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mercoledì 22 febbraio 2012

scienza - articoli2


Il Mistero
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Count Kessler un giorno gli disse: «Professore sento dire che lei è profondamente religioso», con calma e con grande dignità Einstein gli rispose: «Sì, Lei può dirlo. Cerchi e penetri con i limiti della nostra mente i segreti della natura e scoprirà che, dietro tutte le discernibili concatenazioni, rimane sempre qualcosa di sottile, di intangibile e inesplicabile. La venerazione per questa forza, al di là di ognialtra cosa che noi possiamo comprendere, è la mia religione. A questo titolo io sono religioso»
(Brian, 1996, p. 161
 «Attraverso la conoscenza [loscienziato] consegue un'emancipazione di vasta portata dai ceppi delle speranze e dei desideri personali, e con ciò perviene a quell'atteggiamento di umiltà mentale verso la grandezza della ragione incarnata nell'esistenza e che, nei suoi più abissali recessi, è inaccessibile all'uomo.
Consideravo tale atteggiamento, tuttavia, religioso nel senso più alto del termine. E così ho
l'impressione che la scienza non solo purifichi l'impulso religioso dalle scorie del suo antropomorfismo, ma contribuisca altresì ad una spiritualizzazione religiosa della nostra  comprensione della vita»
 Einstein( Pensieri, idee, opinioni , pp. 31-32).

«chiunque è seriamente impegnato nella ricerca scientifica si convince che vi è uno spirito che si manifesta nelle leggi dell'Universo. Uno spirito molto superiore a quello dell'uomo, uno spirito di fronte al quale con le nostre modeste possibilità, noi possiamo solo provare un senso di umiltà. In questo modo la ricerca scientifica conduce a un sentimento religioso di tipo speciale che è davvero assai differente dalla religiosità di qualcuno piuttosto ingenuo»
Albert Einstein
 (H. Dukas and B. Hoffmann, Albert Einstein: the Humane side, Princeton 1989, p.
32).




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giovedì, 29 maggio 2008








Anche la scienza riposa sulla fede

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« Anche la scienza riposa sulla fede, non meno della religione. Non crede necessariamente in Dio ma sa che l’Universo è regolato da leggi valide e affidabili. Senza questa convinzione, la scienza non potrebbe agire né esistere. Queste leggi costituiscono un ordine naturale che viene osservato e verificato da millenni » ( e garantisce la « fedeltà e la lealtà di Dio » )., Paul.Davies Fisico e scrittore di successo




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venerdì, 23 maggio 2008


Il senso religioso
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" Considero la scienza una parte essenziale del nostro sforzo di rispondere a quel grande problema filosofico che comprende tutti gli altri [...] : chi siamo noi? E di più; considero questo non soltanto uno degli scopi, ma lo scopo della scienza, quello solo che conta “
Erwin Schrödinger  premio nobel per la fisica 1933

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Gli stimoli della scienza
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" Vi sono cinque stimoli che possono incitare l'uomo alla scienza:
Vi sono uomini che vogliono sapere per il solo gusto di sapere: è bassa curiosità.
Altri cercano di conoscere per essere conosciuti: è pura vanità.
Altri vogliono possedere la scienza per poterla rivendere e guadagnare denaro ed onori: il loro movente è meschino.
Ma alcuni desiderano conoscere per edificare: e questo è carità;
 altri per essere edificati: e questo è saggezza"
San Bernardo

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sabato, 03 maggio 2008

Il caso Galileo
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Trascrizione testo:
"Bisogna dire grazie ai docenti della facoltà di fisica dell’Università La Sapienza di Roma per aver tirato in ballo il geniale scienziato nonché cattolico fervente Galileo Galilei, nella loro veemente epistola anti-ratzingeriana. E sì, perché un po’ di anni fa un sondaggio europeo rivelò che il 30% degli studenti di scienze credeva che Galilei fosse stato arso vivo, il 97% che avesse subito torture e praticamente tutti che alla fine della sentenza di condanna ecclesiastica avesse detto la fatidica e fiera frase: «Eppur si muove». Tre falsità sesquipedali, che dunque i signori docenti pagati col denaro pubblico potranno contribuire a smontare, diradando così l’ignoranza crassa e la malafede ideologica che circonda il caso Galileo. I signori docenti – e qui siamo al paradosso – contestano al papa la citazione di un filosofo della scienza anarchico, Paul Feyerabend, che l’allora cardinal Ratzinger fece, in modo assolutamente neutro, all’interno di una sua conferenza. Suonava così: «La chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta». Un giudizio, quello del radicale Feyerabend, che suona provocatorio perchè contrario alla mentalità conformista odierna. Se giudicato con i parametri filosofico-scientifici di oggi, ibfatti, il caso Galileo non appare più così scandaloso. Lo scienziato pisano non riuscì a portare prove valide contro la tesi geocentrica, anzi ne portò di errate. Le prove vere arrivarono solo decenni più tardi. E se solo avesse seguito il consiglio di San Roberto Bellarmino – un Popper ante litteram – di parlare per ipotesi e non per tesi dimostrate, l’imbrogliato caso Galileo non ci sarebbe mai stato".

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sabato, 26 aprile 2008

La fede va oltre la scienza

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«La scienza non ha cambiato la mia fede nella religione e la religione non ha mai contrastato le conclusioni ottenute con metodi scientifici».

Georges Lemaître -  Padre della teoria del Big Bang



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venerdì, 25 aprile 2008

La fede va oltre la scienza

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« Laddove si giunge ad un punto dove la scienza si deve fermare è la Fede che prosegue e completa il cammino dell'uomo.».
 (James C. Maxwell - fisico)


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venerdì, 28 marzo 2008

La fede metodo di conoscenza
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Una intuizione del mondo non è mai dimostrabile scientificamente; ma è altrettanto certo che essa resiste incrollabile ad ogni tempesta purché rimanga in accordo con sé stessa e coi dati dell'esperienza. Non ci si venga a dire che anche nella più esatta di tutte le scienze si possa procedere senza una intuizione del mondo, ossia senza ipotesi indimostrabili. Anche in fisica non si è beati senza la fede, per lo meno senza la fede in una realtà fuori di noi. È questa
fede sicura quella che indica la via all'impulso creatore che ci sospinge, quella che offre gli appigli necessari alla fantasia che va tastando il terreno, quella che sola può ravvisare lo spirito stanco per gli insuccessi e spronarlo a nuovi balzi in avanti. Uno scienziato che nei suoi lavori non si lasci guidare da un'ipotesi, prudente e provvisoria quanto si vuole, rinuncia a priori all'intima comprensione dei suoi stessi risultati. Chi rigetta la fede nella realtà degli atomi e degli elettroni, o nella natura elettromagnetica della luce, o nell'identità fra calore dei corpi e movimento, riuscirà certamente a non farsi mai cogliere in contraddizioni logiche od empiriche. Ma resta a vedersi come riuscirà, partendo dal suo punto di vista, a far progredire la conoscenza scientifica.
D'accordo: la fede non ci riesce da sola e, come la storia di ogni scienza insegna, può anche condurre in errore e degenerare in ristrettezza mentale ed in fanatismo. Perché la fede sia sempre una guida fidata bisogna continuamente controllarla in base alle leggi del pensiero ed all'esperienza, e a tale scopo nulla vale come il lavoro coscienzioso, faticoso e pieno di abnegazione del singolo ricercatore. Anche un re della scienza, se il caso si presenta, devesapere e voler fare il facchino, in laboratorio o in archivio, all'aria libera o a tavolino. È proprio in queste dure lotte che l'intuizione del mondo matura e si affina. Solo chi ha provato di personache cosa sia questo processo, saprà apprezzarne appieno il significato. La fede è la forza che dà  efficacia al materiale scientifico radunato, ma si può andare ancora un passo avanti, ed affermare che anche nel raccogliere il materiale la preveggente e presenziante fede in nessi più profondi può rendere buoni servigi. Essa indica la via ed acuisce i sensi.
Max Plank  "La conoscenza del mondo fisico" ed. Boringhieri



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mercoledì, 12 marzo 2008

La scienza porta al Mistero

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" Nelle mie scoperte scientifiche ho appreso più col concorso della divina grazia che con i telescopi ".
Galileo Galilei (1564 - 1642)


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mercoledì, 27 febbraio 2008

Attualità di S. Alberto Magno
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Autore: Gargantini, Mario  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Per una storia della scienza attraverso le figure più significative. Testi tratti da "Uomo di scienza. Uomo di fede" di Mario Gargantini
Un'ingiustizia Storica
Quando percorrono lo straordinario secolo XIII, gli storici della filosofia e della teologia commettono inesorabilmente una clamoro­sa ingiustizia: sovrastati dalla figura di Tommaso d'Aquino, essi ten­dono a sorvolare sul fondamentale contributo e sull'apporto origi­nale del santo tedesco.
È un'ingiustizia in qualche modo «inevitabile», come dice Etienne Gilson, dal
momento che «molto materiale che egli aveva scoper­to e raccolto si ritrova, disposto in ordine e concatenato, nella mira­bile sintesi che san Tommaso ha saputo farne. Senza la formidabile e feconda fatica del suo maestro, quel lucido ordinatore di idee che fu il discepolo avrebbe dovuto, a sua volta, consacrare la maggior parte dei suoi sforzi a cercarlo».
Quando poi si considera la storiografia di stampo neo-illuminista, si possono rinvenire ingiustizie ancora maggiori, arrivando all'assurdo di vedere citati Lutero, Calvino e Cartesio come liberatori del pen­siero occidentale e Alberto Magno come il capofila degli oscurantisti medievali.
È un «controsenso radicale - per dirla ancora con Gilson - che vizia i tradizionali apprezzamenti fatti sul Medioevo. Non ci si ac­corge che, se oggi esiste una filosofia come tale, lo si deve al paziente lavoro dei pensatori medievali».
A completare la stranezza di questa «dimenticanza», sta il con­trasto con la grandissima autorità e fama godute da Alberto in vita; significativamente echeggiate nella citazione del decimo canto del Pa­radiso dantesco e restate impresse nell'appellativo col quale è cono­sciuto: «Albertus Magnus».

Patrono degli scienziati

In questo secolo, la sensibilità di alcuni pontefici ha in parte com­pensato la distrazione degli storici.
Nel
1931 Pio XI lo ha nominato Dottore della Chiesa e lo ha pro­clamato Santo, paragonando la sua autorità filosofica e teologica a quella di san Tommaso.
Dieci anni più tardi, in un periodo in cui emergevano gli effetti devastanti di una scienza e una tecnica applicate in modo non con­forme alla dignità della persona,
Pio XII ha costituito Alberto Ma­gno «celeste patrono dei cultori delle scienze naturali».
Infine, nel settimo centenario della morte, il
15 novembre 1980, nella sua Colonia, Giovanni Paolo II ne ha additato solennemente l'esempio in una memorabile celebrazione davanti a scienziati e stu­denti di tutta Europa.

La sua attualità

Nelle motivazioni addotte dai tre pontefici, si può trovare anche la vera e profonda ragione della sua attualità.
In un momento di grande fervore religioso e culturale, Alberto ha avvertito l'importanza della cultura scientifica; per primo si è accor­to del potente contributo che la scienza e la filosofia greco-arabe po­tevano offrire all'edificio della teologia cristiana in via di costruzio­ne. Pur in un differente contesto storico, l'analogia con l'oggi è cal­zante e molto avrebbero da imparare, sia i teologi che gli scienziati, dall'atteggiamento di questo santo domenicano.
Alberto infatti non si è limitato a «importare» le conoscenze scien­tifiche nell'ambito della filosofia cristiana, né tanto meno si è lascia­to prendere da complessi di inferiorità nei confronti di un patrimo­nio culturale indubbiamente ricco e più avanzato, in quei campi, di quanto finora era stato elaborato dai Padri della Chiesa. Il suo è sta­to un esempio di spirito critico e libero, forte di quella libertà che gli veniva da una solida esperienza di fede e che è indispensabile so­prattutto per il cristiano impegnato sul fronte culturale.
Libero al punto da dichiarare: «Quando essi sono in disaccordo, bisogna credere ad Agostino piuttosto che ai filosofi in ciò che concerne la fede e i costumi. Ma, se si trattasse di medicina, io prenderei piuttosto o Ippocrate o Galeno; e se si trattasse di fisica, io credo ad Aristotele perché egli conosceva la natura nel modo migliore». Critico, però, e consapevole che l'acquisizione delle conoscenze scientifiche precedenti da parte della cristianità non doveva passare attraverso il filtro della mentalità araba. Se si deve a lui la prima grande valorizzazione dell'aristotelismo, preludio al pensiero tomistico, è an­che suo merito l'aver «preparato il distacco del pensiero aristotelico dal ritocco arabo e specialmente averroistico» spianando così la strada al più illustre discepolo
Tommaso.

Motivi di interesse del suo approccio

Quel che maggiormente può toccare l'interesse di noi moderni di fronte alla figura di Alberto Magno, sono alcuni tratti distintivi del suo approccio all'esperienza culturale, vissuta in continuità con l'e­sperienza di fede.

Dal punto di vista generale

Può risultare molto istruttivo per i cristiani di oggi, chiamati a con­frontarsi con una cultura sempre più vasta e specializzata, l'atteggia­mento di Alberto che si è preoccupato di conoscere e assimilare bene l'enorme bagaglio delle conoscenze antiche prima di emettere giudizi e valutazioni. Il suo è stato un grande lavoro di raccolta e documen­tazione, animato dal desiderio di non perdere quanto poteva rivelar­si utile all'edificazione della civiltà cristiana.
Il materiale da lui raccolto, come si è già detto, ha fornito il sup­porto indispensabile all'opera di san Tommaso; ma la sua documen­tazione è andata oltre a quanto si ritrova nella «Summa» tomistica e, sempre secondo Gilson, «se è vero che il tomismo era una delle sue possibili continuazioni, l'albertinismo ne aveva delle altre e an­che maggiormente fedeli alla sua prima ispirazione».
Peraltro tutti concordano nel giudicare Alberto non un compila­tore come tanti della sua epoca; e neppure un semplice « commenta­tore». Gli va piuttosto riconosciuta la qualifica di autore, cioè di
uno capace di sviluppare una linea di pensiero personale e originale.
La grande novità epistemologica di Alberto può ben essere indi­cata nel termine realismo, che lo porta a confrontare continuamente ciò che legge con la propria esperienza diretta, fino al punto di fargli più volte contestare esplicitamente l’«ipse dixit»: «...dice così, ma io ho visto...».
Infine va notato il carattere unitario e integrale della sua vicenda di pensatore e di credente, che non gli ha fatto mai smarrire il senso delle proporzioni e della intrinseca parzialità di ogni singolo sapere. La sua fama di sapiente, che gli aveva guadagnato il titolo di «Doctor universalis», non aveva mai messo in ombra la sua personalità di santo, con una intensa vita interiore e una ricchezza di meditazio­ni sull'Eucaristia e sul culto mariano uniche nel suo secolo.
Significativo in proposito è quanto egli stesso scrive nel Prologo alla «Summa Theologica»: «Nelle scienze, specialmente sacre, si ot­tiene di più con la pietà e la preghiera che con lo studio».

In campo scientifico
Sul versante strettamente scientifico i motivi di interesse di Alberto sono molteplici.
Qualcuno lo ha definito «empirista critico», anche se il riferimento all'empirismo può suonare riduttivo.
In effetti Alberto ha riscoperto e rilanciato il ruolo decisivo del­l'osservazione nelle scienze naturali.
Sostenuto forse anche da un'innata curiosità e da uno spirito «esploratore», egli non ha mai smesso di osservare e annotare quan­to gli capitava sotto gli occhi nei suoi frequenti spostamenti. E, anti­cipando esigenze tipiche della nostra epoca informatica, ha colto l'im­portanza di una puntuale e corretta descrizione e «documentazione». Le sue descrizioni, soprattutto in biologia, sono state un riferimento autorevole per parecchi secoli.
Accanto all'osservazione, emerge in Alberto una prima bozza del­l'idea di «esperimento», cioè di procedimento teso a comprovare nei fatti l'adeguatezza di ipotesi teoriche.
È ancora presto per parlare di metodo sperimentale ed è fuori luogo cercare in lui la paternità di una forma di conoscenza che, pur con una lunga gestazione, vedrà piena luce solo nel secolo di Galileo. Era però una radice preziosa che, unitamente a quelle piantate in Inghil­terra da Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone, avrebbero potuto fiorire ben diversamente
. Secondo lo Stadler: «...se lo sviluppo delle scienze naturali avesse proseguito la strada intrapresa da Alberto, avrebbe evitato un giro di trecent'anni».
Viceversa si può anche affermare che se la cosiddetta rivoluzione scientifica secentesca si fosse compiuta all'interno di un clima cultu­rale e religioso come quello medievale, avremmo forse risparmiato le degenerazioni scientiste e riduzioniste degli ultimi tre secoli e ma­gari anche alcune tragiche conseguenze pratiche delle scoperte scien­tifiche moderne.
C'è ancora un aspetto interessante da rimarcare nell'approccio scientifico albertino, tanto più d'attualità in un momento in cui sta tornando di moda la cosmologia.
Tanto Alberto era preciso e deciso nelle descrizioni naturalistiche, così era prudente di fronte alle grandi sintesi cosmologiche. Poco pro­penso a scommettere sull'origine del mondo per la parola altrui e, d'altra parte, consapevole che la fisica si applica alla realtà sensibile una volta che ne sia constatata l'esistenza: le scienze della natura pre­suppongono la cosmogonia e hanno ben poco da offrire in risposta alle grandi domande sull'origine e il destino dell'universo.

Lo statuto di una intellettualità cristiana
Grande è stato il contributo di Alberto Magno alla cultura e alla stessa cristianità del Duecento: sintetizzabile nella riscoperta della ra­zionalità, nella valorizzazione delle scienze naturali, nella distinzio­ne tra la filosofia e la teologia.
Ancora maggiore può essere il suo apporto per la definizione di quello che Giovanni Paolo II, nella commemorazione di Colonia, ha indicato come «lo statuto di una intellettualità cristiana». Che non vede nel libero lavoro investigativo della ragione scientifica soltanto pericoli e minacce; che è consapevole di dover cogliere la verità al­l'interno di un complesso «intreccio di conoscenze aperte e comple­mentari ». Convinto che la fede presuppone e conferma «i diritti propri della ragione naturale».

Postato da: giacabi a 19:17 | link | commenti
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mercoledì, 16 gennaio 2008

Il "caso Galileo"

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Autore: Gargantini, Mario  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele

Per una storia della scienza attraverso le figure più significative. Testi tratti da "Uomo di scienza. Uomo di fede" di Mario Gargantini
«È importante che i teatri tengano presente che, qualora la rappresentazione di questo dramma venga diretta principalmente contro la Chiesa cattolica, esso è destinato a perdere gran parte della sua efficacia... La Chiesa non ha il diritto di vedere occultate le debolezze umane dei suoi membri; ma il dramma non intende neppure gridare alla Chiesa: "giù le mani dalla scienza!"». Così scriveva niente meno che Berthold Brecht, in occasione della rappresentazione teatrale del suo «Vita di Galileo» nell'estate del 1947 in California. Sono affermazioni sistematicamente dimenticate in tutti i dibattiti che accompagnano ogni rinnovata versione del celebre dramma.
Soprattutto sono dimenticate nelle discussioni che puntualmente si innescano nelle aule scolastiche quando, in Storia, Filosofia, Scienze o Letteratura, ci si imbatte nell'«affare Galileo».
È opportuno perciò puntualizzare alcuni criteri utili per leggere adeguatamente questa vicenda.

L'opera di Galileo
Bisogna anzitutto comprendere il contenuto essenziale dell'opera di Galileo, riassumibile in tre risultati scientifici:
• la prima descrizione cinematica corretta del moto di caduta dei gravi e, conseguentemente, l'iniziale superamento della separazione aristotelica tra fisica terrestre e celeste (che sarà completato nella sintesi newtoniana un secolo dopo);
il primo impiego «scientifico» del telescopio che, a dispetto di quanto molti libri di testo continuano a ripetere, non è stata una sua invenzione: il merito di Galileo è stato quello di averlo utilizzato per tentare di controllare alcune ipotesi scientifiche sull'universo; il gesto veramente rivoluzionario è stato quello di puntare verso i cieli «l'occhiale» degli olandesi, di cui era venuto a conoscenza grazie ai mercanti veneziani;
la prima formulazione del principio di relatività dei moti, che resterà il punto di partenza, tre secoli più tardi, della imponente costruzione teorica rappresentata dalla relatività einsteiniana.
Tuttavia l'importanza scientifica del grande pisano sta altrove; prima e più che nei risultati conseguiti, è dal metodo che si dovrà valutare il suo decisivo apporto allo sviluppo della cultura occidentale moderna. Con Galileo si stabilisce una modalità nuova di fare scienza che, nelle sue linee portanti, continuerà fino ai giorni nostri.
Una modalità che è molto di più di una tecnica o di una serie di abilità conoscitive e pratiche: è un modo nuovo di porsi di fronte alla natura, un diverso approccio alla realtà, reso possibile dalle diverse domande di partenza affrontate da Galileo. E ciò non è comprensibile senza un riferimento al contesto storico e culturale: Galileo è un uomo del suo tempo, un tempo travagliato, in cui si andava affermando una nuova immagine di uomo e di cosmo, in cui si ponevano ovunque nuove domande, nuovi interrogativi, in cui nascevano nuove aspettative nei confronti del sapere.


Al di là dei miti

Si può ben capire, quindi, come siano riduttivi e mal impostati i dibattiti che riconducono tutta la questione al solo processo e ai rapporti tra Galileo e la Chiesa; anche perché la cultura contemporanea non è ancora riuscita a liberarsi da una serie di miti e deformazioni storiche che inquinano pesantemente l'opinione corrente e non mancano neppure nelle opere di studiosi e divulgatori.
Elenchiamone alcuni.
1. L'apporto di Galileo è stato decisivo per il sorgere della scienza moderna, ma non è stata una partenza da zero. La concezione aristotelica del moto si stava già sgretolando sotto i colpi di alcuni studiosi medioevali (Giordano Nemorario, Filopono, Buridano, Benedetti...); e anche circa il metodo c'era stato l'importante contributo della scuola di Oxford (Grossatesta e R. Bacone) dove si faceva già fisica sperimentale.
2. Galileo non ha codificato il metodo scientifico, non l'ha ridotto a un elenco di regole, ben consapevole che la conoscenza scientifica è un'avventura a più dimensioni, carica di tutta la drammaticità e l'imponderabilità di ogni altra impresa umana. Come pure l'attenzione galileiana per l'aspetto sperimentale non va confusa con quell'atteggiamento empiristico, diffusosi specie nei paesi anglosassoni nei secoli successivi.
3. Più difficile da rimuovere è il mito della subordinazione della scienza alla tecnica; anche perché in Italia ha ricevuto l'imprimatur di Ludovico Geymonat.
L'esempio del cannocchiale è emblematico. Per Geymonat la scienza moderna non si sarebbe evoluta senza le nuove tecniche osservative; viceversa bisogna dire che il cannocchiale non sarebbe entrato nella storia del sapere se Galileo non avesse «osato» puntarlo verso il cielo: un gesto non necessitato dall'esistenza dello strumento bensì dalla pressione di idee e teorie da verificare.
4. Il metodo scientifico non rende immuni da errori. Lo stesso Galileo aveva poggiato la sua difesa di Copernico su un modello teorico delle maree, rivelatosi completamente sbagliato (e il Dialogo dei massimi sistemi era nato proprio come Dialogo sulle maree).
5. In campo astronomico Galileo non ha potuto applicare il suo metodo così bene come in meccanica; diversamente da quanto riportato in non molti affrettati giudizi, nelle sue opere non c'è la dimostra-zione dell'ipotesi copernicana. E non poteva esserci in quanto Galileo:
— non ha saputo cogliere l'aspetto dinamico del problema
— non ha considerato le leggi di Keplero;
non ha ammesso che il moto circolare non poteva essere inerziale;
— non ha distinto tra massa e peso.
Il suo è stato un ottimo lavoro di osservazione e di raccolta di prove non tanto pro-Copernico quanto contro il modello tolemaico; basterà citare: le macchie solari, le fasi di Venere, i satelliti di Giove, gli
anelli di Saturno. Da notare che, secondo recenti riletture del Dialogo, Galileo non avrebbe mai dichiarato di aver «dimostrato» il modello copernicano: se la dichiarazione non c'è mai stata, cade allora ,la tesi che l'abiura sia stata uno spergiuro...
6. È da rivedere anche l'immagine della situazione di allora come dominata da due schieramenti contrapposti: Galileo e i progressisti da un lato, la Chiesa e i conservatori dall'altro. Le nuove idee scientifiche erano stimate da molti ecclesiastici e dallo stesso Papa Urbano VIII. Le ricerche di W. Wallace hanno rimesso in luce il debito di Galileo verso i gesuiti del Collegio romano, solitamente visti come i suoi più accaniti oppositori. E il verdetto del processo non è stato all'unanimità: mancavano 3 firme su 10, compresa quella del card. Barberini, nipote del Papa.
7. Infine non è affatto vero che la condanna di Galileo abbia frenato la scienza. Le ricerche sono continuate ininterrotte secondo l'impostazione del nuovo metodo sperimentale e, in campo astronomico, il modello eliocentrico si è gradatamente affermato (anche se si dovrà attendere un secolo per inquadrarlo in una coerente teoria, la gravitazione newtoniana, e ancor di più per avere delle «prove» risolutive).
Bisogna inoltre guardarsi dall'interpretare i fatti col filtro dell'attuale società dell'informazione: all'epoca il caso Galileo non fu affatto un «caso». Il processo ebbe scarsa risonanza, anche negli ambienti culturali, e all'interno dell'Inquisizione stessa la sua collocazione era nella terza classe, cioè tra quelli non particolarmente importanti. Il suo innalzamento a caso emblematico è di molto posteriore: è l'ingombrante eredità del secolo dei lumi e del positivismo ottocentesco, abituati a vedere la Chiesa come rivale e ostacolo al progresso della scienza e dell'umana razionalità; un'abitudine «irrazionale» in quanto contraria alle evidenze della storia.

Il processo

Ancora una volta è necessario cercare di esaminare i fatti tenendo debito conto del contesto.
Siamo nei primi decenni del 1600: di fronte alla Chiesa, impegnata nell'opera di Riforma partita col Concilio di Trento, c'era una gravissima situazione dell'Europa, scossa dalla guerra dei 30 anni; nello stesso tempo si assisteva a un prorompente sviluppo delle arti, della filosofia e delle scienze.
Iniziava a diffondersi, forse senza che i protagonisti ne avessero completa consapevolezza, una diversa modalità di rapporto tra i fedeli e l'autorità: l'obbedienza diventava limite e vincolo all'esprimersi dell'autonomia dell'individuo e non più aiuto per una crescita pienamente umana.
Il caso Galileo si colloca nelle pieghe di questo dramma: di un'incapacità, da entrambe le parti, a condurre quel sereno e fecondo dialogo, rispettoso delle reciproche competenze e funzioni, che resta l'unica via per comporre qualunque dissidio.
Più di uno storico concorda nel giudizio che senza le intemperanze nel comportamento dello scienziato, le cose forse avrebbero seguito un altro corso. La procedura seguita per ottenere l' «imprimatur», l'affrettata stampa a Firenze senza che il censore padre Riccardi potesse rileggere il testo, e l'atteggiamento nei confronti dell'ex-amico Urbano VIII, costituiscono una serie di errori evitabili e che nulla hanno a che vedere con la verità scientifica. I
II più autorevole traduttore inglese di Galileo, lo storico Stillman Drake, giudica il Dialogo «ironico fino al cinismo e cinico fino all'ipocrisia» e si meraviglia di «come il libro potesse aver ottenuto una. licenza di stampa anche da parte del più disattento teologo cattolico del tempo».
Al di là dei problemi di temperamento, tutto il rapporto tra Galileo e le autorità romane può essere letto come manifestazione di quella pretesa autosufficienza e assolutezza del sapere scientifico, presente soltanto in germe nel suo pensiero, ma destinata a imporsi in seguito. Una pretesa riassorbita nel gesto finale di sottomissione, difficile da giudicare, ma probabilmente meno forzato o dettato da semplice paura di quanto spesso lo si presenti. Peraltro, durante il dibattimento e dopo, Galileo fu sempre trattato con la massima cortesia: non fu mai rinchiuso in carcere né subì torture. Se la tortura fu minacciata, era per ottemperare a una formula rituale, tipica di quei processi e, in ogni caso, gli fu rivolta alla fine del procedimento, quando egli aveva già accettato l'abiura.
Dal canto suo anche la Chiesa ha molto da obiettare circa l'operato di molti suoi esponenti di quel tempo, tanto da giustificare le parole di Giovanni Paolo II: «Galileo [...] ebbe molto a soffrire — non possiamo nasconderlo — da parte di uomini e organismi di Chiesa», e l'invito affinché «si approfondisca l'esame del caso Galileo, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano».


«Ex suppositione...»
In realtà la Chiesa stava iniziando a considerare in modo più aperto ;e conquiste del sapere scientifico. La messa all'indice, nel 1616, del libro di Copernico va strettamente connesso all'«ardore polemico con cui Galileo si segnalò nei cenacoli colti della Roma patrizia ed ecclesiastica». Il Concilio di Trento invece non aveva condannato l'eliocentrismo, anzi c'era stato un invito a esaminare le teorie copernicane, considerandole come «ipotesi» interessanti.
Molti epistemologi non esitano a definire «moderna» la posizione del card. Bellarmino che avrebbe chiesto a Galileo di trattare il modello copernicano «ex suppositione e non assolutamente»: una posizione che richiama il carattere circoscritto e rivedibile del sapere scientifico, oggi riconosciuto da tutti.
Prevalsero però le faziosità di alcuni e «l'istruttoria processuale fu sintetizzata in alcune pagine tanto piene di errori e di inesattezze da attenuare la colpa di Urbano VIII e dei cardinali del sant'Uffizio se essi si servirono di quell'infelice riassunto per decidere la sorte dell'imputato».
Gli studi riaperti qualche anno fa, dopo lo storico discorso del Papa, in occasione del 350es'mo del processo, hanno contribuito a inquadrare meglio l'intera vicenda nel suo tempo e in riferimento all'oggi, e non si può certo condividere l'opinione di chi consigliava la Chiesa a «mettere una grossa pietra sul passato [...] lasciando questi capitoli infausti consegnati alla storia»."



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chiesa, scienza - articoli

martedì, 15 gennaio 2008

Ma a processare Galileo è stato un anarchico ateo
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Postato il Martedì, 15 gennaio @ 09:36:08 CET di Peppone

PER ATTACCARE IL PAPA
I BARONI ROSSI RINNEGANO MARX
Pur di scagliarsi contro di lui, i critici del Pontefice gli rinfacciano le frasi dei loro maestri comunisti...
di ANTONIO SOCCI


Un gruppo di professori dell'Università di Roma, in nome della "tolleranza", vuole che il Papa non parli nell'ateneo romano (l'intervento era stato richiesto dalle autorità accademiche). Strana idea di tolleranza. Il Pontefice sarebbe una figura che non ha niente a che fare con l'università? A parte il fatto che a fondare l'università romana è stato proprio il papa. Praticamente è casa sua. Si legge infatti nello stesso sito internet dell'ateneo: «L'atto di nascita della Università di Roma reca la data del 20 aprile 1303; in questo giorno venne infatti promulgata da Papa Bonifacio VIII Caetani la Bolla In Supremae praeminentia Dignitatis, con la quale veniva proclamata la fondazione in Roma dello "Studium Urbis"». Cosa ovvia, essendo la Chiesa all'origine di gran parte delle nostre istituzioni culturali. A parte poi il fatto che Joseph Ratzinger è appunto un docente universitario, anzi un luminare, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo, ed è casomai lui che fa onore all'Università di Roma intervenendo, e non l'Università che fa un favore al Papa. A parte il fatto, infine, che i laici ogni tre secondi citano Voltaire («non condivido ciò che dici, ma mi batterò fino alla fine perché tu possa dirlo») e poi lo contraddicono nella pratica. Ma l'aspetto più paradossale è un altro. Perché quello che viene imputato al Papa è di aver citato - in un discorso tenuto quando era cardinale - un intellettuale laico-agnostico, un antidogmatico, un libertario, uno che insegnava a Berkeley dove cominciò la contestazione e che - da anarchico - applaudì alla rivolta, insomma uno dei loro, il celebre epistemologo Paul Feyerabend. Ecco la sua frase citata dall'allora cardinale Ratzinger: «All'epoca di Galileo, la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina di Galilei. Il suo processo contro Galilei era razionale e giusto, mentre la sua attuale revisione si può giustificare solo con motivi di opportunità politica».
IL PARADOSSO

In effetti la vicenda Galilei fu molto più complessa di quanto racconti la storia a fumetti che vede un Sant'Uffizio tenebroso che opprime l'illuminato scienziato. E il cardinale Bellarmino, peraltro grande uomo di cultura, aveva le sue ragioni. Questo intendeva dire il filosofo Feyerabend. La sua provocazione sul processo non era condivisa da Ratzinger che, oltretutto, fu colui che volle la revisione del "caso Galileo" con Giovanni Paolo II. Quindi è l'ultimo a poter essere oggi accusato per questo. Ma - da studioso - ricostruendo il complesso dibattito moderno su quel caso, per far capire la complessità dei problemi e la pluralità delle posizioni, Ratzinger citò anche la celebre pagina di Feyerabend. Quindi Ratzinger viene oggi "scomunicato" in base non al proprio pensiero, ma al pensiero di un altro. Che oltretutto è uno "scettico", uno della loro stessa area culturale laica (ma lui è coerente e rifiuta tutti i dogmi, anche i loro). «Sono parole», scrivono i professori romani, «che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano». Ma - chiediamo,
illustri professori - vi rendete conto che queste "parole" da voi citate e "scomunicate" appartengono non al Papa, ma ad un vostro illustre collega epistemologo che ha insegnato nei maggiori atenei? E come potete attribuire all'uno le parole dell'altro? No, i professori non sentono ragioni. E sentenziano: «In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato». Quindi, «in nome del rispetto di ogni credo» chiedono che non sia fatto parlare Benedetto XVI. Tutti, ma non lui. Se non fossero fatti preoccupanti, ci sarebbe da ridere. Perché in quel discorso tenuto a Parma il 15 marzo 1990, evocato e "scomunicato" dai professori, il cardinale Ratzinger insieme a Feyerabend citava - su una linea analoga - anche un altro filosofo, il "marxista romantico" Ernst Bloch su cui sarebbe interessante sentire il parere dei professori della Sapienza. Secondo Bloch sia il geocentrismo sia l'eliocentrismo si fondano su presupposti indimostrabili perché la relatività di Einstein ha spazzato via l'idea di uno spazio vuoto e tranquillo: «Pertanto» ha scritto Bloch «con l'abolizione di uno spazio vuoto e tranquillo, non accade nessun movimento verso di esso, ma solo un movimento relativo dei corpi l'uno in relazione agli altri e la loro stabilità dipende dalla scelta dei corpi presi come punti fissi di riferimento: dunque, al di là della complessità dei calcoli che ne deriverebbero, non appare affatto improponibile accettare, come si faceva nel passato, che la Terra sia stabile e che sia il Sole a muoversi». Il filosofo marxista non tornava certo all'universo tolemaico, né alle conoscenze scientifiche del tempo di Bellarmino e di Copernico, per i quali si potevano fare solo delle ipotesi. Bloch parlava in nome delle più avanzate scoperte scientifiche del XX secolo, esprimeva così - spiegava Ratzinger - «una concezione moderna delle scienze naturali». Infatti un'altra mente eccelsa del Novecento, grande nome del pensiero ebraico, una combattente contro il totalitarismo, Hannah Arendt, nel libro "Vita activa", scrive la stessa cosa: «Se gli scienziati precisano oggi che possiamo sostenere con egual validità sia che la Terra gira attorno al Sole, sia che il Sole gira attorno alla Terra, che entrambe le affermazioni corrispondono a fenomeni osservati, e che la differenza sta solo nella scelta del punto di riferimento, ciò non significa tornare alla posizione del cardinale Bellarmino e di Copernico, quando gli astronomi si muovevano tra semplici ipotesi. Significa piuttosto che abbiamo spostato il punto di Archimede in un punto più lontano dell'universo dove né la Terra né il Sole sono centri di un sistema universale. Significa che non ci sentiamo più legati nemmeno al Sole, scegliendo il nostro punto di riferimento ovunque convenga per uno scopo specifico».

IL SECOLO NICHILISTA

Secondo la Arendt «per le effettive conquiste della scienza moderna il passaggio dal sistema eliocentrico a un sistema senza un centro fisso è tanto importante quanto fu, in passato, quello da una visione geocentrica del mondo a una eliocentrica». Ratzinger - uno dei grandi intellettuali del mondo moderno - lo ha capito molto bene e segnala, come la Arendt, la necessità di riflettere sulle conseguenze sociali di questo nuovo scenario e sull'uso che, in questa situazione, si fa della scienza. Invece il mondo accademico italiano, più provinciale e ideologizzato, sembra ancora fermo al Seicento. Penso che il professor Ratzinger si riconoscerebbe in quest'altro pensiero della Arendt: «I primi 50 anni del nostro secolo hanno assistito a scoperte più importanti di tutte quelle della storia conosciuta. Tuttavia lo stesso fenomeno è criticato con egual diritto per l'aggravarsi non meno evidente della disperazione umana o per il nichilismo tipicamente moderno che si è diffuso in strati sempre più vasti della popolazione; l'aspetto più significativo di queste condizioni spirituali è di non risparmiare nemmeno più gli scienziati». Ma vi pare che l'università italiana possa volare a queste altezze? Domina l'intolleranza, non c'è spazio per l'avventura della conoscenza e per l'inquietudine delle domande. C'è spazio solo per le piccole lotte di potere attorno al rettorato di cui ha parlato Asor Rosa al Corriere. Buonanotte Illuminismo.
www.antoniosocci.it

LIBERO 15 gennaio 2008


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Il Sant’Ufficio ha sbagliato nel condannare.

Galileo ha sbagliato nel far passare una teoria per certezza senza avere le prove

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“Se ci fosse una prova reale che il sole è al centro dell'universo, che la terra è nel terzo cielo, e che il sole non va intorno alla terra, ma che è la terra che va intorno al sole, allora dovremmo procedere con grande circospezione nello spiegare alcuni passi della Bibbia che sembrano insegnare il contrario, e dovremmo piuttosto ammettere che non li avevamo capiti, che dichiarare falsa un'opinione che è dimostrata vera. Ma quanto a me, non crederò che tali prove vi siano, fino a quando non mi saranno state mostrate.”

Roberto Bellarmino

 

da: T.Woods  Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale     Cantagalli

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venerdì, 04 gennaio 2008

Galileo e la Chiesa oscurantista!!J
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Benché aspramente attaccato dai protestanti, che lo giudicarono incompatibile con la Sacra Scrittura, fino al caso Galileo il sistema copernicano non fu soggetto ad alcuna censura da parte cattolica. In aggiunta alla sua opera di fisica, Galileo Galilei (1564-1642) con il suo, telescopio fece importanti osservazioni astronomiche, che contribuirono a minare alcuni aspetti del sistema tolemaico. Galileo vide montagne sulla luna,con ciò spezzando l’antica certezza che i corpi celesti fossero sfere perfette, e scoprì quattro lune orbitanti attorno a Giove, con ciò dimostrando non solo la presenza di fenomeni celesti dei quali Tolomeo e gli antichi nel loro insieme erano stati inconsapevoli, ma anche che un pianeta che si muova nella propria orbita non può  lasciare indietro i suoi pianeti più piccoli. (Uno degli argomenti contro il moto della terra era stato quello che la luna, se la terra si fosse mossa, sarebbe stata lasciata indietro). La scoperta, poi, delle fasi di Venere fu un'altra prova a favore del sistema copernicano.
All'inizio Galileo e la sua opera furono ben accolti e celebrati dagli uomini di Chiesa più eminenti. Verso la fine del 1610 padre Cristoforo Clavio scrisse a Galileo per informarlo che i suoi colleghi astronomi, gesuiti, avevano confermato le scoperte da lui fatte con il telescopio. Quando, l'anno dopo, si recò a Roma, Galileo fu salutato con entusiasmo dalle figure religiose tanto quanto da quelle secolari. In quell'occasione Galileo scrisse a un amico: «Sono stato ricevuto e accolto con favore da molti illustri cardinali, prelati e principi di questa città». Galileo ebbe il piacere di una lunga udienza con il Papa, Paolo V, mentre i gesuiti del Collegio Romano celebrarono le sue scoperte con una giornata di attività. Galileo ne fu entusiasta: davanti un pubblico di cardinali, studiosi e intellettuali secolari di spicco, studenti di padre Cristoforo Grienberger e padre Clavio parlarono delle grandi scoperte dell'astronomo toscano.
Si trattava di studiosi di distinzione considerevole. Padre Grienberger, che verificò personalmente la scoperta delle lune di Giove fatta da Galileo, fu un astronomo eminente: inventò il telescopio con montatura "equatoriale", che ruotava su un asse parallelo a quello della terra, e contribuì allo sviluppo del telescopio rifrangente in uso oggi. Padre Clavio, uno dei grandi matematici del suo tempo, aveva presieduto la commissione che produsse il calendario gregoriano ( entrato in vigore nel 1582), grazie al quale furono risolte le imprecisioni che avevano piagato il vecchio calendario giuliano. I calcoli fatti la padre Clavio per stabilire la lunghezza dell'anno solare e il numero lei giorni necessari a tenere il calendario in linea con l'anno solare - novantasette giorni intercalari ogni quattrocento anni -furono così precisi che gli studiosi, ancora oggi, non sanno capacitarsi di come vi sia giunto.
Tutto sembrava essere propizio a Galileo. Quando nel 1612 pubblicò le lettere sulle macchie solari, in cui per la prima volta in una pubblicazione sposava il sistema copernicano, una delle molte lettere di congratulazioni gli giunse nientemeno che dal cardinale Maffeo Barberini, il futuro Papa Urbano VIII
La Chiesa non aveva alcuna obiezione a che fosse usato il sistema copernicano come elegante modello teorico la cui verità letterale fosse lungi dall'essere stabilita, ma che dava ragione di fenomeni celesti in un modo più affidabile di quanto facesse ogni altro sistema. Si pensava che non vi fosse alcun male nel presentarlo e usarlo come sistema ipotetico. Galileo, invece, credeva che il sistema copernicano fosse vero letteralmente -che non fosse, cioè, una mera ipotesi che permettesse predizioni accurate -, ma mancava di un qualsiasi elemento che potesse anche solo sembrare una prova adeguata a supporto della propria certezza. Così, per esempio, sosteneva che il moto delle maree costituiva una prova del moto della terra, un'idea che gli scienziati oggi trovano curiosa e risibile. Inoltre, non sapeva rispondere all'obiezione dei geocentristi, risalente ad Aristotele, che, se la terra si movesse, allora gli spostamenti della parallasse dovrebbero essere evidenti nelle nostre osservazioni delle stelle, cosa che non si verificava. In assenza di una ferma prova scientifica, Galileo nondimeno insisteva sulla verità letterale del sistema copernicano e rifiutava di accettare un compromesso in base al quale poter insegnare il copernicanesimo come ipotesi, in attesa che venisse prodotta a suo sostegno una prova persuasiva. Quando poi osò suggerire che i passi della Sacra Scrittura che sembravano, contraddire la sua teoria necessitavano di una reinterpretazione, si pensò che avesse usurpato l'autorità dei teologi.
T.Woods  Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale     Cantagalli

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sabato, 22 dicembre 2007

La carità trasforma il mondo

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Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo.”

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La scienza non risponde alla “Domanda” dell’uomo

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nella miseria della nostra vita…questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso e del non senso dell’esistenza umana nel suo complesso.
Husserl

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venerdì, 14 dicembre 2007

Brague: «Ai valori preferisco i beni»
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da:  http://www.avvenire.it/  13-12-2007
DA ROMA PAOLA SPRINGHETTI

«
Non è certo mestiere della scienza quello di salvare l’uomo».

Rémi Brague, professore di Filosofia araba alla Sorbona, si trova in perfetta sintonia con Papa Benedetto XVI, e della sua enciclica Spe Salvi.
Ieri sera era a Roma, per intervenire all’incontro su «Una certa idea di uomo. Lo spirito europeo e i tormenti della modernità», organizzato dall’Associazione Meeting per l’Amicizia tra i Popoli: un ragionamento di ampio respiro, con un approccio nuovo a molti problemi di cui oggi si discute.
«D’altronde – continua, – neanche le altre religioni hanno questo obiettivo: si preoccupano della sua riuscita, che nel buddhismo, per esempio, viene vista come liberazione, nell’islam come completa obbedienza a Dio. Solo il cristianesimo pone la problematica nella sua interezza.
È infatti una specificità del cristianesimo quella di evidenziare che l’uomo è ferito nella sua volontà: non è più capace di volere il bene né di darsi gli strumenti appropriati per raggiungerlo. Solo Dio può guarire questa volontà, affinché si arrivi alla salvezza. Ma Dio non può semplicemente sanare questa ferita della volontà dell’uomo: deve mettere in atto una riparazione che parta dall’interno, cioè deve far sì che l’uomo voglia di nuovo il suo bene. Alla salvezza dell’uomo la scienza non può apportare nulla: può descrivere sempre meglio la realtà, può apportare sempre più efficacia ed efficienza, può mettere in atto dispositivi e tecniche che sfocino nelle realizzazioni che vogliamo. Ma non ci può insegnare a desiderare il nostro bene, e di conseguenza a raggiungerlo».

Nella cultura moderna, però, a volte l’uomo sembra sospeso tra due fedi: quella in Dio, che atterrebbe alla sfera privata, e quella nella scienza, che invece si occupa del bene di tutti.

«La fede nella scienza è una metafora: in realtà essa non chiede che le si creda, perché è una verità obiettiva. Il termine 'fede', invece, cambia completamente significato quando lo riferiamo a Dio: in questo caso è una virtù teologale, ed è un atto di volontà attraverso il quale esprimiamo il nostro assenso nei confronti di una verità che la nostra ragione non riesce a comprendere appieno.
La credibilità della scienza oggi è legata all’applicazione delle tecniche che da essa provengono: abbiamo bisogno di guarire un paziente, abbiamo bisogno di potenza, ricchezza, felicità e la scienza ci permette tutto questo. La religione non 'funziona' a questo modo: ci invita a cambiare l’oggetto del nostro desiderio, a capire se quello che abbiamo è effettivamente quello che desideriamo o se abbiamo bisogno di altro. Ci propone una ricchezza fatta di altre cose, che non possono venire dalla scienza. Ci insegna cosa dobbiamo volere
».

Che cosa dobbiamo volere… sembra un’affermazione che nega la libertà. Benedetto XVI nella «Spe Salvi» scrive che il bene non è mai raggiunto definitivamente proprio perché l’uomo è libero, e la sua libertà è fragile.

«San Paolo nella lettera ai Galati (5,1) dice che Cristo ci ha liberato per la libertà: la libertà non è un mezzo per un’altra cosa, ma è un fine. È compimento dell’amore: niente è più libero di Dio, niente è più divino della libertà. Ciò che bisogna fare è liberare la libertà da tutti gli ostacoli che le impediscono di svilupparsi nella sua interezza. La libertà liberata troverà da sola il proprio compimento nell’incontro con il Signore».

Lei ha detto che bisognerebbe smettere di parlare di valori, e parlare invece di beni. Perché?

«Mi disturba il fatto di parlare di valori che si sta facendo da alcuni anni in ambito cattolico.
Ovviamente i contenuti di questi valori non li metto in discussione, ma noto una certa ingenuità nell’impiego di questo termine che è di moda, ma è stato usato anche, ad esempio, da Nietzsche, che non era propriamente un buon cattolico.Propongo allora una specie di esercizio: sostituire al termine 'valore' il termine 'beni', al plurale.
Il valore esiste nella misura in cui lo attribuiamo ad una determinata cosa, dunque è soggettivo.
Nietzsche, in Così parlò Zaratustra, analizza questo problema e dice che l’atto con cui diamo importanza alla cosa ha più importanza della cosa che acquista valore grazie all’atto. A questo i cattolici devono stare attenti. I beni invece sono oggettivi, concreti, rispondono a dei bisogni e sono condivisibili. Nel cristianesimo non c’è nulla che sia buono solo per i cristiani».

Però tra i cattolici si sta diffondendo la sensazione di essere minoranza, e quindi il bisogno di difendere i propri valori.

«L’impero romano era una specie di mercato delle opinioni: c’erano offerte filosofiche e religiose di ogni tipo a disposizione di chi le cercava. I cristiani erano una piccola minoranza: non c’è nessuna novità da questo punto di vista. Dobbiamo solo convincerci che il nostro è un ottimo 'prodotto', e in un mercato libero, noi saremmo ben collocati.
Solo il cristianesimo può rispondere a una domanda: ha senso la presenza degli uomini su questa terra?».

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giovedì, 13 dicembre 2007

La scienza
l' "oppio dei popoli"
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Nessuno ha più risposte che contano, perché nessuno pone più le domande giuste. Tanto meno la scienza, che in Occidente è stata asservita ai grandi interessi economici e messa sull'altare al posto della religione. Così lei stessa è diventata l' "oppio dei popoli", con quella sua falsa pretesa di saper prima o poi risolvere tutti i problemi. La scienza è arrivata a clonare la vita, ma non a dirci che cos'è la vita. La medicina è riuscita a rimandare la morte, ma non a dirci cosa succede dopo la morte. O sappiamo forse davvero che cosa permette ai nostri occhi di vedere e alla nostra mente di pensare?
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra



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Il mondo segno di Dio
***
 Giovani che frequentate l’Università,
studenti di fisica, di chimica o di qualunque
altra materia, non date retta a quei
delinquenti dello spirito, a quegli omicidi
dell’anima che distruggono nei vostri cuori
la realtà della fede e vengono a dirvi che la
scienza ha dimostrato che Dio non c’è.
Ma come ti vediamo, o Signore, palpitare
nella luce delle stelle noi che raccogliamo
nei nostri telescopi, nei nostri radioscopi, le
vibrazioni delle galassie lontane milioni e
miliardi di anni-luce e troviamo che le leggi
degli atomi, dei protoni, dei neutroni che
sono lassù risultano identiche alle leggi
degli atomi, dei protoni, dei neutroni di
questo microfono, che compongono queste
mie mani, che fanno di quel tappeto
un’opera d’arte o di questo arco un monumento. Noi che vediamo
tutto questo ne dobbiamo concludere:
se voi protoni, se voi neutroni
siete uguali, c’è un’unica Mano che uguali
 vi ha fatto perché gli uni
e gli altri non vi conoscete
 Enrico Medi, conferenza tenuta nella
chiesa di S. Domenico in Prato, 11 febbraio 1972.


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domenica, 02 dicembre 2007

Il sentimento religioso
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 :
«Non posso immaginare l'Universo e la vita umana senza un principio che dia loro
un senso, senza una fonte di "calore" spirituale che si trovi al di là della
materia e delle sue leggi. Credo che questo sentimento possa essere definito religioso».
Andrej Sacharov, fisico di fama mondiale,Premio Nobel 1975SugarCo, Milano 1990,


Memorie,

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La conoscenza porta a Dio
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 :
« È un dato indubitabile della ricerca
fisica che le pietre elementari dell'edificio del mondo non giacciono l'una accanto all'altra in gruppi isolati senza coesione, ma sono connesse tutte insieme secondo un piano unico, o, in altre parole, che in
tutti gli eventi della natura domina una legalità universale, da noi, almeno
fino ad un certo punto, conoscibile».

«Niente quindi ci impedisce, anzi la nostra natura intellettuale tendente ad una concezione unitaria del mondo lo esige, di identificare tra loro i due poteri operanti su tutto, eppure pieni di mistero, l'ordinamento del mondo della scienza e il Dio delle religioni».
M. PLANCK, Scienze Filosofia Religione, Ed. Fabbri, Milano 1973, p. 163. "
Ibidem, p. 167.


 

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venerdì, 30 novembre 2007

Scola: quella tecnoscienza che illude l’uomo
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         28-11-2007
 da :  http://edicola.avvenire.it/ee/avvenire/default.php?pSetup=avvenire


DA PADOVA FRANCESCO DAL MAS
 È proprio vero che la tecnoscien­za libera e rende felice l’uomo? Il patriarca di Venezia, Angelo Sco­la, ha qualche dubbio. E ieri sera han­no dimostrato di averlo anche quanti hanno affollato l’aula magna della più storica università italiana, quella di Pa­dova, per ascoltare il cardinale sul te­ma 'Il cuore e la grazia', che riassu­meva dieci anni di convegni sull’at­tualità di sant’Agostino organizzati dal­l’associazione Rosmini, dalla Pastora­le universitaria diocesana di Padova e da una decina di collegi ed istituti. Nel­l’occasione, don Giacomo Tantardini ha presentato il volume Il cuore e la grazia in sant’Agostino, e specifici con­tributi sono stati portati dal rettore Vin­cenzo Milanesi e dal procuratore Pie­tro Calogero.
  Dopo essersi soffermato sull’umiltà co­me la via maestra, passaggio obbliga­to del magistero di Sant’Agostino, e dopo aver ricordato la lectio agosti­niana – specie in De libero arbitrio – sulla volontà e la grazia, il patriarca ha sottolineato che proprio questo testo mette in campo due questioni fonda­mentali per il cosiddetto uomo post­moderno. La felicità e la libertà.
  «Così come le domande di verità e di giustizia sono state le più dibattute dal­l’uomo moderno (fino alla caduta dei muri, per intenderci), oggi le doman­de di felicità e di libertà sono diventa­te l’emblema principe del postmoder­no », ha sottolineato Scola. Le risolve la tecnoscienza? Evidentemente no, se­condo il patriarca. Anzi. «Non possia­mo negare che il dominio della tecno­scienza sulla nostra esistenza perso­nale e sociale è divenuto assai rilevan­te nelle democrazie avanzate, soprat­tutto dell’Occidente. La tecnoscienza – ha ribadito Scola – sembra sostituire nella mentalità corrente le religioni o le filosofie nel dirci che cosa è la vita nella sua origine, nel suo svolgimento e nel suo termine. A ben vedere, il fe­nomeno stesso della globalizzazione è strettamente dipen­dente dal fatto che l’Occidente sta im­ponendo a tutto il mondo una conce­zione della felicità come puro prodot­to progressivo della tecnoscienza». Tec­noscienza che sem­bra dare all’uomo il potere di esser feli­ce. «Non solo di vo­lere la felicità ma di poterla realizzare da se stesso, diretta­mente, senza in alcun modo riceverla come un dono». Si esprime così la pre­tesa di una libertà incondizionata. U­na libertà che ha in suo potere tutto: «Posso, perciò devo», questo è l’impe­rativo categorico della tecnoscienza. Il potere del sapere scientifico – come spiega Scola – si do­cumenta, da una parte, nel suo uni­versalismo teorico e pratico (in antitesi alla molteplicità e conflittualità delle religioni), dall’altra nell’enorme incre­mento di possibilità che la scienza, at­traverso la tecnica, mette a disposizio­ne del mondo. «Co­sì la tecnoscienza - non ha dubbi in proposito il patriarca - incentiva di fat­to la rinuncia della ragione a porre le domande sui fondamenti ('Ed io chi sono? Chi alla fine mi assicura, oltre la morte, col suo amore?'). E sospinge la libertà a impegnarsi quasi esclusiva­mente nelle realizzazioni affidate ad una tecnicità sempre più potente e perciò alla fine sempre più autogiusti­ficantesi. Si intravede qui una forma post-moderna di utopia non priva di pesanti conseguenze a livello sociale. Infatti tutto ciò che non rientra nel­l’ottica di questa sorta di 'universali­smo scientifico' viene tutt’al più rele­gato in una specie di riserva indiana, che non può aspirare ad assumere ri­levanza pubblica universale».
  È una mentalità crescente, alla quale non basta, tuttavia, contrapporre il la­mento e la ricerca del colpevole. Ma la fede intesa come risposta umana­mente compiuta, cioè laddove «gli uo­mini e le donne del nostro tempo si in­contrino concretamente – dove si tro­vano ad amare e a lavorare, cioè nella loro vita reale – con comunità cristia­ne in cui sia praticabile l’esperienza del dono».
 Il patriarca di Venezia, al convegno sull’attualità di Sant’Agostino, ha
parlato della nuova utopia odierna che sostituisce religioni e filosofie: «Dà la sensazione di aver raggiunto una libertà totale: posso, perciò devo»

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martedì, 27 novembre 2007

Il cristianesimo culla della scienza

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"Ora, il giudaismo e, il suo seguito, il cristianesimo, è essenzialmente una religione desacralizzante, "distruttore di religiosità", scrive Henri DESROCHES, "controllore del sacro", una fede demistificatrice e demistificante", scrive ancora, che segna la fine delle ideologie e "la perenzione delle dogmatiche".
In termini sociologici, è un'impresa di "razionalizzazione", di "demitificazione", di "desacralizzazione", di "secolarizzazione", di "demistificazione", -sul piano profano questo sarà opera di Machiavelli, Max Weber, Karl Marx, Sigmund Freud. Affermo che questo processo, che sta a fondamento del mondo moderno, si trova in germe nel patrimonio genetico del giudeo- cristianesimo. E' il contrario del panteismo, il contrario dell'induismo, di cui Marx diceva che pratica "il culto bestiale della natura". Il cristianesimo, presentando all'uomo un'immagine del mondo -che non si identifica con Dio, il cui mistero è a lui accessibile; affidando all'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1 ,28), il compito di "dominare" la terra e tutto ciò che vive su questa terra (Genesi 9,2-3), ha aperto la strada alla conoscenza scientifica del mondo e alle applicazioni della tecnica; perché l'uomo, liberato ormai dalle pastoie magico-religiose, può concepire un metodo di conoscenza, di apprendimento del reale, che sfugge all'autorità delle autorità laiche e religiose, come al principio d'autorità stesso, e fa della natura l'oggetto di una conoscenza priva di significato etico, e della conoscenza stessa, un obiettivo in sè. Siccome -se si crede al teologo Guillaume de CONCHES -, Dio rispetta la proprie leggi, allora il mondo, creato da Lui, è conoscibile.
Il mondo non è un'illusione, una trappola, un fantasma. Dio ha fatto qualcosa di "buono"; la Genesi ripete, per 6 volte: "e Dio vide che quel che aveva fatto era buono". (Diciamo, en passant, che questa certezza, della bontà delle cose create da Dio, spiega l'atteggiamento dell'Europa dinnanzi alla valanga di prodotti nuovi venuti dalle Americhe; li adotta, molto velocemente, tenuto conto dell'estremo conservatorismo degli uomini in materia di abitudini alimentari).' Non solamente il mondo è conoscibile ma, inoltre, è 'buono" da conoscere ("E' impresa nobile cercare di conoscerlo" n.d.t.).
Il mondo, secondo i Lama tibetani, è popolato di demoni; proibizione, dunque, di scavare le montagne, dove essi si nascondono. Ostacolo, questo, decisivo allo sviluppo del settore minerario in Mongolia.
Di contro, ad esempio, i minatori tedeschi del Cinquecento, credevano, anch'essi, che dei geni astuti (in tedesco dialettale dei piccoli "Nicolas", dei "Nickel", donde il nome del minerale), dei folletti (in tedesco "Kobold", da cui: Cobalto) minacciassero coloro che scavavano la terra per trovarvi il minerale. (A riprova, sia detto, en passant, che tutte le culture conoscono dei momenti nei quali trionfano i sentimenti magico-religiosi). Interviene allora Georg BAUER, detto Agricola (1494-1555), medico e geologo tedesco, che risponde, nel 1544, che Dio non può essere all'origine di cose cattive o inutili.
Altro esempio destinato a illustrare la nostra tesi; l'lslam interdisse di utilizzare la pressa per stampare il Corano, perché la pressa schiacciava a ciascun giro il nome di Dio. L'installazione, nel 1727, di una tipografia a Costantinopoli solleva tali opposizioni che si rinuncia al progetto per tutto il secolo. Esempio di "letteralismo", di fondamentalismo religioso, che blocca ogni novità.
Ugualmente, una stamperia istallata dai Portoghesi a Goa si scontrò con la decisa opposizione dei Bramini. Nell'Europa cristiana, dove essa si sviluppò, molto prima della Riforma, notiamolo, Benedettini e Cistercensi, Fratelli Della Vita Comune e Gesuiti, Fratelli Minori e Canonici Regolari di Sant'Agostino, contendono il mercato della stampa ai Tedeschi e agli Ebrei.
Parlando dei progressi tecnici dovuti al Medioevo, lo storico francese Robert DELORS. osserva che ''l'empirismo delle 'ricette' lascia poco a poco il posto ad una riflessione razionale": abbiamo visto che questo è ciò che è realmente accaduto. Quanto all'empirismo, ancora occorrerebbe spiegare perché si sia rivelato essere così fecondo e noi abbiamo proposto una spiegazione basata sulla presenza dell' "humus" cristiano.
Robert DELORS aggiunge che si sarebbe potuto far progredire altre tecniche, ma che questo esigeva investimenti troppo elevati. Precisa d'altronde -ed è qui l'essenziale -che l'epoca non imponeva di migliorare le tecniche esistenti (nel senso che soddisfacevano in modo sufficiente i bisogni), il che potrebbe spiegare una certa e molto relativa rarità di invenzioni.
I Signori, scrive egli ancora, preferivano consacrare il superfluo di cui disponevano a spese "improduttive". Conosciamo la canzone! Tutto ciò che è culturale -i palazzi, le chiese, i musei, le opere d'arte, la ricerca scientifica -è molto sbrigativamente considerato come "improduttivo", dunque "inutile"!
DELORS osserva ancora -e qui siamo di nuovo al cuore della nostra riflessione -: "Soli, i monaci, vivendo in autarchia e, per di più, meno animati, ali 'inizio, da desiderio di danaro, hanno potuto favorire la macchina che evita o moltiplica lo sforzo", il che è un'eccellente definizione dei fini della tecnologia. I monaci, fattore di progresso tecnico. Noi non abbiamo mai detto altro. E, sottolineiamo, per ragioni spirituali. Tutta l'economia monastica medioevale, che è l'immagine stessa di un'economia di progressi e di perfezionamenti incessanti -la viticoltura, l'agricoltura, la silvicoltura, l'allevamento, l'apicoltura, la pescicoltura -, si sviluppa in ragione della presenza dell'imperativo spirituale. E' esattamente il rovescio della tesi marxista sull'infrastruttura e la sovrastruttura: qui, l'infrastruttura è lo spirituale. E' un altro modo di richiamare ciò che ho detto, iniziando, e cioè che il perché dell'invenzione tecnologica si trova, sempre, nel gruppo, nella sua percezione del reale, nella sua visione dell'uomo nel mondo.
E lo stesso si può dire delle opere sociali, le opere caritative (ospedali, case di riposo per i pellegrini, case per vecchi, per i soldati mutilati, le scuole. ..) o le innovazioni politiche: le T.E.D., Tecniche Elettorali Deliberati- ve (che prevedevano lo scrutinio, il ballottaggio, la maggioranza assoluta. dei 2/3, etc. ..).
A questo proposito notiamo che il Capitolo Generale, costituisce la prima assemblea Europea sovranazionale, nata dalla CARTA CARITATIS di CITEAUX (1115) e che tale istituzione ha ispirato la Magna Charta inglese, embrione del parlamentarismo.
Altro apporto decisivo della vita monastica alla vita che noi chiamiamo moderna: la razionalità, la regolarità e il controllo dei comportamenti, la funzionalità delle costruzioni, la puntualità; senza dimenticare il fatto memorabile che l'immenso affresco monastico che si sviluppa nel corso di XV secoli, senza interruzione, è il frutto unicamente dell'iniziativa individuale di un uomo, seguito da un pugno di altri, e che non sempre fu ben accolto a Roma. Eccovi tutti i fattori che possono contribuire a spiegare il destino eccezionale della tecnologia nell'Europa medioevale."
    Leo Moulin Tecnologia e Cristianesimo Ass.cult. Icaro CA

 



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venerdì, 23 novembre 2007

 Cellule staminali adulte ok!
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da:   www.avvenire.it     22-11-07
IERI, SU STAMINALI RIPROGRAMMATE.  LA SCOPERTA? NOTIZIA FUORI LINEA
  MARINA CORRADI
È strano. La notizia delle due ricerche che in Giappone e in America hanno prodotto cellule staminali pluripo­tenti, molto simili a quelle embrionali, senza distruggere embrioni ma parten­do invece da tessuti adulti, per il Times di ieri valeva l’apertura della prima pa­gina: «Cellule staminali, un passo avan­ti », titola a tutta pagina. E i giornali ita­liani cosa hanno fatto? Repubblica, un ti­tolino schiacciato in basso in prima, per il resto chi vuole vada a pagina 23, se gliene resta il tempo dopo tre pagine fit­te di cronaca sull’arresto del quarto uo­mo di Perugia, cui va anche il titolone di prima. Il Corriere ha scritto di stamina­li domenica, e basta, abbiamo già dato. La Stampa infila la notizia nell’inserto di Scienze, cioè a dire dove si mettono in genere le comete, e le migrazioni dei pinguini, temi interessantissimi ma sen­za immediata ricaduta sulla nostra quo­tidianità.
  L’Unità
piazza la scoperta a pa­gina otto, in basso, in gergo giornalisti­co 'a piede', ma almeno la mette.
  Per il compassato Times quello delle sta­minali è un « breakthrough », una con­quista da prima pagina.
Le Ips – Indu­ced pluripotential cells – ottenute fa­cendo regredire cellule adulte potreb­bero un giorno essere riprogrammate per formare 200 tipi di tessuto diverso, senza i problemi derivanti dal rigetto, giacché proverrebbero dall’organismo dello stesso paziente. Senza clonare e distruggere embrioni. Una miniera di pezzi di ricambio, forse l’inizio della cu­ra per malattie di cui non c’è, oggi, al­cuna cura. Ma i giornali italiani non si scompongono. Pagina 23, o inserto scienze, assieme alle comete.
  È strano, davvero. Certo, la tecnica giap­ponese è lontana dall’applicazione terapeutica, perché per fare regredire la cellula adulta si sono usati retrovirus cancerogeni. D’altra parte, anche
le sta­minali embrionali 'autentiche' con la loro totipotenza ponevano forti rischi proliferativi, ciò che non ha impedito di investirci, di sperare e di titolare a ripe­tizione, senza avere ottenuto una sola applicazione terapeutica in 10 anni. Se uno come Ian Wilmut, già autorizzato dalla Hfea britannica a clonare embrio­ni umani per la sua ricerca, dice 'grazie, ma io cambio strada', una ragione de­ve averla. Forse ne ha più di una: la scar­sa reperibilità degli ovociti femmili ne­cessari a questa ricerca – solo in Roma­nia le donne sono disposte a donare o­vuli in cambio di un pezzo di pane – a fronte della facilità del reperimento di tessuti adulti. La speranza, grande, di a­vere un giorno tessuti naturalmente compatibili con quelli del malato. Di a­vere i 'pezzi' giusti per ogni paziente – senza toccare embrioni.
  Dice bene il Times, una conquista. Ma gli stessi giornali che prima del referen­dum del 2005 ripetevano ossessiva­mente, e ignorando del tutto le obiezio­ni di autorevoli ricercatori, che per scon­figgere le malattie neurodegenerative occorreva usare gli embrioni, sulla svol­ta di oggi fanno understatement. Gli e­ditorialisti che avvertivano severi che perdere la corsa dei brevetti sulle sta­minali embrionali avrebbe affossato la ricerca scientifica in Italia, ora non scri­vono.
 
Come mai è più franco nel dichiarare il cambio di rotta uno scienziato come Wilmut? Proprio perché è uno scienzia­to, e, preso atto di una strada più pro­mettente e facilmente praticabile, nel confronto con la realtà cambia idea. Chi è ideologico, invece, non guarda alla realtà: ha un suo schema cui deve restar fedele, anche se ciò che accade lo con­traddice. (Hannah Arendt: «L’ideologia, è ciò che non vede la realtà»).
  Fra degli anni, forse, con le Ips derivate dalla ricerca giapponese e mirate sui no­stri tessuti nervosi bucati dall’Alzheimer cureranno noi, o i nostri figli. Sotto la sto­ria del quarto uomo del delitto di Peru­gia, sui giornali del 21 novembre 2007 c’era una grande notizia, però non quel­la giusta. Una notizia fuori linea. «Un pie­de, pagina otto», disse il caporedattore.
 


       

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sabato, 13 ottobre 2007

È pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza
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Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza "scevra di presupposti". La domanda se sia necessaria la verità, non soltanto deve avere avuto già in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che "niente è più necessario della verità e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano". Questa incondizionata volontà di verità, che cos'è dunque?[ ... ] Ebbene, si sarà compreso dove voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina... Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino salvo l'errore, la cecità, la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?
(F. Nietzsche :La gaia scienza, 344)
 

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domenica, 23 settembre 2007

La scienza nasce dal cristianesimo
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Se paragoniamo il “tono” del pensiero europeo con l'atteggiamento di altre civiltà abbiamo la sicura impressione che il primo sia originato da una sola fonte. Non può infatti provenire che dalla concezione medioevale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l'energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità. Non parlo, si badi, delle convinzioni dichiarate di pochi individui. Ciò che ho in mente è l'impronta lasciata nello spirito europeo da una fede secolare e incontestata. A questo che intendo con “tono” istintivo del pensiero e non un mero credo espresso con parole. In Asia i concetti di Dio riguardavano un essere troppo arbitrario o troppo impersonale perché tali idee di esso riuscissero a determinare abitudini istintive della mente. Qualunque evento determinato poteva essere attribuito al fiat di un despota irrazionale o scaturire da qualche “origine delle cose” impersonale e imperscrutabile. Mancava quella fiducia che proviene dall'idea della razionalità intelligibile di un essere personale. Non intendo sostenere che la fede europea nella possibilità di perscrutare la natura fosse logicamente giustificata dalla sua stessa teologia. Cerco solo di capire come essa sia sorta. La mia tesi è che la fede nelle possibilità della scienza, nata prima dello sviluppo della teoria scientifica moderna, è un derivato inconsapevole della teologia medioevale.
Ma la scienza non è solamente il risultato di una fede istintiva; essa esige anche un interesse attivo ai semplici fenomeni della vita in quanto tali.
Questa precisazione, “in quanto tali”, è molto importante. La prima fase del Medioevo fu un'epoca di simbolismo. Un'epoca di grande idealità e di tecnica primitiva. Non v'erano punti di contatto con la natura, tranne che per strapparle l'occorrente al duro vivere materiale. Vi erano invece grandi domìni spirituali da esplorare, domìni di filosofia e domìni di teologia. L'arte primitiva seppe tradurre in simboli queste idealità che impregnavano gli spiriti meditativi. La prima fase dell'arte medioevale ha un fascino incomparabile: il suo valore intrinseco è aumentato dal fatto che il suo messaggio, superando la giustificazione dell'arte come conseguimento estetico, costituisce una rappresentazione simbolica delle cose che stavano dietro la natura in sé e per sé. Durante questa fase simbolistica, l'arte medioevale si avvalse della natura come di un medium per raggiungere un altro mondo.
Per comprendere il contrasto tra l'inizio del Medioevo e l'atmosfera necessaria all'esistenza di una mentalità scientifica, porremo a confronto il sesto secolo e il sedicesimo in Italia. In questi due secoli, infatti, il genio italiano pose le basi di un'epoca nuova. La storia dei tre secoli che precedettero il primo dei due periodi, malgrado le prospettive aperte dall'avvento del cristianesimo, è sempre più viziata dal sentimento della decadenza della civiltà. Ad ogni generazione si perdeva qualcosa. Quando ne leggiamo i documenti sentiamo incombere lo spettro della barbarie che avanza. Non mancano, certo, anche uomini grandi nell'azione come nel pensiero. Ma il loro effetto globale è solo quello di arrestare per un po' il declino generale. Nel sesto secolo si tocca, per quanto attiene all'Italia, il punto più basso della curva. Ma, durante lo stesso secolo, vari eventi contribuirono a porre le basi del prodigioso sviluppo della nuova civiltà europea. L'Impero bizantino, sotto Giustiniano, determinò in tre modi il carattere dell'inizio del Medioevo nell'Europa occidentale. In primo luogo i suoi eserciti, al comando di Belisario e di Narsete, liberarono l'Italia dalla dominazione dei goti. In tal modo rimase libero campo all'esercizio dell'antico talento italico di creare organizzazioni, che allora furono destinate a proteggere gli ideali dell'attività civilizzatrice. Non è possibile non provare una certa simpatia per i goti, eppure è fuori di dubbio che un millennio di Papato è stato infinitamente più prezioso per l'Europa di qualunque effetto che sarebbe potuto derivare da un ben consolidato regno goto in Italia.
In secondo luogo la codificazione del diritto romano stabilì l'idea della legalità che dominò poi il pensiero sociologico dell'Europa durante i secoli seguenti. La legge è al tempo stesso uno strumento per governare e una condizione che impone limiti al governare. Il diritto canonico della Chiesa e il diritto civile dello Stato debbono ai giuristi di Giustiniano la loro influenza sullo sviluppo dell'Europa. Essi fissarono nello spirito occidentale l'ideale di un potere che dovrebbe al tempo stesso essere legale, capace di esigere l'obbedienza alle leggi e tale da rappresentare in sé stesso un sistema di organizzazione regolato in modo razionale. Il sesto secolo in Italia fu la prima dimostrazione di come queste idee, favorite dal contatto con l'impero bizantino, si siano impresse in modo duraturo.
In terzo luogo, nelle sfere non politiche dell'arte e del sapere, Costantinopoli rivelò modelli di realizzazione che, in parte incitando a una imitazione diretta, in parte per ispirazione indiretta derivante dalla semplice conoscenza della loro esistenza, costituirono uno stimolo costante per la civiltà occidentale. La sapienza dei bizantini, nel modo in cui colpì l'immaginazione della mentalità medioevale nella prima fase, svolse una funzione analoga a quella che ebbe la sapienza degli egizi per i greci dell'epoca arcaica. Nei due casi, le conoscenze effettive erano probabilmente della giusta misura per essere utili agli interessati. Costoro ne possedevano abbastanza per sapere quali modelli potevano raggiungere, ma non tanto da restare impastoiati in forme di pensiero statiche e tradizionali. Perciò, in entrambi i casi, si poté procedere in piena indipendenza e si fece di meglio. Nessuna spiegazione dell'origine della mentalità scientifica europea può tralasciare di tener conto di questo influsso della civiltà bizantina. Nel sesto secolo, tuttavia, si verifica una crisi nelle relazioni tra i bizantini e l'Occidente; e in contrapposizione a questa crisi deve essere messa in risalto l'influenza della letteratura greca che inciderà poi sul pensiero europeo del sedicesimo e diciassettesimo secolo. I due uomini di primo piano, che posero nel sesto secolo le fondamenta dell'avvenire, furono san Benedetto e Gregorio Magno. Soltanto considerando costoro possiamo misurare fino a che punto fosse decaduta la mentalità relativamente scientifica che era stata raggiunta dai greci. Si era ormai allo zero del termometro scientifico. Ma l'opera di Gregorio e di Benedetto contribuì alla ricostruzione dell'Europa con elementi che racchiudevano la garanzia di una mentalità scientifica futura più reale ed efficiente di quella del mondo antico. I greci erano ultrateorici. Per essi la scienza non era che un ramo della filosofia. Gregorio e Benedetto erano uomini pratici, che non perdevano di vista l'importanza delle cose ordinarie, e portavano questa loro concretezza nelle attività religiose e culturali. Dobbiamo in modo particolare a san Benedetto che i monasteri abbiano ospitato abili agricoltori non meno che santi, artisti ed eruditi. L'alleanza tra scienza e tecnologia che ha conservato il contatto tra il sapere e “i fatti irriducibili e ostinati”, deve molto all'indole pratica dei primi benedettini. La scienza moderna deriva quindi da Roma non meno che dalla Grecia, ed è a questa componente romana del suo linguaggio che essa deve l'incrementata energia del pensiero tenuto in intimo contatto col mondo della realtà.
L'influsso del contatto tra i monasteri e i fatti della natura si mostrò in un primo tempo nell'arte. Il naturalismo, sorto nel tardo Medioevo, rappresentò l'ingresso nello spirito europeo dell'ultimo elemento necessario alla nascita della scienza. Con esso nacque l'interesse per i fenomeni naturali in sé e per sé. Il fogliame tipico delle foreste della regione fu scolpito perfino in punti secondari e remoti degli edifici per il mero piacere di riprodurre cose familiari. L'intera atmosfera di ciascuna arte esprimeva la gioia spontanea di percepire e fissare la comprensione delle cose che circondano gli uomini. Sotto questo aspetto agli artigiani che eseguirono le sculture decorative medioevali dell'ultimo periodo non sono dissimili da Giotto, Chaucer, Wordsworth, Walt Whitman e dal poeta del New England, nostro contemporaneo, Robert Frost. I semplici fatti immediati sono oggetti di interesse e si ritrovano poi nel pensiero scientifico sotto l'aspetto di “fatti irriducibili e ostinati”.
Lo spirito dell'Europa era ormai preparato alla nuova avventurosa impresa del suo pensiero. Non è necessario trattare particolareggiatamente dei vari eventi e uomini che hanno contrassegnato l'avvento della scienza: l'aumento della ricchezza e del tempo per l' otium , lo sviluppo delle università, l'invenzione della stampa, la caduta di Costantinopoli, Copernico, Vasco de Gama, Colombo, la realizzazione del telescopio. Sole, clima, seme, tutto era pronto, e la foresta nacque e crebbe.
Alfred N. Whitehead (1861-1947), La scienza e il mondo moderno , tr. it. di A. Banfi, Boringhieri, Torino 1979, pp. 20-25 e 30-34.


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sabato, 23 giugno 2007

La scienza moderna
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La scienza moderna è nata grazie ad alcune circostanze favorevoli dovute in buona parte al cristianesimo, che porta a vedere il mondo come l'opera razionale di un Creatore infinitamente sapiente e l'uomo come creatura fatta a immagine di Dio, con una intelligenza capace di penetrare nell'ordine impresso da Dio nel mondo. Questa scienza si è sviluppata grazie al lavoro e alle convinzioni di scienziati profondamente cristiani. La scienza e la fede sono alleate, non nemiche. E la fede cristiana offre aiuti più validi per evitare un materialismo che niente ha da spartire con la scienza, affinchè la scienza possa contribuire alla soluzione dei gravi problemi che oggi l'umanità deve affrontare".
 (Sir John Eccles, Premio Nobel per la Medicina, in Mariano Artigas, Le frontiere dell'evoluzionismo, Ares, 1993, p. 231 ).
 Copiato da www.definitivo.it


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venerdì, 22 giugno 2007

RAGIONE E FEDE
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La scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca."
Albert Einstein (1879-1955)


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IL MEDIOEVO
LA VERA SORGENTE
 DELLA SCIENZA
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"Non credo di aver ancora messo in evidenza il grande contributo dato dal Medioevo alla formazione del movimento scientifico [...] Se paragoniamo il "tono" del pensiero europeo con l'atteggiamento di altre civiltà, abbiamo la sicura impressione che il primo sia originato da una sola fonte. Non può infatti provenire che dalla concezione medioevale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l'energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità"
A.N. Whitehead

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giovedì, 03 maggio 2007

L’origine cristiana
della scienza
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Tratto da:Appunti di un incontro con il prof. Peter E. Hodgson

Secondo la dottrina cristiana della creazione, Dio scelse di creare liberamente l’Universo. Egli non era in alcun modo obbligato né a crearlo né a crearlo nel modo in cui fece.
Non è, perciò, un Universo necessario, nel senso che doveva essere creato o che non poteva essere creato in altro modo. Non c’è perciò alcuna possibilità di conoscere l’Universo per puro pensiero o per un ragionamento a priori . Noi possiamo solo sperare di capirlo studiandolo e facendo
esperimenti . Così la dottrina cristiana della creazione incoraggiò il metodo sperimentale, essenziale per lo sviluppo della scienza.
La teologia di S.Agostino di Ippona (354 – 430 d.c.) incoraggiò lo studio sistematico del mondo naturale, poiché egli credeva che la sua natura sacramentale fosse simbolo delle verità spirituali.
Egli era un grande osservatore dei fenomeni naturali, sempre attento ad ogni cosa che desse persino una fuggevole intuizione della Ragione dietro tutte le cose.
Le leggi della natura sono oggettive e inesorabili, immutabili per noi ma non per Dio. Egli incoraggiò lo studio della natura e la ricerca delle sue leggi per conoscere il libro della natura: ”Guarda sopra e sotto, annota, leggi. Dio, che tu vuoi scoprire, non ha scritto le lettere in inchiostro;Egli ha messo di fronte ai tuoi occhi le cose che ha fatto”. Seguendo Platone, riconobbe l’importanza della matematica, dicendo che le leggi della natura sono leggi di numeri. C’è una trama razionale nella natura che deriva da leggi immutevoli che governano il suo sviluppo attraverso il tempo. Egli fu interessato allo studio della natura principalmente perché rivela Dio
all’osservatore attento. Le sue riflessioni filosofiche sulla natura del tempo sono ancora quotate come le più profonde mai scritte.

All’inizio del VI° sec. d.c. Giovanni Philoponus un seguace cristiano di Platone, che viveva ad Alessandria, scrisse ampiamente sul mondo materiale, mostrando l’influenza delle credenze cristiane su quelle del mondo pagano circostante, particolarmente su quelle derivanti dall’Antica Grecia. Egli commentò ampiamente Aristotele, che ammirava molto, ma quando l’insegnamento di Aristotele era contrario al credo cristiano non esitò a distaccarsene.

Questo fu particolarmente importante nel suo commento sulla fisica aristotelica,dove disse, contrariamente ad Aristotele, che tutti i corpi cadevano nel vuoto alla stessa velocità, indipendentemente dal loro peso, e che i corpi lanciati si muovevano attraverso l’aria non a causa del moto dell’aria ma perché ad essi era stata inizialmente data una certa quantità di moto.
 Questa è una notevole anticipazione delle idee normalmente associate a Galileo e mostra una decisa rottura con la fisica aristotelica. Egli non fu il primo scrittore dell’antichità a rompere con Aristotele ma lo fece chiaramente e decisamente.
Il legame tra il suo rifiuto delle idee aristoteliche e le sue credenze cristiane deve essere trovato nella dottrina della creazione.
Riguardo alla questione del movimento egli chiese non potrebbe Dio, loro creatore, dare al sole, alla luna e alle stelle, una certa forza cinetica, allo stesso modo nel quale cose leggere e pesanti ricevono la loro tendenza a muoversi?”.
Egli credeva anche che le stelle non fossero fatte di etere ma di materia ordinaria, rifiutando così la distinzione aristotelica tra materia terrestre e materia celeste:
Questo mostra, molto chiaramente, che le credenze cristiane circa il mondo sono incompatibili con le credenze aristoteliche sulla divinità della materia celeste e sull’eternità del moto. Era così inevitabile che il diffondersi della cristianità dovesse condurre, alla fine, alla distruzione della fisica aristotelica, aprendo la strada alla scienza moderna.
Questo non vuol dire, comunque, che le credenze cristiane diano delle specifiche direttive per lo sviluppo della scienza, bensì la rimozione di ostacoli è di per se stessa un servizio non indifferente. Phinoponus fu anche il primo a dire che la Genesi fu scritta per istruzione spirituale e non scientifica, un’affermazione saggia che era di gran lunga in anticipo sul suo tempo per essere congeniale ai teologi contemporanei.
Questa audacia teologica forse spiega perché le sue idee non condussero ad ulteriori sviluppi scientifici.
Le sue idee sul movimento sono notevolmente simili a quelle di Buridan e di Oresme nell’AltoMedioevo che riuscirono ad iniziare l’avventura scientifica.”

Per leggere tutto l’articolo : L’origine Cristiana della Scienza



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