per-sonam”, “per-sonum”, parlare per un altro. Persona è dunque colui che porta in sè una natura che parla attraverso un’altra natura. Nell’embrione c’è la presenza delle due nature, è un corpo che porta la natura divina.

Entriamo in campo di fede?
Sì, l’uomo è persona perchè la sua natura umana è portatrice della natura divina fin dal principio. Un cristiano non si pone il problema del ‘quando’: l’embrione porta il progetto di Dio, quindi non lo puoi toccare, perché porta in sè la natura di Dio. Ecco perchè per la Chiesa il peccato più grande è toccare l’embrione.

I laicisti grideranno allo scandalo. Chi non crede cosa fa?
Levare Dio dalla storia significa impoverire l’uomo, ridurlo alla sola natura umana. Se toglie Dio dalla storia, l’uomo perde tutta la sua forza, specie quando è debole: embrione, bambino o vecchio. L’uomo è persona perchè la natura di Dio che porta in sè, lo rende tale a prescindere da età, sesso, morfologia e intelligenza. Gloria di Dio è l’uomo vivente.

E’ un concetto che, secondo lei, molti cristiani hanno dimenticato?
Sì, molti non sanno tanto della parola ‘persona’. Dio lo ha detto nella Scrittura: nel Genesi, ad esempio, ‘Dio plasmò l’uomo con la polvere e soffiò nelle sue narici e l’uomo divenne essere vivente’. E’ persona perchè Dio lo fa persona. Se si toglie questo, l’uomo deve stare attento al suo simile, che lo farà fuori. Homo hominis lupus, diceva Hobbes. ‘Persona’ da sempre indica la natura umana che porta in sè la natura divina.

Torno alla domanda di prima: e se uno non crede?
Rimane il discorso biologico e medico che si regge in piedi a prescindere dalla metafisica, ma il concetto di persona discende dalla fede. Non serve fare discorsi o dibattiti: persona e individuo hanno un significato diverso. E’ la rivoluzione francese che ha introdotto il termine ‘individuo’, che vuol dire che l’uomo è uomo a prescindere dal suo legame con Dio. Per 1700 anni l’uomo è stato persona perchè ha portato in sè la natura divina: non possiamo dare alla parola ‘persona’ significati diversi. E’ l’incontro con l’esperienza cristiana che mi ha fatto scoprire la mia dignità di persona.

Propongono di sostituire la parola ‘concepito’ con la parola ‘embrione’.
Il concepito ha diritto di nascere. L’embrione può rimanere tale per tutta la vita, ed ognuno lo vede come vuole. Le parole hanno un peso.

Propongono di tutelare la salute della donna.
Se il soggetto è la madre, di cui bisogna tutelare la salute psico-fisica, il rischio è che poi si possa fare qualunque cosa, come prevede la Legge 194. Se il soggetto è questo, gli altri diventano oggetti: e lo puoi fare in qualunque momento, non solo con l’embrione.

Che male c’è a conservare congelati gli embrioni?
Se si conserva a –196 gradi, dal 30 al 90% un embrione avrà malformazioni genetiche. Vogliono fare una legge eugenetica, e rischiano di impiantare un embrione malatissimo? Solo il 12-16% nascono, gli altri muoiono. L’embrione impiantato con questa tecnica è enormemente debole. Tutto questo viene fatto passare come una melassa buona, ma può aprirsi un girone infernale.

SERGIO NUVOLI da "Il Portico

bambino_geopolitico

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persona

giovedì, 27 luglio 2006
L’ABOLIZIONE DELL’UOMO

Oggi sul www.foglio.it ho trovato questa intervista
 di Giulio Meotti a Robert Spaemann 
ne riporto ampi stralci:

….. Robert Spaemann è nato nel 1927 a Berlino,
ha insegnato filosofia a Münster, Stoccarda,
Monaco e Heidelberg, dove è
subentrato nella prestigiosissima cattedra
tenuta per decenni da Hans
Georg Gadamer. Amico di Benedetto
XVI, è autore di numerosi scritti di
etica e di filosofia politica, classici del
pensiero contemporaneo.
Spaemann ha accettato di discutere
a lungo con il Foglio della decisione
europea di aprire alle ricerche sugli
embrioni umani. Secondo questo banditore
della benevolenza, oggi è più
che mai necessario concepire l’uomo
come un essere che è contemporaneamente
naturale e aperto all’assoluto,
per metterlo al riparo da quella che
G.K. Chesterton chiamava “la desolante
minaccia del materialismo
scientifico personificata dal Nuovo
Puritanesimo”. “I diritti umani dipendono
dal fatto che nessuno è autorizzato
a definire il gruppo di coloro ai
quali essi spettano o non spettano
sostiene Spaemann – Ciò significa che
tali diritti, benché fondati nella personalità
dell’uomo, debbono essere riconosciuti
ad ogni essere che nasce
dall’uomo, e questo fin dal primo momento
della sua esistenza puramente
naturale, senza che debbano essere
introdotti criteri aggiuntivi contenutistici
di alcun genere..
Se guardiamo a ciò ‘che la natura fa
dell’uomo’ facciamo della biologia e
parliamo inevitabilmente di qualcosa
che è meno dell’uomo. Poiché la natura
non ‘fa’ la persona”.
Veniamo all’embrione, per la cui
produzione e sfruttamento di massa
Spaemann ha parole di fuoco: “Se il
rispetto per la dignità umana dipende
dal consenso degli altri, allora un giorno
potremo allevare una generazione
di schiavi con la manipolazione genetica.
Perché non dovremmo, se la dignità
umana non esiste ma c’è solo
quella della volontà? Un cannibale ha
trovato su Internet uno disposto a farsi
mangiare. E’ avvenuto tutto con il
loro accordo. Da un punto di vista relativistico
non era un crimine”. Il
grande biochimico Erwin Chargaff
disse che saremmo presto entrati in
“un tempo in cui i cadaveri non verranno
più seppelliti o bruciati ma saranno
macellati in modo industriale
perché contengono terribilmente tante
sostanze pregiate”……
L’essere umano non può essere sottomesso,
l’embrione non è mezzo per interessi
di altri esseri umani, malati o
anziani, ma è sempre un fine.
Esiste anche un altruismo del male”. Come
quello, dice Spaemann, dell’Olanda
che “ha riabilitato di fatto l’eutanasia
nazista”. Il peggior nemico dell’uomo
ha le fattezze del “riduzionismo
biologico”. “Il riduzionismo di cui
parla Benedetto XVI è la riduzione
dell’unità umana ai suoi meri componenti.
La vita sarebbe solo uno stato fisico
e chimico. Ma questo è lo ‘sguardo
del medico di Auschwitz’. Ad Auschwitz
le persone erano materiale
per esperimenti. Il problema oggi più
grave è la negazione della personalità
dell’embrione. Se parti dall’idea che
l’embrione non è un essere umano, allora
puoi fargli tutto ciò che vuoi. Ma
è contro ragione pensare così……..
Per la scienza non può esistere una
cosa chiamata ‘dignità umana’……….
..
L’uomo, spiega Spaemann, è l’unico
essere vivente che sappia cosa significhi
creare, che conosca la relazione
fra l’amore e la generazione e l’unico
a chiamare “parenti” i membri della
propria specie, non “esemplari” come
le scimmie. ………..le nostre nozioni biologiche
sono all’avanguardia rispetto al Medioevo,
San Tommaso non conosceva il
Dna. Oggi sappiamo che esiste una
stretta continuità dell’essere umano.
Se sostieni che l’embrione umano non
è ancora una persona, devi accettarne
le conseguenze, ad esempio, per i malati
in coma non coscienti. Le conseguenze
di questa visione saranno terribili.
Il filosofo Peter Singer pensa
che l’idea di persona valga solo per
coloro che sono coscienti, cioè elabora
una differenza fra l’essere umano e
la persona. Ma è una distinzione tipicamente
nazista. I nazisti usarono
questa distinzione, gli ebrei non erano
persone ma una sorta di essere
umano. Per questo è importante insistere
sulla personalità dell’uomo e sul
pericolo di una scienza che vede la
realtà solo come condizionamento. C’è
bisogno di una teoria della soggettività
dell’essere umano per bilanciare
la scienza. Perché la tecnica moderna
e la medicina possono essere una minaccia
per l’umanità.. La proposizione secondo
cui è bene conservare la vita è
posta solo in termini dell’utilità. Il riduzionismo
e l’evoluzionismo biologico
devono misconoscere “il reale significato
delle parole con cui esprimiamo
la nostra ammirazione morale
per la bellezza di un modo di agire o
la nostra disapprovazione di fronte a
un comportamento mostruoso”.
Per Spaemann, che l’uomo e l’embrione
siano oggetto di osservazione è
qualcosa di letale per la loro libertà.
Quando Sartre in una delle sue opere
teatrali afferma che l’inferno sono
gli altri, presuppone che lo sguardo
dell’uomo sia sempre uno sguardo
cartesiano, cioè una stretta oggettivizzazione
di ciò su cui lo sguardo cade……”.
Parla dello “sguardo sotto il quale l’uomo
diventa uomo, lo sguardo della madre
al bambino che le è nato è di regola
uno sguardo d’amore”. Il biologo Richard
Dawkins la sottomette a un lancinante
riduzionismo. “Una madre è
una macchina per la diffusione ottimale
dei suoi geni, noi siamo delle
macchine robotizzate da sopravvivenza,
ciecamente programmate per la
conservazione di quelle molecole
egoiste che si chiamano geni”, scrive
Dawkins.
La scienza riduzionista che “vuole
superare l’uomo” fa sì che non possiamo
esigere più alcun rispetto incondizionato.
Se la vita deve essere conservata
solo perché è utile alla vita, allora
una persona è un mezzo ridotto ai
fini di altre persone. Così la fondamentale
eguaglianza dei membri della
famiglia umana è totalmente minacciata.
Il miglior argomento contro
l’utilitarismo dell’essere umano l’ha
fornita Immanuel Kant. Ciò che molti
non sanno è che Kant parlava della
personalità dell’essere umano. Il suo
grande argomento era che il soggetto
della libertà non è immaginabile come
il risultato di processi naturali,
non possiamo capire come il processo
naturale possa produrre soggetti capaci
di libertà. Non possiamo cioè stabilire
un inizio, siamo obbligati a considerare
tutto ciò che generiamo al
momento della generazione ‘persona
umana’. Non si tratta di un argomento
religioso, quanto scettico. E’ impossibile
dire quando inizia il soggetto di
libertà, da qui il rispetto assoluto di
tutti gli esseri umani nascenti”…
La domanda sull’uomo non può essere
soddisfatta dalla “formula chimica
della struttura del Dna dei geni
umani, che del resto è particolarmente
simile a quella del maiale domestico”.
Per questo è irrinunciabile l’editto
di Blaise Pascal sull’uomo che supera
infinitamente l’uomo.La natura
fa emergere nell’uomo qualcosa che è
più che natura: ‘nobilior’ dice San
Tommaso. L’uomo non è questo più, è
l’essere nel quale la natura va oltre se
stessa verso il di più”.
Se giudichi l’uomo da ciò che si può
osservare scientificamente, al microscopio
e in laboratorio, non capirai
mai ciò che è veramente l’uomo. “E
puoi ucciderlo senza problemi. Ci sono
due visioni dell’uomo: la riduzionista
che considera reale solo ciò che si
osserva; e quella in cui l’uomo è totalmente
altro, un pezzo divino. Pascal,
cristiano e scienziato, sapeva che l’uomo
è più dell’homo sapiens erectus,
nel linguaggio evoluzionistico. Così la
giustizia è solo per l’uomo, per gli animali
c’è solo l’obbligo, non giustizia”.
Chargaff disse che alla domanda su
che cos’è l’uomo, Pindaro rispose “il
sogno di un ombra”. “Non avrebbe potuto
né voluto dar credito alla domanda:
di cos’è fatto l’uomo? Questa risposta
era riservata a noi: di proteine
e di grasso, acidi nucleici e zuccheri.
Ma ciò che non abbiamo capito è che
questi elenchi sono del diavolo”. Dice
Spaemann: ……
In Germania il “sì” europeo alla ricerca
ha resuscitato per un po’ il passato
hitleriano…..
“Oggi, ancora una volta, l’homme de
l’homme e l’homme de la nature deve
essere sostituito dalla creazione dell’uomo
da parte dell’uomo. Sarà il dominio
totale dei morti, la generazione
presente pianificherà le generazioni
future e quando i vivi scompariranno
lasceranno dietro di sé un totale dominio
sul modo di vivere. Il genetista
Jérôme Lejeune usava l’analogia fra i
campi di concentramento e gli embrioni
umani. La Chiesa è una forza liberatrice
e sta dalla parte della ragione.
Benedetto XVI difende la ragione
contro lo scientismo e una distruttiva
idea della ragione. …..La verità non è un’idea
scientifica e la scienza ha una tendenza
a distruggere se stessa. Non puoi
chiederle il rispetto del prodotto dell’evoluzione”.
Per questo, conclude
questo retore della dignità che rende
il cuore meno duro, “andare in soccorso
agli uomini significa andare in
soccorso a esseri naturali che sono ciò
che sono, non significa farne qualcosa
di diverso. Non abbiamo bisogno di
andare in aiuto degli angeli perché
siamo noi ad avere bisogno del loro
aiuto”. Perché il passato è come un gigante
con i piedi rivolti verso i vivi.
 embrione

Postato da: giacabi a 21:52 | link | commenti (2)
persona, spaeman

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