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su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


lunedì 31 luglio 2017

Scrive Antoine de Saint-Exupéry all'amico Leone Werth, al quale ha dedicato "Il piccolo principe":
"Da te posso venire senza dover indossare maschere o recitare, senza dover svendere neanche la più piccola parte del mio mondo interiore. Con te non devo giustificarmi, non devo difendermi, non devo dare dimostrazioni... Ti sono grato perché mi accetti come sono. Che farmene di un amico che mi giudica? Se invito uno zoppo alla mia tavola, lo prego di accomodarsi, non gli chiedo certo di danzare".

domenica 30 luglio 2017

Molti credono di salire. In realtà evaporano nel vuoto

Molti credono di salire. In realtà evaporano nel vuoto
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Molti credono di salire. In realtà evaporano nel vuoto. Si innalzano come bolle sdegnose e cangianti, non come alpinisti. L'alpinista sale con tutto il suo peso umano, con tutta la sua densità terrena. L'evaporato diserta il piano, ma il conquistatore di montagne ne conserva l'argilla ai piedi e il profumo nei polmoni. L'eroe e il disertore si confondono spesso agli occhi degli uomini. Ma tu li distinguerai da questo segno: nell'anima di colui che veramente ascende aumenta il rispetto, la comprensione e l'amore per ciò che sta in basso.

Gustave Thibon

giovedì 27 luglio 2017

Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere.

Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. 
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“Voi siete così giovine, così al di qua d’ogni inizio, e io vi vorrei pregare quanto posso, caro signore, di aver pazienza verso quanto non è ancora risolto nel vostro cuore, e tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. E di questo si tratta, di vivere tutto. Vivete ora le domande. Forse v’insinuate così a poco a poco, senz’avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta. Forse portate in voi la possibilità di formare e creare, quale una maniera di vita singolarmente beata e pura; educatevi a questo compito, - ma accogliete in grande fiducia quanto vi accade e se solo vi accade dal vostro volere, da qualche necessità del vostro intimo, prendetelo su voi stesso e non odiate nulla.”
Rilke, Lettere a un giovane poeta

martedì 25 luglio 2017

PREGHIERA DELLA SERENITÀ

PREGHIERA  DELLA SERENITÀ
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« Dio, concedimi la serenità 
di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso,
e la saggezza per conoscerne la differenza.

Vivendo un giorno per volta;
assaporando un momento per volta;
accettando la difficoltà come sentiero per la pace.

Prendendo, come Lui ha fatto, 
questo mondo peccaminoso così com'è,
 non come io vorrei che fosse.
Confidando che Egli metterà a posto tutte le cose,
 se io mi arrendo al Suo volere.
Che io possa essere ragionevolmente felice in questa vita,
e infinitamente felice con Lui per sempre nella prossima. »
REINHOLD NIEBUHR

mercoledì 19 luglio 2017

riflessioni leopardi


riflessioni
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«Uno de’ maggiori frutti che io mi propongo
e spero da’ miei versi,
è che essi riscaldino la mia vecchiezza
col calore della mia gioventù;
di commuover me stesso in rileggerli,
come spesso mi accade,
 e meglio che in leggere poesie d’altri:
 oltre la rimembranza,
il riflettere sopra quello ch’io fui,
e paragonarmi meco medesimo;
e in fine il piacere
che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori,
 e contemplare da sé compiacendosene,
le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio,
 non con altra soddisfazione,
che di aver fatta una cosa bella al mondo;
sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui.»

G.Leopardi
- Zibaldone -

lunedì 17 luglio 2017

bifiderm Ecco l’integratore in aiuto del ‘benessere’ della pelle

Ecco l’integratore in aiuto 
del ‘benessere’ della pelle
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Bifiderm è un integratore alimentare probiotico di nuova generazione, in grado di favorire il benessere della pelle

Una prodotto per l’eczema (o dermatite atopica), patologia delle pelle a base infiammatoria con andamento cronico e recidivante
La dermatite atopica può colpire gli adulti ma soprattutto i bambini con manifestazioni cutanee fastidiose che possono interferire sulla vita sociale e di relazione di chi ne soffre. La pelle appare secca, desquamata e arrossata e associata quasi sempre a  prurito anche intenso. Si manifesta su viso, braccia e gambe, tronco e si accompagna ad una alterazione delle funzioni di barriera della cute che non è più integra. Recenti studi evidenziano che il difetto di barriera è presente anche a livello della mucosa intestinale dove la microflora intestinale contribuisce alla funzione di barriera della mucosa e stabilizza la permeabilità intestinale. Secondo uno studio Doxa condotto su dermatologi e pediatri, i bambini colpiti da dermatite atopica rappresentano mediamente il 5% dei pazienti pediatrici e l’11% dei pazienti che si rivolgono al dermatologo. La fascia più colpita è quella entro i cinque anni di età.
Un problema anche per le mamme. Dalle testimonianze raccolte in un’indagine Bayer su mamme di bambini con dermatite atopica emerge un senso di frustrazione per la mancanza di una cura risolutiva e per il carattere recidivo della malattia e una conseguente sfiducia nei confronti della terapia che attualmente prevede l’impiego di prodotti a uso topico a base di cortisonici ed emollienti  e all’occorrenza di antistaminici. La permeabilità intestinale, la funzione barriera della mucosa intestinale e la risposta immunologica che ne deriva giocano un ruolo chiave nell’andamento della dermatite atopica: quando questi fattori risultano alterati (permeabilità aumentata, funzione di barriera compromessa, risposta immunologica sbilanciata) possono presentarsi diverse problematiche, dalle allergie alle manifestazioni cutanee dell’atopia. Diversi studi hanno dimostrato che i probiotici riducono l’estensione, la severità  e i sintomi soggettivi dell’eczema nei bambini infanti. In questa cornice si inserisce la ricerca che ha portato alla realizzazione di un nuovo probiotico: Bifiderm. Frutto di una ricerca durata sei anni e condotta nei laboratori della Probiotical di Novara, Bifiderm è la combinazione di due ceppi probiotici, il Lactobacillus Salivarius LS01 e il Bifidobacterius Breve BR03, brevettati e selezionati  per la loro capacità di colonizzare l’intestino. Emilio Bellantoni, Head of Business Unit Dermatology di Bayer osserva: “Bayer, presente in 156 Paesi al mondo, ha scelto Bifiderem perché si tratta di un prodotto innovativo i cui effetti sono dimostrati da studi clinici. I pazienti affetti da oggi chiedono risposte efficaci. Bayer e Probiotical oggi possono offrire un prodotto davvero efficace e sicuro”.
Curare la pelle... dall'intestino. Bifiderm aiuta a ripristinare l’equilibrio della flora batterica intestinale. Quando la microflora intestinale risulta  alterata a causa di fattori alimentari, organici  o assunzione di antibiotici può risentirne il benessere della pelle. Lorenzo Drago, direttore del Laboratorio Analisi Cliniche e Microbiologiche IRCCS Istituto Galeazzi, Dipartimento scienze Biomediche per la Salute Università di Milano dichiara: “Si fatica a credere che una patologia della pelle si possa curare a livello intestinale. Gli studi effettuati hanno evidenziato che il difetto di barriera della pelle alla base della Da è presente anche a livello della mucosa intestinale dove la microflora contribuisce alla funzione di barriera e stabilizza la permeabilità intestinale. Bifiderm diminuisce la permeabilità intestinale, ha un’azione  dimostrata sull’evoluzione positiva del punteggio SCORAD (che valuta i parametri clinici della Da)  e sull’indice DLQ (qualità della vita), diminuisce la carica stafilococcica che aumenta l’infiammazione eritemica, modula l’assetto immunologico, con un effetto riequilibrante del rapporto Th1/Th2 e una regolazione del rapporto Th17/Treg, e riduce la percentuale di cellule T attivate”. (MARIANNA MASCIANDARO)

venerdì 14 luglio 2017

la tentazione

la tentazione
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Senza conoscere la tentazione delle passioni non è possibile conoscere la verità. La tentazione è il luogo in cui noi conosciamo la verità. - Senza le tentazioni non si sperimenta la Provvidenza di Dio e l'amore di Dio non si radica nell'anima dell'uomo.

Isacco di Ninive

Perché sono contro le vaccinazioni di massa

Perché sono contro le vaccinazioni di massa
- dott. Pietro Perrino

Ill.ma Ministra Lorenzin,
sono un Genetista, già ricercatore del CNR, che ora si occupa a pieno tempo di salute.
Sin dagli anni ’70, mi sono interessato di vaccini. Da favorevole sono diventato contrario. Sono stato convertito dalle conoscenze. Sono tante, ma per ragioni di spazio cito le principali.
Non sono state le vaccinazioni di massa a salvare l’umanità dalle malattie infettive, ma le condizioni igieniche e l’uso di acqua potabile. Le vaccinazioni di massa sono arrivate dopo. Le case farmaceutiche hanno fatto di tutto per farci credere il contrario, tanto che la maggior parte della gente se n’era convinta. 
Fortunatamente c’è anche molta gente che non la pensa così, in quanto ci sono molti bambini morti o comunque danneggiati dalle vaccinazioni. I vaccini preparati per le vaccinazioni di massa non hanno nulla in comune con i vaccini di una volta: preparati in tempo reale e somministrati con modalità più vicine a quello che faceva la natura. 
La gente non si fida dei vaccini moderni perché sono sporchi: contengono pezzi di DNA estraneo e inquinanti vari che causano patologie varie, quando non la morte immediata. A ciò si aggiunga che il virus o il batterio, dopo la manipolazione non sono più quelli selvatici, ma spesso, dipende dal trattamento, sono mutati e quindi possono essere più virulenti e più pericolosi o meno virulenti e quindi addirittura non efficaci. Questi fatti insieme alla genetica dei soggetti vaccinati produce effetti diversi, che vanno, appunto, dalla morte allo sviluppo nel tempo di diverse patologie.  
Le vaccinazioni di massa, quando vanno bene, nel senso che il soggetto vaccinato non mostra patologie, producono immunità a breve tempo (5-10 anni) e non a vita, come invece accade quando la malattia infettiva viene contratta e superata naturalmente. Le malattie esantematiche erano le benvenute, perché inducevano immunità duratura e servivano a rinforzare il sistema immunitario contro altre malattie e disturbi neurologici anche in età avanzata. La gente faceva di tutto per contrarre le malattie esantematiche, perché esse erano garanzia di una vita più sana.
Le vaccinazioni di massa sono responsabili della diffusione nelle popolazioni di virus e batteri modificati, dai quali la gente, soprattutto non vaccinata, pare si stia difendendo bene, ma su questo punto ritengo che solo uno studio attento potrà dirci quale sarà il futuro dell’umanità, alla quale si è tolta la possibilità di vaccinarsi naturalmente e si è imposta la vaccinazione artificiale. Sappiamo, però, che i bambini non vaccinati si ammalano di meno di quelli vaccinati. Lo sappiamo perché alcuni studiosi hanno svolto queste ricerche e non perché i Ministeri della Sanità si sono preoccupati di verificare se le vaccinazioni di massa fanno veramente bene, come dice la TV.
Se le vaccinazioni imposte facessero veramente bene, perché si teme che i bambini non vaccinati possano infettare quelli vaccinati? I bambini vaccinati non sono già coperti? Semmai, sono i bambini non vaccinati che dovrebbero temere di essere infettati. I bambini immunodeficienti che non possono essere vaccinati devono temere di più i vaccinati e meno quelli non vaccinati, i quali almeno avrebbero il merito di non essere portatori, fino a quando non si ammalano.
Il 90% dei bambini nasce già immune al Tetano. Eppure l’antitetanica è obbligatoria. Basterebbe un semplice test per evitare di fare anche questo vaccino. 
Questa nota è stata sollecitata anche da amici che oggi, 11 luglio 2017, sono a Roma per partecipare al presidio permanente dei no-vax davanti al Senato. 
Ministra, faccia un piccolo sforzo, ritiri il DDL. Gli italiani sapranno perdonarla.

Bari, 11 luglio 2017
Pietro Perrino

giovedì 13 luglio 2017

Serrapeptasi. L'”enzima miracoloso” è il più potente antinfiammatorio naturale






Serrapeptasi. L'”enzima miracoloso” è il più potente antinfiammatorio naturale

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 “La Serrapeptasi può diventare l’integratore naturale più utilizzato di tutti i tempi a causa della sua efficacia su una vasta gamma di condizioni di salute”.
Scoperto nei primi anni ’70, questo enzima proteolitico è stato isolato dalle specie di Serratia, batteri situati nell’intestino dei bachi da seta. Oggi la Serrapeptasi viene utilizzata in tutto il mondo in ambito clinico e si sta sempre più diffondendo grazie ai grandi benefici mostrati dai pazienti che la assumono. Data la sua particolare azione ed effetti, le è stato attribuito il titolo di “enzima miracoloso”. E’ diffusamente usato in Giappone dove numerose cliniche lo usano con successo per la vasta gamma di benefici che vediamo di seguito, e si sta diffondendo velocemente in tutto il mondo dopo i numerosi studi svolti e i feedback enormemente positivi dei pazienti.
La Serrapeptasi funziona sciogliendo ogni tessuto morto (come ad esempio cicatrici), coaguli di sangue, cisti, la placca arteriosa ed eliminando l’infiammazione. Gli usi sono molto vasti e coprono quasi tutte le condizioni che sono influenzate da infiammazioni e/o da tessuti morti. 
Studi in vitro e in vivo rivelano che la Serrapeptasi ha un effetto antinfiammatorio specifico superiore a quello di altri enzimi proteolitici. Una revisione della letteratura scientifica, compresa una serie di controlli clinici con grandi gruppi di pazienti, dimostra che la Serrapeptasi è utile per una vasta gamma di condizioni infiammatorie. Se si considera che i farmaci antiinfiammatori sono tra i farmaci più prescritti e con una vasta gamma di effetti collaterali (posso causare gastrite ulcerosa, danni ai reni e alla circolazione sanguigna), non sorprende come l’uso di questo enzima come la Serrapeptasi, il più potente antinfiammatorio fra tutti gli enzimi conosciuti, si sta diffondendo velocemente. Originariamente derivata dall’intestino del baco da seta oggi viene riprodotta in laboratorio in modo naturale attraverso un processo di fermentazione.
Proprietà della Serrapeptasi
Ecco delle applicazioni cliniche in cui la Serrapeptasi si è rivelata efficace:
  • Malattie autoimmuni
  • Colite, artrite, ecc (tutte le infiammazioni)
  • Problemi del cervello
  • Cancro
  • Problemi cardiovascolari
  • Problemi digestivi
  • Vene varicose
  • Autismo (riduce i sintomi che sono legati all’infiammazione)
  • Fertilità femminile
  • Cisti
  • Salute degli animali
  • Polmoni (cicatrici e tossine dovute al fumo e/o all’inquinamento)
  • Pelle (cicatrici, psoriasi)
  • Tunnel carpale
  • Morbo di Crohn
  • Adesioni interne
  • Colite

Come funziona la Serrapeptasi?

La Serrapeptasi è un enzima immunologicamente attivo. Può legarsi al macroglobulina alfa 2 nel nostro plasma dove è schermato dal sistema immunitario pur mantenendo la sua attività enzimatica e in questo modo viene trasferito nei siti dove il corpo ha bisogno. E’ questo stesso tipo di azione potente ma specifica che permette ai bachi da seta di decomporre il bozzolo protettivo, digerendolo senza alcun effetto collaterale e volare via. Sorprendentemente, la Serrapeptasi ha la capacità distinta di digerire solo tessuto non vivente, permettendo così di dissolvere i vecchi strati tossici che intasano il sistema digestivo e ostruiscono le arterie. Per questo motivo è ottima nel prevenire i depositi arteriosi dopo le operazioni chirurgiche al cuore.

Benefici della Serrapeptasi

1. Aterosclerosi. Il dottor Nieper ha rilevato che la Serrapeptasi ha promosso la normale coagulazione del sangue nei suoi pazienti. Gli studi hanno rilevato che la Serrapeptasi rimuove efficacemente la placca aterosclerotica senza danneggiare nessuna delle cellule sane lungo la parete arteriosa





2. Vene varicose. Riduce efficacemente le vene varicose come numerose testimonianze e case studies hanno riportato.
3. Infiammazione. È in grado di sciogliere e digerire il tessuto infiammato, consentendo l’escrezione attraverso il fegato o i reni, facilitando così la guarigione dei tessuti.
4. Lesioni. La Serrapeptasi è ampiamente utilizzata in Europa come integratore per lesioni traumatiche (come distorsioni e legamenti strappati), nonché il gonfiore associato a pazienti post-chirurgici.
5. Dolore, edema e gonfiore. La Serrapeptasi è stata approvata come rimedio standard in molti paesi europei per il gonfiore. Uno studio tedesco in doppio cieco sull’enzima ha rilevato che potrebbe ridurre il gonfiore fino al 50% nei pazienti post-operatori. I pazienti che assumevano la Serrapeptasi hanno avuto meno dolore rispetto ai gruppi di controllo e, entro il decimo giorno dello studio, tutti i pazienti che assumevano la Serrapeptasi erano completamente privi di dolore.
6. Cisti al seno. In uno studio a doppio cieco, la Serrapeptasi ha mostrato di ridurre il dolore al seno, il gonfiore del seno e l’indurimento nell’85,7% dei pazienti che l’avevano assunta. Ciò è legato al fatto che l’enzima possiede proprietà fibrinolitiche, proteolitiche e anti-edemiche.
7. Infezioni nell’orecchio, nel naso e nella gola. In uno studio a doppio cieco, i pazienti con malattia acuta o cronica dell’orecchio, del naso o della gola hanno rilevato una significativa regressione dei sintomi con la Serrapeptasi. L’enzima può ridurre la viscosità della
8. Tunnel carpale. Recenti studi confermano l’uso di questo enzima per la riduzione dei sintomi associati alla sindrome del tunnel carpale. La sindrome del tunnel carpale è uno stato doloroso causato dalla compressione di un nervo fondamentale del polso. Si manifesta come formicolio e la sensazione di intorpidimento alla mano e al polso e col tempo si diffonde al braccio. Gli individui che lavorano alla tastiera sono particolarmente sensibili a questa condizione. Mentre l’intervento chirurgico è stato considerato il primo trattamento lineare per la sindrome del tunnel carpale, recenti studi rivelano che l’uso di enzimi anti-infiammatori (ad esempio, Serrapeptasi e bromelina), in combinazione con le vitamine B2 e B6, è anche efficace.
9. Antidolorifico. La maggior parte dei dolori del corpo sono causati da infiammazioni. Ciò si verifica in forma di rossore, gonfiore e lividi. È il modo del corpo di cercare di proteggersi e di guarire da qualsiasi danno. Il dolore è un segno di avvertenza che richiede attenzione. Inoltre, l’infiammazione può essere un segno di malattia cronica. La Serrapeptasi, essendo un potente antinfiammatorio, risulta efficace nel ridurre il dolore.
10. Respirazione. La Serrapeptasi ha aiutato migliaia di persone a respirare facilmente eliminando l’infiammazione e il tessuto cicatriziale all’interno dei polmoni. Una volta che si elimina il tessuto infiammatorio e le tossine, i polmoni diventano puliti. Il risultato è che le persone riescono più facilmente a respirare profondamente. Può essere di aiuto in un’ampia gamma di condizioni di condizioni polmonari tra cui l’asbestosi, la bronchite, la tosse cronica, la BPCO e la fibrosi cistica. Aiuta anche con emfisema, fibrosi polmonare, pneumoconiosi, embolia polmonare e tubercolosi polmonare.
11. Fertilità femminile. La Serrapeptasi aumenta le possibilità di fertilità dato che aiuta a rimuovere i blocchi nelle tube di Falloppio che altrimenti impedirebbero la gravidanza.
12. Migliora la vista e tratta i problemi all’occhio. Può eliminare l’infiammazione negli occhi, facilitando una circolazione e afflusso sanguigno. Molti problemi di vista iniziano quando l’ossigeno e le sostanze nutritive non sono in grado di raggiungere le varie parti degli occhi. Ci sono diversi problemi agli occhio come la degenerazione maculare correlata all’età (ARMD) e la blefarite. Altri includono cataratta, retinopatia diabetica, glaucoma, sensibilità alla luce fotofobia, occlusione delle vene dell’arteria retinica e retinite pigmentosa. La Serrapeptasi può aiutare a migliorare tutte queste condizioni.
13. Riduce le cicatrici dopo l’intervento chirurgico. La cicatrizzazione è il risultato di un tessuto morto e infiammatorio. Si forma quando il derma (lo strato profondo e denso della pelle) diventa danneggiato. Di conseguenza, il corpo forma nuove fibre di collagene per risanare i danni e questo provoca una cicatrice. Il nuovo tessuto cicatriziale spesso ha una struttura e qualità diverse rispetto al tessuto circostante. La Serrapeptasi aiuta a eliminare il tessuto morto (non vivente) dal corpo, senza danneggiare l’organismo vivente.
14. Muco, tossine e allergia. La Serrapeptasi elimina il muco in eccesso (presente sia nelle vie respiratorie che nell’intestino). Inoltre contribuisce a ridurre le tossine a livello intestinale così come le reazioni a corpi estranei.

Infiammazioni nel corpo

Altri vantaggi potenziali della Serrapeptasi

La serrapeptasi è utilizzata per una vasta gamma di applicazioni e la prevenzione delle malattie. E’ possibile trovare testimonianze di benefici per tante condizioni come autismo, sclerosi multipla, infezioni croniche, cancro (che infatti è legato all’infiammazione) febbre da fieno, fibromialgia, ghiandole gonfie, rinite, del dolore cronico, artrite, ulcere, osteoporosi, angina. Migliora l’attività degli antibiotici e si attacca alla resistenza dei batteri inibendo la formazione della loro biofilm protettiva naturale.

Controindicazioni

Non ci sono effetti collaterali conosciuti o interazioni con altri medicinali prescrivibili o altri integratori. Consultare sempre il proprio medico.

Modo d’uso

Alcuni produttori consigliano 1-3 capsule per 3 volte al giorno a seconda della propria situazione.
Consiglio di acquistare la Serrapeptasi enterico-rivestita e con un UI elevato per avere il massimo assorbimento ed effetti in breve tempo. Un’ottima marca è quella di seguito consiglia.
 serrapeptasi 14 benefici

martedì 4 luglio 2017

La verità non si insegna

 La verità non si insegna
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La verità non si insegna; bisogna scoprirla, conquistarla. Pensare, farsi una coscienza. Non cercare uno che pensi per voi, che vi insegni come dovete essere liberi. Qui si vedono gli effetti: dagli effetti risalire alle cause, individuare il male. Strapparsi dalla massa, dal pensiero collettivo, come una pietra dall'acciottolato, ritrovare in se stessi l'individuo, la coscienza personale. Impostare il problema morale. Domani, appena toccherete col piede la vostra terra troverete uno che vi insegnerà la verità, poi un secondo che vorrà insegnarvela, poi un quarto, un quinto che vorranno tutti insegnarvi la verità in termini diversi, spesso contrastanti. Bisogna prepararsi qui, "liberarsi" qui in prigionia, per non rimanere prigionieri del primo che v'aspetta alla stazione, o del secondo o del terzo. Ma passare ogni parola loro al vaglio della propria coscienza e, dalle individuate falsità d'ognuno, scoprire la verità.

(Giovannino Guareschi)

lunedì 3 luglio 2017

L’ultimo desiderio di San Francesco: mangiare i mostaccioli

L’ultimo desiderio di San Francesco: mangiare i mostaccioli


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Chiede ai frati di contattare la signora Jacopa a Roma. Ma cosa realmente significa questo gesto del "poverello"?

Presso la Porziuncola, prima di morire, san Francesco chiede a “frate” Jacopa di offrirgli dei mostaccioli. Uno degli ultimi desideri del Santo, quindi, è quello di mangiare i dolci preparati dalla nobildonna romana.
Questa richiesta, in un certo senso equivale a riaffermare senza polemiche la bontà del creato in un periodo in cui diversi filoni di pensiero disprezzavano la materia come una cosa vile.
L’aneddoto è raccontato ne “Il cibo di Francesco” di Giuseppe Cassio e Pietro Messa (edizioni Terrasanta)
“INFORMATE DONNA JACOPA…”
Un giorno, si legge nella “Compilazione di Assisi“, il beato Francesco fece chiamare i suoi compagni e disse: “Voi sapete come donna Jacopa dei Settesogli fu ed è molto fedele e affezionata a me e alla nostra Religione. Io credo che, se la informerete del mio stato di salute, lo riterrà come una grande grazia e consolazione. Fatele sapere, in particolare, che vi mandi, per confezionare una tonaca, del panno grezzo color cenere, del tipo di quello tessuto dai monaci cistercensi nei paesi d’oltremare. E mandi anche un po’ di quel dolce che era solita prepararmi quando soggiornavo a Roma”.
IL MOSTACCIOLO
Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti. […] Un giorno poi donna Jacopa preparò per il padre santo quel dolce, che egli aveva desiderato di mangiare. Ma egli lo assaggiò appena, poiché per la gravissima malattia il suo corpo veniva meno di giorno in giorno e si appressava alla morte.
REALISMO E GIOIA
Questo episodio avvenuto presso la Porziuncola negli ultimi giorni di vita di Francesco mostra che, come giustamente afferma il filosofo Massimo Borghesi, «l’attrattiva esercitata da Francesco dipende essenzialmente da due fattori: dal realismo e dalla gioia che caratterizzano il santo di Assisi».
IMMAGINE MATERIALE DI CRISTO
Citando Jacques Le Goff, lo stesso Borghesi sottolinea: «Questo amore al mondo creato, all’opus Dei colloca Francesco in una prospettiva diversa rispetto a quel filone della mistica medievale che pone al centro il contemptus mundi. […] La tenerezza verso le cose finite si esprime, innanzitutto, nel giudizio da portare sulla corporeità. “Francesco non ha cercato sistematicamente di umiliare il corpo”, quel corpo angustiato, negli ultimi anni, da una cecità quasi completa e da terribili mal di testa. L’atteggiamento nei suoi confronti è ambivalente. Il corpo è sì strumento di peccato “ma esso è anche l’immagine materiale di Dio e più in particolare di Cristo“».
IL CORPO E LO SPIRITO
Come è detto nelle “Ammonizioni”, prosegue Borghesi, “Considera, o uomo, a quanta eccellenza ti ha elevato il Signore perché ti ha creato e formato a immagine del Figlio suo diletto, secondo il corpo, e a somiglianza di se stesso, secondo lo spirito”.
Il corpo, modellato ad immagine del Figlio, «è il “frate corpo pieno di dolori” per il cui sollievo, durante il suo soggiorno a Rieti, affidato alle cure dei medici pontifici, Francesco chiede ad un compagno il suono di una cetra. È il corpo che, nell’imminenza della morte, chiede un’ultima consolazione, in una lettera a Giacomina dei Settesogli, “in quei dolci che mi solevi dare a Roma quando caddi ammalato“. Questo rispetto del corpo raggiunge il suo acme laddove l’oggetto è il “corpo di Cristo”, ovvero l’Eucaristia».

domenica 2 luglio 2017

Ci impegniamo

 Ci impegniamo
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Ci impegniamo, noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né che sta in basso,
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo:
senza pretendere che gli altri si impegnino per noi,
senza giudicare chi non si impegna,
senza accusare chi non si impegna,
senza condannare chi non si impegna,
senza cercare perché non si impegna.
Se qualche cosa sentiamo di "potere"
e lo vogliamo fermamente
è su di noi, soltanto su di noi.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi ci facciamo nuovi,
ma imbarbarisce
se scateniamo la belva che c'è in ognuno di noi.
Ci impegniamo:
per trovare un senso alla vita,
a questa vita
una ragione
che non sia una delle tante ragioni
che bene conosciamo
e che non ci prendono il cuore.
Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo,
ma per amarlo.

Don Primo Mazzolari.

sabato 1 luglio 2017

Dorothy Day e il Catholic Worker Movement, quella testimonianza in tempi di crisi

In Italia si riedita il “classico” di William D. Miller e negli Usa tiene banco la biografia “intima” scritta dalla nipote Kate Hennessy

Dorothy Day
Dorothy Day
MARCO RONCALLI30/06/2017
ROMA
È una storia un po’ speciale: di radicalismo e di fede, di anticonformismo e di amore. E un po’ speciale è stata anche la vita inquieta di questa giornalista americana impegnata nei movimenti sociali, amica di anarchici, socialisti e letterati bohémien. I Clarettiani nel 1983 ne proposero la beatificazione a Giovanni Paolo II, e nel 2000, dopo il “nulla osta” vaticano alla richiesta del cardinale John O’Connor, l’arcidiocesi di New York aprì la causa. Più recentemente, il 24 settembre 2015, nel suo viaggio negli Usa, Papa Francesco, parlando a Washington nella sede del Congresso, l’ha citata – unica donna insieme ad Abraham Lincoln, Martin Luther King e Thomas Merton - tra le figure che
«hanno dato forma a valori fondamentali e resteranno per sempre nello spirito del popolo americano». E l’anno scorso, in aprile, il cardinale Timothy Michael Dolan ha aperto l’inchiesta canonica per la raccolta di testimonianze decisive a determinare l'esistenza delle necessarie “virtù eroiche” da presentare alla Congregazione delle cause dei santi. Parliamo di Dorothy Day nata nel 1897 non lontano dal ponte di Brooklyn . 

«A quindici anni sentivo già che Dio desiderava la felicità dell’uomo, provvedendo ai suoi bisogni perché fosse felice, e che non ci doveva essere tanta povertà e miseria attorno, così come io vedevo e di cui ogni giorno leggevo sui giornali», scriverà nella sua autobiografia (tradotta in Italia da Jaca Book nel 2002 con il titolo “Una lunga solitudine”). Insoddisfatta dell’università, Dorothy abbandona gli studi e si fa assumere come cronista da un piccolo e combattivo quotidiano socialista “The Call”. E quando la Grande Guerra comincia a far scorrere il sangue in Europa, matura un impegno pacifista durato tutta la vita, insieme a quello per la difesa dei diritti civili e dei diritti delle donne.
Nel 1917, arrestata in una manifestazione di femministe conosce per breve tempo l’esperienza del carcere. Non sarà la prima volta. Esce e lavora al King’s County Hospital seguendo i corsi di infermiera. S’innamora di Lionel Moise e con lui mette su casa. Poi, rimasta incinta, si ritrova senza l’appoggio del compagno e si convince di non avere altra via di scampo che abortire clandestinamente. Un trauma cui reagisce sposando nel 1920 il ricco Barkeley Tobey, più anziano di lei, con il quale si reca in Europa, visitando l’Inghilterra, la Francia, restando sei mesi a Capri e lì abbozzando una sua autobiografia romanzata: L’undicesima vergine, pubblicata al suo ritorno in America e più tardi sconfessata. Il matrimonio con Tobey si scioglie già l’anno dopo. Nel frattempo in Dorothy cresce sempre più il desiderio di avere un figlio e, insieme, la paura di non poterlo avere dopo l’aborto.
Dopo essersi trasferita a Staten Island, l’isola sede di una colonia di intellettuali, artisti ed anarchici, conosce Forster Batterham, con il quale va a convivere sperimentando quella che definirà una sorta di «felicità naturale». Prova un senso di riconoscenza verso Dio e curiosità verso la vita religiosa. Resta incinta e nel 1926 ha una bimba che chiama Tamar. Un successivo incontro con Aloysia Mary Mulhern, delle “Sisters of Charity” di New York con cui s’intrattiene sempre più su temi religiosi, la portano prima al battesimo della piccola (nonostante l’opposizione di Forster), poi al suo, nella Chiesa cattolica di Totteneville (sotto condizione, poiché era già battezzata nell’infanzia nella Chiesa episcopale). Ben presto la convivenza fra Dorothy e Forster diventa insopportabile: nessuno dei due cambia le proprie idee pur amando l’altro.
La relazione non si ricompone. La solitudine di Dorothy da quel momento sarà definitiva: e tuttavia presto colmata dal suo donarsi agli altri. Soprattutto ai senza lavoro e senza casa, a quell’umanità vulnerabile che la crisi economica del 1929 e la Grande Depressione seguita hanno fatto aumentare a dismisura. Ecco Dorothy, il 30 novembre 1932 a fianco dei disoccupati della “marcia della fame”. Eccola dopo la manifestazione pregare e cercare nuove strade per dare pienezza ai suoi progetti. Ed eccola, al suo ritorno a New York, all’incontro decisivo con Peter Maurin, vagabondo e intellettuale, con le sue idee marcate da un cristianesimo radicale, di impronta personalista. 

Con lui Dorothy vara, il primo maggio del ’33, il Catholic Worker (“Il Lavoratore Cattolico”, nome voluto da lei, mentre Maurin preferiva “Il Lavoratore Radicale”, ma per via delle «radici» e del suo «sogno contadino»), che in due anni passa da 2.500 a 150.000 copie. Peter Maurin il vero fondatore di tutto il progetto del Catholic Worker (sarà la Day a dire: «Io non avrei mai avuto l'idea di un lavoro simile se non fosse stato per lui»; «sì, lui fu un leader, un maestro, un fondatore…») per anni avrà una grande influenza su Dorothy.
«Culto, cultura e coltivazione» questo il suo ideale di vita individuale e collettiva, di rivoluzione delle coscienze e di rivoluzione sociale. Il suo programma comprendeva diversi livelli di intervento. Due innanzitutto: la chiarificazione del pensiero con la stampa, la creazione di case di ospitalità e di comuni agricole, come ha bene sintetizzato Roberta Fossati aprendo la sua antologia “Dorothy Day, Fede e radicalismo sociale” (edita da La Scuola), aggiungendo che nella seconda metà degli anni '30 il Catholic Worker era già, di fatto, un movimento nazionale, con comunità in tutto il Paese, che talora erano pure centri di vita intellettuale dove si affacciavano conferenzieri come Jacques Maritain, che ne condivideva la posizione negli anni di guerra, pagata a caro prezzo con la perdita di molti sostenitori.
Poi il conflitto bellico mondiale finisce. Ma Dorothy non può esultare pensando alle bombe su Hiroshima e Nagasaki. E poi ci sono aspetti più privati da registrare. Negli anni di guerra Dorothy attraversa momenti delicati per la sua vita: nel '44 sua figlia Tamar, cresciuta in comunità, si sposa a soli 18 anni con un giovane volontario, David Hennessy; nel 1949 viene a mancare Peter Maurin artefice con lei del Catholic Workerche - sarà bene ribadirlo - non voleva, per così dire, limitato al servizio ai poveri ma capace di sfida verso le strutture causa di tante disuguaglianze. Proprio in questi giorni Jaca Book manda in libreria una nuova edizione del libro di William D. Miller “Dorothy Day e il Catholic Worker Movement” con un testo introduttivo di Robert Ellsberg. E vale la pena riprendere queste pagine che ne disegnano l’avvincente evoluzione parallelamente all’impegno pacifista, via via declinato su diversi fronti.
Dalla Seconda Guerra mondiale all'alba dell'era nucleare, dalla crisi di Cuba alla guerra del Vietnam. Si impara così a intravedere in Dorothy Day una sorta di «coscienza radicale» della Chiesa cattolica americana di allora. Certo il libro di Miller termina con il ‘71, quando Dorothy ha 73 anni e ci sono tutti i motivi per ritenere che gli anni migliori del Catholic Worker siano ormai passati. A non passare invece è quella sorta di dimensione mistica nella costante relazione con Cristo e il Trascendente che ha accompagnato in lei la dimensione della carità e l’impegno per il sottoproletariato americano, come ha cercato di far capire Jim Forest nella biografia edita in Italia nel 2011 e nata dalla collaborazione editoriale tra la Libreria Editrice Vaticana e la Jaca Book.

Tuttavia, c’è altro su cui fermarci. Nell’estate del ‘73, a settantacinque anni, la “nostra” ha ancora la forza di partecipare ad una manifestazione vietata a Fresno e quel momento viene fissato da una fotografia che la ritrae seduta su uno sgabello pieghevole mentre discute con i poliziotti armati. Tutto finisce con un suo arresto insieme a centocinquanta manifestanti tra cui suore e preti. Va pure sottolineato che Dorothy Day quando la rivolta sociale e culturale sfociò nel Sessantotto non si trovò a suo agio nelle nuove forme di comportamento collettivo, permissive e libertarie, anche in campo sessuale. Vi ritrovava quel disordine sperimentato sulla sua persona negli anni '20, fonte di desolazione interiore. Andrebbero rammentati anche i viaggi della Day: in Australia, in India, in Tanzania, in Unione Sovietica. Ma restando al Catholic Worker va segnalato il suo “congedo” da ruoli attivi nel movimento nel ’75.
La sua ultima conferenza fu nell’agosto 1976, al Congresso Eucaristico di Filadelfia. Invitata insieme a Madre Teresa di Calcutta in quella sede parlò sul tema “La penitenza precede l’Eucaristia:” Si spense a 83 anni il 29 novembre 1980. Aveva scritto in una nota autobiografica: «Quando morirò spero che la gente dirà che ho cercato di far memoria di ciò che Gesù ci ha raccontato - le sue storie meravigliose - e ho cercato di vivere secondo il Suo esempio e seguendo anche la saggezza di scrittori e artisti come Dickens, Dostoevskij e Tolstoj, che vissero pensando sempre a Gesù». Fu sepolta a Staten Island. Ed era presente anche Forster Batterham, che non l’aveva mai dimenticata. Proprio così. E, per la prima volta si coglie anche il suo profilo, si afferrano anche i contorni della relazione avuta con lui – padre di sua figlia, poi amico e sempre sostenitore - come pure viene recuperata la storia un po’ rimossa della figlia di Dorothy, Tamar, insieme a quella di tanti altre persone nella cerchia della Day.  

Accade nella biografia di cui si parla da settimane negli States, opera di sua nipote Kate Hennessy “The World Will Be Saved by Beauty: An Intimate Portrait of My Grandmother”. Da poco in libreria con i tipi di Simon and Schuster, si articola in quattro capitoli dai titoli convincenti: il mistero della Grazia, dell’Amore, della Libertà, l’arte della relazione umana. Un lavoro utile se, come afferma l’autrice, per capire Dorothy, serve vederla anche come madre e come nonna. Hennessy racconta che, aperti i diari di sua nonna - alcuni anni dopo la morte - resistette per un bel po’ all’idea di pubblicarli. Resistenza superata solo grazie alla persona che li ha trascritti, il già ricordato Robert Ellsberg. La famiglia e la stessa Tamar si resero conto che la loro resistenza si basava sul fatto che quei diari - pubblicati nel 2008 - andavano scavati e letti anche negli spazi bianchi lasciati, nelle lacune riguardanti familiari e amici.
Ecco il senso di questo ripristino che passa attraverso un approccio personale alla figura già scandagliata da storici, teologi, accademici…, e concede spazio alla rete della famiglia, alla complessa relazione madre-figlia tra Dorothy e Tamar e agli altri fondatori del Catholic Worker: Peter Maurin, ma pure il lituano Stanley Vishnewski, la rifugiata di origini belghe Ade Bethune (il vero cognome era de Bethune)… Pagine dove si alternano episodi commoventi, si valorizzano - con i diari - la corrispondenza, la ricca letteratura esistente, le molte interviste e anni di ricordi da riordinare, da decifrare, tra parole e gesti, sentimenti e fatti. Dimenticatevi le agiografie, certe iperboli stucchevoli, le esagerazioni che portano lontano dalla realtà. Vi troverete una donna in carne e ossa, più che un’icona da venerare sugli altari. Una donna di fede che, come dimostrano queste pagine, non fu proprio una fede esente da dubbi. Ciò di cui non dubitò mai Dorothy fu invece il fatto di una fede che tutti chiama all’ospitalità, alla non violenza, al servizio ai poveri. C’è ancora questo nelle pagine de “Il mondo sarà salvato dalla bellezza. Ritratto intimo di mia nonna”, scritta dalla più giovane nipote della Day che oggi vive tra l’Irlanda e il Vermont.

Tra le figure più significative del cattolicesimo americano del XX secolo, presenza costante a fianco degli ultimi in uno spirito di limpida fedeltà al Vangelo, la Day -qualsiasi approccio si usi per avvicinarla - resta un esempio in un mondo in cui la divisione fra ricchi e poveri non solo è rimasta come quando la denunciava, ma ha pure raggiunto sproporzioni ancora più folli. E in un mondo non solo ancor dilaniato da guerre, ma che si fanno sempre più con pretesti religiosi, persino in nome di Dio. «Invariati sono rimasti», in ogni caso, «gli impera­tivi del Discorso della Montagna, la visione del regno di Dio, e l’ideale dei direttori del Catholic Worker di creare una società in cui sarà più facile essere buoni», ricorda l’editore statunitense Robert Ellsberg nel volume “Dorothy Day e il Catholic Worker Movement”.
Un ideale, che nonostante tutto, resta attua­le e sempre bisognoso di risposte. Cioè di «opere di misericordia come della forma più diretta di azione». Non a caso sulla tomba di Dorothy, è raffigurato un cesto di pane con dei pesci. Non a caso è accompagnato dalla scritta «Deo gratias». 
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Chi è Dorothy Day, la cattolica americana di cui ha parlato papa Francesco

maxresdefault“I would like to mention four of these Americans: Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day and Thomas Merton. … Three sons and a daughter of this land, four individuals and four dreams: Lincoln, liberty; Martin Luther King, liberty in plurality and non-exclusion; Dorothy Day, social justice and the rights of persons; and Thomas Merton, the capacity for dialogue and openness to God.” Discorso di papa Francesco al Congresso degli Stati Uniti, 24 settembre 2015.
Dorothy Day è una figura tosta. Ed è anche tosto che il suo nome sia stato fatto da papa Francesco a Washington, uno di quattro nomi ben selezionati: due protestanti e due cattolici; un presidente, due attivisti, un monaco; due maschi bianchi, un nero, una donna. Di lei Francesco ha ricordato l’attivismo sociale ispirato dal vangelo, la passione per la causa degli oppressi – cose importanti, ha detto, in un momento di grandi problemi sociali. Certo Dorothy è stata una persona impegnativa, per tutta la sua vita (1897-1980). E’ stata definita, per chi vuole ascoltarla, la coscienza radicale del cattolicesimo nordamericano.
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E’ vero che si è fatto parecchio per farla rientrare, la sua figura, nei ranghi. Per normalizzarla. Dal 2000 è in corso il processo per la sua beatificazione. Potrebbe essere fatta santa, per questo Francesco l’ha chiamata “Serva di Dio” (un termine, come dire, tecnico). Ha ricevuto molti riconoscimenti da istituzioni, associazioni, università cattoliche americane, è stata ed è celebrata da America, la rivista dei gesuiti. E’ indicata come un esempio grande di conversione. E in effetti dalla sua conversione, avvenuta a trent’anni, nel 1927, ha sempre accettato gli insegnamenti e l’autorità della Chiesa.
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Dopodiché, nei fatti, nei comportamenti, Dorothy Day ha fatto molto di testa sua. A cominciare da qui: “Non chiamatemi santa, non voglio essere liquidata così facilmente”. E’ una frase a lei attribuita. Ed è una frase che fa dire ai suoi seguaci più fedeli (molti dei quali sono convinti della sua reale santità) che sostenere la sua canonizzazione formale è un po’ come tradirla. Sui santi Dorothy ha idee precise. Così scrive nelle memorie, a proposito dei suoi primi sguardi adolescenziali sulla povertà: “Dov’erano i santi che cercano di cambiare l’ordine sociale, non solo di dare assistenza agli schiavi ma di eliminare la schiavitù?”
6b147167761ee2cc491729ed4a7d67b0La conversione avviene a trent’anni, dopo una giovinezza in cui cerca i santi che cambiano il mondo in altri ambienti, in altre ideologie. E’ anarchica e socialista, i suoi profeti sono i martiri anarchici di Haymarket, il socialista Eugene Debs, la comunista Elisabeth Gurley Flynn, gli Industrial Workers of the World. Lavora per la stampa di sinistra di New York, per The Masses e The Liberator. Fa la vita boheme del Greenwich Village, amante di un comunista e di un giornalista scavezzacollo. Ha un aborto. Un nuovo amante e una vita più serena l’avvicinano alla religione e infine al cattolicesimo.
Non rinnega mai il passato, anzi porta con sé un bagaglio di esperienze, rapporti personali, istinti all’azione che segna il suo lavoro successivo. Dice: “La bottiglia conserva sempre l’odore del liquore che ha contenuto”. Insieme a un emigrato francese, Peter Maurin, scopre e studia la dottrina sociale della Chiesa, e ne fa una pratica. Nel cuore della grande depressione, i due fondano il giornale Catholic Worker e il movimento che ne prende il nome. Lo lanciano il Primo maggio 1933 a Union Square, a Manhattan, dove ancora si festeggia la festa rossa e internazionalista dei lavoratori.
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Il giorno e il luogo sono significativi. Segnalano una vicinanza alle tradizioni più radicali del movimento operaio, ma anche una sfida a esse. Il Catholic Worker si contrappone al Daily Worker comunista. Il suo programma si contrappone a quello marxista. Dice Dorothy: “Noi crediamo nella diffusione della proprietà privata, nella de-proletarizzazione del popolo americano. Crediamo che l’individuo debba possedere i mezzi di produzione, la terra e i suoi strumenti. Noi ci opponiamo al capitalismo finanziario così giustamente criticato e condannato da Karl Marx ma crediamo che ci possa essere un capitalismo cristiano così come un comunismo cristiano”.
E poi, oltre le chiacchiere, prima di tutto, c’è l’azione. Nel mezzo secolo successivo il Catholic Worker Movement costruisce case-rifugio per gli homeless e i disoccupati, partecipa alle agitazioni operaie. Sostiene scioperi e boicottaggi, pratica l’azione diretta e la disobbedienza civile. Dorothy finisce sei o sette volte in carcere per questo, con una straordinaria continuità. La prima volta le succede da suffragista nel 1917 (anche se da anarchica sempre, lei personalmente non voterà mai). L’ultima volta nel 1973, quasi ottantenne, insieme a Cesar Chavez e al sindacato dei braccianti agricoli immigrati della California.
Dorothy è una pacifista estrema. Lo è anche nella lotta di classe, dice agli amici comunisti. Ma lo è soprattutto contro tutte le guerre, proprio tutte. Rifiuta di schierarsi sulla guerra di Spagna, facendo arrabbiare la gerarchia cattolica che è franchista. Rifiuta di appoggiare la Seconda guerra mondiale, mentre la gerarchia cattolica è patriottica. Si oppore agli interventi militari in Corea e Vietnam, contro la gerarchia cattolica che le benedice. Negli anni 1960s partecipa alle manifestazioni in cui si bruciano le cartoline precetto dei giovani richiamati alla leva. Rischia grosso quando ha parole di apprezzamento per la resistenza di Ho Chi Min.
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In effetti le vecchie simpatie di prima della conversione continuano a operare dentro di lei, a farle assumere atteggiamenti non convenzionali. Di fronte alla rivoluzione cubana, comunista e atea, sembra mettere da parte persino il suo pacifismo. Dice: “Molto meglio ribellarsi violentemente che non fare niente per gli indigenti”. E ancora: “Siamo dalla parte della rivoluzione… Dio benedica Fidel Castro e tutti quelli che vedono Cristo nei poveri. Dio benedica tutti quelli che cercano la fratellanza degli uomini perché amando i loro fratelli amano Dio anche se ne negano l’esistenza”.
Anche Garibaldi benedice, Dorothy. E’ contenta che la Chiesa sia stata costretta a liberarsi del potere temporale, nell’Ottocento: un fatto non voluto dal papa ma certo voluto da Dio, che ha le sue strade misteriose per farci un favore anche quando non lo vogliamo. E Garibaldi ha contribuito a questa liberazione, magari inconsapevolmente. Dice: “ho detto una preghiera per la sua anima e l’ho benedetto per essere stato lo strumento del grande disegno di Dio. Possa Dio usarci in questo modo”. Resta, dice Dorothy, il problema delle ricchezze terrene del papato. Ma anche su questo il Signore troverà il modo di fare il lavoro al posto nostro.
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