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domenica 26 marzo 2017

Religione ed etica. Scruton: «Ritorno ai valori. Ormai è tempo»

Religione ed etica. Scruton: «Ritorno ai valori. Ormai è tempo»

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Silvia Guzzetti giovedì 9 marzo 2017
Per il filosofo inglese «oggi ogni azione viene giustificata per i vantaggi che produce senza considerare i costi»
Roger Scruton è nato nel Lincolnshire nel 1955
Roger Scruton è nato nel Lincolnshire nel 1955
«Sono una serie di tre lezioni che ho fatto all’università di Princeton quando sono stato invitato a partecipare al programma Madison, diretto da Robert George, un intellettuale cattolico. In esse affronto questioni che sono importanti per i credenti, e in particolare per i cristiani, nell’ambito del tema di come collocare la loro visione della natura umana nel contesto della biologia che la scienza sta scoprendo in questo momento'. Così Roger Scruton, il più brillante filosofo inglese, descrive il suo ultimo libro On human nature, «Sulla natura umana» pubblicato in questi giorni da Princeton University Press. Credente, anglicano, arrivato a Dio ascoltando le Passioni di Bach, odiatissimo dalla sinistra perché conservatore eppure riconosciuto come uno dei più brillanti intellettuali del nostro tempo, Scruton spiega che la sua opera, raccolta in cinquanta volumi che vanno dall’estetica alla morale alla filosofia politica, «ha sempre avuto l’obbiettivo scoprire che cosa distingue gli esseri umani dagli altri animali e perché il fatto che siamo nel mondo diventa un problema per noi». L’intellettuale espulso dalla Cecoslovacchia durante il comunismo, emigrato a Boston perché non apprezzato nel Regno Unito, oggi insignito del titolo di baronetto dalla regina Elisabetta, racconta che «a renderci unici in natura è l’autocoscienza, la consapevolezza della nostra vita interiore come prospettiva sul mondo, ma anche la nostra capacità di entrare in rapporto gli uni con gli altri come 'io' e 'tu' e questo cambia tutto per noi esseri umani perché non possiamo considerarci semplici oggetti in natura ma dobbiamo vederci come esseri liberi che interagiscono da un punto di vista trascendente»

Nel suo libro lei sottolinea che la religione risponde ad alcuni nostri bisogni fondamentali e abbiamo quindi, inevitabilmente, bisogno di Dio. Eppure nel mondo occidentale le chiese cristiane hanno sempre meno aderenti. Perché secondo
 lei?
«Attraversiamo un periodo nel quale le persone stanno perdendo la loro prospettiva religiosa oppure essa è meno evidente, più remota nella loro vita. Non è la prima volta che questo succede nella storia dell’umanità. L’ultimo periodo dell’impero romano era caratterizzato da debolissimi sentimenti religiosi fino a che arrivò il cristianesimo e la fede ridiventò importantissima. La religione è qualcosa di cui abbiamo bisogno ma che facciamo fatica a raggiungere perché richiede uno sforzo da parte nostra».
Per un cristiano impegnato come lei non è triste vedere che il numero dei fedeli che vanno in chiesa diminuisce in continuazione?
«È triste ma le cose cambieranno. Uno dei problemi è che la nostra vita è così sicura, così facile e piena di comfort che non riconosciamo quanto siamo dipendenti da Dio ma appena c’è un’emergenza ci accorgiamo della nostra fragilità e torniamo in chiesa. Se non difendiamo la nostra fede l’islam avrà il sopravvento ma non dimentichiamoci che esiste una grande differenza tra cristianesimo e islam. Il cristianesimo ha saputo adattarsi al mondo moderno e accettare i risultati della scienza mentre l’islam è in una situazione di conflitto aperto con la modernità. Il cristianesimo ha, quindi, maggiori probabilità di sopravvivenza se i fedeli sanno dedicarvi il proprio cuore e la propria mente».
Che cosa dobbiamo fare come cristiani per assicurarci che la fede continui?
«Pregare e andare in chiesa ma anche testimoniare con la nostra vita, soprattutto ai giovani, che il cristianesimo è fonte di gioia e serenità».
Nel suo libro lei parla del divario tra scienza e religione che è evidente in Gran Bretagna nel settore della bioetica dove si producono embrioni con tre genitori e si eliminano bambini Down senza che nessuno si chieda quale visione dell’uomo ci sia dietro a queste scelte. Nessuno si domanda se, come esseri umani, non dobbiamo anche accettare i limiti che abbiamo anche se questo significa non avere figli o soffrire di alcune malattie.
«Sono profondamente contrario a questo interferire nel processo riproduttivo. Non sappiamo che cosa stiamo facendo né in che direzione stiamo andando e preferirei che non succedesse. D’altra parte non si può fermare la curiosità umana. Ci sono leggi che regolano questo settore ma nessuno sa quali dovrebbero essere le fondamenta etiche di questo tipo di legislazione perché non esiste più una religione nella quale possano essere radicate».
Manca anche un dibattito su queste nuove tecniche e non è dovuto al fatto che l’ansia di curare alcune malattie diventa l’unica priorità?
«Sì. È verissimo. Ogni azione viene giustificata per i vantaggi che produce senza che vengano considerati i costi. È un atteggiamento potenzialmente pericoloso».
Nel suo libro lei introduce i concetti di contaminazione e profanazione del corpo come fondamentali per costruire una vera morale sessuale ed evitare crimini come la violenza sessuale. Sono sentimenti innati in noi e come possiamo valorizzarli e proteggerli?
«Abbiamo bisogno dei concetti di purezza e contaminazione ma anche di sacro e di profano per dare significato al sesso e viverlo con gioia. Esiste, nella natura umana, una profonda nostalgia non soltanto del mistero del quale il sesso dovrebbe essere avvolto ma anche di rapporti sessuali autentici che comportino impegno. Questo fa parte di noi e l’educazione sessuale di oggi, secolarizzata e non inserita in un sistema di valori, tradisce questa dimensione umana profondamente radicata in noi».
Perché oggi diamo meno importanza alla castità e ci preoccupiamo di più, rispetto al passato, che bambini e giovani ricevano lezioni di educazionesessuale?
«Con i social media ci troviamo in una situazione nuova, in un difficile periodo di transizione. Vogliamo proteggere i più giovani dalla pornografia ma non sappiamo come fare senza rendere l’argomento interessante e sollecitare la curiosità dei bambini. Purtroppo non c’è una risposta semplice e immediata a questo problema. I social network hanno rivoluzionato il nostro modo di pensare e di vivere».
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