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martedì 31 marzo 2015

Da ideatore delle perversioni più spinte a fan di Joseph Ratzinger. Parla lo sceneggiatore di Basic Instinct


Da ideatore delle perversioni più spinte a fan di Joseph Ratzinger.
Parla lo sceneggiatore di Basic Instinct

Joe Eszterhas fu lo sceneggiatore di Basic Istinct e di altri film. La rivista "Time" lo incoronò il re del sesso e della violenza in America.

«Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre». Non sembri fuori luogo questa pur sentimentale citazione del profeta Geremia riferita ad un convertito che di sensualità spinta e “dannata” ne ha dispensata a piene mani per decenni. Un uomo che ha scritto decine di film sexy e tutt’altro che edificanti e che oggi va a messa regolarmente. L’autore di alcune delle scene di sesso più celebri e celebrate di Hollywood, con protagonista la languida Sharon Stone, adesso elogia Benedetto XVI e vorrebbe fare un film su Giovanni Paolo II.
Classe 1944, nato in Ungheria, Joe Eszterhas è cresciuto in un campo di profughi gestito dagli Alleati, da bambino emigrò negli Stati Uniti e oggi risiede a Cleveland. Il suo nome ai più non dice granché. Pochi sanno che il ragazzino scappato dall’Europa è stato direttore della celebre rivista Rolling Stone e sceneggiatore di film quali Basic Instinct, Showgirls, Jagged Edge e oggi è un fervente cattolico. Un bel salto, quello dalla trasgressione alla fede, raccontato da Eszterhas in Crossbearer. A Memoir of Faith. CNon vi annoierete a leggerlo – scrive il liberal New York Times – anzi potreste anche commuovervi».
«Non mi sono precisamente convertito al cattolicesimo, visto che alla nascita ero stato battezzato come cattolico» spiega Eszterhas a Tempi
.«La mia “conversione” ha a che fare con la scoperta di Dio nel mio cuore. Dalla primavera del 2001 ho iniziato a frequentare di nuovo la chiesa della mia infanzia». Paradosso vuole che la vicenda che allontanò tempo fa Eszterhas dalla fede sia la stessa che lo ha riavvicinato a Cristo. La sofferenza della madre – malata mentale e deceduta per un cancro – rese il giovane Joe alieno dal cristianesimo; a 12 anni inizia a fumare, a 14 a bere tequila e presto diventa un alcolizzato precoce. La professione di reporter di cronaca nera a Cleveland lo mette di fronte al lato più dark dell’umanità. L’abisso in cui sta precipitando si arricchisce tragicamente di un dato terribile quando scopre che il padre, direttore di un giornale cattolico ungherese, aveva fatto propaganda per i nazisti durante la Seconda guerra mondiale. «Non sono mai riuscito a perdonarlo davvero, se non quando Dio è entrato nel mio cuore» racconta Eszterhas.
L’incontro con l’Onnipotente ha una data precisa: 2001. Lo sceneggiatore di successo di Hollywood – 16 film scritti che hanno incassato in totale oltre 1 miliardo di dollari al botteghino – scopre di avere un tumore alla gola; in un’operazione chirurgica gli viene asportato l’80 per cento della laringe e gli viene imposto di smettere di bere e fumare. «I medici mi dissero che se non l’avessi fatto sarei morto. Ma io non volevo morire. Adoravo mia moglie e i miei figli (Joe ne ha 7, 4 avuti con l’attuale consorte Noemi, ndr). Gridai e chiesi a Dio di aiutarmi. Non avevo pregato da quando ero ragazzo: avevo ignorato Dio per quarant’anni e mi misi a chiedergli aiuto in quel momento. Mi ci volle un po’ di tempo per capire che Dio mi venne in aiuto perché mi ama. Perché, anche se non ci rendiamo conto che egli ci vuole bene, lui ci ama, ama tutti noi». Per Joe la scoperta di Dio prende provvidenzialmente i colori della guarigione improvvisa: «Dopo aver pregato 5 o 10 minuti, mi alzai e mi sentii meglio. Il chirurgo che mi aveva operato, Marshall Strome, mi disse che ero stato miracolato. I tessuti della mia gola si erano rigenerati in maniera così perfetta che nessun dottore, esaminandoli, avrebbe mai pensato che avessi avuto un tumore lì». Inizia una seconda vita per il creatore delle sceneggiature messe su pellicola dal regista Paul Verhoeven: «Ho grande rispetto per papa Benedetto XVI», svela Eszterhas a Tempi. «Credo sia un santo, un intellettuale, un uomo di pace e di buona volontà. Giovanni Paolo II? Prima di morire voglio scrivere un film su come ha sconfitto il comunismo e ha cambiato il mondo».

La svolta pro famiglia
Ma nel dorato mondo di Hollywood c’è spazio per Dio? «Certo! Adesso la mia più grande battaglia è convincerne gli studios», risponde lo scrittore magiaro-americano, che sta sponsorizzando prodotti «pro famiglia» e religiosamente orientati nel panorama cinematografico statunitense. Per Eszterhas guida spirituale in questo cammino di conversione è stato il monaco yankee Thomas Merton, un altro convertito dopo alcune esperienze comunistoidi: «Amo Merton perché quando scrive colpisce sempre il nostro punto debole. Egli conosce il mondo perché ha vissuto come un uomo tutto d’un pezzo. Il suo essere monaco non l’ha distanziato dal mondo reale». Cosa rende per lei il cattolicesimo così avvincente? «Sebbene abbia ancora alcune questione aperte con la Chiesa – la crisi per lo scandalo della pedofilia, il suo atteggiamento ipocrita verso l’omosessualità, il celibato dei preti, la mancanza di donne-prete – ebbene, è l’Eucaristia, il corpo e sangue di Cristo che qui si possono toccare, ciò che mi rende ogni giorno cattolico», spiega. «Credo poi che molti progressi sono stati fatti per risolvere il dramma della pedofilia che ha lordato la Chiesa».
Il passato ogni convertito se lo porta come bagaglio di esperienze e di trascorsi attraverso i quali ha (ri)scoperto la potenza di Dio: lei come vede la sua produzione hard così lontana dalla bellezza pura del Vangelo? Instinct è uno dei 16 film che ho scritto. È uno dei più
«Basic cupi, altre mie produzioni sono molto più luminose. Lo scrissi in un periodo di grande buio nella mia vita e penso che rifletta molto bene tutto questo. Però sono orgoglioso di quel film e del grande divertimento che procurò a milioni e milioni di persone in giro per il mondo. Comunque, conosco così bene il buio e il male che non escludo di scriverne ancora nelle mie opere. Però non vedo l’ora di raccontare cose più belle e positive visto che oggi la mia mente è più serena e pacificata». Joe, talvolta, fa il chierichetto nella sua parrocchia, la chiesa dei Santi Angeli a Bainbridges, sobborgo di Cleveland: «Mi commuovo quando porto la croce perché mi sento onorato di farlo. È come se stessi portando Cristo sulla croce».   

da: L'ultima seduzione di Joe www.tempi.it

venerdì 27 marzo 2015

Le vere radici della scienza? Sono nel medioevo cristiano

Le vere radici della scienza? Sono nel medioevo cristiano

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I sapienti studiavano la natura per capire qualcosa del Creatore. Da lì nasce la mentalità che porterà alla rivoluzione di Newton

- Mar, 24/03/2015 -
Quando si vedono le efferatezze dell'Isis non c'è giornalista o commentatore che non parli di «medioevo». Ma i jihadisti sognano il VII secolo solo perché alba dell'islam. Che poi il medioevo occidentale fosse più crudele del precedente e civilissimo Impero Romano è una fesseria.
È dall'Umanesimo&Rinascimento che ci trasciniamo dietro la denigrazione dei «secoli bui», con l'avallo autorevole di Voltaire e dei suoi discendenti.
Non c'è bisogno (per chi si informa) di richiamare qui quel che è ormai assodato: l'Europa medievale inventò le università, il mercato, la democrazia rappresentativa e prese sul serio giocattoli cinesi come la bussola e la polvere da sparo. Ma l'elenco sarebbe lungo. Basti solo pensare al cambiamento epocale apportato dall'orologio meccanico e quanto debba la civiltà moderna alla conseguente razionalizzazione del tempo. L'editore D'Ettoris ha pubblicato un libro che supera tutti gli altri sull'argomento, un testo eccezionale che, con linguaggio divulgativo e un tocco di humour, spiega come la «rivoluzione scientifica» del XVII secolo sia una balla, perché Copernico, Keplero, Galileo e Newton nulla avrebbero potuto escogitare se non avessero avuto alle spalle secoli di scoperte e acquisizioni. I secoli, appunto, medievali. James Hannam (fisico e filosofo della scienza di Cambridge) in La genesi della scienza. Come il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza moderna (pagg. 496, euro 26,90) ci informa innanzitutto che il termine «scienziato» nacque nel 1833 alla British Association for the Advancement of Science: «Quel vocabolo fu coniato solo nel 1833 perché prima di allora nessuno ne aveva avvertito la necessità. Solo nel secolo XIX la scienza era diventata una disciplina autonoma, separata totalmente dalla filosofia e dalla teologia. È vero: la scienza era arrivata così lontano grazie a una particolare concezione di Dio e della creazione; ma, ora, si era così affermata da non averne più bisogno».
Eppure era stata proprio quella particolare concezione di Dio a spingere gli uomini a studiare la natura, perché «attraverso la natura l'uomo poteva imparare qualcosa del suo Creatore», il quale era «coerente e non capriccioso». Ed era questa, non altra, l'intenzione, dichiarata, dei religiosissimi Copernico, Keplero, Galileo e Newton. Ma si trattava, appunto di una «particolare concezione», diversa, per esempio, da quella della concorrenza, l'islam. Per la religione islamica le vie di Allah sono imperscrutabili. I cristiani, invece, pensavano che Dio ha dato leggi all'universo perché è Somma Razionalità; anzi, apprezza che le sue creature Lo studino (anche attraverso l'osservazione del creato) perché vuole essere amato. E non si può amare ciò che non si conosce. Per questo i cristiani furono felici di acquisire il contributo arabo alla conoscenza: «Molte società non accettano facilmente l'idea di dover apprendere qualcosa dai propri nemici. Questo non fu il caso dei medievali europei». Invece è il caso dell'odierno Boko Haram, il cui fondamentalismo rigetta in toto la cultura occidentale.
Nel 1085 i cristiani riconquistarono Toledo, nella cui grande biblioteca si trasferì Gerardo da Cremona, che imparò l'arabo e tradusse oltre sessanta opere, tra cui l' Almagesto di Tolomeo, vertice dell'astronomia greca. Tutti questi lavori si diffusero in ogni università europea. Ma perché agli arabi interessava l'astronomia? «Nel momento in cui l'Islam si diffuse dall'Atlantico fino all'India nel corso del secolo VIII, divenne più difficile stabilire in quale direzione si trovasse La Mecca. Per assicurarsi che l'orientamento fosse individuato in modo corretto, i dotti furono, allora, spinti a studiare la posizione delle stelle, e questo stimolò l'astronomia e la trigonometria». Già: ogni fedele doveva pregare rivolto alla Mecca. «Nel secolo IX un califfo fondò a Baghdad un centro di studi chiamato Casa della Sapienza, dove il fior fiore della scienza e della filosofia greca fu tradotta in arabo» da studiosi bizantini, cristiani, che parlavano greco, lingua che in Occidente nessuno più conosceva. Gli europei dovettero ritradurre dall'arabo in latino. Ma, quando molti studiosi greci scapparono dalla Costantinopoli conquistata dai turchi, gli europei fecero quel che agli islamici non era mai passato per la mente: rendere lo studio del greco obbligatorio nelle scuole, cosa che si è conservata fino ad oggi.
Ma perché gli studiosi musulmani, dopo avere dato un contributo importantissimo alle scienze, si fermarono? Per un motivo che, periodicamente, per così dire riazzera la cultura islamica: si afferma una corrente religiosa che oggi definiremmo fondamentalista e ogni studio che non sia strettamente coranico viene scoraggiato o addirittura bandito. Tra l'XI e il XII secolo così accadde: si impose la dottrina hanbalita, rigorista e letteralista, e il califfo abbaside al-Ma'm n, suo seguace, prese a perseguitare chi non era d'accordo. A quel punto la palla passò agli europei. Non c'è qui lo spazio per rendere conto della miriade di sorprese (e di luoghi comuni demoliti) che la lettura delle pagine di James Hannam riserva, solo quello di ammettere, con l'autore, che in fin dei conti la scienza «neutra» non esiste. Essa è sempre guidata, e condizionata, da un'ideologia (che è una religione laica). Fu il cristianesimo, piaccia o no, a impostarla e indirizzarla nella direzione a cui è arrivata. E oggi, affrancatasi dal suo primo motore, soggiace al positivismo materialista. Un'ideologia (la stessa del «mercato») che la orienta e domina, non di rado costringendola a perdere tempo in vicoli ciechi.

giovedì 26 marzo 2015

Anche i filosofi agnostici si stupiscono. Henri Lévy e la conversione al cattolicesimo della sorella Véronique


Anche i filosofi agnostici si stupiscono. Henri Lévy e la conversione al cattolicesimo della sorella Véronique 

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marzo 24, 2015 Benedetta Frigerio
Grande dibattito in Francia per la vicenda della sorella del celebre pensatore agnostico. Dopo una vita dissipata «è diventata un’altra. La sua anima è cambiata»
La prima domenica di quaresima del 2012, nella cattedrale di Notre Dame, seduto su una della panche riservate alle famiglie dei catecumeni, c’era anche Bernard-Henri Lévy (foto a destra). Che cosa ci facesse in chiesa il filosofo d’origine ebraica simbolo dell’intelligentsia francese lo ha svelato solo recentemente Le Figaro. Lévy ha partecipato alla funzione in seguito della conversione al cattolicesimo della sorella minore Véronique.
«Mi sono reso conto – ha spiegato – che non era una cosa infantile, ma di un’esperienza interiore autentica». Véronique, la giovane anticlericale e femminista, che aveva sempre accusato la Chiesa di essere illiberale e oscurantista, è stata descritta dal fratello come una donna toccata dalla «redenzione» e «dal livello di conoscenza della teologia cristiana, ma anche ebraica, di cui un tempo non sapeva nulla». Spiegando di essere in parte addolorato per la decisione della sorella, Lévy ha però confessato che Véronique da fragile e instabile che era è diventata forte e sicura. «Che cosa avrebbero pensato i nostri genitori?», si è chiesto. «Durante il suo battesimo ho pensato che questo fatto li avrebbe dispiaciuti. Si tratta di una rottura, probabilmente mai provocata da nessuno nella discendenza più che millenaria dei Lévi», tanto da «sentirmi responsabile per aver omesso di trasmettere qualcosa a questa sorellina che potrebbe essere mia figlia».

veronique levy libroMOSTRAMI IL TUO VOLTO. Chi è Veronique? A raccontarlo è sempre il quotidiano francese, spiegando che «vedendola per la prima volta per la strada, mentre fuma una Marlboro, bionda, esile, diafana, ha l’aria di essere la giovane Violaine di Claudel (la protagonista dell’Annuncio a Maria, ndr) scappata da teatro con qualcosa di infantile nell’espressione, nonostante il dolore abbia segnato la sua vita conferendo gravità al suo volto». Sembra timorosa, ma non appena «si entra nel cuore dell’argomento e l’argomento, insiste lei, è Cristo, prende sicurezza, si esprime fluentemente e anche con una certa autorità». A Le Figaro Veronique racconta «la sua avventura con il Crocifisso», mostrando il suo libro Montre-moi ton visage (“Mostrami il tuo volto”), una trascrizione dei suoi dialoghi interiori con Cristo davanti al Santissimo Sacramento, come una lunga conversazione amorosa. «Vivere la fede è come innamorarsi. Quando si ama qualcuno incondizionatamente, si sacrifica tutto per quell’amore, non ci si cura del giudizio altrui, si pensa solo a gioire della presenza dell’altro», dice Véronique.
IL PRIMO INCONTRO. La neo convertita ha ammesso che, inizialmente, non era sua intenzione pubblicare quei suoi dialoghi con Dio. Poi, convinta che oggi sia quanto mai necessario mostrare come Dio si manifesti «nella vita di tutto il mondo», ha accettato. Anche perché il suo primo “incontro” col cristianesimo è avvenuto molti anni fa quando, piccolissima, su una spiaggia affollata di Antibes, Coralie, una ragazza poco più grande di lei, le regalò un crocifisso insegnandole alcune preghiere. La piccola ebrea fu subito «colpita da quell’uomo con le braccia aperte sulla croce che non evocavano dolore, ma amore, un amore dolce e tenero, incondizionato e assoluto». Di questo sentimento, Véronique non parlò mai in famiglia: «Tu sei una principessa – le diceva il padre – porti un nome molto antico, aristocratico, il nome di una delle dodici tribù di Israele, della tribù di Levi. Non dimenticartene mai».
ORDA DI ANIME PERSE. Poi le cose cambiarono. A 12 anni la morte della nonna materna, a cui era profondamente legata, le provocò un’angoscia profonda che influì negativamente sulla sua esistenza. Erano gli anni in cui alla domanda su che cosa le fosse piaciuto diventare da grande rispondeva provocatoriamente: «La puttana». Furono anni difficili, trascorsi prima nel collegio dove l’avevano mandata i genitori, poi alla disperata ricerca di qualcosa che la soddisfacesse, dagli studi letterari al teatro, dai corsi infermieristici al design. In mezzo, tante storie d’amore frettolose, dal respiro breve. Furono gli anni in cui Veronique iniziò a frequentare un locale divenuto come una casa, «in cui mi accompagnavo a un’orda di anime perse alla deriva», ma che sentiva vicine perché «nel loro eccesso vivono una ricerca, il desiderio di un assoluto».
«LA MIA CASA». Fu allora che, quando ormai aveva toccato il fondo a causa della sua vita dissipata, incontrò padre Pierre-Marie Delfieux, fondatore della fraternità monastica di Gerusalemme, insediata a Saint-Gervais. «In poche settimane, Dio mi ha ricostruita», ha detto Veronique. Lo ha riconosciuto anche il fratello Bernard: «Nella vita di Véronique, c’è stato un corpo a corpo con il male, con un picco poco prima della sua conversione; ci furono anche grazia e redenzione: è diventata un’altra. La sua anima è cambiata».
Veronique ha scritto che «la Chiesa è un ospedale per le anime ferite, quelle che la psichiatria o la psicoanalisi non possono curare. Essa propone quello che il mondo secolare ha dimenticato: il perdono, la redenzione. Essa apre un cammino di libertà, scioglie i nodi. Il Signore non divide, ma unisce, dà un nome, ordina e quest’ordine è la bontà». Ora riconosce che quella Chiesa che prima accusava di misoginia, ha ricostruito «la sua femminilità danneggiata». È in questo nuovo inizio, spiega Veronique, che «ho trovato la mia casa».

lunedì 23 marzo 2015

Eden, la giornalista agnostica sesso e rock’n’roll folgorata da Chesterton: «Mi ha mostrato la via alla felicità»

Eden, la giornalista agnostica sesso e rock’n’roll folgorata da Chesterton: «Mi ha mostrato la via alla felicità» 

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marzo 22, 2015 Benedetta Frigerio
Dawn Eden racconta a tempi.it la sua storia: «Fui colpita da una frase: “La cosa più poetica al mondo è non stare male”. Io allora seguivo tre terapie farmacologiche»

Innamorarsi del rock’n’roll, scrivere poco più che ventenne per le riviste di musica più importanti degli Stati Uniti, frequentare le star e i locali esclusivi della Grande Mela e poi, d’improvviso, innamorarsi delle opere del custode dell’ortodossia cattolica, Gilbert K. Chesterton. Leggere tutti i suoi libri per quattro anni di fila, come unico conforto in una vita dissoluta, fino ad arrendersi alla fede.
EBREA PROGRESSISTA. È la storia di Dawn Eden (nella foto, credit Ron Sartini), autrice del libro appena rivisto The Thrill of the Chaste: Finding Fulfillment While Keeping Your Clothes On (Il brivido della castità: trovare il compimento con i vestiti addosso). Un titolo bizzarro per un’ebrea progressista nata nel 1968 a New York, figlia modello della rivoluzione sessuale. «Quando avevo cinque anni i miei genitori divorziarono. E nella sinagoga che frequentavo, dove venivo educata secondo la tradizione riformata e liberale, subii il primo abuso. Il secondo avvenne in casa di mia madre, che pur sapendo quanto mi accadeva lasciò correre», racconta a tempi.it. Eden perdonerà poi sua madre, che intanto si era pentita, «ma a causa del divorzio e degli abusi cominciai a perdere la fede in Dio. All’inizio continuavo a credere alla sua esistenza, ma non pensavo che potesse amare me. Mi sentivo orribile e sbagliata, colpevolizzandomi per quanto avevo subito, come fanno i bambini portati naturalmente a fidasi ciecamente degli adulti».
AGNOSTICA. La madre, pur continuando a garantirle una formazione ebraica, si avvicinò alla New Age: «Mi venivano presentate due verità, e questa contraddizione mi portò a credere che non esistesse alcuna verità». Perciò, «diventai agnostica. E, non sapendo dove trovarla, mi creai una falsa identità, aggressiva e provocante. Ero vulnerabile e cercavo disperatamente di essere amata. Da una parte volevo sposarmi, ma dall’altra avevo paura degli uomini. E poi non credevo di avere un valore, né tanto meno che qualcuno potesse volermi per sempre».
dawnnov1990MATERIALISTA E CONSUMISTA. La ricerca di un bene divenne quindi una schiavitù: «Mi vestivo in maniera sfacciata per attirare l’attenzione degli uomini, mi comportavo e agivo per piacere agli altri, pensando così di ottenere l’amore che cercavo». Invece, non solo quell’amore non arrivava, ma Eden si sentiva sempre più a disagio. Per cercare di riempire il vuoto che sentiva non bastava neppure il lavoro che ogni ventenne moderna sogna. «Mi innamorai della musica e cominciai a scrivere di rock. Frequentavo gli artisti più in voga del momento, ma in quell’ambiente invece che trovare soddisfazione caddi in una depressione profonda: il mio comportamento autodistruttivo non fece che rinforzarsi, mentre il materialismo e il consumismo diventavano la prassi religiosa con cui trattare me e gli alti come oggetti». Dai primi anni Novanta in poi cominciarono anche i pensieri suicidi e «più cercavo conforto nel sesso, più mi disperavo».
FOLGORATA DA CHESTERTON. Fu un fatto ordinario ad aprire una breccia di novità nell’unico mondo conosciuto da Eden: «Era il dicembre del 1995, avevo 27 anni, chiesi a Ben Eshbach, leader di un gruppo rock di Los Angeles chiamato “Sugar Plastic”, cosa stesse leggendo. Mi rispose: L’uomo che fu Giovedì di Chesterton». Per fare impressione sull’artista Eden corse a comprarne una copia. «Fui subito colpita da una frase: “La cosa più poetica al mondo è non stare male”. Era vero, perché io, che allora seguivo tre terapie farmacologiche, non trovavo pace né tanto meno poesia”. Cominciai a leggere anche gli altri libri di Chesterton, iniziando con Ortodossia, che documenta la ragione del fascino che provavo per questo scrittore».
«IL VERO RIBELLE». Eden era sempre stata convinta che il cristianesimo fosse una forma accettata da tanti per tradizione, «mentre io cercavo un’identità che mi rendesse unica. Beh, Chesterton mi spiegò che mi ero ingannata, perché ci sono due tipi di ribelli. Uno è l’anarchico che si illude di essere libero, ma che sa solo distruggere. Il secondo è il ribelle vero, un cristiano che si oppone al mondo per difendere la verità e la bellezza». Chesterton era «l’unico uomo a farmi felice. Ricordo, ad esempio, il sollievo che provai quando ero a Londra con un mio fidanzato, un editore inglese: mi capitò in mano un suo libro e mi sentii d’improvviso contenta».
CRISTIANA PROTESTANTE. Ma l’allergia di Eden per il cristianesimo non passava, anche se «iniziai a cercare di capire da dove Chesterton attingesse tanta sapienza e gioia, quindi mi comprai una Bibbia». Era l’ottobre del 1999 quando, leggendo il Vangelo, «dopo un lungo percorso in cui Dio mi aveva lentamente cambiata, mi convertii in un istante: “Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”, dice Paolo nel primo versetto del Capitolo 5 della Lettera ai Romani. Ricordo perfettamente che in quel momento capii che Gesù mi amava e che non era un uomo vissuto nel passato. Stava parlando a me». La prima cosa che Eden fece fu di chiedere il battesimo protestante, perché «credevo sì in Lui, ma non nella Chiesa cattolica».
LA SCOPERTA DEI SANTI. A quel tempo la giornalista scriveva per il New York Post, «quando mi fu chiesto di raccontare la storia di un cosiddetto “Miracle baby”, nato per mezzo della fecondazione artificiale. Scoprii che su tre embrioni “prodotti”, uno era morto, quindi mi rifiutai di presentare la notizia positivamente, mettendo in luce la contraddizione. Il mio direttore mi chiamò, sapevo che mi avrebbe licenziata. In panico provai a vedere se quella cosa dei santi cattolici funzionava. Per i protestanti è idolatria, ma non avevo più nulla da perdere. Cercai il protettore dei giornalisti e trovai Massimiliano Kolbe. Lessi la sua biografia e alla fine mi commossi perché anche lui aveva difeso una vita. Mi ritrovai a parlarci così: “Senti Massimiliano sono nei guai, per favore prega per me”». Aspettandosi un miracolo, Eden ne ricevette un altro: «Mi aspettavo una magia, pensavo che il mio capo mi avrebbe non solo tenuta, ma promossa. Invece smisi di avere paura. Sentivo di essere forte e di essere dalla parte di Dio. Non temevo più nulla». Il fatto colpì così tanto «un’ansiosa come me» da portarla a desiderare di vivere ancora quella comunione dei santi, «che però c’è solo nella Chiesa cattolica, dove il giovedì santo del 2006 ricevetti il battesimo». Nel frattempo, «avevo scoperto l’amore di Dio attraverso la preghiera, i sacramenti e la compagnia della Chiesa. Compresi che l’amore che cercavo si otteneva vivendo la castità, che guariva le mie ferite, la mia depressione e la mia ansia».
CASTA E FELICE. La gioia che Eden vive oggi «non pensavo esistesse su questa terra. Appena mi battezzai quindi pubblicai un libro sulla castità». Sapendo che per il mondo «a cui appartenevo la castità è una privazione dall’amore, volevo mostrare il fraintendimento: la castità è un sì detto all’amore di Dio che ti rende capace di amare in un modo più profondo tutti gli uomini, rendendoti più sposa, più madre, più sorella, più amica». Per lei, oggi consacrata, «non si tratta però di uno status che riguarda solo me. Anche chi è sposato deve vivere così, amando davvero. Perché l’amore, per essere tale, deve essere esclusivo e aperto alla vita che Dio vuole donare a te e all’altro coniuge. Al di fuori di questa apertura i rapporti sono strumentali». Concetti duri da digerire nel suo «vecchio mondo», ma «tutti sanno che un amore senza condizioni è il massimo». Per amare così però bisogna imparare «da Dio: per questo anche io ora attingo da lui, come fa Chesterton, nell’Eucarestia e nella preghiera che alimentano l’amore ricevuto nella comunità cristiana».

lunedì 16 marzo 2015

Studi scientifici confermano le proprietà dell’Aloe Arborescens

Studi scientifici confermano le proprietà dell’Aloe Arborescens

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aloe arborescens gli studi scientifici che confermano effetti anti tumorali

Nel sito dedicato al dottor Mozzi, medico che utilizza l’alimentazione come forma di cura e prevenzione di molti tipi di malattie, ho trovato un interessante articolo su alcuni studi scientifici effettuati sull’Aloe Arborescens, che dimostrano ancora una volta come questa pianta possa essere d’aiuto nella lotta ai tumori.
Lo studio risale all’anno 2009 ed è stato realizzato da due medici italiani: il Dott. Adelio Alberto Mora e il Dott. Paolo Lissoni, noto oncologo dell’ospedale San Gerardo di Monza.
Questo studio riguarda le proprietà dell’Aloe Arborescens e i benefici che essa può apportare somministrata secondo la ricetta di Padre Romano Zago, abbinato alla chemioterapia in alcuni pazienti con carcinoma metastatico in fase iniziale, suggerendo la possibilità di manipolare biologicamente l’efficacia e la tossicità della chemioterapia attraverso sostanze immunomodulanti endogene o esogene.
studi scientifici confermano proprietà anti tumorali dell'aloe arborescensLo studio originale lo trovate in lingua inglese su questa pagina. Vediamo di capire insieme quali sono i dati più significativi riportati da questo studio.
In totaleo sono stati analizzati 240 pazienti con tumori metastatici solidi (cancro al polmone, cancro del colon-retto, cancro gastrico e cancro del pancreas), alcuni trattati solo con la chemioterapia, altri con la chemio ma somministrandogli in aggiunta la ricetta di Padre Romano Zago a base di Aloe Arborescens.
L’Aloe è stato somministrato su una parte dei pazienti per via orale, sia durante che dopo la chemioterapia, a 10 ml tre volte al giorno senza interruzione fino alla progressione della malattia, a partire da 6 giorni prima dell’inizio della chemioterapia, in una miscela costituita da 300 g di foglie fresche di Aloe Arborescens, 500 g di miele più 40 ml di alcol 40% (ricetta di Padre Romano Zago).
La chemioterapia, invece, è stata somministrata settimanalmente. Le risposte cliniche sono state radiologicamente valutate dopo almeno tre cicli di chemioterapia. I pazienti sono stati controllati ogni settimana da test di laboratorio di routine.

I risultati

Le percentuali complessive di risposte complete (CR) e le risposte parziali (PR) raggiunte nei pazienti trattati contemporaneamente con Aloe Arborescens, erano significativamente più alte rispetto a quelle dei pazienti che hanno ricevuto la chemioterapia da sola (34% vs 19%).
Le risposte complete si sono verificate nel 10% dei pazienti trattati contemporaneamente con Aloe Arborescens e solo nel 3% dei pazienti trattati con chemioterapia da sola. Questa differenza era statisticamente significativa.

La malattia stabile (SD) è stata raggiunta nel 31% dei pazienti trattati solo con chemioterapia e nel 34% dei pazienti che hanno ricevuto una concomitante somministrazione di Aloe. Il controllo della malattia ottenuta nei pazienti trattati contemporaneamente con Aloe Arborescens ha dimostrato una percentuale significativamente maggiore di quella riscontrata nei pazienti che hanno ricevuto la chemioterapia da sola (67% vs 50%).
Anche la percentuale di sopravvivenza a 3 anni ottenuta nei pazienti trattati contemporaneamente con Aloe era significativamente superiore rispetto a quella riscontrata nel gruppo di chemioterapia da sola.

tempi di sopravvienza ai tumori aloe+chemioterapia L’Aloe Arborescens è stato ben tollerato in tutti i pazienti ed è stata riscontrata un’ assenza di effetti metabolici indesiderati.
Inoltre, come illustrato nella figura sotto, il numero medio dei linfociti osservato dopo la terapia nei pazienti trattati contemporaneamente con Aloe è stata significativamente superiore a quello osservato nel gruppo trattato con sola chemioterapia, mentre nessuna differenza era stata osservata prima dell’inizio del trattamento.
numero medio dei linfociti aloe+chemioterapia
Infine, la chemioterapia è stata sostanzialmente più tollerata dai pazienti trattati contemporaneamente con l’Aloe Arborescens. In particolare, la comparsa di astenia e/o fatica era significativamente minore nei pazienti trattati contemporaneamente con aloe che in quelli che hanno ricevuto la sola chemioterapia (26% vs 46%).
Questo studio sembra asserire quindi che l’Aloe Arborescens può essere associato con successo alla chemioterapia per aumentare la sua efficacia in termini di velocità di regressione del tumore ed aumento del tempo di sopravvivenza, almeno in pazienti con stato clinico povero a causa della bassa PS o importanti malattie mediche, in cui l’attività terapeutica di chemioterapia da sola è generalmente bassa.
La formulazione recente di regimi di biochemioterapia potrebbe rappresentare una strategia molto semplice e promettente nel trattamento di neoplasie umane.
L’Aloe Arborescens è una delle piante più importanti per l’attività antitumorale e la proprietà antineoplastica è dovuta alle proprietà antiproliferative, immunostimolanti e antiossidanti. Oltre all’Aloe Arborescens, si è scoperto che anche la Cannabis e la Mirra hanno proprietà antitumorali.
studi sull'aloe arborescens
Nonostante le differenze nella struttura chimica delle loro molecole, l’attività antitumorale di aloe, cannabis e mirra è basata su meccanismi molto simili, costituiti da attività antiproliferativa, immunostimolante, antinfiammatoria e dall’effetto antiossidante.
Nella cannabis e nella mirra, gli effetti antiproliferativi e immunoinflammatori-modulante sono attribuiti alle stesse molecole: tethrahydrocannabinol cannabinolo per la cannabis e la T sesquiterpene cadinol per mirra. Al contrario, l’attività antiproliferativa e gli effetti immunomodulanti dell’Aloe Arborescens sono principalmente esercitati dall’aloe-emodine, la cui azione oncostatica ha dimostrato di essere particolarmente evidente contro le cellule tumorali neuroendocrine.
D’altra parte, le proprietà immunostimolanti dell’Aloe Arborescens sono principalmente a carico di acemannan e glycomannan, la cui stimolazione antitumorale è mediata, almeno in parte, dalla inibizione di secrezione di interleuchina, con conseguente aumento della produzione di IL-2, che svolge un ruolo fondamentale nella generazione dell’immunità antitumorale.
Le proprietà antitumorali dell’Aloe Arborescens sono state confermate da diversi esperimenti in vitro e in vivo rivelando che non dipende solo dal suo effetto immunomodulante, come creduto fino a poco fa, ma anche da una inibizione diretta della cellula tumorale attraverso la proliferazione di aloenin e molecole simili.
La terapia dell’Aloe è stata particolarmente studiata nel trattamento della psoriasi, iperlipidemia e diabete mellito e può esercitare effetti anticolesterolo ed effetti antidiabetici. Inoltre, stimola la riparazione delle ferite. Infine, l’Aloe è stato utilizzato per il trattamento della neoplasia umana, sebbene sono disponibili solo dati preliminari.
La maggior parte degli studi sono, però, molto limitati da un punto di vista metodologico, a causa del basso numero di pazienti e la mancanza di randomizzazione. Pertanto, il presente studio sull’abbinamento dell’Aloe Arborescens alla chemioterapia, è stato previsto nel tentativo di studiare l’influenza dell’Aloe nei pazienti con cancro a basso stato clinico.
Lo studioso Adelio Alberto Mora, le cui ricerche sono state fatte senza fine di lucro ma solo per amore e passione per chi soffre di malattie varie, ha anche apportato delle modifiche alla ricetta di Padre Romano Zago, per adattarla meglio ad alcuni pazienti affetti da patologie particolari.

Modifiche alla ricetta di Padre Romano Zago

Miele

miele biologico per la preparazione della ricetta anti-cancro di Padre Romano ZagoNella preparazione casalinga della ricetta , informando anche Padre Romano Zago, hanno diminuito la quantità del miele da 500g a 150 g , anche se sarebbe meglio mettere solo 50g di miele in particolare per chi soffre di Diabete ; meglio di tutto sarebbe il Miele di Melata (meno zuccherino); è stata sperimentata anche la Stevia invece del miele, che ultimamente ha sostituito tutti i dolcificanti , ritenuti TOSSICI .
In alternativa è possibile sostituire il miele con un frullato di frutta, meglio di tutti sarebbe una banana semi acerba e NON matura, perché i diabeti possono sopportarla molto bene dato che gli zuccheri non si sono ancora formati ( Scoperta brasiliana).

Grappa

Invece della Grappa o del Whisky (peggio il Cognac che è astringente), aggiungere la spremuta di mezzo limone (confermato anche da Padre Romano Zago via e-mail ), che è anche un antiacido per eccellenza ed un antitumorale naturale. Questo, in particolare per chi non può assumere alcolici.

Preparazione

Per quanto riguarda la procedura, le foglie NON devono essere frullate, ma ‘passate’ con un normale ‘passa pomodoro’. Questo perché, se le foglie vengono frullate, il perno centrale del frullatore, con l’alta velocità, raggiunge una temperatura superiore ai +70° gradi, che può alterare alcune proprietà dell’Aloe. Diverso il caso, se si possiede un Bimby Worwerk, che non và in surriscaldamento alla velocità 10.
Fonte: http://dietagrupposanguigno

Berdjaev inedito: Vangelo e comunismo inconciliabili

Berdjaev inedito: Vangelo e comunismo inconciliabili
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Nikolaj Berdjaev

Cristo ha detto che è più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel Regno dei cieli. A molti che hanno un rapporto superficiale col cristianesimo, e non sono partecipi dei suoi misteri, questa frase suona quasi socialista. Voi socialisti amate fare un cattivo uso del Vangelo, e ve ne ricordate solo quando serve ai vostri scopi religiosi e antireligiosi. In queste citazioni dei testi evangelici, in queste interpretazioni non religiose dei testi c’è un che di abominevole e sacrilego.

Le parole di Cristo nei confronti dei ricchi hanno un significato diametralmente opposto a quello che vorreste conferire loro. A chiunque si accosti interiormente al mistero della vita e non in modo superficiale, dev’esser chiaro che Cristo si preoccupava del destino dei ricchi, della loro anima, quando diceva che è difficile, molto difficile per loro entrare nel Regno dei cieli. Voleva dire che per i ricchi è facile diventare schiavi del mondo materiale e dei beni materiali, che essi sono privi della libertà di spirito e perciò per loro è più complicato entrare nel Regno dei cieli, nel Regno delle anime libere, che amano Dio più di tutto il mondo e di tutto ciò che il mondo può dare.
Cristo voleva liberare spiritualmente i ricchi, aveva a cuore la loro salvezza eterna, così così come aveva a cuore la salvezza di tutte le anime degli uomini. Egli è venuto nel mondo per tutti, per i ricchi come per i poveri. E quando parlava della difficoltà che i ricchi hanno ad entrare nel Regno dei cieli, non pensava agli interessi materiali dei poveri, ma agli interessi spirituali dei ricchi. Cristo ha infatti rivelato il valore assoluto dell’anima di ogni uomo, indipendentemente dalla sua condizione sociale. Per Lui non potevano esserci eletti e reietti in base alla condizione sociale.

La retorica socialista riguardo ai ricchi, invece, sta al polo opposto rispetto al cristianesimo, è intrisa d’odio per i ricchi e di invidia verso di loro. I socialisti vogliono rendere difficile entrare nel Regno dei cieli anche ai poveri. Le parole di Cristo sono rivolte all’uomo interiore, alla sua anima; le parole dei socialisti sono rivolte all’uomo esteriore, all’involucro materiale dell’uomo, in esse si percepisce sempre la non conoscenza dell’uomo interiore. Cristo parlava di una povertà piena di grazia, gioiosa, divina che costituisce la suprema libertà e bellezza dello spirito. Essa è accessibile solo a pochi. San Francesco d’Assisi, “il Poverello di Cristo”, ha realizzato alla perfezione la bellezza della povertà.

Ma cosa ha a che fare questa povertà con il socialismo? Cristo insegnava che i poveri hanno un privilegio spirituale rispetto ai ricchi, che per loro è più facile entrare nel Regno di Dio. I socialisti invece parlano sempre dei grandi privilegi dei ricchi, invidiano questi privilegi e vogliono toglierli ai ricchi per darli ai poveri. Cristo insegnava a donare le proprie ricchezze, i socialisti insegnano ad appropriarsi delle ricchezze altrui. Cristo esortava a nutrire l’affamato e a donare fino all’ultima camicia. Questo doveva essere un gesto di un amore gratuito, lo stesso amore con cui Cristo si rivolgeva all’uomo interiore, alla profondità dell’anima umana. Non era la ricetta di un’organizzazione sociale esteriore, su cui il Vangelo non dice una parola.

I socialisti non esortano a nutrire l’affamato e a donare l’ultima camicia al prossimo. Loro si rivolgono all’uomo esteriore. Esortano l’affamato a togliere agli altri con la forza. Inculcano nel povero l’idea che la ricchezza sia una cosa bellissima, che il destino del ricco sia un destino invidiabile, e così avvelenano il suo povero cuore. Cristo voleva che non ci fossero più affamati, che tutti avessero da mangiare, che tutti avessero una camicia. E l’atteggiamento cristiano verso la vita esige che ci si occupi degli affamati, dei miseri, dei diseredati.

Nel Giudizio universale Cristo chiederà conto ad ognuno di noi del destino di affamati, miseri e diseredati. E per i ricchi sarà difficile giustificarsi. Ma come è contrario lo spirito di Cristo allo spirito del socialismo! Cristo ha rivelato la verità eterna sulla costituzione spirituale dell’uomo e non la verità transitoria sulla costituzione della società terrena. Tutta la predicazione evangelica di Cristo presuppone perfino l’esistenza della proprietà e della disuguaglianza sociale, e, senza toccare l’ordinamento sociale, sempre determinato da condizioni storiche e naturali complesse, insegna la verità eterna dell’amore e del sacrificio di sé. I socialisti vogliono rendere impossibili e superflue le virtù cristiane dell’amore, del sacrificio e della carità. È grande la saggezza del cristianesimo, per il quale il valore assoluto dell’anima umana non dipende dalla condizione sociale e si afferma in ogni contingenza storica. Il padrone e lo schiavo possono essere fratelli in Cristo, pur rimanendo nelle rispettive condizioni sociali. Il cristianesimo esige che l’anima del padrone e quella dello schiavo, siano considerate un valore assoluto e siano di uguale valore davanti al Signore: esige che il padrone veneri nello schiavo l’immagine e la somiglianza di Dio. Esso però non esorta alla rivoluzione sociale, insegna che qualunque ordinamento sociale in qualunque epoca storica è comunque vincolante. San Paolo insegnava che lo schiavo, anche rimanendo nelle condizioni sociali a lui toccate in sorte, può essere perfetto
e percorrere la via di Cristo.

Al cristianesimo della Chiesa sono totalmente estranei gli elementi del rivoluzionarismo sociale, essi appartenevano solo ai movimenti eretici, settari. Il cristianesimo ha avuto un’enorme importanza nell’eliminazione della schiavitù nel mondo, ma la sua azione in questo senso è stata esclusivamente spirituale e non sociale, è stata interiore e non esteriore. Il cristianesimo riconosce che tutti i mutamenti sociali sono determinati da una legge specifica, che la continuità storica sul piano esteriore dell’esistenza non può essere eliminata e distrutta. La questione sociale ha i suoi aspetti tecnici, i suoi metodi scientifici, i suoi condizionamenti materiali.

La saggezza del cristianesimo universale, a differenza del settarismo, riconosce tutto ciò. La guarigione definitiva dai mali sociali e dalle sofferenze è possibile solo nell’armonia cosmica, solo nel Regno di Dio. Fino al suo raggiungimento, sono possibili solo gradi relativi. La questione sociale non è risolvibile, sono risolvibili solo i problemi sociali. Il bene cristiano è un bene libero, e perciò presuppone una certa libertà del male.

(Traduzione di Giacomo Foni)

sabato 14 marzo 2015

La lettera di Albert Einstein: «la scienza conduce ad uno spirito immensamente superiore»

La lettera di Albert Einstein: «la scienza conduce ad uno spirito immensamente superiore»

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Einstein letteraSu alcuni siti web è stata ripresa una lettera del grande fisico Albert Einstein su Dio, indirizzata ad una giovane studentessa. Questa ragazza, di nome Phyllis, scrisse il 19 gennaio 1936 al già famoso scienziato riportandogli una domanda sorta nella sua classe: “Gli scienziati pregano? E cosa o chi pregano?”
All’epoca erano pochi i personaggi che potevano rappresentare dignitosamente quell’intera elitè di personaggi riconducibili al nome “scienziato”, e certamente Einstein era tra questi. La semplicità e la natura della lettera avrebbero potuto scocciare o irritare uno scienziato di tal fama, ma ciò che più sorprende è proprio la stessa semplicità e la rapidità con cui il fisico rispose alla piccola studentessa, lettera che riporta la data del 24 gennaio 1936.
Lo scienziato non perde tempo e chiarisce subito un dato: «gli scienziati credono, danno per scontato che ci siano delle leggi di natura a cui ogni cosa, ogni evento, e così anche ogni uomo devono sottostare. Uno scienziato, quindi, non tenderà a credere che il corso degli eventi possa vedersi influenzato dalla preghiera, ovvero dalla manifestazione soprannaturale di un desiderio». Ma, Einstein non si ferma e aggiunge un “however”, un “tuttavia”. Aggiunge un altro tassellino al ragionamento precedente: «Ad ogni modo, dobbiamo ammettere che la nostra conoscenza reale di queste forze è imperfetta, per cui, alla fine, credere nell’esistenza di uno spirito ultimo e definitivo dipende da una specie di fede. È una credenza generalizzata anche di fronte ai successi attuali della scienza». Questo è sicuramente un punto fondamentale: la scienza di per sé non annulla “una specie di fede”, anzi la provoca essa stessa nelle sue falle e debolezze. Tuttavia, sembra lasciar intendere anche una contraddizione tra questa “credenza generalizzata” e i successi scientifici.
Ma la lettera non è ancora finita e Einstein pare affrontare proprio ora il succo del discorso, dando un giudizio molto più personale: «Allo stesso tempo, chiunque sia veramente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo. In questo modo la ricerca scientifica conduce a un sentimento religioso di tipo speciale che è davvero assai differente dalla religiosità di qualcuno piuttosto ingenuo. Cordiali saluti, A. Einstein». Solamente chi è seriamente “impastato”, chi è davvero implicato nel ricercare la scienza diventa convinto di questo, è portato ad avere degli speciali sentimenti religiosi, cioè una particolare fede, che si distacca da quella comune, e che perciò contraddistinguerà l’uomo di scienza dalla massa.
A parte questa forma di elitarismo, è utile ricordare che per noi cristiani tutto ciò forse è abbastanza scontato, ma il fatto che un personaggio di tal statura intellettuale, lontano dalla fede cristiana, abbia scorto, anche se da lontano, più d’una sfaccettatura di quella virtù che noi chiamiamo Fede, ebbene non fa che confermare la verità “cattolica” (universale) della Rivelazione cristiana. In un’altra brevissima lettera, battuta all’asta il 15 febbraio 2015 negli Stati Uniti e scritta in italiano al collega Giovanni Giorgi, Einstein afferma: «Dio ha creato il mondo con più eleganza e intelligenza», e dopo aver fatto riferimento ad alcuni esperimenti conclude: «Non dubito della validità della teoria della relatività».
Inseriamo pure queste piccole lettere alle prove della religiosità di Einstein, ma soprattutto constatiamo come la nostra Fede, che viene suscitata e arricchita da Dio, venga avvistata e intravista anche da questi grandi geni che, seppur senza arrivare all’esperienza cristiana, confermano la necessità razionale di Dio.
 
 
 
 
 
 
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giovedì 12 marzo 2015

COPERNICO NON FECE NESSUNA RIVOLUZIONE, MA ANZI FU UNA DELLE GLORIE DELLA CHIESA CATTOLICA

COPERNICO NON FECE NESSUNA RIVOLUZIONE, MA ANZI FU UNA DELLE GLORIE DELLA CHIESA CATTOLICA
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Ci hanno insegnato che avrebbe distrutto la visione cristiana del mondo e dell'uomo in nome della scienza, invece fu un ecclesiastico che operò sempre nella Chiesa e per la Chiesa
di Francesco Agnoli
L'idea della rivoluzione copernicana professata dal grande pubblico è, sinteticamente, questa: l'eliocentrismo proposto da Niccolo Copernico avrebbe in qualche modo scardinato la struttura del mondo così come la intendeva la Bibbia e, allontanando l'uomo dal centro geografico dell'universo, lo avrebbe detronizzato, negando così implicitamente la sua origine divina. Copernico avrebbe quindi messo in crisi la fede in un Dio trascendente, Creatore e Provvidente, proprio dell'Europa cristiana, allargando l'universo all'infinito e sminuendo contemporaneamente, all'infinito, l'uomo.
Così scriveva recentemente Umberto Veronesi in Scienza e futuro dell'uomo (ed. Passigli): con Copernico la «posizione» dell'uomo «che diremmo quasi divina in quanto creatura di Dio, viene a crollare per tornare ad essere parte di un processo evolutivo che include animali, piante e tutti gli esseri viventi. L'uomo è così ridimensionato, e da lì nasce il pensiero scientifico moderno».

SMONTIAMO I LUOGHI COMUNI
Questa interpretazione della rivoluzione copernicana, presente anche in manuali e libri di autori cattolici, è assolutamente antistorica e fasulla. Non troviamo nessun riscontro al riguardo né leggendo l'ecclesiastico Copernico, né il cattolico Galilei, né i devotissimi Keplero e Pascal, per non citare che alcuni dei primi e più celebri "copernicani". «Va detto con chiarezza - scrive lo storico della scienza Paolo Musso - che la fine del geocentrismo non significò affatto, come oggi si cerca insistentemente di far credere, anche la fine dell'antropocentrismo, inteso nel senso di una radicale svalutazione dell'uomo e della sua importanza nel disegno complessivo del cosmo».
Per un cristiano, infatti, all'epoca di Copernico, prima e dopo di lui, infatti, «il valore dell'uomo non può dipendere dalla sua collocazione geografica, né da alcun altro fatto materiale, ma solo dal suo rapporto con l'infinito». Tanto più che Copernico non incominciò ad archiviare, secondo un processo che sarebbe durato a lungo, una cosmologia cristiana, bensì la cosmologia aristotelico-tolemaica, cioè precristiana, che l'Europa cattolica aveva ereditato, con varie modifiche.
Secondo questa cosmologia, la centralità fisica del pianeta Terra non era sinonimo di preminenza, di superiorità, in quanto, al contrario, tutti i pianeti erano considerati superiori alla Terra (e, rispetto ad essa, lisci, perfetti e cristallini). Una delle paure di Copernico - scrive la sua biografa Dava Sobel, ne Il segreto di Copernico - era che «gli astronomi suoi colleghi [legati al sistema aristotelico-tolemaico, ndr] avrebbero osservato che la Terra stava bene al centro di tutto non perché la dimora del genere umano meritasse un posto d'onore, ma al contrario, perché al centro finiva col cadere e giacere ogni cosa materiale e perché crollo, cambiamento e morte erano il destino degli abitanti della Terra. In breve, la Terra era al centro perché era non il culmine ma il fondo del creato, e non si doveva osare mettere il Sole, che molti chiamavano il lume celeste, nel buco infernale posto al centro del cosmo».
La perdita di una centralità fisica della Terra non significò dunque per Copernico, nel modo più assoluto, una perdita della vera centralità dell'uomo, legata piuttosto alla sua natura spirituale, alle sue peculiarità eccezionali ed uniche (pensiero, libertà, ragione, amore...), e non certo alla sua posizione geografica.

CENNI BIOGRAFICI
Ma chi era Copernico, l'uomo che per primo propose con forza un sistema complesso basato sull'idea eliocentrica (seppure non dimostrata), e che allargò l'universo, pur considerandolo finito, e descrivendolo come «la macchina del mondo, che è stato creato per noi dal migliore e più perfetto Artefice»? Il Koestler lo definisce un «chierico conservatore e timido», cioè tutt'altro che un rivoluzionario, mentre lo storico Ulianich, in un colloquio con Francesco d'Arcais, Margherita Hack e Francesco Barone, con lui concordanti, ricorda che Copernico fu un ecclesiastico appartenente a «quella Congregazione riformata dei Canonici Agostiniani che era una emanazione dei fratelli della vita comune, della devotio moderna», e che suo intento era ricercare nella natura traccia della grandezza del Dio Artefice di ogni cosa.
Nato nel 1473 a Torùn, odierna Polonia, Copernico rimane presto orfano di padre. A prendersi cura di lui e dei suoi fratelli è lo zio materno, Lukasz Watzenrode, ecclesiastico che diverrà vescovo di Warnia. Nel 1497, dopo aver intrapreso gli studi presso l'Università di Cracovia, per poi studiare diritto canonico a Bologna, diventa canonico di Frombork. Nel 1500 lo troviamo impiegato alla Cancelleria pontificia di Roma. Incomincia gli studi di medicina a Padova, conclude quelli di diritto a Ferrara, mentre collabora con lo zio vescovo, divenendo il suo fisico privato. È in questo periodo, siamo nel 1507, che lavora al primo abbozzo della teoria eliocentrica.
Nel 1512 diventa cancelliere del capitolo dei canonici del duomo di Frombork, mentre nel 1513 su richiesta del Concilio Laterano e di Paolo di Middelburg, matematico e astronomo, suo estimatore e vescovo di Fossombrone, compila una proposta di riforma del calendario che invia a Roma. Il calendario in questione, ancora in embrione, è quello gregoriano, così detto perché promosso dal papa Gregorio XII con l'aiuto di grandi scienziati ecclesiastici come Clavius e Danti. Calendario, ricorda Paolo Musso, che costituisce «il primo davvero preciso che l'umanità abbia avuto in tutta la sua storia, tant'è vero che lo usiamo ancor oggi in piena era spaziale, anche se con qualche leggera modifica».
Nel 1523 Copernico viene nominato amministratore generale per la sede arcivescovile della Warnia; nel 1537 il suo nome è tra la rosa dei quattro candidati al titolo di vescovo di Warnia. Intanto, mentre continua a esercitare varie funzioni ecclesiastiche e la sua attività medica, curando i malati spesso senza parcella (secondo il suo primo biografo, il sacerdote e astronomo Pierre Gassendi, 1654), nel 1543 fa pubblicare a Norimberga, dal suo discepolo Reticus, il suo De revolutionibus orbium coelestium. Muore lo stesso anno a Fromberk e viene sepolto nella cattedrale della città, vicino all'altare di san Venceslao, che gli era stato assegnato come canonico, a riprova, se ce ne fosse stato bisogno, di quale fosse stata la sua fede e di quale fosse la considerazione in cui era tenuto dalla Chiesa.

II DE REVOLUTIONIBUS ORBIUM COELESTIUM
Ma perché Copernico pubblicò così tardi il suo volume? Spesso la risposta è tranchant: per il timore di persecuzioni e di attacchi. Certamente quel timore ci fu, non tanto di persecuzioni, invero, quanto di incomprensioni. È lo stesso Copernico a scrivere che non mancherà chi, vedendo così contraddetto il comune sentire e la cosmologia di Aristotele e Tolomeo, si prenderà gioco delle sue opinioni. Ma non c'è solo questo. In verità Copernico, da una parte aveva già numerosi ammiratori (per esempio Johann A. Widmannstetter, segretario di papa Clemente VII, aveva già illustrato la sua dottrina al papa, ottenendo plauso e successo, dieci anni prima), dall'altra era consapevole di come le sue osservazioni fossero lacunose e non decisive.
La dimostrazione della correttezza della teoria eliocentrica sarebbe arrivata, infatti, non con Copernico e neppure con il grande Galileo, ma solo nel 1851, per opera di Jean Bernard Leon Foucault, attraverso l'esperimento del Pendolo di Foucault.
Lo scritto di Copernico vide la luce dopo pensamenti e ripensamenti, e venne dedicato al papa Paolo III. Inoltre, possiamo ben dire che non avrebbe mai visto la luce se non fosse stato per le pressioni di un cristiano protestante come Reticus e di alcuni eminenti ecclesiastici: in primo luogo il canonico Tiedemann Giese (1480-1550), che divenne poi vescovo di Kulm, che era forse il suo più intimo amico e a cui Copernico aveva rivelato, forse per primo, le «sue segrete conoscenze astronomiche» (il Giese fu anche autore, come altri ecclesiastici dopo di lui, di un trattato sulla compatibilita tra il sistema eliocentrico e la Bibbia); e poi del cardinal Nikolaus von Schònberg (1472-1537), arcivescovo di Capua e uomo di fiducia di ben tre papi, compreso quello allora regnante, il quale, il 1 novembre 1536, gli scrisse per invitarlo formalmente a dare alle stampe il libro di cui aveva sentito parlare tanto bene dal già citato Widmannstetter (la lettera di von Schònberg fu posta proprio in apertura del De revolutionibus). Nei primi anni dopo la pubblicazione dell'opera, l'ipotesi di Copernico subì, come è ovvio, degli attacchi, quasi esclusivamente da parte degli aristotelici, di svariati colleghi, di Melantone e di Lutero. Nulla però di veramente significativo.
Nel 1616, durante il caso Galilei, una commissione di teologi della Sacra Congregazione condannò alcune tesi del De revolutionibus, ordinando non la distruzione del libro, ma che venisse interdetto «fino a quando non fosse stato corretto». In particolare le correzioni, che stavano in una pagina, implicavano la soppressione del capitolo VIII del I libro (consistente nella confutazione del geocentrismo degli antichi). I teologi sbagliarono (avendo come scusante, per il vero, il fatto che la tesi di Copernico non fosse dimostrata), ritenendo non già che la posizione copernicana della Terra nell'Universo ne sminuisse l'importanza, ma semplicemente che alcuni passi figurati della Bibbia fossero da interpretare letteralmente.
Ciò non toglie, però, che Copernico sia stato una delle glorie della Chiesa: figlio, non a caso, dell'Europa cristiana e delle sue università; figlio della Chiesa, da cui fu educato e in cui visse sempre; mosso, nelle sue stesse ipotesi cosmologiche, dalla fede greca e cristiana nell'ordinamento razionale del mondo, recante in sé, con la sua «meravigliosa simmetria», i segni dell'armonia e della bellezza del suo Artefice.


Nota di BastaBugie: per leggere il resoconto della conferenza di Francesco Agnoli "Come il cristianesimo ha costruito una civiltà", dove vengono ricordati i tanti meriti del cristianesimo in occidente, clicca qui sotto
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/articoli.php?id=13

domenica 8 marzo 2015

La Portulaca Oleracea previene il cancro e fa bene alla salute. Ma non conviene, costa poco

La Portulaca Oleracea previene il cancro e fa bene alla salute. Ma non conviene, costa poco 

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Non cura il cancro ma ci previene da esso,la Portulaca Oleracea è boicottata dalle lobby farmaceutiche perchè se assunta ci si ammala di meno grazie alle sue proprietà,e cosa c’è di meglio di uno “scudo protettivo” ai tempi di oggi,

in quanto aria e terra sono inquinati e siamo maggiormente esposti alla contrazione di tumori? Portulaca Oleracea è una super pianta anticancerogena che ci fa bene alla salute! Le lobby farmaceutiche lo considerano infestante, naturalmente, visto che fa bene e potrebbe far perdere loro un sacco di quattrini… Ormai sappiamo che quella che fa bene la considerano infestante oppure la mettono illegale come la canapa… Sicuramente avrete visto questa pianta spuntare naturalmente nella vostra terra,in quanto I semi di Portulaca sono così potenti , rimangono vitali nel terreno fino a 40 anni, e questa è una coltura naturale non l’OGM. La portulaca è una piantina perenne o annuale, molto abbondante in tutta Italia, sia come pianta ornamentale da fiore, che (in maggior misura) come piantina, ritenuta da molti erroneamente, comune erbaccia infestante.In realtà nel Medioevo veniva considerata una preziosa pianta officinale e medicinale, perchè già ne conoscevano le proprietà ed i benefici.Imparando a riconoscerla nei campi, si può avere un ottimo alimento che aiuta la nostra salute a costo zero,ed è proprio per questo che con l’avvento dei farmaci e delle case farmaceutiche,è stata “distrutto”il ricordo di questa pianta miracolosa. Questa pianta ha molti benefici per il nostro sistema immunitario e per la salute generale. Per esempio ha più benefici di acidi grassi Omega 3 rispetto a molti oli di pesce, che svolgono un ruolo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari! Contiene alti livelli di vitamina A. Tra tutte le verdure a foglia verde 1320 UI/100 g, fornisce il 44% del RDA. Protegge da molti tipi di tumori e aiuta a promuovere la salute degli occhi grazie alle sue doti te

Discorso di papa Francesco all'Udienza con il movimento di Comunione e Liberazione. Piazza San Pietro, 7 marzo 2015

Discorso di papa Francesco all'Udienza con il movimento di Comunione e Liberazione. Piazza San Pietro, 7 marzo 2015

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Francesco www.vatican.va

07/03/2015

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Do il benvenuto a tutti voi e vi ringrazio per il vostro affetto caloroso! Rivolgo il mio cordiale saluto ai Cardinali e ai Vescovi. Saluto Don Julián Carrón, Presidente della vostra Fraternità, e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti; e La ringrazio anche, Don Julián, per quella bella lettera che Lei ha scritto a tutti, invitandoli a venire. Grazie tante!

Il mio primo pensiero va al vostro Fondatore, Mons. Luigi Giussani, ricordando il decimo anniversario della sua nascita al Cielo. Sono riconoscente a Don Giussani per varie ragioni. La prima, più personale, è il bene che quest’uomo ha fatto a me e alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. L’altra ragione è che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Voi sapete quanto importante fosse per Don Giussani l’esperienza dell’incontro: incontro non con un’idea, ma con una Persona, con Gesù Cristo. Così lui ha educato alla libertà, guidando all’incontro con Cristo, perché Cristo ci dà la vera libertà. Parlando dell’incontro mi viene in mente “La vocazione di Matteo”, quel Caravaggio davanti al quale mi fermavo a lungo in San Luigi dei Francesi, ogni volta che venivo a Roma. Nessuno di quelli che stavano lì, compreso Matteo avido di denaro, poteva credere al messaggio di quel dito che lo indicava, al messaggio di quegli occhi che lo guardavano con misericordia e lo sceglievano per la sequela. Sentiva quello stupore dell’incontro. E’ così l’incontro con Cristo che viene e ci invita.

Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’Uomo, il falegname di Nazaret, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. Pensiamo al Vangelo di Giovanni, là dove racconta del primo incontro dei discepoli con Gesù (cfr 1,35-42). Andrea, Giovanni, Simone: si sentirono guardati fin nel profondo, conosciuti intimamente, e questo generò in loro una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li fece sentire legati a Lui... O quando, dopo la Risurrezione, Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?» (Gv 21,15), e Pietro risponde: «Sì»; quel sì non era l’esito di una forza di volontà, non veniva solo dalla decisione dell’uomo Simone: veniva prima ancora dalla Grazia, era quel “primerear”, quel precedere della Grazia. Questa fu la scoperta decisiva per san Paolo, per sant’Agostino, e tanti altri santi: Gesù Cristo sempre è primo, ci primerea, ci aspetta, Gesù Cristo ci precede sempre; e quando noi arriviamo, Lui stava già aspettando. Lui è come il fiore del mandorlo: è quello che fiorisce per primo, e annuncia la primavera.

E non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione senza la misericordia. Solo chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. E per questo, alcune volte, voi mi avete sentito dire che il posto, il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù Cristo è il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No. Questa non è la morale cristiana, è un’altra cosa. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende. E la strada della Chiesa è anche questa: lasciare che si manifesti la grande misericordia di Dio. Dicevo, nei giorni scorsi, ai nuovi Cardinali: «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio», che è quella della misericordia (Omelia, 15 febbraio 2015). Anche la Chiesa deve sentire l’impulso gioioso di diventare fiore di mandorlo, cioè primavera come Gesù, per tutta l’umanità.

Oggi voi ricordate anche i sessant’anni dell’inizio del vostro Movimento, «nato nella Chiesa – come vi disse Benedetto XVI –non da una volontà organizzativa della Gerarchia, ma originato da un incontro rinnovato con Cristo e così, possiamo dire, da un impulso derivante ultimamente dallo Spirito Santo» ((Discorso al pellegrinaggio di Comunione e Liberazione, 24 marzo 2007: Insegnamenti III, 1 [2007], 557).

Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore! Per questo, quando Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parla dei carismi, di questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico, termina parlando dell’amore, cioè di quello che viene da Dio, ciò che è proprio di Dio, e che ci permette di imitarlo. Non dimenticatevi mai di questo, di essere decentrati!
E poi il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo” – è il diavolo quello che “pietrifica”, non dimenticare! Fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro. Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!

Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo.

“Uscire” significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una “spiritualità di etichetta”: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una ONG.

Cari amici, vorrei finire con due citazioni molto significative di Don Giussani, una degli inizi e una della fine della sua vita.

La prima: «Il cristianesimo non si realizza mai nella storia come fissità di posizioni da difendere, che si rapportino al nuovo come pura antitesi; il cristianesimo è principio di redenzione, che assume il nuovo, salvandolo» ((Porta la speranza. Primi scritti(, Genova 1967, 119). Questa sarà intorno al 1967.

La seconda del 2004: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta» (
(Lettera a Giovanni Paolo II(, 26 gennaio 2004, in occasione dei 50 anni di Comunione e Liberazione).

Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me! Grazie.

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Carrón: «La carezza della misericordia». Oltre 80.000 persone all’Udienza di Papa Francesco con CL

Ufficio Stampa di CL Comunicato stampa

07/03/2015

Erano oltre 80.000 le persone presenti in piazza San Pietro, provenienti da 47 Paesi del mondo per l’udienza concessa da Papa Francesco nel 10° anniversario della morte di don Giussani e nel 60° dell’inizio del movimento di CL.

Commentando le parole del Papa appena ascoltate, don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL, ha dichiarato:

«Oggi in piazza san Pietro noi abbiamo vissuto di nuovo l’esperienza dell’incontro con Cristo. Lo abbiamo visto primerear davanti ai nostri occhi attraverso la persona e lo sguardo di papa Francesco. Lo stesso sguardo che duemila anni fa ha conquistato Matteo, ma oggi!

Oggi abbiamo sperimentato che cos’è la carezza della misericordia di Gesù. Il modo in cui il Papa ci ha abbracciati lo porteremo per sempre nei nostri occhi. Così ci ha fatto capire che “il centro è uno solo, è Gesù Cristo”, la cui esperienza ci consentirà di non ridurre il carisma a un “museo di ricordi” e di “tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”.

Solo questa esperienza dello sguardo di Cristo – che genera “sorpresa”, “stupore” e ci fa sentire “legati a Lui” − ci impedirà di soccombere a qualsiasi tentativo di autoreferenzialità e ci permetterà di scoprire in ogni uomo che incontreremo quel bene che porta, come ci ha insegnato sempre don Giussani.

Questa esperienza ci metterà nelle condizioni di vivere il cristianesimo come “principio di redenzione, che assume il nuovo, salvandolo”».