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su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


lunedì 20 febbraio 2012

ragione


***
La ragione si fa adulta e vecchia;

il cuore resta sempre ragazzo
.
(Ippolito Nievo, 1831-1861)

Postato da: giacabi a 16:45 | link | commenti
ragione

sabato, 08 gennaio 2011

Per essere ragionevoli
***
Chi è costretto per spiegare a rinnegare o a dimenticare
qualcosa,
non è ragionevole. La ragione deve spiegare tutto

- La pazienzaè la capacità di portare tutto nel coraggio ragionevole di non rinnegare nulla,di non dimenticar nulla e - attenzione! - di non rifiutare nulla.
Sono tre parole importanti.
- Rinnegare: come i bambini piccoli a cui dici: ..Guarda che bella mela!" e
loro ,No!,,, perché fanno i capricci:
rinnegare quello che è evidente,
riguarda l'evidente.


Dimenticare: riguarda il fatto che la cosa non interessa al momento,
o per sostenere una certa posizione, o perché abbiamo interesse
a dimenticarla. Il dimenticare è l'eludere, eludere.

Mentre il rifiutare si dice di quando si comprende
una cosa, se ne comprende l'importanza, se ne
com
prende la necessità, ma le si sputa addosso.

don Giussani da: Si può vivere così   ed.Rizzoli


Postato da: giacabi a 09:43 | link | commenti
ragione, giussani

sabato, 21 agosto 2010

La ragione
***
«La vita scorre, non è identica a se stessa, può essere ragionevole, può essere trasparente per la ragione; eppure proprio per questo non è contenibile nel raziocinio e ne oltrepassa la limitatezza. A sua volta il raziocinio è avverso alla vita perché cerca di mortificarla prima di acconsentire ad accoglierla in se stesso»19.
 «La ragione brama la salvezza; in altre parole, essa perisce nella sua forma puramente logica, nella forma del raziocinio [...] Scomponendosi in antinomie e morta nella sua esistenza raziocinante, la ragione cerca il principio della vita e della fermezza. In ambito teoretico la salvezza si intende prima di tutto come stabilità dell' intelletto»
.
«La ragione non è una scatola o un qualsivoglia ricettacolo di contenuto geometrico nel quale depositare ciò che più si desidera; e non è nemmeno una macina che tritura il grano così come l'immondizia; essa, cioè, non è un sistema di funzioni meccaniche sempre uguali a se stesse, ugualmente applicabili a qualunque materiale e a qualunque situazione. No, essa è qualcosa di vivo e di teleologico, un organo dell' essere umano, un modus di interazione dinamica del soggeto conoscente con l'oggetto conoscibile vale a dire un tipo di relazione vitale con la realtà».
Pavel A. Florenskij

Postato da: giacabi a 07:48 | link | commenti
ragione, florenskij

lunedì, 15 febbraio 2010

Ragione e fede

***

«L’autorità della fede non è mai abbandonata dalla ragione, poiché è la ragione che considera a chi si debba credere»

(s. Agostino, De vera religione, 24, 45)


 


Postato da: giacabi a 09:20 | link | commenti
ragione, agostino

sabato, 13 febbraio 2010

La ragione
***
De
            Giorgi anteprima3

Ennio De Giorgi


'operando come matematico mi sono forzato ad ammettere che: non solo le cose che esistono sono, come è ovvio, più di quelle che conosco ma per poter parlare del­le cose conosciute sono costretto a fare riferimento a cose sconociute ed umanamente inconosci­bili;
 …perciò il fatto che la religio­ne preveda il mistero appare (al matematico) più come condizio­ne necessaria per la sua credibilità che non come ostacolo all’accet­tarla'. 
Ennio De Giorgi Osservatore Romano del 18 novembre 1978
***
La sete di conoscenza dell’uomo è il segno di un desiderio segreto di vedere qualche raggio della gloria di Dio'
Ennio De Giorgi Congresso Internazio­nale dei Matematici, a Varsavia nel 1983
***
"All’inizio e alla fine, abbiamo il mistero.  La matematica ci avvicina al mistero, ma nel mistero non riesce a penetrare
Ennio De Giorgi
***
«Credo che sia un mistero il motivo dell'utilità della matematica nei confronti della realtà non solo fisica, ma anche biologica, economica, eccetera per me l'indicazione più suggestiva sta nel Libro dei Proverbi, uno dei libri più antichi della Bibbia, che a un certo punto dice che la sapienza (che è più vasta della matematica) era presso Dio quando Egli creò il mondo e che la sapienza deve essere trovata dall'uomo che che Lo cerca e Lo adora. La matematica è una delle più significative manifestazioni dell'amore della sapienza».

Per me l'idea della resurrezione, l'idea che la vita non finisce nel breve arco degli anni che abbiamo, l'idea che anche le persone carissime che sono morte vivono in qualche modo ancora, è uno degli elementi fondamentali della mia vita e anche della mia attività di ricerca. E' uno dei motivi per cui posso continuare a studiare, immaginare cose nuove anche a una età in cui uno potrebbe dire sono verso la fine della carriera accademica, penso che è un tragitto in cui fino all'ultimo devo amare la sapienza in modo completo sperando che quest'amore continuerà anche se in altre forme dopo la morte.”
 Ennio_De Giorgi intervista di Michele Emmer.
***

 “Sì, lui è stato il mio rivale. Ecco un bell'esempio di un matematico religioso! Anzi, un es. estremo di religiosità, quasi da monaco

John Nash

«Accadde che lavorassi in parallelo con Ennio De Giorgi. Egli fu il primo a raggiungere la vetta».

John Nash   autobiografia

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Altro che lo pseudomatematico Odifreddi!!!!


Postato da: giacabi a 13:12 | link | commenti
ragione, de giorgi, scienza - articoli

giovedì, 21 gennaio 2010

CULTURA - OL'GA SEDAKOVA

Critica della ragion stupida

***
......io vorrei difendere la memoria di questa ragione, che conosce la realtà nella sua interezza prima di distinguerne i fattori, la memoria di una ragione che conosce le cose entrando in contatto con esse, e non estraniandosene, e non della ragione fredda, implacabile, che non si stupisce di nulla e distrugge le «splendide illusioni» (come si è abituati a pensarla); al contrario, la memoria di una ragione che si stupisce incessantemente delle cose grandi e si prende cura delle piccole, perché il centro di questa ragione è la sapienza, e la sapienza «è lo spirito amante degli uomini», come sappiamo dalla Bibbia. Questa ragione crea le «cose della cultura», che come dice Averincev, «esistono grazie a un mistero che non si può contraffare, il mistero della vita».

Il trionfo dell’irrazionale
Ho parlato della difesa della ragione da due lati. Finora ho parlato soltanto di uno, della riduzione e travisamento del concetto di razionalità. L’altro aspetto è la battaglia che si conduce da tempo (almeno dall’epoca del romanticismo) contro la ragione, nel tentativo di salvarsi nell’irrazionale. Quest’epoca sta continuando anche ora.
Mi sono fatta un quadro abbastanza chiaro del suo andamento, della sua traiettoria. Una volta mi è capitato di trovarmi nell’immenso archivio letterario di Marbach, dove sono appesi innumerevoli ritratti di uomini di cultura. Proprio lì questo quadro mi si è palesato con estrema chiarezza. Passando di sala in sala, dal XVIII al XX secolo, ho visto come ringiovaniscono i volti dei ritratti. Il moto dell’epoca culturale va a ritroso rispetto al corso della vita biologica «naturale» dell’uomo, dall’infanzia alla vecchiaia. Intelligenti e nobili volti adulti nelle sale del XVIII secolo, affascinanti volti giovanili del romanticismo nelle sale del XIX secolo e, arrivando al XX secolo, volti di «adolescenti difficili» in quasi tutti i ritratti.
La rivolta adolescenziale del modernismo (a cui non si può negare una propria verità e un proprio onore), viene sostituita nel postmoderno dalle trovate idiote del bambino viziato. Comincia un’infanzia caotica. Né un adulto, né un giovane, né un adolescente arrabbiato si metterebbe a fare quello che ci viene mostrato ora in rappresentazioni e performances: morsicare, guastare oggetti, spargere mucchi di immondizia come opere d’arte, e via di questo passo. Tutte le idee creative, i progetti e gli espedienti dell’arte odierna (dal realizzare opere in carta igienica o scotch, all’impaccare edifici e litorali, fondere sculture metalliche a forma di caramella delle dimensioni di un’automobile oppure mettere un coccodrillo sotto formalina), presuppongono una fase molto primitiva di evoluzione intellettuale. «I nuovi ritardati» (dal nome di uno dei gruppi artistici moscoviti di oggi). Così si esprime ai nostri giorni questo eone creativo, che ringiovanisce sempre più e sempre più si allontana dalla ragione.
Se ne allontana, ma in quale direzione? La scoperta dell’irrazionale sembrava la scoperta di un nuovo continente, di nuovi cieli e terre nuove, ma questa nuova terra è risultata non essere poi così ricca, e non esiste alcun cielo sopra di essa... Questo «inconscio» che si rovescia all’esterno ci lascia a bocca aperta per la sua monotonia. Che fare adesso? Esattamente di questo vicolo cieco parlano quanti definiscono «fine della storia» la fine di questo eone. Ma le persone intelligenti e adulte sanno che il mondo è già finito tante volte. È tempo di pensare a ciò che sta iniziando.
I miei interlocutori in questo libro non sono stati filosofi, ma poeti: Goethe, Dante, Puškin, Pasternak. Di solito poesia e ragione si contrappongono fra loro. Ma proprio i grandi poeti sanno e difendono la ragione, il sapere di cui si parla nel mio libro, la «nuova ragione» di cui parla Dante
Da : Lectio magistralis di Ol'ga Sedakova (Università Cattolica di Milano, 16 ottobre 2009)
 www.tracce.it  dic./2009

Postato da: giacabi a 19:08 | link | commenti (1)
ragione


CULTURA - OL'GA SEDAKOVA

Critica della ragion stupida

Fabrizio Rossi
«La nostra civiltà? Non è ragionevole, ma razionalista: nelle cose secondarie è intelligente, ma in quelle che contano...». Dalla scoperta di Dante all’amicizia con Giovanni Paolo II, passando per Auschwitz, l’esperienza e «chi vede un pericolo in ogni verità», la grande poetessa russa ol’ga sedakova racconta perché difende «ciò che rende uomo l’uomo»

«La riduzione della ragione?». Ol’ga Sedakova pesa le parole. È un attimo, poi riprende: «Non è solo un tema attuale. È il vero problema della nostra civiltà». Docente al Dipartimento di Storia e teoria della cultura mondiale dell’Università di Mosca, la Sedakova a questo «problema» ha voluto dedicare la sua nuova opera, Apologia della ragione, tradotta in italiano da La Casa di Matriona (pp. 160, € 12). Una filosofa, ci si aspetterebbe. E invece Ol’ga Sedakova è una poetessa, una delle più apprezzate in Russia, che per i suoi versi - pubblicati dagli Stati Uniti alla Cina - ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il Premio Vladimir Solov’ëv nel 1998 e quello della Fondazione Solženicyn nel 2003. La sua penna ha fatto parlare in russo i più grandi poeti e scrittori: da Dante a Rilke, da Claudel a Eliot. Ortodossa, può vantare un singolare privilegio: Giovanni Paolo II l’ha invitata più volte nei suoi appartamenti, per partecipare a quelli che chiamava «incontri solov’ëviani», delle conversazioni a tavola con un gruppetto di intellettuali da Mosca. «Con Dostoevskij, continuiamo a sperare che la bellezza salverà il mondo», le aveva augurato un giorno per salutarla. «Siamo diventati amici. Quando m’ha chiesto una mia raccolta di versi, ho pensato ad una formalità. Invece, la volta dopo m’ha detto: “Li leggo ogni giorno”. Nonostante le differenze, c’era una grande vicinanza: forse, proprio perché anche lui era un poeta».

In una civiltà in cui sembra che la ragione domini incontrastata, perché lei sente la necessità di difenderla?
La voglio difendere dalla sua riduzione a razionalità tecnica. Quella che con l’Illuminismo ha trionfato non è la vera ragione: è una ragione staccata dall’integrità della persona, che funziona come disarcionata dall’uomo e dai suoi sentimenti. La nostra non è una civiltà ragionevole, ma razionalista: nelle cose che contano è stupida, mentre è intelligente solo rispetto a ciò che è secondario.

Che cos’è la ragione nel suo senso più pieno?
Fin dall’antichità, nella tradizione greca e giudaico-cristiana, la ragione è intesa come sapienza, come sophia: non un freddo esercizio analitico, di raziocinio, ma la possibilità di entrare in un rapporto profondo con il mondo circostante e con noi stessi. È consapevole dei propri limiti e dell’esistenza della sfera del mistero.

Quindi una ragione che non si contrappone alla fede...
Tutt’altro. L’aveva capito bene Aleksandr Puškin, il grande poeta russo del XIX secolo, che proprio per un’esigenza dell’intelligenza ha rifiutato l’ateismo. Fino a scrivere: «Non ammettere l’esistenza di Dio significa essere ancora più stupidi dei popoli che ritengono che il mondo poggi su un rinoceronte». I grandi artisti, come Goethe o Pasternak, hanno sempre intuito che la ragione fosse qualcosa di più ampio di questa riduzione.

E lei come l’ha scoperto?
In università, dove ho incontrato Sergej Averincev. Filosofo e teologo, traduttore e poeta, era un grande umanista (a lui è dedicato l’ultimo capitolo di Apologia della ragione; ndr). Ma soprattutto per me è stato un maestro e un amico, fino alla morte nel 2004. Alle sue lezioni di Estetica bizantina veniva mezza Mosca. Noi giovani artisti combattevamo l’intelletto, pensando che soffocasse il sentimento: con lui, invece, abbiamo capito che in realtà non sapevamo di che si trattasse. Presentando un poeta contemporaneo o un Padre della Chiesa,
Averincev partiva sempre da un’idea di ragione per noi nuova: una ragione integrale, legata al cuore della persona come nella Bibbia. È stato il primo a riabilitare ai nostri occhi la ragione: non in astratto, ma facendoci toccare con mano come funziona.

Che valore ha, oggi, questa battaglia?
Da lì dipende la nostra civiltà, che ha paura di qualunque certezza. Ne ho parlato tempo fa con il cardinale Christoph Schönborn, l’arcivescovo di Vienna: quando a scuola studiavamo la disputa tra Socrate e i sofisti, la classe tifava per il primo. Oggi, invece, i saggi sarebbero i sofisti. Noi moderni abbiamo ucciso Socrate per la seconda volta. E questo indica che c’è un problema innanzitutto educativo.

Cosa intende?
È un’emergenza, con cui mi scontro ogni giorno in aula. Una volta ho spiegato un passo in cui Puškin augura alla sua donna: «Io vi ho amato così sinceramente, così teneramente / come Dio vi conceda di essere amata da un altro». Dei ragazzi alzano la mano: «È ironico, vero?». Nessuno poteva credere che esista un rapporto così puro. In un’altra lezione, abbiamo letto dei versi in cui Puškin si paragona a un gondoliere di Venezia e conclude: «Canto per svago, come lui, senza echi...». Ho chiesto: «A chi è mai capitato di fare qualcosa né per i soldi né per il potere, senza un ritorno?». Su trenta, ha risposto solo una studentessa. Negli altri, di nuovo la stessa incredulità cinica. Come se nessuno credesse più nell’amore, o nell’amicizia.
Insieme alla ragione, si riducono anche i valori. E resta solo l’utilitarismo, dove la poesia non può trovare spazio.

Puškin, Dante, Goethe, Pasternak... Per quale motivo ha scelto di dialogare, nel suo libro, proprio con dei poeti?
Perché con loro si può parlare delle cose fondamentali della vita: la libertà, il significato, la volontà, il cuore... Ai contemporanei, invece, spesso non interessano. Per questo ho sempre sentito vicino uno come Dante, anche se la cultura sovietica lo faceva passare per un pezzo da museo. Quando all’università ho letto la Commedia in russo, intuivo che c’era di più. Così da un rigattiere ho comprato sottobanco un’edizione italiana e ho studiato la lingua: nella voce viva di Dante, ho scoperto una sensibilità che mi era familiare.

Non le sembra paradossale che sia una poetessa, e non una filosofa, a lottare per difendere la ragione?
Molti si stupiscono, pensando che la poesia appartenga alla sfera dell’irrazionale. Ma proprio i grandi poeti difendono la ragione, l’«intelligenza nova» di cui parla Dante. La contrapposizione tra ragione e cuore è nata solo dopo che la ragione è stata separata dalla pienezza della vita umana: così, s’è identificata la prima con un freddo principio analitico e il secondo con le pure emozioni. Ma un cuore senza ragione vede solo fantasmi.

Esempi?
Pensi all’arte contemporanea, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: performances con l’immondizia, incubi, opere piene di panico... Ho l’impressione che la cultura occidentale sia in preda al sonno della ragione. La banalità regna ovunque. Pensi che al prestigioso Poesiefestival di Berlino, dove sono stata quest’estate, solo tre poeti impiegavano ancora parole nei loro componimenti: tutti gli altri soffiavano nel microfono, usavano il sintetizzatore, facevano rumori o saltavano.

La morte della ragione trascina con sé anche il linguaggio, come se non ci fosse più un’esperienza da esprimere...
Per me è stato un segnale tremendo: al posto delle parole, restano suoni vuoti
. Non basta vivere qualcosa per averne esperienza: i miei studenti possono sedersi e ascoltarmi, ma non è ancora esperienza. Dipende da come ti poni: devi esserci, con tutto te stesso. L’esperienza è un darsi senza riserve, non puoi capire qualcosa standotene in disparte. È un’altra illusione della ragione moderna: pretendere di conoscere qualcosa senza parteciparvi. In Russia lo vediamo bene: con tutto quello che abbiamo vissuto sotto il regime, non abbiamo ancora capito cosa ci è successo. Come s’è arrivati a tanto? Come ne siamo usciti? L’abbiamo provato sulla nostra pelle, ma non è ancora un’esperienza.

Alla consegna del Premio Solženicyn, ha parlato della «necessità di una liberazione interiore».
Come ha detto anni fa il metropolita Antonij di Surož: «Dopo la nostra esperienza, abbiamo qualcosa da dire al mondo». Altro che l’impossibilità della poesia dopo Auschwitz! Ma questa possibilità sarà solo per chi in questo «noi» potrà dire «io»: non io come vittima della storia, ma io con un nome e un cognome, io personalmente.

Le rivoluzioni e le tragedie del Novecento hanno mostrato a cosa porta questa ragione diventata irragionevole. Oggi quale rischio vede?
Dobbiamo affrontare una nuova ideologia, più inafferrabile ma non meno totalitaria. Non so quanti se ne rendano conto, non si tratta semplicemente del consumismo. L’uomo, traumatizzato dalle vicende del Novecento, vede un pericolo in ogni verità. Si trincera in un mondo costruito a sua misura, dove non può trovare posto il miracolo, il soprannaturale, ciò che non è logico.

È una realtà interamente artefatta...
Ma ha le gambe corte: qualcuno può vivere senza una certezza da affermare?
Da : www.tracce.it  11/2009

Postato da: giacabi a 16:58 | link | commenti
ragione, esperienza

sabato, 19 dicembre 2009

Robert Spaemann:

la scienza è un bene,

ma l’uomo non smetta mai di contemplare

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INT.
Robert Spaemann (Berlino, 1927) e' uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, erede della Cattedra che fu di Hans G. Gadamer, ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo del dibattito sull'etica contemporanea, in sintonia con gli studi dell'amico Joseph Ratzinger.
venerdì 18 dicembre 2009
Ieri era l’ateismo materialista, nelle sue varie colorazioni ideologico politiche. Più tardi è stato l’indifferentismo religioso ad attaccare la credenza dell’uomo in Dio. Ma la persona non ha mai smesso di interrogarsi sul senso di tutto. Senza credere in Dio, dice il filosofo tedesco Robert Spaemann, l’uomo ci perde: è meno libero. Perché ne va della ricerca della verità e del suo fine e dunque dell’io stesso che domanda. Ma è il cristianesimo la risposta definitiva alla ricerca, «non solo perché ipotesi di un altro mondo o di un'altra visione della realtà - dice Spaemann - ma perché la Verità si è fatta carne».
Da chi viene oggi il vero attacco contro Dio e la religione?
In ogni tempo della storia ci sono state cause e motivi diversi che hanno provocato le più svariate domande circa l’esistenza di Dio. Sebbene in molti lo sostengano, oggi il problema non mi sembra che riguardi come l’uomo possa venir liberato dagli obblighi della religione. In realtà la maggior parte delle persone, più o meno inconsapevolmente, fa esperienza di una minaccia della propria libertà da parte della scienza e della tecnologia. Le scienze naturali hanno sempre di più espanso il loro dominio negli ambiti della vita delle persone.
Il progresso delle scienze sperimentali non è “innocente”?
Purtroppo i mezzi di questo dominio sono anche mezzi di potere sull’uomo e, soprattutto, del potere di uomini su altri uomini. Tale dominio sull’uomo ha raggiunto oggi confini enormi e minacciosi, come la possibilità che abbiamo, o presto avremo, di incidere geneticamente sul profilo biologico di una persona. Oppure pensiamo alle neuroscienze il cui principale intento è quello di dimostrarci che la nostra libertà e il nostro libero arbitrio sono un’illusione. Le estreme conseguenze di questa logica potrebbero portarci a imprigionare tutti coloro il cui profilo genetico e neurologico descrive come potenziali criminali.
E come entra in gioco Dio?
La fede in Dio in questo contesto equivale alla libertà dell’uomo. Libertà intesa come ricerca della verità. In questa ricerca l’Illuminismo ha cercato di sostituire totalmente la fede con la ragione, ma proprio qui risiede il grande errore dell’Illuminismo: l’aver negato a priori la validità della fede come elemento per raggiungere la verità. Come ultima conseguenza lo scientismo ha contestato poi il fatto che la ragione abbia a che fare con la verità, circoscrivendo la ragione a un ambito puramente empirico. Mentre è la fede, come apertura alla realtà, l’unica vera compagna della ragione.
In queste sue risposte si avverte l’eco della critica che Horkheimer e Adorno fecero nei confronti dell’Illuminismo (cfr ilsussidiario.net 18-3-2009). Come spiega però la coesistenza dei dogmi dello scientismo e dell’assenza di verità proclamata dal relativismo?
Come dicevo, lo scientismo riduce la ragione a un solo ambito circoscritto. Una verità che valga per tutti è negata anche dallo scientismo. In questo modo lo scientismo si può conciliare con il relativismo. Nietzsche è stato il primo a portare agli estremi la conseguenza di questo ragionamento. Se non c’è Dio e non c’è la Verità possono esistere solo le prospettive di ogni singola persona. Non esiste una prospettiva “universale”. E Rorty, neopragmatico, lo ha ribadito sinteticamente: “desiderare la verità significa credere in Dio, infatti non c’è la verità”. Naturalmente è vero che lo scientismo pretende per sé che le proprie tesi siano verità. Il suo successo viene nutrito dai passi avanti che quotidianamente fa la scienza. Utilizza i progressi scientifici per propagandare l’illusione che la scienza sappia totalmente definire l’uomo.
Nel suo recente discorso al convegno della Cei lei si domanda «di quale tipo è la realtà del passato, l’eterno essere vera di ogni verità». E pone la questione come obiezione al relativismo. Potrebbe spiegare la centralità di questo ragionamento?
Il passato rimane vero così come questa intervista è stata fatta e rimarrà tale per milioni di anni, per sempre. Questa di primo acchito è una risposta al relativismo. Perché nessuno potrà negare che ci sia stata: c’è stata punto e basta. Ma qui scatta il vero problema dell’interpretazione soggettiva. Oggi siamo propensi come mentalità comune a pensare che un evento è accaduto per come lo si è vissuto. Se si fosse conseguenti una persona potrebbe dichiarare «ho mal di testa» e quindi un’altra iniziare a contraddire dicendo: «per come ti sento io, non hai mal di testa». In realtà perdiamo così di vista il fatto in sé, l’evento. In questo senso la mia domanda punta alla verità innegabile sulla natura di un evento, di qualcosa che è accaduto.   
A proposito di mentalità comune. Nel suo ultimo libro lei punta il dito in particolare contro Rousseau nell’evidenziare gli errori della modernità.
In realtà la mia opinione su Rousseau non è del tutto negativa. In lui indico piuttosto la sintesi dell’uomo moderno, l’esaltazione della soggettività di cui parlavo anche prima. E la stessa figura di Rousseau è percepita soggettivamente. Egli è sia un eroe della rivoluzione sia della controrivoluzione; per qualsiasi lato lo si prenda può essere insignito come paladino. In questo senso Lévi-Strauss, recentemente scomparso, ha giustamente detto che Rousseau è il padre di tutti.
Quindi un modello, ma certamente non un’origine. A quali cause lei fa invece risalire il pensiero moderno?
Gli aspetti sono naturalmente molteplici. Se devo trovare però una radice comune sarei propenso a indicare l’abbandono totale della visione teleologica della realtà, la disillusione dal fatto che la realtà abbia un fine. Questa visione comincia già nel tardo Medioevo. Francis Bacon è il primo ad affermare che il considerare le cose per il loro fine non ci serve assolutamente a nulla. Thomas Hobbes sostiene che conoscere un oggetto significa sapere cosa ne dobbiamo fare se lo possediamo. Di qui è derivato l’abbandono del rapporto contemplativo con la realtà e il conseguente tentativo di dominarla da parte dell’uomo.
La scienza non ha alcun merito?
Tutt’altro. I meriti della scienza e della visione scientifica sono innegabili, hanno alleggerito di molto il lavoro e le sofferenze dell’uomo. Ma la pretesa scientistica di assurgere a unico tipo di conoscenza possibile ha messo da parte un altro tipo di rapporto con la realtà, altrettanto fondamentale.
Per quale motivo lei vede nella Chiesa Cattolica l’unica risposta alle minacce dell’epoca moderna nei confronti dell’umanità?
Bisogna fare chiarezza. Credo che molte persone vivano l’esperienza di un enorme malessere nei confronti del dominio della tecnica, nella perdita di valori e del senso dell’esistenza. Prima abbiamo parlato di Horkheimer. Ebbene io sono totalmente d’accordo con la critica da lui mossa nei confronti dell’Illuminismo, sposo quasi in tutto la sua visione. Il problema è che nel pensiero di Horkheimer non c’è terapia, non c’è soluzione. C’è l’“hotel abisso” a Francoforte, come diceva Ernst Bloch. La critica riguarda solo l’aspetto distruttivo. Il cristianesimo è la risposta non solo perché ipotesi di un altro mondo o di un'altra visione della realtà, ma perché la Verità si è fatta carne. È un fatto di cui la Chiesa rende testimonianza e che rende unica l’esperienza di risposta alle domande dell’uomo.
(Raffaele Castagna)       Da: http://www.ilsussidiario.net/

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ragione, cristianesimo, spaeman, scienza - articoli

venerdì, 18 dicembre 2009

La "ragione"
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«La "ragione" nel linguaggio: oh, vecchia  infida baldracca! Temo che non ci libereremo di Dio perché crediamo ancora nella grammatica..»
Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli

Postato da: giacabi a 20:21 | link | commenti
dio, ragione, nietzsche

sabato, 31 ottobre 2009

 ***

Il guaio dell'uomo moderno non è quello di avere perso la fede,ma quello di avere perso la ragione.
Gilbert Keith Chesterton


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ragione, chesterton

sabato, 22 agosto 2009

Ragione maestra di conoscenza
***
Il filosofo Carmine Di Martino commenta il tema che per 7 giorni terrà banco a Rimini Una sfida al pensiero dominante
di Giorgio Paolucci
Tratto da www.avvenire.it  del 21 agosto 2009

I titoli del Meeting non sono mai facili, ma lasciano il segno, spesso provocano discussioni e polemiche infuocate. La spiegazione di quello di quest’anno – «La conoscenza è sempre un avvenimento» – è stata affidata a un filosofo, Carmine Di Martino, che ne parlerà nell’auditorium principale lunedì 24 agosto. Di Martino insegna Gnoseologia all’Università Statale di Milano. Tra le sue pubblicazioni recenti, «Segno, gesto, parola. Da Heidegger a Mead e Merleau-Ponty» (Ets, 2006) e «Figure dell’evento. A partire da Jacques Derrida» (Guerini e Associati, 2009).

Il Meeting mette a tema due parole come conoscenza e avvenimento, travisate o poco utilizzate nel linguaggio comune. Ma non vuole farne elaborazioni teoriche, bensì andare al cuore di temi che segnano la vita dell’uomo contemporaneo. Cominciamo dalla parola conoscenza, che nella mentalità comune viene intesa come un derivato della scienza.
Oggi siamo portati a pensare che ciò che non è sottoponibile al metodo logico-matematico e all’esperimento non sia né razionalmente conoscibile né in definitiva reale. Ci siamo rassegnati a 'credere' che la ragione con la 'R' maiuscola sia quella scientifica e che la realtà vera non sia quella di cui facciamo esperienza, ma quella che la scienza ha 'ridotto' in un modello. Ma come la ragione non si lascia ridurre ad un solo metodo, così la realtà è più ricca, ha molti più strati di quelli che l’osservazione scientifica seleziona, legittimamente, per i suoi scopi. Se dico per esempio: 'Tu sei un uomo come me', non ho affatto bisogno di usare una ragione scientifica e sono perfettamente razionale. Quando m’interrogo sul perché una persona si comporti in un certo modo, cerco di conoscere le sue motivazioni: tali motivazioni 'esistono' e io procedo in modo razionale se non utilizzo il metodo matematico o sperimentale. Bisogna liberarsi dell’ideologia scientista, per non rinunciare ad essere uomini, cioè razionali, di fronte alle sfide del presente.

La seconda parola-chiave è avvenimento. Cosa è 'avvenimento'? E perché l’avvenimento è un modo privilegiato per conoscere la realtà?
Avvenimento è tutta la realtà colta nella sua abissale gratuità, nel suo accadere improducibile e improgrammabile, nella sua irriducibilità a qualsivoglia schema o definizione. Prenda la nascita di un bambino: per quanto sia preparata e attesa, il bambino che giunge è qualcosa di assolutamente nuovo, assolutamente altro, sorprende ogni previsione. In questo senso è un avvenimento. Avvenimento è la realtà nella sua non-deducibilità: essa mi colpisce e mi mette in movimento. Non ci sarebbe conoscenza senza avvenimento: la conoscenza è infatti la risposta propria dell’uomo all’irrompere dell’avvenimento.

In che senso il Meeting può essere un avvenimento?
Il Meeting è un avvenimento se lì accade qualcosa di nuovo, che non è il semplice prodotto dello sforzo di chi lo costruisce. L’avvenimento non è il risultato di un’organizzazione, pur efficiente e creativa; esso accade attraverso le persone che vi partecipano, a vario titolo, con la loro disponibilità e consapevolezza, con la loro domanda e la loro ferita, ma accade come un effetto superiore a tutte le cause. E questo è ciò che rende 'unico' un appuntamento, un luogo, un fenomeno umano. In quest’ottica, direi, solo l’avvenimento è interessante. Tutto il resto annoia.

Cosa pensa dell’affermazione che la sfida più importante per i cristiani sia riaffermare 'la fede come metodo di conoscenza'? Secondo alcuni è più importante la battaglia per la difesa di certi principi etici (pace, giustizia, solidarietà). Che nesso c’è tra l’affermazione della fede come metodo di conoscenza e la promozione di questi temi etici?
Anzitutto mi sembra lodevolmente controcorrente l’affermazione che 'la fede è un metodo di 'conoscenza': una conoscenza indiretta, ottenuta attraverso la mediazione di un testimone. La riduzione di cui parlavamo prima ci fa dimenticare che la maggior parte delle nostre conoscenze sono attinte con questo metodo, senza del quale non ci sarebbero la cultura, la storia, la convivenza. Ma l’affermazione di cui lei parla dice anche che la fede stessa, in senso stretto, è una conoscenza. Credo sia decisivo: rimette in questione quell’opposizione tra un sapere razionalisticamente concepito e un credere perfettamente estraneo al sapere che abbiamo ereditato dalla modernità. Se il punto di partenza della fede cristiana non è un’immaginazione religiosa, ma – secondo quanto essa dice di se stessa – l’incontro con un fatto tangibile, con un fenomeno umano diverso, essa esige tutto il percorso della ragione davanti a quel fatto (o avvenimento) e all’esperienza che esso rende possibile, in vista di un’adesione motivata. Senza questo, vi sarebbe solo fideismo. Non penso che ciò si opponga alla promozione dei valori etici; semplicemente sottolinea la necessità del riconoscimento (conoscenza) di quel fatto attraverso cui storicamente essi si sono resi chiari alla coscienza degli uomini e concretamente vivibili. Si possono mantenere, secondo lei, le conseguenze senza l’origine?

Spesso l’esperienza religiosa viene presentata come sinonimo di chiusura, divisione e intolleranza. Al Meeting si ' scopre' il contrario...
Al di là di un discorso sull’esperienza religiosa, è interessante smascherare quello che oggi è divenuto un articolo di fede: si può essere aperti solo se non si è certi di niente, non si ha niente da dire, da affermare, da amare. Cioè se si è dogmaticamente relativisti, di quel relativismo che tende intrinsecamente ad assolutizzarsi, negando validità ad ogni altra posizione. Ma così viene minacciato proprio l’incontro con l’altro. Questo, infatti, presuppone l’identità, la coscienza critica di ciò che sono, la comunicazione di quello che vivo. Non esistono apertura viva e vera simpatia – ben diversa dalla tolleranza, che è la prima negazione del rapporto – che non derivino da una sovrabbondanza vissuta, dalla certezza che sorge da un’esperienza (il contrario di un arroccamento ideologico o fazioso), da un desiderio di continua verifica di essa. È evidente nel bambino: si muove con simpatia e apertura verso gli altri quanto più è certo del rapporto con i genitori; dove non si dà questa certezza dominano aggressività e paure, un’ipertrofia dell’istinto di difesa. E poi occorrerebbe guardare quello che accade. Forse anche il Meeting, da questo punto di vista, contribuisce a sconvolgere certi modi di pensare.


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ragione, meeting di rimini

domenica, 24 maggio 2009

  Ragionatore e ragionevole
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,
La distinzione dei due aggettivi ragionatore e ragionevole basterebbe a indicarci la divergenza. "Ragionatore" è anche colui che fa uso errato della ragione, e che, o per una debolezza del pensiero, o per una falsa sottigliezza, o  per vendicarsi di una smentita, o per mettere in scacco l'esperienza o l'evidenza, sostituisce alla verità, con il gioco del ragionamento, la parvenza della ragione. AI contrario "ragionevole" designa colui che sottomette la propria ragione all'esperienza, e in particolare chi, nell'ordine della condotta e della morale, non cerca tanto di costruire un sistema per giustificarsi, quanta piuttosto di trovare la misura della verità, proporzionata alla condizione umana.
Si potrebbe dire che il ragionatore è colui che sottomette la ragione al suo desiderio; si può anche dire che nel ragionatore la ragione prende se stessa per fine: ama se più che non ami la verità alla quale pretende però di essere vincolata essenzialmente. E come se civettasse con se stessa.
Nella persona ragionevole, invece, la ragione non si conosce, non ha coscienza di esercitarsi. É completamente presa dalla preoccupazione di rettificarsi: per questo nel "ragionatore" la ragione fa molto uso del ragionamento, mentre nel "ragionevole" il ragionamento è sottomesso a una specie di istinto di realtà che non può sempre fornire le proprie prove, dato che il ragionamento non interviene che come mezzo di esposizione e di controllo.
Jean Guitton
da:L’arte nuova di pensare ed.San Paolo

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ragione, guitton

domenica, 23 novembre 2008

Il problema della ragione
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«Ciò che è proprio della ragione non sono le sue presunte evidenze, né il suo rigore empirico o logico, ma è innanzitutto la forza dell’impressione della realtà, secondo la quale la realtà profonda si impone coercitivamente nell’intelletto senziente. Il rigore di un ragionamento non cessa di essere l’espressione noetica della forza della realtà, della forza con la quale si sta imponendo a noi la realtà in cui già stiamo impressivamente. Pertanto, il problema della ragione non consiste nel verificare se è possibile che la ragione giunga alla realtà, ma proprio il contrario: in che modo occorre mantenerci nella realtà nella quale già stiamo. Non si tratta di giungere a essere nella realtà, ma di non uscire da essa»
X. Zubiri, Inteligencia y razón, Alianza Editorial, Madrid 1983, pp. 95-96.

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ragione


Ragionevole
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Ragionatore è anche colui che fa uso della ragione a torto, e che o per una
debolezza del pensiero o per una falsa sottigliezza, o per vendicarsi di una
smentita, o per mettere in sacco l’esperienza o l’evidenza, sostituisce alla
verità, con il gioco del ragionamento, l’apparenza della ragione.
Al contrario, il ragionevole designa l’essere che sottomette la ragione
all’esperienza, e in particolare colui che, nell’ordine della condotta e della
morale, non cerca affatto di costruirsi un sistema per giustificarsi, quanto
piuttosto di trovare la misura della verità, proporzionata alla condizione
umana.”
Guitton, Arte nuova di pensare, Roma, 1970”

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ragione, guitton

giovedì, 20 novembre 2008

Il sonno della ragione
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" Già mezza Europa è sulla via del caos, ebbra di fanatiche illusioni cammina sull'orlo dell'abisso e canta, canta un canto ebbro come cantava Dmitri Karamazov. Il borghese oltraggiato ride di questi canti, ma il santo e il veggente li ascoltano piangendo.
Hermann Hesse

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hesse, ragione


Il sonno della ragione
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Immagine:El sueño de la razón produce monstruos.jpg 
" Il sonno della ragione genera mostri

Francisco Goya


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ragione

giovedì, 30 ottobre 2008

SULLA RAGIONE E SULLA PASSIONE
 ***
E ancora la sacerdotessa parlò e disse: Parlaci della Ragione e della Passione. E lui rispose dicendo: La vostra anima è sovente un campo di battaglia dove giudizio e ragione muovono guerra all'avidità e alla passione. Potessi io essere il pacificatore dell'anima vostra, che converte rivalità e discordia in unione e armonia. Ma come potrò, se non sarete voi stessi i pacificatori, anzi gli amanti di ogni vostro elemento ? La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l'anima vostra. Se il timone e la vela si spezzano, non potete far altro che, sbandati, andare alla deriva, o arrestarvi nel mezzo del mare. Poiché se la ragione domina da sola, è una forza che imprigiona, e la passione è una fiamma che, incustodita, brucia fino alla sua distruzione. Perciò la vostra anima innalzi la ragione fino alla passione più alta, affinché essa canti, E con la ragione diriga la passione, affinché questa viva in quotidiana resurrezione, e come la fenice sorga dalle proprie ceneri. Vorrei che avidità e giudizio fossero per voi come graditi ospiti nella vostra casa. Certo non onorereste più l'uno dell'altro, perché se hai maggiori attenzioni per uno perdi la fiducia di entrambi. Quando sui colli sedete alla fresca ombra dei pallidi pioppi, condividendo la pace e la serenità dei campi e dei prati lontani, allora vi sussurri il cuore: "Nella ragione riposa Dio". E quando infuria la tempesta e il vento implacabile scuote la foresta, e lampi e tuoni proclamano la maestà del cielo, allora dite nel cuore con riverente trepidazione: "Nella passione agisce Dio". E poiché siete un soffio nella sfera di Dio e una foglia nella sua foresta, voi pure riposerete nella ragione e agirete nella passione.

Kahlil Gibran,il Profeta

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gibran, ragione

mercoledì, 29 ottobre 2008

La riduzione del cuore
 a sentimento
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Noi prendiamo il sentimento invece che il cuore come motore ultimo, come ragione ultima del nostro agire. Cosa vuol dire? La nostra responsabilità è resa vana proprio dal cedere all'uso del sentimento come prevalente sul cuore, riducendo cosi il concetto di cuore a quello di sentimento. Invece, il cuore rappresenta e agisce come il fattore fondamentale dell'umana personalità; il sentimento no, perché preso da solo il sentimento agisce come reattività, in fondo è animalesco. «Non ho ancora compreso -dice Pavese -quale sia il tragico dell' esistenza [. ..] Eppure è chiaro: bisogna vincere l'abbandono voluttuoso e smettere di considerare gli stati d'animo quali scopo a se stessi». Lo stato d'animo ha ben altro scopo per essere dignitoso: ha lo scopo di una condizione messa da Dio, dal Creatore, attraverso la quale si è purificati. Mentre il cuore indica l'unità di sentimento e ragione. Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l'ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quella che si chiama affezione. È il cuore -come ragione e affettività -la condizione dell'attuarsi sano della ragione. La condizione perché la ragione sia ragione è che l'affettività la investa e cosi muova tutto l'uomo. Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell'uomo.
don Giussani, L’uomo e il suo destino in cammino,ed.Marietti 1820


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ragione, pavese, giussani

martedì, 28 ottobre 2008

CAPIRE
***
Cosa vuol dire capire ? Capire è un atto della ragione, è un verbo che  si riferisce alla ragione, e il modo di vivere della ragione. Cosa  vuol dire capire come modo di vivere della ragione? Vuole dire sorprendere, afferrare, renderti evidente (o intravedere almeno) la corrispondenza tra quello che ti si dice e quello che sei (e le urgenze del tuo cuore, cioè le esigenze della tua vita, le esigenze profonde del tuo io). Capire vuole dire cogliere la corrispondenza profonda tra quello che ti si dice ed il tuo io, le esigenze del tuo io, le esigenze profonde del tuo cuore, le esigenze profonde del tuo vivere.
 Luigi Giussani, Si può vivere così, Ed. Rizzoli

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ragione, giussani

lunedì, 27 ottobre 2008

Fede,ragione e scienza
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Giovanni Paolo II sottolinea invece l’importanza di coniugare fede e ragione nella loro reciproca relazione, pur nel rispetto della sfera di autonomia propria di ciascuna. Con questo magistero, la Chiesa si è fatta interprete di un'esigenza emergente nell'attuale contesto culturale. Ha voluto difendere la forza della ragione e la sua capacità di raggiungere la verità, presentando ancora una volta la fede come una peculiare forma di conoscenza, grazie alla quale ci si apre alla verità della Rivelazione (cfr Fides et ratio, 13). Si legge nell’Enciclica che bisogna avere fiducia nelle capacità della ragione umana e non prefiggersi mete troppo modeste: "È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione" (n. 56). Lo scorrere del tempo, del resto, manifesta quali traguardi la ragione, mossa dalla passione per la verità, abbia saputo raggiungere. Chi potrebbe negare il contributo che i grandi sistemi filosofici hanno recato allo sviluppo dell’autoconsapevolezza dell’uomo e al progresso delle varie culture? Queste, peraltro, diventano feconde quando si aprono alla verità, permettendo a quanti ne partecipano di raggiungere obiettivi che rendono sempre più umano il vivere sociale. La ricerca della verità dà i suoi frutti soprattutto quanto è sostenuta dall'amore per la verità. Ha scritto Agostino: "Ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, ma nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente" (De diversis quaestionibus 35,2).
Non possiamo nasconderci, tuttavia, che si è verificato uno slittamento da un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale. La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà di riprodurla. Questo cambiamento non è stato indolore: l'evolversi dei concetti ha intaccato il rapporto tra la fides e la ratio con la conseguenza di portare l'una e l'altra a seguire strade diverse. La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l'antico concetto di ratio; in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose per fare spazio ad una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi della natura. La ricerca scientifica ha certamente il suo valore positivo. La scoperta e l'incremento delle scienze matematiche, fisiche, chimiche e di quelle applicate sono frutto della ragione ed esprimono l'intelligenza con la quale l'uomo riesce a penetrare nelle profondità del creato. La fede, da parte sua, non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all'uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l'umanità. Come ricordava l'ignoto autore della Lettera a Diogneto: "Non l'albero della scienza uccide, ma la disobbedienza. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera" (XII, 2.4).
Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l'arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. E’ questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d'altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie. La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all'uomo.
La lezione di sant’Agostino è sempre carica di significato anche nell'attuale contesto: "A che cosa perviene - si domanda il santo Vescovo di Ippona - chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione... Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente" (De vera religione, 39,72). Come dire: da qualsiasi parte avvenga la ricerca della verità, questa permane come dato che viene offerto e che può essere riconosciuto già presente nella natura. L'intelligibilità della creazione, infatti, non è frutto dello sforzo dello scienziato, ma condizione a lui offerta per consentirgli di scoprire la verità in essa presente. "Il ragionamento non crea queste verità - continua nella sua riflessione sant'Agostino - ma le scopre. Esse perciò sussistono in sé prima ancora che siano scoperte e una volta scoperte ci rinnovano" (Ibid., 39,73). La ragione, insomma, deve compiere in pieno il suo percorso, forte della sua autonomia e della sua ricca tradizione di pensiero.
La ragione, peraltro, sente e scopre che, oltre a ciò che ha già raggiunto e conquistato, esiste una verità che non potrà mai scoprire partendo da se stessa, ma solo ricevere come dono gratuito. La verità della Rivelazione non si sovrappone a quella raggiunta dalla ragione; purifica piuttosto la ragione e la innalza, permettendole così di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca insondabile come il mistero stesso. La verità rivelata, nella "pienezza dei tempi" (Gal 4,4), ha assunto il volto di una persona, Gesù di Nazareth, che porta la risposta ultima e definitiva alla domanda di senso di ogni uomo. La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la ragione può trovare. E' intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune.
In questi giorni, si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sul tema "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Come non vedere la provvidenziale coincidenza di questo momento con il vostro Congresso. La passione per la verità ci spinge a rientrare in noi stessi per cogliere nell'uomo interiore il senso profondo della nostra vita. Una vera filosofia dovrà condurre per mano ogni persona e farle scoprire quanto fondamentale sia per la sua stessa dignità conoscere la verità della Rivelazione. Davanti a questa esigenza di senso che non dà tregua fino a quando non sfocia in Gesù Cristo, la Parola di Dio rivela il suo carattere di risposta definitiva. Una Parola di rivelazione che diventa vita e che chiede di essere accolta come sorgente inesauribile di verità.
Benedetto XVI Da: Discorso ai partecipanti ad un Congresso Internazionale nel decimo anniversario della pubblicazione della Fides et ratio, Roma, 16 ottobre 2008


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venerdì, 19 settembre 2008

Fede e ragione
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«L’autorità della fede  non è mai abbandonata dalla ragione, poiché è la ragione che considera a chi si debba credere. »
 sant’Agostino


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mercoledì, 10 settembre 2008

Vagliate ogni cosa
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«solo mediante la critica è possibile rescindere proprio alla radice il materialismo, il fatalismo, l’ateismo, l’incredulità, dei liberi pensatori, la stravaganza e la superstizione, che possono essere universalmente dannose, ed infine anche l’idealismo e lo scetticiscmo che sono più pericolosi per le scuole e che difficilmente possono estendersi al pubblico».
Kant nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura

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mercoledì, 30 luglio 2008

Ragione e passione

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Ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante
 (Gibran)

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gibran, ragione

mercoledì, 25 giugno 2008

Il cuore semplice e sincero
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"C’è nella Chiesa così tanta luce e ci sono così tante ombre che è possibile credere per chi lo voglia con cuore semplice e sincero ed è possibile negare per chi preferisca i suoi pregiudizi."
Le prove della nostra religione non sono tali da potersi dire assolutamente convincenti. Ma sono tali che non si può affermare che il crederci significa mancare di ragione. C’è in essi evidenza e oscurità per illuminare gli uni e confondere gli altri. Ma l’evidenza è tale che sorpassa, o almeno uguaglia, l’evidenza del contrario; cosicché non è la ragione a determinarci a non seguirla, ma soltanto la concupiscenza e la malizia del cuore. In questo modo c’è in essa abbastanza per convincere: affinché sia chiaro che in quelli che la seguono è la grazia e non la ragione a spingerli a seguirla, mentre in quelli che la fuggono è la concupiscenza e non la ragione a farla fuggire.(fr. 564
Blaise Pascal da: i pensieri

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sabato, 07 giugno 2008


Il «sentimento» e l'«emozione»
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"Il passo per andare incontro alla realtà non e il sentimento;il  sentimento è lo stato d'animo che subentra al passo che tu fai verso la realtà. Il passo che fai verso la realtà si chiama «ragione» come origine e «volontà» come attuazione. Il «sentimento» è lo stato d'animo che si sviluppa e accompagna il tuo giudizio e la tua libera scelta della realtà. Mentre l'«emozione» è una reazione senza motivo adeguato, senza scopo adeguato, è pura reazione. Cosi che a un certo momento, come una punta calda che disperde in fretta il suo calore, essa finisce, e ti trovi freddo, freddo. Il sentimento è invece qualcosa che è destinato a permanere e a crescere: quanto più tu vivi consapevolmente il contatto con la realtà, tanto più il senti mento della realtà diventa grande in te -perché il sentimento, come dice Il senso religioso, è lo stato d'animo che subentra a ogni gesto della tua ragione e a ogni gesto del tuo amore, della tua affettività, della tua libertà -.Perciò, il sentimento è destinato a crescere, la reattività, invece, come nasce scompare. Quante volte abbiamo «reagito» con papà, mamma, amici, insegnanti, con chicchessia, e dopo due minuti ci siamo morsi le labbra perché abbiamo reagito in quel modo?"
Luigi Giussani Realtà e Giovinezza La sfida, SEI


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sabato, 24 maggio 2008

Per essere cristiani bisogna essere ragionevoli
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 Invece nel dominio della vita reale, che non ha soltanto i suoi diritti, ma impone anche grandi doveri, in questo dominio, se vogliamo essere umani, cristiani insomma, abbiamo il dovere e l'obbligo di non portare che le convinzioni giustificate dalla ragione e dall'esperienza, passate per il crogiuolo dell'analisi, in una parola di agire in modo assennato, e non insensato come nel sonno e nel delirio, per non nuocere agli uomini, per non tarli soffrire e causarne la perdita. Allora sì sarà,la nostra, opera vera di cristiani,e non soltanto di mistici,e opera ragionevole, veramente umanitaria.”

§  Dostoevskij I fratelli Karamazov- Garzanti

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venerdì, 23 maggio 2008


La ragionevolezza
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La RAGIONEVOLEZZA  è affermare la corrispondenza tra quello in cui si è imbattuti e se stessi e il proprio cuore.
Luigi Giussani 

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giovedì, 22 maggio 2008

Comprendere
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«Cosa vuoi dire comprendere? Vuoi dire capire che cosa quelle parole vogliono dire della vita, della mia vita, cioè dell'esperienza che faccio della vita.»
                                       Luigi Giussani
§   

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venerdì, 09 maggio 2008

Il cristianesimo è ragionevole
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 Ho voluto (...) a lungo (...) esaminare il tema principale: come, cioè la mia posizione verso il Cristianesimo sia razionale. Razionale è, ma non è semplice: è come un'accumulazione di fatti svariati, come l'atteggiamento dell'agnostico, con la differenza che l'agnostico ha preso tutti i suoi fatti alla rovescia. Egli è un incredulo, per moltissime ragioni, ma sono tutte ragioni false. Egli dubita perché dice che il medio evo era barbarico, e non è vero; dice che il darwinismo è dimostrato - e non è; che i miracoli non sono accaduti - e invece sono accaduti; che i frati erano oziosi - ed erano laboriosissimi; che le monache sono infelici - e sono allegre e contente; che l'arte cristiana fu triste e pallida - ed ebbe i coloro più vividi e la gaiezza dell'oro; che la scienza moderna rifugge dal soprannaturale - e non è esatto: essa va verso il soprannaturale con la rapidità del treno lampo".

G. K. Chesterton, Ortodossia


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ragione, bellezza, cristianesimo, chesterton

martedì, 04 marzo 2008

La ragione intuisce il  Creatore
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Flew: c’è un Dio nell’universo
 Lorenzo Fazzini                       Avvenire 06 dicembre 2007

                                 
      
 Il famoso filosofo della scienza inglese, che già fece scalpore tre anni fa dichiarandosi «ex ateo», ora ribadisce che l’origine della vita e l’esistenza dell’uomo sulla Terra non possono essere spiegate solo con la biologia.  Lo studioso polemizza anche con Richard Dawkins e con i suoi attacchi a ogni ipotesi di Creazione: «È uno sforzo comico».

Era universalmente ricono­sciuto come il 'campione' mondiale dell’ateismo, pa­drino di quella schiera di divul­gatori dell’inesistenza di Dio - Ri­chard Dawkins in primis - che affollano le librerie di mezzo mondo. Ma ora ha messo nero su bianco, in un volume che di cer­to farà discutere, il suo approdo intellettuale al riconoscimento che 'c’è un Dio'.
Antony Flew, 84 anni, filosofo del­la scienza di Oxford, autore di sag­gi in cui per decenni ha propu­gnato il più ferreo ateismo intel­lettuale, ha ammesso di aver 'ca­pitolato' di fronte all’evidenza e di credere in una Divinità.
“There Is a God”.è il titolo del volume scritto a quattro mani insieme a Roy A­braham Varghese, il pensatore cat­tolico i cui libri furono per il cat­tedratico oxfordiano il punto di partenza, già nel 2004, per una ri­visitazione dei propri enunciati. Fu appunto 3 anni orsono che Flew affermò per la prima volta di non credere più come un tempo al fatto che Dio non esistesse. Si trattò allora della prima scalfittu­ra del proprio pensiero espresso nel monumentale God and Philo­sophy del 1966, più volte riedito. Ora, con There Is a God, Flew compie l’abiura completa del suo pas­sato ateismo scientifico.
Nel testo appena uscito negli Sta­ti Uniti per Harper Collins, il filo­sofo britannico dà conto del mo­do in cui sia arrivato a quella fede che egli definisce 'deistica', come ha dichiarato in un’intervista per la rivista To The Source. In questo iter intellettuale, asserisce l’auto­re, «
ci sono stati due fattori deci­sivi. Il primo, la mia crescente em­patia verso lo sguardo di Einstein e altri noti scienziati secondo i quali ci deve essere stata un’Intel­ligenza dietro la complessità inte­grata dell’uni­verso fisico».
In seconda bat­tuta, a convince­re l’ex ateo di Oxford ci ha pensato «
il mio sguardo perso­nale che ha inte­grato questa medesima com­plessità. Credo che l’origine della vita e la ri­produzione non possono essere semplicemente spiegate da un punto di vista biologico, nono­stante i numero­si tentativi che sono stati fatti in questo senso».
Per Flew non è valida l’equazio­ne che 'più scienza' vorrebbe dire 'meno fe­de' in un Principio originante la vita:
«Mentre facciamo sempre più scoperte sulla ricchezza e l’in­telligenza della vita, pare sempre meno plausibile che un brodo chimico abbia potuto generare in maniera magica il codice geneti­co. Penso che le origini delle leg­gi della natura e della vita, nonché quelle dell’universo, portano chiaramente verso una Sorgente intelligente».
Ma è soprattutto il procedimento intellettuale di Flew - lo anticipa il sottotitolo di There Is a God, ossia 'Come il più famoso ateo del mon­do ha cambiato idea' - che meri­ta di essere approfondito: è stata
'l’evidenza' del Creatore del co­smo a 'condurre' il pensatore britannico ad affermarne l’esistenza: «Non ho sentito nessuna voce. È stata la stessa evidenza che mi ha condotto a questa conclusione». Quella, cioè, di «essere un deista» il quale crede «che Dio è una persona ma non un soggetto con cui si può avere una discussione. È l’essere eterno, il Creatore dell’u­niverso. Accetto il Dio di Aristote­le » la sua lapidaria ammissione.
C’è poi una postilla, nel ragiona­mento di Flew, che merita una se­gnalazione: sebbene affermi che questo libro rappresenti il suo 'te­stamento', annota: «
Non accetto nessun tipo di rilevazione divina sebbene sarei fe­lice di studiarne un’attestazione». Ed è alla fede cri­stiana che l’ex negatore di Dio assegna il mag­gior credito di fi­ducia: «Sto conti­nuando a studia­re il cristianesi­mo ».
Nell’intervista ri­lasciata a Benja­min Wiker, Flew stigmatizza poi l’ateismo dog­matico di Ri­chard Dawkins. Rifacendosi alle recenti critiche del filosofo agno­stico Anthony Kenny, afferma che l’autore de La delusione di Dio
ha «mancato nell’affrontare tre principali argo­menti quando ha argomentato ra­zionalmente la questione di Dio. Sono proprio gli stessi temi che mi hanno portato ad accettare l’esi­stenza di un Dio: le leggi della na­tura, la vita con la sua organizza­zione teleologica e l’esistenza del­l’Universo ». Non solo: Flew bolla come «sforzo comico» la modalità con cui Dawkins ha provato a spiegare l’o­rigine della vita, parlando di «oc­casione fortunata»: «Se questo è il miglior argomento che si può a­vere su questo tema - è stato il giu­dizio sferzante dell’ottuagenario di Oxford - la questione è chiusa». Ma per l’ex ateo di Oxford la vi­cenda-Dio si è appena aperta.

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