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mercoledì 22 febbraio 2012

saintexupery


LA VITA SALVATA DA UN SORRISO
***

Tutti conoscono Saint Exupéry come l'autore di un fantastico libro per
tutte le età, Il piccolo principe, ma forse non tutti sanno che era
anche un pilota d'aereo e che durante la prima guerra mondiale
combatté nella guerra civile spagnola contro i nazisti.

A quel periodo è ispirato il racconto "Il sorriso" in cui l'autore
narra di essere stato catturato dal nemico e di come le cose presero
una piega inaspettata.


"Ero certo che sarei stato ucciso. Ero nervoso e scontroso. Cercai
nelle tasche qualche sigaretta che fosse sfuggita alla perquisizione.
Ne trovai una e per via del tremito alle mani riuscii a malapena a
portarmela alle labbra. Ma non avevo fiammiferi, me li avevano portati
via. Guardai attraverso le sbarre il mio carceriere. Lui non ricambiò
lo sguardo. D'altra parte non si ricambia lo sguardo con una cosa, un
cadavere. Lo chiamai dicendo: "Hai da accendere, per favore?" Mi
guardò, scrollò le spalle e venne ad accendermi la sigaretta.

Quando si avvicinò e accese il fiammifero, i suoi occhi
inavvertitamente si incrociarono con i miei. In quel momento sorrisi.
Non so perché. Forse era nervosismo, forse era perché quando si sta
molto vicini l'un l'altro è molto difficile non sorridere. Comunque,
sorrisi. In quel momento fu come se una scintilla scoccasse fra i
nostri cuori, fra le nostre anime umane. So che lui non voleva, ma il
mio sorriso attraversò le sbarre e generò un sorriso anche sulle sue
labbra. Mi accese la sigaretta ma rimase vicino, guardandomi
direttamente negli occhi e sorridendo ancora.


Continuai a sorridergli, ora vedendolo come una persona e non soltanto
un carceriere. E anche il suo modo di guardarmi sembrò assumere una
nuova dimensione."


Il carceriere chiese al prigioniero se avesse dei figli e questi gli
mostrò in lacrime le foto della propria famiglia.

"Improvvisamente senza una parola di più mi aprì la cella e mi
condusse fuori ... e mi liberò. E senza una parola di più ritornò
verso la città. La mia vita fu salvata da un sorriso."

Saint Exupéry

Postato da: giacabi a 22:18 | link | commenti
saintexupery, sorriso gesù

giovedì, 04 agosto 2011

La verità
***
La verità delle arance è il posto dove gli aranci fioriscono. La verità delle aquile è il posto dove le aquile volano. La verità dell'uomo è il posto dove la vita umana rinasce. È questo ciò che io provo venendo qui, dove non ci sono metodi astratti ma si capisce che la verità è solo un'esperienza.
(
Antoine de Saint-Exupéry
***
La verità non è una produzione del nostro pensiero, neanche del pensiero più intelligente, ma è qualcosa d'altro da noi, è sempre qualcosa in cui ci si imbatte. Questo imbattersi nel vero mi pare sia un elemento fondamentale in ogni tipo di conoscenza, in ogni aspetto del nostro rapporto con la realtà.
(Marco Bersanelli - docente di Astrofisica all'Università degli Studi di Milano - Tracce set 2007 p.27)
***
La mente non può produrre la verità, la può solo trovare
.
(Dal film su Edith Stein "La settima stanza")

Postato da: giacabi a 14:28 | link | commenti
verità, saintexupery

giovedì, 28 gennaio 2010

L'amore
 ***
"Forse l'amore è il processo con il quale ti riconduco dolcemente a te stesso".
(Saint-Exupery, da "Vento, sabbia e stelle")

Postato da: giacabi a 14:23 | link | commenti
saintexupery

giovedì, 07 gennaio 2010

Lo sguardo
 ***

Lo sguardo, quando si smarrisce dai legami concreti, perde anche la visione di Dio.
ANTOINE DE SAINT EXUPERY
Cittadella



Postato da: giacabi a 19:14 | link | commenti
saintexupery

domenica, 03 gennaio 2010

Amici
 ***
Essere solidali con gli uomini o con la virtù o con Dio…queste non sono che parole vuote: se non rappresentano un intreccio
di legami. Dio discende fino alla cosa per trasformarsi in cosa…E perché è solidale con gli uomini, l’uomo non è una semplice parola del suo vocabolario; gli uomini sono coloro dei quali egli è responsabile…
Io non conosco l’uomo ma degli uomini.
Non conosco la libertà, ma degli uomini liberi.
Non conosco la felicità, ma degli uomini felici.
Non conosco la bellezza, ma delle cose belle.
Non conosco Dio, ma il fervore dei ceri.
Quelli che inseguono l’essenza non come una incarnazione, rivelano soltanto la loro vanità e il moto dei loro cuori.
Essi non vivranno, poiché non si vive né si muore per delle parole.
Non amo chi è sedentario nel cuore….
Si cammina lungamente, fianco a fianco, chiusi nel proprio silenzio o scambiando parole che nulla convogliano….
Ma ecco l’ora del pericolo. Allora ci si spalleggia a vicenda.
Ci si accorge di appartenere alla medesima comunità. Ci si amplia nella scoperta di altre coscienze. Ci si guarda con un largo sorriso.
Si è simili a quel prigioniero, rimesso in libertà, tutto stupito di fronte all’immensità del mare.
Che cosa ci occorre per nascere alla vita? Darci.
Abbiamo sentito confusamente che l’uomo non può comunicare con l’uomo se non attraverso una stessa immagine.
Noi, figli dell’era della comodità, proviamo un inspiegabile piacere a condividere i nostri ultimi viveri nel deserto:
in un mondo divenuto deserto, avevamo sete di ritrovare dei compagni.
Non capite che il dono di sé, il rischio, la fedeltà fino alla morte sono degli esercizi che hanno largamente contribuito a fondare la nobiltà dell’uomo?
Io sono responsabile di tutti gli altri, di tutti gli uomini.
Li ho sempre creduti poveri coloro che non sapevano più con chi fossero solidali.
Ho bisogno soprattutto di colui che è come una finestra spalancata sul mare e non uno specchio della mia noia.
L’ospitalità, la cortesia e l’amicizia sono incontri dell’uomo nell’uomo.
L’amico è innanzitutto colui che non giudica.
L’amico è colui che apre la porta al viandante, alle sue stampelle, al suo bastone deposto in un canto e non gli chiede di danzare per giudicare la sua danza. E se il viandante parla della primavera ormai sopraggiunta, l’amico è colui che riceve dentro di sé la primavera.
E se gli racconta l’orrore della carestia nel villaggio dal quale proviene, l’amico soffre con lui la fame.
Perché l’amico nell’uomo è la parte destinata a te e che apre per te una porta che forse non aprirebbe mai per nessun altro.
Io dico mio amico quell’essere che ho intravisto nell’uomo, un essere che forse sonnecchia ancora nascosto nella sua ganga, ma che di fronte a me comincia a rivelarsi poiché mi ha conosciuto e sorriso, anche se  più tardi dovrà tradirmi.
Mi piace l’amico fedele nelle tentazioni.
Perché se non c’è tentazione non c’è fedeltà ed io non avrei alcun amico.
Accetto che qualcuno cada per determinare il valore degli altri.
L’amore vero inizia là dove non attendi nulla in cambio.
Non confondere l’amore col delirio del possesso, che causa le sofferenze più atroci.
Perché contrariamente a quanto si pensa, l’amore non fa soffrire. Quello che fa soffrire è l’istinto della proprietà, che è il contrario dell’amore.
Perché se amo Dio me ne vado a piedi sulla strada, zoppicando, per portarlo agli altri uomini. Non riduco il mio Dio in schiavitù.
Mi nutro di tutto ciò che egli concede agli altri.
L’amicizia io la riconosco dal fatto che non può essere delusa e riconosco l’amore vero dal fatto che non può essere oltraggiato.
Se cerco quelli tra i miei ricordi che mi hanno lasciato un sapore durevole, se faccio il bilancio delle ore che contarono, ritrovo infallibilmente ciò che nessuna ricchezza sarebbe valsa a procurarmi.
Non si compera l’amicizia di un compagno vincolato per sempre a noi dalle prove vissute insieme.
Secondo l’uomo quello che è dato a uno viene sottratto ad un altro.
E’ la dimenticanza di Dio e l’uso dei beni che ci hanno fatti così.
Perché, in realtà, ciò che tu dai non ti diminuisce, anzi ti accresce nelle tue ricchezze da distribuire.
Chi fa dono della vita è solo l’amante che ha saputo amare, perché altrimenti l’offerta del proprio corpo non è né un sacrificio né un dono fatto per amore. Non si aspetta dentro di sé, ma si aspetta da un altro.
Più il lavoro nel quale ti consumi in nome dell’amore è duro, più esso ti esalta.
Più tu dai, più sei accresciuto. Ma ci deve essere qualcuno per ricevere.
Se il tuo dono va perduto non è più un dono.
La grandezza di un mestiere sta forse, in primo luogo, nel vincolo che esso crea fra gli uomini. Un solo lusso vero esiste, ed è quello dei rapporti umani. Lavorando unicamente per i beni materiali ci costruiamo da soli, la nostra prigione.
Ci rinchiudiamo, solitari, con la nostra moneta di cenere, che non procura nulla di ciò che val la pena d’essere vissuto.
Il vero uso dei tuoi doni è una strada dell’uno all’altro e non una rapina.
L’amore non è un tesoro da carpire, ma un impegno da entrambe le parti.
Insieme, noi siamo il passaggio per Dio, che per un istante prende la nostra generazione e se ne serve.
Quando rimpiangi l’amore, ciò significa che l’amore è nato.
Se il tuo amore disprezza i segni di affetto, col pretesto di mirare all’essenza, non è più che un vocabolo.
Sono miei veri amici coloro che si prostrano con me nella preghiera, fusi insieme i chicchi della medesima spiga, in attesa di divenire pane.
Antoine de Saint-Exupèry

Postato da: giacabi a 20:58 | link | commenti
amicizia, saintexupery

domenica, 20 settembre 2009


 ***

Essere uomini significa avvertire una responsabilità: vergognarsi alla vista di una necessità, anche quando è evidente che non se ne ha alcuna colpa; essere fieri del successo di un compagno; offrire la propria pietra nella coscienza di contribuire all' edificazione del mondo.
Antoine de Saint-Exupéry, Vento, sabbia e stelle,

Postato da: giacabi a 00:56 | link | commenti
saintexupery

lunedì, 06 aprile 2009

Suscitare un'inquietudine
dello spirito
***
«Esiste un solo problema, uno solo sulla terra. Come ridare all'umanità un significato spirituale, suscitare un'inquietudine dello spirito. E' necessario che l'umanità venga irrorata dall'alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi, politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così»
 Antoine de Saint-Exupéry



Postato da: giacabi a 20:48 | link | commenti
saintexupery

mercoledì, 17 dicembre 2008

L’amore è per sempre
***
“  Non c’è amore là dove la scelta non è irrevocabile “
A. De Saint-Exupéry


Postato da: giacabi a 16:24 | link | commenti
saintexupery

domenica, 17 agosto 2008

Da dove nasce la dignità dell’uomo
***

È facile fondare l'ordine di una società sulla sottomissione di ciascuno a regole fisse. È facile modellare un uomo cieco, che subisca senza protestare un padrone o un Corano. Ma il successo é ben più grande quando, per liberare l'uomo, si riesce a farlo regnare su se stesso. Ma che significa "liberare"? Se io libero, in un deserto, un uomo che non sente nulla, che vale la sua libertà? La libertà si determina quando é di "qualcuno" che va "verso un dato luogo". Liberare costui significherebbe insegnargli ad aver sete e indicargli la strada verso un pozzo. Soltanto allora si proporrebbero a quell'uomo modi di essere che non mancherebbero più di senso. Liberare una pietra non significa nulla, se non vi é la forza del peso. Perché la pietra, una volta libera, non andrà in nessun luogo. La mia civiltà, invece, ha cercato di fondare le relazioni umane sul culto dell'Uomo al di là dell'individuo, affinché il comportamento di ciascuno di fronte a se stesso o agli altri, non fosse più conformismo cieco agli usi del termitaio, ma libero esercizio dell'amore. La strada invisibile del peso libera la pietra. Le invisibili inclinazioni dell'amore liberano l'uomo. La mia civiltà ha cercato di fare di ciascun uomo l'Ambasciatore di un medesimo principe. Ha considerato l'individuo come cammino o messaggio di qualcosa che lo trascende, ha offerto alla libertà della sua ascesa direzioni calamitate. Conosco bene l'origine di questo campo di forze. Per secoli e secoli la mia civiltà ha contemplato Dio attraverso gli uomini. L'uomo era creato a immagine di Dio. Nell'uomo si rispettava Dio. Gli uomini erano fratelli in Dio. Questo riflesso di Dio conferiva una dignità inalienabile a ciascun uomo. Le relazioni dell'uomo con Dio stabilivano con evidenza i doveri di ciascuno di fronte a se stesso e agli altri. La mia civiltà è erede dei valori cristiani. Mediterò sulla costruzione della cattedrale per meglio comprendere la sua architettura.

La contemplazione di Dio faceva gli uomini eguali, perché eguali in Dio. E questa eguaglianza aveva un significato chiaro. Poiché non si può essere eguali se non "in qualche cosa". Il soldato e il capitano sono eguali nella nazione. L'eguaglianza é una parola vuota di senso se non esiste un punto cui legare questa eguaglianza. Comprendo chiaramente perché quest'eguaglianza, che era l'eguaglianza dei diritti di Dio attraverso gli individui, non permetteva di limitare l'ascesa di un individuo: Dio poteva decidere di far di lui una strada. Ma siccome si trattava anche dell'eguaglianza dei diritti di Dio "sopra" gli individui, comprendo perché gli individui, quali che fossero, erano sottomessi agli stessi doveri e allo stesso rispetto delle leggi. Esprimendo Dio, erano eguali nei loro diritti. Servendo Dio, erano eguali nei loro doveri. Comprendo perché un'eguaglianza stabilita in Dio non implicava né contraddizione né disordine. La demagogia s'introduce quando, in mancanza di una misura comune, il principio di eguaglianza s'imbastardisce in principio d'identità. Allora il soldato nega il saluto al capitano, poiché il soldato, salutando il capitano, onorerebbe un individuo e non la Nazione. La mia civiltà, ereditando da Dio, ha fatto gli uomini eguali nell'Uomo. Comprendo l'origine del rispetto degli uomini gli uni per gli altri. Il sapiente doveva rispetto al carbonaio perché nel carbonaio rispettava Dio, di cui il carbonaio era pure l'Ambasciatore. Quali che fossero il valore dell'uno e la mediocrità dell'altro, nessun uomo poteva pretendere di ridurre un altro in schiavitù. Non si umilia un Ambasciatore. Ma questo rispetto dell'uomo non implicava la prosternazione degradante dinanzi alla mediocrità dell'individuo, dinanzi alla bestialità o all'ignoranza, poiché prima di tutto era onorata la qualità di Ambasciatore di Dio. Così l'amore di Dio fondava fra gli uomini relazioni nobili, perché gli affari si trattavano da Ambasciatore ad Ambasciatore, al di sopra della qualità degli individui. La mia civiltà, ereditando da Dio, ha fondato il rispetto dell'uomo attraverso gli individui. Comprendo l'origine della fraternità degli uomini. Gli uomini erano fratelli in Dio. Non si può essere fratelli se non in qualche cosa. Se non esiste un nodo che li unisca, gli uomini sono sovrapposti, non legati. Non si può essere fratelli in astratto. I miei camerati ed io siamo fratelli nel Gruppo 2/33. I Francesi nella Francia. La mia civiltà, ereditando da Dio, ha fatto gli uomini fratelli nell'Uomo. Capisco il significato dei doveri di carità che mi venivano predicati. La carità serviva Dio attraverso l'individuo. Era dovuta a Dio, quale che fosse la mediocrità dell'individuo. Questa carità non umiliava il beneficato, non lo imprigionava nelle catene della gratitudine, perché non era a lui, ma a Dio che il dono veniva dedicato. L'esercizio di questa carità, per contro, non era mai omaggio reso alla mediocrità, alla stoltezza, o all'ignoranza. Il medico aveva verso se stesso il dovere d'impegnare la propria vita nelle cure al più volgare appestato. Egli serviva Iddio. Non era menomato dalla notte insonne, trascorsa al capezzale di un ladro. La mia civiltà, erede di Dio, ha fatto dono in tal modo della carità all'Uomo attraverso l'individuo. Comprendo il significato profondo dell'Umiltà che si esigeva dall'individuo. Essa non lo umiliava. Lo elevava. Lo illuminava sulla sua missione di Ambasciatore. Così come lo obbligava a rispettare Dio attraverso gli altri, lo obbligava a rispettarlo in se stesso, a farsi messaggero di Dio, in cammino nel nome di Dio. Essa gli imponeva di dimenticarsi per accrescersi, poiché se l'individuo si esalta della propria importanza, la strada immediatamente si cambia in muro. La mia civiltà, erede di Dio, ha predicato anche il rispetto dell'Uomo attraverso se stesso. Comprendo, infine, perché l'amore di Dio ha stabilito che gli uomini siano responsabili gli uni degli altri e ha imposto loro la Speranza come una virtù. Poiché, di ciascuno di essi, la Speranza faceva l'Ambasciatore del medesimo Dio, nelle mani di ciascuno riposava la salvezza di tutti. Nessuno aveva il diritto di disperare, perché messaggero di qualcosa più grande di lui. Disperarsi era come rinnegare Dio in se stessi. Il dovere di Speranza avrebbe potuto tradursi: "Tu ti credi dunque così importante? Quale fatuità nella tua disperazione!". La mia civiltà, erede di Dio, ha fatto ciascuno responsabile di tutti gli altri uomini, e tutti gli uomini responsabili di ciascuno. Un individuo deve sacrificarsi per la salvezza di una collettività, ma non si tratta di un'aritmetica imbecille. Si tratta del rispetto dell'Uomo attraverso l'individuo. Effettivamente, la grandezza della mia civiltà è che cento minatori hanno verso se stessi il dovere di rischiare la loro vita per il salvataggio di un solo minatore sepolto. Essi salvano l'Uomo. Comprendo chiaramente, a questa luce, il significato della libertà. È libertà di crescita dell'albero nel campo di forza del suo seme. E’ clima dell'ascesa dell'Uomo. È simile a un vento favorevole. Solo per virtù del vento i velieri sono liberi in mare. Un uomo così costruito disporrebbe del potere dell'albero. Quale spazio non coprirebbe con le sue radici! Quale umana linfa non assorbirebbe, per farla sbocciare nel sole!
ANTOINE DE SAINT-EXUPERY da: IL PILOTA DI GUERRA


Postato da: giacabi a 07:06 | link | commenti
cristianesimo, saintexupery

sabato, 26 aprile 2008

L’Amicizia
***
Amico mio, accanto a te
non ho nulla di cui scusarmi,
nulla da cui difendermi,
nulla da dimostrare: trovo la pace...
Al di là delle mie parole maldestre
tu riesci a vedere in me
semplicemente l'uomo
.
. saint exupery                               a M.

Postato da: giacabi a 11:34 | link | commenti (2)
amicizia, saintexupery

lunedì, 17 marzo 2008

E LA BELLEZZA DOV’ E’ ?
***



C’è qualcuno – fra i partiti che si azzuffano alle elezioni per poi spartirsi la torta del potere – che metterà al primo punto del suo programma la Bellezza, la difesa della Bellezza, il diritto alla Bellezza in questa Italia che fu (e dolentemente sarebbe ancora) la patria della Bellezza? E c’è qualcuno che se ne ricorderà soprattutto a Roma che è la città della Bellezza? Sicuramente no. Eppure la Bellezza non è un lusso, è il pane dei poveri, la loro unica ricchezza. La Bellezza non è fatta di lustrini e veline, povere ombre effimere di un teatro di cannibali (il volto di Madre Teresa era bellissimo e quello di Karol Wojtyla più bello di qualunque attoruncolo hollywoodiano). La Bellezza dà senso alla vita. Ammoniva Dostoevskij nei “Demoni” (che è il suo romanzo più politico, quello dove profetizza l’orrore che l’ideologia provocherà nel Novecento): “Sappiate che l’umanità può fare a meno degli Inglesi, che può fare a meno della Germania, che niente è più facile per lei che fare a meno dei Russi, che per vivere non ha bisogno né di scienza né di pane, ma che soltanto la bellezza le è indispensabile, perché senza bellezza non ci sarà più niente da fare in questo mondo”.

Non c’è nessuno che abbia il senso tragico del momento che viviamo. Nessuno che si alzi di un centimetro sopra gli avvenimenti e ne sappia leggere la logica (suicida), il punto di approdo e di crollo. Non solo nella “classe dirigente” (si fa per dire) italiana. La tecnocrazia europea è assai peggiore. Eppure la gente lo sente, avverte che abbiamo perduto l’essenziale. Vorrei sentir dire a qualcuno le parole di Robert Kennedy: Il dramma della gioventù americana è che sa tutto eccetto una cosa. E questa cosa è l’essenziale”. Continuerà a ignorarlo e ad affossarsi, la nostra gioventù, se – per esempio – le università saranno sempre nelle mani di minoranze fanatiche che inalberano cartelli dove sta scritto: “Non vogliamo padri” (come è accaduto all’Università di Roma per impedire l’arrivo del Papa).

A volte mi viene in mente un’invettiva
dell’autore del “Piccolo principe” che dice brandelli di verità: “Odio la mia epoca con tutte le mie forze. In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondo un problema più grande di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si può vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il fabbricarci una vera e propria prigione”.

Un inferno. Popolato di demoni e beni di consumo. Di monnezza e di palline da golf perdute. Di vecchi abbarbicati al potere e di giovani incapaci della più piccola nobiltà d’animo. Di assatanati del sesso. Di incapaci di rispettare i deboli. Di ragazze ridotte a cose da possedere anche a costo di violentarle. Di figli ridotti a prodotti da “fabbricare” a proprio gusto o da scartare ed eliminare se “difettosi”. Di una cultura che esalta solo e sempre la brama di possesso, il potere e il denaro (e soprattutto la loro esibizione), mentre la vita reale della metà delle famiglie italiane sta sprofondando letteralmente nella povertà. E se ne approfitta per produrre parole parole parole…

Giorni fa vedevo un programma d’informazione in tv che da anni fa la stessa puntata: non parla che delle bollette e delle buste paga, della finanziaria e della rata del mutuo. Da mesi e da anni. Oltretutto un parlare del tutto vano perché la gente, sempre più impoverita, non si sente dire la verità, non si sente dire “per colpa di chi”. E ora non riesce più neanche ad acquistare le medicine per curarsi. Nessuno ha il coraggio di dire la verità e nessuno la difende.

Ma mi chiedo se la vita e il destino di un popolo sia tutto e solo lì, nelle bollette. Oltretutto questo popolo non fa più figli, perché fare figli significa essere condannati alla povertà; perciò fra venti anni il popolo italiano sarà vicino all’estinzione. Senza speranza. Dicono certi sondaggi che quello italiano è un popolo triste e senza speranza. Nel dopoguerra eravamo molto più poveri, addirittura fra le macerie, un paese in ginocchio. Ma avevamo una grande risorsa che ha fatto “il miracolo”. Qual era? Cosa abbiamo perduto? Perché nessuno sa dirlo? Beh, lo dirò io: la fede cristiana. Questo abbiamo perso. Cioè l’amore alla vita.
“L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi. Io parlo perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete ritornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! Bisogna tornare al punto di prima, in-quel-punto dove voi avete imboccato la strada sbagliata”.

E’ il “folle di Dio”, Domenico, nel film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, che grida queste parole, poco prima di sacrificare se stesso sopra la statua del Marco Aurelio in Campidoglio. Ma in quale punto abbiamo “imboccato la via sbagliata”? A quale crocevia ci siamo smarriti? Sfogliando un libro di antiche icone russe, Alexander, il protagonista del “Sacrificio” (il successivo e ultimo film di Tarkovskij), si dice colpito da quelle splendide tavole per la “saggezza e spiritualità (…) profonda e virginale nello stesso tempo. Incredibile come una preghiera”. Ma aggiunge, con sconcerto: “tutto questo è andato perduto. Non siamo più neppure capaci di pregare”.

Due sequenze con le quali Tarkovskij ci dice che si sono perdute (o abbandonate) al tempo stesso la Bellezza e la Fede. Che poi sono la stessa cosa. Pavel Edvokimov scrive: “Ciò che è bello è la presenza di Dio fra gli uomini”. Un cataclisma si è dunque consumato agli esordi del Novecento. Preparato da qualche secolo. Si è preteso di cancellare – anche al prezzo di stragi e persecuzioni bestiali – la presenza di Dio fra gli uomini.

Così si è cancellato l’uomo. E si è cancellata anche la bellezza. Infatti non c’è più bellezza, neanche nelle chiese. Non c’è più la forma umana. E non c’è più neanche lo stupore per la realtà creata. Un filosofo straordinario come
Wittgenstein diceva: “E ora descriverò l’esperienza di meravigliarsi per l’esistenza del mondo, dicendo: è l’esperienza di vedere il mondo come un miracolo”. Non è più così. I “miracoli” sono stati aboliti innanzitutto dai teologi che si scagliano contro i santi e pretendono di legare le mani alla bontà di Dio. Ebbe modo di prevedere questa china quel grande che era Franz Kafka quando notò:Non ci sono più miracoli, ma solo istruzioni per l’uso. Ci sono solo norme, regole, vademecum, anche nella Chiesa che pure è il luogo dei miracoli, che pure sarebbe cielo e terra nuova, dove i miracoli veramente accadono. Dice Tarkovskij: “non si è più capaci di ammettere, neppure per ipotesi, il miracolo”. Perduto il significato siamo precipitati tutti – uomini, popoli e cose create - nell’assurdo e quindi anche nel brutto. L’arte si è disumanizzata e ha celebrato la distruzione del “personaggio uomo” e della realtà creata. Sono diventate “opere d’arte” gli orinatoi e la “merda d’artista”. Così “l’abolizione della bellezza è la fine dell’intelligibilità del mondo” (F. Schuon). Ma è anche la fine del mondo.

Antonio Socci
(da “Libero”, 24 febbraio 2008)

Postato da: giacabi a 15:05 | link | commenti
bellezza, dostoevskij, socci, tarkovskij, saintexupery

martedì, 11 marzo 2008

L’amico
***
«L’amico è innanzi tutto colui che non giudica.
L’amico è colui che apre la porta al viandante, alle sue stampelle, al suo bastone deposto in un canto e non gli chiede di danzare per giudicare la sua danza. E se il viandante parla della primavera ormai sopraggiunta, l’amico è colui che riceve dentro di sé la primavera. E se egli racconta l’orrore della carestia nel villaggio dal quale proviene, l’amico soffre con lui la fame. Perché, come ti ho detto, l’amico nell’uomo è la parte destinata a te e che apre per te una porta che forse non aprirebbe mai per nessun altro.
Il tuo amico è un amico vero e tutto quello che dice è vero.
L’amico nel tempio, quello che grazie a Dio io sfioro e incontro, è colui che volge verso di me lo stesso mio viso, illuminato dallo stesso Dio, poiché allora l’unione è fatta, anche se lui è un bottegaio mentre io sono un capitano, oppure è un giardiniere mentre io sono un marinaio.
L’ho incontrato al di sopra delle nostre divisioni e sono divenuto il suo amico.
Io posso tacere accanto a lui, cioè non avere alcun timore per i miei giardini interiori, le mie montagne, i miei precipizi e i miei deserti, poiché lui non vi metterà mai piede.
Tu, amico mio, quello che ricevi da me con amore è come un ambasciatore del mio regno interiore. Tu lo tratti bene, lo fai sedere e lo ascolti. Ed eccoci felici.
Mi hai mai visto, quando ricevevo degli ambasciatori, tenerli in disparte o respingerli perché agli estremi confini del loro impero, a mille giornate di marcia dal mio, gli uomini si nutrono di cibi che non mi piacciono, ovvero perché i loro costumi sono diversi dai miei? L’amicizia è innanzi tutto una tregua e una grande circolazione dello spirito al di sopra delle divisioni particolari. Non posso rimproverare nulla a chi troneggia alla mia mensa.
 
Perché sappi che l’ospitalità, la cortesia e l’amicizia sono incontri dell’uomo nell’uomo. Che cosa andrei a fare nel tempio di un dio che discutesse sulla statura e sulla corpulenza dei fedeli, oppure nella casa di un amico che non accettasse le mie stampelle e pretendesse di farmi danzare per giudicarmi?
Incontrerai fin troppi giudici per il mondo. Se si tratta di plasmarti in modo diverso e di rafforzarti, lascia questo compito ai nemici. Se ne incaricheranno loro, come la tempesta che scolpisce il cedro.
 Saint Exupery                                                a: M. P. P. R

Postato da: giacabi a 21:29 | link | commenti
amicizia, saintexupery


L’amore non può essere possesso

***

“Non confondere l'amore col delirio del possesso, che causa le sofferenze più atroci. Perché contrariamente a quanto comunemente si pensa, l'amore non fa soffrire. Quello che fa soffrire è l'istinto della proprietà, che è il contrario dell'amore. Perché se amo Dio me ne vado a piedi sulla strada zoppicando per portarlo agli altri uomini. Non riduco il mio Dio in schiavitù. Io mi nutro di tutto ciò che egli concede agli altri. In tal modo so riconoscere chi ama veramente dal fatto che egli non può essere danneggiato...
Il vostro amore è basato sull'odio
poiché fate della donna o dell'uomo i vostri schiavi considerandoli dei beni di cui solo voi dovete godere e cominciate a odiare, come i cani quando girano attorno al truogolo, chiunque adocchia il vostro pasto. Voi chiamate amore questo pasto da egoista. Appena l'amore vi è concesso, di questo dono spontaneo, come nelle false amicizie, fate una servitù e una schiavitù, e dal momento in cui siete amati cominciate a scoprirvi danneggiati e a infliggere agli altri, per meglio asservirli, il triste spettacolo della vostra sofferenza. Voi soffrite veramente ed è proprio questa sofferenza che mi disgusta. Per quale motivo secondo voi dovrei ammirarla?
Certo anch'io quand'ero giovane ho camminato su e giù sulla mia terrazza per via di qualche schiava fuggita nella quale leggevo la mia guarigione. Avrei sollevato eserciti interi per riconquistarla. E per possederla avrei gettato ai suoi piedi intere province, ma Dio mi è testimone che non ho mai confuso il senso delle cose e che non ho mai definito amore, anche se metteva in gioco la mia vita, questa ricerca della preda.
L'amicizia io la riconosco dal fatto che non può essere delusa e riconosco l'amore vero dal fatto che non può essere oltraggiato.
Se qualcuno viene a dirti: “Ripudia, quella donna perché ti disonora...”, ascoltalo con indulgenza, ma non mutare il tuo comportamento, poiché chi ha il potere di disonorarti?
E se qualcuno viene a dirti: “Ripudiala, tanto tutte le tue cure sono inutili...”, ascoltalo con indulgenza ma non mutare il tuo comportamento, poiché un giorno hai fatto la tua scelta. Se ti possono rubare ciò che ricevi, chi ha il potere di rubarti quello che offri?
E se qualcun altro viene a dirti: “Qui hai dei debiti. Qui non ne hai. Qui si riconoscono i tuoi meriti. Qui sono beffeggiati”, tappati le orecchie per non sentire simili calcoli.
A tutti costoro dovrai rispondere: “Amarmi significa anzitutto collaborare con me
A.de Saint-Exupéry, Cittadella , Borla, Torino, 1965,



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amicizia, saintexupery

sabato, 08 marzo 2008

La vita è nel dare

***


Che cosa ci occorre per nascere alla vita? Darci. Abbiamo sentito confusamente che l'uomo non può comunicare con l'uomo se non attraverso una stessa immagine.
Io ti chiedo di vivere non di quello che ricevi, ma di quel­lo che dai, poiché questo ti accresce. Noi scopriamo, con sorpre­sa, che ci sono condizioni misteriose che ci fertilizzano. Legati agli altri da un fine comune che sta al di fuori di noi, soltanto allora respiriamo. Noi, figli dell'era della comodità proviamo un inspiegabile piacere a condividere i nostri ultimi viveri nel deserto. A quelli tra noi che hanno conosciuto la grande gioia dei soccorsi nel Sahara, ogni altro piacere è parso futile.
In un mondo divenuto deserto, avevamo sete di ritrovare dei compagni.
L'amore vero inizia là dove non attendi nulla in cambio. Non confondere l'amore col delirio del possesso, che causa le sofferenze più atroci. Poiché, contrariamente a quanto si pensa, l'amore non fa soffrire. Quello che fa soffrire è l'istinto della proprietà, che è il contrario dell'amore. Perché se amo Dio me ne vado a piedi sulla strada, zoppicando, per portarlo agli altri uomini. Non riduco il mio Dio in schiavitù. Mi nutro di tutto ciò che egli concede agli altri.
Io sono responsabile di tutti gli altri, di tutti gli uomini.
Antoine De Saint-Exupéry da: Slogans dell’anima, Edizioni Paoline, 1986).                       a M.

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saintexupery

domenica, 03 febbraio 2008

L’amicizia
***

 Il Piccolo Principe
XXI
In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."
"Chi sei?" domando' il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomestica".
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire ?"
"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?"
"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.
"Che cosa vuol dire ?"
"Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso! Allevano anche delle galline. E' il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"
"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "?"
"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".
"Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'e' un fiore... credo che mi abbia addomesticato..."
"E' possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra..."
"Oh! non e' sulla Terra", disse il piccolo principe.
La volpe sembro' perplessa:
"Su un altro pianeta?"
"Si".
"Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
"No".
"Questo mi interessa. E delle galline?"
"No".
"Non c'e' niente di perfetto", sospiro' la volpe. Ma la volpe ritorno' alla sua idea:
"La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.
"Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".
"Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno piu' tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia' fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu' amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
"Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."
Il piccolo principe ritorno' l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.
"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero' ad essere felice. Col passare dell'ora aumentera' la mia felicita'. Quando saranno le quattro, incomincero' ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro' il prezzo della felicita'! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro' mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'e' un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi e' un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".
Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangero'".
"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse:
"Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto".
Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
E ritorno' dalla volpe.
"Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi".
"L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripete' il piccolo principe per ricordarselo.
da: http://digilander.libero.it/Gretablu/il_piccolo_principe/pp21.html


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amicizia, saintexupery

sabato, 15 dicembre 2007


Amare significa guardare nella stessa direzione
***
Legati ai nostri fratelli da un fine comune e situato fuori di noi, solo allora respiriamo, e l’esperienza ci mostra che amare non significa affatto guardarci l’un l’altro ma guardare insieme nella stessa direzione. Non si è compagni che essendo uniti nella stessa cordata, verso la stessa vetta in cui ci si ritrova.
A. de Saint-Exupéry Terra degli uomini  
                                                                                                           a P.

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saintexupery

lunedì, 22 ottobre 2007

La nostalgia dell’infinito
                     ***
Se vuoi costruire una nave non chiamare la gente che procura il legno, che prepara gli attrezzi necessari, non distribuire compiti, non organizzare il lavoro.
Prima invece sveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato.
Appena si sarà svegliata in loro questa sete, gli uomini si metteranno subito al lavoro per costruire la nave
.
 Antoine de Saint-Exupéry


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bellezza, saintexupery, senso religioso

martedì, 17 luglio 2007

L’Amicizia
***


In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.

"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.

"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."

"Chi sei?" domando' il piccolo principe, "sei molto carino..."

"Sono una volpe", disse la volpe.

"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."

"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomestica".

"Ah! scusa", fece il piccolo principe.

Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:

"Che cosa vuol dire ?"

"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?"

"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.

"Che cosa vuol dire ?"

"Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso! Allevano anche delle galline. E' il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"

"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "?"

"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".
"Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'e' un fiore... credo che mi abbia addomesticato..."
"E' possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra..."

"Oh! non e' sulla Terra", disse il piccolo principe.

La volpe sembrò perplessa:

"Su un altro pianeta?"

"Si".
"Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
"No".

"Questo mi interessa. E delle galline?"

"No".

"Non c'e' niente di perfetto", sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò alla sua idea:

"La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..."

La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe:

"Per favore... addomesticami", disse.

"Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".

"Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno piu' tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia' fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu' amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
"Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."

Il piccolo principe ritorno' l'indomani.

"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.

"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero' ad essere felice. Col passare dell'ora aumentera' la mia felicita'. Quando saranno le quattro, incomincero' ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro' il prezzo della felicita'! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro' mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'e' un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi e' un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".
Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:

"Ah!" disse la volpe, "... piangero'".

"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse:
"Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto".
Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose.

"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
E ritorno' dalla volpe.

"Addio", disse. "Addio", disse la volpe. "
Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi".
"L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripete' il piccolo principe per ricordarselo.
Antoine de Saint-Exupéry  Il Piccolo Principe -
 

Postato da: giacabi a 15:50 | link | commenti
amicizia, saintexupery

martedì, 01 agosto 2006

Questo brano tratto da “ Un senso alla vita” di  A. de Saint Exupery fa capire bene  come l’ideologia sta riducendo l’uomo.
 
….Così siamo finalmente liberi? Ci hanno tagliato le braccia e le gambe, e poi ci hanno lasciato liberi di camminare. Ma io odio questa epoca in cui l’uomo, sotto un totalitarismo universale, diviene bestiame mansueto,educato e tranquillo. Ci fanno prendere questo per un progresso morale!
Quello che odio nel marxismo è il totalitarismo cui esso porta. L’uomo, vi è definito come produttore e come consumatore, il problema essenziale è quello della distribuzione. È ciò che avviene nelle fattorie moderne.
Quello che odio del nazismo è il totalitarismo cui esso aspira per la a sua stessa essenza. Si fanno sfilare gli operai della Ruhr davanti a un Van Gogh, a un Cezanne e  a una cartolina illustrata. Essi votano naturalmente per la cartolina. Ecco la verità del popolo! Si rinchiudono in un campo di concentramento i candidati Cezanne, i candidati Van  Gogh,  tutti i grandi anticonformisti, e si nutre di cartoline un bestiame sottomesso.
Ma dove vanno a finire gli Stati Uniti, e noi pure dove andiamo, in quest’epoca di burocrazia universale? L’uomo robot, l’uomo termite, l’uomo che oscilla dal lavoro a catena sistema Bedaux al tressette, l’uomo castrato di ogni suo potere creatore, che non sa più nemmeno,in fondo al suo villaggio, comporre una danza ne una canzone. L’uomo che viene nutrito di cultura confezionata , di cultura standard come si nutrono i buoi di fieno. Ecco che cosa ‘ l’uomo d’oggi. ….Escher - Bond of Union, 1956

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