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sabato 25 febbraio 2012

Tresmontant,


L’intelligenza
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E' all'intelligenza che Gesù fa costantemente appello. E la sollecita. Il rimprovero costante sulla sua bocca è: non comprendete, non avete intelligenza? Non credete ancora? aggiunge anche. La fede che sollecita non ha nulla a che vedere con la credulità. Questa fede è precisamente l'accesso dell'intelligenza a una verità, il riconoscimento di questa verità, il si dell'intelligenza convinta e non una rinuncia all'intelligenza.
Claude Tresmontant




Postato da: giacabi a 20:09 | link | commenti
senso religioso, tresmontant

mercoledì, 07 febbraio 2007

L’INTELLIGENZA
DI FRONTE A DIO
di C. Tresmontant
Noi siamo, noi viviamo, ma la nostra esistenza, la nostra vita, appare a noi stessi come una sorpresa, come un fatto di cui non siamo capaci di rendere ragione. Anche l'universo tutto intero esiste come un fatto di cui né esso né noi sappiamo rendere ragione.
Noi possiamo studiare la struttura dell'universo, della materia, della vita, studiare il come del suo sviluppo e della sua evoluzione: ci manca sempre la risposta alla domanda dell'essere: l'universo esiste, con l'infinita ricchezza della sua struttura, della sua diversità, col suo sviluppo e la sua evoluzione. Ma questa esistenza appare come un fatto che richiede esso stesso spiegazione. Constatare l'esistenza dell'universo non ci basta: nasce un problema attorno a questa esistenza, struttura e sviluppo, in forma di domanda radicale sulla sorgente di questa esistenza.
E' questo uno pseudo-problema, uno di quei problemi che l'analisi concettuale oppure l'analisi psicologica riducono a nulla e svuotano come un brutto sogno? E' quanto dobbiamo vedere. Diciamo solamente, per ora, che ciò che manca, il desiderio di immortalità e di vita felice che ha portato l'uomo ad inventare le idee felici, il suo sentimento profondo di insufficienza, si ricapitolano, si sommano nella coscienza che l'esistenza e la vita sono per noi come un dono che ci è fatto, e che la condizione umana ci è imposta dal di fuori: noi non siamo gli autori della nostra esistenza, e tanto meno della nostra condizione mortale, sofferente, effimera. Se noi fossimo stati gli autori della condizione della nostra vita, ci saremmo fatti felici, immortali, come gli dei della mitologia. Tutto ciò che cosi crudelmente ci manca, ce lo saremmo concesso. Ma di fatto noi non siamo i nostri creatori. Sono stati gli dei, dicono le tradizioni dei padri, che ci hanno trattato cosi, gli dei gelosi che ci hanno fatto fragili e mortali conservando per se stessi l'immortalità della vita felice.
Qualunque significato abbiano queste antiche tradizioni, una cosa è certa; noi non ci siamo creati da noi. La nostra esistenza, la nostra natura, il nostro corpo, la nostra anima sono per noi una sorpresa e un oggetto inesauribile di stupore.
I biologi fanno l'analisi della struttura del nostro organismo e non siamo che alla prima scoperta di questo mistero, che è per noi il nostro organismo. La nostra anima, la nostra psicologia, le nostre tendenze sono per noi altrettanti misteri. Ci vorrà il lungo travaglio della scienza per scoprire a noi stessi chi siamo.
La nostra esistenza, il battito del nostro cuore, il chimismo della nostra responsabilità e questa boccata d'aria che noi inghiottiamo e che si trasforma in noi stessi, senza di noi, il nostro pensiero stesso che sgorga come una fontana e la cui sorgente rimane sconosciuta, tutto questo è per noi mistero. Noi siamo mistero a noi stessi. Noi siamo nelle nostre mani, come un bel giocattolo che è dato ad un bambino e che il bambino gira e rigira con stupore. Tutto è dato in noi: l'essere, la vita, il battito del nostro cuore e questo stesso pensiero che io penso e che mi viene da un luogo che io non conosco, da una profondità che non ho mai sondato.
lo è un altro, diceva il poeta. Il filosofo, il matematico, tutti possono dire: questo pensiero che mi viene e che è mio, mi viene, « sale al mio cuore », come dicono gli ebrei, ma io non posso dire legittimamente che io ne sono il creatore assoluto; il pensiero che mi viene è esso stesso un dono, un dono al quale io coopero, un dono che è frutto di me stesso concepito nel più profondo di me stesso, ma tuttavia un dono, come io stesso, perché di questo io, io non sono il creatore. lo sono un dono a me stesso. Tutto questo potere che è in me, questo movimento, questa forza, questa potenza d'agire e di concepire, non sono io che le ho messe in me. lo sono nato ed ho ricevuto. La vita, il pensiero, come il movimento e l'agire sono per l'uomo ricevuti.
L'essere, il vivere, il pensare, l'agire sono nostri, ma alla radice del nostro essere e della nostra vita, alla radice interiore del nostro agire e del nostro pensare c'è una energia di cui non siamo creatori.

Postato da: giacabi a 12:04 | link | commenti
senso religioso, tresmontant

domenica, 04 febbraio 2007

«La fede è l'intelligenza
nella sua riuscita»
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«È all’intelligenza che Gesù fa costantemente appello. E la sollecita. Il rimprovero costante sulla sua bocca è: non comprendete, non avete intelligenza? Non credete ancora? aggiunge anche. La fede che sollecita non ha nulla a che vedere con la credulità. Questa fede è precisamente l’accesso dell’intelligenza a una verità, il riconoscimento di questa verità, il sì dell’intelligenza convinta e non una rinuncia all’intelligenza, un sacrificio dell’intelletto. L’opposizione tra fede e ragione è una opposizione profondamente non cristiana, non evangelica. Bisogna dimenticare questa dialettica troppo celebre, troppo famosa per comprendere ciò che nel Nuovo Testamento si intende per fede, che è l’intelligenza stessa nel suo atto, nella sua riuscita, e la conoscenza stessa della verità insegnata, il riconoscimento del Maestro: il credere nei Vangeli è questa scoperta, questa intelligenza della verità che è proposta. Al ragazzo cui si insegna a nuotare, si spiega che in virtù di leggi naturali non deve aver paura, nuoterà se farà alcuni movimenti molto semplici. Il ragazzo ha paura, si irrigidisce, e non crede. Viene il momento in cui fa esperienza che ciò che gli è stato detto è possibile, crede, nuota. Non si dirà che la fede, in questo caso, si oppone alla ragione, se ne differenzia. Essa è per lui piuttosto identica; anche se la fede è un’altra cosa dell’intelligenza, il sì dell’intelligenza alla verità che essa vede, l’adesione alla verità vista e riconosciuta. Questo è il significato della parola pistis, pisteuein, nei Vangeli. Nel quarto Vangelo, la fede e la conoscenza sono costantemente associate come inseparabili: “Essi hanno conosciuto ed hanno creduto che tu sei il figlio del Dio vivente. È appunto alla nostra intelligenza che Gesù si indirizza e non alla nostra credulità. Contrariamente a quanto alcuni vorrebbero farci credere, la credulità e la debolezza di giudizio non sono affatto un omaggio gradito a Dio. La verità non richiede che l’uomo si abbassi ad animale, né che umilii la ragione, che gli è, al contrario, necessaria per attingere la conoscenza di Dio. Noi subiamo in Occidente da parecchi secoli una tradizione che pretende fondare la conoscenza di Dio sul deprezzamento della ragione, su una frustrazione dell’esigenza di razionalità e di intelligibilità. Questa cattiva coscienza nei riguardi della ragione non è giustificata nella tradizione biblica ed evangelica».
(C. Tresmontant, "L’intelligenza di fronte a Dio", Jaca Book

Postato da: giacabi a 21:20 | link | commenti
ragione, cristianesimo, tresmontant

giovedì, 21 dicembre 2006

L’UOMO:
 QUEST’ANIMALE DIVINIZZABILE

Se si studia il caso di Gesù di Nazareth, si vede che la resistenza incontrata proviene dal fatto che Gesù, con le sue azioni e le sue parole, insegna una dottrina che urta e sconvolge abitudini acquisite, rappresentazioni acquisite, preconcetti. Coloro che trasmettono preconcetti e li conservano si ribellano contro questo insegnante di novità. È intollerabile per loro. Lo era lo è ancor oggi. Lo sarà sempre.
Come spiegare questa resistenza alla novità, questa resistenza all'informazione creatrice da parte dell'umanità, questa nostalgia innata per il passato, l'antico, il primitivo? Si può esprimere l'ipotesi che un animale, sottomesso alla necessità di subire delle metamorfosi per raggiungere la sua età o piuttosto il suo stato adulto, se fosse cosciente e se conoscesse in maniera riflessiva il suo stato antico, il suo stato presente e quest'invito a subire una metamorfosi, si può esprimere l'ipotesi che esso resisterebbe con tutte le sue forze a questa metamorfosi. Il verme preferirebbe restare verme, la crisalide restare crisalide, piuttosto che subire le trasformazioni che faranno della larva un animale nuovo. È possibilissimo che l'uomo sia precisamente nella stessa situazione. È un animale essenzialmente incompiuto, chiamato da Dio, il Creatore, a un destino soprannaturale, la partecipazione alla vita di Dio,  e che può accedere a questo destino solo attraverso una nuova nascita, una trasformazione. ….Quest’animale divinizzabile- è la definizione che Gregorio Nazianzeno dava dell'uomo -, resiste con tutte le sue forze a questa trasformazione a questa nuova nascita, a questa metamorfosi; e perseguita coloro che lo chiamano a questa trasformazione. Preferisce restare l'uomo antico, il vecchio uomo, piuttosto che divenire l'uomo nuovo. O più precisamente, esistono in lui due desideri contraddittori: l'uno lo porta a consentire a questa metamorfosi e l'altro lo porta a tornare indietro, a regredire».
(C. Tresmontant, Cristianesimo, filosofia, scienze,Jaca Book, Milano 1983)

Postato da: giacabi a 15:53 | link | commenti
tresmontant

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