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lunedì 30 settembre 2013

Una presenza non reattiva

                 Una presenza non reattiva            
                                        ***                                           
Quest’anno vogliamo chiarire in che senso è una rivoluzione, in modo da essere più illuminati e più decisi nel prendere sul serio quella parola, perché presenza è realizzare la comunione. Innanzitutto, la nostra, in università, non può essere una presenza reattiva. Reattiva significa determinata dai passi di ciò che non è noi: porsi con iniziative, utilizzare discorsi, realizzare strumenti non generati come modalità totale dalla nostra personalità nuova, ma suggeriti dall’uso di parole, dalla realizzazione di strumenti, dalla modalità di atteggiamento e di comportamento degli avversari, ovvero di coloro che cercano di creare un mondo umano non secondo Cristo e perciò, obiettivamente, secondo una menzogna, a prescindere dai loro intendimenti. 
Una presenza reattiva non può che cadere in due errori: o diventa una presenza reazionaria, attaccata cioè alle proprie posizioni come “forme”, senza che i contenuti – le motivazioni, le radici – siano così chiari da essere resi vita (il reazionario è sempre, poco o tanto, formalista); oppure, se non è reazionaria, una presenza reattiva cade nell’eccesso opposto, tende cioè a diventare mimesi, imitazione degli altri; e ciò costituisce il primo e fondamentale cedimento nei loro confronti (è come giocare in casa loro, accettando la lotta secondo le loro modalità).
Occorre dunque una presenza originale, una presenza secondo la nostra originalità. Il diritto a esistere e ad agire dovunque e comunque non viene dal seguire le modalità altrui, ma da quello che siamo. «Chi siamo e perché ci siamo», dicevano gli amici di Roma: una presenza è originale quando scaturisce dalla coscienza della propria identità e dall’affezione a essa, e in ciò trova la sua consistenza.

Sia che mi trovi da solo nella mia stanza, sia che ci troviamo in tre a studiare in università, in venti alla mensa, eccetera, dovunque e comunque questa è la nostra identità. Il problema è perciò l’autocoscienza, il contenuto della coscienza di noi stessi: «Vivo, non io, sei Tu che vivi in me».
Questo è il vero uomo nuovo nel mondo – l’uomo nuovo che fu il sogno di Che Guevara e il pretesto mentitore di rivoluzioni culturali con cui il potere ha tentato
e tenta di aver in mano il popolo, per soggiogarlo secondo la propria ideologia –; e nasce innanzitutto non come coerenza, ma come autocoscienza nuova
.

La nostra identità si manifesta in un’esperienza nuova dentro di noi e tra di noi: l’esperienza dell’affezione a Cristo e al mistero della Chiesa, che nella nostra unità trova la sua concretezza più vicina. L’identità è l’esperienza viva dell’affezione a Cristo e alla nostra unità.
La parola «affezione» è la più grande e comprensiva di tutta la nostra espressività. Essa indica molto più un «attaccamento» che nasce dal giudizio di valore – dal riconoscimento di quello che c’è in noi e tra di noi – che una facilità sentimentale, effimera, labile come foglia in balìa del vento. E nella fedeltà al giudizio, cioè nella fedeltà alla fede, con l’età, tale attaccamento cresce, diventa più turgido, vibrante e potente. «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato perdita […] di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede.» Questa esperienza viva di Cristo e della nostra unità è il luogo della speranza, perciò della scaturigine del gusto della vita e del fiorire possibile della gioia – che non è costretta a dimenticare o a rinnegare nulla per affermarsi –; ed è il luogo del recupero di una sete di cambiamento della propria vita, del desiderio che la propria vita sia coerente, muti in forza di quello che essa è al fondo, sia più degna della Realtà che ha “addosso”.
Dentro l’esperienza di Cristo e della nostra unità vive la passione per il cambiamento della propria vita. Ed è il contrario del moralismo: non una legge cui essere adeguati, ma un amore cui aderire, una presenza da seguire sempre di più con tutto se stessi, un fatto dentro il quale realmente naufragare.
«Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.» La lettera ai Filippesi è ancora più appassionata: «Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo».11 Il desiderio del cambiamento di sé, pacato, equilibrato, e nello stesso tempo appassionato, diventa allora una realtà quotidiana – senza ombra di pietismo o di moralismo –, un amore alla verità del proprio essere, un desiderio bello e scomodo come una sete
Tutto questo deve diventare maturo; questo è ciò a cui dobbiamo aspirare con tutto ciò che siamo e con tutto quello che facciamo.
Ma noi non costruiamo quella presenza – che scaturisce dalla coscienza della nostra identità e dall’affezione a essa –, siamo ancora confusi.
Siamo insieme per un inizio di accento vero, che ci ha percosso quando abbiamo incontrato la comunità. Quello che ci unisce, anche se tenace, è ancora piccolo
ed embrionale, costruito dall’impressione provocata in noi dall’accento di verità dell’incontro che abbiamo fatto. Tutto è rimasto ancora agli inizi, e deve diventare
maturo, altrimenti il Signore può permettere che la tempesta del mondo lo travolga. È venuto il momento in cui non possiamo più resistere, se quell’accento iniziale non diventa maturo: non possiamo più portare da cristiani l’enorme montagna di lavoro, di responsabilità e di fatiche a cui siamo chiamati. Non si coagula, infatti, la gente con delle iniziative; ciò che coagula è l’accento vero di una presenza, che è dato dalla Realtà che è tra noi e che abbiamo “addosso”: Cristo e il Suo mistero reso visibile nella nostra unità.

Proseguendo nell’approfondimento dell’idea di presenza, occorre allora ridefinire la nostra comunità. La comunità non è un coagulo di gente per realizzare iniziative, non è il tentativo di costruire una organizzazione di partito: la comunità è il luogo della effettiva costruzione della nostra persona, cioè della maturità della fede.
Scopo della comunità è generare adulti nella fede. È di adulti nella fede che il mondo ha bisogno, non di bravi professionisti o di lavoratori competenti, perché di
questi la società
è piena, ma tutti sono profondamente contestabili nella loro capacità di creare
umanità.

Giussani Luigi, Dall'utopia alla presenza: (1975-1978), BUR, 2006

domenica 29 settembre 2013

il matrimonio è “fuori moda”. E' fuori moda? [No...

 C’è chi dice che oggi il matrimonio è “fuori moda”. 
E' fuori moda? [No...].
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Dio chiama a scelte definitive, ha un progetto su ciascuno: scoprirlo, rispondere alla propria vocazione è camminare verso la realizzazione felice di se stessi. Dio ci chiama tutti alla santità, a vivere la sua vita, ma ha una strada per ognuno. Alcuni sono chiamati a santificarsi costituendo una famiglia mediante il Sacramento del matrimonio. C’è chi dice che oggi il matrimonio è “fuori moda”. E' fuori moda? [No...]. Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive, “per sempre”, perché non si sa cosa riserva il domani. Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare contro corrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi. Abbiate il coraggio di “andare contro corrente”. E abbiate anche il coraggio di essere felici.
 PAPA FRANCESCO
 
 http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2013/july/documents/papa-francesco_20130728_gmg-rio-volontari_it.html

Se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce, tutto va sull’io, sul mio benessere.

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro Domenica, 29 settembre 2013


  «Ma d’altra parte a me sembra fuor di dubbio che, se lasciaste a tutti questi alti maestri contemporanei la piena possibilità di distruggere la vecchia società e ricostruirla di nuovo, ne verrebbe fuori una tale tenebra, un tale caos, qualcosa di talmente volgare, cieco e inumano, che tutto l’edificio crollerebbe sotto le maledizioni dell’umanità prima di essere compiuto».
 «furfanti furbissimi, che hanno studiato appunto il lato generoso dell’anima umana, più che altro quella dei giovani, per saperla suonare come uno strumento musicale»?
 DOSTOEVSKIJ «Diario» del sottosuolo
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1. «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri, … distesi su letti d’avorio» (Am 6,1.4), mangiano, bevono, cantano, si divertono e non si curano dei problemi degli altri.
Parole dure queste del profeta Amos, ma che ci mettono in guardia da un pericolo che tutti corriamo. Che cosa denuncia questo messaggero di Dio, che cosa mette davanti agli occhi dei suoi contemporanei e anche davanti ai nostri occhi oggi? Il rischio di adagiarsi, della comodità, della mondanità nella vita e nel cuore, di avere come centro il nostro benessere. E’ la stessa esperienza del ricco del Vangelo, che indossava vestiti di lusso e ogni giorno si dava ad abbondanti banchetti; questo era importante per lui. E il povero che era alla sua porta e non aveva di che sfamarsi? Non era affare suo, non lo riguardava. Se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini: guardate bene, il ricco del Vangelo non ha nome, è semplicemente “un ricco”. Le cose, ciò che possiede sono il suo volto, non ne ha altri.
Ma proviamo a domandarci: come mai succede questo? Come mai gli uomini, forse anche noi, cadiamo nel pericolo di chiuderci, di mettere la nostra sicurezza nelle cose, che alla fine ci rubano il volto, il nostro volto umano? Questo succede quando perdiamo la memoria di Dio. “Guai agli spensierati di Sion”, diceva il profeta. Se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce, tutto va sull’io, sul mio benessere. La vita, il mondo, gli altri, perdono la consistenza, non contano più nulla, tutto si riduce a una sola dimensione: l’avere. Se perdiamo la memoria di Dio, anche noi stessi perdiamo consistenza, anche noi ci svuotiamo, perdiamo il nostro volto come il ricco del Vangelo! Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità – dice un altro grande profeta, Geremia (cfr Ger 2,5). Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non a immagine e somiglianza delle cose, degli idoli!
2. Allora, guardandovi, mi chiedo: chi è il catechista? E’ colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in se stesso e la sa risvegliare negli altri. E’ bello questo: fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che, davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita, non pensa all’onore, al prestigio, alle ricchezze, non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e nell’incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell’agire di Dio, della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia: «L’anima mia magnifica il Signore … perché ha guardato l’umiltà della sua serva … di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50). Maria ha memoria di Dio.
In questo cantico di Maria c’è anche la memoria della sua storia personale, la storia di Dio con lei, la sua stessa esperienza di fede. Ed è così per ognuno di noi, per ogni cristiano: la fede contiene proprio la memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell’incontro con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma; la fede è memoria della sua Parola che scalda il cuore, delle sue azioni di salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Il catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato, cioè la dottrina nella sua totalità, senza tagliare né aggiungere.
San Paolo raccomanda al suo discepolo e collaboratore Timoteo soprattutto una cosa: Ricordati, ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, che io annuncio e per il quale soffro (cfr 2 Tm 2,8-9). Ma l’Apostolo può dire questo perché lui per primo si è ricordato di Cristo, che lo ha chiamato quando era persecutore dei cristiani, lo ha toccato e trasformato con la sua Grazia.
Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. E’ impegnativo questo! Impegna tutta la vita! Lo stesso Catechismo che cos’è se non memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua Chiesa, nel suo amore? Cari catechisti, vi domando: siamo noi memoria di Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la memoria di Dio, che scalda il cuore?
3. «Guai agli spensierati di Sion», dice il profeta. Quale strada percorrere per non essere persone “spensierate”, che pongono la loro sicurezza in se stessi e nelle cose, ma uomini e donne della memoria di Dio? Nella seconda Lettura san Paolo, scrivendo sempre a Timoteo, dà alcune indicazioni che possono segnare anche il cammino del catechista, il nostro cammino: tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (cfr 1 Tm 6,11).
Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo; se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui la sua sicurezza; se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come fratelli; se è uomo di “hypomoné”, di pazienza, di perseveranza, che sa affrontare le difficoltà, le prove, gli insuccessi, con serenità e speranza nel Signore; se è uomo mite, capace di comprensione e di misericordia.
Preghiamo il Signore perché siamo tutti uomini e donne che custodiscono e alimentano la memoria di Dio nella propria vita e la sanno risvegliare nel cuore degli altri. Amen.

Giussani: Perchè siamo più lieti?

 Giussani: Perchè siamo più lieti? 
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Giussani: Perchè siamo più lieti? Ragazzi perchè siamo più lieti?.
Quando siamo più lieti? Perchè tantissime volte, adesso molti non sono lieti
La letizia è una cosa che si vede come gli occhi!
Brilla come gli occhi. Oppure la nostra faccia è torbida come gli occhi torbidi,
è confusa, oscura, come gli occhi miopi. Perchè siamo lieti? La letizia è il riverbero dela certezza della felicità, dell'Eterno, e si forma di certezza e di volontà di cammino, di coscienza del cammino che si sta compiendo.
Intervento: Dicevo che con questa letizia è possibile guardare con simpatia
tutto, anche chi magari ti è antipatico al momento . E così con questa letizia...

Giussani: Ma, scusami, “con questa letizia è possibile guardare con
simpatia tutto” vuol dire: con questa letizia è possibile generare diverse cose
Perchè guardare con simpatia uno che è antipatico è generare una cosa nuova
nel mondo, è generare un avvenimento nuovo. La letizia è la condizione per la
generazione, la gioia è la condizione per la fecondità. Essere lieti è la condizione indispensabile per generare un mondo diverso, una umanità diversa.
Ma abbiamo una figura in questo senso che dovrebbe esserci di consolazione o di consalante sicurezza , che è Madre Teresa di Calcutta,Madre Teresa di Calcutta! La sua è una letizia generativa, feconda: non muove un dito, senza cambiare qualche cosa. E la sua letizia non sono zigomi che si rattrappiscono in un sorriso forzoso, artificioso, no, no, no! É tutta profondamente attraversata dalla tristezza delle cose, come la faccia di Cristo. Chi è cosciente dell'uomo, di se stesso come dell'uomo che ha vicino e del mondo,
non può non essere attraversato profondamente dalla tristezza; la letizia non è un termine contraddittorio a questo, la tristezza essendo condizione
passeggera, condizione del cammino, è lasciando intatta la vibrazione che dall'Eterno passa a questo mondo, si comunica a questo mondo(“la tua grazia vale più della vita”),come certezza , come chiarezza e come certezza del cammino. Ma la cosa che mi fa più impressione è che perfino il nostro male non può togliere la letizia; è, infatti, genera dolore: e la letizia è come un fiore di cactus, che nella pianta di spine genera una cosa bella.
 Giussani

venerdì 27 settembre 2013

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SULLA CATECHESI


Aula Paolo VI
Venerdì, 27 settembre 2013
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 Cari catechisti, buonasera!
Mi piace che nell’Anno della fede ci sia questo incontro per voi: la catechesi è un pilastro per l’educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti! Grazie di questo servizio alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere difficile, si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! E’ forse la migliore eredità che noi possiamo dare: la fede! Educare nella fede, perché lei cresca. Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! “Essere” catechisti! Non lavorare da catechisti: questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare… Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo, non sarai feconda! Catechista è una vocazione: “essere catechista”, questa è la vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto “fare” i catechisti, ma “esserlo”, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione”. E quello che attrae è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile.  Non è facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. A me piace ricordare quello che san Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. Le parole vengono… ma prima la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo. Ed “essere” catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non si compra nei negozi, non si compra qui a Roma neppure. Questo amore viene da Cristo! E’ un regalo di Cristo! E’ un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da questo amore che Lui ci dà, Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista? Cosa significa?
Io parlerò di tre cose: uno, due e tre, come facevano i vecchi gesuiti… uno, due e tre!
1. Prima di tutto, ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui, avere questa familiarità con Gesù: Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l’immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo. Rimanere in Gesù! E’ un rimanere attaccati a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con Lui: rimanere in Gesù.
La prima cosa, per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita. Ricordo, tante volte in diocesi, nell’altra diocesi che avevo prima, di aver visto alla fine dei corsi nel seminario catechistico, i catechisti che uscivano dicendo: “Ho il titolo di catechista!”. Quello non serve, non hai niente, hai fatto una piccola stradina! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui; e dura tutta la vita! E’ uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: Come state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, che cosa fate? Senza parole… Ma io dico, dico, penso, medito, sento… Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare… è semplice! E’ un po’ noioso, mi addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista: è parte dell’essere catechista. Questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia col Signore, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene. In una delle uscite che ho fatto, qui a Roma, in una Messa, si è avvicinato un signore, relativamente giovane, e mi ha detto: “Padre, piacere di conoscerla, ma io non credo in niente! Non ho il dono della fede!”. Capiva che era un dono. “Non ho il dono della fede! Che cosa mi dice lei?”. “Non ti scoraggiare. Lui ti vuole bene. Lasciati guardare da Lui! Niente di più”. E questo lo dico a voi: lasciatevi guardare dal Signore! Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita. In questo momento ognuno può domandarsi: come vivo io questo “stare” con Gesù? Questa è una domanda che vi lascio: “Come vivo io questo stare con Gesù, questo rimanere in Gesù?”. Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri? Pensate a questo!
2. Il secondo elemento è questo. Secondo: ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica… Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell’amore. Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo. E questo è il lavoro del catechista: uscire continuamente da sé per amore, per testimoniare Gesù e parlare di Gesù, predicare Gesù. Questo è importante perché lo fa il Signore: è proprio il Signore che ci spinge a uscire.
Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di “sistole - diastole”: unione con Gesù - incontro con l’altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non può vivere. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono. Questa parolina: dono. Il catechista è cosciente che ha ricevuto un dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello. E non se ne prende per sé la percentuale! Tutto quello che riceve lo dà! Questo non è un affare! Non è un affare! E’ puro dono: dono ricevuto e dono trasmesso. E il catechista è lì, in questo incrocio di dono. E’ così nella natura stessa del kerigma: è un dono che genera missione, che spinge sempre oltre se stessi. San Paolo diceva: «L’amore di Cristo ci spinge», ma quel “ci spinge” si può tradurre anche “ci possiede”. E’ così: l’amore ti attira e ti invia, ti prende e ti dona agli altri. In questa tensione si muove il cuore del cristiano, in particolare il cuore del catechista. Chiediamoci tutti: è così che batte il mio cuore di catechista: unione con Gesù e incontro con l’altro? Con questo movimento di “sistole e diastole”? Si alimenta nel rapporto con Lui, ma per portarlo agli altri e non per ritenerlo? Vi dico una cosa: non capisco come un catechista possa rimanere fermo, senza questo movimento. Non capisco!
3. E il terzo elemento – tre - sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie. Qui mi viene in mente la storia di Giona, una figura davverointeressante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido. Ha tutto chiaro, la verità è questa. E’ rigido! Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. Andare là! Ma io ho tutta la verità qui!. Non se la sente…Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, se ne va in Spagna, fugge via, si imbarca su una nave che va da quelle parti. Andate a rileggere il Libro di Giona! E’ breve, ma è una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa.
Che cosa ci insegna? Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre. Ma sapete una cosa? Dio non ha paura! Sapevate questo voi? Non ha paura! E’ sempre oltre i nostri schemi!  Dio non ha paura delle periferie. Ma se voi andate alle periferie, lo troverete lì. Dio è sempre fedele, è creativo. Ma, per favore, non si capisce un catechista che non sia creativo. E la creatività è come la colonna dell’essere catechista. Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido! Ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Saper cambiare. E perché devo cambiare? E’ per adeguarmi alle circostanze nelle quali devo annunziare il Vangelo. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di uscire. Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo, finisce per essere una statua da museo: e ne abbiamo tanti! Ne abbiamo tanti! Per favore, niente statue da museo! Se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile? Qualcuno ha questa voglia? [catechisti: No!] No? Sicuro? Va bene! Quello che dirò adesso lo ho detto tante volte, ma mi viene dal cuore di dirlo. Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo, nel nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente, rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità. E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala! Quando un cristiano è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente. Tante volte abbiamo visto incidenti stradali. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata! Una Chiesa, un catechista che abbia il coraggio di correre il rischio per uscire, e non un catechista che studi, sappia tutto, ma chiuso sempre: questo è ammalato. E alle volte è ammalato dalla testa….
Ma attenzione! Gesù non dice: andate, arrangiatevi. No, non dice quello! Gesù dice: Andate, io sono con voi! Questa è la nostra bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parresia, Lui cammina con noi, ci precede, – lo disco in spagnolo – ci “primerea”. Il Signore sempre ci “primerea”! Ormai avete imparato il senso di questa parola. E questo lo dice la Bibbia, non lo dico io. La Bibbia dice, il Signore dice nella Bibbia: Io sono come il fior del mandorlo. Perché? Perché è il primo fiore che fiorisce nella primavera. Lui è sempre “primero”! Lui è primo! Questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un po’ di timore, in realtà Lui è già là: Gesù ci aspetta nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima senza fede. Ma voi sapete una delle periferie che mi fa così tanto male che sento dolore - lo avevo visto nella diocesi che avevo prima? E’ quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. Questa è una periferia! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti aspetta, per aiutare quel bambino a farsi il Segno della Croce. Lui sempre ci precede.
Cari catechisti, sono finiti i tre punti. Sempre ripartire da Cristo! Vi dico grazie per quello che fate, ma soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino, perché camminate con il Popolo di Dio. Rimaniamo con Cristo - rimanere in Cristo - cerchiamo di essere sempre più una cosa sola con Lui; seguiamolo, imitiamolo nel suo movimento d’amore, nel suo andare incontro all’uomo; e usciamo, apriamo le porte, abbiamo l’audacia di tracciare strade nuove per l’annuncio del Vangelo.
Che il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni. Grazie!
Maria è nostra Madre,
Maria sempre ci porta a Gesù!

Facciamo una preghiera, uno per l’altro, alla Madonna.
[Ave Maria]
[Benedizione]
Grazie tante!

giovedì 26 settembre 2013

E anche un matematico scrive a Odifreddi. Per dar ragione alla Bibbia




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odifreddi


Una lettera scritta ad Odifreddi per chiarire alcuni punti su cui il matematico, che si diletta anche di critica biblica in chiave anticlericale, mostra alcune lacune. In buona compagnia, per altro, con molti biblisti moderni. Che non conoscono le Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio, a differenza di don Bosco che, invece, le sapeva a memoria. Un viaggio tra Genesi, Esodo, Atlantide, Eden per mostrare all’illustre matematico che occorre accostarsi al campo della critica biblica con maggiore umiltà



di Emilio Spedicato*

matematico, docente all’università di Bergamo

SpedicatoPiergiorgio Odifreddi è stato professore ordinario di Logica Matematica all’ Università di Torino, mio collega come ordinario, io essendolo in Ricerca Operativa. È noto per collaborazioni con importanti centri matematici in USA ed è autore di una imponente monografia sulla logica matematica, che confesso non avere mai letto. E confesso di avere letto meno di un millesimo della produzione matematica nota,  consistente in circa 100.000 libri e 4 milioni di articoli (un progetto Unesco mira a raccoglierli tutti…). Non sono mai riuscito ad incontrarlo all’ Università di Torino, i colleghi mi dicevano che era raramente presente.


Primo incontro ad un convegno della Pristem, un centro di cultura matematica, nato presso l’ Università Bocconi per iniziativa del prof Angelo Guerraggio, noto per una rivista divulgativa di alta qualità. Credo che in quell’ occasione Odifreddi parlasse su von Neumann, di cui aveva scritto una breve biografia, criticando certi aspetti di colui che considero il più grande scienziato del Novecento. Critica dovuta al fatto che von Neumann, anticomunista oltre che antinazista, aveva suggerito al presidente americano di sfruttare l’iniziale superiorità atomica degli USA per un primo colpo contro l’ Unione Sovietica.  Von Neumann aveva studiato contemporaneamente matematica e ingegneria, risolvendo occasionalmente problemi aperti quando ascoltava conferenze. Ma oltre che nella scienza, dove ha dato fondamentali contributi in fisica quantistica, in logica matematica (contemporaneamente a Goedel provò che è impossibile dimostrare la consistenza della matematica, un colpo mortale contro ogni pretesa di collocare la scienza su un piedestallo di certezza), in economia  e nei calcolatori, ancora oggi basati sul suo modello concettuale,  aveva anche interessi umanisti e specialmente storici. Da bambino aveva letto una storia universale in 50 volumi regalatagli dal padre, e probabilmente l’aveva memorizzata, essendo dotato di una memoria visiva straordinaria. 


Il matematico Von Neumann. Odifreddi scrive di lui, ma è meno preparato del previsto sulla sua biografia.
Il matematico Von Neumann. Odifreddi scrive di lui, ma è meno preparato del previsto sulla sua biografia.

E quando l’amico Arthur Koestler lavorava a quel libro capolavoro di storia della cosmologia che è I sonnambuli, si incontrava spesso la domenica con von Neumann.  Questi veniva nella sua casa con grande giardino su un’isola fluviale della costa est degli USA, per discussioni lunghe ore. Di questo fatto, non citato nel libro, dove il nome von Neumann non appare, ne parla la moglie di Koestler nel suo diario. Nei I sonnambuli vanno notate le pesanti critiche nei confronti di Copernico (espunse nella versione finale ogni riferimento ad Aristarco di Samo già autore della teoria eliocentrica) e soprattutto di Galileo, la cui fisica di base era errata ed il cui comportamento nei confronti di Copernico, di Keplero e del papa che lo aveva invitato a presentare la sua teoria, fu ben poco amichevole. Esaltati invece Keplero e Newton, la cui immensa grandezza è però solo sfiorata.  A termine della conferenza  di Odifreddi,  gli chiesi se sapeva del ruolo svolto da von Neumann nel libro di Koestler. Lo ignorava. E vorrei sapere quanti fisici, che sanno che Newton inventò il calcolo infinitesimale  e derivate, le leggi della meccanica celeste e dell’ ottica, sanno anche che Newton, pur avendo il più elevato stipendio d’Inghilterra, fu trovato alla morte privo di oro e denaro? E che al suo funerale arrivarono centinaia di poveri, da lui segretamente aiutati. Non sappia la destra ciò che fa la sinistra… e in verità del suo lavoro scientifico, storico, filosofico ancora sappiamo ben poco, non esistono le Opere complete, i manoscritti sono, pare, secretati un po’ in Israele, un  po’ in Australia…


Vidi Odifreddi una seconda volta quando fu invitato, con due filosofi, a commemorare Einstein, a Paderno Dugnano, dove abito, e dove il sindaco comunista evidentemente non volle invitare un concittadino laureato in fisica e anni prima premiato proprio dal comune in quanto diplomatosi con la più alta media in Italia della scuola superiore. Intervento su Einstein dove erano del tutto assenti quei fatti su Einstein ora ben noti come Einstein plagiario, forse mandante di un assassinio, coautore di  un lavoro (Einstein-Rupp), dove i dati sperimentali erano semplicemente inventati…


Quella lettera ad Odifreddi rifiutata da Avvenire


Il matematico a cui è... matematico che i media, anche quelli cattolici, prestino ossequio.
Il matematico a cui è… matematico che i media, anche quelli cattolici, prestino ossequio.

Quanto sopra si collega ad osservazioni che ho fatto a suoi libri, ampiamente diffusi, relativamente a certi o quasi certi errori in astronomia e storia. Sulle osservazioni fatte in merito ad un primo libro, Odifreddi rispose osservando che era materia presa da suoi articoli su giornali (presumibilmente in mano a lettori di non specialistica competenza), dove l’ accuratezza non è notoriasmente una virtù. Quanto segue riguarda il suo libro  Perché non possiamo dirci cristiani. Ultimo dei suoi libri che ho letto. La lunga lettera a lui inviata non ebbe risposta, ne fu rifiutata la pubblicazione da Avvenire, apparve in forma modificata su Liberal e poi nel mio libro Un matematico fra i misteri dell’ universo e della storia, Aracne, 2010.  Qui è parzialmente ripresa con qualche modifica. 


A Odifreddi.


Ho letto recentemente il tuo libro Perché…., che mi è parso il più interessante della mezza dozzina di tuoi libri che ho letto. Gradirei fare alcune osservazioni. Comincio con il detto evangelico


nel regno dei cieli entreranno prima le prostitute dei dottori della legge


 e, notando che nei seminari italiani si insegna che Mosè, Davide e Salomone non sono mai esistiti (professor  De Benedetti,  Seminario Teologico di Milano) e in generale che la Bibbia non è testo di interesse storico, ma solo fonte di ispirazione per considerazioni morali e teologiche (prof Borgonovo, Milano, sua comunicazione a mio convegno del 1999, e con lui quasi tutti i biblisti italiani), non si può non essere d’ accordo con Messori quando accusa i teologi di essere i primi responsabili della perdita di fede…


Il libro contiene una messe d’informazioni e considerazioni cospicue, dove ho trovato cose che mi erano ignote (la storia della cathedra con apertura centrale; la tua lista delle malefatte papali, anche se dimentica il papa esumato dal successore e quindi trainato per le strade di Roma, fatto che appresi verso i 10 anni leggendo il libro di storia usato da mio zio nel seminario, a fine Ottocento…). Una discussione estesa è al di là delle mie possibilità temporali e mi limito quindi a considerazioni generali su parte del Genesi e dell’ Esodo e a note ad alcuni altri punti.


Iniziamo da Genesi, caro Odifreddi…


Occorre essere molto cauti quando si fanno dichiarazioni sul complesso libro della Genesi.
Occorre essere molto cauti quando si fanno dichiarazioni sul complesso libro della Genesi.

Il problema principale in Genesi è che da una parte nessuno sa come tradurre correttamente, nella Bibbia ci sono circa 1600 parole che compaiono una sola volta, e la trasmissione orale ha avuto una grave discontinuità, su cui tutti tacciono, nella tribù di Giuda, causa l’ eliminazione dei grandi sacerdoti da parte di Manasse circa il 650 AC. Credo inoltre che Mosè stesso non sapesse esattamente che cosa scriveva. Sorvolando sul problema traduzione (ne ho viste del tutto incompatibili; la più accettabile mi sembra quella di O’ Brien in The genius of the few) occorre chiedersi dove Mosè – non ho dubbi che sia lui l’ autore – abbia preso il materiale che presenta, relazionato ma indipendente dai testi della creazione sumero-accadici. Infatti nessuno dei discendenti di Giacobbe poteva sapere alcunché del passato. Tale conoscenza era trasmessa, secondo una tradizione vera ben oltre i confini d’ Egitto e Medio Oriente, al solo figlio primogenito. Quindi, partendo da Abramo, questi trasmette quanto sa  in primis al figlio maggiore Ismaele, anche se figlio della (principessa egizia) schiava Hagar, poi, forse in grado minore, a Isacco, figlio in tarda età della sorellastra Sara. Isacco la trasmette a Esaù. Il furto della primogenitura da parte di Giacobbe ebbe effetti economici ma non di conoscenza: questa è acquisita in un mondo basato sulla memoria solo se trasmessa ai bambini quando sono piccoli. 


E' Mosè l'autore della Genesi?
E’ Mosè l’autore della Genesi?

Quindi Mosè, con alle spalle una formazione in Egitto ad alto livello, una grande esperienza di vita ed un primo matrimonio con la principessa Adoniah di un regno fra Badakshan e Kashmir (Kush nulla ha a che vedere con l’Africa …è la terra che diventa poi Hindukush e il cui nome ritroviamo nei nomadi dell’ Afghanistan del nord, i Kuchi), dovette porsi il problema di ritrovare le radici del suo popolo. Può avere avuto informazioni provenienti da Ismaele via Iethru, che tuttavia non poteva dirgli tutto quanto aveva trasmesso al proprio figlio maschio. Qui ipotizzerei che la distruzione dei madianiti, compresi donne e bambini, sia stata  conseguenza non della banale storia rosa di cui parla la Bibbia ma di una vendetta per non avere avuto tutta l’informazione. Dai discendenti di Esaù, gli Edomiti padroni della fortezza naturale dove poi fu costruita Petra e dove Mosè si rifugiò per i quaranta anni necessari a costituire un esercito di ebrei, Mosè poté forse avere altre informazioni, a pagamento (con l’ oro rubato a Baal Sefon, ora Ras Muhammad), ma sempre limitate. E sempre non chiare. Quindi che Genesi parli della creazione dell’ universo è solo una opinione, anzi sul Fiat Lux esiste una mia spiegazione che non invoca il big bang, ma lo vede conseguenza quasi certa del Saginaw impact datato a… all’inizio dei sette giorni della “creazione”, che sono, Bibbia e Talmud in mano, settemila anni. E ritengo la teoria del big bang solo uno scenario superficiale, in moda come il modello standard in quantistica. In merito a questo la recente rivelazione dei neutrini, grazie all’uso pur tardo di idee di Gillo Pontecorvo, la cui massa risulta non nulla, falsifica l’ipotesi di base del modello standard, ovvero che il neutrino abbia massa zero.  Vero che i fisici amano arrampicarsi sui vetri come e più i teologi…


Dove si trovava il giardino dell'Eden?
Dove si trovava il giardino dell’Eden?

Sulla parte relativa all’ Eden ed alla creazione (7 coppie secondo i testi sumero-accadici, ad Abramo interessava solo la coppia da cui discendeva) non è qui il luogo di soffermarmi. L’ Eden può comunque identificarsi in un luogo ben preciso, la valle di Hunza in Pakistan,  la cui memoria sembra abbiano conservato solo gli ismaeliti (religione con parte top secret).


Quanto avviene nel Gan-Kharsag pare comprensibile oggi: una operazione di ingegneria genetica, con l’ aggiunta o l’ attivazione di (108? Stando ad una recente tavoletta accadica tradotta da Pettinato) geni. Atrahasis dice che l’ uomo così modificato ebbe uno spirito immortale, affermazione importantissima assente nella Bibbia. Come sarebbe arrivata l’immortalità, non so. Ma l’intera fisica quantistica funziona anche se nessuno, dice Feynman, ha la più pallida idea di quale realtà materiale descriva. Le cose da capire sono infinite, e solo studiosi arroganti possono affermare di essere giunti essenzialmente alla fine del cammino. Affermazione che per l’ astronomia fece Fred Hoyle ad inizio di carriera, per poi rinnegarla con le sue stesse scoperte.


e poi ti dico anche due paroline su Esodo e su Atlantide


La misteriosa Atlantide secondo Platone.
La misteriosa Atlantide secondo Platone.

La storia dell’ Esodo, contrariamente a quanto affermato sia da teologi cattolici che da atei, è essenzialmente corretta, salvo  errori nelle traduzioni che si leggono, come quello, ben ovvio già a Ricciotti, sul numero di ebrei che lasciano l’ Egitto (600 clan e non 600.000 maschi; due terzi dei clan sopravvivono come Pashtun in Afghanistan). La chiave per la comprensione di quanto avvenne sta in un passo del dimenticato Paolo Orosio (nei seminari nemmeno si leggono i padri della chiesa, parola del prof sacerdote Cosimo Damiano Fonseca, noto per tirare le orecchie ai vescovi nei suoi corsi di aggiornamento). In tale passo si afferma che eventi quali Esodo, diluvio di Deucalione, migrazioni, crisi climatica, capitarono in uno stesso periodo e furono causati, dice Orosio, dal potere di Dio, mentre, secondo i pagani, la causa sarebbe stata Fetonte. Riassumendo il contenuto di una mia monografia pubblicata da Aracne nel 2010, Atlantide e l’ Esodo, Platone e Mosè avevano ragione, gli eventi sono i seguenti:


-          due corpi, probabilmente della classe Cruithne da poco scoperta, Lampo e Fetonte, seguivano la terra da tempo, oscillando attorno ad un punto cosiddetto lagrangiano della sua orbita, diventando visibili in condizioni speciali, e sono citati in Omero. Per qualche motivo si avvicinarono troppo alla Terra.Lampo si schiantò probabilmente sull’ Africa sahariana, attivando l’ eruzione del centinaio di vulcani della depressione della Dancalia, in Eritrea; le pomici emesse da questi vulcani erano color rosso sangue in quanto interagenti con l’ acqua salata della depressione dancalica. Semplici considerazioni danno la sequenza delle dieci piaghe, invocando l’eclampsia per le donne primipare egizie che persero i loro figli. Piaghe che non sono né favolette né risultato di trucchi. Ma quanti geologi sanno che le pomici diventano rosso sangue in queste condizioni? Nemmeno il prof Abate che dirige la missione della Dancalia! Nemmeno l’autore di un recente libro sulle isole galleggianti! Quanti ginecologi hanno mai riflettuto sulla decima piaga? Applicabile alle egizie ma non alle ebree, perché…


-      


Come andò veramente la storia del passaggio del Mar Rosso?
Come andò veramente la storia del passaggio del Mar Rosso?

    Fetonte entra in un’orbita instabile ed esplode infine sopra il fiume Eider, nord Germania, Eridano dei classici, che non è il Po!. L’onda dell’ esplosione raggiunge il Mar Rosso (rosso per le pomici, non per le canne), abbassa di qualche metro il livello delle acque (curioso: gli tsunami da vento erano ignorati fino al recente evento in Birmania, come mi disse la decana dei geologi italiani, Maria Bianca Cita), permettendo a Mosè di superare un punto d’ impasse, dove una frana aveva bloccato la strada fra mare e monti. Leggasi Giuseppe Flavio, Antichità…, fondamentale opera che pare nessuno dei biblisti milanesi abbia mai letto: anzi ho scoperto che era confusa con la Guerra giudaica… Mosè era giunto a quel punto (Pi Hahirot ora Nuweiba, sulla costa del Sinai fra Eilat e Sharm el Sheik) in cui un’onda di ritorno distrusse l’ esercito egizio, senza passare né lungo il Mediterraneo, né per il deserto interno dei Sinai, ma seguendo l’ intera costa.  Come segue per ragioni topologiche da un ignorato passo di Cosmas Indicopleustes, nonché dalla tradizione locale dei beduini, la cui opinione mai è stata chiesta dagli studiosi occidentali. E dopo il passaggio del punto dove era bloccato, e non del mare (il muro di acque in mezzo a cui sarebbe passato è una fantasiosa aggiunta dei traduttori, non esiste nel codice di leningrad…), Mosè alla fine passa 40 anni in territorio edomita… pagando il soggiorno con l’ oro rubato a Baal Seefon, attuale Ras Muhammad, furto che è la causa dell’inseguimento, via nave, del faraone. Se Champollion e Lepsius non avessero compiuto un colossale errore nel datare l’ anno sotico citato da Solino, errore messo in evidenza  da Velikovsky e dagli astronomi Clube e Napier, i biblisti avrebbero capito, e con loro gli egittologi, che Mosè lascia l’ Egitto  al tempo del faraone Dudimose, e poco prima dell’ arrivo degli Amu-Amalek-Hyksos…


-          Infine la conquista della terra di Canaan nessun riferimento ha con la sempre affermata conquista della Palestina, in quanto Canaan è l’ attuale Asir, ovvero l’ altipiano dell’ Arabia sud occidentale. Si vedano le quattro monografie di Kamal Salibi, il maggiore storico arabo del novecento, cristiano libanese, professore all’ American University di Beirut… d’ altronde come spiegare che metà del milione di ebrei listati da Beniamino di Tudela nel suo libro di circa il 1175 AD vivessero nello Yemen?


 Yahvè non è un dio misericordioso


Le lettere ebraiche che compongono il nome di Yahweh.
Le lettere ebraiche che compongono il nome di Yahweh.

Su Yahvè va detto qualcosa. Certamente non è il Dio padre misericordioso del Vangelo e del Corano. Gesù mai lo menziona, se ben ricordo dalla mia ventina di letture dei vangeli. Marcione lo considerava un dio minore. Bogomili e Catari un demonio. O’Brien, che ha forse la migliore analisi della questione, suppone che sia un titolo, come papa, e che ci siano vari Yahvè, tutti dei minori. Il primo, quello del Paradiso terrestre, Gan in ebraico, corrisponderebbe all’ Enlil sumero. Chi siano gli dei minori amplierebbe il discorso oltre quanto intendo, e solleverebbe un problema dove la cecità della scienza ufficiale va ben oltre la cosiddetta cecità della chiesa nell’ affare Galileo. Curioso che qui la chiesa cattolica stia silenziosamente modificando le sue teorie: vedasi il grande filosofo cattolico del Novecento, Jean Guitton, unico laico ammesso al Concilio e amico di Paolo VI,  che dichiarò nella suo ultimo libro, una lunga intervista con Francesca Pini, di non avere problemi ad ammettere migliaia di pianeti abitati da esseri intelligenti e migliaia di incarnazioni di Gesù. Il nuovo catechismo dedica a Maria solo una frazione dello spazio nel precedente catechismo. Il direttore della Specola Vaticana, il gesuita  George Coyne, è stato sostituito da un altro gesuita che….


E qui chi ha il libro può vedere che non tutto ciò che dice è corretto…


Ed ora qualche nota su passi particolari. Do il numero di pagina.


Era l'Eufrate... o era l'Indo?
Era l’Eufrate… o era l’Indo?

41 l’ Eufrate biblico è in realtà spesso il fiume Indo, nome questo successivo al 1500 AC, come si può dimostrare con varie argomentazioni, fra cui un passo di Nearco e uno chiarissimo di pseudo Aethicus, vedasi anche Duarte Barbosa, il navigatore portoghese che sostituì Magellano dopo la sua morte. Ma chi legge pseudo Aethicus, la cui prima traduzione dal latino è mia, Aracne 2013?  E chi Barbosa?  E da oltre 100 anni i sumerologi si chiedono come i sumeri chiamassero l’ Indo, affermazione del grande Giovanni Pettinato.


72  nel codice canonico del 1917 di cui si occupò il principe Pacelli il feto è considerato non persona se ha meno di 3 mesi …


90  visto che ci resta forse meno dell’ 1% dei testi classici, e sono perduti i due storici principali, Sanchoniaton e Nicola di Damasco (età augustiana, 144 libri, molto citato da Ateneo che pure nessuno legge…) i riferimenti a Gesù sono più che soddisfacenti. I filologi che sezionano un testo in k sottotesti ….lavorano molto di opinione e fantasia, come i fisici che scrivono migliaia di articoli sulla teoria delle stringhe, senza avere ricavato nulla, se non risultati presentati come certamente veri in qualche universo parallelo.  


92  si seppe e come! Doveva esserci un telo per il Tempio di riserva! ci lavoravano 12 ragazze sotto i 12 anni con 12 materiali diversi, fra cui asbesto e bisso….leggi il Vangelo dei Nazareni. È difficile imporre il silenzio a tante persone


Gesù nato il 25 Dicembre perché era il giorno del Sol Invictus? Pare proprio di no...
Gesù nato il 25 Dicembre perché era il giorno del Sol Invictus? Pare proprio di no…

94  no, il 25 dicembre è probabilmente corretto, come segue dalla recente scoperta di un documento sulla sequenza con cui le 24 famiglie di grandi sacerdoti si alternavano nella cura del tempio, e Simeone era di una tale famiglia. Come corollario si spiega la presenza di un bue accanto ad un asino…  Trovo qui interessante osservare come un documento accadico scoperto pure da poco descriva la cerimonia del matrimonio, dove punto cruciale (tuttora valido in certi ambienti algerini) era lo scoprire il volto velato della donna. Da qui il corretto significato del biblico conoscere, che nulla ha a che vedere con quanto biblisti ed altri hanno insegnato per secoli!


109  i samaritani erano una tribù non ebraica spostatasi dall’ Iran meridionale in Palestina e desiderosi di convertirsi all’ebraismo. Ma si è ebrei solo per nascita (come si è bramini o kshatria solo per nascita…), quindi si limitarono a chiedere ad un rabbino una versione della Torah cui ispirarsi. Tale Bibbia samaritana non è ancora stata tradotta in inglese, se non vado errato, ma lo è stata  in ebraico, aramaico e arabo. Dal nome della tribù dato da  Giuseppe Flavio, direi che erano Turchi della famiglia Ghuz,  forse discendenti dei ben noti Gutei. E come ben noto i turchi antichi erano monoteisti ben prima degli ebrei, il loro dio avendo nome Tengri = Luce del Cielo?  Ancora, nessuno legge Giuseppe Flavio, cui Tito donò la biblioteca del tempio!


129  don Giovanni Barbareschi, giusto fra le nazioni, nella sua tesi di laurea registrò quanto una suora diceva in latino, greco ed altre lingue, una suora ignorante di  un convento di montagna


Alcuni dei viaggi di Paolo: andò pure in Arabia?
Alcuni dei viaggi di Paolo: andò pure in Arabia?

146  Paolo passò tre anni in Arabia, quasi certamente nel Wadi Jalil, che sulla base e di una monografia di Salibi e di vari passi del Vangelo dei Nazarei, era il luogo dove dimorava Giuseppe, quando non si recava in Palestina per lavorare per conto dei Romani (a Cesarea Marittima e a Sepphoris in particolare). Quando Gesù è concepito, Giuseppe era assente, molto lontano, coinvolto come specialista nei lavori a Cesarea (e poi, lasciato l’ Egitto, andò a Nazareth, centro di lavoratori addetti alla costruzione di Sepphoris in Galilea, città che divenne la principale in Palestina).  Giuseppe era principalmente un costruttore di edifici, questo il vero significato di technon, e non falegname o anche carpentiere come proposto da Messori. Doveva avere conoscenze speciali, anche nella lavorazione dei metalli fra cui l’oro, ereditate forse dal suo avo Salomone. Suo compito era custodire Maria sino a quando si sarebbe sposata verso i 14 anni.  Da ringraziare la scoperta dei documenti a  Nag Hammadi, miniera di informazioni forse più importanti di quelle di Qumram. Gli abitanti del Wadi Jalil si chiamavano e si chiamano ancora Nazarah, nome in Arabia ancora oggi dato ai cristiani, mentre nel resto dei paesi arabi sono chiamati Popolo del Messia.


184  leggi l’ esperienza di Alexis Carrel, medico e poi Nobel, a Lourdes. Comunque miracolo non significa necessariamente intervento del Padre Eterno, si applica a qualunque evento che appare non spiegabile. Ma né conosciamo tutte le leggi della natura, né possiamo essere certi della non presenza di altri esseri intelligenti da altri pianeti (secondo Cameron, noto astronomo, ci sarebbero nell’ universo almeno 10^17 pianeti abitabili; e questo nell’ ipotesi standard, che io ritengo falsa, di un universo finito nello spazio e nel tempo).


Stalin fece più morti dell'Inquisizione, ma ricordarlo non interessa ai nemici della Chiesa.
Stalin fu autore di un bagno di sangue mai raggiunto nella storia, ma ricordarlo non interessa ai nemici della Chiesa. Preferiscono parlare scandalizzati di qualche più che giusta condanna a morte propinata dal tribunale dell’inquisizione.

209  i condannati a morte dal S Uffizio sono stati calcolati a circa 70.000 e le streghe bruciate nei paesi cattolici a un decimo di quelle nei paesi protestanti. Ora 70.000 è circa il numero di persone che Stalin spediva in Siberia ogni settimana nel periodo delle purghe. E’ inferiore al numero di morti per fame ogni giorno durante il Grande Balzo in avanti voluto da Mao (supertassazione dei contadini per spedire cibo all’ Unione Sovietica in cambio delle fabbriche di armi nucleari, leggasi di  Chang Jung la biografia di Mao; i morti furono complessivamente 38 milioni). 600.000 contadini cattolici nella Vandea furono chiusi in navi fatte affondare nella Loira. 500.000 cattolici furono uccisi dai musulmani a Timor e forse 3 milioni nel Sudan meridionale, nel silenzio totale, salvo le irrilevanti voci dei missionari. Quasi un milione di contadini dell’ Italia meridionale fortemente cattolica, definiti banditi, furono uccisi, 54 villaggi rasi al suolo, preti crocifissi, donne prima violentate e poi regolarmente uccise anche inchiodandole agli alberi… perché il sud cattolico e una Napoli più industrializzata e con più cultura che Torino dava fastidio al Piemonte ateo e massone.  Quindi….


Cento milioni di indigeni sono morti in America, ma molti meno nell’ America spagnola che in quella controllata dagli inglesi. Ma in quali libri di scuola sta scritto che lo scià di Persia usurpatore, in onore del quale verso il 1750 fu pubblicato a Milano un libro in francese,  Tamas Kouli Khan Nadir Shah, presa Dehli ne sterminò i 4 milioni di abitanti (altro che sacco di Nanchino) e poi dopo guerre varie sterminò una metà degli iraniani tentando di imporre il sunnismo wahabita (Muhammad Ibn Abdul Wahab, fondatore della setta musulmana ora dominante in Arabia Saudita con la benedizione inglese e americana,  fu per dodici anni suo ospite)? Che dei 120.000 Ngolok di religione bon difensori del sacro massiccio Anya Machem, il Nimush sumerico, Lin Piao, penetrando nella zona dopo aver sconfitto il generale musulmano Ma Pufang,  ne lasciò in vita meno di mille?


Le religioni hanno fatto molte e troppe vittime, le non religioni ben di più. Forse un ordine di grandezza di più.


Se anche don Bosco era più preparato di certi biblisti…


Don Bosco. I suoi ragazzi lo impegnavano molto, ma trovava il tempo per studiare e imparare a memoria libri fondamentali.
Don Bosco. I suoi ragazzi lo impegnavano molto, ma trovava il tempo per studiare e imparare a memoria libri fondamentali.

Un matematico e uno storico dovrebbero scrivere di storia in modo equilibrato. Purtroppo molti matematici non lo fanno nemmeno nel loro campo: ricordo un collega che negli esperimenti numerici di un nuovo algoritmo non voleva registrare i risultati non buoni.  E ricordo che quando Rupp confessò che i suoi esperimenti erano pura invenzione, Einstein tacque, come da attendersi dal maggior plagiario della storia (e ben maggiore di Copernico). E da colui che fu forse il mandante dell’ assassinio di Olinto De Pretto. Questi, amico di suo padre, era il genio che riscoprì la teoria della gravitazione di Eulero e Le Sage (di solito non  insegnata ed ignota ai fisici, a ragione essendo Le Sage prete cristiano e quindi presumibilmente cretino) e ne derivò, cosa sfuggita a Laplace, la relazione E = mc^2, pubblicata sugli atti del reale Istituto Lombardo Veneto, con commento di Schiaparelli. Schiaparelli… ha scritto una meravigliosa storia dell’ astronomia, che giace intonsa dopo quasi cento anni nella biblioteca dell’ Osservatorio di Merate… salvo per le pagine da me usate.


E ai biblisti di Venegono che mai hanno letto Le antichità giudaiche, ricordo che don Bosco, piemontese di qualità (come mio nonno che parlava 25 lingue), sebbene moltissimo avesse da fare, pure le aveva imparate a memoria.


Altri tempi.


Ora abbiamo una scuola dove imparare a memoria è vietato perché stressante e gli studenti non imparano dai professori ma dai compagni. Linee guida della riforma di Berlinguer. I risultati ben si vedono.

mercoledì 25 settembre 2013

Benedetto XVI scrive a Odifreddi: «La teologia è scienza, l'ateismo è fantascienza»

Benedetto XVI scrive a Odifreddi: «La teologia è scienza, l'ateismo è fantascienza»  
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di Massimo Introvigne25-09-2013
Papa scrive
A ciascuno la sua lettera. Se Eugenio Scalfari ha ricevuto posta da Papa Francesco, il matematico e propagandista dell'ateismo Piergiorgio Odifreddi, dopo avere pubblicato un libro intitolato «Caro Papa ti scrivo», si è visto arrivare una risposta dal Papa Emerito Benedetto XVI. Le undici pagine saranno pubblicate in integro da Mondadori in una nuova edizione del libro di Odifreddi: le leggeremo con interesse, non senza rilevare che il matematico diventerà il primo ateo che farà un po' di soldi vendendo la lettera di un Papa. Ma intanto Odifreddi ha pubblicato un corposo estratto - non un riassunto, tutte le frasi sono di Papa Ratzinger -  sulla casa madre di tutti gli atei che si rispettino, Repubblica, che di questi tempi ogni tanto assomiglia all'Osservatore Romano.

Al di là del dato curioso, la lettera è una piccola lezione di apologetica. Benedetto XVI ringrazia Odifreddi per avere letto «fin nel dettaglio» i suoi libri su Gesù di Nazaret - non è poco, considerando quanti criticano senza leggere -, comunica al matematico che anche lui, Ratzinger, ha letto il suo testo, e gli confessa che  «il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione». Di questa sorta di recensione critica di Benedetto XVI al libro di Odifreddi, «Repubblica» pubblica quattro parti.

La prima attiene alla teologia, che per Odifreddi non sarebbe scienza ma fantascienza. Dopo un bonario commento ironico su perché mai, se si tratta di mera fantascienza, Odifreddi passa tanto tempo a occuparsene, il Papa emerito sviluppa la sua replica su due piani. Anzitutto, osserva che se pure
«è corretto affermare che “scienza” nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l’aritmetica e la geometria»,  in senso ampio parliamo di scienza per qualunque disciplina che «applichi un metodo verificabile, escluda l’arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità». La teologia corrisponde a questi criteri, e dunque è scienza. Inoltre, ha contribuito in modo notevole alla cultura occidentale, e ha mantenuto vivo il dialogo fra fede e ragione. Questo dialogo è essenziale anche per i non credenti: «esistono patologie della religione e – non meno pericolose – patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l’una dell’altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia».

In secondo luogo, Papa Ratzinger osserva che «la fantascienza esiste, d’altronde, nell’ambito di molte scienze». Esiste «nel senso buono»: Benedetto XVI cita scienziati come Werner Heisenberg (1901-1976) e  Erwin Schrödinger (1887-1961) che hanno proposto «visioni ed anticipazioni», «immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà», una fantascienza che però è stata utile alla scienza. Ma gli scienziati, afferma il Papa emerito, producono talora «fantascienza in grande stile» in senso meno buono, per esempio «all’interno della teoria dell’evoluzione» usata per cercare di fornire un'impossibile prova scientifica dell'ateismo.

Con un po' di malizia Papa Ratzinger cita le teorie del biologo e divulgatore scientifico Richard Dawkins, infaticabile propagandista dell'ateismo e amico di Odifreddi, come «un esempio classico di fantascienza» spacciata per scienza. Uno dei padri dell'evoluzionismo, Jacques Monod (1910-1976), nota ancora non senza umorismo Benedetto XVI, nel suo fin troppo famoso «Il caso e la necessità», «ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza». Papa Ratzinger ne cita una: «La comparsa dei Vertebrati tetrapodi... trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo “scelse” di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari...». Non potendo dimostrare questa storiella, Monod, come tanti evoluzionisti, ha prodotto tecnicamente fantascienza, e neppure della migliore qualità.

Secondo capitolo della risposta di Benedetto XVI. Odifreddi insiste sui preti pedofili. È una tragedia che da Pontefice Ratzinger, dice, ha affrontato «con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall’altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano». Per quanto questo non consoli né le vittime né il Papa emerito, questo fa però osservare a Odifreddi che «secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili».

Dunque «non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo». E, se «non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli» e continua a lasciare oggi. Basti pensare alle «grandi e nobili figure della Torino dell’Ottocento» che, insegnando a Torino, Odifreddi dovrebbe conoscere.

Terzo estratto: Papa Ratzinger bacchetta Odifreddi per «quanto dice sulla figura di Gesù [che] non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po’ più competente da un punto di vista storico». Benedetto XVI fornisce al matematico un po' di bibliografia accademica, neppure cattolica, da cui Odifreddi potrà facilmente ricavare che «ciò che dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere».

Forse lo studioso ateo si è fatto fuorviare, insinua il Papa emerito, dalle «molte cose di scarsa serietà» pubblicate da esegeti progressisti, i quali - il Pontefice emerito cita un commento di Albert Schweitzer (1875-1965), che non fu solo un missionario protestante della carità ma anche un celebre teologo - confermano solo che spesso «il cosiddetto “Gesù storico” è per lo più lo specchio delle idee degli autori». Ma «tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l’importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l'annuncio e la figura di Gesù». E Odifreddi ha capito male Benedetto XVI se pensa che egli proponga un rifiuto del metodo storico-critico: al contrario, per il Papa emerito «l'esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico».

Il quarto estratto va al cuore della visone del mondo atea. Per Odifreddi, come per Dawkins, non c'è bisogno di Dio perché tutto si spiega con la Natura. La risposta di Benedetto XVI è antica, ma sempre persuasiva: «Se Lei, però, vuole sostituire Dio con “La Natura”, resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla». Ma soprattutto nella religione atea di Odifreddi «tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male». Dell'amore e del male Odifreddi non parla, e la libertà è liquidata come un'illusione che sarebbe smascherata come tale dalla neurobiologia. Ma «qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione». E un religione che rifiuta la libertà e non dà risposte sull'amore e sul male «resta vuota».

Interessa anche a pochi: le statistiche sociologiche confermano che Odifreddi potrà anche vendere tanti libri, ma queste vendite e tutto il foklore dei vari autobus atei non fanno aumentare il numero degli atei. A Odifreddi interessano solo i fatti misurabili. È un fatto misurabile che Papa Francesco, e anche Papa Benedetto, persuadono molte più persone degli atei militanti.