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domenica 19 febbraio 2012

Platone


Verità, bontà ed utilità!

***

Un giorno Socrate fu 
avvicinato da un uomo che
gli disse:Ascolta, ti devo raccontare qualcosa
d'importante sul tuo amico...Aspetta un pò, lo
interruppe il saggio.Hai già passato
attraverso i tre setacci ciò che mi vuoi
raccontare?Quali tre setacci?Ascoltami bene: il
primo setaccio è quello della veritàSei
convinto che tutto quello che mi dici sia vero?In
effetti no: l'ho solo sentito raccontare da
altri...Ma allora: l'hai passato almeno al secondo
setaccio, quello della bontà ?'uomo
arrossì e rispose: Devo confessarti di no.E
hai pensato al terzo setaccio? Ti sei chiesto a che serva
raccontarmi queste cose sul mio amico?Se serva a
qualcosa...? Beh, veramente no.Vedi? continuò
il saggio,se ciò che mi vuoi raccontare non
è vero, né buono, né

utile,allora sarà meglio che tu lo tenga per

te.(Socrate)
pubblicata da Piero Orrù il giorno sabato 1 ottobre

platone16 agosto 2010



***
«“E che vantaggio avrà [l’essere umano] dal venire in possesso delle cose buone?”. “A questo – dissi io – mi è più facile fornirti una risposta: sarà felice”. “Infatti – disse–, è appunto per il possesso delle cose buone che sono felici quelli che sono felici, e non c’è più bisogno di fare questa ulteriore domanda: Chi vuole essere felice, a che scopo vuole essere felice? Perché la risposta ha ormai raggiunto il suo fine”. “Dici il vero”, risposi. “Questa volontà e questo amore credi che siano una cosa comune a tutti gli uomini, e che tutti vogliano possedere? O come dici?”. “Proprio così – dissi –, che sia una cosa comune a tutti”»
Platone dal :Dialogo

Postato da: giacabi a 12:20 | link | commenti
platone, felicità

mercoledì, 23 settembre 2009

La verità emerge attraverso il dialogo
***
  In effetti la conoscenza della verità non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da se stessa si alimenta».
Platone Lettera VII 341 B - 342 A)

Postato da: giacabi a 18:06 | link | commenti
platone, verità

domenica, 29 marzo 2009

Studiando estetica...
***

Questa è la conclusione cui perviene tutto il discorso sulla quarta forma di mania - ossia quella mania per la quale, quando uno veda la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera Bellezza, mette le ali, e messe di nuovo le ali, è desideroso di volare, ma ne è incapace, e guardando verso l'alto come un uccello e non prendendosi cura delle cose di quaggiù, riceve l'accusa di trovarsi in uno stato di mania. E il discorso giunge a dire che, fra tutte le divine ispirazioni, questa è la migliore e deriva dalle cose migliori, e per chi la possiede e per chi ne partecipa. Ed è per questo che, partecipando di tale mania, chi ama i belli viene detto innamorato. Infatti, come ho detto, ciascun'anima di uomo, per sua natura, ha contemplato gli esseri, altrimenti non sarebbe venuta in questo essere vivente. [...]Poche anime restano nelle quali è presente il ricordo in maniera sufficiente. Quando vedono qualcosa che sia un'immagine delle realtà di lassù esse restano colpite e non rimangono più in sé. Ma non sanno cosa sia quello che provano, perché non lo percepiscono in modo sufficiente. [...] Per quanto riguarda la Bellezza, poi, come abbiamo detto, splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù, l'abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto risplende in modo luminosissimo. La vista, per noi, è infatti la più acuta delle sensazioni che riceviamo mediante il corpo. Ma con essa non si vede la Saggezza, perché, giungendo alla vista, susciterebbe terribili amori, se offrisse una qualche chiara immagine di sé, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d'amore. Ora, invece, solamente la Bellezza ricevette la sorte di essere ciò che è più manifesto e più degno d'amore.
Dunque, chi non è di recente iniziato, o è già corrotto, non si innalza prontamente di qui a lassù,verso la Bellezza in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta lo stesso nome. Di conseguenza, guardandola, non la onora, ma, dandosi al piacere come un quadrupede che cerca solo di montare e generare figli, e abbandonandosi agli eccessi, non prova timore e non si vergogna nel correre dietro a un piacere contro natura.
Chi, invece, è di recente iniziato e ha molto contemplato le realtà di allora, quando vede un volto di forma divina che imita bene la bellezza, o una qualche forma di corpo, dapprima sente i brividi, e qualcuna delle paure di allora penetra in lui. Poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non avesse timore di essere ritenuto in condizione di eccessiva mania, offrirebbe sacrifici al suo amato come a una immagine sacra e a un dio. Al vederlo, lo coglie come una reazione che proviene dal brivido, e un sudore e un calore insoliti. Ricevendo, infatti, attraverso gli occhi l'effluvio della bellezza, si scalda nel punto in cui la natura dell'ala si alimenta. E, una volta riscaldatasi, si sciolgono le parti che stanno attorno ai germi, le quali, essendo da tempo chiuse, per inaridimento, non lasciavano germogliare le ali. In seguito all'affluire del nutrimento, l'ala si gonfia e comincia a crescere dalla radice, per tutta quanta la forma dell'anima. Un tempo, infatti, l'anima era tutta alata. Dunque, a questo punto, essa ribolle tutta quanta e palpita. [...]
Quando, dunque, guarda la bellezza di un ragazzo, e riceve le parti che ne procedono e fluiscono e che appunto per questo sono dette "flusso d'amore", l'anima viene irrigata e si riscalda, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece ne è separata e si inaridisce, le bocche dei condotti da cui escono le penne, disseccandosi e chiudendosi, impediscono il germoglio dell'ala. Ma questo, rinchiuso dentro insieme al flusso d'amore, come i polsi che battono, pizzica sui condotti, ciascun germoglio nel condotto che gli è proprio, cosicché l'anima, pungolata tutt'intorno, è presa dall'assillo e dal dolore. Ma avendo di nuovo il ricordo della bellezza, prova gioia.
In seguito alla mescolanza di queste cose, essa prova grande turbamento per la stranezza di ciò che sente e, senza una via d'uscita, delira, e, presa dalla mania, non riesce a dormire di notte, né di giorno può riposare da qualche parte, ma, spinta dalla brama, corre là dove pensa di poter vedere chi possiede la bellezza. E dopo che ha visto ed è stata irrorata dal flusso d'amore, si sciolgono i condotti che prima si erano ostruiti e, ripreso respiro, cessa di avere punture e travagli e nel momento presente gode di un piacere dolcissimo.

Platone, da Fedro
grazie ad : annina

Postato da: giacabi a 19:09 | link | commenti
platone, bellezza

martedì, 13 novembre 2007

Il mito della Caverna
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Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell'antro; essi vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare immobili e guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo, come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro spettacoli».
«Li vedo», disse.
«Immagina allora degli uomini che portano lungo questo muricciolo oggetti d'ogni genere sporgenti dal margine, e statue e altre immagini in pietra e in legno delle più diverse fogge; alcuni portatori, com'è naturale, parlano, altri tacciono».
«Che strana visione», esclamò, «e che strani prigionieri!».
«Simili a noi», replicai: «innanzitutto credi che tali uomini abbiano visto di se stessi e dei compagni qualcos'altro che le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna di fronte a loro?»
«E come potrebbero», rispose, «se sono stati costretti per tutta la vita a tenere il capo immobile?»
«E per gli oggetti trasportati non è la stessa cosa?»
«Sicuro!».
«Se dunque potessero parlare tra loro, non pensi che prenderebbero per reali le cose che vedono?»
«E' inevitabile».
«E se nel carcere ci fosse anche un'eco proveniente dalla parete opposta? Ogni volta che uno dei passanti si mettesse a parlare, non credi che essi attribuirebbero quelle parole all'ombra che passa?»
«Certo, per Zeus!».
«Allora», aggiunsi, «per questi uomini la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti».
«è del tutto inevitabile», disse.
«Considera dunque», ripresi, «come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e dall'ignoranza, se capitasse loro naturalmente un caso come questo: qualora un prigioniero venisse liberato e costretto d'un tratto ad alzarsi, volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò soffrisse e per l'abbaglio fosse incapace di scorgere quelle cose di cui prima vedeva le ombre, come credi che reagirebbe se uno gli dicesse che prima vedeva vane apparenze, mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà e di più vero, perché il suo sguardo è rivolto a oggetti più reali, e inoltre, mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse con alcune domande a rispondere che cos'è? Non credi che si troverebbe in difficoltà e riterrebbe le cose viste prima più vere di quelle che gli vengono mostrate adesso?»
«E di molto!», esclamò.
«E se fosse costretto a guardare proprio verso la luce, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso gli oggetti che può vedere e considerandoli realmente più chiari di quelli che gli vengono mostrati?»
«E'così », rispose.
«E se qualcuno», proseguii, «lo trascinasse a forza da lì su per la salita aspra e ripida e non lo lasciasse prima di averlo condotto alla luce del sole, proverebbe dolore e rabbia a essere trascinato, e una volta giunto alla luce, con gli occhi accecati dal bagliore, non potrebbe vedere neppure uno degli oggetti che ora chiamiamo veri?»
«No, non potrebbe, almeno tutto a un tratto», rispose.
«Se volesse vedere gli oggetti che stanno di sopra avrebbe bisogno di abituarvisi, credo. Innanzitutto discernerebbe con la massima facilità le ombre, poi le immagini degli uomini e degli altri oggetti riflesse nell'acqua, infine le cose reali; in seguito gli sarebbe più facile osservare di notte i corpi celesti e il cielo, alla luce delle stelle e della luna, che di giorno il sole e la luce solare».
«Certo! »
«Per ultimo, credo, potrebbe contemplare il sole, non la sua immagine riflessa nell'acqua o in una superficie non propria, ma così com'è nella sua realtà e nella sua sede».
«Per forza», disse.
«In seguito potrebbe dedurre che è il sole a regolare le stagioni e gli anni e a governare tutto quanto è nel mondo visibile, e che in qualche modo esso è causa di tutto ciò che i prigionieri vedevano».
«è chiaro», disse, «che dopo quelle esperienze arriverà a queste conclusioni».
«E allora? Credi che lui, ricordandosi della sua prima dimora, della sapienza di laggiù e dei vecchi compagni di prigionia, non si riterrebbe fortunato per il mutamento di condizione e non avrebbe compassione di loro?»

«Certamente».
«E se allora si scambiavano onori, elogi e premi, riservati a chi discernesse più acutamente gli oggetti che passavano e si ricordasse meglio quali di loro erano soliti venire per primi, quali per ultimi e quali assieme, e in base a ciò indovinasse con la più grande abilità quello che stava per arrivare, ti sembra che egli ne proverebbe desiderio e invidierebbe chi tra loro fosse onorato e potente, o si troverebbe nella condizione descritta da Omero e vorrebbe ardentemente "lavorare a salario per un altro, pur senza risorse" e patire qualsiasi sofferenza piuttosto che fissarsi in quelle congetture e vivere in quel modo
«Io penso», rispose, «che accetterebbe di patire ogni genere di sofferenze piuttosto che vivere in quel modo».
«E considera anche questo», aggiunsi: «se quell'uomo scendesse di nuovo a sedersi al suo posto, i suoi occhi non sarebbero pieni di oscurità, arrivando all'improvviso dal sole?»
«Certamente», rispose.
«E se dovesse di nuovo valutare quelle ombre e gareggiare con i compagni rimasti sempre prigionieri prima che i suoi occhi, ancora deboli, si ristabiliscano, e gli occorresse non poco tempo per riacquistare l'abitudine, non farebbe ridere e non si direbbe di lui che torna dalla sua ascesa con gli occhi rovinati e che non vale neanche la pena di provare a salire? E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani e ucciderlo?»
Platone da "La Repubblica







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platone, verità

sabato, 10 novembre 2007

La Bellezza

***

 «È questo il momento della vita, o caro Socrate -disse la straniera di Mantinea -, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé. E se mai ti sarà possibile vederlo, ti sembrerà ben superiore all'oro, alle vesti, e anche ai bei ragazzi e bei fanciulli, vedendo i quali, ora, tu ne rimani turbato, e sei disposto e tu e molti altri, pur di poter solo vedere l'amato e stare sempre insieme a lui, se fosse possibile, a non mangiare e bere. Che cosa, dunque, noi dovremo pensare -disse -, se ad uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non mescolato, non affatto contaminato da carni umane e da colori e altre piccolezze mortali, ma potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino? O forse tu ritieni -disse -che sarebbe una vita che vale poco quella di un uomo che guardasse là e che contemplasse quel bello  con ciò con cui si deve contemplare, e rimanere unito ad esso?

Platone  Simposio

 

 


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platone, bellezza

sabato, 20 ottobre 2007

La tirannia
                     ***

"Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere dei mescitori che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, allora accade che, se i governanti resistono alle richieste dei cittadini sempre più esigenti, sono denunciati come tiranni.
   E avviene che chi si dimostra disciplinato è definito un uomo senza carattere; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come un suo pari e non è più rispettato; che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui.
   In questo clima di libertà ed in nome della medesima non vi è più riguardo né rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia".
 PLATONE




Postato da: giacabi a 16:20 | link | commenti
platone, nichilismo, imbecillità giovanile

martedì, 31 luglio 2007

Nell’unione
dell’uomo e della donna
***
Nell’unione dell’uomo e della
donna c’è qualcosa di creativo, qualcosa di
divino
. Tutte le creature viventi sono mortali, ma in loro c’è una scintilla d’immortalità: è la fecondità dei sessi, la capacità di generare nuovi esseri viventi. Ma questo non può avvenire se non c’è armonia: e non c’è armonia tra la bruttezza e tutto ciò che è divino, perché solo la bellezza è in armonia con gli dèi. Per questo, chi ha dentro di sé qualcosa di creativo, quando si avvicina a ciò che è bello prova gioia nel suo cuore, si apre al fascino della bellezza. E’ il momento della generazione: egli crea.

Platone, Symposio


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platone

domenica, 29 aprile 2007

La ricerca dell’Infinito
***
 “ Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l'uno dall'altro.
Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. È allora evidente che l'anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio.”
Platone - Simposio, 192 c-d


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platone, mistero, senso religioso

lunedì, 23 aprile 2007

La Scrittura è sempre fonte di progresso?
***
"Una volta Theuth, "Padre delle lettere" e "Dio del tempo", si recò dal re egizio Thamus di Tebe, Informò il sovrano sulle diverse arti da lui scoperte e in particolare sull'arte da lui ideata dello scrivere. Magnificando la sua scoperta avrebbe detto al re:<>. Ma il re non si lasciò impressionare. Egli prevedeva che la conseguenza dell'arte della scrittura sarebbe stata il contrario. <<Perchè essa ingenererà oblio nelle anime di chi la imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perchè fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall'interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Nè tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l'apparenza perchè essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno di essere  dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti>>". <>
Platone, Fedro


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platone

venerdì, 20 aprile 2007

La Divina Rivelazione
***
"Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime difficoltà. Però io penso che sia una viltà il non studiare sotto ogni rispetto le cose che sono state dette in proposito, e lo smettere le ricerche prima di avere esaminato con ogni mezzo. Perché in queste cose, una delle due: o venire a capo di conoscere come stanno; o se a questo non si riesce, appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli argomenti umani e con questo, come sopra una barca, tentare la traversata del pelago. A meno che non si possa con maggiore agio e minore pericolo fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l'aiuto cioè della rivelata parola del "dio".
Fedone di Platone


Postato da: giacabi a 14:17 | link | commenti
platone, senso relig

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