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lunedì 15 maggio 2017

Dalla polvere al cielo, la storia della conversione di Shoek, gospel rapper

Dalla polvere al cielo, la storia della conversione di Shoek, gospel rapper

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Una vita distrutta che soltanto la fede ha potuto ricostruire. Una storia potentissima di perdono e redenzione che mostra come, persino nei meandri più profondi della miseria umana, c’è Qualcuno che ascolta il grido disperato dei Suoi figli.

Quella di Thomas Valsecchi (in arte Shoek) è una storia di abbandono e redenzione. Una vita trascorsa per strada, tra droga e prostituzione, trasformata dall’incontro con la fede.
Thomas ha conosciuto la tragedia delle dipendenze già dalla primissima infanzia. È nato nel 1986 a San Patrignano (Rimini), in una comunità di recupero per tossicodipendenti dove erano ospitati entrambi i genitori. Moltissimi membri della sua famiglia facevano uso regolare di sostanze, alcuni di loro sono morti di overdose, altri di Aids. Come detto da lui stesso, quella della droga era, per la sua famiglia, una vera e propria “maledizione”.
Un’infanzia che definire travagliata è alquanto riduttivo. A tre anni i suoi genitori si sono separati, e la madre si è presa carico di lui soltanto per ambire all’affidamento legale (e quindi all’assegno di mantenimento, che avrebbe voluto usare per continuare a drogarsi). Quando questa speranza non è diventata realtà, la donna si è sbarazzata del figlio perché mantenerlo sarebbe stato un peso eccessivo. Quella dell’abbandono è stata un’esperienza traumatica per lui, che avrebbe segnato in modo drammatico gli anni a venire. Ascoltate in questo video la devastazione che ha provato nel venire lasciato in mezzo a una strada da parte di sua madre:
A differenza della madre, il papà di Thomas voleva genuinamente provare ad uscire dalla droga, e prese con sé il figlio, quasi come fosse l’unica cosa che l’avrebbe convinto a non tornare alla vecchia vita. Non fu però facile per lui, considerando che aveva iniziato a bucarsi all’età di 12 anni. “A volte, mi raccontava, gli veniva la tentazione”, continua Thomas nell’intervista, “ma nel vedermi nella culla, tornava sui suoi passi”.
Non avendo ricevuto amore dai suoi genitori, il papà di Thomas ha avuto a sua volta difficoltà nel mostrarne al figlio. “Non sapeva come si faceva il papà”, racconta il giovane artista, “e per lui mostrarmi il bene che mi voleva significava farmi passare i week-end tra discoteche e strip-club. Per me era normale vedere donne che si spogliavano e persone che si picchiavano”.
Gli anni dell’adolescenza furono ancora più intensi per lui. Da un lato un padre che lo introduceva in ambienti tutt’altro che sani, dall’altro una madre che faceva di tutto per sfuggire alle sue responsabilità. Thomas si inoltrò in un circolo vizioso di solitudine e frustrazione, in cui la madre lo faceva sentire responsabile della sua dipendenza. “Era una ferita enorme. Mia mamma non mi voleva, e non ne capivo il motivo. Si inventava ogni scusa per non vedermi. All’inizio non capivo, ero troppo piccolo, ma crescendo iniziai ad avere odio verso i miei genitori e verso me stesso. Non riuscivo a socializzare con nessuno. Mia madre diceva che era colpa mia, se lei era drogata. Era colpa mia, perché ero nato. Adesso l’ho perdonata e le voglio bene, ma in quegli anni ho sofferto molto”.
Un viaggio verso l’abisso che continuò inesorabile. “La vita mi faceva letteralmente schifo, ma dovetti trovare un capro espiatorio per tutto questo”. A 14 anni iniziò la sua “ricerca spirituale”, che però lui la intendeva come una sfida verso Dio. “Continuavo a urlare contro il cielo: ‘Non credo che tu esista, ma spero che tu ci sia, così il giorno in cui ti vedrò potrò sputarti in faccia per tutto quello che sto passando’!”.
Una rabbia mai provata prima lo portò ad avvicinarsi all’abuso di alcol e, infine, all’uso di droga. Ma il vuoto d’affetto era in continua crescita, e lui si decise a cercare nuovamente sua madre. I due non avevano niente in comune, all’infuori della droga: lei iniziò quindi a condividere le sue dosi con lui, instaurando un vero e proprio legame di morte. “Ogni giorno prendevo il pullman e andavo da lei. La mia coscienza mi parlava e sapevo che fosse tutto sbagliato, ma in quel momento sembrava che, per pochi istanti, anche io avessi una mamma. La ferita interiore si apriva sempre di più, ma io facevo finta di stare bene”.
Dopo un’overdose, il padre scoprì tutto e si scatenò contro di lui. “Me ne andai di casa, e iniziai la mia vita sulla strada. La mia vita non aveva alcun obiettivo, i pochi famigliari rimasti vivi non mi volevano, amici non ne avevo. Vivevo spacciando droga”.
Dentro di lui iniziarono ad arrivare delle prime risposte, seppur deboli. “Ero devastato e arrabbiatissimo. Soprattutto con Dio. Mi recavo a messa per bestemmiare, perché volevo attirare la Sua attenzione, in qualche modo. E in quel momento Lui mi ascoltò. O meglio, io lo ascoltai, perché lui non ha mai smesso di parlare al mio cuore”. Thomas avrebbe voluto avvicinarsi al satanismo, ma in quel periodo avvenne un incontro che gli cambiò letteralmente la vita. Una ragazza gli parlò di un Dio che l’amava così com’era. Le sue parole non fecero che indurire ancora di più il suo cuore, perché la sua vita sembrava dimostrare il contrario. Ma gradualmente Thomas si aprì a quelle parole di redenzione. Ascoltate il suo ricordo di quei giorni così cruciali per lui:
Per lui fu difficilissimo mettere da parte il suo orgoglio e il suo stile di vita. Andò a vivere in Spagna, poi in Sudamerica, continuando a sbarcare il lunario attraverso espedienti. Arrivò addirittura a prostituirsi per poter mangiare. Sentì di aver toccato il fondo, e crebbe in lui la consapevolezza di dover tornare al Dio di cui parlava quella ragazza, di dover tornare ad ascoltare la Sua voce. “Mi guardavo allo specchio e mi faceva schifo quello che vedevo. Non ero solo un tossico, vendevo addirittura il mio corpo. Tornai in Italia, e lì incontrai un gruppo di missionari che, attraverso musica e danza, parlava ai giovani della vera Speranza. Tra di loro conobbi Rebeca, una ragazza dolcissima attraverso di cui Dio parlava al mio cuore. Decisi di cambiare verso alla mia vita. Andai in una comunità di recupero, e quando uscii totalmente dalla droga andai in Brasile per una scuola missionaria e poi in Cile in missione. E quando tornai io e Rebeca ci sposammo. Abbiamo anche avuto una figlia insieme, Melody Alicia”.
Negli anni più difficili Thomas si rifugiò nella poesia, per poi scoprire più tardi che il Rap avrebbe potuto dare musica ai suoi scritti. Nelle missioni in Sudamerica un ragazzo gli disse che, come nome d’arte, avrebbe avuto bisogno di una parola d’impatto, che facesse capire quanto fosse “scioccante” la vita da lui vissuta. Fu così che Thomas iniziò a farsi chiamare “Shoek”. E ormai da diversi anni, attraverso la sua musica, parla a giovani di tutta Italia per dare loro un messaggio di speranza e redenzione attraverso la fede. Gli artisti dell’IMS, un gruppo itinerante da lui fondato, fanno concerti e spettacoli in night, pub e discoteche per rivolgersi proprio alle vite distrutte dalla droga e dalla prostituzione.
Una vita distrutta che soltanto la fede ha potuto ricostruire. Una storia potentissima di perdono e redenzione che mostra come, persino nei meandri più profondi della miseria umana, c’è Qualcuno che ascolta il grido disperato dei Suoi figli.

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