COSSIGA
Oltre lo statista, il ricordo di un uomo alla ricerca della verità
martedì
17 agosto 2010
da www.sussidiario.it
MORTO FRANCESCO COSSIGA - Il
viso ha ritrovato pace. Da tanto tempo il suo sorriso così bello si
raggrinziva, era perennemente turbato. Le sue battute e le sue
contumelie da morir dal ridere, le sue esplorazioni terrificanti della
storia italiana e dei suoi segreti, non davano requie a lui stesso.
Aveva un solo punto dove si riposava: annegando nell’abbraccio
trinitario di amici cristiani. Un tempo papa Karol Wojtyla (è l’uomo di
Stato che lo ha incontrato ufficialmente più spesso: ventitré volte, ma
qualcuna l’hanno cancellata per non esagerare) e don Luigi Giussani.
Oggi Benedetto XVI. Gli era amico da cardinale, ma un Papa – diceva
Cossiga – può avere amici solo altri cardinali, e si sentiva in questa
confessione un po’ di amarezza. Ma soprattutto di desiderio.
Aveva
le stampelle, non stava in piedi, Cossiga, il 24 marzo del 2007 quando
il Papa volle incontrare in San Pietro i ciellini. Andai a prenderlo di
mattino presto in casa, e stava male, faceva freddo e non sarebbe dovuto
uscire, pioveva a dirotto. Invece volle esserci e come un ragazzino si
buttò in ginocchio davanti al Papa per prendere la sua benedizione.
Aveva una sete tremenda di grazia. Era un mendicante bambino, lui che è
stato uno degli uomini che sulla terra ha raccolto più cariche e titoli,
più amicizie e onori. Era uno degli uomini al
mondo meglio dotato di relazioni e più conosciuto e stimato a destra e a
sinistra, in America e in Cina. Ma non era niente tutto questo
sfavillio dinanzi al destino, senza Cristo vivo. Senza che Cristo gli
potesse perdonare la morte di Moro,
del quale lui mi disse ancora poco tempo fa con un sorriso che non
dissimulava un bel niente tranne il dolore più grande del mondo e del
sopramondo: “L’ho condannato a morte!”.
Sto
condividendo qui il ricordo più forte e bello che ho del presidente
Cossiga. Il suo essere l’essenza concreta dell’uomo europeo. Un uomo che
è stato duemila anni fa greco e poi ebreo e cristiano. È stato travolto
dalla modernità, si è aggrappato al cattolicesimo liberale di Rosmini e
Newman. Ha sentito il peso di un moralismo insopportabile, infine il
suo dovere di statista. La solitudine. Il monachesimo finale nella
memoria amica di don Gius, Giovanni Paolo e Benedetto.
Un aspetto poco conosciuto è quello del suo affetto e della sua santa invidia per don Giussani. Desiderava avere la sua fede, gli obbedì nella scelta decisiva della sua esistenza; matto com’era avrebbe voluto acciambellarsi ai suoi piedi come il Gatto Mammone che si figurava essere per respirare lo stesso tepore della Santa Trinità ardente nel cuore di don Gius. (Uno così non si può non amare, anzi non si poteva non amare, bisogna usare il tempo passato adesso che è morto, ma non mi rassegno, non è giusto, ci dev’essere un’altra giustizia che fa risorgere dai morti).
Non mi intrattengo sul politico e sulla sua idea di politica. Lo faranno molto meglio altri. Mi interessa trasmettere la sua tenera e fanciullesca fede, lui che è stato uno degli uomini di Stato più colti del mondo. Era complicato nella testa, anche nella teologia aveva idee profonde e molto ingarbugliate esposte con perfezione dottrinale. Ma era evidente che non si vive di dottrina, ma di amicizia cristiana, la quale scioglie il cuore nell’Amore. Ecco l’amicizia che lui ha avuto la generosità di accordarmi ha avuto questo segno: in tutto, anche gustando del caffè o del gelato, del vino o un passo di poesia, o c’entra il cuore della realtà, il suo significato, oppure tutto è vanità. E per me, ma anche per lui – ha chiesto di iscriversi alla Fraternità di Comunione e Liberazione - don Giussani, la sua persona vivente anche dopo il suo trapasso, era il segno efficace di Dio nel mondo, di una felicità possibile anche ora, nonostante la nostra miseria, anzi esaltata ancora di più nella sua gratuità dalla nostra meschinità traditora.
Cossiga mi raccontò che fu Aldo Moro a indirizzarlo da don Giussani. Mi disse: «Ho conservato da qualche parte l’angolo di giornale dove segnò i numeri di telefono di Giussani e Formigoni, dicendomi, anzi ordinandomi di chiamarli e di incontrarli. Nel 1976 si era assunto in prima persona l’onere di condurre, pur essendo presidente del Consiglio, la campagna elettorale che minacciava di essere quella del sorpasso. Diceva che gli unici a capire il senso autentico di quello che poteva accadere erano loro, Giussani e Formigoni: e mi mandò da loro».
Quando Moro fu assassinato, Cossiga si ritirò da tutto. Voleva chiudere con la vita pubblica. Andò da don Giussani e gli chiese consiglio. Don Giussani, sempre discretissimo, quella volta lo aiutò a decidere per il rientro in politica, era la sua vocazione…
Un aspetto poco conosciuto è quello del suo affetto e della sua santa invidia per don Giussani. Desiderava avere la sua fede, gli obbedì nella scelta decisiva della sua esistenza; matto com’era avrebbe voluto acciambellarsi ai suoi piedi come il Gatto Mammone che si figurava essere per respirare lo stesso tepore della Santa Trinità ardente nel cuore di don Gius. (Uno così non si può non amare, anzi non si poteva non amare, bisogna usare il tempo passato adesso che è morto, ma non mi rassegno, non è giusto, ci dev’essere un’altra giustizia che fa risorgere dai morti).
Non mi intrattengo sul politico e sulla sua idea di politica. Lo faranno molto meglio altri. Mi interessa trasmettere la sua tenera e fanciullesca fede, lui che è stato uno degli uomini di Stato più colti del mondo. Era complicato nella testa, anche nella teologia aveva idee profonde e molto ingarbugliate esposte con perfezione dottrinale. Ma era evidente che non si vive di dottrina, ma di amicizia cristiana, la quale scioglie il cuore nell’Amore. Ecco l’amicizia che lui ha avuto la generosità di accordarmi ha avuto questo segno: in tutto, anche gustando del caffè o del gelato, del vino o un passo di poesia, o c’entra il cuore della realtà, il suo significato, oppure tutto è vanità. E per me, ma anche per lui – ha chiesto di iscriversi alla Fraternità di Comunione e Liberazione - don Giussani, la sua persona vivente anche dopo il suo trapasso, era il segno efficace di Dio nel mondo, di una felicità possibile anche ora, nonostante la nostra miseria, anzi esaltata ancora di più nella sua gratuità dalla nostra meschinità traditora.
Cossiga mi raccontò che fu Aldo Moro a indirizzarlo da don Giussani. Mi disse: «Ho conservato da qualche parte l’angolo di giornale dove segnò i numeri di telefono di Giussani e Formigoni, dicendomi, anzi ordinandomi di chiamarli e di incontrarli. Nel 1976 si era assunto in prima persona l’onere di condurre, pur essendo presidente del Consiglio, la campagna elettorale che minacciava di essere quella del sorpasso. Diceva che gli unici a capire il senso autentico di quello che poteva accadere erano loro, Giussani e Formigoni: e mi mandò da loro».
Quando Moro fu assassinato, Cossiga si ritirò da tutto. Voleva chiudere con la vita pubblica. Andò da don Giussani e gli chiese consiglio. Don Giussani, sempre discretissimo, quella volta lo aiutò a decidere per il rientro in politica, era la sua vocazione…
Ricordo ancora quando nell’ottobre
del 2005 a Desio si inaugurava la piazza don Giussani, il paese natale.
Nessuno credeva che sarebbe arrivato. Invece venne, e tenne un discorso
bellissimo sotto la pioggia sferzante, con una bronchite che lo
strozzava. Era così, Francesco Cossiga. Amava il Meeting. Indossò da
presidente della Repubblica la maglietta dei militanti, spiritoso e
serissimo: ci credeva.
Postato da: giacabi a 11:31 |
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politica, giussani
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Postato da: giacabi a 19:39 |
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politica
Il collante dei “no b day”
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"L'odio,
il nobile odio proletario,
il principio d'ogni saggezza"
Lenin
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«Chi l'ha detto che non posso odiare un uomo politico? Chi l'ha detto che non posso augurarmi che il Creatore se lo porti via al più presto?».
Marco Travaglio
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Postato da: giacabi a 07:58 |
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politica
A Proposito di Lodo Alfano
***
“di fronte ad un vuoto legislativo della materia, sarebbe
meglio allora reintrodurre l'immunità per tutti i parlamentari, così
come era prevista dall'articolo 68 della Costituzione (divieto di aprire un procedimento penale a carico di deputati e senatori), poi abrogato nel 1993 sull'onda di Mani Pulite”
….
E ora, a distanza di anni - prosegue Maccanico - continuo a pensare che
fu un tentativo che andava nella giusta direzione, occorre risolvere il
problema..
.. I costituenti avevano deciso un'immunita' 'larga' non a caso, ma perche' il nostro ordinamento, caso pressoche' unico, prevede l'indipendenza dei pm dal governo e l'obbligatorieta' dell'azione penale. In Francia, solo per fare un esempio, i pubblici ministeri dipendono dall'esecutivo. Ritengo quindi piu' saggio reintrodurre l'immunita' in vigore fino al 1993". ..
serve "un accordo bipartisan: e' impossibile approvare leggi simili se non c'e' un accordo largo tra maggioranza e opposizione.” ANTONIO MACCANICO
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Postato da: giacabi a 17:02 |
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politica, giustizia
L'Italia fu salvata dai discepoli di Cristo
Italia libera? Sì, grazie ai cattolici.
***
18 aprile 1948: gli italiani a un bivio della loro storia. Vince la tradizione cattolica popolare e perde il social-comunismo. L’Italia è così un paese libero, Massimo Caprara, allora segretario di Paimiro Togliatti: “Capimmo di aver perso quando sentimmo che la scelta diventava tra Cristo e la sua negazione”. Diciotto aprile 1948, gli italiani scelsero l’Italia. Enunciata cosi, la tesi può sembrare persino semplicistica. Troppo lineare per pretendere di essere presa in considerazione dalla storia. Ma, se si cerca appena un poco di approfondirla, mostra una profondità che spiazza anche il più scafato degli storici intenti a interpretare la vita degli uomini attraverso gabbie preconfezionate. Gli italiani, dunque, scelsero l’Italia e non diedero vita a un referendum fra Unione Sovietica e Stati Uniti. È un passo avanti, ma non basta ancora a fare notizia. Lo fecero perché scelsero di continuare a essere cattolici. Questo dato, invece, può fare un po’ di rumore. Tanto più che, a voler essere precisi, scelsero di continuare a essere cattolici e non diventare democristiani. Palmiro Togliatti lo aveva intuito presto. Se lo scontro politico avesse preso i toni del confronto tra diverse concezioni dell’uomo, poteva avere un solo esito, la sconfitta della sinistra socialcomunista. Lo spiega con grande chiarezza Massimo Caprara, che allora era il braccio destro del segretario del PCI. “Alle elezioni del 1948 Da questo è facile dedurre che gli italiani non scelsero di diventare democristiani. Se l’opzione tosse stata quella, valeva tanto quanto il suo opposto politico. Non fu la propaganda del partito di De Gasperi a fare la differenza. Furono i Comitati Civici di Luigi Gedda a segnare la svolta. “Quando sentimmo che la scelta diventava tra Cristo e la sua negazione, capimmo di aver perso”, continua Caprara. “L’appello di Gedda interrogava le coscienze individuali e chiamava a una scelta di libertà, I comunisti non erano attrezzati per sostenere uno scontro su quel terreno. I comizi dei Comitati Civici erano quasi incomprensibili per l’apparato del PCI. Quello slogan cattolico che diceva ‘Vita, Vita’ non aveva alternative nel campo avversario. Diceva una concezione positiva dell’uomo e del suo esistere che non avevano il minimo contraltare”, Dunque non rimaneva che cambiare strategia. Per questo Togliatti mise in atto la tecnica dell’avvicinamento, della contiguità con il mondo cattolico. Alle elezioni gli bastò mostrarsi come il vincitore nei confronti dei socialisti. Nella società, invece, sin da prima del 18 aprile, trovò più opportuno agganciarsi al mondo cattolico. Lo fece con l’unica parte del cattolicesimo disposta a cadere nella trappola. Quella elitaria, cattolica per formazione culturale. Quella decisamente non popolare. Quella rappresentata da intellettuali come Franco Rodano, per esempio. “Ma non tu una mossa vincente”, dice ancora Caprara, che frequentò a lungo Rodano e i suo ambiente, “perché quegli intellettuali non potevano portare consenso. Soprattutto, non potevano portare consenso cattolico. La loro concezione del cattolicesimo politico era a negazione del cattolicesimo popolare. Avevano un abito intellettuale cattolico, se vogliamo, ma, senza giudicarne la fede, erano lontani dai sentire della gente cattolica. Fu molto più redditizia, invece, l’operazione dei Comitati Civici che sottrassero elettorato popolare alla sinistra”. D’altra parte non poteva andare diversamente. Pur ammantandosi di amore per il popolo, gli intellettuali di sinistra sono sempre stati elitari. A maggior ragione se appartenenti a sacche di cultura religiosa. Critici nei confronti del Magistero e della gerarchia, perennemente tentati dal radicalismo anticattolico pretendevano di pensare per tutti. Ma la strada era proprio quella opposta, sostiene Caprara. “Vinsero quelli che invitarono le singole persone a usare la propria testa. Vinsero i cattolici come Guareschi, che non rinunciarono mai a interpellare la propria coscienza e che mostravano di farlo veramente. Vinsero coloro che avevano orrore di chiunque gettasse il proprio cervello all’ammasso del partito. I trinariciuti inventati dal direttore di Candido diedero un gran fastidio a Togliatti perché colpivano nel segno. Il militante comunista era sostanzialmente così. Aveva la terza narice per scaricare il cervello e riempire La testa con le direttive del partito. Molti di coloro che tapparono la terza narice cambiarono strada. Era inevitabile. Anche in questo, direi specialmente in questo, si mostrò l‘anima profondamente cattolica del popolo italiano. Gli italiani capirono che cattolico non è sinonimo di intruppato, ma sinonimo di uomo libero e scelsero la libertà. Attenzione, però, non un’idea disincarnata della libertà, ma piuttosto la sua applicazione, anche faticosa, nella vita di tutti i giorni”. Erano magari anche i comunisti che andavano in edicola e ne uscivano con l’Unità ben in vista sotto il braccio, premurandosi però di controllare che l’edicolante vi avesse nascosto dentro il Candido. Erano magari i comunisti come Caprara che, più tardi, avrebbe intrapreso il suo viaggio verso la libertà lasciando il partito comunista. Non è un caso che, proprio a Caprara, alla vigilia delle elezioni del 1948, toccò di affrontare un imprevisto decisamente rivelatore. Arrivò nella sede del PCI di Botteghe Oscure un sacerdote che chiese di benedire i locali. In assenza di Togliatti, toccò decidere al suo segretario. “Eravamo sotto Pasqua”, ricorda lui. “Per me, come per molti altri militanti, la benedizione pasquale era un rito che avevamo vissuto sin da bambini. Mi lasciai prendere da quel ricordo e dissi al prete che poteva benedire. Lui era don Lucio Migliaccio, assistente ecclesiastico dei Comitati. Benedì e se ne andò. Allora non capii cosa significasse quel gesto per me. Lo feci solo molti anni dopo leggendo un racconto di Guareschi. Quello in cui Peppone controlla che don Camillo non abbia cancellato il suo nome dalla lista dei battezzati. Anche perché, forse sin da allora, l’importante era essere nella lista dei cristiani”. Cronologia 2 giugno 1946: un referendum istituzionale decide la nascita della repubblica (12.717.923 voti per la repubblica contro 10.719.284 per la monarchia). Il re Umberto II va in esilio in Portogallo. 2 giugno 1946: lo stesso giorno si tengono le elezioni per l’Assemblea costituente (le prime a suffragio universale). La Democrazia Cristiana ottiene 8.101.004 voti (35,2%), mentre socialisti e comunisti, che si presentano separati, ottengono rispettivamente il 20,7% e il 19% dei voti. Insieme, i due partiti di sinistra sarebbero stati maggioranza. 22 dicembre 1946: 400.000 cattolici si radunano in Piazza San Pietro e il Papa Pio XII rivolge loro il discorso con la frase: “O con Cristo o contro Cristo”. Grido raccolto da Luigi Gedda, che nel gennaio 1947 propone la fondazione di speciali comitati dei cattolici per contrastare l’anticlericalismo e l’avanzata comunista. È il preludio alla nascita dei Comitati Civici. Comincia la mobilitazione dei cattolici, anche se le elezioni sono ancora lontane. 1 gennaio 1948: entra in vigore la Costituzione repubblicana. 8 febbraio 1948: Luigi Gedda tonda i Comitati Civici. Ce ne saranno 18.000 con 300.000 attivisti che, con l’approvazione di Papa Pio XII, partecipano alla campagna elettorale. 18 aprile 1948: si svolgono le elezioni politiche per formare il primo parlamento della Repubblica italiana. Questa volta, comunisti e socialisti si presentano uniti nel Fronte Democratico Popolare. Come si vede, l’Italia corre il serio pericolo di diventare un Paese a conduzione socialcomunista, privato, come è accaduto in tutta l’Europa orientale, della libertà e del benessere. Il PCI è il più forte Partito Comunista d’Occidente ed è apertamente schierato sulle posizioni dell’URSS di Stalin. Ma il Fronte viene sconfitto, ottenendo solo il 31% dei voti contro il 48,5% dei suffragi ottenuti dalla Democrazia Cristiana. Si deve per massima parte a Luigi Gedda e ai suoi Comitati Civici questo enorme balzo in avanti della Democrazia Cristiana. Anche Giovannino Guareschi, sul settimanale Candido, condusse una implacabile battaglia contro il comunismo italiano, satellite di quello moscovita. I suoi articoli e i suoi disegni, riprodotti nei manifesti elettorali, fecero il giro d’Italia e spinsero alla resistenza e alla riscossa la maggioranza della popolazione intimidita e forse rassegnata al peggio. I Comitati Civici mobilitarono i cattolici per le piazze di Italia, denunciando il pericolo comunista e invitandoli a votare compatti. La Democrazia Cristiana, avvantaggiata da tale mobilitazione, passò dal 35,2% dei voti ottenuti nel 1946 al 48,5%, raccogliendo 12.741.299 voti, quasi cinque milioni in più del 1946. Ma non seppe poi essere riconoscente con Gedda. Massimo Caprara Massimo Caprara è stato segretario di Palmiro Togliatti dal 1944 per circa vent'anni. Deputato nel PCI per quattro legislature, venne radiato dal partito nel 1969 con il gruppo del Manifesto; del quale è stato uno dei fondatori. Sindaco di Portici, suo paese natale, negli Anni 50, è stato poi consigliere comunale a Napoli. Giornalista professionista, ha lavorato per Rinascita; Il Mondo, L’Espresso, Tempo Illustrato. Ha diretto L’illustrazione italiana. Ora è editorialista del Giomale. Ha pubblicato vari studi sulla storia contemporanea. Il più recente è Paesaggi con figure, edito da Ares. Bibliografia Luigi Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano 1998. Mario Casella, 18 aprile 1948. La mobilitazione delle organizzazioni cattoliche, Congedo Edìtore, Galatìna (LE) 1992. Marco Invernizzi, Democrazia Cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), in Cristianità, n. 277, maggio 1998. Marco Invemizzi, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, in Cristianità, n. 281, settembre 1998.
Galleria fotografica
Una sezione elettorale durante le elezioni politiche del 1948. Alcide De Gasperi, leader della Democrazia Cristiana. Palmiro Togliatti, segretario del PCI. Luigi Gedda, fondatore dei “Comitati Civici”. Giovanni Guareschi, direttore de “Il Candido” e autore della saga di “Don Camillo”. Manifesto elettorale della DC. Manifesto elettorale del Fronte Popolare Democratico (coalizione PCI-PSI). Vignetta di Giovanni Guareschi. Vignetta di Giovanni Guareschi. |
Postato da: giacabi a 20:57 |
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politica, caprara
Cari amici sardi votate Giorgio La Spisa
***
Ecco cosa si impegna a fare, Giorgio La Spisa, per la Sardegna, dopo una preparazione iniziata molto prima, come sapete, di questi ultimi trenta giorni di campagna elettorale:
Cari amici,
abbiamo iniziato la campagna elettorale dicendo “basta con la prepotenza e l’inganno”, certi di ridare via libera alla Sardegna.
L'abbiamo
vissuta insieme giorno per giorno, incontrando e ritrovando una
Sardegna viva nel desiderio di ripartire, di rischiare ancora nelle
imprese, di credere ancora possibile riprendere a costruire, di crescere
figli ed educarli nella speranza e nella verità.
Ripercorrendo
gli oltre duecento incontri di questa campagna elettorale - grandi e
piccoli, pubblici o con gruppi di amici, con imprenditori, lavoratori,
professionisti, famiglie - ho visto riconfermata la certezza che il
cambiamento è possibile.
Una
spinta forte, che non ci trova impreparati a governare. Siamo pronti al
rilancio della Sardegna attraverso un programma condiviso, al quale
abbiamo lavorato coinvolgendo la società civile e il mondo del lavoro.
Il mio impegno per i primi cento giorni della prossima legislatura è teso a realizzare alcune azioni immediate che possano garantire la ripresa:
Il 15 e 16 febbraio avete tutti una grande responsabilità: quella di non sprecare il vostro voto!
Sostenete il vostro desiderio di cambiamento, condividendo il mio!
L’amicizia che mi avete dimostrato in questi giorni è la grande risorsa, su cui mi impegno scommettere ancora.
Per questo chiedo il vostro voto per me al Consiglio Regionale nel Collegio Provinciale di Cagliari e per Ugo Cappellacci Presidente.
Grazie e a presto!
Giorgio La Spisa
www.giorgiolaspisa.it Come si vota |
Postato da: giacabi a 09:03 |
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politica
Pio XI:
“ l’antisemitismo è inammissibile.
Spiritualmente siamo tutti semiti”
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« L’antisemitismo non è compatibile con il sublime pensiero e la realtà evocata in questo testo. L’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare [...]. Non è lecito che i cristiani prendano parte all’antisemitismo.
Noi riconosciamo che ognuno ha il diritto all’autodifesa e che può
intraprendere le azioni necessarie per salvaguardare gli interessi
legittimi. Ma l’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti» .
Pio XI dal discorso del 6 settembre 1938 ad un gruppo di pellegrini della radio cattolica belga
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Postato da: giacabi a 09:21 |
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politica
Ciò che abbiamo di più caro
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“Noi accordiamo la nostra preferenza a chi promuove una politica e un assetto dello Stato che favoriscano quella “libertà” e quel “bene”, e che possano perciò sostenere la speranza del futuro, difendendo la vita, la famiglia, la libertà di educare e di realizzare opere che incarnino il desiderio dell’uomo. Lo facciamo in un momento storico che esige di non disperdere il voto, per non aggiungere confusione a confusione”.
Qui Leggi tutto il volantino - elezioni politiche 2008.
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Postato da: giacabi a 12:48 |
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politica
IL PAPA CI INDICA A VOTARE CHI RISPETTA DI PIÙ IL DECALOGO
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«“Guardare a Cristo!” Se questo noi facciamo, ci rendiamo conto che il
cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da
una serie di richieste e di leggi. È il dono di un’amicizia che perdura
nella vita e nella morte: “Non vi chiamo più servi, ma amici” (cfr Gv 15,15), dice il Signore ai suoi. A questa amicizia noi ci affidiamo. Ma proprio perché il
cristianesimo è più di una morale, è appunto il dono di un’amicizia,
proprio per questo porta in sé anche una grande forza morale di cui noi,
davanti alle sfide del nostro tempo, abbiamo tanto bisogno. Se con Gesù Cristo e con la sua Chiesa rileggiamo in modo sempre nuovo il Decalogo del Sinai, penetrando nelle sue profondità, allora ci si rivela come un grande, valido, permanente ammaestramento. Il Decalogo è innanzitutto un “sì” a Dio, a un Dio che ci ama e ci guida, che ci porta e, tuttavia, ci lascia la nostra libertà, anzi, la rende vera libertà (i primi tre comandamenti). È un “sì” alla famiglia (quarto comandamento), un “sì” alla vita (quinto comandamento), un “sì” ad un amore responsabile (sesto comandamento), un “sì” alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia (settimo comandamento), un “sì” alla verità (ottavo comandamento) e un “sì” al rispetto delle altre persone e di ciò che ad esse appartiene (nono e decimo comandamento). In virtù della forza della nostra amicizia col Dio vivente noi viviamo questo molteplice “sì” e al contempo lo portiamo come indicatore di percorso in questa nostra ora del mondo.»
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Postato da: giacabi a 09:38 |
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politica, benedettoxvi
I programmi non sono tutti uguali
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Non
è vero che i programmi “sono tutti uguali”. C’è chi NEI FATTI favorisce
una impostazione di libertà e di bene per tutti.
Un voto non è solo un voto. Serve per affermare e serve per opporre. Dice, anche se non completamente chi sei e a chi tieni. Dice cosa vuoi e che cosa non vuoi; in un qualche modo ti esprime. Dice anche cosa ti aspetti dalla politica e quindi se la tua vita dipende dalla politica. Se l’ironia ti accompagna è già segno che la politica non è tutto. Se non odi il ‘principale esponente del partito a noi avverso’ è segno di sanità. Se pensi come dice il volantino di CL
Trovo questo incipit del post di Sancho un'interessante apertura, un aiuto per prendere una decisione responsabile,
un invito da parte mia ad ascoltare ciò che ha aiutato me a decidere,
leggendo articoli, parlandone con gli amici, partecipando ad
incontri e ascoltando le interviste su RF - Radio Formigoni.
PIU’ LOMBARDIA FA BENE ALL’ITALIA
RAPPORTI ESTERI intervista a Robi Ronza, sottosegretario alla presidenza per i rapporti internazionali
GLI AMICI A CUI GUARDARE
La politica al servizio della persona e del bene comune, intervento di Giorgio Vittadini al Palalido di introduzione agli amici candidati nel PdL
intervento di Maurizio Lupi
intervento di Raffaello Vignali
intervento di Roberto Formigoni
ALTRI APPROFONDIMENTI
SCUOLA
L'analisi dell’emergenza educativa di Enrico Leonardi - su Cultura Cattolica
Ma quali ricette? Senza libertà di educazione non c'è vera riforma - su ilsussidiario.net
Elezioni 2008 – “Il senso religioso, le opere, il potere” di Luigi Giussani - su Cultura Cattolica
Mettiamo al centro FAMIGLIA, VITA UMANA, BIOETICA, EDUCAZIONE - su SamizdatOnLine
scarica il documento prodotto dall’Associazione Nuove Onde, è un'analisi dettagliata del comportamento che i rappresentanti dei vari schieramenti politici hanno tenuto nei confronti dei valori non negoziabili.
Sull’argomento POLITICA vedi anche altri interessanti articoli apparsi su ilsussidiario.net
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Postato da: giacabi a 13:54 |
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politica
MESSAGGIO
DEL VESCOVO MONS. LUIGI NEGRI AL CLERO, AI RELIGIOSI E AL POPOLO DI DIO
DI QUESTA CHIESA PARTICOLARE, NELL’IMMINENZA DELLE ELEZIONI POLITICHE
ITALIANE.
***
Il
Vescovo di San Marino-Montefeltro, nella imminenza delle elezioni
politiche italiane comunica queste direttive a tutto il Clero e
Religiosi di San Marino-Montefeltro e a tutto il Popolo di Dio di questa
Chiesa Particolare.
Il Vescovo intende immedesimarsi completamente nelle indicazioni che sono state pubblicamente formulate nell’ambito della Conferenza Episcopale Italiana, soprattutto nella prolusione del Card. Bagnasco, Presidente della Cei e nel comunicato finale del Consiglio permanente della stessa Cei. Ma poiché tocca e lui e soltanto a lui dare indicazioni di carattere normativo per il suo popolo e per il popolo di Dio di questa Chiesa Sammarinese-Feretrana, lo fa con un particolare senso di obbedienza alle autorità ultime della Chiesa e con una piena e totale responsabilità nei confronti del suo Popolo.
1) I valori fondamentali che
devono essere rigorosamente salvaguardati e promossi nell’ambito della
competizione elettorale, sono i valori fondamentali della Dottrina
Sociale della Chiesa, quelli che Papa Benedetto XVI con felice espressione ha indicato come valori non negoziabili.
• Il valore della vita in tutte le fasi del suo battuarsi, • il rispetto della sacralità della vita, • la libertà di coscienza, di religione, di cultura, di educazione. In particolare la Conferenza Episcopale Italiana indica, per i prossimi 10 anni della sua attività pastorale, l’emergenza educativa come un’emergenza che è ormai inderogabile, non soltanto per la Chiesa, ma per tutta la società italiana. Per questo il Vescovo di San Marino-Montefeltro chiarisce che non è possibile dare il proprio voto a formazioni di qualunque tipo che esplicitamente contestino questi valori fondamentali; o abbiano già formulato o si apprestino a presentare disegni di legge programmaticamente contrari a tali principi fondamentali.
2)
Il Vescovo di San Marino-Montefeltro depreca, come altre autorità della
Chiesa italiana, che in quasi tutte le liste che vengono presentate
alla scelta degli elettori italiani, i candidati dichiaratamente
cattolici siano stati posti in posizione subalterna, quando non
esplicitamente eliminati.
Al
loro posto può essere accaduto, come nella nostra Regione Marche, che
siano stati messi in posizione di quasi sicura elezione, candidati
che non solo hanno esplicitamente contestato i valori fondamentali
della Dottrina Sociale della Chiesa lungo tutta la loro carriera
politica, ma che abbiano fatto particolarmente della difesa ad oltranza
dello statalismo scolastico, una bandiera dell’attività politica
contestando, quando non sopprimendo quando è stato possibile, anche quel
minimo di libertà scolastica che vige in Italia.
Allo stesso modo che nel punto precedente il Vescovo ribadisce che è gravemente contraddittorio andare a votare per coloro che , anche solo personalmente, contestano i valori fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa e, in particolare, la libertà di educazione e di scuola.
3) Il Vescovo di San Marino-Montefeltro non può non
deprecare, vivamente, quel sostanziale attacco alla democrazia del
nostro Paese rappresentato dall’attuale legge elettorale, la quale andrà
bene per qualcuno ma non può andar bene per una coscienza
autenticamente democratica. Il
popolo italiano è, di fatto, espropriato di quella minima capacità di
scelta che era caratterizzata dalle preferenze. L’eliminazione della
preferenza consegna la competizione elettorale ai padroni dei vari
partiti e delle varie formazioni politiche che hanno preteso di
intervenire, anche nelle più piccole realtà locali dettando dal centro
candidati, nella maggior parte dei casi, assolutamente ignoti.
E’ una vicenda intollerabile che deve al più presto finire; il Vescovo confida che il nuovo Parlamento saprà fare giustizia di una legge elettorale che rimane vergognosa.
4)
Il Vescovo non può che indicare delle linee fondamentali di riferimento
affidando alla coscienza di ciascuno dei suoi fedeli le necessarie
mediazioni fra i principi formulati e le scelte particolari che
rimangono esclusiva responsabilità della coscienza personale. Certo la
coscienza personale cristiana non si forma automaticamente; la coscienza
cristiana si forma nel confronto con le indicazioni autorevoli che
vengono dalla Chiesa, cercando di immedesimarsi con esse e cercando di
prendere, di fronte ad esse, la propria responsabilità, anche quella di
sbagliare.
Un grande padre spirituale della mia infanzia e giovinezza diceva comunque che è meglio aver torto con il Vescovo che avere ragione da soli. Con queste indicazioni che mi sembrano non soffrano di nessuna possibilità di interpretazione equivoca, affido a questa Chiesa Particolare una linea di approfondimento e di cammino che matura la propria responsabilità personale, che non può essere delegata a nessuno, né al Vescovo né ai giornali, a cui normalmente ci si riferisce per le questioni sostanziali della vita personale e sociale.
Benedico
di cuore questo Popolo e gli chiedo di essere all’altezza della grande
Tradizione cattolica che è stata in questi luoghi per decenni, se non
per secoli, una tradizione religiosa e, insieme, una realtà
perfettamente laica.
Pennabilli, 25 Marzo 2008
+ Luigi Negri |
Postato da: giacabi a 19:45 |
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politica, negri
Ciò che abbiamo di più caro
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Postato da: giacabi a 21:09 |
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politica
GOVERNO PRODI: PER NON DIMENTICARE
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Postato da: giacabi a 19:54 |
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politica
La certificazione del disastro
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Tratto dal blog di Fausto Carioti A Conservative Mind
Fossi un candidato del centrodestra, da qui al voto mi presenterei in piazza e in televisione sbandierando le tabelle dell'indagine dell'Osservatorio Capitale Sociale realizzata da Demos, l'istituto presieduto da Ilvo Diamanti, per conto delle Coop (addirittura) e pubblicata oggi da Repubblica (nientemeno). Raffronta la percezione che gli italiani hanno adesso della loro situazione economica con quella che avevano nel 2006, al momento del passaggio di consegne tra il governo Berlusconi e l'esecutivo Prodi. Ne
esce fuori la certificazione di un disastro colossale, la prova
inappellabile che il governo dell'Unione ha fatto carne di porco del
ceto medio, delle classi più deboli e dei piccoli risparmiatori. Qualche perla:
Dopo
la catastrofe politica ed economica, dovremo così sorbirci il dramma
umano: cosa si inventeranno i compagnucci per provare a confutare i
risultati - inequivocabili - di un'indagine fatta da loro stessi?
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Postato da: giacabi a 14:33 |
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politica
Per un giudizio
sulle elezioni politiche
Gli interventi dell’incontro (martedì scorso) al Palalido di Milano promosso dalla Compagnia delle Opere |
Postato da: giacabi a 22:21 |
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politica
"Così il governo Prodi ha ucciso la crescita"
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da: http://www.ilgiornale.it/ del 06-03-2008
Pubblichiamo
ampi stralci del saggio del professor Luca Ricolfi, presente nel libro
«Ostaggi dello Stato - Le origini politiche del declino e
dell’insicurezza», edito dalla Angelo Guerini e Associati (euro 7,50).
Il libro, curato dal sociologo, è una raccolta di analisi effettuate da
sette ricercatori, esperti in sociologia, psicologia, comunicazione ed
economia. Una spietata fotografia dell’Italia, reduce da due anni di
governo Prodi
Il segnale più negativo è il rallentamento della crescita, iniziato nei primi mesi dell’anno anche «grazie» alla prima Finanziaria del governo Prodi,
che fin dall’estate del 2006, con il Documento di Programmazione
Economico-Finanziaria, aveva manifestato l’intenzione di correggere
l’andamento dei conti pubblici pagando il prezzo di una riduzione del
tasso di crescita del Pil (0,3 punti in meno, pari al 20% del tasso di
crescita previsto).
Un brusco stop allo sviluppo Tutto lascia pensare, però, che il prezzo che l’Italia ha dovuto pagare sia maggiore: la stima di 0,3 punti di Pil di contrazione della crescita è decisamente più bassa di quelle prodotte dai centri di ricerca non governativi, e comunque era basata su un mix di aumenti di imposta e riduzioni di spesa che poi è peggiorato nella versione finale della legge finanziaria (gli aggravi fiscali dovevano coprire un terzo della manovra, ma sono saliti a circa due terzi in corso d’opera). È probabile che quella scelta ci sia costata una decina di miliardi di euro, più o meno le risorse che ora si stanno freneticamente cercando per affrontare la «questione salariale» ed evitare lo sciopero generale minacciato dai sindacati. Al momento (inizio 2008) non si conosce ancora il tasso di crescita del Pil nel 2007 (mancano le stime del 4° trimestre), ma già sappiamo che la produzione industriale è in forte rallentamento, la produttività continua a ristagnare, le aspettative delle imprese per i prossimi mesi non sono buone. Una massiccia pressione fiscale Il secondo segnale negativo riguarda i mezzi che sono stati usati per ridurre il deficit. Certo siamo tutti felicissimi di essere finalmente rientrati nei parametri di Maastricht, ma la vera domanda è: qual è il prezzo che abbiamo pagato per raddrizzare la barca? La risposta è sconsolante. Poiché non si è trovato il coraggio di ridurre la spesa pubblica, si è fatto ricorso alla comoda via degli aumenti della pressione fiscale (di 1,7 punti fra il 2005 e il 2006, di ulteriori 1,1 punti fra il 2006 e il 2007). Il miglioramento dei conti pubblici nel 2007 è stato ottenuto essenzialmente grazie a tre grandi operazioni: l’aumento dei contributi sociali, il conferimento forzoso del Tfr all’Inps, l’aumento selvaggio delle tasse locali. E questo massiccio aumento del prelievo fiscale – come da manuale – ha frenato la crescita e aggravato i bilanci delle famiglie. È triste notarlo, ma i dati dicono che è toccato al governo dell’Unione contribuire a rendere più vero che mai lo slogan che le ha fatto vincere le elezioni: «non riesco ad arrivare alla fine del mese». Famiglie sempre più in difficoltà Un’occhiata alla serie storica dell’indagine Isae sui bilanci familiari mostra che nel 2007 il numero di famiglie in gravi difficoltà economiche ha raggiunto il punto massimo da quando esiste l’indagine (ossia dal 1999). La necessità di ricorrere ai risparmi o far debiti per quadrare il bilancio era aumentata considerevolmente nei primi anni di introduzione dell’euro (specie fra il 2002 e il 2003), poi – nel corso del 2006 – era leggermente diminuita, ma nel 2007 è tornata di nuovo a salire e nella seconda metà dell’anno ha toccato il massimo storico. Troppe spese improduttive L’aspetto interessante di questa vicenda è che questo disastroso risultato, certo non dovuto alla sola azione del governo ma anche – ad esempio – all’aumento dei tassi di interesse sui mutui immobiliari e alla ripresa dell’inflazione, non è stato ottenuto dopo un periodo di stagnazione, o dopo una recessione, ma al termine del biennio più positivo dai tempi della crisi del 2000-2001. La ragione di questo paradosso, a mio avviso, è che fra il 2006 e il 2007 non è solo migliorato il deficit, ma è ulteriormente aumentata l’interposizione pubblica, ossia il grado di intromissione dello Stato nell’economia. Già segnalata come un problema nel Rapporto dell’anno scorso, in cui si rilevava la sua continua ascesa a partire dal 2000, l’interposizione pubblica è oggi uno dei più gravi ostacoli alla crescita dell’Italia. Aumento dell’interposizione pubblica significa, infatti, che una quota crescente di risorse viene sottratta al mercato (ossia alle famiglie e alle imprese) e usata per espandere ulteriormente la spesa improduttiva, con quell’incredibile intrico di sprechi, inefficienze, clientele, abusi (e talora anche truffe) che ormai costituiscono la triste costante della nostra Pubblica Amministrazione. Nel solo 2007, ben due decreti (il Dl 81 di luglio e il Dl 159 di ottobre) hanno aumentato di 12,7 miliardi di euro la spesa pubblica, mentre per il 2008 la Finanziaria dispone un altro incremento di 6,1 miliardi, senza contare le molte spese ulteriori (a partire dai contratti pubblici) non ricomprese nella legge finanziaria, ma che certamente verranno deliberate in corso d’anno. Un welfare costoso e inefficiente Si potrebbe obiettare – e certamente la maggior parte dei politici dell’Unione obietterebbe – che il nostro Stato sociale è incompleto e che l’aumento del gettito fiscale è frutto della lotta all’evasione. La prima affermazione – il nostro Stato sociale è incompleto – è vera e sacrosanta, ma sorvola su due circostanze: a) su quasi 20 miliardi di spesa pubblica aggiuntiva deliberata nel 2007, la frazione che va a un reale completamento dello Stato sociale, basato su principi di universalità e selettività, è minima; la maggior parte degli interventi sono favori, sconti e mance elargite a categorie specifiche, senza requisiti stringenti di bisogno (si pensi, per fare solo due esempi, all’ennesimo super-aumento agli statali o allo sconto Ici esteso ai proprietari con redditi alti), e questo è tanto più preoccupante se si dà qualche credito ai dati che segnalano una crescita delle diseguaglianze sociali; b) il nostro Stato sociale resterà sempre incompleto finché non si affronterà il problema di ridurne le inefficienze e gli sprechi (almeno 45 miliardi di euro all’anno, secondo una stima prudente), e ciò non solo perché ogni spreco significa sottrarre risorse ad altri impieghi utili, ma perché una parte della debolezza dello Stato sociale sta precisamente nel fatto che non funziona, e non funzionando penalizza soprattutto le fasce deboli della popolazione. Chi volesse farsi un’idea dell’entità degli sprechi della Pubblica Amministrazione, nonché della loro distribuzione territoriale, può consultare le tabelle riportate alla fine di Profondo rosso, il nostro Rapporto sul 2005. Le menzogne sull’evasione Quanto alla seconda affermazione – i soldi li abbiamo presi dalla lotta all’evasione – essa è al tempo stesso falsa e spudorata. Falsa, perché le stime condotte da osservatori indipendenti concordano nel dire che il recupero di evasione fiscale del 2006-2007, ammesso che sia diverso da zero, vale pochissimi decimali di Pil, ossia meno della metà della metà delle cifre tante volte sbandierate dal governo («almeno 20 miliardi di euro»). Spudorata, perché se davvero la lotta all’evasione avesse fruttato da subito 20 miliardi di euro, allora il governo avrebbe dovuto onorare l’impegno preso solennemente con gli elettori: restituire ai contribuenti onesti, attraverso significative riduzioni di aliquote (e senza trucchi sulle basi imponibili), il gettito recuperato dai contribuenti disonesti. Una simile misura avrebbe evitato di soffocare l’economia in nome della «lotta all’evasione fiscale». Nessuno si sente sicuro Ma c’è anche un terzo segnale negativo che getta una luce inquietante sull’anno appena trascorso. Fra il 2006 e il 2007 il grado di insicurezza dei cittadini è cresciuto non solo sul versante dell’economia, ma anche su quello dei rapporti sociali. Certo, il ceto politico si fa in quattro per dimostrare agli elettori che la percezione di insicurezza è, appunto, una percezione. Ma gli stessi dati ufficiali mostrano con una certa crudezza che – purtroppo – le percezioni dei cittadini hanno solide radici nella realtà. Nella sezione del Rapporto dedicata ai problemi della sicurezza, abbiamo mostrato che l’indulto, fortemente voluto da tutte le forze politiche (eccetto Lega, An e Italia dei Valori), pare aver determinato un’impressionante crescita dei delitti, sostenuta da un significativo apporto degli immigrati. Questo provvedimento, caparbiamente difeso da Prodi e dai politici dell’Unione anche per ragioni ideologiche (Bertinotti è arrivato ad affermare che esso aveva «un valore pedagogico»), ha creato un vero e proprio baratro fra il governo e l’opinione pubblica, sempre più convinta della micidialità del triangolo indulto-criminalità-immigrazione. L’emblema dei rifiuti in Campania Naturalmente quel che è incredibile non è che il provvedimento sia stato emanato (arrivati a quel punto, era difficile agire diversamente), ma che il nostro ceto politico – in questo campo come in mille altri: pensiamo al problema rifiuti in Campania, con cui si è aperto emblematicamente il 2008 – si mostri sempre così incapace di anticipazione. I problemi sono noti da lungo tempo, se ne conoscono la gravità e la tendenza al deterioramento, ma non si prende nessuna decisione finché non esplodono. A quel punto si interviene semplicemente perché non se ne può fare a meno, ma ovviamente qualsiasi cosa si decida non può funzionare, perché il problema è stato lasciato marcire troppo a lungo e ormai è diventato ingestibile. L’annoso problema delle carceri Nel caso delle carceri il problema esiste da diversi decenni, era tornato alla ribalta giusto pochi anni fa (2003) con il cosiddetto indultino (che aveva liberato una decina di migliaia di detenuti), è riesploso nel 2006 perché nel frattempo quasi nulla era stato fatto per risolvere i tre grandi problemi «a monte»: carceri non degne di un Paese civile, numero di posti insufficiente, processi troppo lenti. Ora la storia si ripete, con il governo che libera oltre 26mila detenuti, non riorganizza la giustizia, non avvia piani straordinari (e accelerati) per la costruzione di nuove carceri e la ristrutturazione di quelle vecchie, litiga disperatamente per mettere insieme un pacchetto di misure per combattere l’illegalità. La gente, nel frattempo, diventa sempre più diffidente nei confronti degli immigrati. Luca Ricolfi insegnante di Analisi dei dati all’università di Torino, è un intellettuale di sinistra |
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