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sabato 25 febbraio 2012

talbot matteo


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Il venerabile Matteo  Talbot

Ex alcolizzato cronico

Da:  http://www.preghiereagesuemaria.it/bambini/strade%20nuove%20con%20la%20mamma.htm

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Dublino, inizio della seconda metà del secolo XIX. La famiglia Talbot, dal padre ai figli, era «consacrata» a bere. Il padre, Charles Talbot, 33-enne, basso di statura, gran lavoratore del por­to, beveva molto, almeno nel fine-settimana, me­glio ancora tutti i giorni.
I figli, 12, nei primi vent'anni di matrimonio di Charles con Elizabeth Bagnall, quelli che riusci­rono a crescere e a farsi adulti, furono gran lavo­ratori, ed insieme bevitori potenti, implacabili.
Solo John e la madre facevano eccezione. La mam­ma, Elisabeth, era una donna meravigliosa, fer­vente cristiana, capace di sacrificarsi come una martire antica, ricca dell'indomabile forza che è la preghiera.
Da quella famiglia, meglio sarebbe dire: dà quella tribù irlandese, nacque il sabato 3 maggio 1856 Matteo Talbot. Nella sua famiglia poté trova­re quel che abbiamo detto: povertà, lavoro, vino, ubriacature solenni... e la fede della madre.
Un loro conoscente diceva:
«Questionavano sempre. Al sabato, quando avevano strabevuto, era un cozzare di contrasti». Una famiglia di spugne assorbenti vino e poi ancora vino.
Bacco dominava incontrastato. Schiavo del bicchiere
Andare a scuola non era obbligato. Le scuole nazionali erano anticattoliche. Perciò molti catto­lici non mandavano a scuola i loro rampolli. Esi­stevano però della scuolette per ragazzi poveri.
Matteo - detto Matt, familiarmente - crebbe libero e vagabondo fino a undici anni. Il 6 maggio 1867 fu mandato a scuola: vi imparò a leggere e a scrivere, un po' di grammatica e di aritmetica, eb­be istruzione religiosa e fu preparato a ricevere i sacramenti.
Cominciata la scuola a maggio, Matt imparò la prima poesia: era dedicata alla Madonna e dice­va così:
O Madre di bontà, di giorno in giorno di più col cuore mio ti voglio amare, tu spargi i doni tutto a me dintorno come la sabbia in riva al nostro mar. Anche se povertà, fatiche, affanni faran pesar la vita su di me, chi non lo sa che fra i peggiori danni il buio è la luce per chi ama Te?
Matt cantava con amore gli inni della Madon­na, specialmente quando i ragazzini si radunavano insieme al suono dell'Angelus a mezzogiorno. La mamma gli aveva insegnato ad amare Maria. Ma nel resto non si impegnava. Il maestro, sul regi­stro, scrisse una nota triste: «A Mitcher» cioè «poltrone».
Cresciuto libero e selvaggio fino a undici anni, preferiva marinare la scuola. C'era più gusto. Là dentro, in fondo, era una prigione.
L'anno dopo fu mandato a lavorare, piccolo incauto dodicenne. Il padre lo impiegò in un ma­gazzino di vini e di birra. Dopo poco tempo, Matt sentiva una voglia pazzesca di bere. E cominciò a bere allegramente.
A 16 anni, Matt era un alcoolizzato cronico che non si interessava più di nulla, né di feste, né di giochi o balli: solo il bere era per lui inte­ressante.
Lavorava senza risparmiarsi. Guadagnava di­scretamente, ma «beveva» quasi tutto. Anzi faceva debiti per bere. Vendette persino scarpe e cami­cia, pur di avere soldi per bere. Tuttavia aveva an­cora un certo senso della dignità personale: non era volgare, era ancora affettuoso e delicato con mamma e sorelle.
A suo modo, continuava ad essere devoto del­la Madonna: di tanto in tanto qualche Ave Maria, e alla domenica, la Messa, anche se ormai era di­ventato il povero schiavo del bicchiere di vino.
La mamma però non disperava di recuperare quel ragazzo. La gente del luogo diceva: «Povero Matt, va diritto al diavolo». La mamma gli sbarra­va la strada con una siepe di Rosari, sempre più spessa.
Eppure Matt fu un ubriacone fino a 28 anni. Un sabato del 1884 non aveva avuto lavoro quella settimana.
Era senza soldi: Sperava che gli amici lo invitassero a bere. Il bar era di fronte a lui, seducente. Ma nes­suno dei suoi amici si fermò per farlo bere. Lo de­ridevano allegramente: «Toh, vedilo, l'ubriaco, og­gi a bocca asciutta! ».
Matt andò barcollante fino al parapetto del ponte sul fiume. Provava vergogna di se stesso. Guardò un po' l'acqua che scorreva: veloce e scura del fiume Liffey. Tentato suicidio? Nessuno può dirlo... Si allontanò dal fiume e andò a casa, facendo gesti da rivoluzionario. Era ora di finirla con quel­la vita disumana. Si sarebbe tolto a viva forza, ce l'avrebbe fatta sarebbe riuscito ad essere un uomo normale.
Giunto a casa, la mamma rimase stupitissima: per la prima volta non era ubriaco: «Già qui, ra­gazzo mio?» gli disse. «Sì, mamma» - rispose. Ri­mase in casa anche dopo pranzo, poi disse alla ma­dre: «Vado a fare voto di non bere più».
Si recò da Padre Keane, docente del seminario di Dublino. Si confessò e chiese di fare il voto. Lo fece per tre mesi, come prova. La domenica suc­cessiva, Matt andò a Messa e fece, dopo tanti anni, la Comunione: «O Gesù, ti offro il desiderio bru­ciante di non più offenderti, di cominciare una vi­ta nuova con la tua grazia».
Potevano sembrare parole. Come resistere al­la voglia di bere?
La mattina dopo, il lunedì, era alla Messa del­le cinque, per essere sul lavoro alle sei. Da allora fece sempre così, tutti i giorni. Dopo il lavoro, per fuggire le cattive compagnie, andava in una chiesa lontana, a pregare fino all'ora di tornare a casa prima di notte.
La sorella Susanna diceva: «Matt è diventato un altro! ».
La mamma, trasecolata di gioia, continuava a dire Rosari, perché Maria lo sostenesse in quella lotta senza quartiere contro l'alcool e la bestialità. Matt conserverà sempre il ricordo vivissimo che la sua conversione era dovuta ai Rosari sgranati da sua madre, e che era avvenuta di sabato dedica­to alla Madonna.
Maria, la Madre di Cristo, e la sua mamma si erano accordate per ridargli la vita, quella vera.

Una vita completamente diversa

Ora era un convertito. D'accordo, ma quanta voglia di bere aveva ancora in corpo! Una voglia strana da strozzarlo. Eppure resisteva con una forza di volontà da far paura. Non si sentiva solo in quella lotta impari. Quando provava « sete », fug­giva dai bar come dalla peste, correva verso la chiesa, vi entrava, andava a mettersi ai piedi del Crocifisso, pregava: «O Maria, mia buona mamma... ».
I suoi compagni di bevute erano stupiti. Matt era diventato un altro, non solo perché non beveva più, ma perché voleva liberare gli amici dal vizio dell'alcool. Un giorno un amico, Pat Doyle, andò a cercarlo per portarlo al bar. Rifiutò e lo accompagnò, quasi furiosamente, presso una chiesa e lo af­fidò ad un sacerdote.
Pat si confessò di tutto il suo brutto passato, poi scappò via veloce. Anche lui aveva fatto voto di non bere piu!
Da parte sua, Matt capiva che ora doveva co­struire la sua vita in modo completamente nuovo. La sua istruzione era molto elementare, sapeva la­vorare duro, era irascibile, insomma sembrava un «masso di pietra» grezzo e spigoloso, ancora tutto da scolpire. Come avrebbe fatto a «sgrossarsi»?
Come prima e più di prima, continuò a lavora­re in modo deciso e costante, senza risparmiarsi. Poi riempì le sue giornate di letture spirituali, per istruirsi a fondo nella fede, di preghiera quasi ininterrotta, di penitenza, come un antico eremita. Il cuore, con il passare del tempo, gli ardeva di un amore fortissimo al Cristo e a Sua Madre. Questo amore lo trasformava dentro e fuori.
Dal maggio del 1884 aveva un lavoro fisso, a cui fu così fedele da meritarsi il titolo del «miglio­re lavoratore di Dublino». La sua giornata, piena di lavoro, si apriva alle 5, prima dello spuntare del sole, con la Messa e la Comunione. Prima aveva già pregato due ore a casa sua. Al ritorno dal lavo­ro, consumato un pasto frugale, ritornava a prega­re, a leggere cose spirituali.
Il sabato pomeriggio e la domenica, libero dal lavoro, li trascorreva inginocchiato, davanti al tabernacolo, in lunghe, interminabili ore di preghie­ra eucaristica. A volte, nei primi tempi, la sua vo­glia di bere ruggiva in petto. Fu tentato fortemen­te di rompere il voto, ma resistette, ed allora rinnovò il voto per altri sei mesi, poi per un anno, infine per tutta la vita.
La mamma, felice perché quel suo figlio «che era morto, ora era tornato in vita», lo sosteneva a resistere e lo affidava continuamente alla Madonna.
Dopo la sua conversione, andò ad abitare in una stanza da solo, vicino alla sorella Maria. La buona sorella testimonierà un giorno che Matt dormiva su un tavolaccio con ún tronco per guan­ciale. E che pregava sempre, quando era in casa. Voleva essere povero come Gesù. Nella stanza poverissima, non c'era che un letto di ferro, un ta­volo, una sedia, un Crocifisso. Si disfece di tutto. Si privò anche del fumo, oltre che del vino e della birra: e questo per lo stomaco di ex-alcoolizzato è un vero prodigio.
Dentro di lui cresceva l'amore verso il Cristo ed è questo che conta. Si mortificava per amare di più, per essere più libero per il suo Dio, per rasso­migliare di più al suo Signore Crocifisso.
Penitenza per liberarsi dal vino e da ogni lega­me con il negativo o il superfluo. Un tempo ebbro di vino, ora «ebbro di Dio», per il quale incatenava il suo corpo e trovava la libertà più vera. A noi non è chiesto di imitare la sua mortificazione se que­sta non è la nostra vocazione, ma a tutti è dato di imitare il suo amore al Cristo e la sua devozione filiale alla Madonna Santissima.
E Matt visse così per anni, passando di luce in luce...

Burlone e amico di tutti

Severo con se stesso, si scioglieva in tenerezza con gli altri. Tra i suoi compagni di lavoro, non so­lo era gentile, pronto sempre ad aiutare chiunque in qualsiasi difficoltà, ma aveva sempre la barzel­letta pronta, la battuta allegra per incoraggiare o sbloccare una situazione difficile e aspra.
Era sempre felice, di un'intima gioia. Parlava con schiettezza, teneva fede, e pretendeva che lo facessero con lui, alla parola data. Prestava dena­ro, voleva che gli fosse restituito... per poterlo do­nare con generosità, perché lui era fin troppo ric­co di Dio!
Nel 1909 cambiò lavoro e passò presso i Mar­tin, commercianti di legnami da costruzione, per­ché con il loro orario aveva più tempo per leggere, pregare, vivere la sua unione con Dio. Era diventa­to popolarissimo tra gli altri lavoratori che, ben­ché rudi, lo stimavano per la sua laboriosità, il buono umore, la vita santa che conduceva.
Alla sera, quando il lavoro cessava, accompa­gnava a casa i suoi compagni di lavoro e, durante il percorso, li invitava ad una visita in chiesa, per pregare Gesù nell'Eucarestia, e la «sua» Regina, la Madonna. Quegli uomini, dalle mani callose e dal­le parole «grosse», a volte volgari, lo rispettavano e lo seguivano; Matt aveva per loro l'autorevolezza della fede, dell'amicizia con Dio, della carità verso tutti.
Per conto suo era un eremita; con gli altri era migliore di un fratello.

Laico «consacrato»

Ancora giovane ebbe una proposta di fidanza­mento. Una ragazza che lo stimava, piuttosto ric­ca, gli propose il matrimonio: sarebbe stata felice con lui. Matt volle riflettere e fece una novena alla Madonna per essere illuminato sul suo futuro. Aveva allora solo trent'anni ed era molto equili­brato rispetto alla vita sregolata condotta prima.
Alla buona ragazza, disse di no: era stata la Vergine a dirgli di non sposarsi. Non avrebbe po­tuto congiungere la vita matrimoniale con lo stile che lui voleva vivere. E così disse ancora di no ad altre offerte di matrimonio. Non disprezzava cer­to il matrimonio, ma cercava per se stesso la «vo­lontà di Dio».
Il 18 ottobre 1891 entrò nel Terz'Ordine di S. Francesco, prendendo il nome di «Fra Giusep­pe». Si iscrisse pure all'Associazione di Maria Im­macolata e cercava di portarvi anche altri. Pro­prio presso l'associazione mariana, parlava in quegli anni il Padre gesuita Toni Murphy sui gran­di problemi della fede. Matt ne era entusiasta e s'industriava di portare i suoi amici ad ascoltare la parola di quel grande uomo.
Un'attività notevole come la sua, non poteva certo reggersi sul nulla. Gli era necessaria una vi­ta interiore ricchissima e insieme anche una pre­parazione culturale, religiosa, cristiana, capace di attrezzarlo ad essere un valido testimone di Cristo.
Matt diventò per questo un formidabile ed acuto divoratore di libri.
Leggeva assiduamente la Bibbia, meditandola nel suo cuore. Con la Bibbia tra le mani, pregava con fervore per comprendere la Parola di Dio e tradurla in pratica nella sua vita. Prediligeva il Deuteronomio e il Vangelo di Matteo, di cui porta­va il nome. Sui margini, diventavano sempre più fitti i segni ai passi che più lo avevano colpito.
Lesse altresì molti libri di spiritualità di otti­mi autori e libri di teologia, così da apparire esperto in questioni religiose. Approfondì le que­stioni della società e del lavoro nel suo tempo. Molti compagni lo consultavano e ne ricevevano risposte esaurienti. Un giorno un compagno gli pose un problema difficile... e Matt si procurò un li­bro facendolo arrivare da New York, spendendo lo stipendio di una settimana, pur di poter rispon­dere con competenza.
Appassionato dalla santità, desideroso di arri­varci, lesse numerose vite di santi, tra i quali si sentiva «a casa sua».
Nel mondo del lavoro, seppe essere vicino ai compagni, condividendo problemi e fatiche. Di lo­ro, del loro benessere, si interessava con un senso vivissimo dell'amicizia.
Un giorno, uno dei direttori dell'azienda gli domandò: «Il tale è arrivato in ritardo?». Gli rispo­se Matt: «Non desidero di ricevere di queste do­mande!» Poi andò a cercare l'amico e gli spiegò: «Non voglio mentire per coprirti».
Un'altra volta una signora vide nella tasca di Matt «un catechismo socialista del lavoro». Lo ac­cusò di essere marxista. Matt le rispose con parole di fuoco e la signora capì che quell'uomo era fede­lissimo alla Chiesa e nel medesimo tempo ai lavo­ratori.
Un collega parlò con lui di uno dei proprietari chiamandolo «padrone». Matt ribattè: «Non è il mio padrone, è solo un datore di lavoro. Io ho sol­tanto un Padrone in cielo».
Nel 1900 gli operai scioperarono, per una cau­sa che Matt ritenne giusta. E partecipò allo sciope­ro, senza ritornare al lavoro, fino a quando pensò bene farlo. Di nuovo scioperò nel 1913. Non bada­va al proprio interesse: i suoi colleghi gli misero tra le mani l'indennizzo di sciopero, ma egli lo pas­sò ai lavoratori più poveri.
E nelle vertenze di lavoro andava davanti al Tabernacolo a perorare i diritti dei lavoratori.
«Il cuor ch'elli ebbe»
Alla morte di due fratelli, bevitori incorreggi­bili, Matt pagò lui le spese per i funerali. Un gior­no, prima di convertirsi, aveva rubato il violino ad un mendicante. Pentito, andò a ricercarlo per re­stituirgli tutto. Il pover'uomo, nel frattempo, era morto e Matt fece celebrare per lui delle Messe.
Nel 1899 gli morì il padre. Matt andò ad abita­re con la mamma che diventò la testimone della sua profonda conversione. Quando la mamma mo­rì, Matt la pianse e ne suffragò l'anima con lar­ghezza riconoscente.
Ad alcuni compagni di lavoro, volle pagare un giorno un buon paio di scarpe per ciascuno: ne avevano bisogno. Prestava volentieri il suo dena­ro, ma non accettava più la restituzione. Venne una volta un religioso a far «la questua» nella dit­ta dei legnami dove lavorava e Matt gli diede tutto lo stipendio.
Aiutava i missionari, anzi fece studiare a sue spese alcuni aspiranti alla vita missionaria. Vole­va bene ai ragazzi. Thomas O'Kelly che diventò due volte Presidente dell'Irlanda, da ragazzo, tra gli otto e i quindici anni conobbe Matt Talbot, quando faceva il chierichetto. Scrive: «Gli parlai più volte. Ci conosceva e ci chiamava per nome. Ci dava buoni consigli. Certi ragazzi lo burlavano, ma non se la prendeva mai. Mai lo vidi adirato, era sempre calmo, sereno».
Ed amava la sua patria, l'Irlanda, pregava per la sua libertà, ricordava nella preghiera i suoi ca­duti e di essi conservava le foto ritagliate dai giornali.
Era diventato l'uomo dell'amore.
La sua capacità di amare gli veniva dalla pre­ghiera, intensa, fervorosissima, prolungata. Tutto il suo tempo libero lo passava in preghiera.
Scrive il Presidente O'Kelly: «L'ho visto fare la Via Crucis. Più di una volta lo vidi pregare con le braccia spalancate, ad alta voce, gli occhi rivolti al Crocifisso. Sembrava in estasi».
Sul lavoro, nei momenti di requie, estraeva di tasca il suo Rosario e pregava la Madonna. Arrivò ad alzarsi alle due del mattino, per poter pregare fino all'ora di Messa. Sulla porta della chiesa, an­cora a volte chiusa, si inginocchiava e pregava, qualunque tempo facesse.
La sua chiesa era «S. Francesco Saverio», ma di domenica frequentava diverse chiese, per parte­cipare a tante Messe, ognuna secondo un'intenzione diversa. Il suo secondo direttore spirituale, P. Michael Hickey, un prete straordinario, lo aiutò a trasformare tutta la sua vita in preghiera.
Si lasciava guidare: per questo non fu mai strano nelle sue manifestazioni. Un uomo tutto di Dio, ma sempre gentile, cortese, profondamente umano.
«La mia buona Regina»
Per tutta la vita Matt si ritenne un «privilegia­to» di Maria. Non era stata lei la buona Mamma che l'aveva aiutato a strapparsi al bere e l'aveva avviato sulla strada della conversione al Cristo? Dunque, con Maria, occorreva continuare il cammino.
La mamma, mentre negli ultimi anni della sua vita, abitava con lui, si alzava di notte per vedere il «suo bambino» che pregava la Madonna. Con la corona del Rosario tra le mani, Matt parlava con la Madonna.
Un giorno Matt disse alla sua mamma: «Nes­suno sa che buona Regina è Maria per me». Ogni gesto della sua vita, la preghiera, il digiu­no, gli atti di carità, il lavoro, tutto doveva essere ringraziamento per la conversione che Maria gli aveva donato. Gli sembrava di non poter mai fare abbastanza per quell'intervento della Madonna nella sua vita.
Al sabato digiunava in onore della Madonna. Ogni giorno diceva il Rosario intero di quindici de­cine alla Madonna. Lo testimonia anche il Presi­dente O'Kelly, che da ragazzo, vedeva spesso Matt in ginocchio sugli scalini della chiesa, col Rosario tra le mani, oppure all'altare della Madonna. Allo stesso modo raccomandava ai ragazzi di dire tutti i giorni il Rosario.
Parlava della Madonna ai suoi compagni di la­voro. Recitava tutti i giorni l'Angelus. Viveva uni­to alla Madonna la sua «vita con Maria»: ne rivive­va i sentimenti, la fede, l'adorazione umile a Dio, il servizio agli uomini.
«O beata Madre, ottienimi da Gesù di parteci­pare alla sua follia» - era questa la invocazione prediletta.
E alla sera si addormentava con una statuina di Maria col Bambino Gesù sul cuore.
Maria lo condusse a vivere un lungo ininter­rotto «a tu per tu» con Cristo. Per Lui voleva esse­re limpido, puro, senza macchia, come l'Immaco­lata. Aveva una fame senza limiti di Gesù, Pane della vita, che voleva ricevere ogni giorno nella Comunione.
Le ore libere del lavoro, le trascorreva davanti al Tabernacolo: sempre davanti al Cristo, con sua Madre, come per una cura di sole che lo penetras­se tutto e lo riempisse di amore. Arrivò a trascorre­re sette ore della giornata davanti al Tabernacolo.
Discorreva un giorno con una signora. Costei le confidò che era sola e desolata perché suo fra­tello era andato in America. Matt le rispose: «So­la?! Come può sentirsi sola con Gesù nel Taber­nacolo?».
Gesù-Eucarestia era divenuto il centro vivo della sua esistenza.

Sulla vetta

Nel 1921 la sua salute si indebolì. Aveva 64 an­ni. Fu ricoverato al Mater Hospital. Il dottor Moo­re capì che stava curando un santo. Matt si riprese e ricominciò la scalata verso la santità. La vetta non era più lontana.
Nel 1923 fu due volte all'ospedale. Si riprese ancora. Un'altra ricaduta nel 1925, ma la sua fine sembrava ancora lontana. Lavorava ancora. Il 17 giugno, domenica, festa della Trinità, partecipò al­la Messa delle otto e fece la Comunione. Tornò a casa pallido, ma volle uscire di nuovo per parteci­pare ad un'altra Messa.
Stramazzò al suolo, colpito da infarto. Nella zona nessuno lo conosceva. Lo portarono all'ospe­dale. Morì quella sera, solo, poverissimo, scono­sciuto. All'indomani la sorella Susanna, non ritrovandolo, andò all'ospedale e riconobbe la salma. Sui fianchi aveva una catena che gli stringeva le carni.
Il manovale di Dublino ora vedeva il volto di Dio e della sua Mamma, felice.
Il giovedì seguente, - solennità del Corpus Do­mini, si svolsero i funerali. Lo vestirono con il suo abito da Terziario francescano. Seguirono la sua bara i suoi amici operai, i suoi poveri che lui aveva aiutato di nascosto, perché solo Dio sapesse.
In breve tempo tutta l'Irlanda ne parlava. In soli sei mesi furono venduti centoventimila esem­plari della biografia.
I leaders sindacali irlandesi si dissero orgo­gliosi di porre una lapide commemorativa dove Matt era vissuto e lo considerarono uno dei fonda­tori del loro movimento, anzi «un faro di luce» per tutti i lavoratori.
Dopo i processi diocesani per sondare la sua fama di santità, iniziati nel 1931, e quelli apostoli­ci a Roma, Papa Paolo VI lo proclamo «Venerabi­le», cioè eroico nella sua vita cristiana. Lo stesso Paolo VI disse ad alcuni pellegrini di Dublino: «Ho letto la vita di Matteo Talbot; ne sono commosso. È tempo che venga canonizzato. Farò del mio meglio».
Matt Talbot, un povero facchino di Dublino, che Maria trasformò in un eroe del Cristo.

MATTEO TALBOT



Postato da: giacabi a 13:56 | link | commenti
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1 commento:

Rosa ha detto...

Grazie....ho saputo da poco di questo Beato passato dall'alcool alla santità,e mi interessava leggere della sua vita