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mercoledì 22 febbraio 2012

sambrogio


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Sull'essenziale unità, sull'opinabile libertà.
(S.Ambrogio)

Postato da: giacabi a 17:54 | link | commenti
sambrogio

martedì, 16 agosto 2011

L'espressione casta meretrix
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"L'espressione casta meretrix - osserva […] Giacomo Biffi, al quale dobbiamo finalmente l'esegesi esatta del testo di sant'Ambrogio - lungi dall'alludere a qualche cosa di peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare - non solo nell'aggettivo ma anche nel sostantivo - la santità della Chiesa; santità che consiste tanto nell'adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo (casta) quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti a salvezza (meretrix)".
Della meretrice la Chiesa imita, quindi, non il peccato, ma la disponibilità, solo che è una "casta" disponibilità, cioè una larghezza di grazia.
Ma riportiamo per intero l'audace testo ambrosiano, tutto costruito secondo l'esegesi allegorica: "Rahab nel tipo (ossia nel simbolo e nella profezia) era prostituta, ma nel mistero (in quello che significava) è la Chiesa, vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda: meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per l'attrattiva dell'affetto ma senza la sconcezza del peccato; vedova sterile, perché non è suo uso partorire quando il marito è assente; vergine feconda, perché ha partorito questa moltitudine, vendendo i frutti del suo amore e senza esperienza di libidine" (Expositio evangelii secundum Lucam, III, 23).
da Inos Biffi, La casta donna di tutti. Chiesa santa e uomini peccatori, L'Osservatore Romano, 18/6/2010

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chiesa, sambrogio

sabato, 10 aprile 2010

Preghiera di S. Ambrogio
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      «Quaere», inquit, «servum tuum, quoniam mandata tua non sum oblitus».
      «Cerca il tuo servo», dice [il salmo], «poiché non ho dimenticato i tuoi comandamenti».
    
     
Veni ergo, Domine Iesu, quaere servum tuum, quaere lassam ovem tuam, veni, pastor, quaere sicut oves Ioseph.
      Vieni, dunque, Signore Gesù, cerca il tuo servo, cerca la tua pecora sfinita, vieni, pastore, cerca Giuseppe come un gregge.
    
      Erravit ovis tua, dum tu moraris, dum tu versaris in montibus.
      È andata errando la tua pecora, mentre Tu indugiavi, mentre Tu ti trattenevi sui monti.
    
      Dimitte nonaginta novem oves tuas et veni unam ovem quaerere quae erravit.
      Lascia le tue novantanove pecore e vieni a cercare quell’una che è andata errando.
Veni sine canibus, veni sine malis operariis, veni sine mercennario, qui per ianuam introire non noverit.
      Vieni Tu senza i cani, vieni Tu senza cattivi operai, vieni Tu senza il mercenario che non sa entrare attraverso la porta.
    
      Veni sine adiutore, sine nuntio, iam dudum te exspecto venturum; scio enim venturum, «quoniam mandata tua non sum oblitus».
      Vieni Tu senza aiutante, Tu senza intermediari, già da molto tempo aspetto che Tu venga; so infatti che stai per venire, «poiché non ho dimenticato i tuoi comandamenti».
    
     
Veni non cum virga, sed cum caritate spirituque mansuetudinis.
      Vieni non con il bastone, ma con carità e spirito di clemenza.
Noli dubitare relinquere in montibus nonaginta novem oves tuas, quia in montibus constitutas lupi rapaces incursare non possunt.
      Non esitare a lasciare sui monti le tue novantanove pecore, perché finché stanno sui monti i lupi feroci non le possono assalire.
    
     
In paradiso semel nocuit serpens; amisit ibi escam, postquam Adam inde depulsus est; illic iam nocere non poterit.
      Nel paradiso una sola volta il serpente ha potuto nuocere; ma nel farlo ha perso l’esca, dopo che Adamo è stato da lì cacciato; e lì non potrà più nuocere.
    
     
Ad me veni, quem luporum gravium vexat incursus.
     
Vieni a me, che sono afflitto dall’assalto dei lupi feroci.
    
      Ad me veni, quem eiectum de paradiso serpentis diu ulceris venena pertemptant, qui erravi a gregibus tuis illis superioribus.
      Vieni a me, che, cacciato dal paradiso, sono da tempo messo alla prova dai veleni nella piaga provocata dal serpente, io che mi sono allontanato dal tuo gregge che sta sui monti.
    
    
  Nam et me ibidem conlocaveras, sed ab ovilibus tuis lupus nocturnus avertit.
      Infatti Tu avevi messo là anche me, ma il lupo venuto di notte mi ha strappato dai tuoi ovili.
    
      Quaere me, quia te requiro, quaere me, inveni me, suscipe me, porta me.
      Cerca me, perché io ho bisogno di Te, cercami, trovami, prendimi in braccio, portami.
    
      Potes invenire quem tu requiris, dignaris suscipere quem inveneris, inponere umeris quem susceperis.
      Tu puoi trovare chi ricerchi, ti degni di prendere in braccio chi hai trovato, di caricarti sulle spalle chi hai preso in braccio.
    
     
Non est tibi pium onus fastidio, non tibi oneri est vectura iustitiae.
      Non ti è di fastidio un peso di amore, non ti è di peso un trasporto di giustizia.
    
     
Veni ergo, Domine, quia, etsi erravi, tam «mandata tua non sum oblitus», spem medicinae reservo.
      Vieni dunque, Signore, perché, anche se ho errato, tuttavia «non ho dimenticato i tuoi comandamenti», conservo la speranza di essere sanato.
    
     
Veni, Domine, quia et erraticam solus es revocare qui possis et quos reliqueris non maestificabis; et ipsi enim peccatoris reditu gratulabuntur.
      Vieni, Signore, perché Tu sei il solo che puoi far tornare indietro la pecora smarrita senza render tristi quelli che avrai lasciato; anch’essi infatti si rallegreranno del ritorno del peccatore.
     

      Veni, ut facies salutem in terris, in coelo gaudium.
      Vieni, per operare in terra la salvezza, in cielo la gioia.
    
      Veni ergo, et quaere ovem tuam non per servulos, non per mercennarios, sed per temetipsum. Suscipe me in carne quae in Adam lapsa est.
      Vieni, dunque, e cerca la tua pecora non per tramite dei servitori, non per tramite dei mercenari, ma Tu di persona! Prendimi nella carne che ha peccato in Adamo.
    
     
Suscipe me non ex Sarra, sed ex Maria, ut incorrupta sit virgo, sed virgo per gratiam ab omni integra labe peccati.
      Prendimi non da Sara, ma da Maria, vergine inviolata, vergine preservata per grazia da ogni macchia di peccato.
    
     
Porta me in cruce quae salutaris errantibus est, in qua sola est requies fatigatis, in qua sola vivent quicumque moriuntur.
      Portami sulle tue spalle nella croce, che è salvezza per gli erranti, nella quale sola è il riposo per chi è stanco, nella quale sola trova vita chi muore.
    
 
     Dicit ergo et anima, dicit et Ecclesia: «Erravi sicut ovis quae perierat»; sed dicit: «Quaesivi quem dilexit anima mea».
      È l’anima dunque ed è la Chiesa che dice: «Sono andata errando come una pecora che si era perduta», ma dice anche: «Ho cercato Colui che l’anima mia ha amato».
    
      Hoc est dicere: «Vivifica servum tuum, quoniam mandata tua non sum oblitus».
      Questo è dire: «Dona la vita al tuo servo, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti».
    
     
Ego te quaesivi, sed invenire non possum, nisi tu volueris inveniri.
      Io ti ho cercato, ma non sono capace di trovarti, se Tu non vuoi farti trovare.
    
      Et tu quidem vis inveniri, sed vis diu quaeri, vis diligentius indagari.
      E Tu vuoi farti trovare, ma vuoi farti desiderare a lungo, vuoi farti cercare con un desiderio che cresce.
    
      Novit hoc Ecclesia tua, quia non vis ut te dormiens quaerat, non vis ut iacens te investiget.

      Questo la tua Chiesa lo sa, perché Tu non vuoi che ti cerchi da addormentata, non vuoi che segua le tue orme stando a letto.
    
     
Denique pulsas ad ianuam, ut excites dormientem, exploras, si cor vigilat et caro dormit.
      E così Tu bussi alla sua porta, per svegliare chi sta dormendo; Tu scruti se desto sia il cuore e dorma la carne.
    
      Vis iacentem levare dicens: Surge qui dormis et exsurge a mortuis.
      Tu vuoi che chi sta a letto si alzi, quando dici: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti».

Postato da: giacabi a 12:40 | link | commenti
preghiere, sambrogio

venerdì, 26 febbraio 2010

 
 
Il primato di Pietro
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È stato detto e scritto che almeno fino al VI secolo nella Chiesa nessuno riconosceva alcun potere primaziale, giurisdizionale e spirituale al Papa. Scorrendo i testi degli antichi autori ecclesiastici scopriamo che non è vero.
Clemente romano
Terzo successore di Pietro, governò la Chiesa fra il 92 e il 101, conobbe Paolo ed è citato in Fil 4,3. È pure detto martire, ma anche questo è incerto. È l'autore di una lettera indirizzata ai Corinti nel 95..
Clemente Romano, in nome della Chiesa di Roma, spedì una lettera alla comunità di Corinto intorno al 95 d.C., quindi circa sessant'anni dopo la morte di Gesù, venticinque dopo quella di Pietro: in ogni caso una lettera più antica, o tutt'al più contemporanea, della stessa Apocalisse di Giovanni! In questa lettera il suo autore era consapevole di essere responsabile dell'intera Chiesa, ed esortava con autorità i renitenti ad ascoltare i presbiteri e a fare penitenza (c. 57). Pur riconoscendo che la lettera non contiene un esplicito insegnamento sul primato, è lecito domandarsi: perché mai il vescovo della città di Roma si sentì in dovere di scrivere ai Corinti, nella certezza di essere ascoltato? Perché mai ai sediziosi Corinti scrisse il vescovo di Roma e non il più prossimo patriarca di Antiochia o di Gerusalemme? Come mai i Corinti conservarono gelosamente questa lettera, tanto che è giunta fino a noi, se non furono certi che con Clemente parlò Pietro, e con Pietro Cristo?
Ignazio di Antiochia, successore proprio di Pietro nella sede vescovile di Antiochia e condannato ad essere sbranato dalle belve sotto il regno di Traiano (98-117), innalzò, con la forma solenne del saluto a lei rivolto, la comunità di Roma al di sopra delle altre. In quel saluto egli annunciò due volte che essa ha la presidenza, termine questo che esprime rapporto di superiore ad inferiore (cfr. Magn. 61). Scrivendo ai Romani aggiunse:
« Non vi darà ordini come Pietro e Paolo » (Rom. 4,3)
e riferendosi alla lettera di Clemente più sopra citata, disse:
« Voi ammaestrate gli altri » (Rom. 3,1).
Ireneo di Lione (130-202) definì la chiesa di Roma come « la più grande, la più antica e la più conosciuta di tutte le Chiese », attribuendole esplicitamente la preminenza su tutte le altre. Se si vuol conoscere la vera fede, disse, è sufficiente individuare la dottrina di questa sola Chiesa com'è stata tramandata dalla successione dei suoi vescovi:
« Ma poiché sarebbe troppo lungo in un volume come questo, enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo la chiesa più grande, più antica e nota a tutti, fondata e stabilita in Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; mostreremo che la tradizione che essa ha ricevuto dagli apostoli e l'insegnamento che ha annunciato agli uomini sono pervenuti fino a noi attraverso la successione dei vescovi. E ciò sarà a confusione di tutti coloro che, in qualsiasi maniera, sia per compiacenza verso se stessi, sia per vana gloria, sia per accecamento o per falso giudizio, costituiscono dei raggruppamenti illegittimi. Poiché è con questa chiesa a causa appunto dell'alta sua preminenza (propter potentiorem principalitatem) che deve stare d'accordo ogni Chiesa, vale a dire tutti i fedeli che sono nell'universo, poiché in essa è stata conservata sempre la tradizione apostolica dai fedeli che sono ovunque. » (Adv. haer. III,3,2)
È decisivo che a questo punto Ireneo enumeri tutti i vescovi romani che si sono succeduti dopo Pietro e fino ai suoi giorni, quindi fino ad Eleuterio (175-189), e concluda con queste parole:
« In questo ordine e attraverso questa successione sono pervenute fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli, e la predicazione della verità. »
Di fatto basterebbe già questa citazione per confutare la tesi di cui parlavamo sopra, ma non si tratta della presa di posizione di un unico vescovo, bensì della fede di tutta una chiesa in questo stesso periodo.
Fra il 154 e il 165 venne a Roma Policarpo di Smirne per trattare con Papa Aniceto (154-167) sulla data di Pasqua (Eusebio di Cesarea, H. E., IV, 14, 1). Il vescovo Policrate di Efeso trattò per la stessa questione con il Papa Vittore I (189-199), che minacciò di scomunicare le comunità dell'Asia Minore perché si attenevano alla pratica quartodecimana (ivi V,24,1-9). Egisippo giunse a Roma sotto papa Aniceto per conoscere la vera tradizione della fede (ivi, IV, 22,3). Da notare che queste ultime tre citazioni sono tratte da Eusebio di Cesarea, simpatizzante del movimento ariano, che non aveva alcun interesse a queste sottolineature, se non fosse che in questo periodo era pacifico il ruolo del Pontefice romano.
Tertulliano è da molti citano come antiromano, ma essi dimenticano che divenne tale nel vivo della polemica montanista (De pud. 21); subito dopo la conversione, invece, era un deciso sostenitore del primato:
« Se stai in Italia, tu hai Roma da cui anche a noi (in Africa) viene l'autorità » (De praescr. 36)
Cipriano di Cartagine, martire nel 258, che come il suo precedente collega è indicato come nemico di Roma, arrivò a riconoscere la Chiesa romana come « madre e radice della Chiesa cattolica » (Ep. 48,3), « locus Petri » (Ep. 55,8), « cathedra Petri » ed « ecclesia principalis, unde unitas sacerdotalis exorta est » (Ep. 59,14).
La verità è che nella controversia sul battesimo agli eretici entrò in pesante polemica con Roma, ed in particolare con papa Stefano I (254-257): qui trovano sistemazione le sue affermazioni antiromane. Papa Stefano I, nella detta controversia, affermò, secondo la testimonianza del vescovo Firmiliano di Cesarea, di « possedere la successione di Pietro sul quale poggiano le fondamenta della Chiesa » (in Cipriano – sic! – Ep.75,17)
Sant'Ambrogio (337-397) disse poi:
« Dov'è Pietro, ivi è la Chiesa » (Enarr. in Ps. 40,30)
San Girolamo (che morì novantenne nel 419) scrisse a papa Damaso:
« Io so che la Chiesa è fondata su questa roccia », cioè Pietro (Ep. 15,2)
Sant'Agostino asserì della Chiesa romana che in essa:
« semper apostolicae cathedrae viguit principatus » (Ep. 43,3,7)
In altri frangenti ritenne decisivo l'intervento del papa Innocenzo I nella controversia pelagiana:
« Su questo argomento furono già inviati gli atti di due concili alla Sede Apostolica, di cui abbiamo già pure ricevuto i responsi. La causa e finita (causa finita est). Possa così aver fine l'errore » (Sermo 131, I, 10)
Papa Leone I (440-461) volle che nella sua persona fosse scorto e venerato colui « nel quale continua la cura di tutti i pastori con la protezione delle pecore che gli sono affidate » (Sermo 3,4), e in altro luogo:
« Come sussiste per sempre ciò che Pietro ha creduto in Cristo, così sussiste per sempre quello che Cristo ha istituito in Pietro » (Sermo 3,2)
Il legato pontificio Filippo davanti al Concilio di Efeso (449) fece una chiara dichiarazione circa il primato del papa:
« Questi, Pietro, vive ed opera fino ad oggi e per sempre nei suoi successori » (D. 112, 1824)
I Padri del Concilio di Calcedonia (451) risposero al "Tomus Leonis" con l'acclamazione:
« Pietro ha parlato per bocca di Leone! »
Pietro Crisologo, arcivescovo di Ravenna prima del 431, in una lettera ad Eutiche disse del vescovo di Roma:
« Il beato Pietro, che continua a vivere e continua a presiedere sulla sua cattedra episcopale, offre, a chi la cerca, la vera fede » (in Leone, Ep. 25,2).
Il primato dottrinale del papa emerse sin dall'antichità nella lotta e nella condanna di dottrine eretiche. Vittore I (189-199) e Zefirino (199-217) condannarono il montanismo. Callisto I (217-222) scomunicò Sabellio. Cornelio (251-253) condannò il novazianismo. Stefano I (254-257) respinse la ripetizione del battesimo agli eretici. Dionisio (259-268) scrisse contro le idee subordinazioniste del vescovo Dionigi di Alessandria. Innocenzo I (401-417) combatté il pelagianesimo. Celestino I (422-432), il nestorianesimo. Leone I (440-461), il monofisismo. Agatone (678-681), il monotelismo.
È evidente che in questo studio ci siamo soffermati solo sugli autori precedenti il VI secolo, per dimostrare che già dal periodo apostolico la Chiesa ha sempre visto in Pietro e nei suoi successori i vicari di Gesù Cristo. Ciò non toglie che anche dopo il VI secolo esistano prove di questa certezza della Chiesa. I dubbi al contrario sono molto recenti, appartengono all'età della Riforma, e non poteva essere altrimenti. Le affermazioni dei Padri e la Scrittura, cioè la Parola di Dio e non degli uomini, confortano invece la nostra fede nel primato petrino.
 

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chiesa, agostino, sambrogio

lunedì, 14 dicembre 2009

Volle essere bambino ***



Volle essere bambino,
perché tu potessi diventare uomo perfetto;
egli fu costretto in  fasce,
 perché tu fossi sciolto dai lacci della morte;
egli fu nella stalla,
 per porre te sugli altari;
 egli fu in terra,
 affinché tu raggiungessi le stelle
S. Ambrogio


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natale, gesù, sambrogio

giovedì, 15 ottobre 2009

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Sull'essenziale unità, sull'opinabile libertà.
S.Ambrogio

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sambrogio

mercoledì, 22 ottobre 2008

Quando Gesù guarda, si piange
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 «Bonae lacrimae quae lavant culpam. / Come sono buone [care al cuore] le lacrime che lavano i peccati. / Denique quos Iesus respicit plorant. / Pertanto, quelli che Gesù guarda, si mettono a piangere [quando Gesù guarda un povero peccatore, questo si mette a piangere]. Pietro ha negato una prima volta e non ha pianto perché il Signore non lo aveva guardato. Pietro ha negato una seconda volta e non ha pianto perché il Signore ancora non lo aveva guardato. Pietro ha negato la terza volta: / respexit Iesus et ille amarissime flevit / Gesù lo ha guardato e lui ha pianto amaramente». Il pianto non viene dal peccato. «Chi commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34). Il peccato ci conduce al vizio, non al pianto. «Se il Figlio vi fa liberi sarete liberi davvero» (Gv 8, 36). Quando Gesù guarda, si piange. E si piange nella memoria di Lui. «Il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò» (Lc 22, 61). Si piange non per l’umiliazione, si piange perché si è così voluti bene. Si piange per gratitudine, perché siamo guardati così. Perché, poveri peccatori, siamo così voluti bene. «Respice, Domine Iesu, / Guardaci, Signore Gesù, / ut sciamus nostrum deflere peccatum. / perché impariamo a piangere i nostri peccati. / Unde etiam lapsus sanctorum utilis. / Per questo anche il peccato dei santi è utile. Non mi ha recato nessun danno che Pietro Lo abbia tradito, mi ha giovato il fatto che [Gesù] lo abbia perdonato»
commento di sant’Ambrogio al Vangelo di Luca

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sambrogio

domenica, 05 ottobre 2008

Educazione
Il consiglio di Ambrogio
 ***
 
"L'educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l'affetto necessario.
Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri.
Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.
Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani di slancio, anche quando sembrerà che si dimentichino di voi; non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non siate voi la zavorra che impedisce di volare.
Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente.
Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete per loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l'arte, la forza anche di sorridere.
E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato, e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.
I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perchè ti mette dentro la fiducia di Dio e di vivere bene."
Sant'Ambrogio, Vescovo di Milano - IV sec. dopo Cristo Tratto da:"Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano" (Centro Ambrosiano, 1996)

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educazione, sambrogio

sabato, 24 maggio 2008

Il coraggio di andare oltre
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Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro
 per vedere il Signore se mai passi.
 Ahimè non sono un rampicante e anche restando
 in punta di piedi, non l’ho mai visto”.
E.Montale diario del 71
                                  ***
Nessuno vede Gesù senza uno po’ di fatica
nessuno riesce a vedere Gesu se resta
attaccato alla terra”.
S. Ambrogio In LucamVIII,81

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montale, sambrogio, senso religioso

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