Verità, bontà ed utilità!
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Un giorno Socrate fu
avvicinato da un uomo che
gli disse:Ascolta, ti devo raccontare qualcosa
d'importante sul tuo amico...Aspetta un pò, lo
interruppe il saggio.Hai già passato
attraverso i tre setacci ciò che mi vuoi
raccontare?Quali tre setacci?Ascoltami bene: il
primo setaccio è quello della veritàSei
convinto che tutto quello che mi dici sia vero?In
effetti no: l'ho solo sentito raccontare da
altri...Ma allora: l'hai passato almeno al secondo
setaccio, quello della bontà ?'uomo
arrossì e rispose: Devo confessarti di no.E
hai pensato al terzo setaccio? Ti sei chiesto a che serva
raccontarmi queste cose sul mio amico?Se serva a
qualcosa...? Beh, veramente no.Vedi? continuò
il saggio,se ciò che mi vuoi raccontare non
è vero, né buono, né
utile,allora sarà meglio che tu lo tenga per
te.(Socrate)
pubblicata da Piero Orrù il giorno sabato 1 ottobre
platone16 agosto 2010
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Platone dal :Dialogo
Postato da: giacabi a 12:20 |
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platone, felicità
La verità emerge attraverso il dialogo
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In effetti la conoscenza della verità non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da se stessa si alimenta».
Platone Lettera VII 341 B - 342 A)
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Postato da: giacabi a 18:06 |
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platone, verità
Studiando estetica...
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Questa è la conclusione cui perviene tutto il discorso sulla quarta forma di mania - ossia quella mania per la quale, quando
uno veda la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera Bellezza,
mette le ali, e messe di nuovo le ali, è desideroso di volare, ma ne è
incapace, e guardando verso l'alto come un uccello e non prendendosi
cura delle cose di quaggiù, riceve l'accusa di trovarsi in uno stato di
mania. E il discorso giunge a dire che, fra tutte le divine
ispirazioni, questa è la migliore e deriva dalle cose migliori, e per
chi la possiede e per chi ne partecipa. Ed è per questo che,
partecipando di tale mania, chi ama i belli viene detto innamorato. Infatti,
come ho detto, ciascun'anima di uomo, per sua natura, ha contemplato
gli esseri, altrimenti non sarebbe venuta in questo essere vivente.
[...]Poche anime restano nelle quali è presente il ricordo in maniera
sufficiente. Quando vedono qualcosa che sia un'immagine delle realtà di
lassù esse restano colpite e non rimangono più in sé. Ma non sanno cosa
sia quello che provano, perché non lo percepiscono in modo sufficiente.
[...] Per quanto riguarda la Bellezza, poi, come abbiamo detto,
splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù,
l'abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto
risplende in modo luminosissimo. La vista, per noi, è infatti
la più acuta delle sensazioni che riceviamo mediante il corpo. Ma con
essa non si vede la Saggezza, perché, giungendo alla vista, susciterebbe
terribili amori, se offrisse una qualche chiara immagine di sé, né si
vedono tutte le altre realtà che sono degne d'amore. Ora, invece, solamente la Bellezza ricevette la sorte di essere ciò che è più manifesto e più degno d'amore.
Dunque, chi
non è di recente iniziato, o è già corrotto, non si innalza prontamente
di qui a lassù,verso la Bellezza in sé, quando contempla ciò che
quaggiù porta lo stesso nome. Di conseguenza, guardandola, non la onora,
ma, dandosi al piacere come un quadrupede che cerca solo di montare e
generare figli, e abbandonandosi agli eccessi, non prova timore e non si
vergogna nel correre dietro a un piacere contro natura.
Chi,
invece, è di recente iniziato e ha molto contemplato le realtà di
allora, quando vede un volto di forma divina che imita bene la bellezza,
o una qualche forma di corpo, dapprima sente i brividi, e qualcuna
delle paure di allora penetra in lui. Poi, guardandolo, lo venera come
un dio, e se non avesse timore di essere ritenuto in condizione di
eccessiva mania, offrirebbe sacrifici al suo amato come a una immagine
sacra e a un dio. Al vederlo, lo coglie come una reazione che proviene
dal brivido, e un sudore e un calore insoliti. Ricevendo, infatti,
attraverso gli occhi l'effluvio della bellezza, si scalda nel punto in
cui la natura dell'ala si alimenta. E, una volta riscaldatasi, si
sciolgono le parti che stanno attorno ai germi, le quali, essendo da
tempo chiuse, per inaridimento, non lasciavano germogliare le ali. In
seguito all'affluire del nutrimento, l'ala si gonfia e comincia a
crescere dalla radice, per tutta quanta la forma dell'anima. Un tempo,
infatti, l'anima era tutta alata. Dunque, a questo punto, essa ribolle
tutta quanta e palpita. [...]
Quando,
dunque, guarda la bellezza di un ragazzo, e riceve le parti che ne
procedono e fluiscono e che appunto per questo sono dette "flusso
d'amore", l'anima viene irrigata e si riscalda, si riprende dal dolore e
si allieta. Quando
invece ne è separata e si inaridisce, le bocche dei condotti da cui
escono le penne, disseccandosi e chiudendosi, impediscono il germoglio
dell'ala. Ma questo, rinchiuso dentro insieme al flusso d'amore, come i
polsi che battono, pizzica sui condotti, ciascun germoglio nel condotto
che gli è proprio, cosicché l'anima, pungolata tutt'intorno, è presa
dall'assillo e dal dolore. Ma avendo di nuovo il ricordo della bellezza,
prova gioia.
In
seguito alla mescolanza di queste cose, essa prova grande turbamento
per la stranezza di ciò che sente e, senza una via d'uscita, delira, e,
presa dalla mania, non riesce a dormire di notte, né di giorno può
riposare da qualche parte, ma, spinta dalla brama, corre là dove pensa
di poter vedere chi possiede la bellezza. E dopo che ha visto ed è stata
irrorata dal flusso d'amore, si sciolgono i condotti che prima si erano
ostruiti e, ripreso respiro, cessa di avere punture e travagli e nel
momento presente gode di un piacere dolcissimo.
Platone, da Fedro
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Postato da: giacabi a 19:09 |
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platone, bellezza
Il mito della Caverna
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Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell'antro; essi
vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da
restare immobili e guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo
per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di
un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita,
lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo, come i
paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in
scena i loro spettacoli».
«Li vedo», disse. «Immagina allora degli uomini che portano lungo questo muricciolo oggetti d'ogni genere sporgenti dal margine, e statue e altre immagini in pietra e in legno delle più diverse fogge; alcuni portatori, com'è naturale, parlano, altri tacciono». «Che strana visione», esclamò, «e che strani prigionieri!». «Simili a noi», replicai: «innanzitutto credi che tali uomini abbiano visto di se stessi e dei compagni qualcos'altro che le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna di fronte a loro?» «E come potrebbero», rispose, «se sono stati costretti per tutta la vita a tenere il capo immobile?» «E per gli oggetti trasportati non è la stessa cosa?» «Sicuro!». «Se dunque potessero parlare tra loro, non pensi che prenderebbero per reali le cose che vedono?» «E' inevitabile». «E se nel carcere ci fosse anche un'eco proveniente dalla parete opposta? Ogni volta che uno dei passanti si mettesse a parlare, non credi che essi attribuirebbero quelle parole all'ombra che passa?» «Certo, per Zeus!». «Allora», aggiunsi, «per questi uomini la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti». «è del tutto inevitabile», disse. «Considera dunque», ripresi, «come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e dall'ignoranza, se capitasse loro naturalmente un caso come questo: qualora un prigioniero venisse liberato e costretto d'un tratto ad alzarsi, volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò soffrisse e per l'abbaglio fosse incapace di scorgere quelle cose di cui prima vedeva le ombre, come credi che reagirebbe se uno gli dicesse che prima vedeva vane apparenze, mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà e di più vero, perché il suo sguardo è rivolto a oggetti più reali, e inoltre, mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse con alcune domande a rispondere che cos'è? Non credi che si troverebbe in difficoltà e riterrebbe le cose viste prima più vere di quelle che gli vengono mostrate adesso?» «E di molto!», esclamò. «E se fosse costretto a guardare proprio verso la luce, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso gli oggetti che può vedere e considerandoli realmente più chiari di quelli che gli vengono mostrati?» «E'così », rispose. «E se qualcuno», proseguii, «lo trascinasse a forza da lì su per la salita aspra e ripida e non lo lasciasse prima di averlo condotto alla luce del sole, proverebbe dolore e rabbia a essere trascinato, e una volta giunto alla luce, con gli occhi accecati dal bagliore, non potrebbe vedere neppure uno degli oggetti che ora chiamiamo veri?» «No, non potrebbe, almeno tutto a un tratto», rispose. «Se volesse vedere gli oggetti che stanno di sopra avrebbe bisogno di abituarvisi, credo. Innanzitutto discernerebbe con la massima facilità le ombre, poi le immagini degli uomini e degli altri oggetti riflesse nell'acqua, infine le cose reali; in seguito gli sarebbe più facile osservare di notte i corpi celesti e il cielo, alla luce delle stelle e della luna, che di giorno il sole e la luce solare». «Certo! » «Per ultimo, credo, potrebbe contemplare il sole, non la sua immagine riflessa nell'acqua o in una superficie non propria, ma così com'è nella sua realtà e nella sua sede». «Per forza», disse. «In seguito potrebbe dedurre che è il sole a regolare le stagioni e gli anni e a governare tutto quanto è nel mondo visibile, e che in qualche modo esso è causa di tutto ciò che i prigionieri vedevano». «è chiaro», disse, «che dopo quelle esperienze arriverà a queste conclusioni». «E allora? Credi che lui, ricordandosi della sua prima dimora, della sapienza di laggiù e dei vecchi compagni di prigionia, non si riterrebbe fortunato per il mutamento di condizione e non avrebbe compassione di loro?» «Certamente». «E se allora si scambiavano onori, elogi e premi, riservati a chi discernesse più acutamente gli oggetti che passavano e si ricordasse meglio quali di loro erano soliti venire per primi, quali per ultimi e quali assieme, e in base a ciò indovinasse con la più grande abilità quello che stava per arrivare, ti sembra che egli ne proverebbe desiderio e invidierebbe chi tra loro fosse onorato e potente, o si troverebbe nella condizione descritta da Omero e vorrebbe ardentemente "lavorare a salario per un altro, pur senza risorse" e patire qualsiasi sofferenza piuttosto che fissarsi in quelle congetture e vivere in quel modo?» «Io penso», rispose, «che accetterebbe di patire ogni genere di sofferenze piuttosto che vivere in quel modo». «E considera anche questo», aggiunsi: «se quell'uomo scendesse di nuovo a sedersi al suo posto, i suoi occhi non sarebbero pieni di oscurità, arrivando all'improvviso dal sole?» «Certamente», rispose. «E se dovesse di nuovo valutare quelle ombre e gareggiare con i compagni rimasti sempre prigionieri prima che i suoi occhi, ancora deboli, si ristabiliscano, e gli occorresse non poco tempo per riacquistare l'abitudine, non farebbe ridere e non si direbbe di lui che torna dalla sua ascesa con gli occhi rovinati e che non vale neanche la pena di provare a salire? E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani e ucciderlo?»
Platone da "La Repubblica
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Postato da: giacabi a 18:11 |
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platone, verità
La Bellezza
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«È
questo il momento della vita, o caro Socrate -disse la straniera di
Mantinea -, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo,
ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé. E se mai ti sarà possibile vederlo, ti
sembrerà ben superiore all'oro, alle vesti, e anche ai bei ragazzi e
bei fanciulli, vedendo i quali, ora, tu ne rimani turbato, e sei
disposto e tu e molti altri, pur di poter solo vedere l'amato e stare sempre insieme a lui, se fosse possibile, a non mangiare e bere.
Che cosa, dunque, noi dovremo pensare -disse -, se ad uno capitasse di
vedere il Bello in sé assoluto, puro, non mescolato, non affatto
contaminato da carni umane e da colori e altre piccolezze mortali, ma
potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino? O forse tu
ritieni -disse -che sarebbe una vita che vale poco quella di un uomo che guardasse là e che contemplasse quel bello con ciò con cui si deve contemplare, e rimanere unito ad esso?
Platone Simposio
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Postato da: giacabi a 22:22 |
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platone, bellezza
La tirannia
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"Quando
un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere dei
mescitori che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, allora
accade che, se i governanti resistono alle richieste dei cittadini
sempre più esigenti, sono denunciati come tiranni.
E avviene che chi si dimostra disciplinato è definito un uomo senza carattere; che
il padre impaurito finisce per trattare il figlio come un suo pari e
non è più rispettato; che il maestro non osa rimproverare gli scolari e
costoro si fanno beffe di lui.
In
questo clima di libertà ed in nome della medesima non vi è più riguardo
né rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa
una mala pianta: la tirannia".
PLATONE
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Postato da: giacabi a 16:20 |
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platone, nichilismo, imbecillità giovanile
Nell’unione
dell’uomo e della donna
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Nell’unione dell’uomo e della
donna c’è qualcosa di creativo, qualcosa di divino. Tutte le creature viventi sono mortali, ma in loro c’è una scintilla d’immortalità: è la fecondità dei sessi, la capacità di generare nuovi esseri viventi. Ma questo non può avvenire se non c’è armonia: e non c’è armonia tra la bruttezza e tutto ciò che è divino, perché solo la bellezza è in armonia con gli dèi. Per questo, chi ha dentro di sé qualcosa di creativo, quando si avvicina a ciò che è bello prova gioia nel suo cuore, si apre al fascino della bellezza. E’ il momento della generazione: egli crea. Platone, Symposio |
Postato da: giacabi a 21:28 |
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platone
La ricerca dell’Infinito
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“ Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l'uno dall'altro.
Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. È allora evidente che l'anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio.”
Platone - Simposio, 192 c-d
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Postato da: giacabi a 18:20 |
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platone, mistero, senso religioso
La Scrittura è sempre fonte di progresso?
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"Una
volta Theuth, "Padre delle lettere" e "Dio del tempo", si recò dal re
egizio Thamus di Tebe, Informò il sovrano sulle diverse arti da lui
scoperte e in particolare sull'arte da lui ideata dello scrivere.
Magnificando la sua scoperta avrebbe detto al re:<
Platone, Fedro
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Postato da: giacabi a 22:28 |
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platone
La Divina Rivelazione
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"Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la
verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa
raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime difficoltà.
Però io penso che sia una viltà il non studiare sotto ogni rispetto le
cose che sono state dette in proposito, e lo smettere le ricerche prima
di avere esaminato con ogni mezzo. Perché in queste cose, una delle due:
o venire a capo di conoscere come stanno; o se
a questo non si riesce, appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli
argomenti umani e con questo, come sopra una barca, tentare la
traversata del pelago. A meno che non si possa con maggiore agio e minore pericolo fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l'aiuto cioè della rivelata parola del "dio".
Fedone di Platone
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