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domenica 31 marzo 2013

Cristo risorto: la sconfitta del Nulla e la rinascita dell’uomo

Cristo risorto: la sconfitta del Nulla e la rinascita dell’uomo

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PasquaLa redazione UCCR desidera augurare a tutti i collaboratori e a tutti i lettori una buona S. Pasqua. Non vuole essere un augurio formale, ma l’invito -innanzitutto a noi stessi- a vivere l’evento della Resurrezione di Cristo come chiave di volta di tutti gli istanti della nostra vita. Il motivo lo leggiamo nella bella riflessione del teologo don Luigi Giussani che pubblichiamo qui sotto, tratta da “La famigliarità con Cristo” (San Paolo 2008). L’aggiornamento al sito web riprenderà martedì 2 aprile 2013.

di don Luigi Giussani

La Risurrezione è il culmine del mistero cristiano. La centralità della Risurrezione di Cristo è direttamente proporzionale alla nostra fuga come da un incognito, alla nostra smemoratezza di essa, alla timidezza con cui pensiamo alla parola e ne siamo come rimbalzati via.
E’ nel mistero della Risurrezione il culmine e il colmo dell’intensità della nostra autocoscienza cristiana, perciò dell’autocoscienza nuova di me stesso, del modo con cui guardo tutte le persone e tutte le cose: è nella Risurrezione la chiave di volta della novità del rapporto tra me e me stesso, tra me e gli uomini, tra me e le cose. Ma questa è la cosa da cui noi rifuggiamo di più. È come la cosa più, se volete, anche rispettosamente, lasciata da parte, rispettosamente lasciata nella sua aridità di parola intellettualmente percepita, percepita come idea, proprio perché è il culmine della sfida del Mistero alla nostra misura. «Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,1-22).
Il cristianesimo è l’esaltazione della realtà concreta, l’affermazione del carnale, tanto che Romano Guardini dice che non c’è nessuna religione più materialista del cristianesimo. E’ l’affermazione delle circostanze concrete e sensibili, per cui uno non ha nostalgia di grandezza quando si vede limitato in quel che deve fare: quel che deve fare, anche se piccolo, è grande, perché dentro lì vibra la Risurrezione di Cristo. «Immersi nel grande Mistero», immersi come l’io è immerso nel «tu» pronunciato con tutto il proprio cuore, come il bambino quando guarda la madre, come il bambino sente la madre. Non mi posso concepire se non immerso nel Tuo grande Mistero. La fede in Cristo risorto è il supremo atto dell’intelligenza umana nel cogliere la realtà con lealtà e con affettività, amorosamente affermandola. Questa affermazione amorosa del reale è condizione per cui l’intelligenza dell’uomo, di fronte alla proposta di Cristo risorto, diventa fede. La proposta di Cristo risorto e il riconoscimento di fede non sono opera dell’uomo, non il prodotto di un’ipotesi di lavoro della mente, non forza dell’intelletto, bensì possibilità della nostra intelligenza, in quanto – come creatura – è una potenza d’obbedienza al Creatore: è per grazia. È per grazia che noi possiamo riconoscerlo risorto e che noi possiamo immergerci nel suo grande Mistero.
Senza la resurrezione di Cristo c’è una sola alternativa: il niente. Noi non pensiamo mai a questo. Perciò passiamo le giornate con quella viltà, con quella meschinità, con quella storditezza, con quell’istintività ottusa, con quella distrazione ripugnante in cui l’io – l’io! – si disperde. Così che, quando diciamo «io», lo diciamo per affermare un nostro pensiero, una nostra misura o un nostro istinto, una nostra voglia di avere, un nostro preteso, illusorio possesso. Al di fuori della resurrezione di Cristo, tutto è illusione. Ci è facile guardare tutto lo sterminato gregge degli uomini nella nostra società: è la grande, sterminata presenza della gente che vive nella nostra città. E noi non possiamo negare di sperimentare questa meschinità, questa grettezza, questa storditezza, questa distrazione, questo smarrirsi totale dell’io, questo ricondursi dell’io ad affermazione accanita e presuntuosa del pensiero che viene (chiamandolo “verità della mia coscienza”) o dell’istinto che pretende afferrare e possedere una cosa che lui decide essergli piacevole, soddisfacente, utile. È che tutto è illusione. Distaccatevi due metri dalla vostra casa, guardate tutta la gente come vive tante volte; normalmente viviamo così. Guardatela, uscite dalla vostra casa e state lì a guardarla, due metri fuori: ditemi se l’ambiente non è così, se l’umanità non è questa!
È per questo che la liturgia ci fa dire: «Sostieni sempre la fragilità della nostra esistenza con la tua grazia, unico fondamento della nostra speranza»: il che vuol dire che senza il Mistero di Cristo risorto, il Mistero supremo del cristiano, sarebbe vana la fede e saremmo ancora nel nostro peccato, vale a dire in una realtà che è destinata a dissolversi e a omologarsi nella cenere ultima, nel nulla – e tutto ciò che vibra nella vita e sembra eccitare i nostri nervi, i nostri desideri e i nostri pensieri sarebbe illusione-. Non c’è altra alternativa che quella tra il Cristo risorto e questa illusione della vita, «il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera, / e l’infinita vanità del tutto», come finisce la breve poesia A se stesso di Leopardi. Non c’è alternativa a Cristo risorto, se non questa frase di Leopardi.
Mai, come di fronte a Cristo risorto, la nostra insistenza sul chiedere, sul pregare, sul domandare (usiamo la parola che è l’essenza della preghiera: domandare), la nostra domanda deve intensificarsi. Per immergerci nel grande Mistero dobbiamo domandare: questa è la ricchezza più grande. Come l’intelligenza più grande è affermarlo, così l’affettività più ricca è domandarlo, il realismo più intenso e più drammatico è domandarlo. Del resto, l’istante prima se n’è andato, l’istante successivo ancora non esiste: la nostra libertà è nella decisione dell’istante. Se la nostra libertà è nella decisione dell’istante, che cosa possiede la nostra libertà, che cosa è capace di creare? Soltanto di svelarsi come domanda. Essa è, infatti, esigenza di pienezza e di felicità, di essere. La nostra libertà è esigenza; il cuore, se vogliamo usare il paragone biblico, è esigenza, cioè desiderio; l’istante è desiderio. Allora la verità del desiderio è solo nel diventar domanda. La libertà è il desiderio originale che diventa domanda. Nella domanda è il riconoscimento del positivo del disegno di Dio; nella domanda è il riconoscimento – imperfetto e timidamente iniziato – del Mistero che è tra noi.
Che cosa accade immergendoci nel grande Mistero di Cristo risorto? Ciò che caratterizza l’io nuovo è la verità delle cose, è la verità della realtà, è una intelligenza della realtà nella sua verità, è un amore alla realtà nella sua verità, è un immergersi nella realtà come verità, è un immergersi nella verità della realtà. Gesù quando è risorto ha fatto un’esperienza nuova della sua umanità, del suo essere davanti alla gente, dell’essere nel tempo e nello spazio, del camminare e del mangiare; è un’esperienza sottratta alla forma naturale dell’esperienza. Non era, il suo mangiare, lo stare davanti a Maria e agli Apostoli, come per noi; era stare davanti a tutto quello dentro il possesso della prospettiva ultima, dentro la verità, nella loro verità. Questo è ciò che rende vera anche la nostra esperienza di rapporto tra di noi, di rapporto con le cose, di rapporto con tutto.
Allora, già fin d’ora, se partecipiamo all’esperienza nuova che l’uomo Cristo, risorto da morte, vive sino alla fine dei secoli, noi partecipiamo inizialmente, incoativamente di questa sua signoria sul tempo e sullo spazio. Non c’è alternativa tra Cristo risorto e la decadenza totale verso il niente. Non c’è niente che possa togliere la differenza tra quella verità e la menzogna nei nostri rapporti: l’adesione a quella verità o la menzogna, nei nostri rapporti. Anche il più intimo e il più amato, fino all’ultimo ci lascerebbe con assoluto disinteresse. Mentre il rapporto più amato diventa eterno, un possesso già eterno perché in esso «traluce» qualcosa che tu riconosci. E perciò abbracci ciò che ami con quel distacco dentro che ti fa dire: «In te traluce il grande Altro, Cristo. Amo te come Cristo, amo Cristo in te, amo te in Cristo». E non esiste più l’estraneo, fosse anche il più lontano uomo che vive in Kamchatka o nell’Australia: non esiste più estraneo, e tutto appartiene a me con quel sollievo e quel riposo che mi dà la percezione del punto di fuga che è in tutto e che raccorda tutto e ogni cosa al Destino ultimo, al Mistero ultimo che si è svelato in tutta la sua potenza e misericordia e giustizia: Cristo risorto.
Ma questo è ciò per cui ci svegliamo oramai tutte le mattine: è un orizzonte e un destino, un’intensità di vibrazione, è un vivere e un possedere, perché si è posseduti. È un essere posseduti, ciò da cui parte il possedere, da cui parte la vibrazione e l’intensità, da cui parte la cattolicità, la totalità dei rapporti, con la croce dentro (possesso con un distacco dentro). Ciò da cui tutto parte è l’essere posseduti da Cristo risorto, «immersi nel grande Mistero».

METODO ZAMBONI

IL GRANDE  ZAMBONI
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siate pastori con “l’odore delle pecore

  siate pastori con “l’odore delle pecore
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Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione - e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù.

sabato 30 marzo 2013

CRISTO E' LA VIA!

CRISTO E' LA VIA!
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È meglio zoppicare sulla via che camminare a forte andatura fuori strada. Chi zoppica sulla via, anche se avanza poco, si avvicina tuttavia al termine. Chi invece cammina fuori strada, quanto più velocemente corre, tanto più si allontana dalla meta.


*S. Tommaso d'Aquino*

mercoledì 27 marzo 2013

XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù

Domenica, 24 marzo 2013
 
1. Gesù entra in Gerusalemme. La folla dei discepoli lo accompagna in festa, i mantelli sono stesi davanti a Lui, si parla di prodigi che ha compiuto, un grido di lode si leva: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli» (Lc 19,38).
Folla, festa, lode, benedizione, pace: è un clima di gioia quello che si respira. Gesù ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo. Lui ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima.
Questo è Gesù. Questo è il suo cuore che guarda tutti noi, che guarda le nostre malattie, i nostri peccati. E’ grande l’amore di Gesù. E così entra in Gerusalemme con questo amore, e guarda tutti noi. E’ una scena bella: piena di luce - la luce dell’amore di Gesù, quello del suo cuore - di gioia, di festa.
All’inizio della Messa l’abbiamo ripetuta anche noi. Abbiamo agitato le nostre palme. Anche noi abbiamo accolto Gesù; anche noi abbiamo espresso la gioia di accompagnarlo, di saperlo vicino, presente in noi e in mezzo a noi, come un amico, come un fratello, anche come re, cioè come faro luminoso della nostra vita. Gesù è Dio, ma si è abbassato a camminare con noi. E’ il nostro amico, il nostro fratello. Qui ci illumina nel cammino. E così oggi lo abbiamo accolto. E questa è la prima parola che vorrei dirvi: gioia! Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù
2. Seconda parola. Perché Gesù entra in Gerusalemme, o forse meglio: come entra Gesù in Gerusalemme? La folla lo acclama come Re. E Lui non si oppone, non la fa tacere (cfr Lc 19,39-40). Ma che tipo di Re è Gesù? Guardiamolo: cavalca un puledro, non ha una corte che lo segue, non è circondato da un esercito simbolo di forza. Chi lo accoglie è gente umile, semplice, che ha il senso di guardare in Gesù qualcosa di più; ha quel senso della fede, che dice: Questo è il Salvatore. Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, come preannuncia Isaia nella Prima Lettura (cfr Is 50,6); entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno. E allora ecco la seconda parola: Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! Penso a quello che Benedetto XVI diceva ai Cardinali: Voi siete principi, ma di un Re crocifisso. Quello è il trono di Gesù. Gesù prende su di sé... Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche - ciascuno di noi lo sa e lo conosce - i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte. 
3. Oggi in questa Piazza ci sono tanti giovani: da 28 anni la Domenica delle Palme è la Giornata della Gioventù! Ecco la terza parola: giovani! Cari giovani, vi ho visto nella processione, quando entravate; vi immagino a fare festa intorno a Gesù, agitando i rami d’ulivo; vi immagino mentre gridate il suo nome ed esprimete la vostra gioia di essere con Lui! Voi avete una parte importante nella festa della fede! Voi ci portate la gioia della fede e ci dite che dobbiamo vivere la fede con un cuore giovane, sempre: un cuore giovane, anche a settanta, ottant’anni! Cuore giovane! Con Cristo il cuore non invecchia mai! Però tutti noi lo sappiamo e voi lo sapete bene che il Re che seguiamo e che ci accompagna è molto speciale: è un Re che ama fino alla croce e che ci insegna a servire, ad amare. E voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé, nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia e che con l’amore di Dio Lui ha vinto il male. Voi portate la Croce pellegrina attraverso tutti i continenti, per le strade del mondo! La portate rispondendo all’invito di Gesù «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (cfr Mt 28,19), che è il tema della Giornata della Gioventù di quest’anno. La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli, e ha portato la riconciliazione e la pace. Cari amici, anch’io mi metto in cammino con voi, da oggi, sulle orme del beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ormai siamo vicini alla prossima tappa di questo grande pellegrinaggio della Croce. Guardo con gioia al prossimo luglio, a Rio de Janeiro! Vi do appuntamento in quella grande città del Brasile! Preparatevi bene, soprattutto spiritualmente nelle vostre comunità, perché quell’Incontro sia un segno di fede per il mondo intero. I giovani devono dire al mondo: è buono seguire Gesù; è buono andare con Gesù; è buono il messaggio di Gesù; è buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù! Tre parole: gioia, croce, giovani.
Chiediamo l’intercessione della Vergine Maria. Lei ci insegna la gioia dell’incontro con Cristo, l’amore con cui lo dobbiamo guardare sotto la croce, l’entusiasmo del cuore giovane con cui lo dobbiamo seguire in questa Settimana Santa e in tutta la nostra vita. Così sia.  

Il denaro

 Il denaro 
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E mai il denaro è stato, fino a questo punto, il solo padrone e il solo Dio. E mai il ricco è stato così al riparo dal povero e il povero così esposto al ricco. Il mondo moderno non si è procurato bassezza e turpitudine col suo denaro. Al contrario, poiché aveva ridotto ogni cosa al livello del denaro, ha trovato che ogni cosa era bassezza e turpitudine. Il mondo è cambiato più in questi ultimi trent’anni di quanto non sia cambiato dopo Gesù Cristo. Oggi, quando si dice popolo, si fa della letteratura, una letteratura deteriore, elettorale, politica, parlamentare. Il popolo non esiste più. Tutti sono borghesi. Perché tutti leggono i giornali. Quel poco che rimaneva della vecchia, o meglio delle vecchie aristocrazie, è diventato piccola borghesia. L’antica aristocrazia, come le altre, è diventata una borghesia dei soldi. L’antica borghesia è diventata una borghesia squallida, una borghesia del denaro. Quanto agli operai, non pensano che a questo: diventare borghesi. Anzi, questo lo chiamano diventare socialisti. Restano solo i contadini a essere rimasti davvero contadini.
 C. Peguy | Denaro

martedì 26 marzo 2013

Il relativismo

 Il relativismo
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«Il relativismo, con la scusa del rispetto delle differenze, omogeneizza nella trasgressione e nella demagogia; consente tutto pur di non assumere la contrarietà che esige il coraggio maturo di sostenere valori e principi. Il relativismo è, curiosamente, assolutista e totalitario, non permette di differire dal proprio relativismo, in niente differisce dal “taci” o dal “fatti gli affari tuoi» CARD. BERGOGLIO 25/5/2012
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Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di San Francesco che, in qualità di "simplex" e "illiteratus", sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo, perché egli lo amava di più 
(Benedetto XVI).
Da Frate indovino marzo 2013!!!

domenica 24 marzo 2013

Prima di reagire, PENSA!


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Prima di reagire, PENSA!
prima di parlare, ASCOLTA!
prima di criticare, ASPETTA!
prima di pregare, PERDONA!
prima di pretendere, DONA!
prima di arrenderti, PROVACI!

(Madre Teresa)

sabato 23 marzo 2013

la tecnologia


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"Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti".  
(Albert Einstein) ...

all'improvviso, ho visto delle persone felici

All'improvviso, ho visto delle persone felici!
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"Io non ho mai visto don Giussani ma ho visto quelli che si sono infiammati grazie a lui. e ho visto anche altri : quelli che si sono infiammati grazie a quanti si erano infiammati attraverso di lui.
Più di tutto mi ha colpito il racconto di una mia compatriota che ha incontrato il movimento quando era ancora una ragazzina.Diceva più o meno così: " Non è che mi interessassero le cose religiose, non mi interessavano affatto. è solo che, all'improvviso, ho visto delle persone felici!  Era una cosa insolita , una cosa che non c'era da nessun'altra parte intorno a me. E io volevo tantissimo essere felice, felice come loro.  Così ho deciso e mi sono detta : bene, se affermano che Cristo ha qualcosa a che fare con la loro felicità io devo prendere in considerazione questa ipotesi!"  
....
"Nella storia del cristianesimo, reagire è il male più terribile perchè agendo reattivamente l'uomo si conforma a quello o a quelli contro cui sta lottando"
da tracce di aprile 2013  Ci ha detto: «Siate» di Tat’jana Kasatkina

venerdì 22 marzo 2013

La preghiera di Papa Francesco

La preghiera di Papa Francesco

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(LaPresse)(LaPresse)
Parafrasando quel che sosteneva il filosofo bavarese Ludwig Feuerbach («Siamo quel che mangiamo»), possiamo dire anche che siamo quel che sogniamo e quel che preghiamo. Leggete questa preghiera che Papa Francesco scrisse una quindicina di anni fa quando era vescovo di Buenos Aires. Ci sono in nuce i valori che il Pontefice ci ha già svelato in questi primi giorni di pontificato: umiltà, semplicità, comprensione, attenzione. E il silenzio, tanto caro ai gesuiti, della preghiera.
Una preghiera per ogni dito della mano
1. Il pollice è il dito a te più vicino. Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è "un dolce obbligo".

2. Il dito successivo è l'indice. Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.
3. Il dito successivo è il più alto. Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti. Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l'opinione pubblica... Hanno bisogno della guida di Dio.
4. Il quarto dito è l'anulare. Lascerà molti sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte. Le preghiere per loro non saranno mai troppe. Ed è li per invitarci a pregare anche per le coppie sposate.
5. E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo. Come dice la Bibbia, "gli ultimi saranno i primi". Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te stesso... Dopo che avrai pregato per tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.
(Traduzione di Graziella Filipuzzi)

Una oración en cada dedo
1. El pulgar es el más cercano a ti. Asi que empieza orando por quienes estan más cerca de ti. Son las personas más fáciles de recordar. Orar por nuestros seres queridos es "una dulce obligación"

2. El siguiente dedo es el indice. Ora por quienes enseñan, instruyen y sanan. Esto incluye a los maestros, profesores, médicos y sacerdotes. Ellos necesitan apoyo y sabiduria para indicar la dirección correcta a los demás.
Tenlos siempre presentes en tus oraciones.

3. El siguiente dedo es el más alto. Nos recuerda a nuestros líderes. Ora por el presidente, los congresistas, los empresarios, y los gerentes. Estas personas dirigen los destinos de nuestra patria y guian a la opinión pública.. Necesitan la guia de Dios.
4. El cuarto dedo es nuestro dedo anular. Aunque a muchos les sorprenda, es nuestro dedo más debil, como te lo puede decir cualquier profesor de piano.
Debe recordarnos orar por los más debiles, con muchos problemas o postrados por las enfermedades. Necesitan tus oraciones de día y de noche. Nunca será demasiado lo que ores por ellos. También debe invitarnos a orar por los matrimonios.

5. Y por último está nuestro dedo meñique, el más pequeño de todos los dedos, que es como debemos vernos ante Dios y los demás. Como dice la Biblia "los últimos serán los primeros". Tu meñique debe recordarte orar por tí.. Cuando ya hayas orado por los otros cuatro grupos verás tus propias necesidades en la perspectiva correcta, y podrás orar mejor por las tuyas.

Sono stato cresciuto da una mamma lesbica, sono gay e dico no alle nozze omosex

Sono stato cresciuto da una mamma lesbica,
         sono gay e dico no alle nozze omosex 
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marzo 19, 2013 Benedetta Frigerio

«So, come figlio cresciuto da una madre lesbica e dalla sua compagna, che c’è qualcosa che manca quando un bambino viene cresciuto da due genitori dello stesso sesso»

Minnesota_for_Marriage_Parlamento del Minnessota. 12 marzo 2013. Commissione di Diritto Civile della Camera. Al centro dell’aula parlamentare sta seduta una bambina di 11 anni: capelli castani raccolti in una treccia e occhi azzurri. Si presenta: «Mi chiamo Grace e dirvi che, sebbene abbia solo 11 anni, credo che tutti meritino di crescere come me, con una mamma e un papà. Se cambierete la legge, per cui due uomini o due donne potranno sposarsi, porterete via qualcosa di necessario ai bambini come me». Così comincia il dibattito seguito al referendum consultivo del 7 novembre scorso, con cui il 51 per cento dei cittadini del Minnesota ha detto di non ritenere che il matrimonio sia solo tra uomo e donna.

TESTIMONIANZA DI DUE GAY. Dopo Grace ha parlato Doug, omosessuale dichiarato: «Ai padri di questa commissione dico: “Il tuo voto a favore di questa legge è come affermare che tua moglie non è necessaria nella vita dei tuoi figli”. Alle madri di questa commissione dico: “Il tuo voto a favore di questa legge dice che tuo marito è irrilevante per la vita dei tuoi figli”». Doug ha poi incalzato spiegando che «il matrimonio non riguarda un amore generico, ma impegno e responsabilità verso i figli». Per questo, ha continuato, «non è omofobia opporsi al matrimonio fra persone dello stesso sesso». Per concludere Doug ha esortato i presenti così: «Ignorate la pressione dei media e la pretesa degli adulti che vogliono il matrimonio omosessuale».
Infine, il professore di antropologia Robert Lopez, di cui le tendenze bisessuali sono note, ha chiarito: «So, come figlio cresciuto da una madre lesbica e dalla sua compagna (come la definisce senza chiamarla mamma, ndr), che c’è qualcosa che manca quando un bambino viene cresciuto da due genitori dello stesso sesso. Abbiamo sentito molto dagli attivisti del matrimonio omosessuale, che sentono di aver ottenuto un diritto di proprietà sui bambini, ma non abbastanza da chi invece difende i diritti dei bambini»
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«Curate la vita, dal principio alla fine.

«Curate la vita, dal principio alla fine. Il cristiano non può permettersi il lusso di essere un idiota» 

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marzo 22, 2013 Jorge Mario Bergoglio
Traduzione dell’omelia dell’allora cardinale Bergoglio per la Messa in onore di san Raimondo Nonnato protettore delle donne in gravidanza (31 agosto 2005).
Messa inaugurale del pontificatoPubblichiamo l’omelia dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires e primate dell’Argentina, durante la Messa in onore del santo protettore delle donne in gravidanza, san Raimondo Nonnato (31 agosto 2005).
Quando si ascolta ciò che Gesù dice: Guarda, «Io mando voi, io vi mando come pecore tra i lupi», si vorrebbe chiedere: «Signore, stai scherzando, o non hai un posto migliore dove mandarci?». Perché ciò che Gesù dice fa un po’ paura: «Se annunzierete la mia parola, vi perseguiteranno, vi calunnieranno, vi tenderanno trappole per portarvi davanti ai tribunali e farvi uccidere». Ma voi dovete andare avanti. Per questo motivo, fate attenzione, dice Gesù, siate astuti come i serpenti ma molto semplici come colombe, unendo i due aspetti. Il cristiano non può permettersi il lusso di essere un idiota, questo è chiaro. Noi non possiamo permetterci di essere sciocchi perché abbiamo un messaggio di vita molto bello e quindi non possiamo essere frivoli. Per questo motivo Gesù dice: «Siate astuti, state attenti». Qual è l’astuzia del cristiano? Il saper distinguere fra un lupo e una pecora. E quando, in questo celebrare la vita, un lupo si traveste da pecora, è saper riconoscere quale sia il suo odore. «Guarda, hai la pelle di una pecora, ma l’odore di un lupo». E questo, questo compito che Gesù ci dà è molto importante. È qualcosa di davvero grande. Gesù ci dice qualcosa che attira la nostra attenzione, quando qualcuno gli domanda: «Bene, come mai sei venuto nel mondo?». «Guarda, io sono venuto a portare la vita e perché l’abbiate in abbondanza, e io vi mando nel modo affinché accresciate la vita, in modo che sia abbondante».
Gesù non è venuto a portare la morte, piuttosto [a portare] la morte dell’odio, la morte delle guerre, la morte della calunnia, cioè a uccidere con la lingua. Gesù non è venuto a portare la morte, la morte che ha patito per difendere la vita. Gesù è venuto a portare la vita per dare la vita in abbondanza, e ci invia a portare la vita, ma ci dice anche: «Preditene cura!» Perché ci sono persone che vivono quello di cui sentiamo parlare oggi, che non sono coinvolte con il Vangelo: la cultura della morte. A loro la vita interessa nella misura in cui è utile, se no non gli interessa. In tutto il mondo, questa erba è stata piantata, quella della cultura della morte.
Stavo leggendo un libro un po’ di tempo fa, in cui ho trovato questa frase inquietante: «Nel mondo di oggi la cosa che vale meno è la vita, quello che vale meno è la vita», che è quindi la cosa più trascurata, la più superflua. Questo uomo anziano, questa donna anziana, sono inutili; scarichiamoli, cerchiamo di mandarli nelle case di cura, come si fa con l’impermeabile d’estate con tre naftaline in tasca, negli ospizi perché pensiamo che ora sono da scartare, perché sono inutili. Questo bambino che è in arrivo è un peso per la famiglia: «Oh no, a cosa serve? Non ho idea. Scartiamolo e rimandiamolo al mittente». Questo è ciò che la cultura della morte ci predica. Questo bambino che ho a casa? Beh, non ho il tempo di educarlo. Lasciamolo crescere come un’erbaccia nel campo, e questo altro bambino che non ha niente da mangiare, nemmeno le scarpette per andare a scuola, e bene, mi dispiace molto, ma non sono il redentore del mondo intero. Questo è ciò che la cultura della morte predica. Non è interessata alla vita. Che cosa interessa? L’egoismo. Uno è interessato a sopravvivere, ma non a dare la vita, ad avere cura della vita, ad offrire la vita.

Oggi, in questo santuario dedicato alla vita, in questo giorno del santo patrono della vita, Gesù dice anche a noi: «Prenditene cura! Io sono venuto a portare la vita, e la vita in abbondanza, ma tu curala! Stai per essere circondato dai lupi, tu sei quello che difende la vita, che se ne prende cura. Cura la vita! Che belle cose così si possono vedere – le conosco! – Che un nonno, una nonna, che forse non può più parlare, che è paralizzato, e il nipote o il figlio arriva e gli prende la mano, e in silenzio la accarezza, niente di più. Questa è la cura della vita. Quando si vedono persone che si preoccupano affinché un bambino possa andare a scuola, perché a un altro non manchi il cibo a sufficienza, questo è prendersi cura della vita. Apri il tuo cuore alla vita! Poiché l’egoismo della morte, la cultura egoistica della morte, è come l’erba nel campo, questa erbaccia, questa erba o erbaccia nera, o questa cicuta, è in crescita, sta invadendo e uccide gli alberi, uccide i frutti, uccide il fiori, uccide la vita. Le erbacce. Ricordate che una volta che Gesù parlò di questo. Egli ha detto: «Quando il seme è vita, cade in mezzo alle erbacce e le spine lo soffocano», le spine dell’egoismo, delle passioni, di volere tutto per se stessi. La vita è sempre dare, si dà, ed è costoso prendersi cura della vita. Oh quanto costa! Costa lacrime. Ma come è bella la cura per la vita, permettere che la vita cresca, dare la vita come Gesù, e dare in abbondanza, per non permettere che anche uno solo di questi più piccoli vada perso. Questo è ciò che Gesù ha chiesto al Padre: «Che nessuno di quelli che tu mi hai dato si perda, che tutta la vita che mi hai dato da curare possa essere curata, che non vada persa». E noi ci preoccupiamo della vita, perché Egli ha cura della nostra vita fin da quando era nel seno materno. È presente nel motto di quest’anno: «Fin dal grembo eri il nostro protettore». Egli si prende cura di noi e ci insegna lo stesso (…). Non possiamo annunciare altro che la vita, dal principio alla fine. Tutti noi dobbiamo curare la vita, amare la vita, con tenerezza, calore.
Ma è una strada piena di lupi e, forse per questo motivo, potranno condurci davanti ai tribunali, forse per questo motivo, per la cura della vita, ci potranno uccidere. Dovremmo pensare ai martiri cristiani. Li hanno uccisi perché predicavano questo Vangelo della vita, questo Vangelo che Gesù ha portato. Ma Gesù ci dà la forza. Andate avanti! Non siate sciocchi, ricordate, un cristiano non può permettersi il lusso di essere sciocco (…). Deve essere intelligente, deve essere astuto, per fare questo. Quando si parla di queste cose della cultura della vita, a cui siamo chiamati, si sente la tristezza per questi cuori in cui, anche fin dall’infanzia, la cultura della morte ha seminato. L’egoismo è stato seminato in loro: «Bene, e che mi importa di quello che succede agli altri», questo è stato seminato in loro. Chi sono io per prendermi cura degli altri? Questa affermazione, vi ricordate, chi l’ha fatta per primo? Caino. «Sono forse io colui che deve nutrire suo fratello?» Questa affermazione criminale, questa frase di morte è un peccato che viene dall’infanzia delle persone che crescono in questo modo di pensare egoistico inculcato in loro, sono uomini e donne educati in questo modo. L’ho detto e lo ripeto – potremmo usarli come soprannomi – io, me, mio, con me, per me, tutto per uno solo, nulla per gli altri, mentre dare la vita è aprire il cuore, e prendersi cura della vita è spendersi con tenerezza e calore per gli altri, portare nel mio cuore l’interesse per gli altri. (…) Non ci dovrebbe essere nessun bambino che non cresce, che non vive la sua adolescenza aperto alla vita. Non ci dovrebbe essere alcun adulto che non si preoccupa di ciò in cui gli altri sono carenti, di ciò di cui altri hanno bisogno per avere più vita e di garantire che non ci sia neanche una sola persona anziana messa da parte, da sola, scartata.
Prendersi cura della vita, dal suo principio fino alla fine. Che cosa semplice, che bella cosa. Padre, perché ci sono così tanti lupi che vogliono sbranarci? Perché, dimmi? Gesù ha forse ucciso qualcuno? Nessuno. Ha fatto cose buone. E che fine gli hanno fatto fare? Se andiamo in fondo alla strada della vita ci possono accadere cose brutte, ma non importa. Ne vale la pena. Lui per primo ci ha aperto la strada. Quindi, andate avanti e non scoraggiatevi. Prendetevi cura della la vita. Ne vale la pena! Così sia.
Traduzione di Benedetta Frigerio dal testo originale pubblicato dall’agenzia di informazione cattolica dell’Argentina (Aica)

lunedì 18 marzo 2013

Un pensiero colmo di grande affetto e di profonda gratitudine a Benedetto XVI

 Un pensiero colmo di grande affetto e di profonda gratitudine   a Benedetto XVI
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Un pensiero colmo di grande affetto e di profonda gratitudine rivolgo al mio venerato Predecessore Benedetto XVI, che in questi anni di Pontificato ha arricchito e rinvigorito la Chiesa con il Suo magistero, la Sua bontà, la Sua guida, la Sua fede, la Sua umiltà e la Sua mitezza. Rimarranno un patrimonio spirituale per tutti! Il ministero petrino, vissuto con totale dedizione, ha avuto in Lui un interprete sapiente e umile, con lo sguardo sempre fisso a Cristo, Cristo risorto, presente e vivo nell’Eucaristia. Lo accompagneranno sempre la nostra fervida preghiera, il nostro incessante ricordo, la nostra imperitura e affettuosa riconoscenza. Sentiamo che Benedetto XVI ha acceso nel profondo dei nostri cuori una fiamma: essa continuerà ad ardere perché sarà alimentata dalla Sua preghiera, che sosterrà ancora la Chiesa nel suo cammino spirituale e missionario.

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Sala Clementina
Venerdì, 15 marzo 2013

domenica 17 marzo 2013

Papa Francesco ai cardinali: «Grazie Benedetto XVI, ha rinvigorito la Chiesa con la sua umiltà»

Papa Francesco ai cardinali: «Grazie Benedetto XVI, ha rinvigorito la Chiesa con la sua umiltà»

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marzo 15, 2013 Redazione
Papa Francesco ha salutato i cardinali in Sala Clementina: «La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana».
Papa Francesco, prima messa alla Cappella SistinaPapa Francesco ha incontrato i cardinali in Sala Clementina. Il Pontefice ha affermato che il «periodo dedicato al Conclave è stato carico di significato non solo per il Collegio Cardinalizio, ma anche per tutti i fedeli. In questi giorni abbiamo avvertito quasi sensibilmente l’affetto e la solidarietà della Chiesa universale, come anche l’attenzione di tante persone che, pur non condividendo la nostra fede, guardano con rispetto e ammirazione alla Chiesa e alla Santa Sede».
GRAZIE BENEDETTO XVI. Dopo aver ringraziato tutti i cardinali, papa Bergoglio ha rivolto «un pensiero colmo di grande affetto e di profonda gratitudine al mio venerato predecessore Benedetto XVI, che in questi anni di Pontificato ha arricchito e rinvigorito la Chiesa con il Suo magistero, la Sua bontà, la Sua guida, la Sua fede, la sua umiltà e la sua mitezza che rimarranno un patrimonio spirituale per tutti. Il ministero petrino, vissuto con totale dedizione, ha avuto in Lui un interprete sapiente e umile, con lo sguardo sempre fisso a Cristo, Cristo risorto, presente e vivo nell’Eucaristia. Lo accompagneranno sempre la nostra fervida preghiera, il nostro incessante ricordo, la nostra imperitura e affettuosa riconoscenza. Sentiamo che Benedetto XVI ha acceso nel profondo dei nostri cuori una fiamma: essa continuerà ad ardere perché sarà alimentata dalla Sua preghiera, che sosterrà ancora la Chiesa nel suo cammino spirituale e missionario».
LO SPIRITO GUIDA LA CHIESA. Papa Francesco ha poi espresso «la mia volontà di servire il Vangelo con rinnovato amore, aiutando la Chiesa a diventare sempre più in Cristo e con Cristo, la vite feconda del Signore. Stimolati anche dalla celebrazione dell’Anno della fede, tutti insieme, Pastori e fedeli, ci sforzeremo di rispondere fedelmente alla missione di sempre: portare Gesù Cristo all’uomo e condurre l’uomo all’incontro con Gesù Cristo Via, Verità e Vita, realmente presente nella Chiesa e contemporaneo in ogni uomo. Tale incontro porta a diventare uomini nuovi nel mistero della Grazia, suscitando nell’animo quella gioia cristiana che costituisce il centuplo donato da Cristo a chi lo accoglie nella propria esistenza». Ha poi sottolineato, come «ha ricordato tante volte nei suoi insegnamenti e, da ultimo, con quel gesto coraggioso e umile, il papa Benedetto XVI», che «è Cristo che guida la Chiesa per mezzo del suo Spirito. Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa con la sua forza vivificante e unificante: di molti fa un corpo solo, il Corpo mistico di Cristo».
NON CEDIAMO AL PESSIMISMO. Poi ha esclamato: «Non cediamo mai al pessimismo, a quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno: non cediamo al pessimismo e allo scoraggiamento: abbiamo la ferma certezza che lo Spirito Santo dona alla Chiesa, con il suo soffio possente, il coraggio di perseverare e anche di cercare nuovi metodi di evangelizzazione, per portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra (cfr At 1,8). La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Questo annuncio resta valido oggi come lo fu all’inizio del cristianesimo, quando si operò la prima grande espansione missionaria del Vangelo».

venerdì 15 marzo 2013

«Gesù ci darà la forza. Non voi, ma Lui in voi»

«IO FACCIO NUOVE TUTTE LE COSE»

«Gesù ci darà la forza. Non voi, ma Lui in voi»
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Omelia di sua eminenza il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, durante la santa messa in cui ha amministrato il sacramento della Cresima
Roma, 18 febbraio 2012, Basilica di San Lorenzo fuori le Mura


del cardinale Jorge Mario Bergoglio


Il cardinale Jorge Mario Bergoglio durante l’omelia nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura [© Massimo Quattrucci]
Il cardinale Jorge Mario Bergoglio durante l’omelia nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura [© Massimo Quattrucci]
 
Prima lettura (Is 43, 18-19.21-22.24b-25)
Dal libro del profeta Isaia

Così dice il Signore: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi. Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele. Tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati».

Seconda Lettura (2Cor 1, 18-22)
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è «sì» e «no». Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì». Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono «sì». Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro «Amen» per la sua gloria. È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 2, 1-12)
Gesù entrò di nuovo a Cafarnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Alzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

 
 
 
 
 
Nella preghiera all’inizio della messa abbiamo fatto un appello a Dio Padre: «Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito». Abbiamo bisogno di questo aiuto di Dio per capire la voce dello Spirito, la novità dello Spirito. Lo Spirito sempre è nuovo, sempre viene per rinnovare. È quello che abbiamo sentito nella prima lettura, la profezia: «Io faccio nuove tutte le cose». Così fa Dio, così fa lo Spirito. Perciò chiediamo l’aiuto di Dio di essere attenti alla voce dello Spirito, alla novità.
Fare tutto nuovo. Il Vangelo ci racconta la storia del paralitico che è stato rinnovato con la forza dello Spirito e di Gesù. Lo Spirito era in Gesù. Gesù è colui che ci invia lo Spirito per rinnovare tutto. Gesù è l’unico capace di incominciare tutto di nuovo, di ricominciare la vita. Pensiamo alla vita di questo paralitico, la vita fisica, e anche la vita interiore – perché il Signore gli guarisce prima l’anima: «I tuoi peccati sono perdonati». Gesù ha il potere, con la forza del suo Spirito, di rinnovare il cuore. Dobbiamo avere fiducia in questo. Se noi non abbiamo fiducia nella forza di Gesù Cristo come l’unica salvezza, l’unico che può fare nuove tutte le cose, siamo cristiani finti. Non siamo cristiani veraci.
Gesù non ti obbliga a essere cristiano. Ma se tu dici che sei cristiano devi credere che Gesù ha tutta la forza – l’unico che ha la forza – per rinnovare il mondo, per rinnovare la tua vita, per rinnovare la tua famiglia, per rinnovare la comunità, per rinnovare tutti. Questo è il messaggio che oggi dobbiamo portare con noi chiedendo al Padre che ci faccia attenti alla voce dello Spirito che fa quest’opera: lo Spirito di Gesù.
Oggi, seguendo l’invito del mio amico don Giacomo, cui voglio tanto bene, e noi tutti dobbiamo pregare per lui, perché è un pochettino malato… Pregheremo tutti per lui? Sì o no? Non sento niente… Se la preghiera è così, siamo finiti… Pregheremo tutti per lui? Sì!
L’invito per oggi è di fare queste cresime a voi che venite a ricevere la forza dello Spirito di Dio: credete nella forza dello Spirito! È lo Spirito di Gesù. Credete in Gesù che vi invia questo Spirito – a voi e a tutti noi: ci invia lo Spirito per rinnovare tutto. Non siete cristiani finti, cristiani solo a parole. Siete cristiani con la parola, con il cuore, con le mani. Sentite come cristiani, parlate come cristiani e fate opera di cristiani. Ma voi soli non potreste farlo. È Gesù che vi darà questo Spirito, vi darà la forza di rinnovare tutto: non voi, ma Lui in voi.
E con questo pensiero di Gesù che è l’unica salvezza, l’unico che ci porta la grazia, che ci dà la pace, la fraternità, che ci dà la salvezza, proseguiamo la celebrazione di questa messa con la recita del Credo, la professione della nostra fede.

La superbia

 La superbia
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La superbia è arroganza,
è la radice di tutti i peccati,

la ricerca del potere, apparire agli occhi degli altri,
non preoccuparsi di piacere a se stessi e a
Dio.
Essere cristiani vuol dire superare questa tentazione,
essere veri, sinceri, realisti.
L'umiltà è soprattutto verità,
vivere nella verità,
imparare che la piccolezza ci fa grandi.


(Benedetto XVI, 23 febbraio 2012)

IL MISTERO DEL SACRIFICIO DI DON GIACOMO PER LA CHIESA. L’UOMO STUPITO AMICO DI BERGOGLIO.

IL MISTERO DEL SACRIFICIO DI DON GIACOMO PER LA CHIESA. L’UOMO STUPITO AMICO DI BERGOGLIO.

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Il cardinale Bergoglio con don Giacomo Tantardini in una foto del marzo 2009 [© Paolo Galosi]


15 marzo 2013 / In News
Come scrisse Enea Silvio Piccolomini, nel 1458 eletto papa Pio II: “Quand’ero Enea/ nessun mi conoscea;/adesso che son Pio/ tutti mi chiaman zio”.
La storia si ripete anche con questo pontefice e ora i giornali sono pieni di persone che sbraitano “io lo conoscevo” oppure “io l’avevo detto” (col senno di poi).
Ma se c’è un uomo in Italia a cui il cardinale Bergoglio è veramente  legato da autentico affetto e profonda stima è un sacerdote della Chiesa di Roma, figlio prediletto di don Luigi Giussani, cioè don Giacomo Tantardini.
IL SACRIFICDIO DI DON GIACOMO
Don Giacomo, che s’illuminava quando parlava del suo amico cardinale e che alla vigilia del Conclave del 2005 lo portava nell’anima come il “suo” candidato, non ha potuto vedere l’avverarsi del suo desiderio su questa terra, perché è morto prematuramente, per tumore, il 19 aprile dell’anno scorso (proprio l’anniversario dell’elezione di Benedetto XVI).
Ma gli amici a lui più vicini, soprattutto della rivista “30 Giorni
,di cui don Giacomo era la mente e il cuore, ricordano con commozione quell’ultimo incontro in redazione durante il quale, col suo sorriso evangelico, il sacerdote brianzolo (romano d’adozione), considerando il rapido avanzare della malattia, disse più o meno queste parole: “se il Signore ha deciso di chiamarmi e non posso fare più niente, io offro il mio corpo, la mia vita, per la Santa Chiesa”.
Per uno di quei misteri che sono noti ai cristiani, ma lasciano comunque ammutoliti, non è passato nemmeno un anno dall’offerta e dal sacrificio di don Giacomo e il suo amico cardinale, che lui considerava un meraviglioso pastore per la Chiesa universale, è stato chiamato da Dio al pontificato.
Bergoglio aveva seguito con partecipazione l’evolversi della malattia. Il 18 febbraio dell’anno scorso don Tantardini gli aveva chiesto di amministrare la cresima ad alcuni ragazzi, nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura e in quell’occasione il cardinale aveva esordito così:
Oggi, seguendo l’invito del mio amico don Giacomo, cui voglio tanto bene, e noi tutti dobbiamo pregare per lui, perché è un pochettino malato… Pregheremo tutti per lui? Sì! L’invito per oggi è di fare queste cresime a voi che venite a ricevere la forza dello Spirito di Dio: credete nella forza dello Spirito! E’ lo Spirito di Gesù”.
Poi aggiunse:
“Credete in Gesù che vi invia questo Spirito – a voi e a tutti noi: ci invia lo Spirito per rinnovare tutto. Sentite come cristiani, parlate come cristiani e fate opera di cristiani. Ma voi soli non potreste farlo. È Gesù che vi darà questo Spirito, vi darà la forza di rinnovare tutto: non voi, ma Lui in voi”.
Concluse sottolineando “questo pensiero di Gesù che è l’unica salvezza, l’unico che ci porta la grazia, che ci dà la pace, la fraternità, che ci dà la salvezza”.
Don Giacomo è morto esattamente due mesi dopo, il 19 aprile, e il cardinale, il 6 maggio, volle scriverne un ricordo rivolto ai tantissimi giovani che a Roma – attraverso don Giacomo nei decenni scorsi – hanno incontrato Gesù Cristo e si sono convertiti:
‘Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede’ (Eb13, 7). Così, l’autore della Lettera agli Ebrei ci esorta a tener presenti quelli che ci hanno annunciato il Vangelo e che già sono partiti. Ci chiede di ricordarli, ma non in quel modo formale e, a volte, commiserevole (…). Ci chiede, invece, di ricordarli a partire dalla fecondità della loro semina in mezzo a noi. (…) Così, con questa memoria, ricordiamo don Giacomo e ci chiediamo: che cosa ci ha lasciato? Quali impronte di lui troviamo sul cammino della nostra vita? Oso semplicemente dire che ha lasciato le impronte di un uomo-bambino che non ha mai finito di stupirsi”.
Poi con affetto il cardinale aggiunse:
“Don Giacomo, l’uomo dello stupore; l’uomo che si è lasciato stupire da Dio e ha saputo dischiudere il cammino affinché questo stupore nascesse negli altri. Don Giacomo, un uomo sorpreso che, mentre guardava il Signore che lo chiamava, continuamente si chiedeva, quasi non riuscisse a crederci, come il Matteo del Caravaggio: io, Signore? Un uomo stupito di fronte a questa indescrivibile “sovrabbondanza” della grazia che vince sull’abbondanza meschina del peccato… un uomo stupito che si è sentito cercato, atteso e amato dal Signore molto prima che fosse lui a cercarlo, ad attenderlo e ad amarlo; un uomo stupito, come quelli del lago di Tiberiade…. E quest’uomo stupito si è lasciato, più di una volta, interrogare: ‘Mi ami?’, per rispondere con la semplicità ardente dell’amore: ‘Signore, tu lo sai che ti amo’…”.
Concluse:
Don Giacomo era così. Non aveva perduto la capacità di sorprendersi; rifletteva a partire da quello stupore che riceveva e alimentava nella preghiera… L’ultima immagine che ho di lui mi commuove: durante la cerimonia delle cresime a San Lorenzo fuori le Mura, con le mani giunte, gli occhi aperti e stupiti, sorridente e serio allo stesso tempo. Lì, pregammo per la sua salute… e lui ringraziò con un gesto che era di speranza di guarire e, allo stesso tempo, di affidamento. Così, per grazia, si può perseverare nel cammino, fino alla fine: l’uomo-bambino si abbandona fra le braccia di Gesù mentre chiede che passi questo calice, e viene preso e portato in braccio, con le mani giunte e gli occhi aperti. Lasciandosi sorprendere ancora una volta, per il dono più grande. Ringrazio Dio nostro Signore di averlo conosciuto. È rivolto anche a me quel ‘considerate l’esito della sua vita e imitatene la fede’ della Lettera agli Ebrei”.
IL DONO DI GIUSSANI
L’amicizia con don Giacomo aveva come cornice la grande stima di Bergoglio per don Giussani, di cui, il 27 aprile del 2001, volle presentare un libro a Buenos Aires, “L’attrattiva Gesù”.
Anche nel 1999 aveva voluto far conoscere Giussani ai suoi fedeli presentando un altro suo libro, “Il senso religioso”.
In quella circostanza disse:
Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo”.
Don Giussani volle ringraziarlo personalmente e gli scrisse un telegramma che – riletto oggi, considerato come don Giussani pesava le parole – assume una colorazione profetica.
Don Giussani sottolineò infatti che la sua presenza faceva sentire ai suoi figli spirituali “la vicinanza del Papa e di tutta la Chiesa, nostra Madre, per la quale siamo stati voluti all’esistenza e scelti per ingrossare il flusso del popolo cristiano dall’attrattiva Gesù, l’uomo-Dio che ci ha raggiunti e convinti. Tanto che Lo abbiamo seguito, con tutti i nostri limiti e con tutti i nostri impeti, tutto a Lui offrendo lietamente nella semplicità del cuore”.
Quella considerazione sull’affetto del vescovo di Buenos Aires come segno della “vicinanza del Papa” appare oggi come un presagio.
Giussani concludeva:
“Ci sia maestro e padre, Eminenza, come sento raccontare dai miei amici di Buenos Aires, grati alla Sua persona e obbedienti come a Gesù”.
MISTERO
Adesso papa Francesco è maestro e padre per tutta la Chiesa. E’ il principio di una grande purificazione e di un nuovo inizio che porterà la Buona Novella a tutti. Come duemila anni fa.
Chi, come me, ha visto, da amico, il calvario di quel grande sacerdote romano che è stato don Giacomo Tantardini negli ultimi decenni, culminato nella malattia e nell’offerta della vita per la Chiesa, fino due giorni fa aveva la sensazione triste di una sorta di disfatta personale. Totale e incomprensibile.
Che invece, in un batter d’occhio, il Cielo ha totalmente rovesciato. Dalla croce alla resurrezione. Don Giacomo ha dato la vita per regalare alla Chiesa e all’umanità questo pontificato, questa nuova stagione della cristianità.
Antonio Socci
Da “Libero”, 15 marzo 2013

L’omelia della prima messa di Papa Francesco

JORGE BERGOGLIO/
 L’omelia della prima messa di Papa Francesco
***
 Testo completo
giovedì 14 marzo 2013
Redazione
Ha parlato a braccio e in italiano papa Francesco nella sua prima messa, celebrata
nella Cappella Sistina. E ha parlato della Chiesa, dei fedeli, e del rapporto di
entrambi con la Croce di Cristo. Pubblichiamo, di seguito, il testo integrale
dell’omelia.

In queste tre Letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. Nella Prima
Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento
nell’edificazione d
ella Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione.
Camminare, edificare, confessare.

Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5).
Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii
irreprensibile.

Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa
non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di
vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa.

Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre
vive, pietre unte dallo Spirito Santo.
Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella
pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita:
edificare.
Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare
tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG
assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore.
 

 Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede?
 Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, 
tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene 
la frase di Léon Bloy:
“Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si
confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.

Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel
camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che
non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.
Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che ha
confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non
parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce.
Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando
confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani,
siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.

Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio,
di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa
sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo
Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.

Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra
Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo
Crocifisso. Così sia
.