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mercoledì 22 febbraio 2012

senso religioso5


Io, Cristo e la Zambrano
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TracceN. 8 > settembre 2007
Davide Perillo

Riportare la domanda di senso nel mondo, a cominciare dalla scuola. Ed essere «disponibili a qualcosa che accade». Solo così l’umanità può «salvarsi dal suicidio». Parola di Pietro Barcellona, filosofo ex comunista. Che al Meeting ha fatto una scoperta
«Scusi, lei è Pietro Barcellona? Volevo ringraziarla per quello che ha detto ieri». Capita anche questo, a Rimini. E lascia il segno sul filosofo del diritto già marxista a tutto tondo, che è venuto per parlare di scuola e si ritrova intercettato dalla gratitudine dei giessini. «L’impressione del Meeting? Enorme. Non vedo niente di paragonabile. E non solo in Italia». Detto da uno che ha attraversato mezzo secolo di storia nostrana partendo da sponde lontane (è stato dirigente e parlamentare Pci, prima di entrare anche al Csm), fa una certa impressione. Con Cl c’era già un buon rapporto, alimentato da amicizie private (tra tutte, don Ciccio Ventorino) e uscite pubbliche (vedi il caso del liceo “Spedalieri”, dove è sceso in campo accanto ai ragazzi di Gs che - dopo la morte allo stadio di Filippo Raciti - reclamavano il diritto a parlare di verità anche a scuola, cfr. Tracce n. 4/2007). Ma da Rimini in poi, c’è da scommettere che l’amicizia si farà più salda.
Barcellona ha parlato di «verità tra i banchi». Della necessità che nelle aule si torni a porre la domanda di senso. Dell’idea che la scuola, insomma, diventi quello che deve essere: un luogo dove accade e cresce l’umano, perché - ha detto citando Saint-Exupery - «se c’è una terra su cui crescono le arance, quella è la verità delle arance», mentre una società che non si pone più il problema del destino «è destinata a suicidarsi». Molti applausi all’incontro, parecchie domande dopo, tra gli stand. E tanti fili che vale la pena di riprendere. A cominciare dalla questione di partenza.
Perché questa “domanda di vero” ormai viene regolarmente archiviata?
Non è archiviata: è combattuta. Se ne nega la legittimità. Come se riguardasse solo chi ha la testa tra le nuvole. Il senso comune oggi diffonde sostanzialmente cinismo, apatia, impotenza. Sembra che tutto quello che accade non sia controllabile. Che non ci sia nessuno spazio di intenzionalità. Siamo precipitati in un’astrazione assoluta, indeterminata. Abbiamo talmente frantumato gli aspetti del mondo che non riusciamo più a percepire le connessioni.
Da dove si può ripartire?
Da quella che Gramsci definiva «una rivoluzione morale». Le transizioni forti avvengono in maniera molecolare, per piccoli gruppi. Cenobi, comunità. Da questo punto di vista il Meeting è una cosa enorme. Ci sono migliaia di persone, qui. Se ognuna di loro facesse nascere forme di vita diverse, questa sì che sarebbe una rivoluzione. Io la rivoluzione non la penso più come un avvenimento che da un giorno all’altro cambia i connotati del potere. È un progressivo sgretolarsi dell’ideologia del potere che penetra nei nostri comportamenti. Tante pratiche diffuse, esemplari. Per esempio, questa mostra della Cometa mi ha molto colpito. Questa dimensione del rapporto comunitario nella vita di oggi è completamente esaurita. E invece riguarda le persone, le vite reali. Ecco, Rimini mi sembra una cosa importante perché si vedono le persone.
In fondo è una conferma che l’umano ricomincia da un’educazione, come diceva anche lei nell’incontro…
Io una volta ho dato questa definizione della democrazia: l’assunzione consapevole di un progetto di paideia, cioè di educazione, da parte dell’intera comunità. Non in un’ottica statalista o burocratica, ci mancherebbe. Prenda la grande tradizione greca o quella stessa cristiana: avevano grandi progetti educativi, un’idea precisa di paideia. Ma non era mica l’idea di produrre esseri omologati: avevano in testa la costruzione della libertà dell’individuo. Noi invece abbiamo confuso l’educazione con l’informazione. Abbiamo ridotto la scuola a una specie di trasmissione coatta di informazioni. Mentre le informazioni, di per sé, non significano niente, senza la capacità di elaborarle.
Per questo lei ha parlato di una scuola «che rimetta insieme i cocci», ovvero che combatta gli eccessi di specialismi e ristabilisca il più possibile dei nessi.
Io ho insegnato per anni Diritto, poi sono passato a insegnare Filosofia. Sa perché? Più spiegavo i dettagli delle norme e meno gli studenti capivano. Allora mi sono chiesto: faccio capire di più a che serve il diritto raccontando il succedersi delle leggi o affrontando, per dire, il problema del rapporto tra ordine e disordine? Questo vale per tutto, anche la medicina. Si studiano gli organi: fegato, pancreas, cuore… Ma non si studia più il malato come persona.
E questo può accadere solo se si parte dalla domanda di verità, di scoperta del nesso tra l’io e la realtà.
E chi è il pazzo che lo nega?
Be’, nella vicenda dello “Spedalieri” certi docenti mettevano in discussione proprio questo…
Il problema è che ormai c’è un arroccamento: ognuno si tiene quello che ha. Dopo quei fatti io mi sono trovato a rispondere a domande stranissime: ma che ti sei convertito?  Non eri ateo? In primo luogo, mai stato ateo. Ci sono persone che non professano una fede pubblica, ma ammettono che senza il problema di Dio, il pensiero muore. Il pensiero esiste perché la prima domanda che un uomo si fa è: ma perché io non sono Dio? Una mia nipotina di sette anni ha dato questa spiegazione dell’esistenza di Dio: nonno, noi esistiamo, io sono figlia di papà e mamma, loro sono figli vostri… Ma all’inizio della catena chi c’è? Ecco, questa è una domanda che si pongono anche i bambini. Guardano la realtà e si domandano da dove viene. E infatti la sanno molto più lunga dei grandi.
Ma noi “grandi” siamo ancora capaci di appassionarci al vero?
Il problema è appassionarci alla vita. La passione per la vita ha in sé la ricerca della verità. Che, alla fine, è l’adesione alla vita. È una dimensione dell’esistenza in cui questa tensione si placa. Quando uno si trova a vivere un momento di pienezza, quella è la verità. Non è una deduzione logica da una serie di premesse. Il problema è che questa società per certi versi è la più innovativa, ma di fatto è anche la più statica. Non riesce ad avere un orizzonte diverso da quello che si è dato all’inizio della modernità: individuo, consumo, denaro. Stop.
Come si spezza la catena?
Questa domanda è un po’ nella logica della stessa modernità, che vuole sapere prima cosa succede. C’è poca disponibilità ad accogliere il nuovo, l’evento. In fondo nessuno si aspettava che Cristo nascesse. Al di là di quello che uno pensa di lui, nessuno si aspettava che arrivasse uno che andava in giro a dire: io sono il Figlio di Dio. Ecco, è la stessa cosa: i profeti possono dare delle visioni, ma nessuno può dire che ci siano ricette matematiche per prevedere quello che succederà. Né ci sono ricette che garantiscono il cambiamento.
Bisogna che accada qualcosa, allora. Un avvenimento.
Sì, ma il problema preliminare è essere disponibili a farlo accadere.
E se l’avvenimento accadesse proprio così, come una proposta alla nostra disponibilità? Quando parlava di “evento”, prima, lei stesso ha accennato a Cristo.
Certo, quello è un grande evento con cui tocca misurarsi. Però anche lì non si può fossilizzarlo come un accaduto da contemplare, del passato. A me piace molto l’idea di María Zambrano di una Parola vivente. Io non ho la fortuna di avere un rapporto di fede. Ma la questione di Cristo, con questa affermazione scandalosa, «io sono il Figlio di Dio», è molto interessante. E poi, il suo era un invito a seguirlo senza promesse di benessere economico, anzi mostrando una strada segnata da povertà e rinuncia.
Però con una promessa di compimento umano.
Vero. Ma questo deve portare a un’interpretazione dinamica della presenza del Divino. Una presenza che si incarna continuamente, che rinasce.
Non le sembra che la pretesa della Chiesa, in fondo, sia proprio questa? Essere un luogo dove quella Presenza permane.
Sì, ma questo non  riaccade perché c’è qualcuno che schiaccia il bottone. La Chiesa è un po’ una contraddizione che vivete anche voi. C’è il problema della gerarchia, ci sono certi schematismi...
Però la vita che si vede qui a Rimini nasce da lì, da quella Presenza.
La vita, per fortuna, come diceva Saint-Exupery, è più forte di una logica.
Perdoni la brutalità: ma lei perché non è cristiano?
Cristo è una figura che mi inquieta molto. Soprattutto per via di certe letture. Io sono stato a scuola dai preti. Poi mi sono staccato. E ho iniziato a studiare la teologia protestante. Soprattutto Kierkegaard. Oggi mi affascina molto il pensiero della Zambrano. Però, c’è una cosa che mi fa ostacolo: Cristo è venuto in un luogo e un momento precisi della storia. In un contesto che era stato preparato ad accoglierlo. E questo mi sembra strano. Perché è venuto proprio in quel momento? Questa domanda mi fa sbandare.
In fondo, però, è la stessa questione di prima: occorre che accada qualcosa per salvare l’umano. Ma un avvenimento può accadere solo in un punto della storia.
Infatti continuo a pensarci. Non ho preconcetti. Ma da quello che leggo, anche dalla Zambrano, quando uno incontra Cristo ha una sensazione di pace interiore, di grande illuminazione. Ecco, io questa non l’ho mai avuta. Per ora.



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barcellona, senso religioso, zambrano


Il  “Significato
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Ciò che è in crisi è questo nesso misterioso che unisce il nostro essere con il reale, qualcosa di così profondo e fondamentale che è il nostro intimo sostento.
Marìa Zambrano, Verso un sapere dell'anima, Cortina editore,
  

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senso religioso, zambrano

mercoledì, 14 novembre 2007

Il senso religioso
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Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Non domando abbracci alle donne o soldi ai banchieri o elogi ai "geniali". Di codeste cose fa a meno o le guadagno o rubo da me.
Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell'anima mia, un po' di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità!...
Ho bisogno di un po' di certezza -ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so.
G. PAPINI, Un uomo finito,


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papini, senso religioso

sabato, 10 novembre 2007


Ormai solo un dio ci può salvare

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"Se mi è concesso dare una risposta breve e forse un po' forte, ma comunque basata su una lunga meditazione, direi che la filosofia non potrà produrre nessuna trasformazione immediata dello stato attuale del mondo. Ciò non vale solo per la filosofia, ma per tutte e aspirazioni meramente umane. Ormai solo un dio ci può salvare lo vedo come unica possibilità di salvezza quella di preparare nel pensare e nel poetare, una disponibilità all'apparizione del dio o all'assenza del dio nel tramonto; nel fatto che noi, detto grossolanamente, non «crepiamo» ma, se tramontiamo, tramontiamo al cospetto del dio assente

Martin Heidegger

 

 

 



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heidegger, senso religioso

venerdì, 09 novembre 2007

La sete di infinito
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Questo malessere spirituale è più grave quando l'uomo, insoddisfatto di una operosità infelice, si rifugia nella tranquillità e nello studio privato; ma neppure questo riesce a sopportare l'animo umano, fatto per la vita pubblica, bramoso d'agire e inquieto per natura, in quanto ha scarso conforto in se stesso; perciò, abbandonate le soddisfazioni che l'impegno offre a chi non si risparmia, l'uomo non sopporta la casa, la solitudine, le mura: malvolentieri si accorge di essere abbandonato a se stesso. " Di qui nasce la noia e l'insoddisfazione di sé e la volubilità dell' anima che non trova pace, e la sopportazione amara e penosa della propria inazione, soprattutto quando ci vergogniamo di ammettere le cause e il rispetto umano ci costringe a tener dentro i tormenti: le brame, chiuse senza sbocco in spazio angusto, si soffocano da sole. Di qui la tristezza e il languore e l'ondeggiare della mente incerta.
(Seneca, La tranquillità dell'anima, 2, ,,6 s)

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tristezza, seneca, senso religioso

mercoledì, 07 novembre 2007

L’ urlo di Pasolini al Mistero
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«...ebbi tentazione di santità»
Così scrisse Pier Paolo Pasolini forse ripensando al suo incontro con un frate eremita che oggi è sulla via della beatificazione. Era la primavera del 1963 e lo scrittore stava lavorando a Il Vangelo secondo Matteo
di Giovanni Cubeddu

Pier Paolo Pasolini

      Un povero frate cieco, malandato in salute. Per andare a trovarlo occorreva lasciare l’automobile qualche chilometro prima ed incamminarsi pazientemente tra i monti dell’Oltrepò pavese. Era l’unico modo di raggiungere l’eremo di Sant’Alberto di Butrio, dimora del religioso già in fama di santità, al secolo Cesare Pisano, per la Chiesa frate Ave Maria, eremita della Divina Provvidenza, famiglia religiosa fondata da don Luigi Orione. È la primavera del 1963 quando Pier Paolo Pasolini intraprende anch’egli la lunga passeggiata per l’eremo. Sta lavorando al Vangelo secondo Matteo, e non è la prima volta che cerca ispirazione in colloqui con uomini di fede o visitando luoghi di preghiera. Lo accompagna un’amica, Angela Volpini, personalità nota nel mondo cattolico italiano di quegli anni e attualmente teste nel processo di beatificazione del frate, dichiarato venerabile nel dicembre 1997. Delle testimonianze della Volpini raccolte nell’archivio dell’Opera don Orione a Roma (cfr. box a p. 75 il cui contenuto è inedito) e di una precedente ricerca pubblicata in Messaggi di don Orione (n. 100/2000) ci siamo avvalsi nella ricostruzione dell’episodio, pressoché sconosciuto.
      La Volpini raccontò a Pasolini della propria amicizia con l’eremita. Il poeta si incuriosì o, meglio, sospettò che l’incontro con quel frate dal nome così semplice (che nei maligni poteva suscitare ironia) valesse la pena del viaggio. Dunque Pasolini andò. E quando nel gennaio del 1964 frate Ave Maria muore, il poeta manda alla Volpini una copia del suo libro Poesia in forma di rosa (1961-1964), con uno scritto posto come segnalibro tra le pagine 42 e 43 di quella prima edizione. Si tratta della poesia La Realtà.
      Lo scritto era una lettera riservata e personale alla Volpini, ma la scelta delle pagine aveva probabilmente un senso: forse Pasolini desiderava che l’amica potesse rintracciare in quelle righe la trama autobiografica di quell’incontro all’eremo, potesse cioè ritrovare, tra i luoghi della memoria che Pasolini indicava esistenti «nell’Emilia del mio destino, nel Friuli dei miei numi», in realtà anche il paesaggio che l’accolse a Sant’Alberto:
      una sera, tra boschi
      cedui, chissà, tra macchie indissolubili
      di viole sulle prode, tra vigneti e lumi
      serali di villaggi, sotto vergini nubi

      E potesse vedere il nudo tormento che accompagnava il poeta e che quell’incontro aveva ancora una volta ridestato:
      A vincere fu il terrore. Voglio dire che fu
      più grande il terrore della realtà e della solitudine,
      di quello della società. Amara gioventù,
      preda di quella immedicabile coscienza
      di non esistere, che è ancora la mia schiavitù

Frate Ave Maria

      Quando Pasolini arrivò all’antica abbazia di Sant’Alberto si fermò ad ammirarne gli affreschi del Quattrocento. Frate Ave Maria come sempre era dietro l’altare, nella sua confidenza col Signore fatta di impercettibili rosari, litanie recitate a memoria e pie intenzioni da deporre ai piedi della Madonna. Vi fu qualche minuto di silenzio, interrotto improvvisamente dal gioviale saluto del frate al quale Pasolini rispose avvicinandosi, attraversando la chiesa per finire anche lui dietro l’altare. Il frate gli chiese di prendere una sedia per stare accanto a lui, in un colloquio che nessuno udì e che durò all’incirca due ore. Finalmente il respiro affannoso del frate annunciò che i due stavano scendendo dalla chiesa al chiostro. Pasolini tentava di aiutare la discesa del frate cieco, ma egli lo fermò bonariamente: «Queste pietre sono mie amiche. Le calpesto tante volte al giorno per andare da Gesù, non ho niente da temere da esse!». E rise della sua stessa allegra battuta. Poi proseguì dritto ritirandosi nella sua cella, luogo, assieme al cantuccio dietro l’altare, della predilezione del Signore verso di lui.
      Pasolini continuò la sua visita all’eremo, ogni tanto interrompendo la sintassi dei suoi pensieri con esclamazioni del tipo: «Che luogo! Che uomo! Che colloquio straordinario!». Solo alcuni giorni dopo si spiegò con l’amica Volpini, con maggiore dettaglio: «Frate Ave Maria aveva tutta l’attenzione per me. Parlava con tale naturalezza, pur nel suo linguaggio religioso, da risultare non solo rispettoso, ma affascinante. Non si è stupito del mio scetticismo e mi ha detto che il suo Gesù ama più i lontani che i vicini, che non si scandalizza di niente e che solo Lui conosce davvero il cuore umano. Di fronte a lui, io artista, non mi sono sentito, come succede spesso nei luoghi seri e importanti, un po’ fuori contesto… Anche il frate è un originale come me, un creativo… ha inventato la sua vita, strana per il buon senso comune, ma vera ed affascinante. Anche lui è un figlio d’arte, riesce a trasformare in bella e straordinaria una vita che, analizzata razionalmente, è la morte civile e la follia». Quindi Pasolini s’incamminò verso il bosco prospiciente l’abbazia, in solitudine, e forse annotò qualcosa dell’incontro.
      Fu allora che la Volpini, prima di congedarsi, ebbe l’opportunità di salire alla cella di frate Ave Maria per ringraziarlo. E lui invece: «L’amico che mi hai portato oggi ha bisogno di vedere tanta fede, tanto amore, tanta innocenza, per far uscire dal suo cuore il grido d’amore, oltre che di denuncia. Stagli vicino. Se quest’uomo potesse servire il Signore, chissà che cose meravigliose farebbe!».
      Anche Pasolini ritornò dal frate per accomiatarsi. L’eremita lo accolse di nuovo, lo accompagnò fino all’uscita, e quasi gli gridò con la sua voce roca: «Voglio dirle che qui c’è un altro amico, che sa solo pregare, ma che pregherà tanto perché lei faccia cose bellissime».
      Pasolini non deve averlo dimenticato. Perché la poesia, in quelle pagine 42 e 43 segnalate ad Angela Volpini, così continuava
:
      Ché io arriverò alla fine senza
      aver fatto, nella mia vita
      la prova essenziale
, l’esperienza
      che accomuna gli uomini, e dà loro
      un’idea così dolcemente definita
      di fraternità almeno negli atti dell’amore!
      Come a un cieco: a cui sarà sfuggita,
      nella morte, una cosa che coincide
      con la vita stessa
, – luce seguita
      senza speranza, e che a tutti sorride,
      invece come la cosa più semplice del mondo –
      una cosa che non potrò mai condividere.
      Morirò senza aver conosciuto il profondo
      senso d’essere uomo, nato a una sola
      vita, cui nulla, nell’eterno corrisponde.

Pasolini mentre lavora al Vangelo secondo Matteo

     
 In questo grido, reso forse più acuto dall’aver intravisto un bagliore, si può forse ritrovare un’altra diversa allusione a quella giornata a Sant’Alberto di Butrio:




g
g
g
h
E questa fu la via per cui da uomo senza
      umanità, da inconscio succube, o spia,
      o torbido cacciatore di benevolenza,
      ebbi tentazione di santità. Fu la poesia
.
 
   «Quando scrivo poesia è per difendermi e lottare, compromettendomi, rinunciando a ogni antica mia dignità: appare, così, indifeso quel mio cuore elegiaco di cui ho vergogna», dicono i primi versi di La Realtà. E ora viene facile pensare che la misericordia del vecchio eremita nei suoi confronti abbiano a che vedere con quella tentazione di santità.
      Di quel pomeriggio nell’Oltrepò pavese restava, ancora più incarnato, visibile, un mistero: «E come mai» aveva detto frate Ave Maria appena salutato Pasolini, «un grande artista, un personaggio così famoso, è interessato a conoscere un povero cieco, che sa solo dire “Gesù, Maria, vi amo: salvate le anime”?».
Immagine:Eremo di butrio - 039 - Foto di Frate Ave Maria.jpg
   

Postato da: giacabi a 19:29 | link | commenti
pasolini, senso religioso


Il senso religioso
***
L'uomo si rende conto, talvolta con stupore, talvolta con contrarietà e talvolta anche con disperazione, che col soddisfare qualunque suo desiderio egli cerca di realizzare in fondo quell'unico desiderio fondamentale. In una certa misura ciascuno di noi è Don Giovanni che aspira alla pienezza e perciò fugge via da ciò in cui la pienezza è appena accennata. Le analisi dell'uomo fatte dalla filosofia contemporanea sono altrettanto analisi di Don Giovanni. C'è in esse un fascino biblico, quando, disvelandoci l'uomo strato dopo strato nella sua struttura essenziale, ci mostrano al fondo di ogni passione umana quella stessa sete di una realtà piena, di un Assoluto. E chissà, forse proprio il deviarsi di questa bramosia, presente in ogni azione concreta, con la quale l'uomo agogna i valori apparenti, quelli comuni di tutti i giorni, costituisce la perdurante realtà della caduta originaria. Questa caduta provoca ad un tempo il rivelarsi del bene e del male morale nella creazione ragionevole e libera ...
La realtà desiderata in ogni desiderio umano non può essere colta come si colgono i suoi contorni, cioè le cose dei vari desideri che costituiscono la fattura di ogni giorno. Noi le voltiamo le spalle come l'uomo del mito platonico della caverna volta le spalle al mondo delle idee che costituiscono la realtà vera. Perciò molti nel desiderio fondamentale vedono solo la proiezione dei loro desideri non soddisfatti fino in fondo ».
Stanislaw Grygiel :"L’uomo visto dalla Vistola"

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martedì, 06 novembre 2007

Il senso religioso
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Dannazione
*** 
Chiuso tra cose mortali
(anche il cielo stellato finirà)

perché bramo Dio?
,,
G. Ungaretti

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L’urlo del cuore
 ***
Ora, mi pare di aver già detto che c'era un guasto nel mio cuore, una voce che mi parlava dentro e diceva voglio, voglio, voglio! Succedeva tutte le sere, e quando io cercavo di soffocarla, diventava anche più forte. Diceva solo quella cosa, voglio, voglio! E io chiedevo: «Ma cosa vuoi?»Ma non mi diceva altro, mai. Non diceva altro che voglio, voglio! ., A volte quella voce la trattavo come un bambino a cui si offre una caramella, o una filastrocca. La facevo camminare. La facevo trotterellare. Le leggevo una poesia, gliela cantavo. Niente. Indossavo la tuta e montavo sulla scala per riparare le crepe del tetto; spaccavo legna, uscivo a bordo del trattore, lavoravo nel granaio in mezzo ai porci. No,
no! Risse, sbornie, fatica, la voce continuava, in campagna, in città. Non c'era oggetto,  per quanto costoso, che la placasse.
 S. Bellow, Il re della pioggia

Postato da: giacabi a 20:10 | link | commenti
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L’attesa
 ***
Mi sforzo di essere veramente colui che aspetta la grazia. Sono in attesa e osservo forse essa verrà, forse non verrà. Forse questa attesa tranquilla e inquieta è già annunziatrice della grazia o è la grazia stessa. Non lo so. Ma questo non mi tormenta. Ho stretto amicizia, intanto , con la mia ignoranza.
F. Kafka

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Urlo di significato
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Ah, miei piedi nudi, che camminate sopra la sabbia del deserto!
Miei piedi nudi, che mi portate là dove c'è un'unica presenza e dove non c'è nulla che mi ripari da nessuno sguardo! [...]
Non c'è infatti, qui intorno, niente oltre a ciò che è necessario: la terra, il cielo e il corpo di un uomo.
Per quanto folle, abissale o etereo sia l'orizzonte oscuro, la sua linea è una: e qualunque suo punto è uguale a un altro punto.
Il deserto oscuro che sembra sfolgorare tanta è la sua durezza zuccherina, e la cavità del cielo," immedicabilmente azzurra, mutano sempre ma sono sempre uguali.
Bene. E cosa dire di me?
 Di me, che sono dove ero, e ero dove sono, automa di una persona reale mandato nel deserto a camminare per essa?
lo sono pieno di una domanda a cui non so rispondere.
 Triste risultato, se questo deserto io l'ho scelto come il luogo vero e reale della mia
vita!
Colui che cercava per le strade di Milano è lo stesso che cerca ora per le strade del deserto?
È vero: il simbolo della realtà ha qualcosa che la realtà non ha: eppure vi aggiunge- per la stessa sua natura rappresentativa -un significato nuovo.
Ma -non certo come per il popolo d'Israele o l'apostolo Paolo -questo significato nuovo mi resta indecifrabile. Nel profondo silenzio dell'evocazione sacra, mi chiedo allora se, per andare nel deserto "non bisogni avere avuto una vita già predestinata al deserto"; e se, dunque, vivendo nei giormi della storia -così meno bella, pura ed essenziale della sua rappresentazione -non bisogni avere saputo rispondere alle sue infinite e inutili domande per poter rispondere, ora, a questa del deserto, unica e assoluta.
Misera, prosaica conclusione, -laica per imposizione di una cultura di gente oppressa -di una vicenda cominciata per portare a Dio!
Ma cosa prevarrà? L'aridità mondana della ragione o la religione, spregevole fecondità di chi vive lasciato indietro dalla storia? [...]
Ma perché, improvvisamente, mi fermo? Perché guardo fisso davanti a me come vedessi qualcosa?
Mentre non c'è nulla di nuovo oltre l'orizzonte oscuro, che si disegna infinitamente diverso,e uguale, contro il cielo azzurro di questo luogo immaginato dalla mia povera cultura?
Perché, fuori dalla mia volontà, la mia faccia mi si contrae, le vene del collo mi si gonfiano, gli occhi mi si riempiono di una luce infuocata?
E perché l'urlo, che, dopo qualche istante, mi esce furente dalla gola, non aggiunge nulla all'ambiguità che finora ha dominato questo mio andare nel deserto?
È impossibile dire che razza di urlo sia il mio: è vero che è terribile -tanto da trasfigurarmi i lineamenti rendendoli simili alle fauci di una bestia -ma è anche, in qualche modo, gioioso, tanto da ridurmi come un bambino.
È un urlo fatto per invocare l'attenzione di qualcuno o il suo aiuto; ma anche, forse, per bestemmiarlo.
È un urlo che vuoi far sapere, in questo luogo disabitato, "che io esisto", oppure, che non soltanto esisto, "ma che so". È un urlo in cui in fondo all'ansia si sente qualche vile accento di speranza; oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda, dentro a cui risuona, pura, la disperazione.
Ad ogni modo questo è certo: qualunque cosa questo mio urlo voglia significare, esso è destinato a durare oltre ogni fine possibile.
(PP. Pasolini, Teorema)

Postato da: giacabi a 18:14 | link | commenti
pasolini, senso religioso


Il totale disinteresse per il senso della vita
 ***
Oggi gli individui -un’infinità- chiedono di rappresentarsi di esistere individualmente, chiedono di vivere la propria vita sul piano che ad essi è possibile: quello  delle emozioni e delle sensazioni. E su questo piano non sono possibili deleghe privilegiate: l'uomo qualunque ha gli stessi diritti dell'uomo di eccezione e può persino illudersi che la sua trivellazione della couche vitale sia più autentica di quella dell'uomo di studio. Ma all'uomo-massa corrisponde il male di massa, al quale nessuno di noi sfugge
E il lato più pericoloso della vita attuale è il dissolversi del sentimento della responsabilità individuale. La solitudine di massa ha reso vana ogni differenza tra il dentro e il fuori. Poiché il nostro tempo ha sostituito l'eccitazione alla contemplazione e il numero non è più il segreto delle leggi divine, bensi l'oggetto della statistica, non vedo perché non si debbano trarre le debite conclusioni della mutate condizioni di vita dell'uomo che fu ' detto sapiens e faber (e poi ludens ed ora è destruens) a vantaggio dell'immenso tutti- nessuno che stiamo avviandoci a formare.
Quel che avviene nel mondo cosiddetto civile a partire dalla fine dell'illuminismo (ma ora in sempre più rapida escalation) è il totale disinteresse per il senso della vita. Ciò non contrasta con il darsi da fare, anzi. Si riempie il vuoto con "inutile. L'uomo non ha più  molto interesse per l'umanità. L'uomo si annoia spaventosamente.
....
(E. Montale, Nel nostro tempo)

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Postato da: giacabi a 16:50 | link | commenti
montale, senso religioso

domenica, 04 novembre 2007

SE E’ VERO CHE CI SEI
(Biagio Antonacci)
 ***
Certe volte guardo il mare,
questo eterno movimento,
ma due occhi sono pochi per questo immenso
e capisco di esser solo
e passeggio dentro il mondo
ma mi accorgo che due gambe non bastano
per girarlo e rigirarlo
e se è vero che ci sei
batti un colpo amore mio
ho bisogno di dividere
tutto questo insieme a te
certe volte guardo il cielo
i suoi misteri e le sue stelle
ma sono troppe le mie notti passate senza di te
per cercare di ricordare
ma se è vero che ci sei
vado in cerca dei tuoi occhi io
non ho mai cercato niente
e forse niente ho avuto mai
è un messaggio per te
sto chiamandoti
è un messaggio per te
sto inventandoti
prima che cambi luna
e che sia primavera
ma se è vero che ci sei
batti un colpo amore mio
ho bisogno di dividere
tutto questo insieme a te
è un messaggio per te
sto chiamandoti
sto cercandoti
sono solo e lo sai
è un messaggio per te
sto inventandoti
prima che cambi luna
e che sia primavera
ma se è vero che ci sei
con i tuoi i occhi e le tue gambe
io riuscirei a girare il mondo
e guardare quell'immenso
ma se è vero che ci sei
a cacciar via la solitudine di questo uomo
che ha capito il suo limite nel mondo
è un messaggio per te
sto chiamandoti
sto cercandoti
sono solo e lo sai
è un messaggio per te
sto inventandoti
prima che cambi luna
e che sia primavera
a P.

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canti, senso religioso


La perdita del gusto di vivere
 ***
Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame né la peste, è invece quella malattia spirituale. la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli, che è la perdita del gusto di vivere
Teilhard de Chardin


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vita, senso religioso



Cristo:il Significato
 ***
"Si esamini l'ordine del mondo sotto questo aspetto e si veda se tutte le cose non concorrono alla conferma dei due punti fondamentali di questa religione: Gesù Cristo è l'oggetto di tutto e il centro a cui tutto tende. Chi conosce Lui, conosce la ragione di tutte le cose. Quelli che si smarriscono, si smarriscono solo per non avere visto una di queste due cose. Si può conoscere Dio, senza conoscere la propria miseria, e così pure la propria miseria senza Dio; ma non si può conoscere Gesù Cristo senza conoscere insieme e Dio e la propria miseria»
«La conoscenza di Dio senza quella della nostra miseria (causata dal peccato) fa nascere l'orgoglio. La conoscenza della nostra miseria senza quella di Dio produce la disperazione. La conoscenza di Gesù Cristo costituisce il punto di mezzo perché in lui noi troviamo Dio e la nostra miseria»
«Non soltanto non conosciamo Dio che per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi che per mezzo di Gesù Cristo. Al di fuori di Gesù  Cristo non sappiamo che cosa sia né la nostra vita, né la nostra morte, né Dio, né noi stessi [...] non sappiamo e non vediamo che oscurità e confusione, nella natura di Dio e nella nostra propria»
PASCAL, Pensieri

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gesù, senso religioso

venerdì, 02 novembre 2007


Come la nube
***
Come la nube,
come la farfalla,
come l'alito lieve su uno specchio.

Fortuito,
Mutevole,
svanito in breve istante.

O signore di tutti i cieli, di tutti i
mondi, di tutti i destini,
che cosa hai inteso fare con me?


Par Lagerkvist - Som molnen



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senso religioso, lagerkvist

mercoledì, 31 ottobre 2007

LA SCOMMESSA SU DIO
Un aiuto per scommettere (in chiave umoristica)
***
"Che ne potete sapere voi di cosa rappresentano per me i peperoni. La prova provata dell'esistenza di Dio. Sono anni che porto i peperoni a sostegno della certezza che Dio esista.
Il ragionamento è dei più semplici, elementare perfino: immaginate i miliardi di galassie che al momento siamo riusciti a configurare, immaginate che alla periferia! di una di quelle galassie i ci sia la Terra e sulla terra la vita con la sua straordinaria complessità. Immaginate adesso che dopo aver cercato tutto ciò ci si  sia accorti che mancava qualcosa:
i peperoni! E si provveda.
Beh, non è fantastico tutto questo, non è forse degno della potenza divina, ché lei sola avrebbe potuto non smarrirsi in quell'intrigo di creature, in questa congerie di piante ed animali e capire cosa mancava alla perfezione, il tocco finale, la griffe dell'artista? Dopo aver organizzato un simile circo, Domeneddio SI deve essere detto: "Caspita, qui mancano i peperoni, il loro colore, il loro profumo! E che schifezza di Creazione stavo per autenticare!?" Sì, lo so, vi sento già dire che queste sono stupidaggini, che lo stesso discorso si potrebbe fare per qualunque altra cosa…
Beh, provate a farmela, la vostra contestazione. Obiettatemi: "E i carciofi, allora? E le patate? Vi risponderei: "Ecco, bravi, avete visto che anche voi siete capaci di trovare le prove dell'esistenza di Dio?" E voi restereste confusi.
O meglio, sareste restati confusi fino a poco fa, fino a che Carlo non mi ha mostrato i peperoni "fasulli" verniciati in Olanda perché ora non avrò più il coraggio di lanciarmi in un ragionamento così spericolato, senza l'adeguato conforto di un buon piatto di peperonata in prospettiva, come premio meritato alla mia fede. Non c'è più religione."
 

 Bruno Lauzi


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senso religioso


LA SCOMMESSA SU DIO
Un aiuto per scommettere
***
«Ignoro chi mi ha messo al mondo e cosa sia il mondo, e cosa io stesso. Mi trovo in una terribile ignoranza di tutte le cose, non so cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e quella stessa parte di me che pensa ciò che dico, che riflette su tutto e su se stessa, e non si conosce più di quanto conosca il resto. Io vedo questi spaventosi spazi dell'universo dentro cui sono rinchiuso, mi trovo come afferrato a un angolo di questa vasta estensione, senza sapere perché io mi trovi qui piuttosto che altrove, né perché quel poco di tempo che mi è stato concesso di vivere sia in un punto piuttosto che in un altro di tutta quell'eternità che mi ha preceduto e che mi seguirà.
Non vedo che infinità da ogni parte, che mi rinchiude come un atomo e come un'ombra che dura un solo istante.
Tutto ciò che so è che tra breve dovrò morire, ma ciò che maggiormente ignoro è proprio quella morte che posso evitare.
Così come non so da dove vengo, non so dove vado, so solo che uscendo da questo mondo cadrò per sempre nel nulla o nelle mani di un Dio incollerito, senza conoscere quale di queste due condizioni sarà la mia sorte eterna. Ecco la mia condizione, piena di debolezza e incertezza. Da tutto ciò deduco che devo dunque passare ogni giorno della mia vita senza pensare a ciò che mi capiterà. Forse potrei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi, ma non voglio preoccuparmene, né fare un solo passo per cercare; anzi, disprezzando quelli che si macereranno in questa preoccupazione, andrò incontro, incurante e senza paura, a questo grande avvenimento, mi lascerò docilmente condurre alla morte, incerto sull'eternità della mia condizione futura».
Chi si augurerebbe di avere per amico un uomo che parla in questo modo? Chi lo sceglierebbe per confidargli i propri problemi? Chi ricorrerebbe a lui nei momenti difficili?
E infine a quale impiego può essere destinato nella vita?
A dire il vero la religione può gloriarsi di avere per nemici uomini così irrazionali; e la loro opposizione è così poco pericolosa che, al contrario, serve a confermare le sue verità. Perché la fede cristiana si riduce quasi esclusivamente ad affermare queste due cose: la corruzione della natura e la redenzione di Gesù Cristo.
 B. Pascal:  I Pensieri

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pascal, senso religioso


La scommessa su Dio
Un aiuto per scommettere
***
Nel bridge, mi dicono,
si deve giocare a soldi,"altrimenti il gioco non è serio".
Qui è la stessa cosa, a quanto pare.
La dichiarazione - Dio o nessun Dio, Dio buono o Sadico Cosmico, vita eterna o nulla -
non è seria se non c'è una posta di qualche valore.
E solo fino a che punto sia seria lo si scopre solo quando le puntate diventano paurosamente alte, quando si capisce che la posta in gioco non è un pugno di gettoni o di monetine, ma la nostra intera ricchezza.
Niente che sia meno di questo può scuotere l'uomo (non, almeno, un uomo come me)
dalle sue riflessioni meramente verbali e dalle sue convinzioni meramente immaginarie.

C.S.Lewis Diaro di un dolore

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lewis, senso religioso

martedì, 30 ottobre 2007

La filosofia come stupore
***
Nella filosofia e nel pensiero moderni, il dubbio occupa la stessa posizione centrale che occupò per tutti i secoli prima il thaumàzein dei greci, la meraviglia per tutto ciò che è in quanto è.
Descartes fu il primo a concettualizzare questo dubitare moderno, che dopo di lui divenne il motore evidente .. e dato per scontato che ha mosso tutto il pensiero, l'asse invisibile sul quale si è incentrato ogni pensare. Propri come da Platone e Aristotele fino all'età moderna, la filosofia, nei suoi maggiori e più autentici rappresentanti è stata l'articolazione dello stupore di fronte a ciò che è, così la filosofia moderna, da Descartes in poi, è consistita nelle articolazioni e ramificazioni del dubbio.
Hannah Arendt   da: Vita activa

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bellezza, arendt, avvenimento, senso religioso


Il cuore dell’uomo
 batte per l’Infinito
***

E non è forse vero che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore (sebbene vago e incerto anche nei migliori amici) di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate sempre di trovare, di vedere e di sentire, sotto il flusso di altri desideri e in tutti i temporanei silenzi tra le altre passioni più forti, notte e giorno, anno dopo anno, dall'infanzia alla vecchiaia? Non l'avete mai posseduto. Tutte le cose che hanno mai posseduto profondamente la vostra anima ne sono state solo degli indizi - barlumi allettanti, promesse mai completamente realizzate, echi che si spegnevano subito appena vi arrivavano alle orecchie. Ma se questa cosa dovesse veramente manifestarsi - se mai dovesse sentirsi un'eco che non si spegnesse subito ma si espandesse nel suono stesso - voi lo sapreste. Al di là di ogni possibilità di dubbio direste: "Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato". Non possiamo parlarne gli uni con gli altri. E' la firma segreta di ogni anima, l'incomunicabile e implacabile bisogno, la cosa che desideravamo prima di incontrare le nostre mogli, i nostri amici o prima di scegliere il nostro lavoro, e che desidereremo ancora sul nostro letto di morte, quando la mente non riconoscerà più né moglie né amico né lavoro. Mentre noi esistiamo, questa cosa esiste. Se la perdiamo, perdiamo tutto.
    C.S. Lewis, da Il cielo

a P.

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dio, bellezza, lewis, senso religioso


Tratto da: 
Il senso religioso in Matisse
***

La risposta di Matisse ad  una lettera a Monique, ormai sr. Jacques-Marie

"Voi vivete la vostra vita spirituale nella luce. Ed io? Io non vivo che per la luce e sono stato a cercarne una nuova sfumatura agli antipodi [10]... La sottomissione, l'ho anch'io, è per questo che ho potuto essere insultato da tutti i critici d'arte per più di 20 anni, poiché io ero sottomesso alla volontà divina, piuttosto che ai gusti di un pubblico che si basava su delle abitudini meccaniche indegne di una creatura d'origine divina o abitata da una particella divina donata ad ogni essere. Il Signore ha detto: “Fuori della Chiesa non c'è salvezza” [11]. La mia strada non si è precisata così. Io sono stato condotto (molto modestamente) pertanto ed io l'ho constatato solamente in questi ultimi anni, guardando a ritroso il mio cammino, a considerarmi come destinato dall'Altissimo a risvegliare nello spirito degli altri uomini la visione delle cose, che conduca ad una elevazione dello spirito, fino a giungere al Creatore. Io obbedisco io lo credo fermamente – al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. La mia contemplazione non può essere soltanto di ammirazione ma deve essere attiva, mettendo in moto tutte le risorse dello spirito per creare il mezzo più diretto per elevare lo spirito dei miei simili verso una regione che li faccia uscire dalla loro bassa condizione umana soprattutto dall'interesse “del guadagno per il guadagno” con il quale si pensa di poter tutto comprare. Voi pregate per me. Ve ne ringrazio. Domandate a Dio di donarmi nei miei ultimi anni la luce dello spirito che mi tenga in contatto con Lui, che mi permetta di far giungere la mia carriera lunga e laboriosa allo scopo che io ho sempre cercato; rendere la Sua gloria evidente ai ciechi per un nutrimento esclusivamente terrestre... Il bisogno di rispondervi mi ha obbligato a trovare, nel mio più profondo, delle cose che io non formulo mai con pensieri, che non provo il bisogno di comunicare agli altri... Io vado in questo momento, come tutte le mattine, a fare la mia preghiera, con la matita in mano, davanti ad un melograno coperto di fiori nei diversi stadi della fioritura e spio la loro trasformazione, facendo questo non con uno spirito scientifico ma compenetrato di ammirazione per l'opera divina. Non è questo un modo di pregare? Ed io non faccio che (ma, in fondo, io non faccio niente, perchè è Dio che conduce la mia mano) rendere evidente per gli altri l'intenerimento del mio cuore"
Henri Matisse


H.Matisse e sr.Jacques-Marie

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matisse, senso religioso

sabato, 27 ottobre 2007

Il paese fatato
 ***
Da: berlicche    mercoledì, 10 ottobre 2007
Viviamo in un paese fatato.

Possiamo molto di più dei re e dei maghi delle fiabe. Ognuno ha il suo cavallo metallico più veloce del migliore purosangue; mangiamo cibi che i nobili e i ricchi delle epoche passate non si sognavano. Torme di servi invisibili ci lavano i piatti, ci puliscono la casa, e i migliori attori del mondo si esibiscono per noi mentre stiamo comodamente sdraiati su morbidi divani. Viviamo a lungo, fino ad età che in altri tempi sarebbero state leggendarie, e in buona salute, con denti in grado di masticare ed occhi capaci di vedere. Abbiamo conoscenze che i saggi e i sapienti dell'antichità non sognavano neanche.
Eppure non siamo felici.
Qualcosa ci manca, ci sfugge sempre, è sempre un passo più in là.
Un giorno contempleremo pianeti e galassie dalle nostre finestre, e forse vivremo vite così lunghe che le nostre attuali ci sembreranno quelle di effimere farfalle. Ma quello che vorremo afferrare sarà sempre un passo più avanti, là dove le nostre corte dita non riusciranno a raggiungere.

 

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senso religioso

venerdì, 26 ottobre 2007

IL SENSO RELIGIOSO
***
 “noi sentiamo che, anche se tutte le possibili domande scientifiche avessero una risposta, i nostri problemi vitali non sarebbero neppure sfiorati
Wittgenstein

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wittgenstein, senso religioso

giovedì, 25 ottobre 2007

IL SENSO RELIGIOSO

«“Tutto non morirò, non morirò tutto”
“Certe volte sento con assoluta chiarezza che
 io non sono tutto dentro me stesso.
C’è qualcosa d’altro di indistruttibile, di altissimo!
Una specie di scheggia dello Spirito Universale.
Lei non lo sente?"»
Solzenicyn Reparto C


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solzenicyn, senso religioso

lunedì, 22 ottobre 2007

L'uomo di neve      

                     ***
di H. C. Andersen

«Fa così freddo che scricchiolo tutto» disse l'uomo di neve. «Il vento, quando morde, fa proprio resuscitare! Come mi fissa quello là!» e intendeva il sole, che stava per tramontare. «Ma non mi farà chiudere gli occhi, riesco a tenere le tegole ben aperte.»Infatti i suoi occhi erano fatti con due pezzi di tegola di forma triangolare. La bocca invece era un vecchio rastrello rotto, quindi aveva anche i denti.Era nato tra gli evviva dei ragazzi, salutato dal suono di campanelli e dagli schiocchi di frusta delle slitte.Il sole tramontò e spuntò la luna piena, rotonda e grande, bellissima e diafana nel cielo azzurro.«Eccolo che arriva dall'altra parte!» disse l'uomo di neve. Credeva infatti che fosse ancora il sole che si mostrava di nuovo.
«Gli ho tolto l'abitudine di fissarmi, ora se ne sta lì e illumina appena perché io possa vedermi. Se solo sapessi muovermi mi sposterei da un'altra parte. Vorrei tanto cambiare posto! Se potessi, scivolerei sul ghiaccio come hanno fatto i ragazzi, ma non sono capace di correre.»
«Via, via!» abbaiò il vecchio cane alla catena. Era un po' rauco, lo era diventato da quando non stava più in casa e non dormiva più vicino alla stufa. «Il sole ti insegnerà senz'altro a correre! L'ho già visto con il tuo predecessore dell'anno scorso, e con quello dell'anno prima. Via, via! e tutti ve ne andrete!»
«Non ti capisco, amico!» disse l'uomo di neve. «Quello lassù mi deve insegnare a correre?» e intendeva la luna. «È corso via infatti, quando l'ho fissato prima, ma ora spunta fuori da un'altra parte!»
«Tu non sai nulla» gli rispose il cane alla catena «ma sei appena stato fatto! Quella che tu vedi si chiama luna, quello che se n'è andato era il sole. Tornerà domani e ti insegnerà a scorrere nel fosso. Tra poco cambierà il tempo, lo sento dalla zampa posteriore che mi fa male. Cambierà il tempo.»
«Non lo capisco» commentò l'uomo di neve «ma ho la sensazione che stia dicendo qualcosa di spiacevole. E quello che mi fissava e se ne è andato si chiama sole, non deve essermi amico neppure lui, lo sento.»
«Via! Via!» abbaiò il cane alla catena, poi girò tre volte su se stesso e si ritirò nella cuccia per dormire. 
Il tempo cambiò davvero. Una nebbia fitta e umida si stese durante la mattinata su tutto il territorio, all'alba cominciò a soffiare il vento, un vento gelato che fece spuntare dappertutto il ghiaccio, ma che splendore quando comparve il sole! Tutti gli alberi e i cespugli erano ricoperti di ghiaccio, era come vedere un intero bosco di coralli bianchi, come se tutti i rami fossero ricoperti di lucenti fiori bianchi. Quei rami sottili che d'estate non si possono vedere a causa delle molte foglie si mostravano ora uno per uno, sembravano un ricamo, e tutto era bianco splendente come se da ogni ramo sgorgasse un bianco splendore. La betulla si piegava al vento, c'era vita in lei, come in tutti gli alberi nel periodo estivo, era uno splendore senza fine. Quando brillò il sole ogni cosa scintillò, come se tutto fosse stato ricoperto di una polvere lucente, e sulla distesa di neve che ricopriva la terra luccicavano grandi diamanti, o meglio si poteva credere che bruciassero infiniti lumini ancora più bianchi della bianca neve.
«È una meraviglia incredibile!» disse una fanciulla che con un giovane attraversava il giardino, poi si fermò proprio vicino all'uomo di neve e si mise a guardare quei meravigliosi alberi «In estate non c'è una vista così bella!» disse, e le brillavano gli occhi.«E non abbiamo neppure un tipo come questo qui!» disse il giovane indicando l'uomo di neve. «È proprio bello!»La fanciulla rise, fece una riverenza all'uomo di neve e ballò col suo amico sulla neve che scricchiolò sotto di loro, come fosse stata di celluloide.«Chi erano quei due?» chiese l'uomo di neve al cane alla catena. «Tu vivi da più tempo qui nel cortile, li conosci?»«Certo!» disse il cane alla catena. «Lei mi ha accarezzato, e lui mi ha dato un osso. Così non li mordo.»
«Ma che cosa rappresentano qui?» chiese l'uomo di neve.
«Innamo-o-r-a-t-i» disse il cane. «Si trasferiranno in un canile e rosicchieranno insieme le ossa. Via! Via!»
«E due come loro sono importanti quanto te e me?» chiese l'uomo di neve.
«Appartengono alla classe dei padroni» disse il cane. «Non si sa proprio nulla quando si è nati ieri, lo vedo bene guardando te! Io invece sono vecchio e ho una grande conoscenza delle cose, conosco tutti qui nel cortile! E ho conosciuto un tempo in cui non stavo qui al freddo e alla catena. Via! Via!»
«Il freddo è bello» disse l'uomo di neve. «Racconta, racconta! ma non devi agitare la catena perché mi fa scricchiolare.»
«Via! Via!» abbaiò il cane. «Io ero un cucciolo; piccolo e grazioso, così dicevano, quando stavo su una sedia di velluto o mi prendeva in grembo il padrone più importante; mi baciavano sulla gola e mi asciugavano le zampette con un fazzoletto ricamato. Mi chiamavamo “Bellissimo”, “Tesoruccio”, ma poi divenni troppo grande per loro, allora mi diedero alla governante. Passai così al pianterreno. Lo puoi vedere da dove ti trovi, puoi vedere in quella cameretta dove io sono stato padrone, quando ero dalla governante. Naturalmente era più piccola di quella di sopra, ma era molto più piacevole: non venivo stuzzicato e trascinato dappertutto dai bambini, come accadeva di sopra; e avevo del buon cibo, proprio come prima, anzi di più! avevo il mio cuscino e poi c'era una stufa che in questa stagione è la cosa più bella del mondo! Mi raggomitolavo lì sotto e era come se sparissi. Oh, quella stufa me la sogno ancora. Via! Via!»
«È bella la stufa?» chiese l'uomo di neve. «Mi assomiglia?»
«È proprio il tuo contrario! È nera come il carbone, ha un lungo collo e uno sportelletto d'ottone; divora pezzetti di legno, così le esce il fuoco dalla bocca. Bisogna mettersi proprio di fianco, vicini vicini, o anche sotto, che meraviglia! Tu dovresti riuscire a vederla attraverso la finestra!»
L'uomo di neve guardò e vide veramente un grande oggetto nero, lucido, con una porticina di ottone, e il pavimento intorno tutto illuminato. L'uomo di neve si sentì molto strano, aveva una sensazione che non riusciva a spiegarsi, sentiva qualche cosa che non conosceva, ma che tutti conoscono se non sono fatti di neve. «Perché l'hai lasciata?» chiese l'uomo di neve: sentiva che doveva essere una creatura femminile. «Come hai potuto lasciare un posto simile?»
«Ci fui costretto» spiegò il cane alla catena. «Mi cacciarono fuori e mi misero alla catena. Avevo morso il padrone più giovane alla gamba, perché aveva dato un calcio a un osso che stavo rosicchiando. Osso per osso, pensai io! Ma loro se la presero molto e da allora mi trovo alla catena e ho perso la mia bella voce: senti come sono rauco! Via! Via! E così finì la bella vita per me.»
L'uomo di neve non ascoltava più, fissava continuamente la stanza della governante dove si trovava la stufa sulle quattro gambe di ferro: sembrava alta quanto lui. «Come scricchiolo!» disse. «Riuscirò mai a entrare? Sarebbe un desiderio innocente e tutti i nostri desideri innocenti dovrebbero venire esauditi. È la mia massima aspirazione, il mio unico desiderio, e sarebbe quasi ingiusto se non venisse esaudito. Devo andare lì dentro, devo arrivare fino a lei, anche se devo rompere il vetro.»
«Non entrerai mai!» rispose il cane alla catena. «E se mai arrivassi alla stufa, allora te ne andresti, hai capito? te ne andresti.»
«È come se fossi già andato!» disse l'uomo di neve. «Mi viene da vomitare.»
Per tutto il giorno l'uomo di neve guardò in quella stanza; nella penombra il locale sembrava ancora più bello, dalla stufa proveniva una luce così tenue che neppure la luna o il sole sapevano eguagliare, un bagliore tipico di una stufa quando c'è qualcosa dentro. Se aprivano la porta, allora usciva una fiammata, era una sua abitudine; questa fece diventare il bianco volto dell'uomo di neve tutto rosso, e lo illuminò fino al petto. «Non resisto più!» disse. «Come le dona tirar fuori la lingua!»
La notte fu molto lunga, ma non per l'uomo di neve che si era abbandonato ai suoi bellissimi pensieri, e questi, gelando, scricchiolavano. Al mattino le finestre del pianterreno erano gelate, ricoperte dei più bei fiori di ghiaccio che un uomo di neve possa desiderare, ma gli toglievano la vista della stufa. Il ghiaccio dei vetri non voleva sciogliersi, così lui non riusciva a vederla. Si sentiva uno scricchiolio, un crepitio, era proprio un tempo da gelo che doveva divertire un uomo di neve, ma lui non era per niente divertito: avrebbe potuto sentirsi felicissimo ma non lo era, perché aveva nostalgia della stufa.
«È una pessima malattia per un uomo di neve!» commentò il cane alla catena. «Ho sofferto anch'io di quella malattia, ma ormai l'ho superata. Via! Via! Ora cambierà il tempo.» 
E infatti il vento cambiò, e sciolse la neve. Venne il caldo, e l'uomo di neve dimagrì. Non disse nulla, non scricchiolò, e questo era proprio il segno della fine. Una mattina crollò. Nel punto in cui si trovava rimase infilzato qualcosa che assomigliava a un manico di scopa: i ragazzi ce lo avevano costruito intorno. «Adesso capisco quella sua nostalgia!» disse il cane alla catena. «L'uomo di neve aveva un raschiatoio della stufa in corpo; è quello che lo turbava, ma adesso tutto è finito. Via! Via!» 
E ormai anche l'inverno era quasi finito.
«Via! Via!» abbaiava il cane alla catena, ma le bambine in giardino cantavano: 

Affrettati, mughetto, bello e fresco, 
getta i rametti, o salice. 
Venite, cuculi, allodole, cantate!
C'è già primavera alla fine di febbraio! 
Io canto con voi, cuculi, cucù! 
Vieni, caro sole, esci anche tu!

E nessuno pensò più all'uomo di neve

da: http://www.letturegiovani.it/Andersen/uomo_di_neve.htm
 

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senso religioso








VINCENT VAN GOGH: UNA FEBBRE DI TA

                     ***
dal bellissimo sito di: Roberto Filipetti
Presentazione in videoproiezione dell'intero percorso creativo di Vincent Van Gogh: i dipinti e le folgoranti riflessioni del pittore.


Un viaggio reso affascinante dal racconto di ROBERTO FILIPPETTI, studioso d'arte e letteratura. Un ideale museo virtuale con i capolavori di Van Gogh riprodotti ad alta definizione in grandi dimensioni.

Un viaggio in dodici tappe di cui diamo qui di seguito la traccia, e qualche assaggio delle riflessioni del pittore, tra dramma esistenziale e autoesegesi:

1     Vocazione

2     La gabbia e la via d'uscita
Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? E' un affetto profondo, serio. Essere amici, essere fratelli, amare spalanca la prigione per grazia potente. Ma chi non riesce ad avere questo rimane chiuso nella morte.

3     Autoritratti

4     La compassione per gli umili, piegati e dignitosi

5     La poetica
Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente...
Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere, non una malinconia sentimentale, ma il dolore vero.
Voglio che la gente dica delle mie opere: "sente profondamente, sente con tenerezza"...
...
...cosa voglio: riconciliare gli uomini con il loro destino terreno. Vorrei fare un'arte che apporti consolazione agli uomini.

6     Millet padre & Van Gogh figlio

7     Bellezza, splendore del vero

8     L'infinito
Se tutto ciò che facciamo si affaccia sull'infinito, si lavora più serenamente.

9     Grandezza dell'uomo
Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l'aureola.

10   L'infinito negli occhi di un bambino
un bambino nella culla, se lo si osserva con calma, ha l'infinito negli occhi.
...
Se si sente il bisogno di qualcosa di grandioso, di infinito, di qualcosa che ci faccia sentire la presenza di Dio, non c'è bisogno di andare lontano per trovarlo. Penso a volte di vedere qualcosa di più profondo e di infinito, di più eterno che nell'oceano, negli occhi di un bimbo, quando si sveglia al mattino, e ride, perché vede il sole che splende sulla sua culla.

11   De-siderio
Quando sono colto dal mio «terribile bisogno di religione», vado fuori di notte a dipingere le stelle...

12   Morte e rinascita







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van gogh, senso religioso


La nostalgia dell’infinito
                     ***
Se vuoi costruire una nave non chiamare la gente che procura il legno, che prepara gli attrezzi necessari, non distribuire compiti, non organizzare il lavoro.
Prima invece sveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato.
Appena si sarà svegliata in loro questa sete, gli uomini si metteranno subito al lavoro per costruire la nave
.
 Antoine de Saint-Exupéry


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domenica, 21 ottobre 2007

Il senso religioso

***
"Quando considero la breve durata della mia vita, inghiottito dall'eternità che la precede e la segue, il piccolo spazio che occupo e che vedo, sprofondato nell'infinita immensità degli spazi che ignoro e mi ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perchè non c'è alcuna ragione per essere qui piuttosto che là, per esserci ora piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo? Per ordine e per opera di Chi questo luogo e questo tempo è stato a me destinato?"
Pascal


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pascal, senso religioso


Qualcosa per cui valga la pena di vivere

***



L'uomo non riesce a trattenere il suo amaro e struggente desiderio di sapere se la vita sia soltanto una serie di momentanei processi fisiologici, di desideri e sensazioni che scorrono come i granelli in una clessidra che segna il tempo una volta sola. Si domanda se la vita è soltanto un miscuglio di fatti privi di rapporti reciproci. Non esiste un'anima sulla terra che non si sia resa conto che la vita è tetra se non si rispecchia in qualcosa che possa durare. Vogliamo tutti convincerci che esiste qualcosa per cui valga la pena di vivere.
A. Heschel



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