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lunedì 27 novembre 2017

Il ruolo potente della vitamina K2. Senza di essa, la vitamina D3 diventa tossica!





Il ruolo potente della vitamina K2. 

Senza di essa, la vitamina D3 diventa tossica!


La vitamina D3 non funziona senza la contemporanea aggiunta di vitamina K2. Non solo assunzione di vitamina D3 senza l'aggiunta di vitamina K2 può causare gravi problemi di salute compreso carico dei reni e altri organi.
Per esempio, è importante mantenere il giusto equilibrio tra il magnesio, calcio, vitamina K2 e vitamina D. La mancanza di equilibrio tra queste sostanze nutritive è il motivo per cui gli integratori di calcio sono associati ad un aumentato del rischio di attacchi di cuore e ictus, e per alcune persone la vitamina D si è rivelata tossica.
Il ruolo potente della vitamina K2
Il ruolo potente della vitamina K2
Dott. Leon Schurgers, che da vent’anni dedica gran parte delle sue attenzioni scientifiche alla vitamina K (ne fece oggetto anche della sua tesi di dottorato). Egli ci informa che la vitamina K viene classificata come vitamina K1 e K2. Nel dettaglio:
Vitamina K1: è presente negli ortaggi a foglia verde, arriva in modo diretto alla ghiandola epatica ed è di grande ausilio nel far restare ottimale il sistema di coagulazione sanguigna. La vitamina K1 da una mano anche nel liberare dalla calcificazione i nostri vasi sanguigni e fa sì che le ossa riescano a trattenere il calcio e sviluppino correttamente la struttura cristallina.
Vitamina K2: questa, invece, viene prodotta ad opera di batteri nel nostro intestino, però non è oggetto di assorbimento per cui, purtroppo, viene eliminata insieme con le feci. La vitamina K2 giunge in modo diretto alle pareti dei nostri vasi sanguigni, così come nelle ossa e negli altri tessuti, tranne che nella ghiandola epatica. Si trova anche all’interno degli alimenti che abbiano fermentato, specie nel formaggio. Se ne trova in grandi quantità nel “natto”, che è un cibo giapponese che rappresenta l’alimento più ricco di questa vitamina in assoluto.
La vitamina K è molto famosa per essere indispensabile perché la coagulazione sanguigna sia sempre corretta, e, a questo proposito, il Dott. Leon Schurgers spiega che entrambe le vitamina K (K1 e K2) sono responsabili dell’attivazione di taluni fattori della coagulazione.
Le persone anziane in preda a fibrillazione atriale o che soffrano di trombosi venosa, spesso vengono curati con farmaci ad azione anticoagulante per via orale, antagonisti della vitamina K, cioè che ne inibiscono il riciclo (entrambe, la K1 e la K2).

Ma i benefici della vitamina K vanno ben oltre i meccanismi di coagulazione…

Ma, al di là del controllo della corretta coagulazione sanguigna, la vitamina K apporta anche ben altri benefici: Nel 1980 si scoprì che la vitamina K è indispensabile per l’attivazione di un’altra proteina, e cioè la osteocalcina, la quale è presente nel midollo osseo. Dieci anni dopo, un’altra proteina, sempre vitamina k – dipendente, fu isolata: la proteina Gla (MGP), che fu rilevata nel sistema vascolare. In assenza della vitamina K sia questa che le altre proteine vitamina K – dipendenti resterebbero disattivate e non potrebbero, di conseguenza, svolgere le loro normali funzioni di natura biologica. Altro fattore di grande rilevanza è che MGP ha una fortissima azione inibitrice di calcificazione. Se si disattiva l’MGP il rischio di calcificazioni arteriose anche gravi è notevole, e anche per questo la vitamina K riveste un ruolo di primaria importanza per la salute dell’apparato cardiovascolare. Le ricerche ci dicono che la vitamina K ha la capacità di far regredire eventuali calcificazioni arteriose indotte dalla sua stessa carenza.

Ma quali sono le differenze tra le due forme di vitamina K, K1 e K2?
La vitamina K1 è assai disponibile soprattutto negli ortaggi a foglia verde, tra i quali ricordiamo i cavoli, i broccoli e gli spinaci.
Però è necessario ricordare anche che l’assorbimento della vitamina K1 introdotta con il cibo è molto basso. In realtà solo il dieci percento di essa viene assorbita dall’organismo umano. E non esiste differenza nell’assimilazione dei cibi che la contengano che possa variare questo dato. Questo fatto si è rilevato quando si è iniziata a misurare la quantità di vitamina K2 nei cibi. Si è verificato che la si trovava esclusivamente nei cibi che avessero subito una fermentazione. La K2 era sintetizzata dai batteri durante i processi fermentativi e la quantità totale della K2 nel formaggio, pur se minore di quella della K1 nei vegetali a foglia verde, veniva quasi del tutto assorbita dall’organismo umano.

La vitamina K2 è importante per la salute cardiovascolare

Queste ricerche hanno anche rilevato che le persone che assimilano quantità più elevate di vitamina K2 rischiano molto meno di soffrire di malattie dell’apparato cardiovascolare, corrono molto minori rischi di calcificazione a carico del sistema vascolare ed hanno il più basso indice di mortalità per malattie del cuore. La scoperta riveste grande importanza perché precedentemente la correlazione tra questi dati statistici e la vitamina K2 non era mai stata fatta. Successivamente altre ricerche hanno potuto evidenziare come sia la K2 ad apportare i maggiori benefici per la salute umana, e non la vitamina K1.
Inoltre la vitamina K2 pare essere rilevante per i flussi vascolari cerebrali. Nelle sezioni autoptiche sui soggetti sofferenti di Alzheimer si sono rilevati tantissimi casi di degenerazione a carico dei vasi, cosa che induce a ritenere che sia proprio questo processo degenerativo a carico della vascolarizzazione cerebrale a produrre la sintomatologia dell’Alzheimer. Anche se allo stato attuale non esiste una ricerca specifica sotto questo profilo, sembra comunque evidente che la vitamina k2 sia un ausilio per la prevenzione del morbo di Alzheimer grazie alle azioni che tendono ad evitare la genesi della placca. Alcuni ricercatori affermano che la vitamina K2 abbia un ruolo fondamentale anche nel rilasciare energia cellulare nel paziente parkinsoniano, e quindi sembra risulti anche utilissima nel trattamento del morbo di Parkinson.
Altro ruolo fondamentale della vitamina K2 (potremmo definirla più semplicemente vitamina K, visto che è quella delle due che apporta i maggiori benefici), è nel prevenire la osteoporosi. La vitamina K è fondamentale per la salute delle ossa più in generale. Infatti la osteocalcina, proteina che viene sintetizzata da parte degli osteoblasti, cioè quelle cellule preposte alla formazione delle ossa, ed è proprio una parte fondamentale all’interno del processo di formazione ossea; ma essa va carbossilata prima di diventare attiva e la vitamina K riveste proprio il ruolo di cofattore in aiuto dell’enzima che presiede alla catalizzazione del processo di carbossilazione di questa osteocalcina.

In quali alimenti troviamo la vitamina K2?

La vitamina K2 è un nutriente che non si presenta in elevate concentrazioni negli alimenti che consumiamo comunemente. Infatti la ritroviamo in fagioli di soia fermentati, nel fegato d’oca, in alcuni formaggi ed anche nel latte e nel burro.  In Giappone assumo questa vitamina attraverso un alimento chiamato Natto, a base di fagioli di soia fermentati con Bacilus subtilis (un batterio che si trova nel tratto intestinale degli animali e dell'uomo). È una pietanza che ha un odore e un sapore molto forti e una consistenza viscida. Molti lo mangiano a colazione e, ad oggi, è la pietanza con la più alta concentrazione di vitamina K2.

Alimenti con alta concentrazione di vitamina K2

Natto: piatto giapponese a base di fagioli di soia fermentati.
Formaggio: soprattutto in quello di capra e di pecora e in minor concentrazione in quello di mucca.
Tuorlo d'uovo (meglio se biologico)
Fegatini di pollo e fegato d'oca
Petto di pollo.
Kefir: bevanda ricca di fermenti lattici che si ottiene dalla fermentazione del latte
Al fine di scongiurare la carenza della vitamina K1 la raccomandazione è quella di cibarsi di almeno duecento grammi di verdura ogni giorno. Inoltre sarebbe auspicabile mangiare ogni giorno anche cibi fermentati, in modo da introdurre anche una certa quantità di vitamina K2
Un dosaggio ideale ancora ha da essere calcolato, ma i ricercatori indicano in 350/500 mcg (microgrammi) il fabbisogno quotidiano di vitamina K2. Non è noto alcun effetto indesiderato dovuto ad eventuale dosaggio più elevato, ma, nonostante ciò, il consiglio è quello di attenersi a queste dosi, senza esagerare. Per evitare malattie a carico del sistema cardiocircolatorio sono necessari, comunque, almeno 45 microgrammi ogni giorno (studi scientifici hanno dimostrato che le persona che assumono questa quantità quotidiana di K2 vivono mediamente sette anni più di coloro che ne assumono mediamente 12 microgrammi al giorno).
Alcuni farmaci possono ridurre i livelli di vitamina K: i farmaci che alterano la funzione epatica o distruggono la flora intestinale (per esempio gli antibiotici) oltre quelli che limitano l’assorbimento intestinale. La vitamina K sembra prevenire il riassorbimento osseo (osteoporosi), pertanto un adeguato apporto giornaliero sembra necessario per prevenire la perdita ossea.
Il Warfarin (Coumadin®) è un anticoagulante che disattiva i fattori della coagulazione dipendenti dalla vitamina K. È prescritto dai medici per le persone con rischio di trombosi o condizioni come la fibrillazione atriale, impianto di valvole cardiache artificiali, precedenti di gravi coaguli di sangue, disturbi della coagulazione (ipercoagulabilità) o posizionamento di cateteri. La vitamina K può ridurre gli effetti anticoagulanti del warfarin, pertanto chi si sottopone a tratttamento con questo farmaco deve sapere dove si trova la vitamina K nei cibi e farvi molta attenzione.

domenica 26 novembre 2017







di Francesco Agnoli


L’idea che un personaggio televisivo come Piergiorgio Odifreddi (un ex seminarista convertito al comunismo e all’ateismo militante, senza alcun vero merito scientifico) può far passare, è che tra matematica e religione ci sia una perfetta incomunicabilità. Di qua i numeri, da un’altra parte Dio. La storia della matematica è però lì a dirci il contrario.
Partiamo da Pitagora, il celebre filosofo greco al cui nome è associato il teorema forse più famoso di tutti i tempi, sempre citato al principio di ogni storia della matematica (magari insieme ad Archimede).
laPitagora aveva le idee molto chiare: la matematica non è una invenzione dell’uomo, ma una scoperta. E’ la realtà stessa ad essere intessuta di matematica, fondata sul numero. La filosofia greca coglie l’ordine, la razionalità dell’universo; la filosofia di Pitagora identifica il numero come fonte di questa razionalità. Scrive l’astrofisico italiano Mario Livio nel suo “Dio è un matematico”: “I pitagorici radicavano letteralmente l’universo nella matematica. In effetti per loro Dio non era un matematico ma la matematica era Dio”. Ciò significa che i Pitagorici coglievano come vera sostanza della realtà qualcosa di intangibile, di invisibile; qualcosa che precede la realtà materiale, che la supera e la informa.
Sarà poi Platone, con la sua metafisica, a dare alla matematica un ruolo fondamentale nella conoscenza umana, ritenendo l’esistenza delle realtà matematiche “un fatto oggettivo tanto quanto l’esistenza dell’universo stesso”[1].
Fatto: l’universo fisico esiste, non è capriccioso e caotico, ma ordinato. Riflessione filosofica: la matematica, immateriale, ne rappresenta il fondamento, la sostanza. Si vede bene che siamo, benchè in epoca ancora pagana, sulla strada di una concezione teista, che non pone il mondo “a caso”, ma al contrario, ne riconosce l’ intelligenza, l’armonia, la matematicità.
Da dove viene questa armonia? Per Platone dal mondo metafisico delle idee, e, tramite esse, dall’opera del Demiurgo.
Prima dunque che Galileo scriva che “la matematica è l’alfabeto col quale Dio ha scritto l’universo”; prima che il grande pisano definisca la natura come “il libro…scritto in lingua matematica”- alludendo molto chiaramente, quanto all’autore del libro, ad un Dio Creatore- è evidente a chi affronti questa disciplina che la matematica nasce da un atto di fede nella non assurdità del mondo; da un atto di stupore di fronte al fatto che ciò che ci circonda non è regolato dal capriccio, ma dall’ intuizione, per dirla con Platone, che “Dio geometrizza sempre”.
Scriverà in pieno Novecento il grande matematico cattolico Ennio De Giorgi: “il mondo è fatto di cose visibili e invisibili e la matematica ha forse una capacità, unica tra le altre scienze, di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili”.
La matematica dunque ci mette di fronte ad un fatto: l’universo si presenta come qualcosa di intelleggibile alla nostra ragione.
Non è un dato scontato. Per Einstein “il mistero più grande è che il mondo sia comprensibile”, cioè che il pensiero sia in grado di fornire un ordine alle esperienze sensoriali.
Per il premio Nobel L. De Broglie invece “noi non ci meravigliamo abbastanza del fatto che una scienza sia possibile, cioè che la nostra ragione ci fornisca i mezzi per comprendere almeno certi aspetti di ciò che accade attorno a noi”[2].
Non ci meravigliamo abbastanza, si potrebbe chiosare, del fatto che una sola creatura si ponga anzitutto domande che vanno ben al di là dei bisogni primari, delle esigenze che evoluzionisticamente sarebbero necessarie alla sopravvivenza, e che sia in grado di andare al fondo della realtà, a ciò che la regola e la fonda.
Il mistero dell’intelleggibilità del cosmo fa il paio con il mistero di una creatura, e solo quella, che vuole e sa leggere tale intelleggibilità.
A dimostrazione, ne dedurrebbe un credente, che entrambe le ragioni, quella di Dio che fonda l’universo, e quella dell’uomo, fatto “a immagine e somiglianza di Dio”, che lo interpreta e lo penetra, hanno una origine comune.
Sono ben comprensibili, allora, non soltanto la divinizzazione del numero di Pitagora e la metafisica di Platone, ma anche il linguaggio biblico, così spesso ripetuto nell’epoca delle cattedrali: Dio ha fatto l’universo “secondo numero peso e misura” (Sap.11, 20).
Quest’idea appartiene anche alla storia del pensiero medievale, in particolare di quello francescano, tutto intento nello scorgere nella natura, nella sua bellezza, non un ammasso informe, non una materia principio del male, ma i segni della Ragione e della Bontà creatrice.
Di qui l’idea di un grande antenato della scienza moderna, il medievale Roberto Grossatesta, per cui Dio è il “Numerator et Mensurator primus”; oppure il pensiero di san Bonaventura, il quale scriveva: “tutte le cose sono dunque belle e in certo modo dilettevoli; e non vi sono bellezza e diletto senza proporzione, e la proporzione si trova in primo luogo nei numeri: è necessario che tutte le cose abbiano una proporzione numerica e, di conseguenza, il numero è il modello principale nella mente del Creatore e il principale vestigio che, nelle cose, conduce alla Sapienza”[3].
Giovanni Keplero, scopritore delle leggi del moto dei pianeti, non argomenterà in modo dissimile la sua fiducia nella bontà e bellezza della creazione. La sua intuizione di fondo fu infatti che la matematica è “la struttura ontologica dell’Universo”.
Da ciò svilupperà “il suo intero lavoro di astronomo, in cui ritroveremo strettamente intrecciate fra loro l’esplicita ripresa di antiche dottrine pitagoriche e neoplatoniche e una fervente fede cristiana”. Infatti, “certo del fatto che l’intera creazione dipenda da un disegno divino perfetto, Keplero crede di averne trovato il segreto nell’idea che l’Universo sia costruito sulla base di figure geometriche note sin dalla geometria antica con il nome di ‘solidi regolari’…Dietro una tale rappresentazione dell’universo vi è una concezione metafisica ben precisa. Keplero è convinto, infatti, che la stessa mente di Dio sia costituita da idee geometriche originarie di cui la mente dell’uomo diviene partecipe”. “Non è un caso che poi Keplero interpreti in senso trinitario l’intera struttura del cosmo…Ciò che anima Keplero, è utile ricordarlo, non è tanto la convinzione di un meccanicismo originario, quanto l’idea che l’Universo sia pervaso da una armonia matematica divina”[4].
Al punto che Keplero scriveva: “La geometria precede l’origine delle cose, è coeterna alla mente di Dio, è Dio in persona (cosa c’è in Dio che non sia Dio?); la geometria ha fornito a Dio gli archetipi della creazione e fu impiantata nell’uomo contemporaneamente alla somiglianza di Dio”[5].
Sulla stessa scia di Keplero e degli altri grandi pensatori citati, si colloca a ben vedere tutto il pensiero matematico e in generale scientifico, per secoli e secoli, a partire dalle origini.
Sempre la matematica è vista come una scoperta dell’uomo, non come una sua invenzione. Si ritiene cioè che il linguaggio matematico sia efficace, funzioni, non per caso, ma perché coglie l’oggettività di un ordine, l’esistenza di leggi universali: ordine e leggi universali che richiedono un Legislatore supremo. Un Dio “dell’ordine e non della confusione” (“God of order and not of confusion”), come ebbe a dire un altro dei più grandi matematici della storia, Isaac Newton.
Ha scritto il fisico contemporaneo Paul Davies: “Come avviene che le leggi dell’universo siano tali da favorire l’emergenza di menti a loro volta capaci di riflettere e modellare accuratamente queste stesse leggi matematiche? Come è successo che il cervello dell’uomo, che è il sistema fisico più complesso e sviluppato che conosciamo, abbia prodotto tra le sue funzioni più avanzate qualcosa come la matematica, capace di spiegare con tanto successo i sistemi più basilari della realtà fìsica? Perché la mente, che si colloca al culmine dello sviluppo, si ripiega su se stessa e si collega con il livello base dell’esistenza, cioè con l’ordine retto da leggi su cui l’universo è costruito? A mio avviso questo strano loop suggerisce che la mente è qualcosa che è legata ai più fondamentali aspetti della realtà fisica, sicché se vi è un significato o un fine all’esistenza fisica, allora noi, esseri coscienti, siamo di sicuro una parte profonda ed essenziale di questo fine”[6].
Eric T. Bell, autore del celebre volume “I grandi matematici”, inizia la sua narrazione partendo dai filosofi greci, per passare quasi subito a Cartesio (1596-1650) e Pascal (1623-1662). Bell ricorda, di entrambi, la fede esplicita in un Dio Creatore, e il rapporto privilegiato con il celebre matematico padre Mersenne, intorno al quale nasceva in quegli anni l’Accademia Francese di Scienze. Si potrebbero anche ricordare la dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio di Cartesio, convinto che “le verità matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente”, e la visione profondamente religiosa del matematico Pascal, inventore, tra le altre cose, della prima “calcolatrice”, la “pascalina”. Costui, perfettamente in linea con la teologia medievale, sosteneva da un lato che “la natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per mostrare che ne è solamente l’immagine” (Pensieri, 580), dall’altro specificava così la sua visione del rapporto tra scienza e fede: “Il Dio dei Cristiani non è un Dio solamente autore delle verità geometriche e dell’ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e gli Epicurei. […] il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di cui Egli s’è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l’intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d’avere altro fine che Lui stesso” (Pensieri, 556).
Dopo Cartesio e Pascal, nella lista dei grandi matematici della storia, Bell pone il già citato Newton, e, dopo di lui, Leibniz (1646-1717): siamo sempre di fronte ad un filosofo, metafisico, giurista, fisico e matematico, che oltre a perfezionare il calcolatore già inventato da Pascal e ad offrire un importante contributo al calcolo infinitesimale, era fermamente convinto, sino a dimostrarla a priori, dell’esistenza di Dio, visto come “soggetto di tutte le perfezioni, cioè l’essere perfettissimo”.
Dopo Leibniz, che già a ventun anni aveva scritto un trattatello intitolato “Testimonianza della natura contro gli atei”, Bell ricorda il grande Leonardo Eulero (1707-1783), definito “il matematico più prolifico della storia”: siamo nell’età della nascente miscredenza, degli atei materialisti francesi, alla d’Holbach e alla Diderot.
Eulero, invece, è un fervente protestante che ogni sera raduna la famiglia per leggere insieme brani della Bibbia. Leggiamo un aneddoto curioso su di lui: “Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua corte, Diderot consacrava i suoi ozi a convertire i cortigiani all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare di  matematica a Diderot, era come parlargli cinese…Diderot fu avvertito che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte, se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere…Eulero si avanzò verso Diderot e gli disse gravemente e con un tono di perfetta convinzione: ‘Signore, a+b alla n, fratto n, uguale a x: dunque Dio esiste: rispondete’.
Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di Diderot. Umiliato dalle pazze risate che accolsero il suo silenzio imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di tornare in Francia…”. Sappiamo che Eulero si era limitato a fare un po’ di commedia, in quell’occasione, ma anche che in seguito provò a fornire “due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima”[7].
Non interessa qui sapere quanto quelle dimostrazioni siano veramente efficaci, quanto notare che anche Eulero non trasse dai suoi studi matematici motivi per la miscredenza, al contrario! Anche il grande matematico italiano Paolo Ruffini, cattolico fervente, scriveva pochi anni dopo Eulero, nel 1806, una dimostrazione matematica dell’esistenza dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo Flauti cercò di dimostrare Dio per via matematica nella sua “Teoria dei miracoli”. Imitato in questo tentativo ardito da George Boole (1818-1864), pioniere della logica matematica, nel suo “Leggi del pensiero” e da uno dei più grandi geni della matematica e della logica di tutti i tempi, Kurt Gödel (1906-1978), il quale tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, intento com’era “ricondurre il mondo ad unità razionale”, scrisse pagine fitte di formule tese a dimostrare l’esistenza di un Dio non solo come Ente Razionale ma con gli attributi del Dio cristiano[8].
Gödel era filosoficamente un realista, credeva cioè nella matematica come scoperta (“le leggi della natura sono a priori”, non una “creazione umana”); criticava fortemente lo “spirito dei tempi” suoi, improntato al materialismo ed al meccanicismo; da battista luterano qual’era, e da matematico, professava la fede in un Dio trascendente, “nel solco di Leibnitz più che di Spinoza”; sosteneva l’irriducibilità della mente al cervello, dei processi psichici a spiegazioni solamente meccaniche, e affermava che “il cervello è un calcolatore connesso a uno spirito” individuale ed immortale; riteneva “confutabile” l’idea che il cervello umano “sia venuto nel modo darwiniano”, per cause puramente meccaniche e casuali e rifletteva sul fatto che il mondo, dal momento che “ha avuto un inizio e molto probabilmente avrà una fine nel nulla”, non si giustifica da se stesso[9].
Si potrebbe continuare a lungo, nella lista dei grandi matematici credenti, citando Carl Friedrich Gauss (1777-1855)considerato da molti “il principe dei matematici”, che fu un uomo dalla natura profondamente religiosa, abituato a leggere il Nuovo Testamento in lingua greca, convinto che “il mondo sarebbe un non senso, l’intera creazione una assurdità, senza immortalità” dell’anima e senza Dio[10]; il cecoslovacco Bernad Bolzano (1781-1848), sacerdote cattolico, che diede importanti contributi alla matematica, anticipando alcune idee di Cantor; il norvegese Niels Henrik Abel (1802-1829), figlio e nipote di ecclesiastici protestanti; il tedesco Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897), un matematico tedesco, spesso chiamato “padre dell’analisi moderna”, di cui portano il nome teoremi, teorie e oggetti matematici, figlio di un protestante convertito al cattolicesimo e cattolico anch’egli (tanto da insegnare in varie scuole cattoliche)[11]; il tedesco Bernhard Riemann (1826-1866), considerato uno dei massimi matematici di sempre, anch’egli figlio di un pastore protestante, che fu sempre spirito “religiosissimo” e devoto[12]
Oppure potremmo citare il grande Georg Cantor (1845-1918), figlio di padre luterano e di madre cattolica, grande appassionato di filosofia e teologia medievale, così simpatizzante per la Chiesa cattolica da desiderare il consenso alla autorità cattolica romana riguardo alle sue speculazioni sui numeri infiniti (speculazioni che confinavano, diciamo così, con la metafisica e la teologia)…



[1] Mario Livio, “Dio è un matematico”, Rizzoli, Milano, 2009, p.48, 49.
[2] L. De Broglie, “Fisica e Metafisica”, Einaudi, Torino, 1950, p.216.
[3] Citato in Stefano Zecchi, “Storia dell’estetica”, vol.I, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 159.
[4] Costantino Esposito, Pasquale Porro, “Filosofia moderna”, Laterza, Bari, 2009, p. 67-69.
[5] Citato in R. Timossi, “Dio e la scienza moderna”, Mondadori, Milano, 1999, p.41.
[6] Citato in Bersanelli-Gargantini, “Solo lo stupore conosce”, op.cit.
[7] E. Bell, “I grandi matematici”, Sansoni, Firenze, 1966, p.147-148.
[8] R. G. Timossi, “Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia critica degli argomenti ontologici”, Marietti 1820, Genova Milano, 2005.
[9] Gabriele Lolli, “Sotto il segno di Gödel”, Il Mulino, Bologna, 2007, in particolare cap. VIII. Lolli ricorda anche quattro lettere scritte da Gödel alla madre, nel 1961, per esprimere “le sue ragioni per credere in un’altra vita”, mentre ad un amico malato, Gödel scriveva: “L’affermazione che il nostro ego consiste di molecole di proteine mi sembra una delle più ridicole mai sentite…”.
[10] G. Waldo Dunnington, “Carl Friedrich Gauss: Titan of Science, The Mathematical Association of America, 2004, pp. 298-311. Dunnington riporta questa frase di Gauss: “Ci sono domande le cui risposte io porrei ad un valore infinitamente più alto che quello della matematica, per esempio quelle riguardanti l’etica, o il nostro rapporto con Dio, il nostro destino ed il nostro futuro; ma la loro soluzione resta irraggiungibile sopra di noi, fuori dall’area di competenza della scienza”. Inoltre nota il biografo che il grande matematico amava moltissimo il seguente passo di James Thomson: “Padre di luce e vita! Dio Supremo!/Il Bene insegnami, insegnami Te!/Salvami da follia, vanità e vizi,/da ogni ricerca vana; nutri l’anima/di sapienza, di pace e di virtù -Sacra, carnale, eterna beatitudine!”.
[11] Félix KleinRóbert Hermann, “Development of mathematics in the 19th century”, Math Sci Press, 1979, p.260.
[12] John Derbyshire, “Prime obsession: Bernhard Riemann and the greatest unsolved problem on mathematics”, J. Nenry Press, 2003: viene riportata anche la lapide posta sulla sua tomba, in cui si legge “Qui riposa in Dio Bernhard Riemann…”, e in conclusione una frase di san Paolo: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio

giovedì 23 novembre 2017

Intervista ad Alessio Fasano, massimo studioso mondiale degli effetti del glutine sul corpo umano.

Intervista ad Alessio Fasano, massimo studioso mondiale degli effetti del glutine sul corpo umano.
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Abbiamo provato a contattare il dr. Fasano per un’intervista inviandogli varie e-mail che non hanno avuto risposta.

Abbiamo allora deciso di tradurre ed in certi punti sintetizzare questa bella ma lunga intervista che abbiamo trovato online su questo sito.
Ricordiamo che Alessio Fasano è autore del libro di recente pubblicazione: “Gluten Freedom” acquistabile su Amazon in lingua inglese. Fasano è anche direttore del Center for Celiac Research presso il Massachusetts General Hospital for Children. Esplora argomenti dai miti che stanno diffondendo sulla celiachia alla ricerca di marcatori di sensibilità al glutine, come la ricerca che si sta sviluppando sul “microbioma“.
Ricordiamo che è un italiano di origini salernitane e che si è laureato proprio in Italia.


Traduzione: Angelo
Domanda: sei concentrato sulla celiachia da molti anni, che cosa ti ha fatto decidere di scrivere il proprio libro ora?
Alessio Fasano: Domanda interessante. Personalmente non avrei mai pensato in vita mia di scrivere un libro come questo. Sono stato costretto a farlo in realtà, perché quando abbiamo iniziato questo cammino tanti anni fa, abbiamo affrontato una grande sfida: la conoscenza in un settore sconosciuto: la celiachia; nessuno ne sapeva niente. C’erano poche informazioni sulla dieta priva di glutine, era percepita come inesistente negli Stati Uniti, confinato al Nord Europa, e così via.
Poi abbiamo iniziato questo viaggio. Abbiamo creato – almeno credo che siamo stati tra i principali attori – questa esplosione della questione e la consapevolezza che ha fatto spostare il pendolo nella direzione opposta. Ora vedo le persone che affermano di essere esperti, facendo alcune dichiarazioni che veramente mi disturbano molto.
Domanda: quindi si volevano mettere le cose in chiaro?
Alessio Fasano: Assolutamente. Perché c’è un sacco di confusione, spesso si sentono anche parlare colleghi in modo estremamente contraddittorio.
Domanda: perché pensi che la celiachia e la sensibilità al glutine abbiano avuto un drammatico simile aumento della prevalenza rispetto al recente passato?
Alessio Fasano:  credo che ci siano due componenti che giustificano questo aumento. In primo luogo – una maggiore consapevolezza. Ancora una volta, quando abbiamo iniziato questo viaggio ci è stato detto: “la celiachia non è mai arrivata in Nord America e mai lo farà, siamo solo diversi, e questa è la fine della storia”.
Questo mi dava una sensazione spiacevole, perché gli ingredienti della ricetta c’erano, ma non venivamo a capo del problema. Quindi la domanda è stata: “Come mai? Cosa sta succedendo? “
Quando abbiamo iniziato a studiare il problema, ci siamo resi conto che non siamo diversi dall’Europa. E c’è voluto un po’ per educare i professionisti sanitari che, nonostante quello che gli avevano insegnato alla scuola di medicina, la celiachia esiste negli Stati Uniti. E quando si inizia a cercarla, si trova.
Il secondo componente è che vi è un vero aumento della prevalenza nel tempo. E questo non è unico per la malattia celiaca o sensibilità al glutine; è ciò che vediamo in molte altre malattie autoimmuni. Siamo nel bel mezzo di una epidemia.
Domanda: si parla nel libro che anche chi non ha una predisposizione genetica per la malattia celiaca potrà svilupparla lo stesso. Vuol dire che c’è qualcosa nell’ambiente che ‘innesca‘ la celiachia nelle persone?
Alessio Fasano:  Fino al recente passato, la risposta è stata “è il glutine, e quindi se siete geneticamente predisposti e si ingerisce glutine, è destino che si svilupperà la malattia”. Non è più così. C’è stato un interessante studio che abbiamo fatto in adulti sani nel quale in un periodo di 50 anni abbiamo visto la malattia celiaca raddoppiare ogni 15 anni. Queste persone mangiavano glutine per decenni senza ammalarsi, e, tutto ad un tratto, hanno sviluppato la malattia.
Ciò significa che certo la predisposizione conta, certo, bisogna ingerire glutine. Ma questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Un’altra cosa deve essere allora inclusa nel quadro generale del problema. Personalmente, credo che sia un cambiamento nella composizione del microbioma il che potrebbe essere un’ulteriore causa che incrina la salute e predispone alla malattia.
Il glutine fa male a tutti?
Domanda: di solito sentiamo che il glutine possa essere un problema solo per le persone con malattia celiaca o con disturbi correlati al glutine, ma ricordiamo che nessuno è in grado di digerire correttamente il glutine. Puoi spiegare il perché?
Alessio Fasano:  Questo è uno dei motivi per cui ho scritto il libro! Perché alcune persone in altri libri sostengono che a causa di ciò che hai appena citato, tutti abbiamo bisogno evitare il glutine. Il glutine non può essere digerito da nessuno, il glutine può indurre una risposta immunitaria in tutti, e quindi tutti hanno bisogno di fare diete senza glutine.
Domanda: Ma non sei d’accordo con questo?
Alessio Fasano:  No, io sicuramente non la penso così. Come spiego in alcune parti del libro, tramite un errore evolutivo, il glutine viene interpretato dal nostro sistema immunitario come nemico, come parte di un batterio. Quindi reagiamo come quando siamo esposti ai batteri. Utilizziamo lo stesso tipo di armi.
Ma siamo tutti esposti ai batteri ogni giorno. Siamo tutti impegnati in questa lotta. Pochissimi perdono questa lotta e sviluppano infezioni, molto pochi. La stessa storia si propone con il glutine. Siamo tutti esposti al glutine. Siamo tutti impegnati in questa lotta. Pochissimi di noi perderanno questa guerra e svilupperanno disturbi correlati al glutine. La stragrande maggioranza di noi vincerà la guerra, e, probabilmente non sapremo nemmeno che questa guerra è in corso.
Domanda: Abbiamo sentito parlare molto di sensibilità al glutine. Puoi spiegarci in cosa è diversa dalla celiachia?
Alessio Fasano:  Ci sono molte differenze tra le due cose, ma ci sono anche somiglianze. Le complicanze cliniche sono sovrapponibili – non è possibile distinguerli solo in termini di sintomi.
La celiachia è una malattia autoimmune, che ha normalmente una componente genetica. La sensibilità glutine non è una malattia autoimmune, e non ha la stessa componente genetica. La malattia celiaca è quasi completamente confinata in un certo patrimonio genetico, la sensibilità al glutine no.
Poichè la celiachia è una malattia autoimmune, rimarrà per tutta la vita. La sensibilità al glutine, non lo sappiamo. Si potrebbe guarire, ma non lo sappiamo.
La celiachia è guidata anche da un minimo di contaminazione incrociata del glutine. Nella sensibilità al glutine, non è necessariamente così. Ci sono alcune persone che, come con la celiachia, è la contaminazione incrociata a farli ammalare. Altre persone, tuttavia, possono tollerare le contaminazioni incrociate o addirittura non hanno alcun problema con un morso di pizza, ma se abbondano troppo col glutine, hanno problemi.
Poiché non è geneticamente determinata, la sensibilità al glutine sembra non avere un aumento del rischio all’interno della stessa famiglia, con la malattia celiaca questo fattore esiste per certo. Con la malattia celiaca, hai comorbilità [Condizioni di salute legate], come la altre malattie autoimmuni, e, per quanto ne sappiamo, non abbiamo queste comorbidità con la sensibilità al glutine.
con la celiachia si possono avere conseguenze se non si elimina il glutine dalla propria dieta. Così si può sviluppare problemi nel corso del tempo, come l’osteoporosi, il linfoma, e così via. Per quanto ne sappiamo, se siete sensibili al glutine non ci sono tali conseguenze nel corso del tempo.
Domanda: C’è un modo per testare la sensibilità al glutine?
Alessio Fasano:  Non ancora. In questo momento non abbiamo validato i test, pertanto facciamo diagnosi con criteri di esclusione. Normalmente escludiamo la celiachia e l’allergia al grano prima di fare la diagnosi della sensibilità al glutine. Attualmente, stiamo facendo uno studio in doppio cieco che sta cercando di identificare alcuni biomarcatori così, ci auguriamo, di avere un test al più presto.
Domanda: Hai menzionato prima il microbioma intestinale, e abbiamo sentito molto su di esso in rapporto alla celiachia, la allergie e un’ampia varietà di condizioni. Che ruolo gioca il microbioma nella malattia celiaca e nella sensibilità al glutine?
Alessio Fasano:  Da quello che abbiamo capito, le modifiche del microbioma da batteri “amichevoli” a batteri “bellicosi” è quello che può predisporre alla malattia celiaca o la sensibilità al glutine. Questo concetto è abbastanza rivoluzionario perché significherebbe che non sei nato per sviluppare la malattia celiaca, il cancro, la sensibilità al glutine, l’asma o le malattie autoimmuni. Hai la possibilità di svilupparle, ma questo potenziale si tradurrà in realtà solo da come l’ambiente inciderà suoi tuoi geni. Ed è il microbioma che trasmuta gli stimoli ambientali e che incide davvero sul nostro genoma.
L’effetto del glutine sul cervello
Domanda: hai scritto che il glutine sembra giocare un ruolo in alcune malattie neurologiche come l’autismo, l’ADHD e persino la schizofrenia. In che modo il glutine colpisce il cervello?
Alessio Fasano:  Ci sono due teorie sui meccanismi su come il glutine possa provocare sintomi neurologici. Si dice che alcuni di questi “frammenti” di glutine non digerito sono strutturalmente simili ai prodotti chimici che controllano il nostro comportamento. Questi “frammenti” sono chiamati endorfine e più precisamente, gliadorfine. Entrano nel flusso sanguigno e infine, attraverso la barriera ematoencefalica, raggiungono il cervello e modificano il comportamento dell’individuo. A seconda che si sia, ancora una volta geneticamente predisposti, è possibile sviluppare l’ADHD, la cefalea cronica, la schizofrenia, l’autismo e qualunque altra cosa.
L’altra teoria, che sembra essere un po’ più basata sull’evidenza, è quella neuroinfiammatoria. I primi passi sono gli stessi: si ingerisce glutine, il glutine è parzialmente digerito, e passa attraverso la permeabilità intestinale nel corpo. Il sistema immunitario inizia a combattere la guerra, al fine di sbarazzarsi del nemico. Per fare questo, deve sviluppare armi e distribuirle. E il danno collaterale, quando si scatta questo corsa all’armamento, è l’infiammazione.
Alcuni di questi soldati (cioè le cellule immunitarie) sono programmate per rimanere sul campo (cioè l’intestino) e quindi creano danni collaterali lì, e questo è un tipico esempio della celiachia. Altri soldati, sono programmati per lasciare l’intestino e andare altrove, come il sistema nervoso, e creare infiammazione lì. Questo è ciò che chiamiamo neuroinfiammazione, che si traduce ancora una volta, a seconda della predisposizione in un diverso tipo di risultato clinico.
Domanda: Ma occorre ancora essere scettici sul tema asse glutine e cervello?
Alessio Fasano: Mi stai scherzando, vero? Questo problema affliggerebbe la stragrande maggioranza degli individui.
Domanda: stai facendo progressi? Pensi che ci sono meno persone scettiche ora?
Alessio Fasano: Penso di sì, lentamente ma inesorabilmente. Lo scetticismo si solleva sempre quando alcune convinzioni sono radicate. Ecco, questo è uno dei motivi per cui abbiamo deciso di scrivere questo libro. Perché alcune persone dicono: “non c’è dubbio – il vostro cervello sarà fritto se non vivrete senza glutine”. Questo è un argomento molto difficile da difendere. Questo annullerà anche la piccola verità che vi è in questa affermazione.
In termini di atteggiamento scientifico sarebbe più onesto affermare: “noi non lo sappiamo ancora per certo ma c’è la possibilità che ad un sottogruppo di individui il glutine possa avere conseguenze nefaste al cervello se ingerisce glutine”. 
Domanda: Sono passati quasi 20 anni da quando hai fondato il Center for Celiac Research. Puoi farsi il punto della situazione?
Alessio Fasano: Non siamo solo andando avanti, ma abbiamo già raggiunto una destinazione che mai avrei previsto quando ho iniziato questo viaggio. È incredibile. Persino 5 anni fa, era impensabile concepire ciò che noi oggi conosciamo. Siamo davvero arrivati ​​molto lontano.
Domanda: A che punto siamo per un trattamento per la malattia celiaca?
Alessio Fasano: Ci sono diversi approcci, alcuni che effettivamente utilizzano batteri come una sorta di enzima in grado di completare la digestione. Quindi possiamo utilizzare questi batteri al posto degli enzimi.
Ci sono alcune persone che stanno cercando di utilizzare immunomodulatori per bloccare la reazione del sistema immunitario. I più avanzati, ora stanno passando ad una fase 3 di test. In pratica si blocca l’aumento della permeabilità intestinale in modo che il glutine non possa uscire dall’intestino [la pillola zonulina sviluppato dalla Alba Therapeutics].
Domanda: Guardando al futuro, cosa ne pensi possa essere realizzato nei prossimi 5 a 10 anni di ricerca sulla celiachia? Pensi che ci sarà mai una cura?
Alessio Fasano: credo che un trattamento è una possibilità; una cura, non sono sicuro. Niente è impossibile in biologia, così a un certo punto potremmo avere una cura, diciamo un vaccino o qualcosa che ti libererà dal celiachia. E sarebbe fantastico, e ciò significherebbe che si avrebbe la possibilità di estrapolare questo trattamento per qualsiasi altra malattia autoimmune. Sarà dura, ma niente è impossibile.
Ma quello che credo veramente impressionante e, credo, realizzabile, è la prevenzione. Così si avrà un modo per ingannare il destino in modo da rimanere sepre in salute. Abbiamo appena iniziato un mega progetto chiamato CDGEMM, che sta per Celiac Disease Genomic Environmental Microbiome and Metabolomic Study. Seguiremo 500 bambini a rischio celiachia dalla nascita, per vedere se siamo in grado di identificare perchè si sviluppa l’autoimmunità, in modo da poter intervenire in anticipo.
Domanda: ti ringrazio molto per aver parlato con noi oggi riguardo il tuo libro ed averci espresso le tue opinioni sulla celiachia.
Alessio Fasano: è stato un vero piacere.