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mercoledì 21 marzo 2018

BEATA ALEXANDRINA DA COSTA, Salesiana Cooperatrice:LAMPADA ARDENTE


BEATA ALEXANDRINA DA COSTA, Salesiana Cooperatrice:LAMPADA ARDENTE



Il 30 marzo 1904, cento anni fa, a Balasar (Portogallo) nasce Alexandrina da Costa. Cresce in una giovinezza singolarmente pura e pia, in cui Gesù è davvero tutto per lei. Ma la svolta della sua vita avviene attorno ai 20 anni.
Aveva solo 14 anni ed era una bella ragazza, quando per sfuggire a tre uomini, penetrati nella sua casa per insidiarla, si era buttata dalla finestra per salvare la sua purezza.
Non guarì più dal terribile colpo subìto e, ventenne, si trovò paralizzata nel suo letto, per la mielite alla spina dorsale.

Una vita singolare

A questo punto, la sua esistenza sale verso l’alto, secondo la chiamata di Gesù, che la vuole per una via tutta sua.
Nella solitudine della sua cameretta, ella diventa l’angelo consolatore di Gesù presso tutti i tabernacoli del mondo e, contemporaneamente, ostia con Gesù Ostia divina, la Vittima immolata per la salvezza delle anime.
Nel suo corpo e nella sua anima, Alexandrina vive misticamente l’agonia e la passione di Nostro Signore, dal Getsemani alla Crocifissione sul Calvario, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle profanazioni contro di Lui eucaristico.
Non potendo andare in chiesa ad adorare il Santissimo Sacramento e a partecipare alla Santa Messa, dal suo letto ella diventa adoratrice di giorno e di notte con il suo cuore e la sua mente presso tutti i Tabernacoli della terra, e si unisce con fede e con amore senza limiti al Sacrificio di Gesù ripresentato su tutti gli altari.
Gesù, attraverso i suoi direttori spirituali, di cui l’ultimo sarà il salesiano Don Umberto Pasquale,e Lui stesso direttamente, la guida in modo singolare all’offerta di tutta se stessa, per mezzo di una voce interiore, e nelle estasi, piuttosto frequenti, Gesù le dice:

«Faccio in modo che tu viva solo di me, per mostrare al mondo il valore e la potenza dell’Eucaristia, che è la vita mia per le anime».

Per lunghi anni, Alexandrina si nutrì solo dell’Eucaristia, senza alcun altro cibo.

«Parla alle anime, figlia mia, parla loro del Rosario e dell’Eucaristia. Il Rosario, il Rosario! L’Eucaristia, il mio Corpo e il mio Sangue!».

Tra le mura della sua cameretta, Alexandrina diventa cooperatrice salesiana, sicura che lo stile salesiano di apostolato in mezzo alla gioventù può essere vissuto anche nell’offerta sacrificale con il Crocifisso, come aveva pure insegnato Don Bosco e avevano vissuto in modo singolare i salesiani come Don Augusto Czartoryski, Don Luigi Variara, Beati e Don Andrea Beltrami.

Nel silenzio della sua stanzetta, mentre sale a Dio la sua offerta, vera oblatio munda con Gesù, ella riceve folle di persone che accoglie sempre sorridendo, nonostante le grandi sofferenze che ininterrottamente vive nel corpo e nello spirito.
A loro dona luce, gioia e senso cristiano della vita: avvengono così prodigi di conversioni in numerose persone che dall’incredulità si avvicinano a Gesù, mentre altre passano a una vita più fervente.
Anche il Papa Pio XI si interessa al suo caso e incarica il canonico Emanuele Percira Vilar, di esaminare l’ammalata di Balasar. Lei gli chiede con insistenza di consacrare il mondo al cuore immacolato di Maria. Ma al momento nessuno comprende.
Durante un’estasi, il Signore le dice: «Io voglio la Consacrazione del mondo alla mia Madre Immacolata. Ma voglio che tutto il mondo ne sappia la ragione «perché si faccia penitenza e preghiera. È per questo che ti faccio soffrire. E dovrai soffrire ancora molto finché il Papa lo consacri». Nella stessa estasi, Alexandrina riferisce: «Vedevo una distruzione tanto grande: case che crollavano una dopo l’altra e in poco tempo tutta la terra sembrava sommersa da un grande fumo. Il Signore mi disse: Quello che vedi è quanto capiterà.

E se il mondo sarà consacrato alla Mamma del cielo?
Soltanto per lei potrà essere salvato, ma solo se il mondo farà penitenza e si convertirà».
Era la notte fra il 24 e il 25 aprile 1938, quando Alexandrina ebbe questa estasi.
Nella primavera del 1942 il Signore le disse:

«Non ti alimenterai più sulla terra. Il tuo cibo sarà la mia Carne». Iniziò allora lo straordinario digiuno che durò fino alla morte. I medici esaminarono scientificamente il caso. «Perché non mangia?», le chiesero.
«Non mangio perché non posso; mi sento sazia, non ne ho necessità. Però ho desiderio di cibo».

Per quaranta giorni i medici sottoposero Alexandrina a uno scrupoloso esame, senza mai abbandonarla né di giorno, né di notte. Alla fine scrissero che il suo era un caso eccezionale che non trovava nessuna spiegazione anche perché il suo peso rimaneva immutato, e non c’erano variazioni né sulla temperatura, né nella respirazione, né per la pressione o il polso e che le sue facoltà mentali restavano normali, costanti e lucide.
È segnata nel suo corpo dalle stigmate, i segni della Passione di Gesù, ma pur tra atroci dolori, il suo sorriso diviene trasparenza di Cielo, irradiazione della Vita divina; tocca i cuori che escono dall’incontro con lei, portando i segni del cambiamento interiore.
È una vita singolarmente attiva, di una socialità straordinaria, la socialità massima della Croce di Cristo, che è il dono supremo, che Don Umberto Pasquale nella sua biografia ha narrato con dovizia di episodi e di particolari, narrando una vera storia d’amore, una delle più grandi meraviglie del secolo XX. Per più di trent’anni, Alexandrina rimane immobile nel suo letto, fino al 13 ottobre 1955, quando avviene il suo passaggio dalla vita terrena al Cielo.
All’alba chiede che le sia dato il crocifisso e la medaglia dell’Addolorata da baciare. Alle otto riceve ancora la Comunione. È l’ultima. Nella mattinata vengono in molti a visitarla. A un gruppo di persone raccomanda:


«Non peccate. Il mondo non vale nulla. Fate sovente la Comunione. Recitate il Rosario ogni giorno. Addio, arrivederci in Cielo».

Verso le 11 si volge al medico e gli dice con gioia: «Manca poco!». Il medico le dice:

«Non si dimentichi... preghi molto per noi». Chi le è accanto le dice: «sì, in Cielo, ma non adesso».
Lei, con un sospiro dice ancora: «Sì, in Cielo. Vado in Cielo... presto... adesso».

Alle ore 20 dà un bacio lunghissimo al Crocifisso. Ventinove minuti dopo, senza un tremito, senza un sussulto, spira.
A Oporto, nel pomeriggio del giorno 15, i fiorai rimasero tutti privi di rose bianche. Tutte vendute. Erano state inviate a Balasar: un omaggio floreale ad Alexandrina che era stata la rosa bianca di Gesù.

Alcuni messaggi

Ecco alcuni dei messaggi che Alexandrina ci ha lasciato, frutto delle sue locuzioni interiori.
«Fa’ che io sia amato – le chiede Gesù – che io sia consolato e riparato nella mia Eucaristia».
«Di’ in mio nome che a quanti faranno bene la Santa Comunione per i primi sei giovedì del mese e passeranno un’ora di adorazione davanti al mio Tabernacolo, in intima unione con Me, Io prometto loro il Cielo».
«Di’ che onorino, attraverso l’Eucaristia, le mie sante Piaghe... chi al ricordo delle mie Piaghe, unirà quello dei dolori della mia Madre benedetta e per loro chiederà grazie spirituali e corporali, ha la mia promessa che saranno accordate, a meno che non siano di danno per la loro anima».
«Parla dell’Eucaristia, che è prova del mio amore infinito, che è il mio sacrificio perenne, l’alimento celeste delle anime».
«Di’ alle anime che mi amano, che vivano unite a Me durante il loro lavoro; nelle loro case, sia di giorno che di notte, si inginocchino sovente in spirito e a capo chino dicano: “Gesù, ti adoro in ogni luogo dove abiti sacramentalmente; ti faccio compagnia per coloro che ti disprezzano; Ti amo per coloro che non Ti amano; Ti do sollievo per coloro che ti offendono. Gesù vieni nel mio cuore e prendine totalmente possesso».
«Questi momenti saranno per me di grande gioia e consolazione. Quanti crimini si commettono contro di me, nella Santissima Eucaristia!».
«Venga ben predicata e ben propagata la devozione all’Eucaristia, perché per giorni e giorni, le anime non mi visitano e non mi amano, non riparano. Non credono più che Io abito nel tabernacolo, diversamente mi farebbero compagnia, in primo luogo i miei consacrati».
«Voglio che accenda nelle anime la devozione verso l’Eucaristia. Sono tanti che pur entrando nelle chiese, neppure mi salutano e non si soffermano un momento per adorarmi».
«Lontano dal Cielo, lontano da Gesù... oh se fosse ben compreso quale tesoro racchiude il tabernacolo! È la vita, è l’amore, è la gioia, è la pace, è il Paradiso in terra. Vorrei che vi fossero tanti amici prostrati davanti al tabernacolo per non lasciar accadere tanti e tanti crimini».
Il 25 aprile 2004, il Santo Padre, Giovanni Paolo II, eleva alla gloria degli altari l’eroica cooperatrice Alexandrina da Costa.
Paolo Risso ***

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MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino

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