CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


sabato 25 febbraio 2012

tolkien


Il nostro compito

***

«Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare.»

J.R.R. Tolkien



Postato da: giacabi a 09:46 | link | commenti
tolkien

domenica, 14 febbraio 2010

 
 
Una gran bella favola, e nulla più
***
L’autore del Signore degli anelli visse da cattolico praticante soprattutto grazie alla fede della madre e diffidò delle idee spiritualiste e gnosticheggianti del gruppo letterario degli Inklings. Con cui, a torto, viene spesso confuso

 
di Giovanni Ricciardi

John Ronald Reuel Tolkien

      Per più di vent’anni, dal 1939 al 1962, un gruppo di professori universitari ebbe l’abitudine di ritrovarsi ogni martedì in un tranquillo pub di Oxford, l’Eagle and Child. Erano gli Inklings, un circolo letterario allora piuttosto informale, ma destinato a grandi fortune: il cinema li immortalò nel celebre Viaggio in Inghilterra del 1994. Due personalità emersero tra loro: Clive Staples Lewis e John Ronald Reuel Tolkien. Il primo raggiunse la fama a partire dagli anni Quaranta per una serie di libri di successo, tra cui le Lettere di Berlicche, gustoso epistolario tra un diavolo apprendista e il suo più esperto precettore sui modi più raffinati per tentare gli uomini. Tolkien sarebbe divenuto celebre dal 1954, grazie al Signore degli anelli, il romanzo più venduto e discusso del Novecento: oltre 100 milioni di copie dalla pubblicazione a oggi, senza contare la colossale versione cinematografica di Peter Jackson, il cui terzo episodio è in questi giorni nelle sale di tutto il mondo.
      Lewis e Tolkien si conobbero nel 1926 al Merton College di Oxford. Erano entrambi giovani professori della facoltà di Lettere. Lewis, brillante e affabile, proveniva dalle file dell’alta borghesia protestante dell’Ulster. Dichiaratamente agnostico, convisse a lungo con una donna divorziata molto più grande di lui, Janie Moore, conosciuta durante la guerra quando lui aveva 18 anni e lei 45.
      Tolkien, più schivo e riservato, aveva quattro figli, nati dal matrimonio con Edith Bratt. Era vissuto in ristrettezze fino all’approdo a Oxford, e anche allora lo stipendio riusciva a malapena a coprire le spese di una famiglia numerosa. Inoltre, caso raro per un docente universitario nell’Inghilterra di quegli anni, era diventato un cattolico devoto e fervente, grazie all’esempio della madre e del tutore, il padre oratoriano Francis Xavier Morgan.
     
      La fede di Mabel
      Tolkien era rimasto orfano di padre in tenera età. La giovane madre, Mabel Suffield, si era dovuta appoggiare economicamente alla famiglia d’origine per via della magra eredità lasciata dal marito. Quando però nel 1900 chiese improvvisamente di entrare nella Chiesa cattolica, il padre John, rigido metodista, non volle perdonare alla figlia un passo per lui incomprensibile. La donna, rimasta sola e priva di ogni sostegno, si trovò improvvisamente in estrema povertà. La situazione si aggravò quando Mabel contrasse il diabete nel 1904 e, priva di cure, si spense nel giro di pochi mesi. Ronald aveva allora undici anni.
      «Quando penso alla morte di mia madre» scriveva Tolkien nel 1965 al figlio Michael «stremata dalle persecuzioni, dalla povertà e dalle conseguenti malattie, nello sforzo di trasmettere a noi ragazzi la fede, e quando ricordo la minuscola camera da letto che dividevamo, affittata nella casa di un postino di Rednal, dove lei morì tutta sola, troppo malata per ricevere l’estrema unzione, trovo molto duro e amaro il fatto che i miei figli si allontanino dalla Chiesa. Naturalmente Canaan sembra diversa a quelli che l’hanno raggiunta provenendo dal deserto; e gli ultimi abitanti di Gerusalemme possono sembrare spesso degli sciocchi o delle canaglie, o peggio. Ma in hac urbe lux solemnis” mi è sempre sembrato vero».
      La famiglia di Tolkien divenne così l’Oratorio dei Padri di san Filippo Neri. Qui Mabel aveva incontrato il buon padre Morgan, che era stato il suo direttore spirituale. Prima di morire, nel timore che i figli fossero ricondotti nell’alveo protestante, lo aveva nominato tutore dei Tolkien fino al compimento della maggiore età.
      Ronald trovò in lui un precettore esigente ma premuroso, col quale nacque, negli anni, un rapporto di profonda amicizia. Il sacerdote provvide a fargli terminare gli studi, fino all’approdo alla facoltà di Lettere, e a educarlo alla fede e ai sacramenti: «Mi sono accostato con amore all’eucarestia fin dall’inizio» scriveva nel 1941 «e con la grazia di Dio non me ne sono mai distaccato».
      Vennero poi l’esperienza della guerra, il matrimonio, una rapida e brillante carriera accademica, l’incontro con Lewis.
     
      Conversione e dissidio
      A Oxford, Tolkien trascorreva molto tempo con l’amico, nelle stanze del college o in lunghe passeggiate serali. Lewis, incuriosito dalla religiosità di Tolkien, tornava spesso a porgli domande sulla fede. Poi, inaspettatamente, nel 1931, giunse alla conclusione di essere approdato al cristianesimo. Sulle prime, Tolkien ne fu felice – anche se Lewis tornò al protestantesimo irlandese dei suoi padri – ma la conversione dell’amico, alla lunga, piantò anche il seme del loro dissidio.
      «Per il fatto di aver trovato Dio» scrive Michael White, biografo di Tolkien, «trovato Cristo ed essere diventato un credente, Lewis immediatamente si buttò nel ruolo dell’apologeta cristiano, ruolo che lo rese famoso molto oltre Oxford. Con una fretta che Tolkien considerava indecorosa, Lewis aveva pubblicato Le due vie del pellegrino (1933). Poi fra il 1940 e il 1941, durante il servizio nella contraerea, scrisse Le lettere di Berlicche, che uscirono a puntate su una rivista cristiana e che, quando divennero un libro, pubblicato nel 1942, ebbero un successo internazionale». Lewis divenne in breve un “campione” della “pubblicistica” cristiana: «Dalla fine degli anni Quaranta» scrive White «e in tutti gli anni Cinquanta, Lewis scrisse una lunga serie di libri di grande successo commerciale ognuno molto diverso dall’altro, usando una varietà di generi, ma in cui saltava sempre fuori il tema sottostante di servirsi dell’allegoria per esporre il suo punto di vista religioso».
Alcune immagini de Il ritorno del re, il film che chiude la trilogia dedicata alla saga del Signore degli anelli

      Tolkien rimproverava a Lewis questa “sovraesposizione mediatica” della conversione. Gli sembrava sconveniente farne la “chiave” di un successo letterario. E infatti nelle opere di Tolkien la fede non è mai esplicitamente messa a tema. Emerge invece chiaramente nelle lettere scritte ai figli soprattutto durante la Seconda guerra mondiale. Come quella indirizzata a Christopher, impegnato al fronte, l’8 marzo 1944: «Se non riesci a raggiungere la pace interiore, e a pochi è dato raggiungerla (men che mai a me) nelle tribolazioni, non dimenticare che l’aspirazione a raggiungerla non è inutile, ma un atto concreto. Mi dispiace di doverti parlare così e in modo così incerto. Ma non posso fare niente di più per te, carissimo […]. Se già non lo fai, prendi l’abitudine di pregare. Io prego molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in excelsis, il Laudate Domino, il Laudate pueri Dominum (a cui sono particolarmente affezionato), uno dei salmi domenicali; e il Magnificat; anche la Litania di Loreto (con la preghiera Sub tuum praesidium). Se nel cuore hai queste preghiere non avrai mai bisogno di altre parole di conforto».
      Del resto, se gli Inklings e il rapporto con Lewis furono letterariamente uno stimolo importante per Tolkien, è anche vero che le sue storie nacquero anche come un atto d’amore verso i figli, che ne furono i primi destinatari. Quando il primo libro di Tolkien, Lo Hobbit, fu dato alle stampe nel 1937, la fiaba era stata già raccontata “oralmente” ai bambini parecchi anni prima. A quel tempo Lewis era già uno scrittore di successo. Anche il romanzo di Tolkien ebbe un buon gradimento, e l’editore gli chiese un seguito della storia, quello che poi sarebbe divenuto Il Signore degli anelli.
     
      Non celebra Lucifero
      Lewis lodò Lo Hobbit con recensioni lusinghiere, ma l’amicizia tra i due non era più quella di un tempo. A Tolkien non piaceva soprattutto la strana influenza che su Lewis esercitò sempre più pesantemente, dalla fine degli anni Trenta in poi, un nuovo membro degli Inklings, lo scrittore Charles Williams. «Membro devoto della Chiesa d’Inghilterra» scrive White, «Williams era contemporaneamente affascinato in maniera ossessiva dal misticismo e dall’occulto. Faceva parte di un famoso gruppo iniziatico come l’Ordine dell’Aurora dorata di cui era membro il famigerato Aleister Crowley [il fondatore del satanismo moderno, ndr], ma la domenica andava in chiesa a pregare».
      La produzione letteraria di questi membri del gruppo aveva per Tolkien qualcosa di ambiguo. Le loro storie, sulla scia della tradizione favolistica moderna, erano pericolosamente attratte dal fascino dell’esoterico e dell’occulto. Mentre Tolkien continuava, faticosamente, a scrivere, il rapporto con l’amico si andava incrinando ormai definitivamente. Il Signore degli anelli, che ebbe una lunghissima gestazione, fu letto alle riunioni degli Inklings solo fino a un certo punto. Negli anni Cinquanta Tolkien non le frequentava quasi più.
      Quando infine il libro fu pubblicato nel 1954, il successo fu subito inaspettatamente travolgente. Da allora a oggi se ne è scritto moltissimo. Disprezzato dalla maggior parte dei critici letterari, bollato in Italia come un pasticciato revival di antiche saghe celtiche, amato alla follia da schiere di lettori in tutto il mondo, Il Signore degli anelli non è solo un romanzo fantastico, ma un vero e proprio poema epico in prosa. Un’opera che divide i suoi ammiratori incondizionati dai suoi feroci detrattori. Vi si sono voluti vedere i significati più diversi: Tolkien è stato di volta in volta figlio dei fiori, fascista, nostalgico del Medioevo. Ma rifuggì sempre da questo tipo di interpretazioni: «Io penso che le storie fantastiche» scrisse «abbiano un loro modo di rispecchiare la verità, diverso dall’allegoria, o dalla satira (quand’è elevata), o dal “realismo”, e per alcuni versi più potente. Ma prima di tutto la storia fantastica deve riuscire come racconto, divertire, piacere, e anche commuovere a volte, e sempre nell’ambito delle credenze (letterarie) del suo mondo immaginario. Riuscire a ottenere tutto questo è stato il mio obiettivo principale».

      Vale la pena però di riportare il giudizio che del romanzo diede, nell’introduzione all’edizione italiana, Elémire Zolla, mettendo a confronto la saga di Tolkien con la tradizione della fiaba moderna e contemporanea: «Una differenza sottile e radicale, come fra la notte e il giorno, discrimina Tolkien, segnatamente da Graves, Williams e Powys: egli non cerca la mediazione tra male e bene, ma soltanto la vittoria sul male. I suoi draghi non sono da assimilare, da sentire in qualche modo fratelli, ma da annientare». In tutti codesti moderni favolisti, «sempre si assiste a una calata negli inferi non per debellarli ma per farsi contagiare, sì da ricevere una diabolica energia. […] In breve, ci si ritrova nell’atmosfera consueta, moderna, erotica, intrisa di confusioni, androgina, che fu inaugurata da Blake, che è stata nella scorsa generazione formulata da Jung. […] Il fascino che sprigiona da Tolkien proviene dal suo completo ripudio di quella tradizione sinistra. La sua fiaba non celebra il consueto signore delle favole moderne, Lucifero».
     
      «L’unica grande cosa
      da amare sulla terra»
     
Quando il gesuita Robert Murray gli scrisse d’aver trovato la sua storia profondamente cattolica, nonostante Dio non fosse nominato neppure una volta, Tolkien ne fu immensamente consolato: «Mio caro Rob, mi ha specialmente rallegrato quello che tu hai detto […] e hai rivelato persino a me stesso alcune cose del mio lavoro. Penso di sapere esattamente che cosa intendi con dottrina della Grazia; e naturalmente con il tuo riferimento a Nostra Signora, su cui si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza sia come maestà sia come semplicità. Il Signore degli anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione. […] Perché a dir la verità, io consciamente ho programmato molto poco; e dovrei essere sommamente grato per essere stato allevato (da quando avevo otto anni) in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so». Quella fede Tolkien cercò in tutti i modi di custodire e lasciare in eredità ai figli. Due di loro, John e Priscilla, scelsero la vita religiosa.
      In vecchiaia, con la notorietà e la fortuna economica, tentò in tutti i modi di preservare la privacy. Aveva conosciuto il successo ma perduto molte amicizie; aveva conservato l’unione con Edith, anche se a prezzo di incomprensioni e difficoltà. «Mi sono innamorato di tua madre» scrisse una volta a Christopher «quando avevo circa diciotto anni. Profondamente, come si è dimostrato – anche se naturalmente difetti di carattere e di temperamento hanno fatto sì che spesso io sia sceso al di sotto dell’ideale che mi ero proposto». Del resto, «solo un uomo molto saggio, arrivato al termine della sua vita, potrebbe esprimere un equo giudizio su quale persona, fra tutte, avrebbe fatto meglio a sposare! Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente (in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che hai sposato. Di solito tu scegli ben poco: lo fanno la vita e le circostanze (benché, se c’è un Dio, queste non sono che i Suoi strumenti o la Sua manifestazione)».
      Negli ultimi tempi si tormentava temendo di essere stato un cattivo padre. E tuttavia sapeva di aver sempre cercato di comunicare ai figli ciò che per lui era l’essenziale: «Al di là di questa mia vita oscura, tanto frustrata» scriveva a Michael, «io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera».

:
  



Postato da: giacabi a 22:24 | link | commenti
tolkien

venerdì, 04 luglio 2008

Abbiamo bisogno di pulire le nostre finestre
***
Dovremmo di nuovo guardare il verde, e ancora una volta dovrebbero farci trasalire (senza accecarci) il blu, il giallo e il rosso. Dovremmo incontrare il centauro e il drago, e quindi forse scorgere improvvisamente, come gli antichi pastori, pecore, e cani, e cavalli- e lupi. Questa riscoperta, le favole ci aiutano a farla. Soltanto in tal senso la propensione per essere può renderci, o mantenerci, infantili.
La Riscoperta (che comprende un ritorno alla salute e il suo rinnovamento) è un ri-acquisto, il riacquisto di una chiara visione. Non dico che si tratti di “vedere le cose come sono”, e non mi mescolo coi filosofi, anche se potrei azzardarmi a dire di “vedere le cose come noi siamo (o eravamo) destinati a vederle”, quali cose distinte da noi. Abbiamo bisogno, in ogni caso, di pulire le nostre finestre, cosicché le cose viste con chiarezza possano essere liberate dal grigio offuscamento della banalità e della familiarità – liberate dalla possessività. Di tutti i volti, quelli dei nostri familiares, sono insieme quelli con cui è più difficile fare giochi con la fantasia, e quelli che è più difficile vedere con fresca attenzione, percependo la loro somiglianza e la loro differenza: il fatto che sono dei volti, e tuttavia dei volti unici. Questa banalità è in realtà la pena che si sconta per l’ “appropriazione”: le cose che sono trite, o (in senso cattivo) familiari, sono le cose di cui ci siamo appropriati, legalmente o mentalmente. Diciamo di conoscerle. Sono divenute come le cose che un tempo ci hanno attratto con il loro splendore, il loro colore o la loro forma: ci abbiamo messo sopra le mani, e le abbiamo rinchiuse col nostro tesoro, le abbiamo fatte nostre, e facendole nostre abbiamo smesso di guardarle. Naturalmente le fiabe non sono il solo mezzo di riscoperta, la sola profilassi contro la perdita. Basta l’umiltà.
grazie a: AnninaVisualizza Windows Live Spaces

Postato da: giacabi a 14:31 | link | commenti
reale, tolkien

martedì, 01 luglio 2008

L’eucatastrofe
***
Nel saggio sui racconti fantastici Tolkien scriveva: “Mi azzarderei ad affermare che, accostandomi alla Vicenda Cristiana sotto questa angolazione, a lungo ho  avuto la sensazione (una sensazione gioiosa) che Dio abbia redento le corrotte creature produttrici, gli uomini, in maniera adatta a questo come pure ad altri aspetti della loro singolare natura. I Vangeli contengono una favola o meglio una vicenda di un genere più ampio che include l’intera essenza delle fiabe. I Vangeli contengono molte meraviglie, di un’artisticità particolare, belle e commoventi, “mitiche” nel loro significato perfetto, in sé conchiuso: e tra le meraviglie c’è l’eucatastrofe massima e più completa che si possa concepire. Solo che questa vicenda ha penetrato di sé la Storia e il mondo primario; il desiderio e l’anelito alla subcreazione sono stati elevati al compimento della Creazione. La nascita del Cristo è l’eucatastrofe della storia dell’Uomo; la Resurrezione, l’eucatastrofe della storia dell’Incarnazione.
Questa vicenda si inizia e si conclude in gioia, e mostra in maniera inequivocabile la “intimaconsistenza della realtà”. Non c’è racconto mai narrato che gli uomini possano trovare più vero di questo, e nessun racconto che tanti scettici abbiano accettato come vero per i suoi propri meriti. Perché l’Arte di esso ha il tono, supremamente convincente, dell’Arte Primaria, vale a dire della Creazione. E rifiutarla  porta o alla tristezza o all’iracondia.” Tolkien ci introduce al significato della gioia cristiana, il cui nome è Gloria: “L’arte ha avuto la verifica. Dio è il Signore degli angeli, degli uomini – e degli elfi. Leggenda e Storia si sono incontrate e fuse”. Il Vangelo non ha abrogato le leggende, dice il professore di Oxford, ma le ha santificate.
Il cristiano deve ancora operare, con la mente come con il corpo, soffrire, sperare, morire; ma ora può rendersi conto che tutte le sue inclinazioni e facoltà hanno uno scopo, il quale può essere redento. Tanto grande è la liberalità onde è stato fatto oggetto, che ora può forse permettersi a ragion veduta di ritenere che con la Fantasia può assistere effettivamente
al dispiegarsi e al molteplice arricchimento della creazione. Tutte le narrazioni si possono avverare; pure alla fine, redente, possono risultare non meno simili e insieme  dissimili dalle forme da noi date loro, di quanto l’Uomo, finalmente redento, sarà simile e dissimile, insieme, all’uomo caduto a noi noto
Paolo Gulisano                             grazie a :  Gandalf

Postato da: giacabi a 15:19 | link | commenti (1)
tolkien


Nessun commento: