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sabato 18 luglio 2015

JOHN R. R. TOLKIEN: SUL MATRIMONIO E LA RELAZIONE FRA I SESSI

JOHN R. R. TOLKIEN: SUL MATRIMONIO E LA RELAZIONE FRA I SESSI  

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5 mag 2012   •  
 


Da una lettera di John R. R. Tolkien al figlio Michael (6-8 marzo 1941)
Il rapporto tra uomo e donna può essere puramente fisico (in realtà, naturalmente, non è possibile: ma intendo dire che ci si può rifiutare di prendere in considerazione altre cose, a tutto svantaggio dell’anima (e del corpo) di entrambi); oppure «amichevole»; oppure si può essere «amanti» (impegnando e mescolando tutta la propria capacità affettiva e le energie della mente e del corpo in una complessa emozione fortemente caratterizzata e vivificata dal sesso). Questo nostro mondo è immorale. Lo spostamento dell’istinto sessuale è uno dei sintomi principali della Caduta. Il mondo è andato sempre peggio di epoca in epoca. Le varie forme sociali cambiano e ogni nuova moda comporta particolari pericoli: ma il «duro spirito della concupiscenza» ha percorso ogni strada e siede sogghignando in ogni casa, da quando Adamo è caduto. Lasceremo da parte le conseguenze «immorali». In queste tu non desideri essere trascinato. Alla rinuncia non sei portato. «Amicizia», allora? In questo mondo corrotto l’«amicizia », che dovrebbe essere possibile fra tutti gli esseri umani, è virtualmente impossibile tra uomo e donna. Il diavolo è infinitamente ingegnoso e il sesso è la sua arma preferita. È abilissimo nel catturarti usando mezzi generosi, romantici o teneri, tanto quanto mezzi più bassi e animali. Spesso si è tentato di instaurare questa «amicizia»: da una parte o dall’ altra quasi sempre fallisce. Più avanti nella vita, quando gli impulsi sessuali si calmano, forse è possibile. Può instaurarsi fra i santi. Alle persone normali capita solo raramente: due intelligenze che abbiano una vera affinità mentale e spirituale possono avere un corpo femminile e uno maschile e desiderare di realizzare un’«amicizia» indipendentemente dal sesso. Ma nessuno può farci conto. Uno dei due partner deluderà l’altro (o l’altra) innamorandosi. Ma di solito (di norma) un giovanotto non vuole davvero «amicizia», anche se lo afferma. Di solito è cosi per molti giovani. Un giovane vuole l’amore: innocentemente e tuttavia irresponsabilmente, forse. Allas! Allas! that ever love was sinne! come dice Chaucer. Quindi, nel caso di un giovane cristiano e consapevole che esiste il peccato, è bene sapere come comportarsi.
Nella nostra cultura occidentale la tradizione cavalleresca è ancora forte, benché, come prodotto della cristianità (e tuttavia tutta un’altra cosa dall’ etica cristiana) i tempi le siano ostili. Idealizza l’amore – e può essere una cosa positiva, perché comprende molto più che il piacere fisico e prescrive se non proprio la purezza, almeno la fedeltà, e quindi la negazione di sé, il «servizio», la cortesia, l’onore e il coraggio. Il suo punto debole è, naturalmente, la sua origine di divertimento artificiale praticato nelle corti, un modo di godere dell’amore in sé stesso, senza nessun riferimento (anzi negandone la validità) al matrimonio. Il suo centro non era Dio, ma divinità artificiose, l’Amore e la Dama. Tende tuttora a fare della Dama una specie di faro-guida o di divinità: un assioma ormai passato di moda. «La sua divinità» = la donna che ama = l’oggetto o la ragione di un nobile comportamento»: questo, naturalmente, è falso o nella migliore delle ipotesi è un autoinganno. Anche la donna è un essere umano caduto e anche la sua anima è in pericolo. Ma combinata e armonizzata con la religione (com’ era molto tempo fa, dando origine a quella devozione alla Nostra Signora che fu il modo scelto dal Signore per raffinare la natura e le emozioni maschili e anche di riscaldare e rendere più gradita la nostra religione così dura e così amara) la cavalleria può essere cosa molto nobile. Produce quello che io credo sia ancora considerato, dalle persone che si possono appena dire cristiane, come l’ideale più alto dell’amore tra uomo e donna. Tuttavia io penso che presenti dei pericoli. Non è completamente vera e non è perfettamente «teo­centrica ». Distoglie, e ha distolto in passato, gli occhi del giovane dalle donne così come sono veramente, compagne nelle avversità della vita e non stelle-guida. (Uno dei risultati è, osservando la realtà, che il giovane diventa cinico). Fa dimenticare i desideri, i bisogni, le tentazioni delle donne. Inculca la tesi esagerata dell’ «amore vero» come di un fuoco che viene dal di fuori, un’esaltazione permanente, che non prende in considerazione gli anni che passano, i figli che arrivano, la vita di tutti i giorni ed è svincolata dalla volontà e dagli obiettivi. (Uno dei risultati è quello di far cercare ai giovani un «amore» che li tenga sempre al caldo, riparati da un mondo freddo, senza che debbano sforzarsi in nessun modo; e gli inguaribilmente romantici vanno avanti a cercare questo amore a costo di affrontare lo squallore delle cause di divorzio).
Le donne, in realtà, non sono consapevoli di tutto questo, anche se possono usare il linguaggio dell’amore romantico, dato che è così connaturato al nostro idioma. L’impulso sessuale rende le donne (naturalmente più sono innocenti meno sono consapevoli) molto tolleranti e comprensive, a specialmente desiderose di essere così (o di sembrare così), e pronte a condividere ogni interesse, per quanto è loro possibile, dalle cravatte alla religione, del giovane da cui sono attratte. Il loro intento non è per forza quello di ingannare; si tratta di puro istinto; l’istinto di servire, di collaborare, generosamente, riscaldato dal desiderio e dal sangue giovane. Grazie a questo impulso, in effetti, spesso possono raggiungere una notevole perspicacia e una capacità di comprensione anche di cose che altrimenti sarebbero al di fuori della loro naturale portata: perché la loro caratteristica è quella di essere ricettive, stimolate, fertilizzate (non solo da un punto di vista fisico) dall’uomo. Ogni insegnante lo sa. Quanto rapidamente una donna intelligente può apprendere, afferrare le idee dell’insegnante, capire il suo punto di vista – e come (tranne rare eccezioni) – non possa andare oltre, quando si stacca dall’insegnante o quando smette di nutrire per lui un interesse personale. Eppure questa per le donne è la strada naturale che porta all’amore. Prima che la giovane donna riesca a capire dove si trova (e mentre il giovane romantico, se esiste, sta ancora sospirando), può innamorarsi. Che per lei, una giovane innocente e non corrotta, significa che desidera diventare la madre dei figli del giovane, anche se questo desiderio non le è ancora ben chiaro. E a questo punto molto può succedere, di doloroso e dannoso, se le cose vanno storte. In particolare, se il giovane voleva solo una stella-guida e una divinità temporanea (finché non ne scopre un’altra più brillante) e se stava solamente godendo la lusinga di una simpatia insaporita da un briciolo di sesso – tutto molto innocente, naturalmente, e lontano anni luce dalla « seduzione».
Nella vita (come nella letteratura) puoi incontrare donne che sono incostanti e anche donne dissolute: non mi riferisco al semplice flirtare, che è unicamente un allenamento in vista del vero combattimento, ma a quelle donne che sono troppo sciocche per prendere sul serio anche l’amore o così depravate da gioire della «conquista» o persino dell’infliggere dolore – ma queste sono eccezioni, anche se insegnamenti sbagliati, cattiva educazione e mode corrotte possono incoraggiare questi atteggiamenti. Ma sebbene la situazione attuale abbia cambiato l’atteggiamento femminile, e modificato quella che è considerata proprietà di comportamento, non ha tuttavia cambiato l’istinto naturale. Un uomo ha il suo lavoro, la carriera (e amici maschi), tutte cose che possano sopravvivere (e di solito è così se l’uomo ha qualche briciolo di buon senso) al naufragio di un amore. Una giovane donna, anche se è «economicamente indipendente», come si dice adesso (e che di solito significa in realtà economicamente dipendente da un datore di lavoro maschio invece che dal padre o da una famiglia) comincia quasi subito a pensare al corredo e a sognare una casa. Se si innamora seriamente, il naufragio può davvero essere disastroso. Comunque le donne in genere sono molto meno romantiche e più pratiche. Non lasciarti ingannare dal fatto che sono più «sentimentali» a parole – sempre a dire «caro» e così via. Loro non sognano una stella-guida. Possono idealizzare un normalissimo giovane vedendolo come un eroe; ma in realtà non hanno bisogno di tanto per innamorarsi e per amare. Se hanno qualche delusione è perché pensano di poter «cambiare» un uomo. Possono innamorarsi di un astuto cialtrone e continuare ad amarlo anche quando si accorgono di non riuscire a redimerlo. Sono, naturalmente, molto più realistiche circa i rapporti sessuali. A meno che non siano guastate da qualche pessima moda attuale, di solito non parlano «sporco» non perché siano più pulite degli uomini (non lo sono), ma perché non lo trovano divertente. Ne ho conosciute alcune che pretendevano di trovarlo divertente, ma era una pura pretesa. Può essere curioso, interessante (anche troppo interessante): ma è un interesse naturale, serio, ovvio; dov’è il divertimento?
Naturalmente devono stare ancora molto attente nei rapporti sessuali, per quanto riguarda la possibilità di concepire. Sbagli di questo tipo sono devastanti, fisicamente e socialmente (e matrimonialmente). Ma istintivamente, quando non sono corrotte, sono monogame. Gli uomini no … E’ inutile affermare il contrario. Gli uomini non lo sono, per natura. La monogamia (benché sia da tempo un’idea fondamentale fra quelle che abbiamo ereditato) per noi uomini non è che una parte di etica «rivelata», in linea con la fede, ma non con la carne. Ognuno di noi potrebbe tranquillamente generare, in trent’anni di piena virilità, qualche centinaio di bambini, e godere di questo fatto. Brigham Young (credo) era un uomo felice e pieno di salute. E’ un mondo corrotto, il nostro, e non c’è armonia tra i nostri corpi, la nostra mente e l’anima.
Tuttavia, la caratteristica di un mondo corrotto è che il meglio non si può ottenere attraverso il puro godimento, o quella che è chiamata la realizzazione di sé (che di solito è un modo elegante per definire l’autoindulgenza, nemica della realizzazione degli altri); ma attraverso la rinuncia, la sofferenza. La fede nel matrimonio cristiano implica questo: grande mortificazione. Per un cristiano non c’è alternativa. Il matrimonio può aiutarlo a santificare e a dirigere verso un giusto obiettivo i suoi impulsi sessuali; la sua grazia può aiutarlo nella battaglia; ma la battaglia resta. Il matrimonio non lo potrà soddisfare – come un affamato può essere soddisfatto da pasti regolari. Presenterà tante difficoltà per mantenere la purezza che si addice a quello stato e altrettante soddisfazioni. Nessun uomo che si sia sposato giovane, per quanto sinceramente innamorato di sua moglie, le è mai stato fedele per tutta la vita con la mente e con il corpo senza un deliberato e consapevole uso della sua volontà o senza negazione di sé. Queste cose non vengono quasi mai dette – nemmeno a quelle persone cresciute nella fede della Chiesa. Quelle che vivono al di fuori sembra che non ne abbiano mai sentito parlare. Quando l’innamoramento è passato o quando si è un po’ spento, pensano di aver fatto un errore e di dover ancora trovare la vera anima gemella. Per vera anima gemella troppo spesso si scambia la prima persona sessualmente attraente che si incontra. Qualcuno che forse davvero avrebbero fatto meglio a sposare, se solo… Da qui il divorzio, per risolvere quel «se solo». E naturalmente di solito hanno ragione: avevano fatto un errore. Solo un uomo molto saggio, arrivato al termine della sua vita, potrebbe esprimere un equo giudizio su quale persona, fra tutte, avrebbe fatto meglio a sposare! Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente (in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che hai sposato. Di solito tu scegli ben poco: lo fanno la vita e le circostanze (benché, se c’è un Dio, queste non siano che i Suoi strumenti o la Sua manifestazione). E’ risaputo che in realtà i matrimoni felici sono più comuni dove la scelta del partner è più limitata, dall’ autorità dei genitori o della famiglia, finché esiste un’ etica sociale di responsabilità e fedeltà coniugale. Ma anche nei paesi dove la tradizione romantica ha tanto influenzato le consuetudini sociali da far credere alla gente che la scelta di un compagno riguardi esclusivamente il giovane, solo un raro colpo di fortuna fa sì che si incontrino un uomo e una donna «destinati» l’uno all’altra e in grado di interessare un grande e splendido amore. Questa possibilità ci incanta, ci prende alla gola: moltissime poesie e moltissimi racconti sono stati scritti su questo argomento, probabilmente più numerosi che le storie d’amore reali (e tuttavia le migliori di queste storie non parlano del matrimonio felice di questi grandi amanti, ma della loro tragica separazione; come se persino nella dimensione del racconto la grandezza e lo splendore, in questo mondo corrotto, si raggiungano attraverso il fallimento e la sofferenza). In questi grandi amori, spesso amori a prima vista, cogliamo la visione, suppongo, di quello che sarebbe stato il matrimonio in un mondo incorrotto. In questo mondo corrotto abbiamo come unica guida la prudenza e la saggezza (rare nella gioventù e inutili nella ma­turità), un cuore puro e forza di volontà. […]
La mia stessa storia è così fuori dal comune, così sbagliata e imprudente che mi riesce difficile consigliarti di essere cauto. Tuttavia, le eccezioni possono giustificare la norma; e i casi fuori dal comune non sono sempre buoni esempi per gli altri. Per quel che vale, ecco un po’ di autobiografia – sottolineando in questa occasione i punti dell’età e della situazione economica.
Mi sono innamorato di tua madre quando avevo circa diciotto anni. Profondamente, come si è dimostrato – anche se naturalmente difetti di carattere e di temperamento hanno fatto sì che spesso io sia sceso al di sotto dell’ideale che mi ero proposto. Tua madre era più vecchia di me e non era cattolica. Inoltre, purtroppo, avevo un tutore. E da un certo punto di vista questa fu una sfortuna; in un certo senso fu male per me. Queste cose assorbono molto e quasi ti esauriscono. Io ero un ragazzo intelligente alle prese con lo studio per una (indispensabile) borsa di studio per Oxford. La tensione combinata quasi mi portò sull’orlo di un brutto crollo nervoso. Feci fiasco agli esami e anche se (come anni dopo mi disse il mio preside) avrei potuto ottenere una buona borsa di studio, strappai con i denti una borsa di studio di 60 sterline per Exeter: quel tanto che bastava, insieme ad una borsa di studio della stessa cifra dalla scuola che lasciavo, per farcela (assistito dal mio caro vecchio tutore). Naturalmente, c’era un vantaggio, non considerato dal mio tutore. Ero intelligente, ma non diligente, né avevo una mentalità ristretta; il mio fallimento era dovuto in larga misura allo scarso studio (dei classici), ma non perché ero innamorato, bensì perché stavo studiando altre cose: il gotico e altro ancora. Avendo ricevuto un’ educazione romantica, presi seriamente quella che era una cosa da ragazzi e ne feci fonte di ispirazione e motivo del mio comportamento. Pur essendo un codardo fisicamente, nel giro di due stagioni, da timido coniglio disprezzato in una squadra di casa, passai a vestire i colori della squadra della scuola. L’amore mi fece fare tutto questo tipo di cose. Tuttavia, nacquero delle difficoltà: e io dovetti scegliere tra disobbedire e addolorare (o ingannare) un tutore che per me era stato come un padre, più di un padre vero, pur senza esserci stato obbligato, o lasciare cadere quella relazione finché non avessi compiuto i ventun anni. Non mi pento della mia decisione, anche se fu molto dura per la mia innamorata. Ma non era colpa mia. Lei era perfettamente libera e non aveva nessun obbligo nei miei confronti e io non avrei potuto recriminare (tranne che in base ad un irreale codice cavalleresco) se lei avesse sposato qualcun altro. Per quasi tre anni non vidi né scrissi al mio amore. Fu molto duro, doloroso e amaro, specialmente all’inizio. Le conseguenze non furono del tutto buone: caddi a capofitto nella pazzia e nella negligenza e sciupai molto tempo nel mio primo anno al College. Ma penso che niente avrebbe giustificato un matrimonio basato su un amore giovanile; e probabilmente nient’altro avrebbe potuto rafforzare abbastanza la volontà così da dare a questo amore (per quanto sincero e autentico) continuità. Nella notte del mio ventunesimo compleanno scrissi di nuovo a tua madre – il 3 gennaio 1913. L’8 gennaio andai da lei e ci fidanzammo, informando la sua esterrefatta famiglia. Mi rimboccai le maniche e lavorai molto (troppo tardi per salvare dal disastro la lode nel primo esame di baccellierato in lettere classiche), e poi l’anno successivo scoppiò la guerra, quando avevo ancora un anno da fare al College. In quei giorni i ragazzi si arruolavano e quelli che non lo facevano venivano biasimati pubblicamente. Era un brutto momento, specialmente per un giovane con troppa immaginazione e poco coraggio fisico. Niente laurea; niente soldi; fidanzato. Resistetti alla vergogna e alle allusioni sempre più esplicite dei miei parenti, passai le notti a studiare e superai con onore gli esami finali nel 1915. Mi precipitai ad arruolarmi: luglio 1915. Trovai insopportabile la situazione e mi sposai il 22 marzo del 1916. A maggio attraversavo la Manica (ho ancora i versi che scrissi per l’occasione) diretto alla carneficina della Somme.
Pensa a tua madre! Eppure neanche per un attimo adesso penso che abbia fatto più di quanto sarebbe stato lecito chiederle – non che questo le tolga merito. Io ero un giovanotto, con una laurea abbastanza buona, e portato a scrivere versi, con qualche sterlina, sempre meno, all’ anno (20-40), e nessuna prospettiva, secondo tenente a 7/6 al giorno in fanteria, dove le probabilità di sopravvivenza erano pochissime (come subalterno). Lei mi sposò nel 1916 e John nacque nel 1917 (la gravidanza iniziò e venne portata avanti durante l’anno della grande fame, il 1917, e della grande campagna degli U-Boat) proprio nel periodo della battaglia di Cambrai, quando la fine della guerra sembrava tanto lontana quanto sembra adesso. Io vendetti, e spesi per il mio bambino appena nato, le ultime scarse quote del Sudafrica, «il mio patrimonio ».
Al di là di questa mia vita oscura, tanto frustrata, io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. […] Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera.
Tratto da: John R. R. Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani 2001.

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