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domenica 19 febbraio 2012

politica


COSSIGA
Oltre lo statista, il ricordo di un uomo alla ricerca della verità

martedì 17 agosto 2010                                                                 da www.sussidiario.it
MORTO FRANCESCO COSSIGA - Il viso ha ritrovato pace. Da tanto tempo il suo sorriso così bello si raggrinziva, era perennemente turbato. Le sue battute e le sue contumelie da morir dal ridere, le sue esplorazioni terrificanti della storia italiana e dei suoi segreti, non davano requie a lui stesso. Aveva un solo punto dove si riposava: annegando nell’abbraccio trinitario di amici cristiani. Un tempo papa Karol Wojtyla (è l’uomo di Stato che lo ha incontrato ufficialmente più spesso: ventitré volte, ma qualcuna l’hanno cancellata per non esagerare) e don Luigi Giussani. Oggi Benedetto XVI. Gli era amico da cardinale, ma un Papa – diceva Cossiga – può avere amici solo altri cardinali, e si sentiva in questa confessione un po’ di amarezza. Ma soprattutto di desiderio.
Aveva le stampelle, non stava in piedi, Cossiga, il 24 marzo del 2007 quando il Papa volle incontrare in San Pietro i ciellini. Andai a prenderlo di mattino presto in casa, e stava male, faceva freddo e non sarebbe dovuto uscire, pioveva a dirotto. Invece volle esserci e come un ragazzino si buttò in ginocchio davanti al Papa per prendere la sua benedizione. Aveva una sete tremenda di grazia. Era un mendicante bambino, lui che è stato uno degli uomini che sulla terra ha raccolto più cariche e titoli, più amicizie e onori. Era uno degli uomini al mondo meglio dotato di relazioni e più conosciuto e stimato a destra e a sinistra, in America e in Cina. Ma non era niente tutto questo sfavillio dinanzi al destino, senza Cristo vivo. Senza che Cristo gli potesse perdonare la morte di Moro, del quale lui mi disse ancora poco tempo fa con un sorriso che non dissimulava un bel niente tranne il dolore più grande del mondo e del sopramondo: “L’ho condannato a morte!”.
Sto condividendo qui il ricordo più forte e bello che ho del presidente Cossiga. Il suo essere l’essenza concreta dell’uomo europeo. Un uomo che è stato duemila anni fa greco e poi ebreo e cristiano. È stato travolto dalla modernità, si è aggrappato al cattolicesimo liberale di Rosmini e Newman. Ha sentito il peso di un moralismo insopportabile, infine il suo dovere di statista. La solitudine. Il monachesimo finale nella memoria amica di don Gius, Giovanni Paolo e Benedetto.
Un aspetto poco conosciuto è quello del suo affetto e della sua santa invidia per don Giussani. Desiderava avere la sua fede, gli obbedì nella scelta decisiva della sua esistenza; matto com’era avrebbe voluto acciambellarsi ai suoi piedi come il Gatto Mammone che si figurava essere per respirare lo stesso tepore della Santa Trinità ardente nel cuore di don Gius. (Uno così non si può non amare, anzi non si poteva non amare, bisogna usare il tempo passato adesso che è morto, ma non mi rassegno, non è giusto, ci dev’essere un’altra giustizia che fa risorgere dai morti).
Non mi intrattengo sul politico e sulla sua idea di politica. Lo faranno molto meglio altri. Mi interessa trasmettere la sua tenera e fanciullesca fede, lui che è stato uno degli uomini di Stato più colti del mondo. Era complicato nella testa, anche nella teologia aveva idee profonde e molto ingarbugliate esposte con perfezione dottrinale. Ma era evidente che non si vive di dottrina, ma di amicizia cristiana, la quale scioglie il cuore nell’Amore. Ecco l’amicizia che lui ha avuto la generosità di accordarmi ha avuto questo segno: in tutto, anche gustando del caffè o del gelato, del vino o un passo di poesia, o c’entra il cuore della realtà, il suo significato, oppure tutto è vanità. E per me, ma anche per lui – ha chiesto di iscriversi alla Fraternità di Comunione e Liberazione - don Giussani, la sua persona vivente anche dopo il suo trapasso, era il segno efficace di Dio nel mondo, di una felicità possibile anche ora, nonostante la nostra miseria, anzi esaltata ancora di più nella sua gratuità dalla nostra meschinità traditora.

Cossiga mi raccontò che fu Aldo Moro a indirizzarlo da don Giussani. Mi disse: «Ho conservato da qualche parte l’angolo di giornale dove segnò i numeri di telefono di Giussani e Formigoni, dicendomi, anzi ordinandomi di chiamarli e di incontrarli. Nel 1976 si era assunto in prima persona l’onere di condurre, pur essendo presidente del Consiglio, la campagna elettorale che minacciava di essere quella del sorpasso. Diceva che gli unici a capire il senso autentico di quello che poteva accadere erano loro, Giussani e Formigoni: e mi mandò da loro».
Quando Moro fu assassinato, Cossiga si ritirò da tutto. Voleva chiudere con la vita pubblica. Andò da don Giussani e gli chiese consiglio. Don Giussani, sempre discretissimo, quella volta lo aiutò a decidere per il rientro in politica, era la sua vocazione…
Ricordo ancora quando nell’ottobre del 2005 a Desio si inaugurava la piazza don Giussani, il paese natale. Nessuno credeva che sarebbe arrivato. Invece venne, e tenne un discorso bellissimo sotto la pioggia sferzante, con una bronchite che lo strozzava. Era così, Francesco Cossiga. Amava il Meeting. Indossò da presidente della Repubblica la maglietta dei militanti, spiritoso e serissimo: ci credeva.
 


Postato da: giacabi a 11:31 | link | commenti
politica, giussani

sabato, 27 marzo 2010


Un giudizio per chi deve votare

***

L’evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare.In esso si trasferiscono non poche delle preoccupazioni cui si è fatto riferimento, giacché il voto avviene sulla base dei programmi sempre più chiaramente dichiarati e assunti dinanzi all’opinione pubblica, e rispetto ai quali la stessa opinione pubblica si è abituata ad esercitare un discrimine sempre meno ingenuo, sottratto agli schematismi ideologici e massmediatici.C’è una linea ormai consolidata che sinteticamente si articola su una piattaforma di contenuti che, insieme a Benedetto XVI, chiamiamo «valori non negoziabili», e che emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l’evidenza della ragione e del senso comune. Essi sono: la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. È solo su questo fondamento che si impiantano e vengono garantiti altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l’accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata. Si tratta di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà, che costituisce l’orizzonte stabile del giudizio e dell’impegno nella società. Quale solidarietà sociale infatti, se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole?
Cardinal Angelo Bagnasco

Conferenza Episcopale Italiana
CONSIGLIO PERMANENTE
Roma, 22 - 25 marzo 2010

 


Postato da: giacabi a 19:39 | link | commenti
politica

giovedì, 17 dicembre 2009

Il collante dei “no b day”
***
 BERLUSCONI FERITO
"L'odio,
il nobile odio proletario,
il principio d'ogni saggezza"
Lenin
***

«Chi l'ha detto che non posso odiare un uomo politico? Chi l'ha detto che non posso augurarmi che il Creatore se lo porti via al più presto?».
Marco Travaglio

Postato da: giacabi a 07:58 | link | commenti (2)
politica

giovedì, 08 ottobre 2009

A Proposito di Lodo Alfano
***
dal:  Corriere della Sera di oggi
 
 
“di fronte ad un vuoto legislativo della materia, sarebbe meglio allora reintrodurre l'immunità per tutti i parlamentari, così come era prevista dall'articolo 68 della Costituzione (divieto di aprire un procedimento penale a carico di deputati e senatori), poi abrogato nel 1993 sull'onda di Mani Pulite
…. E ora, a distanza di anni - prosegue Maccanico - continuo a pensare che fu un tentativo che andava nella giusta direzione, occorre risolvere il problema..
.. I costituenti avevano deciso un'immunita' 'larga' non a caso, ma perche' il nostro ordinamento, caso pressoche' unico, prevede l'indipendenza dei pm dal governo e l'obbligatorieta' dell'azione penale. In Francia, solo per fare un esempio, i pubblici ministeri dipendono dall'esecutivo. Ritengo quindi piu' saggio reintrodurre l'immunita' in vigore fino al 1993". ..
serve "un accordo bipartisan: e' impossibile approvare leggi simili se non c'e' un accordo largo tra maggioranza e opposizione.” ANTONIO MACCANICO

 Autore: Zuccolini ROBERTO
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Postato da: giacabi a 17:02 | link | commenti
politica, giustizia

lunedì, 02 marzo 2009

L'Italia fu salvata dai discepoli di Cristo 
Italia libera? Sì, grazie ai cattolici.

***

18 aprile 1948: gli italiani a un bivio della loro storia. Vince la tradizione cattolica popolare e perde il social-comunismo. L’Italia è così un paese libero, Massimo Caprara, allora segretario di Paimiro Togliatti: “Capimmo di aver perso quando sentimmo che la scelta diventava tra Cristo e la sua negazione”.

di Alessandro Gnocchi,
da
Il Timone (03-04/2001)


Diciotto aprile 1948, gli italiani scelsero l’Italia. Enunciata cosi, la tesi può sembrare persino semplicistica. Troppo lineare per pretendere di essere presa in considerazione dalla storia. Ma, se si cerca appena un poco di approfondirla, mostra una profondità che spiazza anche il più scafato degli storici intenti a interpretare la vita degli uomini attraverso gabbie preconfezionate. Gli italiani, dunque, scelsero l’Italia e non diedero vita a un referendum fra Unione Sovietica e Stati Uniti. È un passo avanti, ma non basta ancora a fare notizia. Lo fecero perché scelsero di continuare a essere cattolici. Questo dato, invece, può fare un po’ di rumore. Tanto più che, a voler essere precisi, scelsero di continuare a essere cattolici e non diventare democristiani.

Palmiro Togliatti lo aveva intuito presto. Se lo scontro politico avesse preso i toni del confronto tra diverse concezioni dell’uomo, poteva avere un solo esito, la sconfitta della sinistra socialcomunista. Lo spiega con grande chiarezza Massimo Caprara, che allora era il braccio destro del segretario del PCI. “Alle elezioni del 1948

, ricorda, si arrivò dopo un confronto aperto e libero tra due visioni de mondo. Ma si sbaglierebbe se si pensasse che si scontravano sostenitori dell’Unione Sovietica e sostenitori degli Stati Uniti. Su quella base, qualsiasi risultato sarebbe stato possibile. Il PCI, e Togliatti in particolare, capì che non ce l’avrebbe mai fatta quando fu gettata sul tappeto la scelta fra la tradizione cattolica italiana e a sua antitesi. Il 18 aprile vinse il cattolicesimo italiano, nazionale e popolare. Dove per popolare va inteso come espressione del popolo e non come categoria partitica.

Da questo è facile dedurre che gli italiani non scelsero di diventare democristiani.

Se l’opzione tosse stata quella, valeva tanto quanto il suo opposto politico. Non fu la propaganda del partito di De Gasperi a fare la differenza. Furono i Comitati Civici di Luigi Gedda a segnare la svolta.

Quando sentimmo che la scelta diventava tra Cristo e la sua negazione, capimmo di aver perso, continua Caprara. L’appello di Gedda interrogava le coscienze individuali e chiamava a una scelta di libertà, I comunisti non erano attrezzati per sostenere uno scontro su quel terreno. I comizi dei Comitati Civici erano quasi incomprensibili per l’apparato del PCI. Quello slogan cattolico che diceva ‘Vita, Vita’ non aveva alternative nel campo avversario. Diceva una concezione positiva dell’uomo e del suo esistere che non avevano il minimo contraltare
, Dunque non rimaneva che cambiare strategia. Per questo Togliatti mise in atto la tecnica dell’avvicinamento, della contiguità con il mondo cattolico. Alle elezioni gli bastò mostrarsi come il vincitore nei confronti dei socialisti. Nella società, invece, sin da prima del 18 aprile, trovò più opportuno agganciarsi al mondo cattolico. Lo fece con l’unica parte del cattolicesimo disposta a cadere nella trappola. Quella elitaria, cattolica per formazione culturale.

Quella decisamente non popolare. Quella rappresentata da intellettuali come Franco Rodano, per esempio.

Ma non tu una mossa vincente, dice ancora Caprara, che frequentò a lungo Rodano e i suo ambiente, perché quegli intellettuali non potevano portare consenso. Soprattutto, non potevano portare consenso cattolico. La loro concezione del cattolicesimo politico era a negazione del cattolicesimo popolare. Avevano un abito intellettuale cattolico, se vogliamo, ma, senza giudicarne la fede, erano lontani dai sentire della gente cattolica. Fu molto più redditizia, invece, l’operazione dei Comitati Civici che sottrassero elettorato popolare alla sinistra
.

D’altra parte non poteva andare diversamente. Pur ammantandosi di amore per il popolo, gli intellettuali di sinistra sono sempre stati elitari. A maggior ragione se appartenenti a sacche di cultura religiosa. Critici nei confronti del Magistero e della gerarchia, perennemente tentati dal radicalismo anticattolico pretendevano di pensare per tutti. Ma la strada era proprio quella opposta, sostiene Caprara.

Vinsero quelli che invitarono le singole persone a usare la propria testa. Vinsero i cattolici come Guareschi, che non rinunciarono mai a interpellare la propria coscienza e che mostravano di farlo veramente. Vinsero coloro che avevano orrore di chiunque gettasse il proprio cervello all’ammasso del partito. I trinariciuti inventati dal direttore di Candido diedero un gran fastidio a Togliatti perché colpivano nel segno. Il militante comunista era sostanzialmente così. Aveva la terza narice per scaricare il cervello e riempire La testa con le direttive del partito. Molti di coloro che tapparono la terza narice cambiarono strada. Era inevitabile. Anche in questo, direi specialmente in questo, si mostrò l‘anima profondamente cattolica del popolo italiano. Gli italiani capirono che cattolico non è sinonimo di intruppato, ma sinonimo di uomo libero e scelsero la libertà. Attenzione, però, non un’idea disincarnata della libertà, ma piuttosto la sua applicazione, anche faticosa, nella vita di tutti i giorni
.

Erano magari anche i comunisti che andavano in edicola e ne uscivano con l’Unità ben in vista sotto il braccio, premurandosi però di controllare che l’edicolante vi avesse nascosto dentro il Candido. Erano magari i comunisti come Caprara che, più tardi, avrebbe intrapreso il suo viaggio verso la libertà lasciando il partito comunista.

Non è un caso che, proprio a Caprara, alla vigilia delle elezioni del 1948, toccò di affrontare un imprevisto decisamente rivelatore.

Arrivò nella sede del PCI di Botteghe Oscure un sacerdote che chiese di benedire i locali. In assenza di Togliatti, toccò decidere al suo segretario.

Eravamo sotto Pasqua, ricorda lui. Per me, come per molti altri militanti, la benedizione pasquale era un rito che avevamo vissuto sin da bambini. Mi lasciai prendere da quel ricordo e dissi al prete che poteva benedire. Lui era don Lucio Migliaccio, assistente ecclesiastico dei Comitati. Benedì e se ne andò. Allora non capii cosa significasse quel gesto per me. Lo feci solo molti anni dopo leggendo un racconto di Guareschi. Quello in cui Peppone controlla che don Camillo non abbia cancellato il suo nome dalla lista dei battezzati. Anche perché, forse sin da allora, l’importante era essere nella lista dei cristiani
.

Cronologia
2 giugno 1946: un referendum istituzionale decide la nascita della repubblica (12.717.923 voti per la repubblica contro 10.719.284 per la monarchia). Il re Umberto II va in esilio in Portogallo.

2 giugno 1946:
lo stesso giorno si tengono le elezioni per l’Assemblea costituente (le prime a suffragio universale). La Democrazia Cristiana ottiene 8.101.004 voti (35,2%), mentre socialisti e comunisti, che si presentano separati, ottengono rispettivamente il 20,7% e il 19% dei voti. Insieme, i due partiti di sinistra sarebbero stati maggioranza.

22 dicembre 1946:
400.000 cattolici si radunano in Piazza San Pietro e il Papa Pio XII rivolge loro il discorso con la frase:
O con Cristo o contro Cristo. Grido raccolto da Luigi Gedda, che nel gennaio 1947 propone la fondazione di speciali comitati dei cattolici per contrastare l’anticlericalismo e l’avanzata comunista. È il preludio alla nascita dei Comitati Civici. Comincia la mobilitazione dei cattolici, anche se le elezioni sono ancora lontane.

1 gennaio 1948: entra in vigore la Costituzione repubblicana.

8 febbraio 1948: Luigi Gedda tonda i Comitati Civici. Ce ne saranno 18.000 con 300.000 attivisti che, con l’approvazione di Papa Pio XII, partecipano alla campagna elettorale.

18 aprile 1948: si svolgono le elezioni politiche per formare il primo parlamento della Repubblica italiana. Questa volta, comunisti e socialisti si presentano uniti nel Fronte Democratico Popolare. Come si vede, l’Italia corre il serio pericolo di diventare un Paese a conduzione socialcomunista, privato, come è accaduto in tutta l’Europa orientale, della libertà e del benessere. Il PCI è il più forte Partito Comunista d’Occidente ed è apertamente schierato sulle posizioni dell’URSS di Stalin. Ma il Fronte viene sconfitto, ottenendo solo il 31% dei voti contro il 48,5% dei suffragi ottenuti dalla Democrazia Cristiana. Si deve per massima parte a Luigi Gedda e ai suoi Comitati Civici questo enorme balzo in avanti della Democrazia Cristiana. Anche Giovannino Guareschi, sul settimanale Candido, condusse una implacabile battaglia contro il comunismo italiano, satellite di quello moscovita. I suoi articoli e i suoi disegni, riprodotti nei manifesti elettorali, fecero il giro d’Italia e spinsero alla resistenza e alla riscossa la maggioranza della popolazione intimidita e forse rassegnata al peggio. I Comitati Civici mobilitarono i cattolici per le piazze di Italia, denunciando il pericolo comunista e invitandoli a votare compatti. La Democrazia Cristiana, avvantaggiata da tale mobilitazione, passò dal 35,2% dei voti ottenuti nel 1946 al 48,5%, raccogliendo 12.741.299 voti, quasi cinque milioni in più del 1946. Ma non seppe poi essere riconoscente con Gedda.

Massimo Caprara
Massimo Caprara è stato segretario di Palmiro Togliatti dal 1944 per circa vent'anni. Deputato nel PCI per quattro legislature, venne radiato dal partito nel 1969 con il gruppo del Manifesto; del quale è stato uno dei fondatori. Sindaco di Portici, suo paese natale, negli Anni 50, è stato poi consigliere comunale a Napoli. Giornalista professionista, ha lavorato per Rinascita; Il Mondo, L’Espresso, Tempo Illustrato. Ha diretto L’illustrazione italiana. Ora è editorialista del Giomale. Ha pubblicato vari studi sulla storia contemporanea. Il più recente è Paesaggi con figure, edito da Ares.

Bibliografia
Luigi Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano 1998.
Mario Casella, 18 aprile 1948. La mobilitazione delle organizzazioni cattoliche, Congedo Edìtore, Galatìna (LE) 1992.
Marco Invernizzi, Democrazia Cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), in Cristianità, n. 277, maggio 1998.
Marco Invemizzi, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, in Cristianità, n. 281, settembre 1998.




Galleria fotografica


Una sezione elettorale durante le elezioni politiche del 1948.


Alcide De Gasperi, leader della Democrazia Cristiana.


Palmiro Togliatti, segretario del PCI.


Luigi Gedda, fondatore dei “Comitati Civici”.


Giovanni Guareschi, direttore de “Il Candido” e autore della saga di “Don Camillo”.


Manifesto elettorale della DC.


Manifesto elettorale del Fronte Popolare Democratico (coalizione PCI-PSI).


Vignetta di Giovanni Guareschi.


Vignetta di Giovanni Guareschi.


Postato da: giacabi a 20:57 | link | commenti (1)
politica, caprara

sabato, 14 febbraio 2009

Cari amici sardi votate Giorgio La Spisa
***
 grazie ad:anna vercors

Ecco cosa si impegna a fare, Giorgio La Spisa, per la Sardegna, dopo una preparazione iniziata molto prima, come sapete, di questi ultimi trenta giorni di campagna elettorale:

Cari amici,
abbiamo iniziato la campagna elettorale dicendo “basta con la prepotenza e l’inganno”, certi di ridare via libera alla Sardegna.
L'abbiamo vissuta insieme giorno per giorno, incontrando e ritrovando una Sardegna viva nel desiderio di ripartire, di rischiare ancora nelle imprese, di credere ancora possibile riprendere a costruire, di crescere figli ed educarli nella speranza e nella verità.
Ripercorrendo gli oltre duecento incontri di questa campagna elettorale - grandi e piccoli, pubblici o con gruppi di amici, con imprenditori, lavoratori, professionisti, famiglie - ho visto riconfermata la certezza che il cambiamento è possibile.
Una spinta forte, che non ci trova impreparati a governare. Siamo pronti al rilancio della Sardegna attraverso un programma condiviso, al quale abbiamo lavorato coinvolgendo la società civile e il mondo del lavoro.
Il mio impegno per i primi cento giorni della prossima legislatura è teso a realizzare alcune azioni immediate che possano garantire la ripresa:
  • rilancio delle piccole e medie Imprese e dell’economia reale nell’industria, nell’agricoltura, nell’artigianato, nella pesca, nel turismo, attuando misure chiare e rapide per l’accesso al credito attraverso i consorzi fidi che mettano in collegamento imprese e banche;
  • semplificazione delle procedure di accesso della regione;
  • correzione del piano paesaggistico regionale negli aspetti più critici per consentire sviluppo, qualità e salvaguardia dell’ambiente;
  • rifinanziamento delle leggi di settore;
  • avvio di interventi di riqualificazione dei servizi nella sanità e della valorizzazione del personale;
  • riqualificazione degli interventi finanziari per il sistema scolastico sardo e per la formazione professionale e modifica degli atti attuativi della legge 31/84 per le scuole dell'infanzia;
  • misure correttive delle norme sul personale, per restituire dignità al lavoro nella pubblica amministrazione della Regione, delle agenzie e degli enti.

Il 15 e 16 febbraio avete tutti una grande responsabilità: quella di non sprecare il vostro voto!
Sostenete il vostro desiderio di cambiamento, condividendo il mio!
L’amicizia che mi avete dimostrato in questi giorni è la grande risorsa, su cui mi impegno scommettere ancora.
Per questo chiedo il vostro voto per me al Consiglio Regionale nel Collegio Provinciale di Cagliari e per Ugo Cappellacci Presidente.
Grazie e a presto!

Postato da: giacabi a 09:03 | link | commenti
politica

sabato, 27 dicembre 2008

Pio XI:
l’antisemitismo è inammissibile.
 Spiritualmente siamo tutti semiti
***
 « L’antisemitismo non è compatibile con il sublime pensiero e la realtà evocata in questo testo. L’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare [...]. Non è lecito che i cristiani prendano parte all’antisemitismo. Noi riconosciamo che ognuno ha il diritto all’autodifesa e che può intraprendere le azioni necessarie per salvaguardare gli interessi legittimi. Ma l’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti» .
Pio XI  dal discorso del 6 settembre 1938 ad un gruppo di  pellegrini  della radio cattolica belga


Postato da: giacabi a 09:21 | link | commenti (1)
politica

sabato, 12 aprile 2008

Ciò che abbiamo di più caro

                     *** 
 Noi accordiamo la nostra preferenza a chi promuove una politica e un assetto dello Stato che favoriscano quella “libertà” e quel “bene”, e che possano perciò sostenere la speranza del futuro, difendendo la vita, la famiglia, la libertà di educare e di realizzare opere che incarnino il desiderio dell’uomo. Lo facciamo in un momento storico che esige di non disperdere il voto, per non aggiungere confusione a confusione”.
Qui  Leggi tutto il volantino - elezioni politiche 2008.
Vota Berlusconi - Pdl - Popolo della Libertà
 grazie ad : Aqua

Postato da: giacabi a 12:48 | link | commenti
politica


IL PAPA CI INDICA A VOTARE  CHI RISPETTA DI PIÙ IL DECALOGO

*** 
«Guardare a Cristo!” Se questo noi facciamo, ci rendiamo conto che il cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi. È il dono di un’amicizia che perdura nella vita e nella morte: “Non vi chiamo più servi, ma amici” (cfr Gv 15,15), dice il Signore ai suoi. A questa amicizia noi ci affidiamo. Ma proprio perché il cristianesimo è più di una morale, è appunto il dono di un’amicizia, proprio per questo porta in sé anche una grande forza morale di cui noi, davanti alle sfide del nostro tempo, abbiamo tanto bisogno. Se con Gesù Cristo e con la sua Chiesa rileggiamo in modo sempre nuovo il Decalogo del Sinai, penetrando nelle sue profondità, allora ci si rivela come un grande, valido, permanente ammaestramento. Il Decalogo è innanzitutto un sì” a Dio, a un Dio che ci ama e ci guida, che ci porta e, tuttavia, ci lascia la nostra libertà, anzi, la rende vera libertà (i primi tre comandamenti). È un sì” alla famiglia (quarto comandamento), un sì” alla vita (quinto comandamento), un “sì” ad un amore responsabile (sesto comandamento), un sì” alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia (settimo comandamento), un “sì” alla verità (ottavo comandamento) e un “sì” al rispetto delle altre persone e di ciò che ad esse appartiene (nono e decimo comandamento). In virtù della forza della nostra amicizia col Dio vivente noi viviamo questo molteplice “sì” e al contempo lo portiamo come indicatore di percorso in questa nostra ora del mondo.»


Postato da: giacabi a 09:38 | link | commenti
politica, benedettoxvi

venerdì, 11 aprile 2008

I programmi non sono tutti uguali
***
Non è vero che i programmi “sono tutti uguali”. C’è chi NEI FATTI favorisce una impostazione di libertà e di bene per tutti.
Un voto non è solo un voto.
Serve per affermare e serve per opporre.
Dice, anche se non completamente chi sei e a chi tieni. Dice cosa vuoi e che cosa non vuoi; in un qualche modo ti esprime.
Dice anche cosa ti aspetti dalla politica e quindi se la tua vita dipende dalla politica.
Se l’ironia ti accompagna è già segno che la politica non è tutto. Se non odi il ‘principale esponente del partito a noi avverso’ è segno di sanità. Se pensi come dice il
 volantino di CL 
Trovo questo incipit del post di Sancho un'interessante apertura, un aiuto per prendere una decisione responsabile, un invito da parte mia ad ascoltare ciò che ha aiutato me a decidere, leggendo articoli, parlandone con gli amici, partecipando ad incontri e ascoltando le interviste su RF - Radio Formigoni. 
  
PIU’ LOMBARDIA FA BENE ALL’ITALIA
FAMIGLIA intervista a Luisa Nicora, Sindacato delle famiglie - Varese
SCUOLA intervista a Mariella Ferrante, Presidente Associazione Diesse Lombardia
SOLIDARIETA’ intervista a Antonio Mandelli, Presidente Federazione Imprese Sociali CdO
SALUTE intervista  a Camillo Rossi, Direttore Sanitario Aziendale - Istituti Ospedalieri di Cremona
RAPPORTI ESTERI intervista a Robi Ronza, sottosegretario alla presidenza per i rapporti internazionali
COMPETITIVITA’ intervista a Mario Sala, consigliere Forza Italia - Regione Lombardia

GLI AMICI A CUI GUARDARE
La politica al servizio della persona e del bene comune, intervento di Giorgio Vittadini al Palalido di introduzione agli amici candidati nel PdL
intervento di Maurizio Lupi
intervento di Raffaello Vignali
intervento di Roberto Formigoni

ALTRI APPROFONDIMENTI
Una politica al servizio della persona e del bene comune volantino della Compagnia delle Opere
SCUOLA
L'analisi dell’emergenza educativa di Enrico Leonardi - su Cultura Cattolica
Ma quali ricette? Senza libertà di educazione non c'è vera riforma - su ilsussidiario.net
Elezioni 2008 – “Il senso religioso, le opere, il potere” di Luigi Giussani - su Cultura Cattolica
Mettiamo al centro FAMIGLIA, VITA UMANA, BIOETICA, EDUCAZIONE - su SamizdatOnLine
scarica il documento prodotto dall’Associazione Nuove Onde, è un'analisi dettagliata del comportamento che i rappresentanti dei vari schieramenti politici hanno tenuto nei confronti dei valori non negoziabili.
Sull’argomento POLITICA vedi anche altri interessanti articoli apparsi su ilsussidiario.net
E, se vuoi, riprendi la lettura dei post di Graciete o dei numerosissimi post di AnnaV.
 grazie  a: Graciete

Postato da: giacabi a 13:54 | link | commenti
politica

domenica, 06 aprile 2008

MESSAGGIO DEL VESCOVO MONS. LUIGI NEGRI AL CLERO, AI RELIGIOSI E AL POPOLO DI DIO DI QUESTA CHIESA PARTICOLARE, NELL’IMMINENZA DELLE ELEZIONI POLITICHE ITALIANE.
***
Il Vescovo di San Marino-Montefeltro, nella imminenza delle elezioni politiche italiane comunica queste direttive a tutto il Clero e Religiosi di San Marino-Montefeltro e a tutto il Popolo di Dio di questa Chiesa Particolare.
Il Vescovo intende immedesimarsi completamente nelle indicazioni che sono state pubblicamente formulate nell’ambito della Conferenza Episcopale Italiana, soprattutto nella prolusione del Card. Bagnasco, Presidente della Cei e nel comunicato finale del Consiglio permanente della stessa Cei.
Ma poiché tocca e lui e soltanto a lui dare indicazioni di carattere normativo per il suo popolo e per il popolo di Dio di questa Chiesa Sammarinese-Feretrana, lo fa con un particolare senso di obbedienza alle autorità ultime della Chiesa e con una piena e totale responsabilità nei confronti del suo Popolo.
1) I valori fondamentali che devono essere rigorosamente salvaguardati e promossi nell’ambito della competizione elettorale, sono i valori fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa, quelli che Papa Benedetto XVI con felice espressione ha indicato come valori non negoziabili.
Il valore della vita in tutte le fasi del suo       battuarsi,
il rispetto della sacralità della vita,
la libertà di coscienza, di religione, di cultura, di educazione
.
In particolare la Conferenza Episcopale Italiana indica, per i prossimi 10 anni della sua attività pastorale, l’emergenza educativa come un’emergenza che è ormai inderogabile, non soltanto per la Chiesa, ma per tutta la società italiana.
Per questo il Vescovo di San Marino-Montefeltro chiarisce
che non è possibile dare il proprio voto a formazioni di qualunque tipo che esplicitamente contestino questi valori fondamentali; o abbiano già formulato o si apprestino a presentare disegni di legge programmaticamente contrari a tali principi fondamentali.
2) Il Vescovo di San Marino-Montefeltro depreca, come altre autorità della Chiesa italiana, che in quasi tutte le liste che vengono presentate alla scelta degli elettori italiani, i candidati dichiaratamente cattolici siano stati posti in posizione subalterna, quando non esplicitamente eliminati.
Al loro posto può essere accaduto, come nella nostra Regione Marche, che siano stati messi in posizione di quasi sicura elezione, candidati che non solo hanno esplicitamente contestato i valori fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa lungo tutta la loro carriera politica, ma che abbiano fatto particolarmente della difesa ad oltranza dello statalismo scolastico, una bandiera dell’attività politica contestando, quando non sopprimendo quando è stato possibile, anche quel minimo di libertà scolastica che vige in Italia.
Allo stesso modo che nel punto precedente il Vescovo ribadisce che è gravemente contraddittorio andare a votare per coloro che , anche solo personalmente, contestano i valori fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa e, in particolare, la libertà di educazione e di scuola.
3) Il Vescovo di San Marino-Montefeltro non può non deprecare, vivamente, quel sostanziale attacco alla democrazia del nostro Paese rappresentato dall’attuale legge elettorale, la quale andrà bene per qualcuno ma non può andar bene per una coscienza autenticamente democratica. Il popolo italiano è, di fatto, espropriato di quella minima capacità di scelta che era caratterizzata dalle preferenze. L’eliminazione della preferenza consegna la competizione elettorale ai padroni dei vari partiti e delle varie formazioni politiche che hanno preteso di intervenire, anche nelle più piccole realtà locali dettando dal centro candidati, nella maggior parte dei casi, assolutamente ignoti.
E’ una vicenda intollerabile che deve al più presto finire; il Vescovo confida che il nuovo Parlamento saprà fare giustizia di una legge elettorale che rimane vergognosa.
4) Il Vescovo non può che indicare delle linee fondamentali di riferimento affidando alla coscienza di ciascuno dei suoi fedeli le necessarie mediazioni fra i principi formulati e le scelte particolari che rimangono esclusiva responsabilità della coscienza personale. Certo la coscienza personale cristiana non si forma automaticamente; la coscienza cristiana si forma nel confronto con le indicazioni autorevoli che vengono dalla Chiesa, cercando di immedesimarsi con esse e cercando di prendere, di fronte ad esse, la propria responsabilità, anche quella di sbagliare.
Un grande padre spirituale della mia infanzia e giovinezza diceva comunque che è meglio aver torto con il Vescovo che avere ragione da soli.
Con queste indicazioni che mi sembrano non soffrano di nessuna possibilità di interpretazione equivoca, affido a questa Chiesa Particolare una linea di approfondimento e di cammino che matura la propria responsabilità personale, che non può essere delegata a nessuno, né al Vescovo né ai giornali, a cui normalmente ci si riferisce per le questioni sostanziali della vita personale e sociale.
Benedico di cuore questo Popolo e gli chiedo di essere all’altezza della grande Tradizione cattolica che è stata in questi luoghi per decenni, se non per secoli, una tradizione religiosa e, insieme, una realtà perfettamente laica.
Pennabilli, 25 Marzo 2008
+ Luigi Negri


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politica, negri

giovedì, 03 aprile 2008

Ciò che abbiamo di più caro
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Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo».
Benedetto XVI


Elezioni 2008

Ciò che abbiamo di più caro

1) Ogni volta che siamo chiamati alle urne siamo provocati, come cristiani, a rendere ragione della nostra fede. È questo, infatti, a essere ultimamente in gioco nel modo in cui diamo il nostro contributo alla costruzione della società.
Come ci ha insegnato don Giussani, ciò che ognuno ama viene a galla di fronte alle urgenze del vivere: «Se in primo piano è veramente la fede, se ci aspettiamo veramente tutto dal fatto di Cristo, oppure se dal fatto di Cristo ci aspettiamo quello che decidiamo di aspettarci, ultimamente rendendolo spunto e sostegno a nostri progetti o a nostri programmi», emerge di fronte alla prova, nel giudizio e nella decisione.
Perciò le elezioni rappresentano per noi un’occasione educativa unica, per verificare a che cosa teniamo veramente e per smascherare la possibile ambiguità che sta alla radice di ogni nostra azione.
2) Alla politica non chiediamo la salvezza, non è da essa che l’aspettiamo, per noi e per gli altri.
La tradizione della Chiesa ha sempre indicato due criteri ideali per giudicare ogni autorità civile così come ogni proposta politica:
a) la libertas Ecclesiae. Un potere che rispetta la libertà di un fenomeno così sui generis come la Chiesa è per ciò stesso tollerante verso ogni altra autentica aggregazione umana. Il riconoscimento del ruolo anche pubblico della fede e del contributo che essa può dare al cammino degli uomini è, dunque, garanzia di libertà per tutti, non solo per i cristiani.
b) il «bene comune». Un potere che si concepisce come servizio al popolo ha a cuore la difesa di quelle esperienze in cui il desiderio dell’uomo e la sua responsabilità – anche attraverso la costruzione di opere sociali ed economiche, secondo il principio di sussidiarietà – possono crescere in funzione del bene comune, ben sapendo che da nessun programma esso potrà venire realizzato in termini definitivi, a causa del limite intrinseco a ogni tentativo umano.
3) Per queste ragioni noi accordiamo la nostra preferenza a chi promuove una politica e un assetto dello Stato che favoriscano quella “libertà” e quel “bene”, e che possano perciò sostenere la speranza del futuro, difendendo la vita, la famiglia, la libertà di educare e di realizzare opere che incarnino il desiderio dell’uomo. Lo facciamo in un momento storico che esige di non disperdere il voto, per non aggiungere confusione a confusione.
In particolare, invitiamo a guardare ad alcuni amici che, a partire dal personale impegno con la comune esperienza cristiana, hanno già dimostrato in questi anni di perseguire una politica al servizio del bene comune, della sussidiarietà e della libertas Ecclesiae. Ci auguriamo che essi possano continuare a documentare la novità che ha investito la loro vita, come la nostra, affinché nella loro azione si possa rendere ancora più esplicito il frutto dell’educazione ricevuta: una passione per la libertà e per il bene vissuta come carità.

Comunione e Liberazione
Marzo 2008.


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politica

venerdì, 28 marzo 2008

GOVERNO PRODI: PER NON DIMENTICARE
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Scritto da: Mario Palmaro il 19-3-2008  da: www.iltimone.org
Maggio 2006: Comunisti e Radicali al potere. La formazione di Governo è sostenuta da 21 partiti, e conta 103 membri tra ministri e sottosegretari: è l'esecutivo più numeroso di sempre.
Ma, soprattutto, è il primo governo della storia repubblicana a vedere la partecipazione diretta di Rifondazione Comunista e dei Radicali italiani, divenendo così l'unico governo sostenuto dall'intera sinistra parlamentare, cosa che non accadeva più dal 1947.

Maggio 2006: la sperimentazione sugli embrioni. Non sono ancora trascorsi quindici giorni dalla nascita dell'esecutivo, che il ministro dell'Università e della Ricerca Fabio Mussi ritira, a Bruxelles, l'adesione italiana a una moratoria nell'uso degli embrioni come cavie di laboratorio, voluta dal governo Berlusconi insieme a Germania, Polonia, Slovenia, Austria e Malta. È il 30 maggio 2006. Mussi auspica apertamente «il cambiamento della legge 40».
Infuria la polemica politica. Ma, pur di salvare la ghirba del Governo, i cattolici che sostengono la maggioranza bocciano una mozione presentata dall'opposizione, nella quale la tutela dell'embrione è affermata in maniera inequivocabile.
 

Giugno 2006
: l'anticamera dell'eutanasia. I partiti di governo lanciano nella mischia il senatore Ignazio Marino, "cattolico", che il 27 giugno 2006 presenta - insieme alla capogruppo dell'Ulivo al Senato Anna Finocchiaro - un disegno di legge sul "Testamento biologico", anticamera dell'eutanasia. Questa iniziativa - guardata con approvazione anche da settori dell'opposizione - sembra destinata al successo, e viene fermata solo dalla caduta del Governo.

Settembre 2006: al Papa ci pensino le Guardie Svizzere. Romano Prodi è a New York per intervenire all'Onu. È il 19 settembre e un giornalista gli domanda che cosa ne pensi dell'allarme lanciato da Ali Agca, che ha parlato di pericoli per il viaggio in Turchia del Papa. «Che cosa vuole che sappia, io, della sicurezza del Papa in Turchia? Non so nulla, in proposito, vedranno le sue guardie...» è la sconcertante risposta del premier.

Novembre 2006: la droga raddoppia. Il ministro della Salute Livia Turco, "cattolico", emana un decreto sul tema delle droghe: viene innalzato da 500 a 1000 milligrammi il quantitativo massimo di cannabis che può essere detenuto per uso personale. È il 13 novembre 2006. Si scatenano aspre polemiche e dopo alcuni mesi il decreto viene affondato da una decisione del TAR.

Febbraio 2007: i Dico per le unioni tra omosessuali. È la sera dell'8 febbraio 2007 quando tutti i principali telegiornali si aprono con le immagini del Ministro delle Pari opportunità Barbara Pollastrini e del Ministro della Famiglia Rosy Bindi che annunciano con toni trionfalistici il disegno di legge sui Dico. La sigla - che significa "DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi" - indica la volontà del Governo Prodi di riconoscere una serie di diritti alle coppie di fatto, anche dello stesso sesso. È il provvedimento più contestato di tutta la breve vita dell'esecutivo di centro sinistra. Il Ministro Bindi si giustifica dicendo che alla stesura del decreto «hanno collaborato molti giuristi cattolici», guidati da Renato Balduzzi (presidente del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e da Stefano Ceccanti (ex presidente della FUCI - Federazione Universitaria Cattolica Italiana). La Chiesa e le opposizioni intervengono duramente, e ne scaturisce una mobilitazione che sfocia nel Family Day, a Roma, il 12 maggio 2007. Anche esponenti della maggioranza prendono poco alla volta le distanze dai Dico, che naufragano.

Il rapporto con la Chiesa cattolica. La vicenda dei Dico porta il Governo al minimo storico nei rapporti fra potere politico e Chiesa in Italia. Alcuni cattolici che fanno parte dell'esecutivo tentano di far credere che i Dico siano compatibili con il Magistero, e vengono apertamente sconfessati dalla Conferenza episcopale. I partiti della sinistra al governo (comunisti, verdi, socialisti) e i radicali aprono il fuoco contro "l'ingerenza del Vaticano nella politica italiana". I rapporti con la Chiesa resteranno tesi per tutta la legislatura.

Luglio 2007: arrivano i CUS. Di fronte al fallimento clamoroso dei Dico, la maggioranza non demorde e si inventa i CUS (Contratti di Unione Solidale). È il 12 luglio del 2007. I due conviventi, anche dello stesso sesso, ricorreranno al notaio o al giudice di pace. L'ideatore è il senatore Cesare Salvi. L'iter del provvedimento sembra più facile di quello toccato ai Dico, ma viene bruscamente interrotto dalla fine del governo.

Luglio 2007: attacco alla legge 40 del 2004. Il Ministro della Salute Livia Turco - con l'appoggio di ampie fette della maggioranza - avvia un progetto di riforma delle Linee Guida della Legge 40 sulla fecondazione artificiale. Obiettivo: rendere più permissiva la legge in vigore, aggirando alcuni divieti in essa contenuti. Proprio quando il Ministro sta per pubblicare il regolamento, il governo cade. Ma in queste settimane la Turco potrebbe ancora emanare le nuove regole, che affosserebbero la legge vigente.

Gennaio 2008: il bavaglio al Papa. C'è lo zampino del Governo nella vergognosa vicenda della Sapienza: mentre monta l'ostilità contro la visita del Papa, Prodi e i suoi ministri tacciono. Parleranno soltanto quando il Pontefice annuncerà di aver rinunciato. Il Ministro degli interni Giuliano Amato - rivela Andrea Tornielli su il Giornale   avrebbe consigliato il Papa di inventarsi una malattia diplomatica e restarsene a casa.

Che fine hanno fatto i protagonisti? A futura memoria, è interessante ricordare che cosa fanno oggi i protagonisti di questi atti. Romano Prodi ha annunciato che non si ricandiderà. Fabio Mussi e Cesare Salvi sono esponenti di spicco della Sinistra Arcobaleno, che candiderà come premier Fausto Bertinotti. Livia Turco è una dirigente del nuovo Partito Democratico guidato da Walter Veltroni. Rosy Bindi è stata candidata alle primarie del Partito democratico e ne è elemento di spicco. Barbara Pollastrini è uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito democratico. Del quale fanno parte anche Ignazio Marino, Giuliano Amato e Anna Finocchiaro.

Conclusioni

Di fronte a fatti così eloquenti, si impongono alcune considerazioni.
La prima: il Governo Prodi ha progettato una serie di attentati alla legge naturale e alla libertà di parola della Chiesa, che non si sono concretizzati solamente per la sua fine prematura. Dunque, la caduta del Governo Prodi è stata provvidenziale. Secondo: è la prima volta nella storia repubblicana che è il governo (e non il Parlamento) a farsi direttamente promotore di iniziative così numerose di marca anti-cattolica. Terza e ultima considerazione: il giorno in cui ognuno di noi dovrà andare a votare, sarà bene non dimenticare questi venti mesi di autentico assedio ai valori che contano. La minaccia continua.
 


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politica

lunedì, 24 marzo 2008

La certificazione del disastro

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Tratto dal blog di Fausto Carioti A Conservative Mind
Fossi un candidato del centrodestra, da qui al voto mi presenterei in piazza e in televisione sbandierando le tabelle dell'indagine dell'Osservatorio Capitale Sociale realizzata da Demos, l'istituto presieduto da Ilvo Diamanti, per conto delle Coop (addirittura) e pubblicata oggi da Repubblica (nientemeno). Raffronta la percezione che gli italiani hanno adesso della loro situazione economica con quella che avevano nel 2006, al momento del passaggio di consegne tra il governo Berlusconi e l'esecutivo Prodi. Ne esce fuori la certificazione di un disastro colossale, la prova inappellabile che il governo dell'Unione ha fatto carne di porco del ceto medio, delle classi più deboli e dei piccoli risparmiatori. Qualche perla:
Erano il 40%, nel 2006, gli italiani che ritenevano di appartenere al ceto popolare o alla classe operaia, oggi sono il 46%. Quanti si “sentono” ceto medio sono diminuiti, in modo speculare, dal 54 al 49%. Si è ulteriormente assottigliata anche la componente di chi si definisce ceto superiore, che comprende appena il 5% della popolazione.

Dal 2006 a oggi la quota di cittadini che ritiene peggiorata la situazione economica personale è salita dal 36 al 51%. E' una valutazione che tocca in particolare quanti sentono di appartenere alla categoria dei ceti popolari: ne soffre il 63% (era il 44% due anni fa). Lo stesso andamento si registra presso i ceti medi (42%) e in quelli superiori (38%), ma in misura più contenuta rispetto al dato generale.
Il PdL sovrasta il Pd fra i liberi professionisti (di 25 punti), fra i lavoratori autonomi e gli imprenditori (addirittura 35). Ma lo supera anche fra gli impiegati privati (di poco) e perfino (in misura più rilevante: 14 punti in più) tra gli operai. In quest’ultimo caso, si tratta di un ritorno alla normalità, dopo la parentesi del 2006, quando il voto dei lavoratori dipendenti si era distribuito equamente tra CdL e Unione. Che, anche per questo motivo, era riuscita a vincere le elezioni (anche se di misura). Oggi tendono a spostarsi di nuovo a destra (com’era avvenuto in precedenza, fino al 2001), spinti dal senso di declino che li affligge.
Dopo la catastrofe politica ed economica, dovremo così sorbirci il dramma umano: cosa si inventeranno i compagnucci per provare a confutare i risultati - inequivocabili - di un'indagine fatta da loro stessi?

Postato da: giacabi a 14:33 | link | commenti
politica

sabato, 22 marzo 2008

   Per un giudizio
sulle elezioni  politiche
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Gli interventi dell’incontro (martedì scorso) al Palalido di Milano promosso dalla Compagnia delle Opere
 grazie a : fontana vivace


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politica

lunedì, 17 marzo 2008

"Così il governo Prodi ha ucciso la crescita"
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da: http://www.ilgiornale.it/ del 06-03-2008
Pubblichiamo ampi stralci del saggio del professor Luca Ricolfi, presente nel libro «Ostaggi dello Stato - Le origini politiche del declino e dell’insicurezza», edito dalla Angelo Guerini e Associati (euro 7,50). Il libro, curato dal sociologo, è una raccolta di analisi effettuate da sette ricercatori, esperti in sociologia, psicologia, comunicazione ed economia. Una spietata fotografia dell’Italia, reduce da due anni di governo Prodi
Il segnale più negativo è il rallentamento della crescita, iniziato nei primi mesi dell’anno anche «grazie» alla prima Finanziaria del governo Prodi, che fin dall’estate del 2006, con il Documento di Programmazione Economico-Finanziaria, aveva manifestato l’intenzione di correggere l’andamento dei conti pubblici pagando il prezzo di una riduzione del tasso di crescita del Pil (0,3 punti in meno, pari al 20% del tasso di crescita previsto).
Un brusco stop allo sviluppo
Tutto lascia pensare, però, che il prezzo che l’Italia ha dovuto pagare sia maggiore: la stima di 0,3 punti di Pil di contrazione della crescita è decisamente più bassa di quelle prodotte dai centri di ricerca non governativi, e comunque era basata su un mix di aumenti di imposta e riduzioni di spesa che poi è peggiorato nella versione finale della legge finanziaria (gli aggravi fiscali dovevano coprire un terzo della manovra, ma sono saliti a circa due terzi in corso d’opera). È probabile che quella scelta ci sia costata una decina di miliardi di euro, più o meno le risorse che ora si stanno freneticamente cercando per affrontare la «questione salariale» ed evitare lo sciopero generale minacciato dai sindacati. Al momento (inizio 2008) non si conosce ancora il tasso di crescita del Pil nel 2007 (mancano le stime del 4° trimestre), ma già sappiamo che la produzione industriale è in forte rallentamento, la produttività continua a ristagnare, le aspettative delle imprese per i prossimi mesi non sono buone.
Una massiccia pressione fiscale
Il secondo segnale negativo riguarda i mezzi che sono stati usati per ridurre il deficit. Certo siamo tutti felicissimi di essere finalmente rientrati nei parametri di Maastricht, ma la vera domanda è: qual è il prezzo che abbiamo pagato per raddrizzare la barca?
La risposta è sconsolante. Poiché non si è trovato il coraggio di ridurre la spesa pubblica, si è fatto ricorso alla comoda via degli aumenti della pressione fiscale (di 1,7 punti fra il 2005 e il 2006, di ulteriori 1,1 punti fra il 2006 e il 2007). Il miglioramento dei conti pubblici nel 2007 è stato ottenuto essenzialmente grazie a tre grandi operazioni: l’aumento dei contributi sociali, il conferimento forzoso del Tfr all’Inps, l’aumento selvaggio delle tasse locali. E questo massiccio aumento del prelievo fiscale – come da manuale – ha frenato la crescita e aggravato i bilanci delle famiglie. È triste notarlo, ma i dati dicono che è toccato al governo dell’Unione contribuire a rendere più vero che mai lo slogan che le ha fatto vincere le elezioni: «non riesco ad arrivare alla fine del mese».
Famiglie sempre più in difficoltà
Un’occhiata alla serie storica dell’indagine Isae sui bilanci familiari mostra che nel 2007 il numero di famiglie in gravi difficoltà economiche ha raggiunto il punto massimo da quando esiste l’indagine (ossia dal 1999). La necessità di ricorrere ai risparmi o far debiti per quadrare il bilancio era aumentata considerevolmente nei primi anni di introduzione dell’euro (specie fra il 2002 e il 2003), poi – nel corso del 2006 – era leggermente diminuita, ma nel 2007 è tornata di nuovo a salire e nella seconda metà dell’anno ha toccato il massimo storico.
Troppe spese improduttive
L’aspetto interessante di questa vicenda è che questo disastroso risultato, certo non dovuto alla sola azione del governo ma anche – ad esempio – all’aumento dei tassi di interesse sui mutui immobiliari e alla ripresa dell’inflazione, non è stato ottenuto dopo un periodo di stagnazione, o dopo una recessione, ma al termine del biennio più positivo dai tempi della crisi del 2000-2001. La ragione di questo paradosso, a mio avviso, è che fra il 2006 e il 2007 non è solo migliorato il deficit, ma è ulteriormente aumentata l’interposizione pubblica, ossia il grado di intromissione dello Stato nell’economia. Già segnalata come un problema nel Rapporto dell’anno scorso, in cui si rilevava la sua continua ascesa a partire dal 2000, l’interposizione pubblica è oggi uno dei più gravi ostacoli alla crescita dell’Italia. Aumento dell’interposizione pubblica significa, infatti, che una quota crescente di risorse viene sottratta al mercato (ossia alle famiglie e alle imprese) e usata per espandere ulteriormente la spesa improduttiva, con quell’incredibile intrico di sprechi, inefficienze, clientele, abusi (e talora anche truffe) che ormai costituiscono la triste costante della nostra Pubblica Amministrazione. Nel solo 2007, ben due decreti (il Dl 81 di luglio e il Dl 159 di ottobre) hanno aumentato di 12,7 miliardi di euro la spesa pubblica, mentre per il 2008 la Finanziaria dispone un altro incremento di 6,1 miliardi, senza contare le molte spese ulteriori (a partire dai contratti pubblici) non ricomprese nella legge finanziaria, ma che certamente verranno deliberate in corso d’anno.
Un welfare costoso e inefficiente
Si potrebbe obiettare – e certamente la maggior parte dei politici dell’Unione obietterebbe – che il nostro Stato sociale è incompleto e che l’aumento del gettito fiscale è frutto della lotta all’evasione. La prima affermazione – il nostro Stato sociale è incompleto – è vera e sacrosanta, ma sorvola su due circostanze:
a) su quasi 20 miliardi di spesa pubblica aggiuntiva deliberata nel 2007, la frazione che va a un reale completamento dello Stato sociale, basato su principi di universalità e selettività, è minima; la maggior parte degli interventi sono favori, sconti e mance elargite a categorie specifiche, senza requisiti stringenti di bisogno (si pensi, per fare solo due esempi, all’ennesimo super-aumento agli statali o allo sconto Ici esteso ai proprietari con redditi alti), e questo è tanto più preoccupante se si dà qualche credito ai dati che segnalano una crescita delle diseguaglianze sociali;
b) il nostro Stato sociale resterà sempre incompleto finché non si affronterà il problema di ridurne le inefficienze e gli sprechi (almeno 45 miliardi di euro all’anno, secondo una stima prudente), e ciò non solo perché ogni spreco significa sottrarre risorse ad altri impieghi utili, ma perché una parte della debolezza dello Stato sociale sta precisamente nel fatto che non funziona, e non funzionando penalizza soprattutto le fasce deboli della popolazione.
Chi volesse farsi un’idea dell’entità degli sprechi della Pubblica Amministrazione, nonché della loro distribuzione territoriale, può consultare le tabelle riportate alla fine di Profondo rosso, il nostro Rapporto sul 2005.

Le menzogne sull’evasione
Quanto alla seconda affermazione – i soldi li abbiamo presi dalla lotta all’evasione – essa è al tempo stesso falsa e spudorata. Falsa, perché le stime condotte da osservatori indipendenti concordano nel dire che il recupero di evasione fiscale del 2006-2007, ammesso che sia diverso da zero, vale pochissimi decimali di Pil, ossia meno della metà della metà delle cifre tante volte sbandierate dal governo («almeno 20 miliardi di euro»). Spudorata, perché se davvero la lotta all’evasione avesse fruttato da subito 20 miliardi di euro, allora il governo avrebbe dovuto onorare l’impegno preso solennemente con gli elettori: restituire ai contribuenti onesti, attraverso significative riduzioni di aliquote (e senza trucchi sulle basi imponibili), il gettito recuperato dai contribuenti disonesti. Una simile misura avrebbe evitato di soffocare l’economia in nome della «lotta all’evasione fiscale».
Nessuno si sente sicuro
Ma c’è anche un terzo segnale negativo che getta una luce inquietante sull’anno appena trascorso. Fra il 2006 e il 2007 il grado di insicurezza dei cittadini è cresciuto non solo sul versante dell’economia, ma anche su quello dei rapporti sociali. Certo, il ceto politico si fa in quattro per dimostrare agli elettori che la percezione di insicurezza è, appunto, una percezione. Ma gli stessi dati ufficiali mostrano con una certa crudezza che – purtroppo – le percezioni dei cittadini hanno solide radici nella realtà. Nella sezione del Rapporto dedicata ai problemi della sicurezza, abbiamo mostrato che l’indulto, fortemente voluto da tutte le forze politiche (eccetto Lega, An e Italia dei Valori), pare aver determinato un’impressionante crescita dei delitti, sostenuta da un significativo apporto degli immigrati. Questo provvedimento, caparbiamente difeso da Prodi e dai politici dell’Unione anche per ragioni ideologiche (Bertinotti è arrivato ad affermare che esso aveva «un valore pedagogico»), ha creato un vero e proprio baratro fra il governo e l’opinione pubblica, sempre più convinta della micidialità del triangolo indulto-criminalità-immigrazione.
L’emblema dei rifiuti in Campania
Naturalmente quel che è incredibile non è che il provvedimento sia stato emanato (arrivati a quel punto, era difficile agire diversamente), ma che il nostro ceto politico – in questo campo come in mille altri: pensiamo al problema rifiuti in Campania, con cui si è aperto emblematicamente il 2008 – si mostri sempre così incapace di anticipazione. I problemi sono noti da lungo tempo, se ne conoscono la gravità e la tendenza al deterioramento, ma non si prende nessuna decisione finché non esplodono. A quel punto si interviene semplicemente perché non se ne può fare a meno, ma ovviamente qualsiasi cosa si decida non può funzionare, perché il problema è stato lasciato marcire troppo a lungo e ormai è diventato ingestibile.
L’annoso problema delle carceri
Nel caso delle carceri il problema esiste da diversi decenni, era tornato alla ribalta giusto pochi anni fa (2003) con il cosiddetto indultino (che aveva liberato una decina di migliaia di detenuti), è riesploso nel 2006 perché nel frattempo quasi nulla era stato fatto per risolvere i tre grandi problemi «a monte»: carceri non degne di un Paese civile, numero di posti insufficiente, processi troppo lenti. Ora la storia si ripete, con il governo che libera oltre 26mila detenuti, non riorganizza la giustizia, non avvia piani straordinari (e accelerati) per la costruzione di nuove carceri e la ristrutturazione di quelle vecchie, litiga disperatamente per mettere insieme un pacchetto di misure per combattere l’illegalità. La gente, nel frattempo, diventa sempre più diffidente nei confronti degli immigrati.
Luca Ricolfi insegnante di Analisi dei dati all’università di Torino, è un intellettuale di sinistra

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