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giovedì 23 febbraio 2012

socci2


Quei muri
 appesi ai Crocefissi…
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crocifisso

5 novembre 2009 / In Articoli
Gesù è stato giudicato – duemila anni fa – dalle varie magistrature del suo tempo. E sappiamo cosa decise la “giustizia” di allora.
Oggi la Corte europea di Strasburgo ha emesso una sentenza secondo cui lasciare esposta nelle scuole la raffigurazione di quell’Innocente massacrato dalla “giustizia umana” viola la libertà religiosa.
E’ stato notato che semmai il crocifisso ricorda a tutti che cosa è la giustizia umana e cosa è il potere ed è quindi un grande simbolo di laicità (sì, proprio laicità) e di libertà (viene da chiedersi se gli antichi giudici di Gesù sarebbero contenti o scontenti che una sentenza di oggi cancelli l’immagine di quel loro “errore giudiziario” o meglio di quella loro orrenda ingiustizia).
Ma discutiamo pacatamente le ragioni della sentenza di oggi: il crocifisso nelle aule, dicono i giudici, costituisce “una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di religione degli alunni”.
Per quanto riguarda la prima ragione obietto che quel diritto dei genitori è piuttosto leso da legislazioni stataliste che non riconoscono la libertà di educazione e che magari usano la scuola pubblica per indottrinamenti ideologici.
La seconda ragione è ancor più assurda. Il crocifisso sul muro non impone niente a nessuno, ma è il simbolo della nostra storia. Una sentenza simile va bocciata anzitutto per mancanza di senso storico, cioè di consapevolezza culturale, questione dirimente visto che si parla di scuole. Pare ignara di cosa sia la storia e la cultura del nostro popolo.
Per coerenza i giudici dovrebbero far cancellare anche le feste scolastiche di Natale (due settimane) e di Pasqua (una settimana), perché violerebbero la libertà religiosa.
Stando a questa sentenza, l’esistenza stessa della nostra tradizione bimillenaria e la fede del nostro popolo (che al 90 per cento sceglie volontariamente l’ora di religione cattolica) sono di per sé un “attentato” alla libertà altrui.
I giudici di Strasburgo dovrebbero esigere la cancellazione dai programmi scolastici di gran parte della storia dell’arte e dell’architettura, di fondamenti della letteratura come Dante (su cui peraltro si basa la lingua italiana: cancellata anche questa?) o Manzoni, di gran parte del programma di storia, di interi repertori di musica classica e di tanta parte del programma di filosofia.
Infatti tutta la nostra cultura è così intrisa di cristianesimo che doverla studiare a scuola dovrebbe essere considerato – stando a quei giudici – un attentato alla libertà religiosa. In lingua ebraica le lettere della parola “italia” significano “isola della rugiada divina”: vogliamo cancellare anche il nome della nostra patria per non offendere gli atei? E l’Inno nazionale che richiama a Dio?
Perfino lo stradario delle nostre città (Piazza del Duomo, via San Giacomo, piazza San Francesco) va stravolto? Addirittura l’aspetto (che tanto amiamo) delle vigne e delle colline umbre e toscane – come spiegava Franco Rodano – è dovuto alla storia cristiana e ad un certo senso cattolico del lavoro della terra: vogliamo cancellare anche quelle?
Ma non solo. Come suggerisce Alfredo Mantovano, “se un crocifisso in un’aula di scuola è causa di turbamento e di discriminazione, ancora di più il Duomo che ‘incombe’ su Milano o la Santa Casa di Loreto, che tutti vedono dall’autostrada Bologna-Taranto: la Corte europea dei diritti dell’uomo disporrà l’abbattimento di entrambi?”
Signori giudici, si deve disporre un vasto piano di demolizioni, di cui peraltro dovrebbero far parte pure gli ospedali e le università (a cominciare da quella di Oxford) perlopiù nati proprio dal seno della Chiesa?
Infine (spazzata via la Magna Charta, san Tommaso e la grande Scuola di Salamanca) si dovrebbero demolire pure la democrazia e gli stessi diritti dell’uomo (a cominciare dalla Corte di Strasburgo) letteralmente partoriti e legittimati (con il diritto internazionale) dal pensiero teologico cattolico e dalla storia cristiana?
La stessa Costituzione italiana – fondata sulle nozioni di “persona umana” e di “corpi intermedi” (le comunità che stanno fra individui e Stato) – è intrisa di pensiero cattolico. Cancelliamo anche quella come un attentato alla libertà di chi non è cattolico?
E l’Europa? L’esistenza stessa dell’Europa si deve alla storia cristiana, se non altro perché senza il Papa  e i re cristiani prima sui Pirenei, poi a Lepanto e a Vienna, l’Europa sarebbe stata spazzata via diventando un califfato islamico.
Direte che esagero a legare al crocifisso tutto questo. Ma c’è una controprova storica. Infatti sono stati i due mostri del Novecento – nazismo e comunismo – a tentare anzitutto di spazzare via i crocifissi dalle aule scolastiche e dalla storia europea.
Odiavano l’innocente Figlio di Dio massacrato sulla croce, furono sanguinari persecutori della Chiesa e del popolo ebraico (i due popoli di Gesù) che martirizzarono in ogni modo e furono nemici assoluti (e devastatori) della democrazia e dei diritti dell’uomo (oltreché della cultura cristiana dell’Europa e della civiltà).
Il nazismo appena salito al potere scatenò la cosiddetta “guerra dei crocefissi” con la quale tentò di far togliere dalle mura delle scuole germaniche l’immagine di Gesù crocifisso.
Non sopportavano quell’ebreo, il figlio di Maria, e volevano soppiantare la croce del Figlio di Dio, con quella uncinata, il simbolo esoterico dei loro dèi del sangue e della forza. Lo stesso fece il comunismo che tentò di sradicare Cristo dalla storia stessa.
Se le moderne istituzioni democratiche europee si fondano sulla sconfitta dei totalitarismi del Novecento, non spetterebbe anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo considerare che la tragedia del Novecento è stata provocata da ideologie che odiavano il crocifisso (e tentarono di sradicarlo) e che i loro milioni di vittime si ritrovano significate proprio dal Crocifisso?
Non a caso è stata una scrittrice ebrea, Natalia Ginzburg, a prendere le difese del crocifisso quando – negli anni Ottanta – vi fu un altro tentativo di cancellarlo dalle aule: “Non togliete quel crocifisso” fu il titolo del suo articolo.
Scriveva:
“il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? (…) Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano”.
La Ginzburg proseguiva:
“Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo… prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini… A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola”.
Con tutto il rispetto auspichiamo che pure i giudici lo apprendano. “Il crocifisso fa parte della storia del mondo”, scrive la Ginzburg.
Infine il crocifisso è il più grande esorcismo contro il Male. Infatti non è il crocifisso ad aver bisogno di stare sui nostri muri, ma il contrario. Come dice un verso di una canzone di Gianna Nannini: “Questi muri appesi ai crocifissi…”. Letteralmente crolla tutto senza di lui, tutti noi siamo in pericolo.
Per questo potranno cancellarlo dai muri e alla fine – come accade in Arabia Saudita – potranno proibirci anche di portarne il simbolo al collo, ma nessuno può impedirci di portarlo nel cuore. E questa è la scelta intima di ognuno. La più importante.

Antonio Socci Da  Libero 4 novembre 2009


Postato da: giacabi a 21:55 | link | commenti
croce, socci

lunedì, 14 settembre 2009


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Ringrazio immensamente tutti coloro che in queste ore pregano per mia figlia, Caterina, 24 anni, che si trova in coma all’ospedale di Firenze per un inspiegabile arresto cardiaco.

C’è una cosa importantissima e preziosissima che si può fare: pregare! Far celebrare messe e recitare rosari per la sua guarigione  è, in questo momento, la speranza più grande. Noi e gli amici lo stiamo facendo instancabilmente, anche con la recita della preghiera per ottenere l’intercessione di don Giussani (ve la copio qua sotto).

Io e tutta le mia famiglia ve ne siamo grati.

Che Dio vi benedica.

Antonio Socci

Signore Gesù, tu che ci hai donato don Giussani come padre e ci hai insegnato, attraverso di lui, la gioia di riconoscere la nostra esistenza come offerta a te gradita, concedici per sua intercessione la grazia della guarigione di Caterina. Te lo chiediamo per la sua glorificazione e per la nostra consolazione. Amen.



Postato da: giacabi a 17:16 | link | commenti
socci, giussani

domenica, 30 agosto 2009

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Cari detestabili colleghi, editorialisti, intellettuali, direttori, inviati dei giornali: andate a quel paese. Capalbio, Cortina, Todi o dove volete voi.

Siete snob e noiosi, pretenziosi e incolti (almeno sulla religione), imbevuti di ideologia e pregiudizi, provinciali, narcisisti (quasi come me), rinchiusi nel pasoliniano Palazzo dove non vedete che voi stessi e vi rispecchiate in quelli come voi, dove non parlate che di politica e non pensate che politicamente perché siete ancora sotto le macerie del Sessantotto: andate a quel paese e restateci.

Tanto da lì potrete continuare ad ammorbare le pagine dei giornali dove il caso politico dell’estate è frugare nelle mutande del premier e dove il caso culturale è lo scazzo Scarpa-Scurati che la gente normale – se perdesse tempo a leggerne le cronache – liquiderebbe con un sonoro “ecchisenefrega”.

Meriterebbero tutti (meriteremmo tutti), giornalisti, cervelloni, politici, editorialisti, un grande calcio in culo? Enzo Jannacci che al Meeting di Rimini ha portato la sua commozione e la sua vita nuda, con una sincerità rara (uno dei pochi casi simili che ricordo è quello di Giovanni Testori), Jannacci che dice, con la sua disarmante inermità fanciullesca “amo Gesù”, ecco Jannacci sente che se Lui scendesse dalla croce dovrebbe prenderci tutti “a calci in culo”, che lo meriteremmo.

Ma Enzo in realtà è rimasto commosso dalla “carezza del Nazareno”. Dal fatto che Lui continua a far sentire a noi cazzoni immemori il calore della sua misericordia, della sua amicizia e la vertigine della sua bellezza.

Allora, cari colleghi, amici e nemici, se voleste alzare lo sguardo dal panorama gratificante del vostro ombelico, se – hai visto mai – aveste ancora una qualche curiosità nella ricerca della Verità (ma c’è qualcuno che la cerca?) o – chissà – se qualcuno sentisse agra la ferità della Bellezza e il fascino e il dolore della vita, vi prego, passate un giorno nella cittadella del Meeting, in questa cattedrale della giovinezza: l’assolutamente altro da voi.

Guardate, ascoltate, riflettete, leggete. Andate in quel villaggio sui generis che è in questi giorni la Fiera di Rimini. Ascoltate le storie, le testimonianze, guardate quelle facce giovani e luminose: potreste sentire la carezza del Nazareno anche voi. E non la dimentichereste più.

O forse qualcuno di voi potrebbe porsi una domanda. Almeno una – voi che siete nati “già saputi” – magari di sapore sociologico come quelle che voi prediligete: dov’è oggi nel mondo un avvenimento culturale che richiama 700 mila presenze, che è tenuto in piedi – come quest’anno – da 3058 volontari (che lavorano qui gratis e a proprie spese) più altri 700 che hanno costruito il Meeting prima (sono venuti a dare una mano perfino dei terremotati dell’Aquila, colpiti da ragazzi del movimento di CL che erano andati in Abruzzo ad aiutare)?

Dov’è una “cosa” simile che propone 116 incontri, 26 spettacoli, 8 mostre, che ascolta 299 relatori, che ha ospitato le maggiori personalità della scena mondiale (in questi 30 anni tutti, da Lech Walesa a Ionesco, da Tony Blair a Madre Teresa, da Giovanni Paolo II e Ratzinger a Tarkowskij, da Helmuth Kohl al Dalai Lama, da Von Balthasar a Renzo de Felice, da Carreras a Marta Graham, dai vertici dell’Onu, ai leader di tanti popoli a cominciare da Israele, Palestina)?

La risposta è semplice: non esiste nulla di paragonabile in nessuna parte del mondo. E ancor più eclatante e sorprendente è il fatto che una cosa simile non sia nata da qualche potentato finanziario, politico o culturale o da importanti istituzioni. Ma che sia nato tutto da un gruppo di giovani appassionati alla Bellezza e alla Verità dopo aver conosciuto un prete speciale, don Luigi Giussani. Affascinati dal suo sguardo in cui avvertirono “la carezza del Nazareno” sui loro cuori giovani. 

E’ sorprendente, considerata la condizione di assedio, bombardamento e annichilimento sistematico della cultura cattolica in questi 50 anni, spesso ad opera di quegli stessi intellettuali cattolici che avrebbero dovuto esprimerla. Considerato che i potentati mediatici continuamente stravolgono il cattolicesimo e hanno trasformato in un “teologo cattolico” perfino Vito Mancuso, che non è né l’uno né l’altro, e si fanno raccontare il cristianesimo da Corrado Augias (che sarebbe come farsi spiegare la relatività di Einstein da Jovanotti).

Ho seguito le cronache dei giornali dal Meeting: sempre più scarne, riguardano sempre e solo le dichiarazioni di questo o quel politico o economista. Gli inviati a Rimini stanno barricati in sala stampa, impermeabili a quello che sta accadendo attorno a loro (i giornali si fanno così oggi). Solo a caccia dei politici. Quando qualcosa “buca” il muro dell’indifferenza – che so, la conversione di Jannacci – la si annega nel Banal grande di ritorno.

Per tutta l’estate Repubblica ha sparato editoriali sulla Chiesa dalla prima pagina impegnando le sue firme di punta: Ezio Mauro (il direttore), Eugenio Scalfari, Adriano Sofri, Adriano Prosperi. I quali – per ottenere un anatema su Berlusconi – hanno spiegato a noi, al Papa e ai vescovi cose è il cristianesimo. Ce ne fosse uno che è andato a Rimini a farselo spiegare da chi lo vive, da missionari e testimoni che, sotto “le tende” della Fiera, raccontano storie struggenti e bellissime.

E fanno percepire come “la carezza del Nazareno” – oggi, ora – sta avvolgendo e sconvolgendo la vita di milioni di persone, dal Sudamerica alla Siberia, dal Sudan alla Cina fino ai Rione Sanità di Napoli e al carcere di Padova.

Immaginate in pieno agosto 15 mila (dicasi quindicimila!!!) persone assiepate ad ascoltare un professore di filosofia sconosciuto ai giornali, Carmine Di Martino a parlare di Cartesio e della nozione di conoscenza in don Giussani, di Kant e di sant’Agostino che solleva la grande domanda: “Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem?” (che cosa infatti desidera l’uomo più potentemente della verità?).

Quindicimila persone, perlopiù giovani, sotto il sole riminese, quindicimila pioppi che in quel momento sentono soffiare fra le loro fronde una grande ventata e ognuno pensa a sé, al mistero che è per se medesimo, pensa al volto che ama, all’avventura della sua vita. E anche il mare blu e il cielo azzurro vibrano…

E’ una cosa dell’altro mondo quella che si vede qui. Una cosa dell’altro mondo in questo mondo. Lasciatelo dire a me che, in un paio di occasioni, negli anni passati, ho criticato certe scelte del Meeting: si può ben discutere e avere opinioni diverse, ma restare indifferenti non si può se si ama appena un po’ la nostra comune umanità.

E pensate ai ventimila che, martedì scorso, hanno affollato la Fiera per ascoltare Julian Carròn e hanno sentito il brivido nel cuore per la storia di Paolo di Tarso a cui la “carezza del Nazareno” è arrivata come un ciclone e che poi questo ciclone ha fatto irrompere in tutto il mondo di allora arrivando fino a Roma dove ha stupito e commosso perfino gli intellettuali del tempo come Seneca.

Una folla immensa di ventimila giovani e meno giovani ha ascoltato Carròn: attentissimi, pensosi, stupiti, commossi. Ma – per dire – sul Corriere della sera ieri l’articolo più ampio era dedicato a ben altra manifestazione cattolica. Udite udite: il “Premio Giovanni Paolo II” assegnato a Roberto Calderoli a Scafati, nell’agro nocerino (provincia di Salerno), dall’associazione “Continente uomo” promossa dal consigliere comunale dell’Idv, Espedito De Marino.

Volete mettere… Non c’è confronto fra questa fondamentale manifestazione di Scafati e il Meeting. Il Corrierone, che da mesi, per la penna di Ernesto Galli Della Loggia, lamenta l’incultura e la rozzezza dei politici e delle classi dirigenti, ci mostra così con quale ampiezza di orizzonti e profondità culturale il più diffuso quotidiano del Paese racconta l’Italia. Complimenti.

Mi dispiace per voi, per l’aria asfittica che respirate nel Palazzo. Ma in terra di Romagna in questi giorni scorre buon vino e  soffia una bell’aria fresca. Come una carezza.



 Fonte Libero © 28 agosto 2009

Postato da: giacabi a 16:56 | link | commenti
socci, meeting di rimini

lunedì, 27 luglio 2009

Gesù protegge i peccatori alla Silvio
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Ci sono giornali e intellettuali che strattonano la Chiesa esigendo la condanna del peccatore. Si rassegnino: Berlusconi è corazzato da quel Gigante che attraversa le pagine dei Vangeli e che è la Misericordia fatta carne. Non è "protetto dai preti" (per qualche losco interesse), ma da Gesù stesso (come ciascuno di noi peccatori).
E i preti devono essere loro stessi il volto di Gesù che attende e perdona il peccatore. Chi è stato, nella nostra generazione, l'immagine più perfetta di questo Salvatore che spalanca le braccia a fiumi di peccatori in cerca di perdono? Padre Pio. Icona di Cristo perfino nella carne (perché quei segni dei chiodi indicano che Gesù inchiodò alla croce la giustizia di Dio e fece vincere la "follia" della sua sconfinata misericordia). Per questo l'idea di andare a San Giovanni Rotondo da padre Pio è la migliore: non so se Berlusconi ci ha pensato davvero, ma è, in assoluto, il posto del mondo dove più è atteso. È casa sua e casa mia. La Chiesa è, ad immagine di Maria, "refugium peccatorum".
È il paradosso che si riflette poeticamente nei più grandi scrittori cristiani. Non a caso «la creazione più alta in cui si incarna, nei romanzi di Dostoevskij, la santità è paradossalmente una prostituta», nota don Barsotti. Cioè Sonja di "Delitto e castigo". Non il santo monaco Zosima, ma Sonja.
Il fariseo pretende sempre di accusare di incoerenza i peccatori che si affidano a Dio. Ma non si crede in Gesù Salvatore perché noi siamo perfetti, si crede perché lui è perfetto. Tanto più si ha il diritto di gettarsi fra le braccia del Salvatore quanto più noi siamo dei disgraziati. Un personaggio della "Sposa bella" di Bruce Marshall, uno che mostra di apprezzare la bellezza femminile e si dice cattolico, risponde al moralista che lo contesta: «È proprio qui che ti sbagli… Quasi tutti pensano che i loro peccati li abbiano privati del diritto di credere. Ma questo equivarrebbe a dire che la rivelazione cristiana è vera in maniera inversamente proporzionale ai propri vizi.
Nel Medioevo, la gente era cristiana anche nel peccato: il timore di essere accusata di incoerenza non la faceva cadere nell'errore di credere nella propria virtù».
Credere nella propria virtù, pronti a lapidare il peccatore, è quanto c'è di più anticristiano, mentre le ferite del peccato facilmente diventano le feritoie attraverso cui Dio, che non si rassegna a perdere nessuno dei suoi figli, ci raggiunge con il suo abbraccio.
Così Charles Péguy, un grande convertito del Novecento, memore delle pagine evangeliche sul pubblicano e il fariseo (e delle polemiche di Paolo e Agostino sulla Legge), scrive queste pagine provocatorie: «Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia. Ciò che si chiama la morale è una crosta che rende l'uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia operi sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori».
Infatti sul Calvario si convertì il "ladrone" (un brigante), mentre scribi e farisei, osservanti di tutti i 600 precetti della Legge, additavano Gesù come un maledetto da Dio. «È per questo» prosegue Péguy «che niente è più contrario a ciò che si chiama… la religione, come ciò che si chiama la morale. E niente è così idiota che confondere così insieme la morale e la religione».
Attenzione, Péguy – col suo linguaggio poetico - non sta facendo l'elogio dell'immoralità. Ma condanna l'ideologia della morale, cioè il giacobinismo, il moralismo farisaico e la pretesa di salvarsi da sé. Non è che Gesù fosse indifferente al peccato che anzi gli faceva una tristezza infinita. Ne aveva orrore, ma si struggeva di compassione per i peccatori. Era venuto per loro. Letteralmente. Nel Vangelo Gesù mostra una pietà infinita per i più miserabili peccatori, li perdona sempre, li risolleva sempre (li considera i più poveri), mentre sfodera parole di fuoco solo contro i "giusti", i rigoristi, i moralisti e gli "onesti" del suo tempo. I peccatori umiliati (resi umili dalla propria scandalosa debolezza) si salvano, dice una sua parabola, mentre i "giusti", insuperbiti dalla loro presunta rettitudine, no.
Scrive don Divo Barsotti: «È il tuo peccato che lo chiama; nulla più efficacemente della tua miseria lo attrae, purché tu gliela doni… In un istante i tuoi peccati sono distrutti, non sono più. Egli solo è». Per Gesù l'unico peccato che non si può perdonare è quello contro lo Spirito Santo, cioè quello dell'ideologia o dell'opposizione lucida e teorizzata contro Dio. Il peccato del pensiero oggi dominante che si erge deliberatamente contro Dio. Com'è stato, nel recente passato, il comunismo.
Perciò Pio XI nella Divini Redemptoris (citata dal Concilio) proclamava: «Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso».
Gilbert K. Chesterton in una pagina memorabile fa dire a un suo personaggio (evidente simbolo della Chiesa): «Noi sosteniamo che i delinquenti più pericolosi sono proprio quelli dotati di cultura, che il furfante più temibile è il filosofo moderno assolutamente privo di principi. Al suo confronto, bigami e tagliaborse sono esseri essenzialmente morali e il mio cuore palpita per loro. Essi non rinnegano il vero ideale dell'uomo, lo cercano in modo sbagliato, ecco tutto».
Invece i "filosofi", gli ideologi pretendono di teorizzare e trasformare il Male in Bene e viceversa.
Da duemila anni, la Chiesa è – per volontà del suo Maestro e Signore - la casa del peccatori, l'abbraccio del loro Padre misericordioso. Tutto nella Chiesa è fatto per i peccatori. Le grandi Cattedrali e il sublime gregoriano, le immense tele di Caravaggio e l'Agnus Dei di Mozart, la grandiosa teologia di Tommaso d'Aquino e il Giudizio universale di Michelangelo. Quello che c'è di più sacro sulla terra, cioè i sacramenti, sono fatti per i peccatori. Sono per loro. Infatti sono i gesti fisici (legati sempre a segni fisici) della presenza di Gesù che abbraccia, risolleva, cura, medica, consola, rafforza, chiama. Il Concilio ripete che la Chiesa è il primo, grande sacramento della salvezza. La Chiesa è la casa dei peccatori perché gli esseri umani sono i figli del Re. Anche quando sono in catene (nel peccato) sono i figli del Re, possono invocarlo e vengono da lui soccorsi. E gli angeli sono a loro servizio.
Chi invece contesta la regalità di Dio, quello non è figlio. Non può essere perdonato, perché non vuole l'abbraccio del Padre, ma lo odia e ne combatte lucidamente la presenza, le opere, la volontà, la bontà.
Invece – come spiega Agostino nelle "Confessioni" - nella debolezza del peccare talvolta si manifesta proprio la sete che ogni creatura ha di Dio. Spesso il peccato nasce dalla solitudine, dalla paura della morte, dall'incertezza di esistere che induce ad aggrapparsi alle creature, alla loro effimera bellezza creata. E così inconsapevolmente l'uomo mostra quanto ha sete e fame di Dio, la fonte della Bellezza, la vera Felicità, la vera Vita.
Un altro grande convertito del nostro tempo, Olivier Clément, osservando la generazione della "rivoluzione sessuale", negli anni Settanta, scriveva: «Nel peccato, e soprattutto nel peccato in quanto ricerca dell'innocenza mediante l'inferno, si delinea tutto il paradosso dell'uomo… Dovremmo essere in grado di discernervi la sete dell'infinito, la nostalgia della libertà e della comunione, la sofferenza di colui che cerca l'assoluto nelle realtà della terra, quelle realtà che non possono salvare, ma che attendono di essere salvate».
Clément parla di uomini in cerca di «un'eterna adolescenza» e conclude: «Nella grande e spesso folle prova della libertà dobbiamo distinguere la persona nel suo trasalimento ancora cieco e nel suo destino insaziabile, con la certezza che nella parte più profonda dell'inferno Cristo – per sempre vincitore di esso – attende colui che l'Apocalisse chiama "l'uomo di desiderio"». Perché Cristo è il solo medico della nostra malattia mortale.
di Antonio Socci
24/07/09


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socci

domenica, 10 maggio 2009

 
IL CASO BERLUSCONI, L’ABISSO DEL NULLA E LA CAREZZA DEL NAZARENO…
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A volte per Berlusconi certe esagerate difese dei suoi “tifosi” sono quasi peggio degli attacchi dei nemici. Per non fare nomi, Carlo Rossella ha dichiarato al “Giornale” che la sinistra non può criticare la vita privata del premier perché così fan tutti, anche a sinistra, e non ha trovato di meglio che evocare vari esponenti comunisti e infine addirittura “le vergini offerte in omaggio a Mao Tse-Tung”. Mi pare che citare le perversioni di un regime come quello comunista cinese e del suo sanguinario tiranno, rappresenti una “difesa” del Cavaliere quasi peggiore dei roghi allestiti da Santoro.
Il guaio in Italia è che tutto diventa un referendum prò o contro Berlusconi, qualunque sia il problema di cui si parla. Cosicché restano in scena solo le due fazioni e si perde di vista la realtà. Quello che non si vuole vedere oggi, per esempio, è che tutta la nostra società, tutta la nostra cultura e la mentalità dominante hanno un rapporto compulsivo col sesso e quindi con la realtà. Siamo tutti agitati e tristi, oscillanti tra l’euforia assatanata e la depressione, divoratori congestionati sempre insoddisfatti, frenetici consumatori di cose e di immagini, di televisione e di ideologie, di moralismi farisaici e di “occasioni” che ci facciano sentire vivi, di eccitanti (mentali o chimici), di successo, di soldi, smaniosi di “apparire” per accorgerci di esistere (sia i ragazzini di Maria de Filippi che le star della tv con il loro Ego arroventato).

Più proclamano che esiste solo “l’io e le sue voglie” e che ogni desiderio deve diventare diritto garantito per legge, più siamo terrorizzati dall’invecchiamento, dalla malattia e dalla prospettiva della morte. Morte che non è un evento del futuro, ma che sconti vivendo, ogni giorno, nella decadenza del tuo corpo e nella fragilità della tua psiche: nella tragicità della condizione umana. Non c’è destra e sinistra qui. L’anima di tutti s’impiglia in questa solitudine e in questi rovi della foresta oscura. Così siamo tutti moralisti immorali. I giudizi sugli altri sono farisaici, ipocriti perché così fan tutti, ma le giustificazioni del tipo “così fan tutti” sono maleodoranti e malvestite. Eludono il problema. E’ comodo essere corrivi. Della condizione umana non sappiamo più parlare. Della nostra condizioni di moderni.

E’ stato detto in questa tempesta: “come una persona che non sta bene”. Nessuno di noi sta bene. Pochissimi stanno bene con se stessi e sono pieni di pace e di gioia. Sono persone speciali di cui i mass media in genere non si occupano.

Ma fra questi pochi ci sono anche personaggi conosciuti: padri e maestri così sono stati per esempio, per la nostra generazione, don Luigi Giussani, Karol Wojtyla (come pure Joseph Ratzinger) o un monaco come don Divo Barsotti. Ho fra le mani un libro su di lui, “Sull’orlo di un duplice abisso”. Leggo questo suo pensiero che spiega perché ci aggrappiamo furiosamente alle cose, perché ci avventiamo disperatamente sulla carne del mondo: “Nel buddismo l’uomo che si appoggia alle cose è paragonato a un uomo che precipita giù per un precipizio che sprofonda nel mare, trova un ciuffo d’erba e ci si attacca: sotto c’è l’abisso, sopra non può più salire. Ma attaccato a questo ciuffo d’erba c’è un topo che rosicchia le radici dell’erba: vi immaginate il terrore dell’uomo che sta per precipitare giù in questo abisso? Ecco” proseguiva don Barsotti “
l’uomo vive questo. Noi cerchiamo di dimenticarlo ma viviamo questo, perché c’è la morte e, nella morte, questo abisso che è come il nulla. Invece, ecco Dio: Lui ti porta sulle sue ali. C’è l’abisso – sì, anche quando c’è Dio c’è l’abisso – ma tu sei portato sulle ali dell’aquila… Ecco la vita dell’anima: si vola sopra gli abissi e si va verso Dio, come l’aquila va verso il sole”.

Tutta la nostra vita (a cominciare dai nostri peccati) grida questo desiderio del Sole, questo bisogno di significato che ci sottragga all’abisso del nulla. Siamo mendicanti del senso dell’esistenza e dell’amore, cioè abbiamo una sete inestinguibile di Dio. Oggi sui media dilaga un freudismo da quattro soldi secondo cui Dio sarebbe una sublimazione del sesso. Ma l’evidenza della realtà dice esattamente l’opposto. Il sesso, il potere e il possesso: sono loro i surrogati a cui chiediamo di farci dimenticare la morte e tutti i suoi preavvisi, come l’invecchiamento. E’ l’ossessione del sesso e del possesso che ci serve a esorcizzare il nostro limite, la nostra paura, la nostra incertezza di esistere, il nostro inappagato desiderio di essere amati, voluti, la nostra sete di felicità. Cioè la nostra fame di Dio.

La prova è che quei surrogati non ci bastano mai. Anzi, siamo sempre più scontenti e agitati. Il vero desiderio che ci abita, fin dentro a tutte le nostre fibre, l’unico bisogno assoluto che abbiamo e che è inestirpabile e inestinguibile è Dio, perché noi siamo fatti per l’infinito, per una felicità senza limiti e tutto ci lascia insoddisfatti. Diceva sant’Agostino, che era stato un gran peccatore carnale: “O Signore, ci hai creai per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.

Ma figuratevi se i giornali si accorgono di questa attesa del cuore umano e di padri che ci aiutano a capirla, come don Barsotti. “Tutto cospira a tacere di noi” (Rilke). I divi delle vanità mediatiche sono gli Enzo Bianchi, non coloro che insegnano a gustare, nel silenzio delle colline sopra Firenze, l’abisso sulle ali di Dio e che ti fanno incontrare la carezza del Nazareno.

Eppure è di questa che abbiamo bisogno, tutti. Ecco, auguro a tutti noi, a Berlusconi e alla sua signora Veronica, a me e a te, amico che leggi, a Santoro e a Rossella, soprattutto a ogni essere umano che fatica nella solitudine delle nostre città, ai miei figli e a tutti i ragazzi e le ragazze (belle e meno belle), questa grande fortuna, la più grande che può capitare nella vita: sperimentare la carezza del Nazareno. Che abbia ancora pietà di noi. Che faccia riposare i nostri cuori smarriti al calore, alla bontà del suo sguardo.

“Egli” dice la grande poesia del salmo “ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge./ Ti coprirà con le sue penne/ sotto le sue ali troverai rifugio./ La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;/ non temerai i terrori della notte/ né la freccia che vola di giorno,/ la peste che vaga nelle tenebre,/ lo sterminio che devasta a mezzogiorno./…Egli darà ordine ai suoi angeli/ di custodirti in tutti i tuoi passi./ Sulle loro mani ti porteranno/ perché non inciampi nella pietra il tuo piede./ Camminerai su aspidi e vipere,/ schiaccerai leoni e draghi”.

Antonio Socci    Da “Libero” 9 maggio 2009



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sabato, 09 maggio 2009

“DITTATURA DEL RELATIVISMO”:
 STORIA DI UNA FRASE CLAMOROSA ***
 
 
Viene dal cardinale Giuseppe Siri in una straordinaria intervista del 1970 dove preconizza la necessità per la Chiesa di guardare agli uomini della Chiesa dell’Est europeo…
C’è un’espressione – “dittatura del relativismo” – pronunciata dal cardinale Ratzinger il 18 aprile 2005, alla messa “pro eligendo romano pontefice”, che è passata alla storia e che entusiasmò anche laici come Giuliano Ferrara e Marcello Pera. Sintetizza il pensiero del cardinale bavarese sul momento che viviamo ed è anche il “programma” per il quale proprio lui fu scelto come nuovo papa.

Le sue parole suonavano così: “
Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via”.

Aggiungeva:
“Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.

Da lui viene “il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”. L’espressione “dittatura del relativismo” ha un precedente clamoroso (chissà se Ratzinger lo conosceva e vi si è ispirato): fu coniata infatti dal cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, uno degli uomini più autorevoli della Chiesa da Pio XII a Giovanni Paolo II (nel 1975 fu l’autore di una memorabile “Nota per il clero” sul “progressismo” che fa letteralmente a pezzi il cattoprogressismo).

Siri – che è stato fra i papabili più quotati in ben quattro conclavi – nel 1970 dette una intervista a “Renovatio”, la rivista che aveva fondato, alla cui direzione aveva chiamato don Gianni Baget Bozzo (da lui stesso ordinato). Sarebbe interessante sapere se proprio don Gianni era l’intervistatore, certamente ha la paternità del titolo di quella straordinaria conversazione che fu “La dittatura dell’opinione” (nel testo del cardinale è chiamata anche dittatura del relativismo). Va detto, en passant, che testi del genere, insieme ai libri del cardinale, meriterebbero di essere ripubblicati, per la forza profetica e la profondità che hanno (ma l’editoria sembra orientata solo su teologi e cardinali “progressisti”).

Alcune perle da quell’intervista. “
Gli uomini si ritengono liberi: è questa loro opinione, di essere liberi perché è scritto nei testi giuridici, il massimo momento e manifestazione della loro servitù. In realtà molti vivono sotto una dittatura: la dittatura dell’opinione”.

Spiega ancora Siri:
“La prima e fondamentale dottrina del potere di questo mondo è l’affermazione: non c’è verità… La differenza principale tra ‘civitas mundi’ e ‘civitas Dei’ non sta sul contenuto, ma sull’esistenza della verità. Se non c’è nulla di vero, allora l’unico principio che conta è l’utile”.

La diagnosi del prelato prosegue
: “Il dramma è che tanti non capiscono nulla del loro tempo. L’uomo è oppresso dalle potenze di questo mondo, dai loro miti. La Chiesa non è con il mondo: la Chiesa è con l’uomo, essa è la voce della libertà che nasce dallo Spirito Santo. La Chiesa non può essere là dove regnano le forme ciniche o quelle eversive e nichiliste dei padroni di questo mondo e di questo tempo...” Siri giudica “la cultura di massa asservita ad interessi ben precisi”, essa “rappresenta una selezione precisa di un’immagine d’uomo senza profondità perché senza spirito”. Uomo quindi “manipolabile da un efficace sistema di persuasori occulti”. Con la collaborazione di “quei teologi della cultura di massa che hanno lanciato lo slogan della morte di Dio con il medesimo tipo di diffusione di un prodotto commerciale”.

Esiste, anche in teologia, una tecnica per sostituire alla verità l’opinione? Siri la vede nell’ “attuale pubblicistica religiosa, letteraria, filosofica”. La “tecnica del relativismo” diventa molto efficace, spiega il prelato, specialmente “riducendo ogni questione dottrinale negli schemi di destra e di sinistra. Tutto si relativizza, tutto diviene questione di opinione e mezzo di potere”.

Più avanti aggiunge: “
il relativismo è la condizione per la manipolazione dell’uomo”, per la “mitizzazione del suo comodo e della sua utilità: che è la via della sua servitù, della sua tristezza, della sua angoscia, della sua noia, della sua follia”. Ed è qui che insorge “il problema della salute mentale come un problema dell’uomo d’oggi” prodotto dal “disordine dello spirito” della cultura dominante. Che paradossalmente si presenta come “un’ideologia del benessere”.

Essa trasmette “un’immagine dell’uomo senza profondità e senza significato, dell’uomo senza spirito e senza Dio” ed “è diffusa oggi da una catena imponente di mezzi di diffusione del pensiero, che impongono con la forza del loro apparato la loro immagine del mondo come se fosse la realtà stessa… L’uomo viene così condotto alla disperazione, perché il piacere, colto giorno per giorno, svanisce giorno per giorno”.

In questa profetica intervista – datata 1970 – Siri considera già il problema ecologico in questa prospettiva spirituale:
“Il potere delle tenebre conduce l’uomo alla morte... il deterioramento del pianeta, dell’aria, dell’acqua, conduce l’umanità al suicidio. Ma chi imporrà legge agli interessi, alla caccia del lucro?”.

Peraltro “la dittatura dell’opinione in cui viviamo si ripercuote anche nella vita ecclesiastica…
Oggi, ogni teologo che passi per iconoclasta, liberatore, innovatore, è subito captato da un’editoria compiacente, che diffonde per tutti i canali dei mezzi di massa questo dissenso confortevole, questa iconoclastia per amor del comodo e del successo. Il divismo di teologi, di scrittori, di figure della protesta: ecco un dolore, una sofferenza per la Chiesa di oggi: coloro che denigrano il passato della Chiesa per affermare che è proprio dal rinnegamento di esso che la Chiesa riemergerà più autentica”.

Siri riconosce che “la presente situazione della Chiesa è una delle più gravi della sua storia, perché questa volta non è la persecuzione esteriore a impugnarla, ma la perversione dall’interno. Più grave”. Parla perfino di “coloro che usano della loro funzione ecclesiastica per sovvertire la Chiesa”. Parla di abusi nella liturgia e dell’ideologia ecumenista. Afferma: “La cosa più urgente è restaurare nella Chiesa la distinzione tra verità ed errore”. Ma aggiunge: “ci sono tanti segni, che indicano che i demolitori della Chiesa hanno fatto il loro tempo”.

E qui ha un’intuizione che è “profetica”: bisogna guardare agli uomini della Chiesa dell’Est, quella provata dalla persecuzione comunista: “Noi siamo in un tempo di prova e nei tempi di prova è più facile vedere la tenebra che la luce. Ma la luce è presente: la potenza stessa della tenebra è un mezzo di purificazione... Noi sappiamo che il Signore conduce le cose in bene… La nostra umana debolezza, l’isolamento, il senso di sconfitta apparirà cambiato dalla potenza di Dio, in segno della gloria della sua città...”.

Ecco la “profezia” di Siri: “
Ho sempre notato che in genere gli errori teologici derivano da inquinamenti marxisti. È una storia lunga. Ma finora non ho trovato sulla mia strada uomini cosi puri nella fede come quelli che hanno esperimentato nella vita quella teoria. Sono stati vaccinati”.

Otto anni dopo il Conclave chiamerà al papato proprio un uomo dall’Est, che addirittura abbatterà il moloch dei sistemi comunisti con la forza di una testimonianza inerme. Siri diceva nel 1970: “
Nel momento in cui tutto umanamente sembra perduto, allora è il tempo dello Spirito Santo: che conduce al nulla i potenti di questo mondo e trova vie impensate per mostrare agli uomini la divinità della Chiesa, della sua opera di santificazione e di santità”.
Così è stato.

Antonio Socci

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venerdì, 20 marzo 2009

 LA BUFALA DELLA BAMBINA SCOMUNICATA
***
Il professor Adriano Prosperi ed Ezio Mauro ammetteranno il clamoroso errore? Io penso che, da persone serie, bisogna aspettarselo. Ieri sulla prima pagina di Repubblica infatti è uscito un editoriale dello storico che ha un finale pesantissimo con la Chiesa, ma basato su una notizia letteralmente falsa, smentita dalla stessa cronaca di Repubblica.

Parlando della fanciulla di 9 anni, di Recife in Brasile, che è stata violentata, è rimasta incinta ed è stata fatta abortire, l’editoriale di Prosperi (peraltro letto, quindi amplificato, pure alla rassegna stampa di Radio Radicale), tuonava infatti contro “la durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina brasiliana e i medici che ne hanno salvato la vita facendola abortire”.

Ora sarebbe bastato che l’autore dell’articolo sfogliasse i giornali, compreso il suo, per accorgersi che la bambina brasiliana non è mai stata scomunicata e anzi, per la Chiesa, è la vittima di una società disumana, da colmare di amore materno. Anche dalla Repubblica risultava infatti che il pronunciamento (sbagliato) del vescovo di Recife non riguardava la fanciulla per la quale il presule ha avuto parole di comprensione. Nell’articolo di Repubblica del 6 marzo, firmato da Orazio La Rocca, si legge: “l’arcivescovo di Recife, nello specificare che il provvedimento non riguarda la bambina, puntualizza che il ‘peccato’ d’aborto ricade esclusivamente sui medici e ‘chi lo ha realizzato - si è augurato il presule spiegando i termini del provvedimento - si spera che, in un momento di riflessione, si penta’ ”.
Non solo. E’ noto che sull’Osservatore romano del 15 marzo è uscito l’autorevole editoriale di monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita, che si intitolava significativamente “Dalla parte della bambina brasiliana” e sconfessava di fatto, anche per quanto riguarda l’anatema sui medici, il vescovo di Recife, per il suo pronunciamento inopportuno e non improntato anzitutto alla misericordia e alla prudenza su un caso tanto delicato.
Fisichella, pur ribadendo le norme del codice di diritto canonico sull’aborto, ha sottolineato che questo caso specifico è molto particolare dal punto di vista della teologia morale, trattandosi della violenza su una bambina la cui vita era messa in pericolo dalla gravidanza stessa, quindi non ci si doveva affrettare a tuonare con quel giudizio che somiglia a una mannaia: “Carmen”, ha scritto Fisichella sull’Osservatore, parlando idealmente alla bambina, “stiamo dalla tua parte. Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno. Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia. Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti”.

Di tutto questo non c’è traccia nell’editoriale di Prosperi che ha sentenziato, senza informarsi, parlando di “durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina”. Sorprende pure lo stato maggiore della Repubblica che ha collocato in prima pagina l’editoriale di Prosperi senza accorgersi che capovolgeva la verità dei fatti che la stessa Repubblica aveva riportato.

A cosa si deve un così clamoroso errore? Non volendo pensare a malafede bisogna attribuirlo a ignoranza o superficialità. Ma Prosperi non è un qualsiasi frettoloso cronista di provincia: è, se non sbaglio, un accademico, un esimio storico, uno di quegli intellettuali togati che fa gli occhi alle pulci e che ben conosce il dovere assoluto di documentarsi prima di scrivere e soprattutto prima di emettere sentenze di condanna di quella gravità.

In questo caso documentarsi era facilissimo perché tutti i giornali hanno riportato la cronaca. Non voglio pensare che anche il professor Prosperi sia così roso da furore anticlericale da ritenere che, quando c’è da bombardare la Chiesa, non sia necessario essere rigorosi, documentarsi e rispettare la verità dei fatti.

Ma il pregiudizio ideologico – che di questi tempi, a Sinistra, rasenta il fanatismo anticlericale – gioca brutti scherzi e, in questo clima avvelenato nel quale si tende quotidianamente al linciaggio morale della Chiesa, anche gli intellettuali più titolati rischiano, per faciloneria o faziosità, di accodarsi alla corrente e trovare qualche buccia di banana.

L’invettiva di Prosperi del resto è andata avanti per molte righe. Accennando vagamente all’articolo di Fisichella l’ha liquidato con una riga: “di fatto non risulta che quella scomunica sia stata cancellata”. Ma se non c’è mai stata alcuna scomunica per la bambina (neanche del vescovo di Recife) come poteva essere cancellata? Oltretutto la scomunica “latae sententiae” non prevede una cancellazione formale, ma semplicemente il confessionale. Ma Prosperi non si attarda a ragionare sui fatti e prosegue la sua invettiva: “Il corpo della donna resta ancora per questa Chiesa un contenitore passivo di seme maschile”.

E qui siamo al problema: Prosperi ha una teoria, sintetizzata da questa terribile frase, e ci teneva a ribadirla. Se i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti. Basta ignorarli. Questo modo di procedere si chiama ideologia. Nel merito della tesi di Prosperi, fra l’altro, obietterei che è semmai la moderna mentalità laica e libertaria che trasforma la donna in un “contenitore passivo di seme maschile”. Ma Prosperi non sembra sfiorato da dubbi e sbrigativamente mette al rogo la Chiesa, in un processo sommario che condanna la strega cattolica imputandole il falso.

Con la virulenza di un inquisitore laico il professore tira un’ultima legnata tuonando che per questa Chiesa “l’anima di una bambina brasiliana è meno importante di quella di un vescovo antisemita e negazionista”. Il riferimento è a Williamson. A Prosperi non interessa che la bambina mai sia stata scomunicata e anzi sia stata abbracciata dalla Chiesa come Gesù crocifisso, con lo stesso amore materno. A Prosperi non interessa neppure che Williamson sia e resti sospeso a divinis: non ha una funzione canonica e non è abilitato a esercitare legittimamente né l’episcopato né il sacerdozio (inoltre il Vaticano gli ha intimato di rinnegare “in modo assolutamente inequivocabile e pubblico” le sue assurde dichiarazioni sulla Shoah). Questi sono i fatti. Ma chi vive di pregiudizio non ha bisogno dei fatti. Quando i fatti disturbano le opinioni, tanto peggio loro.

Tra i fatti rimossi e ignorati dal pensiero dominante ce ne sono due immensi e tragici: 1) l’enormità, in ogni caso, del fenomeno dell’aborto nel mondo (circa 50 milioni di casi ogni anno) su cui non si può sorvolare con superficialità; 2) quello che la Chiesa ha dovuto subire nell’ultimo secolo: un macello senza eguali, persecuzioni sotto tutti i regimi che hanno fatto decine di milioni di vittime cristiane, accompagnate da massicce campagne di calunnie perpetrate dai totalitarismi del Novecento. Una tragedia per la quale la Chiesa meriterebbe almeno un minimo di rispetto e soprattutto la fine del rancore pregiudiziale che la cultura laica progressista nutre tuttora contro di essa.

Antonio Socci

Da Libero, 19 marzo 2009

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aborto, socci

lunedì, 23 febbraio 2009

GIUSSANI/
Socci: quello sguardo è ancora presente
Antonio Socci ***lunedì 23 febbraio 2009


Spesso ai miei figli ho desiderato parlare degli occhi di don Giussani. Del suo sguardo. Perché gli amici di Gesù finiscono per somigliargli, per avere lo stesso cuore e lo stesso sguardo. Noi abbiamo potuto accorgercene. La nostra generazione ha avuto questa sfacciata fortuna. Questa Grazia. Noi che abbiamo potuto ascoltare don Giussani, conoscerlo, parlarci. Guardarlo parlare. Noi che ci siamo sentiti guardare, uno per uno, ognuno – anche fra altri diecimila – in una maniera esclusiva, che abbracciava la mia anima, la tua anima. Con una stima indomabile in noi che stava insieme a una infinita misericordia. Il suo sguardo diceva a ciascuno di noi: “io sono con te!”. Era veramente con me, più di me stesso. Mi avrebbe difeso contro il mondo intero. Anzi, mi ha difeso contro il mondo intero. Ha scommesso su di me anche dopo mille miei errori. Mi ha abbracciato dopo mille cadute. (E come lui anche i suoi figli, i miei fratelli, lo fanno). Questo è quello che si percepiva. E che abbiamo visto con i nostri occhi. E che continua ad accadere.
E pensando al suo sguardo e al suo volto mi viene in mente quando raccontava certi episodi del Vangelo. Li avevi letti tante volte, li avevi sentiti una miriade di volte, ma con lui succedeva una cosa strana: li faceva accadere. Lì, davanti ai tuoi occhi. Ti sembrava di vederli, ti sembrava di sentirli per la prima volta. Ti sembrava che lui li avesse visti. Che lui ci fosse quel giorno con Gesù.
Viene in mente, pensando a don Giussani, ciò che Hauviette – nel “Mistero della carità” di Péguy – diceva a Giovanna d’Arco: «Tu vedi. Tu vedi. Quello che sappiamo, noi altri, tu lo vedi. Quello che c’insegnano, a noi altri, tu lo vedi. Il catechismo, tutto il catechismo, e la chiesa, e la messa, tu non lo sai, tu lo vedi, e la tua preghiera non la dici, non la dici soltanto, tu la vedi. Per te non ci sono settimane. E non ci sono giorni. Non ci sono giorni nella settimana; e non ore nella giornata. Tutte le ore per te suonano come la campana dell’Angelus. Tutti i giorni sono domeniche e più che domeniche e le domeniche più che domeniche».
La generazione dei nostri figli non ha visto lo sguardo che ha incantato e fatto fiorire la nostra giovinezza. Io mi sono sentito dire: “beati voi”. E’ vero. Beati.
Anche la Giovanna d’Arco di Péguy, pensando a coloro che poterono vedere Gesù, dice così: «Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi». E dice ancora: «Voi avete visto il colore dei suoi occhi; avete udito il suono delle sue parole. Voi avete udito il suono stesso della sua voce. Come dei fratelli minori vi siete rifugiati nel calore, nel tepore del suo sguardo. Vi siete riparati, vi siete messi al coperto al riparo della bontà del suo sguardo. Di voi stessi ebbe pietà davanti a quella folla. Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente».
“Egli è qui”, così Madre Garvaise risponde a questo grido di Giovanna. E anche attraverso il volto dei santi Gesù raggiunge ogni generazione. Nei secoli. Attraverso lo sguardo, il volto, la voce di don Giussani ci ha raggiunto lo sguardo, il volto, la voce di Gesù. E si vive per questo. Per vedere ogni giorno, di nuovo, il suo sguardo che “ebbe pietà di noi”. Per risentirlo parlare e accadere. Oggi proprio come allora. Come don Gius ripeteva sempre, con le parole di Moelher: «Io credo che non potrei più vivere se non lo sentissi più parlare».
 Ma “Egli è qui”.                                    da: .ilsussidiario.net/

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mercoledì, 04 febbraio 2009

Nerone è ancora tra noi ***
Di Antonio Socci
Libero – 03/02/2009
Che spettacolo. Ogni giorno valanghe di fango, da quei cannoni che sono i mass media e i potenti di questo mondo, contro la Chiesa. Ogni giorno oltraggi, calunnie, dileggi. E lei, bella, dolce, inerme, indifesa che subisce cercando – come una madre premurosa – di proteggere i suoi figli più piccoli dallo scandalo continuo. Come si fa a non amare questa Chiesa, così vulnerabile, indifesa, così umanamente povera da rendere evidentissimo che è sorretta dalla presenza formidabile di un Altro. Altrimenti mai avrebbe potuto arrivare al XX secolo e abbracciare il mondo intero e continuare a far innamorare tanti cuori di quel volto. Del Salvatore.
Lei, la Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa, che ha subito fin dalla sua nascita le più feroci persecuzioni e che nel XX secolo ha dovuto sopportare il più oceanico macello della sua storia (45 milioni di credenti che hanno perduto la vita, in modo diretto o indiretto a causa della loro fede: dati provenienti da Oxford non dal Vaticano), lei che è stata perseguitata a tutte le latitudini, sotto tutti i regimi (da quello della Cina dei Boxers di inizio secolo, a quello massonico messicano, da quelli comunisti a quelli nazisti e fascisti fino a quelli pagani e a quelli islamici), lei che ha subìto il primo genocidio del Novecento, quello degli armeni. Ma non interessano a nessuno i morti cristiani, le suore rapite, i missionari uccisi i cristiani cacciati da tanti Paesi. E’ forse interessato a qualcuno il lungo genocidio consumatosi a Timor Est o quello ventennale del Sudan ad opera del regime jihadista contro i cristiani del Sud, con due milioni di morti, quattro milioni di profughi e centinaia di migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi al Nord? A nessuno. Se ne accorse il New York Times nel 1998.
Ma Gesù lo aveva detto: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, “diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”, vi trascineranno davanti ai loro tribunali, vi tortureranno, vi metteranno a morte. Infatti non ci si è accontentati di macellare i cristiani: li si vuole anche infangati, disonorati. Anche quando loro – vittime di tutte le ideologie totalitarie – si sono presi cura, pressoché da soli, di altre vittime come i loro fratelli ebrei, anche quando il Papa Pio XII con migliaia di preti e suore, a rischio della loro stessa vita (vedi padre Kolbe), minacciati loro stessi di morte, hanno salvato centinaia di migliaia di poveri ebrei braccati da quell’ideologia pagana che già faceva strage di cattolici polacchi, anche dopo questa immensa e commovente impresa – che dopo la guerra fece sgorgare i più sinceri ringraziamenti dei maggiori esponenti del mondo ebraico e dei tanti salvati (anche esponenti politici avversi alla Chiesa) – anche dopo un evento del genere in cui la Chiesa pressoché da sola (come scrisse Albert Einstein) si oppose al Satana pagano hitleriano, anche dopo ciò alla Chiesa tocca l’onta dell’accusa di razzismo, ideologia biologista che è l’esatto opposto del cattolicesimo e che è nata proprio in odio al cristianesimo…
Ma questa sembra essere la sua sorte: la stessa di Gesù. L’odio del mondo. La mano assassina non è arrivata a colpire perfino il Papa stesso in piazza San Pietro? E già sul suo predecessore, Pio XII, non gravava un progetto di deportazione da parte dei nazisti? E un altro predecessore non era stato già deportato, 150 anni prima, da Napoleone?
Del resto perfino nella democrazie – se proprio non vogliamo ricordare il bagno di sangue cristiano che fu la Rivoluzione francese o le feroci persecuzioni della conquista piemontese (più di 60 vescovi italiani arrestati 
o esiliati, migliaia di frati e suore cacciati dai loro conventi e la Chiesa espropriata di tutto) – perfino nelle democrazie, dicevo, la Chiesa è odiata, perseguitata.
C’è qualcuno che ricordi come nella Inghilterra madre della democrazia (quella che proprio dalla Chiesa aveva imparato da democrazia con la Magna Charta) oggi, a 500 anni dalla svolta anglicana (imposta da un re tiranno) è ancora proibito a un cattolico diventare cancelliere? Blair ha dovuto aspettare, a dare la notizia della sua conversione, di aver perduto la carica. Pensate se vigesse un’analoga proibizione – che so – per gli atei o gli ebrei, o gli islamici…
E perfino negli Usa si è dovuto aspettare duecento anni perché un cattolico, nel 1960, diventasse presidente americano. E quante rassicurazioni dovette dare Kennedy, attaccato proprio in quanto cattolico che – come tale – non doveva andare alla Casa Bianca (in ogni caso fece subito una brutta fine e nessun cattolico più ci è tornato).
Ma, si sa, è proibito guardare la storia per quello che è. Sempre e solo sul banco degli accusati devono stare i cattolici. Ciononostante la Chiesa non fa mai vittimismo, non polemizza, non si perde in discussioni e controversie. Addirittura per volere di quel grandissimo Papa che è stato Giovanni Paolo II, che pure aveva provato sulla sua pelle sia la persecuzione nazista, che quella comunista e infine le pallottole di Ali Agca, arrivò quel gesto inaudito, stupendo che fu il grande “mea culpa” dell’Anno Santo: dalla Chiesa di Roma, che avrebbe avuto tutti i titoli, alla fine del Novecento, per puntare il dito su tutti i poteri e le ideologie del mondo che l’avevano straziata, venne questo struggente atto di umiltà, perché il mondo sapesse, capisse, che ai cristiani non interessa rivendicare meriti, né interessa aver ragione, ma – riconoscendosi peccatori, ultimi fra gli uomini e veramente indegni del dono che hanno avuto da Dio – a loro interessa solo indicare quel volto bellissimo che ci salva, in cui Dio si è fatto carne ed è venuto a salvarci.
Con il cui amore (cantato attraverso duemila anni di bellezza dagli artisti cristiani) hanno insegnato all’umanità a prendersi cura dei sofferenti, dei derelitti, coprendo il mondo di opere di carità e di ospedali. E ancora oggi, come sempre, la Chiesa quasi da sola, sentendo tutti gli uomini come suoi figli (anche coloro che la odiano), premurosamente fa sentire la sua voce contro l’immane massacro delle vite più indifese e innocenti (un miliardo in 40 anni), contro le risorgenti ideologie della morte, contro l’orrore della fame, dell’industria della guerra, contro l’odio che dilania i cuori e il mondo, contro tutte le violenze.
Ma ancora una volta la Chiesa è per questo vilipesa, oltraggiata, infangata, derisa (ora accusata falsamente di tacere, ora accusata dagli stessi di parlare: sempre in ogni caso odiata). Che spettacolo! Come si fa a non accorgersi che è veramente una cosa dell’altro mondo in questo mondo. E’ divina. Così la considerò uno dei suoi persecutori, arrivato alla fine della vita, nell’esilio di Sant’Elena, Napoleone Bonaparte: “Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c’è la distanza dell’infinito. Conosco gli uomini e vi dico che Gesù non è (solo) un uomo…”.
I pensieri del Bonaparte, riportati in “Conversazioni religiose” (Editori riuniti), sono di questo tenore: “Tutto di Gesù mi sorprende. Il suo spirito mi supera e la sua volontà mi confonde. Tra lui e qualsiasi altra persona al mondo non c’è possibilità di paragone. E’ veramente un essere a parte... E’ un mistero insondabile… Cerco invano nella storia qualcuno simile a Gesù Cristo o qualcuno che comunque si avvicini al Vangelo… Nel suo caso tutto è straordinario…. Anche gli empi non hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo che ispira loro una specie di venerazione obbligata! Che gioia procura questo libro!”. “Dal primo giorno fino all’ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce… Che parli o che agisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile…”. “Gesù è il solo che abbia osato tanto. E’ il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio…”. 

Napoleone constata il suo potere divino nei fatti storici: “Voi parlate di Cesare e di Alessandro, delle loro conquiste e dell’entusiasmo che seppero suscitare nel cuore dei soldati” osservava Napoleone “ma quanti anni è durato l’impero di Cesare? Per quanto tempo si è mantenuto l’entusiasmo dei soldati di Alessandro?”.
Invece per Cristo “è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall’onda delle generazioni cristiane. Dopo san Pietro i trentadue vescovi di Roma di Roma che gli sono succeduti sulla cattedra hanno, come lui, subito il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi vi veniva chiamato… In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovano da una parte, mentre dall’altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce… Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione?... Questa è la storia dell’invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo… I popoli passano, i troni crollano e la chiesa rimane! Quale è, dunque, la forza che mantiene in piedi questa chiesa, assalita dall’oceano furioso della collera e dell’odio del mondo? Qual è il braccio, dopo diciotto secoli, che l’ha difesa dalle tante tempeste che hanno minacciato di inghiottirla?” 

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martedì, 06 gennaio 2009

La povertà di spirito
***

Perché, diciamo la verità, per ciascuno di noi i disonesti, i profittatori, gli opportunisti e i puttanieri (o le puttane) sono sempre “gli altri”. E ognuno di noi istintivamente si mette nel novero delle persone che fanno il proprio dovere, le persone perbene. Ebbene, i santi fanno l’esatto opposto. Un giorno frate Masseo chiede a frate Francesco: “perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che desideri di vederti, d'udirti, d'ubbidirti? Tu non sei un uomo bello nell’aspetto, tu non sei di grande scienza, tu non sei nobile; dunque perché a te tutto il mondo viene dietro?”. E Francesco: “Vuoi sapere perché a me tutto il mondo mi venga dietro? Questo io ho dagli occhi dell’Altissimo, che in ogni luogo contemplano i buoni e i rei: poiché quegli occhi santissimi non hanno veduto fra i peccatori nessuno più vile, nè più insufficiente, nè più grande peccatore di me; e perché per fare quell'operazione meravigliosa che egli intende fare, non ha trovato più vile creatura sopra la terra... cosicché si conosca che ogni virtù e ogni bene viene da lui e nessuna creatura si possa gloriare al suo cospetto”.

di Antonio Socci
Tratto da Libero del 25 giugno 2008

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socci, sfrancesco

giovedì, 01 gennaio 2009

Sant’Agostino, Bakhita, i santi del passato. Ma anche Andrea, Cilla, le testimonianze dell’ultimo Meeting. In modo inaspettato, nelle situazioni più drammatiche, è solo Cristo che può rispondere al cuore dell’uomo. E se diciamo di sì...
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di Antonio Socci
 
La padrona quel giorno si annoiava, così decise di far seviziare le tre ragazzine nere che aveva comprato come schiave: avevano circa 10 o 11 anni. Bakhita fu bloccata a terra e con un rasoio le fecero 114 tagli nella carne. Poi riempirono di sale le ferite. Così, per divertimento. Perché era considerata una cosa dai padroni musulmani. All’età di sette anni, nel 1876, era stata rapita nel suo villaggio sudanese e venduta come schiava quattro volte. Aveva conosciuto solo la ferocia.
Così è la storia umana senza Gesù. Joseph Ratzinger, nel suo Gesù di Nazaret, spiega che prima della venuta del Salvatore il mondo era infestato dai demoni. Dovunque hanno dominato la ferocia e la disumanità. Poi, un giorno, sono risuonate queste parole: «Ho visto la miseria del mio popolo… ho sentito il suo grido e sono sceso per liberarlo» (Es. 3,7). «Egli si è mostrato. Egli personalmente», duemila anni fa. E da allora ogni giorno, «in un fenomeno di umanità diversa», ci dice don Giussani. Pure quella disgraziata ragazza, Bakhita «vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita… non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile».
Bakhita neanche riusciva a sognarlo. Per circostanze casuali, a 16 anni fu portata dai padroni in Italia, a Venezia, e conobbe le suore canossiane. Fu colpita dalla loro umanità e dalla bontà di un vero cristiano, «uomo dal cuore d’oro» che era parente di colui che sarebbe diventato papa san Pio X e che le regalò un crocifisso: «Nel darmelo», ricorda la ragazza, «lo baciò con devozione, poi mi spiegò che Gesù Cristo, Figlio di Dio, era morto per noi». Bakhita restò abbagliata. Era morto per lei? Possibile che qualcuno l’amasse? Sì. Lo vedeva dai volti di «quelle sante madri che mi fecero conoscere Dio», specialmente la suora che la istruì: «Non posso ricordare senza piangere la cura che ebbe di me». Essendo tornati i padroni a riprenderla, per la prima volta, Bakhita, che non voleva più perdere Dio, si rifiutò di seguirli. Il 29 novembre 1889 il Patriarca di Venezia fece intervenire il procuratore del re, che dichiarò Bakhita libera dalla schiavitù. Lei restò in Italia, si fece battezzare, chiese di diventare suora e visse 78 anni «durante i quali sempre più ho conosciuto la bontà di Dio verso di me». Morta nel 1947, è stata proclamata santa nel 2000.
Non c’è situazione tanto estrema e drammatica che non possa essere raggiunta e liberata da Dio fatto uomo. Anche oggi, tempo di diverse schiavitù. E i lettori di Tracce lo sanno bene. Indimenticabile è la testimonianza di quel giovane, ammalato di Aids, Andrea, che due giorni prima di morire scrisse a don Giussani (la lettera è riportata ne Il tempo e il tempio). Ne ricordo dei brani: «Le scrivo solamente per dirle grazie; grazie di avere dato un senso a questa mia arida vita». Andrea spiegava così la sua gratitudine: «Sono un compagno delle superiori di Ziba… Quando Ziba recitava l’Angelus davanti a me che gli bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo che era un codardo perché l’unica cosa che sapeva fare era dire quelle stupide preghiere davanti a me. Ora, quando balbettando tento di dirlo con lui, capisco che il codardo ero io, perché non vedevo neppure ad un palmo dal naso la verità che mi stava di fronte. Grazie don Giussani, è l’unica cosa che un uomo come me può dirle. Grazie perché nelle lacrime posso dire che morire così ora ha un senso, non perché sia più bello - ho una gran paura di morire - ma perché ora so che c’è qualcuno che mi vuole bene e anch’io forse mi posso salvare e posso anch’io pregare affinché i compagni di letto incontrino e vedano come io ho visto e incontrato. Così mi sento utile… con l’unica cosa che ancora riesco ad usare bene (la voce) io posso essere utile; io che ho buttato via la vita posso fare del bene solamente dicendo l’Angelus. Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma la più grande ancora è che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e della quale posso dire “anch’io c’ero”, anch’io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero».
Una storia di oggi, insomma. Proprio come quelle, straordinarie, del Meeting 2008, appena raccolte da Paola Brizzi e Alberto Savorana nel volume Un’avventura per sé (vedi pagina 106; ndr), e così simili alle storie di duemila anni fa. Accadeva così anche nel IV secolo a quell’Agostino che era l’intellettuale più raffinato di Roma e poi di Milano dove era andato a insegnare nel 384 d.C.. Non gli mancava niente, né il successo accademico, né i beni, né l’amore femminile, né la soddisfazione della paternità, né gli svaghi, né l’amicizia con i potenti politici della città.
Eppure un inspiegabile male di vivere lo avvolgeva: «Ero infelice». Parla di «profondissimo tedio», di «paura della morte». Sarà l’incontro con Ambrogio - vescovo della città, che ha solo qualche anno più di lui - a colpirlo: «La dolcezza del suo dire mi dava piacere». Fa breccia in lui, lo affascina, ridimensiona anche l’orgoglio dell’intellettuale. «Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio».
La sua vita cambia. Ormai la «cupidigia di onori e guadagni… non avevano più forza, in confronto alla Tua dolcezza e allo splendore della Tua casa che amavo. Ma», confessa, «ero ancora attanagliato dalla donna», «le mie amanti di un tempo mi trattenevano». E ancora una volta sono degli incontri imprevisti a prevalere con l’attrattiva di una felicità più grande. Accade quando Ponticiano gli racconta che, a Treviri, due suoi amici hanno lasciato le fidanzate entrando in una comunità di vergini (le prime esperienze monastiche) e che lo stesso hanno fatto le due ragazze. Una nuova forma di vita che contagiava tanti giovani cristiani anche a Milano (dove erano seguiti da Ambrogio in persona). Agostino li incontra, ne è affascinato e coinvolto. Più avanti confesserà: «Tardi ti ho amato, o Bellezza, sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità; ho gustato e ora ho fame e sete; tu mi hai toccato e io bramo la tua pace».
A distanza di molti secoli la stessa sete di felicità e lo stesso stupore commosso si trova nella vita di un’adolescente piemontese, altra presenza familiare ai lettori di questo giornale. Dal libro che don Primo Soldi ha dedicato a Cilla colgo due flash. Prima dell’«incontro», questa ragazza, quindicenne, ma così profonda e intelligente, in calce al suo diario, nelle “comunicazioni alla famiglia”, scrive di sé: «Signore, le comunico che sua figlia è sola. Signore le comunico che sua figlia non è felice. Signore le comunico che sua figlia vuole amare e non ci riesce».
E un giorno accade qualcosa. La semplicità di un invito delle amiche, che stanno iniziando il cammino di Cl, alla preghiera delle Lodi. Un lampo di meraviglia. Cilla annota: «È la prima volta che prego così… Credo di aver perso una delle cose più importanti della mia vita». Nel giro di poche settimane, con la scoperta di una vita nuova e di un’amicizia vera, la fioritura imprevista. Nel suo Diario si legge: «Prima non esistevo. Sono nata nel momento in cui ho capito cos’è la comunità: il mezzo che mi ha portato a Cristo».
In ogni epoca Gesù si è fatto incontrare in «un fenomeno di umanità diversa: un uomo vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita». Dice Agostino: «Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se Lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato libero dalla carne del peccato, se Lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se Lui non fosse arrivato
».

Da “Tracce”, dicembre 2008



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sabato, 13 dicembre 2008

  Pansa, Scalfari e non solo: affascinati da Gesù…
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12.12.2008
Giampaolo Pansa non finisce mai di stupire. E’ appena uscito “Tracce” (il mensile di Comunione e liberazione) dove si trova una sua commovente confessione personale sul Natale. Prende spunto da due citazioni di Benedetto XVI e di don Luigi Giussani, la cui frase, scrive Pansa, “va dritta al cuore, non solo all’intelligenza. Mi ci ritrovo tantissimo, come mio modo di essere”.
Prima Pansa ha rievocato la sua infanzia, quando faceva il chierichetto. Poi è venuto al suo presente di grande giornalista laico. Confida: “Oggi, la sera, quando vado a dormire, con mia moglie preghiamo i nostri genitori”. Diverse volte, negli anni scorsi, Giampaolo mi ha raccontato questo suo gesto di religiosità laica, compiuto da non credente. Da sempre i popoli hanno sentito i propri avi come intermediari col Mistero. Stavolta però, su “Tracce”, Pansa ha aggiunto qualcosa di più e di stupefacente. Dice che con sua moglie parla di Dio, “ma non di un Dio anziano, col barbone. No, di un Dio bambino, buono, tenero. Penso a Dio con quelle fattezze, perché mi sembra più disposto a perdonare le mie sciocchezze, i miei peccati”.

Già qui Pansa coglie, istintivamente, il cuore del cristianesimo. E aggiunge: “
Ho sempre pensato che ci fosse il nulla dopo la morte. Ora ne sono sempre meno convinto. Preferirei che ci fosse il famoso giudizio”. E ancora: “Natale è Dio che viene sulla terra, ma che resta perennemente bambino, che è buono”. Ricordando quando faceva il presepio da piccolo, con la sorella, rammenta la tenerezza per quel fanciullo che nasceva da profugo, a quel freddo. Poi spiega: “Ecco, io sono rimasto a quel bambino lì, in quella capanna. Il Papa parla di ragione e ragionevolezza. Beh, io forse non sono un ‘uomo ragionevole’. Lavoro molto con il cuore, con il mio bisogno. Non so se questa parabola mi porterà ad essere credente. Ma se dovessi riscoprire Dio credo che sarei guidato da quel bambino, dal Dio di Natale, dal Dio della nascita. E sarei spinto dal bisogno che ho di Lui. Lo avverto in un modo prepotente, soprattutto la sera, dopo aver lavorato tutta la giornata. Ho bisogno di Lui. Anche soltanto dieci anni fa non ci pensavo”.

Confesso di essere ammutolito a queste parole. Pansa ci ha abituato al suo anticonformismo, alla sua totale libertà intellettuale: sia quella che traspare dai suoi articoli (dove dice sempre verità scomode), sia quella drammatica dei suoi libri storici con i quali ha demolito una retorica cinquantennale che esigeva omertà sul mare di sangue del nostro passato.
Ma oggi la sua libertà morale supera l’ultimo tabù, quello che, nella società dei salotti senza tabù, nessuno mai osa violare: mettere il proprio cuore a nudo, confessare francamente l’immensa domanda di cui siamo fatti, lo struggente bisogno di perdono e di amore che “siamo”. E il “bisogno di Lui” che abbiamo, come dice Pansa.

E’ rarissimo, soprattutto fra gli intellettuali, trovare un coraggio così. Nella mia
generazione ricordo soltanto Giovanni Testori (e prima, in parte, Cesare Pavese e Pier Paolo Pasolini). Per capire il coraggio di Pansa nel demolire l’ultimo tabù del nostro tempo, si può leggere sulle stesse pagine di Tracce la risposta sul cristianesimo di Ezio Mauro, direttore della “Repubblica”. Si vede che Mauro ha studiato, con una certa pignoleria, l’argomento. Ha una sua cultura teologica. Giustamente sottolinea “il fatto storico di Gesù Cristo”. Aggiunge pure che “questa presenza e queste parole hanno segnato la civiltà occidentale. E hanno segnato il modo in cui siamo cresciuti ed educati ed è una presenza importante dentro la nostra società”. Ma tutto questo è una constatazione – per così dire – politica o culturale. Di fronte alla quale, per Mauro, non ci sono gli incasinatissimi esseri umani che siamo noi, ma ci sono due categorie astratte di persone – credenti e “non credenti” – che sono costituite a priori. Sembra che si sia nati già credenti o già non credenti. Sembra che non esistano ragioni né per gli uni né per gli altri. Sembra che non vi siano domande, né cambiamenti possibili. Quello di Mauro è il mondo di oggi: il mondo del partito preso. Conclude dicendo che lui non crede. Ma non ci dice perché. Non ci dice niente delle sue domande, del suo cammino o – per dirla con Pansa - di cosa pensa la sera, dopo una giornata di lavoro. E’ l’Italia dei giornali. Dove esistono destra e sinistra, juventini e interisti, romanisti e laziali, etero e omo (che han preso il posto di uomini e donne), laici e credenti: tutte marionette di un teatrino di ombre, tutti Gabibbi dei salotti televisivi. Ma dove è difficilissimo vedere o ascoltare uomini, cioè creature di carne, che non sanno chi sono, che cercano veramente, che fanno domande o che cambiano (idee e vita) e fanno un cammino e scoprono e si sorprendono e si commuovono.

Viviamo un mondo virtuale, ma non virtuoso: irreale. L’irrompere del “fatto” di Gesù è lo choc più forte che riporti alla realtà. Che è palpitante, viva, contraddittoria, dolente. Fra coloro che rispondono a “Tracce” colpisce il
filosofo Pietro Barcellona, il quale prima fa una constatazione analoga a quella di Mauro, una constatazione culturale (“La nascita di Gesù per me, che non sono credente, è il più grande evento della storia dell’uomo. Questa nascita è di una portata immensa”), ma poi si mette in gioco, esce dalla contrapposizione ideologica “credenti/non credenti” e fa parlare la sua umanità: “La frase del Papa (‘occorre l’umiltà dell’uomo che risponde al’umiltà di Dio’) è di una portata immensa perché è un punto di partenza. Comunque, questa nascita per me rimane un problema aperto, anzi un problema di carne che brucia”.

Oggi sembra venuto il tempo in cui l’urto del “fatto” di Gesù si fa più facilmente largo nei cuori. Cosicché capita di leggere sulla Repubblica di una conferenza tenuta alla Luiss da
Eugenio Scalfari durante la quale, ad un certo punto, il fondatore del quotidiano “confessa di essere da sempre ‘profondamente colpito e innamorato della figura di Gesù e delle sue predicazioni evangeliche, pur non credendo nell’Assoluto’ ”. E poi aggiunge che questo fascino per la figura di Gesù è un “terreno comune” su cui credenti e non credenti , laici e cattolici, “possono incontrarsi, dialogare”, persino “collaborare”.

Sarebbe interessante saperne di più, capire meglio. Si ha la sensazione che vi sia spesso, in molti, un’attrazione trattenuta, imbrigliata. Come di uno che sbarcasse su un bellissimo continente sconosciuto e, pur essendone incantato, affascinato, avesse paura di inoltrarvisi (paura di esserne travolto? Di dover ribaltare le proprie idee, la propria immagine di sé?). Così si fa un po’ di violenza a se stessi e si rimane sulla soglia, ci si nasconde in un’etichetta.

Spesso questo fascino di Gesù Gesù ci raggiunge attraverso lo stupore per l’umanità eccezionale dei suoi amici. Uomini del nostro tempo che hanno nel volto la sua stessa Bellezza. Pippo Corigliano ha raccontato di aver ricevuto, quando è morto Karol Wojtyla, la telefonata di Antonio Ramenghi, vicedirettore dell’ Espresso: “mi disse che la direttrice del settimanale, Donatella Hamaui e gli altri membri della direzione, desideravano vegliare brevemente la salma del Santo Padre ma per motivi di lavoro non potevano attendere in fila per una giornata intera… Come sono imprevedibili i sentieri della Provvidenza! Chi l’avrebbe detto, vent’anni prima, che mi sarei trovato con l’intera direzione dell’Espresso a pregare nella Basilica di San Pietro!”.

Quel papa polacco aveva stupito i cuori di tutti. Anche all’Espresso. E, come dicevano i filosofi greci, “
la meraviglia è l’origine del conoscere”. Ma poi la conoscenza piena è un’avventura da sperimentare, un cammino che ha bisogno di andare avanti nella scoperta. Con il Natale entra nel mondo la Realtà. Solo facendosi violenza si riesce a chiudere gli occhi o a reprimere il suo fascino a un’emozione episodica.



Antonio Socci

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lunedì, 08 dicembre 2008

La vita e la morte di Gesù sono di un Dio
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   Vi confesso che la santità del Vangelo parla al mio cuore. Osservate i libri dei filosofi, con tutta la loro pompa! Come sono piccoli in confronto a quello… Può darsi che Colui di cui fa la storia sia egli stesso un uomo? E’ questo il tono di un invasato o di un settario ambizioso? Che dolcezza, che purità nei suoi costumi! Quale grazia toccante nei suoi insegnamenti, quale elevatezza nelle sue massime, quale saggezza nei suoi discorsi, quale presenza di spirito, quale finezza, quale esattezza nelle sue risposte! Quale dominio delle passioni! Dove è l’uomo, dove è il saggio che sa agire, soffrire e morire senza debolezza e senza ostentazione? (…). Ma dove aveva Gesù preso i suoi precetti, presa questa morale elevata e pura, di cui Egli solo ha dato gli insegnamenti e gli esempi? (…) La morte di Socrate che filosofeggia tranquillamente coi suoi amici, è la più dolce che si possa desiderare; quella di Gesù che spira fra i tormenti, ingiuriato, canzonato, maledetto da tutto un popolo, è la più orribile che si possa temere. Socrate che prende la coppa avvelenata benedice colui che gliela offre e che piange; Gesù, nello spaventoso supplizio, prega per i suoi accaniti carnefici. Sì, se la vita e la morte di Socrate sono quelle di un saggio, la vita e la morte di Gesù sono di un Dio”.
Jean Jacques Rousseau
da: “Indagine su Gesù” (Rizzoli) di  Antonio Socci

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gesù, socci


Seguire la moralità di Gesù
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Copertina di 'Indagine su Gesù'
 “Perfino il simbolo del laicismo italiano, Gaetano Salvemini, rimase folgorato dall’altezza sublime della sua figura e del suo insegnamento. Raccontò, in “Empirici e Teologi”, di essersi trovato in una stagione della vita come “sperduto nel buio e fu una impressione disperata”. Si sentì illuminato allora da una pagina di Pascal in cui una vecchietta dice: “io non so dimostrare a me stessa che c’è un Dio. Ma mi regolo come se ci fosse”. Salvemini spiega: “quella vecchierella mi insegnò la via da seguire. Debbo aggiungere che nel seguire quella via, ho trovato un’altra guida e mi sono trovato bene a lasciarmene guidare. E questa guida è stato Gesù Cristo che ha lasciato il più perfetto codice morale che l’umanità abbia mai conosciuto. Io non so se Gesù Cristo sia stato davvero figlio di Dio o no. Su problemi di questo genere sono cieco nato. Ma sulla necessità di seguire la moralità insegnata da Gesù Cristo non ho nessun dubbio”.  
Antonio Socci, “Indagine su Gesù” (Rizzoli).
 




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sabato, 18 ottobre 2008

La crisi delle borse ed i cristiani…..
18-08-2008
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Antonio Socci

Robert Hughes definì “cultura del piagnisteo” quella della sinistra politically correct. Ma anche la destra reazionaria vive di geremiadi. Il piagnone sommo, Oswald Spengler, le unisce. Da questi acquitrini di lacrime, nel XX secolo, sono nati frutti avvelenati. Oggi col crollo delle Borse tornano gli apocalittici. Stanno col culo al caldo, ma annunciano il tramonto dell’Occidente. Se si voltassero (“metanoia”, convertire lo sguardo) vedrebbero l’alba di un tempo nuovo. E gente non disperata: i cristiani.
Certo, c’è il partito dei distruttori, dei pescecani che hanno prodotto lo sfacelo dell’economia. Ma c’è anche il “partito dell’aratro”, di quelli che sembrano meno forti, come dice Péguy, ma che fanno la storia. Quando irruppero i barbari crollò l’impero romano e una civiltà millenaria fu travolta. L’economia crolla fino alla sussistenza, le campagne si spopolano, il continente si copre di foreste selvagge piene di lupi e briganti. Tutto sembra perduto per sempre e l’Europa regredisce all’età primitiva.

Eppure rinacque una civiltà più grande, bella e luminosa. Da alcuni uomini che cercavano Dio. L’unico che non passa, che non tramonta, l’eterna giovinezza. Lo ha spiegato il Papa, nel suo splendido discorso parigino: “non era intenzione dei monaci di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato”. Volevano semplicemente conoscere Gesù Cristo. Gustare la sua presenza che non abbandona e non delude mai: “Jesu dulcis memoria/ dans vera cordis gaudia/ sed super mele et omnia/ Ejus dulcis praesentia…”.

Era la loro unica, struggente passione. Da cui venne tutto. Per questo salvarono la cultura antica. E “inventarono” il lavoro.
Gesù lavoratore aveva nobilitato il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera. Col lavoro i monaci trasformarono l’Europa devastata e selvaggia in un giardino fertile e rigoglioso. Uno storico scrive: “Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa”, con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. “Educatori economici”, li definì Henri Pirenne.

Il cristianesimo spazzò via la schiavitù e svegliò l’ingegno cosicché si inventarono macchine per sfruttare l’energia idraulica che “i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura”. I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare, introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, l’apicoltura, la frutticoltura, i vivai di salmone in Irlanda, la fabbricazione della birra, l’invenzione del prosciutto, del formaggio e perfino dello champagne.

I cristiani inventarono gli ospedali, le università, la musica, coprirono l’Europa di cattedrali e di bellezza, inventarono la tecnologia, la scienza, la stessa libertà, l’economia moderna e la democrazia. I monaci avevano cercato solo il regno di Dio: il resto – secondo la promessa di Gesù – arrivò in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell’umano.

Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, l’incontro definitivo con Gesù. Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo:
“Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince”.

E oggi? Oggi il mondo è pieno di nuovi monaci. I mass media non se ne accorgono, perché un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. Potrei riempire questo giornale con i loro nomi e le loro bellissime storie. Andate in Lombardia a conoscere Lorenzo Crosta che ha creato cooperative dove lavorano un centinaio di ragazzi, con handicap fisici e mentali, pieni di umanità, sorrisi e dedizione. Andate a Teramo a vedere cosa hanno messo in piedi Ercole D’Annunzio e sua moglie, Enza Piccolroaz, partendo dal dramma di una figlia nata con una grave malattia: una delle più straordinarie strutture di riabilitazione del meridione, con un pullulare di altre opere anche di ricerca medico-scientifica. Ma penso anche ai detenuti del carcere di Padova che stanno diventando uomini nuovi e all’ultimo Meeting di Rimini hanno stupito e commosso tutti (ci hanno pure deliziato con i prodotti di pasticceria della loro Cooperativa Giotto).

Penso all’immensa opera del Banco alimentare che – nato dallo sguardo di carità di don Giussani - oggi letteralmente coinvolge milioni di italiani e dà da mangiare a un oceano di persone. E a quella stupenda cattedrale della speranza e della preghiera che è Radio Maria. E gli studenti che, invece di okkupare scuole e università dove svaccarsi, portano in giro per le strade i “cento canti” di Dante. E poi i tanti padri e madri di famiglia che sono veri eroi della speranza. E insegnanti come Mariella o Gianni che fanno scoprire ai giovani la Bellezza. E artisti pieni di fede, simpatia e talento come Francesco che ha dipinto il rosone duccesco del Duomo di Siena e si prepara a fare le vetrate della splendida cattedrale barocca di Noto. E lo scultore giapponese Etsuro Sotoo che continua l’opera di Gaudì alla “Sagrada Familia”. Guardate i silenziosi volontari che lavorano nei Centri di Aiuto alla vita. E quel fiume di straordinarie donne e uomini di Dio su ognuno dei quali si potrebbe scrivere un libro, dalle clarisse di suor Milena, a Trevi, a quelle di suor Beatrice a Perugia, alle francescane di suor Chiara ad Assisi? Penso alle suore che assistono da anni Eluana Englaro e che supplicano: “lasciatela qui, ce ne prendiamo cura noi”. E i tanti religiosi che donano tutta la loro esistenza a sostenere la speranza dei disperati.

Penso a Stefano Borgonovo, l’ex calciatore del Milan e della Fiorentina ora malato di Sla: lui, la sua bellissima famiglia, i suoi amici. Leggete su “Tracce” che umanità e che forza! E i tanti malati che offrono la loro sofferenza e così letteralmente tengono in piedi il mondo. Andate a visitare la Casa di accoglienza “Don Dante Savini”, a Perugia, che accoglie e assiste professionalmente malati terminali di Aids o di altre gravi patologie. Guardate i volti, gli occhi, dei giovani seminaristi che vivono alla Fraternità San Carlo e si preparano ad andare fino ai quattro angoli della Terra a portare il senso della vita a popoli assetati di Cristo. Non sono afflitti dal futuro dell’Occidente, perché hanno e gustano l’Eterno nel presente.

Così dissodare, irrigare, coltivare, amare, anche inventare, ingegnarsi diventano come la preghiera. Scoprite l’incredibile storia di Giuseppe Ranalli e della sua Tecnomatic che, nelle sperdute campagne dell’Abruzzo, oggi con un fatturato di 40 milioni di euro ( +32 per cento nel 2008), lavora per le maggiori case automobilistiche del mondo grazie a brevetti rivoluzionari.

E Pippo Angelico, imprenditore brianzolo della Ceccato spa (settore manifatture di precisione) che – per un’amicizia nata al Meeting del 2005 - ha deciso di andare a investire a Napoli grazie al Centro di solidarietà che lavora nel Rione Sanità e che si fa carico di tanti problemi della povera gente . O scoprite “il circolino di Crescenzago”, come lo chiama Giorgio Vittadini.

Mi fermo per mancanza di spazio (se Scalfari conoscesse tutte queste cose non avrebbe scritto ciò che ha scritto della Compagnia delle opere). Ma poi c’è il mondo. La stupefacente storia brasiliana di Cleuza e Marcos Zerbini e dei “Senza Terra”, 50 mila persone spesso nipoti di schiavi, che hanno “scoperto” Comunione e liberazione. E i missionari che in India – come spiega padre Gheddo – stanno letteralmente capovolgendo le millenarie caste, restituendo dignità a milioni di Dalit? E donne straordinarie come l’infermiera Rose che in Uganda cura i malati di Aids? E la “resurrezione” della sua amica Vicky che è stata raccontata in un film premiato al Festival di Cannes da Spike Lee? Certo, molte cose tramontano. Ma se voltate lo sguardo vedrete l’alba di un giorno che non finisce.

GRAZIE!  ad Antonio Socci  DI QUESTO ARTICOLO

Da “Libero”, 17.10.2008       

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sabato, 13 settembre 2008

Perfino il gusto del parmigiano, del prosciutto e dello champagne viene dal cattolicesimo…
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La Donazzan è entrata nell’occhio del ciclone per questa sua proposta: rendere obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole della sua Regione. Dovrebbe essere un’ovvietà se non fossimo un Paese sciocco e smarrito.
Con una modesta proposta per la scuola, il nostro Paese potrebbe tornare ad avere un futuro. Quale proposta? Scoprire Gesù Cristo. Sarebbe la Rivoluzione. Che significa……

Elena Donazzan. Ricordatevi questo nome. Potrebbe diventare la nostra Sarah Palin. Non arriva dal bianco Alaska, ma dal Veneto bianco. Oggi è assessore regionale e chi la conosce sa che stoffa, che preparazione e che piglio ha. Pure l’aspetto, alquanto piacevole, e la giovane età ne fanno un personaggio. Rodato in quel vivaio di passioni politiche che è Alleanza Nazionale. Dunque la Donazzan è entrata nell’occhio del ciclone per questa sua proposta: rendere obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole della sua Regione. Dovrebbe essere un’ovvietà se non fossimo un Paese sciocco e smarrito.


Fortini, Cacciari e Benigni

Franco Fortini, critico letterario e poeta di estrema sinistra fu il mio professore (più amato) all’università. Un giorno di febbraio arriva in aula e comincia a leggere ad alta voce un magnifico poema. Alla fine chiese se qualcuno sapeva cosa aveva letto. Era il “Mercoledì delle Ceneri” di T.S.Eliot. In effetti quel giorno si celebrava tale ricorrenza liturgica. Fortini ne chiese il significato. La gran parte non lo sapeva. Lui cominciò una filippica. In sintesi disse: “voi siete in una facoltà di lettere a studiare l’arte, la letteratura, la filosofia, la storia e domani probabilmente andrete nelle scuole a insegnare. Ebbene, non potrete capire mai niente di tutto questo e neanche del paese dove vivete e di questa città (Siena), senza conoscere perfettamente il contenuto della fede cattolica e quello che ha significato”.

Parola di un grande professore ebreo e marxista. Più o meno le stesse cose mi “gridò”, qualche anno dopo, in una intervista per “Il Sabato”, Massimo Cacciari, indignato dalla crassa ignoranza del cattolicesimo che aveva riscontrato, anche lui, nei suoi studenti. E’ prevedibile che contro la Donazzan ora l’intellighentsia progressista alzerà gli scudi: è la stessa intellighentsia che nei mesi scorsi si è spellata le mani, nelle piazze d’Italia, per applaudire le letture dantesche di Roberto Benigni. Ebbene la Divina Commedia è un compendio perfetto di teologia cattolica e non si capisce neanche una terzina senza conoscere il cattolicesimo.


Il cielo stellato del Gius

Sostanzialmente eliminata dagli studi scolastici dagli anni Settanta in poi, la Commedia oggi è stata riscoperta da coloro che l’avevano abolita. Meglio tardi che mai. Ma intanto abbiamo derubato i giovani della Bellezza (quella che contiene il Vero e il Bene) e dobbiamo correre ai ripari almeno da questa generazione in poi. I giovani soprattutto hanno bisogno della Bellezza come del pane, la poesia è la loro casa. Noi li abbiamo derubati e sfrattati dalla nostra storia. E ora si trovano stranieri in questa terra italiana ed europea. Apolidi della vita, erranti nel deserto che avanza. E spesso si vendicano del Nulla in cui li fanno vivere con la violenza.

Il più grande educatore del nostro tempo, don Luigi Giussani iniziò le sue “lezioni di religione” al liceo Berchet di Milano, nel 1954, leggendo Leopardi. Pensate un po’: il poeta “ateo e materialista” era indicato da Giussani come colui che più e meglio di chiunque coglie l’essenziale della vita, la nostra natura desiderante, le domande struggenti che vibrano nelle vene dei giovani e letteralmente ci fanno uomini: chi siamo, che senso ha la vita, perché “tutto passa e quasi orma non lascia”, che senso ha il cielo stellato, dov’è la Bellezza le cui scintille si riflettono sul volto di ogni donna…Gesù Cristo è venuto e ha detto di essere lui la risposta a queste domande.

Giussani non faceva “propaganda cattolica”. No: insegnava a ragionare, a decifrare la condizione umana e a valutare le risposte. Come sa bene chi lo ebbe come professore, lui letteralmente insegnava la libertà, cioè l’uso della ragione che è la cosa più preziosa. Ma è quello che il cattolicesimo ha fatto per secoli con i popoli europei. Tanto è vero che proprio da questi popoli è sbocciata quella straordinaria capacità di indagine e di conoscenza dell’universo che – tradottasi in scienza e tecnologia – ha letteralmente civilizzato il mondo.


La rivoluzione

Lo spiega benissimo il sociologo americano Rodney Stark nel libro “La vittoria della Ragione”. Sottotitolo: “Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza” (Lindau). E anche Thomas E. Woods in “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale” (Cantagalli). Dobbiamo ai monaci medievali tutto: perfino il parmigiano, il prosciutto e lo champagne. “Educatori economici” dell’Europa li definì lo storico (laico) Henri Pirenne. E i diritti dell’uomo e il diritto internazionale non sono nati nella teologica “Scuola di Salamanca” ? Perfino Bertrand Russel, nel suo libro più anticristiano, riconosce: “La libertà che vige nei paesi in cui la civiltà ha origine europea (cioè la sola libertà esistente nel mondo, nda) si può storicamente far risalire al conflitto fra Chiesa e Stato nel medioevo”.

Infatti, si può capire la Costituzione italiana senza le nozioni cattolicissime di “persona”, corpi intermedi e sussidiarietà? Il comunista (cattolico) Franco Rodano spiegò che perfino la bellezza della campagna umbra (e toscana) si deve al cattolicesimo e specialmente alla Riforma tridentina. Evitiamo – per favore – il solito piagnisteo laico su questa proposta veneta. Perché la Donazzan ha dalla sua anche il meglio della cultura laica. Innanzitutto Kant in quale era convinto che “il Vangelo fosse la fonte da cui è scaturita la nostra cultura”. Poi il “papa laico” Benedetto Croce: Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo”.


Laici cioè cristiani

Un altro grande intellettuale laico, Federico Chabod, nella “Storia dell’idea d’Europa”, scrive: “Non possiamo non essere cristiani, anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto, è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli ‘anticlericali’ non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo”.

Il simbolo del laicismo italiano, Gaetano Salvemini raccontò un giorno di essersi trovato in una stagione della vita come “sperduto nel buio” e dice di aver trovato una “guida e mi sono trovato bene a lasciarmene guidare. E questa guida è stato Gesù Cristo che ha lasciato il più perfetto codice morale che l’umanità abbia mai conosciuto. Io non so se Gesù Cristo sia stato davvero figlio di Dio o no. Su problemi di questo genere sono cieco nato. Ma sulla necessità di seguire la moralità insegnata da Gesù Cristo non ho nessun dubbio”.


Guardate un bambino

Infine, per guardare all’estero, Richard Rorty (simbolo del neopragmatismo americano): “se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all’influenza della tradizione ebraico-cristiana e alla sua specifica concezione di persona umana”.

E Karl Loewith: “Il mondo storico in cui si è potuto formare il ‘pregiudizio’ che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la ‘dignità’ e il ‘destino’ di essere uomo, non è originariamente il mondo, oggi in riflusso, della semplice umanità, avente le sue origini nell’ ‘uomo universale’ e anche ‘terribile’ del Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo”.

Elena Donazzan ha colto nel segno. E non va lasciata sola: una nuova scuola produce un’Italia nuova.


Da “Libero” 7 settembre 2008


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cristianesimo, socci

domenica, 03 agosto 2008

Il 68 e l’eterna giovinezza.. ***
Uomini senza patria
 31/07/2008
A proposito di don Giussani, di un suo libro appena uscito e del prossimo Meeting...Qualcosa che ha a che fare col nostro desiderio inappagato di felicità prendendo spunto dai 40 anni del ‘68

Il fatto è clamoroso, ma nessuno lo nota. Eppure non si fa che parlare del quarantennale del ‘68. C'è un solo movimento, nato nel '68, che sia tuttora vivo (e tuttora un movimento di giovani). E' Comunione e liberazione, cioè quello che era considerato "strano": quello "disarmato", odiato e aggredito (120 attentati nel volgere di alcuni mesi, pestaggi e fiumi di calunnie).

Nessuno degli altri movimenti giovanili che infiammarono una generazione e avevano dalla loro parte i media e il pensiero dominante è sopravvissuto.
Estinti come i dinosauri, che sparirono perché erano troppo forti di potenza mondana, terrena.

Oggi che si rievoca quel sommovimento, con i miti e i riti di allora, bisogna interrogarsi sul "segreto" di don Giussani che attraversa i decenni, sulla sua vera forza, su quell' "eterna giovinezza" che infiamma il cuore dei figli, nel 2008, come infiammò i cuori dei loro padri nei lontani anni Settanta. Ma giornali e cattedre sono perlopiù in mano a ex sessantottini che - pur brillanti e trasgressivi - hanno paura di spingere la riflessione su se stessi così a fondo. Anche perché riflettere (oltre le solite riduzioni alla politica e alle banalità dei giornali) su un fenomeno come quello nato da Giussani costringerebbe a mettersi in gioco, a dire "io", a guardare dentro di sé, il proprio inappagato desiderio di felicità, la propria povertà individuale e generazionale. Perciò non si è mai capito dove stava davvero la forza e la "giovinezza" di Giussani e di quello che è nato da lui. Nessuno lo capì anche allora. I cronisti andavano nei porticati della "Cattolica" di Milano in quei concitati mesi del '68 e raccontavano la "forza" del movimento studentesco. Quei capetti e le masse urlanti parevano destinati a cambiare il mondo.

Nessuno degnò di attenzione quella cosa diversa che stava nascendo, che era come un filo di stupore destato nel cuore di alcuni giovani da un prete brianzolo che parlava loro di Gesù e ne parlava in un modo così travolgente che quelli si sentivano trafiggere e sentivano un'eco profonda dentro e una specie di commozione per le proprie persone e il proprio destino e un desiderio di seguirlo e si sentivano più se stessi, più autentici, desiderosi di abbracciare il mondo.

Del resto anche gli storici dell'epoca di Augusto scrivevano dell'imperatore e pensavano che fosse lui il padrone del mondo. Non si interessavano certo di una giovane e "irrilevante" ragazzina, alla periferia dell'impero, nella sperduta Nazaret. Eppure sarebbe stata lei, col suo sì, a cambiare il mondo e a diventarne la regina per sempre. Spazzando via anche l'impero. E il cronista che fosse stato a Gerusalemme quel 7 aprile dell'anno 30, avrebbe parlato del potere di Pilato, emanazione di Roma, e della casta sadducea capeggiata da Caifa e di Erode: questi erano quelli che contavano, che facevano la storia, non certo quel Gesù di Nazaret, condannato a morte, che stava agonizzando su un patibolo. Eppure quei poteri mondani sono passati, spazzati via come i più potenti faraoni d'Egitto. E quell'uomo inchiodato a una croce ha travolto e capovolto la storia. E' lui che ha vinto e continua a vincere fino alla fine dei tempi.

Anche oggi si fa lo stesso errore. Si ritiene che contino davvero, e facciano la storia, i politici o la grande finanza o gli americani o i cinesi. Invece sono i "mendicanti". Disse precisamente così Giussani, in piazza San Pietro, il 30 maggio '98, davanti a Giovanni Paolo II e a migliaia di giovani:
"Il protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante il cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante Cristo". Non era una provocazione. Citando san Paolo all'Areopago di Atene, spiegava: "Cristo è il motivo per cui tutti i popoli si muovono, per cui tutto il mondo si muove". Senza saperlo.

Sui giornali si parlerà del prossimo Meeting per i politici che ci sono o che non ci sono. O per la forza organizzativa di CL. Come si parla della Chiesa per la forza della sua istituzione, per la sua diffusione planetaria, la sua imponente tradizione, la cultura e i valori che promuove. Anche un ammiratore laico come Giuliano Ferrara ne parla così. E nessuno capisce che la sua vera forza - per usare un'immagine di Péguy -
non è l'imponenza del tronco della quercia millenaria, ma è la piccola gemma che sboccia ad aprile, apparentemente la cosa più fragile e trascurabile. Quando vedi la forza di quel tronco, spiegava Péguy, ti sembra che quella piccola gemma non sia nulla, "eppure è da lei che tutto viene/ ogni vita nasce dalla tenerezza". E senza quella gemma, quel grande tronco non sarebbe che legna secca da ardere.

Quella gemma è lo stupore dell'incontro personale con Gesù che avviene oggi come 2000 anni fa.
La sorpresa di accorgersi di quel volto presente, di lui che è il senso della vita e dell'universo, di sentirsi da lui chiamati per nome. Una volta, davanti ad alcune migliaia di studenti, don Giussani lesse la lettera di un giovane malato terminale di Aids. Dopo una vita distrutta aveva conosciuto un nuovo amico, un ragazzo che partecipava alla vita di CL e in lui aveva scoperto un mondo totalmente nuovo, soprattutto, per la prima volta, uno sguardo totalmente diverso su di sé. E quindi Gesù. Quel giovane, che sarebbe morto di lì a pochi giorni, scriveva a Giussani la gratitudine e la commozione di aver finalmente trovato la gioia, il senso della sua esistenza e si diceva pronto a quel "passaggio" che prima considerava la fine e che ora gli appariva come il grande incontro.

Migliaia di giovani lo ascoltavano col groppo in gola e Giussani - commosso - finì dicendo che era come se 2000 anni non esistessero, Gesù era lì, vivo e continuava a salvare e a vincere: "
la lotta contro il nichilismo" concluse "è questa commozione vissuta".

Avrei voluto che ci fosse stato il mio amico Ferrara, di cui ammiro le battaglie, ma che sembra pensare che la cultura nichilista si vinca con una cultura umanista o cattolica. Non è così. Non è un'opera umana, culturale, politica o organizzativa che salva davvero. E' solo la gemma di quella commozione per Cristo (che col tempo germina una civiltà nuova, ma innanzitutto salva te). Giussani talora ha dovuto ripeterlo anche ai suoi. Lo testimonia il bel libro appena uscito, "Uomini senza patria". Diceva nel 1982:
"è come se CL dal '70 in poi avesse lavorato, costruito e lottato sui valori che Cristo ha portato senza riconoscere veramente Cristo (...). Fino a quando il cristianesimo è sostenere valori cristiani, esso trova spazio e accoglienza dovunque", invece "non ha patria da nessuna parte nella società, colui che riconosce la presenza di Cristo - una presenza diversa da tutte le altre - nella propria vita".

Ma l'amicizia di Cristo: come posso parlarne? "Intender non la può chi non la prova", perché è la felicità. S. Agostino la descriveva così: "occorre dire che si è attirati dal piacere. Ma che cosa significa essere attirati dal piacere? ‘Godi nel Signore, ed Egli soddisferà i desideri del tuo cuore'... Del resto se Virgilio ha potuto dire: ‘Ciascuno è attratto dal proprio piacere' (...) quanto più noi dobbiamo dire che è attratto a Cristo l'uomo che gode della verità, gode della felicità, gode della giustizia, della vita eterna, dal momento che Cristo è proprio tutto questo.... Che senso hanno queste parole: ‘I figli degli uomini porranno la loro speranza all'ombra delle tue ali/ si inebrieranno dell'abbondanza della tua casa/ e tu li disseterai col torrente del tuo piacere;/ poiché è presso di te la fonte della vita, e alla tua luce vedremo la luce' ? Un uomo innamorato comprende quello che dico. Un uomo che abbia desideri, che abbia fame, uno che cammini in questo deserto e sia assetato, che aneli alla sorgente della patria eterna, un uomo così sa di cosa sto parlando. Se mi rivolgo invece a un uomo freddo, costui non capisce neppure di che cosa parlo.”

 


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socci, giussani

domenica, 13 luglio 2008

FEDERICA, CHE VIENE UCCISA NEL “PARADISO” SENZA CROCIFISSI…
Lloret de Mar come metafora del nostro tempo...           Da “Libero”, 11 luglio 2008
***
 I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello?

Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso.

Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “
per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”.

Continuava ricordando quando si lanciò la crociata
perché non si voleva “che si pregasse nelle scuole americane, e gli americani hanno detto OK. Poi qualcun altro ha detto che sarebbe meglio non leggere la Bibbia nelle scuole americane. Quella stessa Bibbia che dice: ‘Non uccidere, non rubare, ama il tuo prossimo come te stesso...’, e gli americani hanno detto OK. Poi, in molti paesi del mondo, qualcuno ha detto: ‘Lasciamo che le nostre figlie abortiscano, se lo vogliono, senza neanche avvisare i propri genitori’. Ed il mondo ha detto OK”.

Si girano film e show televisivi che sommergono le anime di fango. E si fa musica che celebra violenza, suicidio, droga o ammicca al satanismo. E tutti trovano questo normale e dicono che è solo un gioco, com’è normale che, secondo le statistiche, un bimbo italiano, prima di aver terminato le elementari, veda in media in tv 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza, ma per carità togliamo la preghiera dalla scuola ché sarebbe un atto di “violenza psicologica”.

”Ora” proseguiva quella donna americana
“ci chiediamo perché i nostri figli non hanno coscienza, perché non sanno distinguere il bene dal male, e perché uccidono così facilmente estranei, compagni di scuola, e loro stessi. Probabilmente perché, com’è stato scritto, ‘l'uomo miete ciò che ha seminato’ (Galati 6:7). Uno studente ha ‘sinceramente’ chiesto: ‘Caro Dio, perché non hai salvato quella bambina che è stata uccisa in una scuola americana?’. Risposta: ‘Caro Studente, a Me non è permesso entrare nelle scuole americane. Sinceramente, Dio’ ”. Tutto questo non è solo americano. Dopo Auschwitz una folla di intellettuali accusò Dio: “Dov’eri? Come hai potuto permettere tutto questo?”. Nessuno ricordava quale fu la prima battaglia fatta dal nazismo appena arrivato al potere: la guerra dei crocifissi. Il nuovo regime pretese di spazzar via da tutte le scuole l’immagine di Gesù crocifisso. Fu uno scontro durissimo e la Chiesa fu praticamente lasciata sola a sostenerlo. Dov’erano gli intellettuali? Poi il nazismo, fra il 1939 e il 1940, spazzò via migliaia di “crocifissi viventi”, una eutanasia di massa per 70 mila disabili e malati mentali: ritennero le loro delle vite indegne di essere vissute e dettero loro “la morte pietosa”, ma anche in quel caso la Chiesa fu lasciata quasi sola perché nei cuori il crocifisso era stato spazzato via dalla pagana e feroce croce uncinata. E così alla fine Hitler scatenò la guerra e la Shoah. Dov’era Dio? Era stato cacciato da tempo. E stava agonizzando nei lager con Massimiliano Kolbe, Edith Stein o Dietrich Bonhoeffer, accanto a una moltitudine di croficissi.

Siamo la generazione che ha visto poi consolidarsi nel mondo il più immane tentativo di strappare Dio dai cuori, imponendo l’ateismo di Stato: l’impero comunista che si è risolto nel più colossale genocidio planetario di uomini e popoli. Tutto questo c’insegna qualcosa? No. Noi siamo la generazione che non impara dalle tragedie del suo tempo. E per questo forse sarà destinata a ripeterle. Non abbiamo forse consegnato la costruzione europea a una tecnocrazia laicista e dispotica che ha voluto strappare le radici cristiane dell’albero europeo? Ed eccoci all’inverno demografico, al declino e all’invasione islamica.

Un grande economista come
Giulio Tremonti, nel suo celebre libro, ha affermato che il riscatto è possibile solo con una rinascita spirituale. Ma noi siamo “gli uomini impagliati” di Eliot, con la testa piena di vento e il cuore pieno di solitudine. Abbiamo sputato su Gesù Cristo e sulla Chiesa credendo che questo fosse “libertà”, poi ci troviamo soli o disperati e allora puntiamo il dito accusatore sulla presunta “indifferenza” di Dio. Di quel Dio che non cessa un solo giorno di darci il respiro e di farsi incontro a noi.

Siamo la generazione che non sa più dare senso alla vita, né speranza ai propri figli, che vede addensarsi all’orizzonte nubi cupe di crisi planetarie, di guerre, di carestie, ma non afferra la mano della “Regina della Pace”, presente fra noi per salvarci. Perché si ride del Mistero e del soprannaturale, mentre si va da maghi e astrologi, perché si crede ai giornali e a internet e non al Vangelo, perché si irride chi parla di Satana e dell’Inferno, ma si affollano come non mai sette sataniche o esoteriche, perché si venerano le maschere vuote dei palcoscenici e della tv e si disprezzano i santi, perché si crede che libertà sia poter fare qualunque cosa, anziché essere veramente amati.

Questa stagione iniziò nel ’68, quando si cominciò a sparare sulla religione come “oppio dei popoli”, così oggi l’oppio (o la cocaina) è diventata la religione dei popoli, anche di notai, industriali e deputati. Nietsche tuonò contro il crocifisso perché – scrisse – abolì i sacrifici umani che erano il motore della storia pagana. E infatti oggi, cancellato il crocifisso dai cuori, sono tornati i sacrifici umani.
Siamo la generazione che ha assistito tranquillamente in 30 anni allo sterminio – con leggi degli Stati – di un miliardo di piccole vite umane nascenti, il più immane sacrificio umano della storia. La generazione che torna a discettare di vite “indegne di essere vissute”, che pretende di trasformare i più piccoli esseri umani in cavie da laboratorio, che esige – specialmente “in nome della scienza” - che tutto sia permesso. In effetti “se Dio non c’è, tutto è permesso”. Ma con quali conseguenze?

L’abbiamo visto nel recente passato. E siccome non ne traiamo le conseguenze lo vediamo nel presente e ancor più lo vedremo nel futuro. Qualcuno ha osservato: “Strano come sia semplice per le persone cacciare Dio per poi meravigliarsi perché il mondo sta andando all'inferno”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 luglio 2008

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nichilismo, socci

lunedì, 09 giugno 2008

CARO VASCO, SONO I PRETI E LE SUORE A FARE        DAVVERO UNA VITA SPERICOLATA…          
07-06-2008

E’ proprio vero che Dio rende nota la potenza della sua salvezza attraverso la letizia di certi volti…
***
Vasco Rossi ha preso cappello per il mio corsivo di martedì scorso. E ieri ha scritto una risentita replica sulla Stampa. Pensavo che, presentandosi come trasgressivo, irriverente e anarchico, avesse un po’ di senso dell’umorismo e di autoironia. Invece si prende maledettamente sul serio. Mi spiace. Saper sorridere anche di sé rende più simpatici.

Quello che è andato di traverso a Vasco è la mia battuta sulla citazione di Spinoza con cui ha iniziato il suo grande concerto. Ci tiene a far sapere precisamente il titolo dell’opera da cui è tratta e – piacendogli la vita esagerata - aggiunge addirittura un’altra frase del vecchio Baruch. Cosa che probabilmente fa di Vasco il maggior esperto vivente del filosofo seicentesco. Nulla in contrario: è un luminare.

Resta la mia perplessità sul fatto che il malinconico Spinoza possa essere considerato il simbolo della “gioia”. Avesse evocato Mozart o Francesco d’Assisi avrei capito. Ma Spinoza francamente no. E Vasco? Dice: “Noi musicanti con la nostra musica portiamo un po’ di gioia”. La levità delle sue canzoni, l’allegra gioia di vivere che le connota in effetti è proverbiale. Si può rappresentare con alcuni titoli emblematici: “Fegato, fegato spappolato”, “Sono ancora in coma”, “Ti taglio la gola”, “Valium”. “Siamo soli”, “Mi si escludeva”, “Io perderò”.

Ora – parlando seriamente – le canzonette di Vasco in genere piacciono (anche a me) precisamente per la loro tristezza (anche se a volte è una disperazione compiaciuta e un maledettismo recitato). E’ poesia saper cantare lo spleen e quanto è triste Bologna.
Non che Vasco sia Baudelaire o Rimbaud, ma talora sa esprimere con accenti veri e giri armonici piacevoli il male di vivere e lo smarrimento della vita quotidiana. Questo è il suo talento: la disperazione, non certo la “gioia”. Tanto è vero che ci ha costruito una carriera piena di soddisfazioni.

Discutibile è – a mio parere – la sua invettiva contro il Potere. Non se ne può più di questi cantanti (attempati e) benestanti che si atteggiano a guru della “rivolta” e della protesta, proponendosi come maestri di vita e comizianti.
Una volta Vasco realisticamente disse: “io non sono un predicatore. Se parli finisce che fai una predica, io non sono mica Celentano. Per carità”.

Avrebbe fatto bene a restare di questa idea ed esprimersi con le canzoni (che sa far bene). Ma il successo, si sa, porta a esagerare.
E allora uno s’impanca a predicatore, pontifica sulle sorti del mondo, sulla politica, sul Potere. Si vorrebbe sapere di quale Potere parla. A me i suoi sembrano messaggi molto conformisti, che fanno parte della mentalità dominante la quale, appunto, è il Potere. Non a caso una star come lui è idolatrata da migliaia di persone paganti e osannanti. E’ ripreso in prima serata dalla televisione ed esaltato sui giornali. Mi pare che un milionario quasi sessantenne, sebbene abbigliato da ventenne scapigliato, resti pur sempre un borghese che sta in questa società e nel redditizio mondo della musica (la grande multinazionale dell’immateriale) come un topo nel formaggio. Dunque fa parte del sistema e anche – volente o nolente - della tristezza della mentalità dominante.

La lettera di Vasco alla Stampa di ieri lancia un’altra frecciata polemica contro di me. Sempre appoggiandosi a Spinoza aggiunge che c’è “un legame profondo fra il despota e il prete, poiché entrambi hanno bisogno che le persone assoggettate siano tristi”. E io sarei di questa bella congrega. Ora, anche se Vasco ha studiato dai preti e io no, ritengo di conoscere molto meglio di lui l’inquisizione clericale (essendo stato “vittima” perfino del tribunale ecclesiastico) e la detesto. Così come conosco sulla mia pelle e detesto l’inquisizione anticlericale.

Ciò che trovo intollerabile – da quel pulpito - sono certe espressioni sprezzanti sui “preti”. Un prete oggi è un povero (vive con 700 euro al mese), lo aspetta una vecchiaia povera e da solo. Eppure è uno che ha scelto questo tipo di esistenza, ha scelto di donare tutto se stesso e tutta la sua vita agli altri per Cristo.

Conosco ragazzi di 20 anni, belli, intelligenti e vigorosi, che avrebbero avuto davanti a sé un futuro di successo e soddisfazioni mondane e che invece hanno deciso di entrare in seminario (a volte per farsi missionari), facendo questo “folle” dono di sé, per sempre, a un mondo che li disprezza, li dileggia e spesso li odia (salvo ricorrere a loro nei momento di disperazione). La loro sì che è una “vita spericolata”. Loro sì che disobbediscono al Potere e ai ferrei comandamenti dell’apparire, del dominare e del possedere, del vendere e del comprare, i quali rappresentano – come scriveva Pasolini – il vero dispotismo di oggi.

Eppure, la cosa stupefacente per me è vedere quanto spesso loro sono lieti. E’ incredibile come possa rendere felici questo rinunciare a tutto per donarsi a Cristo. Conosco tante ragazze ventenni e trentenni che hanno scelto la vita da suore, da sorelle di tutti, e sono ancora più povere dei preti, ancora più senza potere e hanno nel volto una luce certamente sconosciuta a noi “uomini di successo” e di potere. La gioia vera abita lì ed è ignota ai sudditi della religione del consumo, dell’apparire e del dominio. Che scambiano per gioia l’eccitazione illusoria, congestionata e fasulla dei concerti rock.

Di questa religione mondana, diffusa a livello planetario, le star, i cantanti sono i sacerdoti. Talvolta gli idoli. Anche il cantante bolognese lo è. Non a caso c’è un libro dedicato a lui che si intitola “dio Vasco” (Valentina Pigmei, “dio Vasco”, Editore Arcana, 2003).

Sono i guru, i sacerdoti e i profeti dei nuovi dogmi. Ormai i veri “preti” di oggi sono loro. Calano dall’alto dei loro palchi il loro Verbo e folle in delirio lo bevono acriticamente. E guai a ironizzare sulle loro prediche noiose e su certe ipocrite sparate contro il sistema. Oltretutto quando li fai parlare, spesso devi constatare una povertà, anche argomentativa, scoraggiante. Mentre i preti almeno conoscono la razionalità aristotelica.

Vasco mi definisce un “integralista religioso”. Ecco, di quella religione mondana che celebra i suoi riti in quei chiassosi concerti e dei suoi idoli, osannati sui media, mi dichiaro ateo. La ritengo il vero “oppio dei popoli”, che stordisce e fa dimenticare la vita vera. Il buon Vasco mi gratifica anche di altre qualifiche: fazioso e arrogante.
C’è sempre qualcosa di vero nelle critiche e farò tesoro anche delle sue parole, cercando di imparare mitezza e comprensione. Vorrei solo invitare, un giorno, con me il mio fratello Vasco a conoscere qualcuno di quelli che chiama “i preti”. Preti veri. O certe mie sorelle di qualche convento di clausura. Vorrei che vedesse i loro occhi. Potrebbe scoprire dove sta di casa la gioia. Sorprendendosi, come capita continuamente a me.

antonio socci

Da “Libero” 7 giugno 2008

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socci

lunedì, 14 aprile 2008

VOTARE " PER MARIA..
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Vi parrà bizzarro, ma l’evento più interessante di questa campagna elettorale, per me, è accaduto domenica scorsa a Milano al Palasharp. Sebbene fossero presenti 25 mila persone nessuno ne ha dato notizia. In apparenza non c’entra con le elezioni, ma, come vedremo, non è così.

Quell’immensa folla è arrivata lì senza alcuna campagna pubblicitaria. Dalle 8.30 del mattino fino alle ore 21 hanno pregato, meditato, adorato, ascoltato testimonianze con il carismatico padre Jozo Zovko, che era parroco di...

 Seguire le sue tracce nella storia e nella cronaca è sorprendente…
Vi parrà bizzarro, ma l’evento più interessante di questa campagna elettorale, per me, è accaduto domenica scorsa a Milano al Palasharp. Sebbene fossero presenti 25 mila persone nessuno ne ha dato notizia. In apparenza non c’entra con le elezioni, ma, come vedremo, non è così. Quell’immensa folla è arrivata lì senza alcuna campagna pubblicitaria. Dalle 8.30 del mattino fino alle ore 21 hanno pregato, meditato, adorato, ascoltato testimonianze con il carismatico padre Jozo Zovko, che era parroco di Medjugorje all’inizio delle apparizioni della Madonna in quell’ormai celebre villaggio, nel giugno 1981 (il francescano fu poi arrestato dalla polizia comunista, torturato e detenuto per quasi due anni). All’incontro – organizzato da “Mir I Dobro”, l’associazione di volontariato (nata a Varese) – erano presenti anche due dei sei veggenti: Ivan Dragicevic e Jakov Colo. Il primo ha ancora oggi le apparizioni quotidiane e puntualmente alle ore 18 la Madonna è arrivata, in un silenzio impressionante, nell’emozione generale. E’ rimasta circa 10 minuti a pregare con i presenti, specialmente sugli ammalati e sui sacerdoti. Poi, tramite Ivan, ha lasciato a tutti un messaggio: “Una madre prega per i suoi figli e io ho pregato mio Figlio per voi” Particolarmente toccante è stata la testimonianza di Silvia, una ragazza di 19 anni, che era gravemente malata (una paraplegia alle gambe). Andando in pellegrinaggio a Medjugorje a un certo punto, sulla collina delle apparizioni, è svenuta e si è poi risvegliata con un forte pianto e con tremore, scoprendosi guarita:” Sono guarita! Cammino!” Sono fatti eccezionali, ma nient’affatto isolati. Padre Jozo nella sua meditazione ha invitato a seguire gli insegnamenti del Santo Padre anche per quando riguarda la tutela della famiglia (in vista delle prossime elezioni ha fatto una speciale “preghiera per l’Italia”). E ha citato Tony Blair, l’ex premier britannico, recentemente convertitosi al cattolicesimo. Si dà il caso infatti che Medjugorje c’entri (anche) con questa conversione. Non solo perché la moglie, cattolica da sempre, segue le apparizioni da tempo. Padre Jozo lo ha incontrato qualche anno fa. In Inghilterra c’è un vero sommovimento medjugorjano che ha al centro un personaggio molto influente, Robert Hutley, convertitosi a Medjugorje con la moglie. Questo è il terreno su cui è fiorita la conversione di Blair. Proprio il 4 aprile scorso la “Repubblica” ha lanciato in prima pagina una conferenza dell’ex premier su “Fede e globalizzazione” tenuta il 3 aprile nella cattedrale di Westminster davanti a circa 1.600 persone. Blair ha sottolineato l’importanza della religione per il destino dell’umanità. E ha messo in guardia dal laicismo. Infine ha riferito di aver dato vita alla “Fondazione Tony Blair per la Fede” (Tony Blair Faith Foundation). E’ immaginabile una cosa del genere per i leader politici italiani? Peraltro Blair – come ha rivelato The Guardian – è in corsa per diventare il Presidente dell’Unione europea (carica istituita l’anno scorso a Lisbona). Anche di un’altra (controversa) conversione hanno recentemente parlato i giornali, quella dell’ultimo leader dell’Urss Mikhail Gorbacev sorpreso in preghiera nella basilica di Assisi. Pure lui ha avuto a che fare con Medjugorje. Ho già raccontato su queste colonne come è accaduto che, nell’ottobre 1987, il presidente Reagan si sia messo in contatto con la veggente Marija Pavlovic, due mesi prima della firma del Trattato di Washington con l’Urss, il primo per l’eliminazione delle armi nucleari che mise fine allo scontro sugli euromissili e fu preludio al crollo incruento dell’Urss. Ho riferito l’entusiasmo e la commozione di Reagan che si sentì spronato a proseguire sulla via del disarmo. Addirittura, con la moglie Nancy, decise di fare le preghiere e il digiuno chiesti dalla Madonna “Reagan volle che, fra i documenti da portare con sé ai colloqui con Gorbacev, ci fosse pure la mia lettera” racconta Marija. “So che lui ne parlò a Gorbacev e poi hanno firmato tutto. In seguito mi è arrivata una busta con la foto del presidente e il suo ringraziamento, scritto di suo pugno. E anche Gorbacev ha voluto quella mia lettera”. La Madonna di Medjugorje deve averlo illuminato, se lo stesso Gorbacev nella storica visita in Vaticano del 1° dicembre 1989, nello studio privato di Giovanni Paolo II, si inginocchiò davanti a lui chiedendo perdono per i crimini del comunismo (il papa lo abbracciò). La clamorosa notizia fu rivelata la prima volta da suor Lucia, la veggente di Fatima e confermata da lei anche dopo la smentita dalla Sala stampa vaticana, il 2 marzo 1998. Pochi mesi fa ha confermato la notizia addirittura il Segretario di Stato vaticano, cardinal Bertone, in un suo libro. Nel mondo cattolico si diffonde la sensazione – esplicitata quattro mesi fa a Lourdes dal cardinale Ivan Dias - che in questa generazione la Madonna protegga in modo speciale la Chiesa e il mondo. E’ evidente proprio dalle sue apparizioni e dal grande pontificato mariano di Giovanni Paolo II. Nei prossimi giorni Benedetto XVI andrà negli Stati Uniti. Parlare al popolo americano è un evento storico, come quando san Pietro venne a Roma, la capitale dell’Impero. Ma anche qui la strada di papa Ratzinger è stata preparata. Non solo dal predecessore. La presenza silenziosa e misteriosa di Maria lo ha preceduto già dentro la Casa Bianca dove il Papa incontrerà il presidente Bush. Infatti, racconta Marija Pavlovic, a margine della vicenda del 1987, “seppi che il Presidente Reagan aveva personalmente fatto comprare una statuina della Madonna, facendola portare alla Casa Bianca”. Era l’immagine della Madonna di Fatima. E di nuovo nulla appare casuale. Non solo per il legame fra Medjugorje e Fatima, ma anche per una notizia che è venuta alla luce solo di recente. E che riguarda proprio la Casa Bianca e Fatima. Siamo nel 1959. Papa Giovanni XXIII legge il testo del “terzo segreto di Fatima” che per volere della Madonna doveva essere reso pubblico nel 1960. Contiene, come scopriremo nel 2000, il preannuncio di una immane catastrofe planetaria e di una grande prova per la Chiesa. Papa Roncalli decide di segretarlo. L’11 ottobre 1962 apre il Concilio Vaticano II irridendo i “profeti di sventura” e affermando: “non siamo alla fine del mondo”. Anzi esaltò il “nuovo ordine di rapporti” mondiali che “volgono inaspettatamente” al meglio. Esattamente quattro giorni dopo il mondo precipita sull’orlo di una guerra nucleare mai vista. Il 14 ottobre infatti un aereo americano fotografa 162 testate nucleari sovietiche nell’isola di Cuba puntate sugli Stati Uniti. Il 15 le foto sono sul tavolo del presidente Kennedy che deve decidere cosa fare. Decise – anche su accorato invito del Papa - di non invadere e alla fine di trattare. Qualcuno dal Vaticano aveva fatto pervenire alla Casa Bianca una descrizione dello scenario apocalittico tracciato dalla Madonna a Fatima (ora si capisce perché doveva essere svelato nel 1960). In una recentissima intervista Robert McNamara, segretario alla Difesa di Kennedy, ha riferito, con un moto di orrore, che nel 1992 “noi venimmo a sapere per la prima volta da ex ufficiali sovietici che loro erano pronti alla guerra nucleare nel caso di un’invasione americana di Cuba”. Il mondo dunque fu salvato dalla decisione di Kennedy di non invadere. Sarà un caso, ma Kennedy fu il primo (e unico) presidente americano di fede cattolica. Quindi più di chiunque altro era sensibile a un messaggio che arrivava dalla Santa Sede e dalla Madonna di Fatima. Fu provvidenziale che proprio in quel momento gli Stati Uniti avessero un presidente cattolico. Kennedy, era nato nel maggio 1917 (quando iniziarono le apparizioni di Fatima) ed ebbe la “nomination” per la Casa Bianca nel 1960: il 13 luglio. Lo stesso giorno in cui – anni prima – la Madonna consegnò ai tre pastorelli il Segreto. L’ennesimo caso?

 Antonio Socci

Da “Libero”, 12 aprile 2008

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lunedì, 17 marzo 2008

E LA BELLEZZA DOV’ E’ ?
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C’è qualcuno – fra i partiti che si azzuffano alle elezioni per poi spartirsi la torta del potere – che metterà al primo punto del suo programma la Bellezza, la difesa della Bellezza, il diritto alla Bellezza in questa Italia che fu (e dolentemente sarebbe ancora) la patria della Bellezza? E c’è qualcuno che se ne ricorderà soprattutto a Roma che è la città della Bellezza? Sicuramente no. Eppure la Bellezza non è un lusso, è il pane dei poveri, la loro unica ricchezza. La Bellezza non è fatta di lustrini e veline, povere ombre effimere di un teatro di cannibali (il volto di Madre Teresa era bellissimo e quello di Karol Wojtyla più bello di qualunque attoruncolo hollywoodiano). La Bellezza dà senso alla vita. Ammoniva Dostoevskij nei “Demoni” (che è il suo romanzo più politico, quello dove profetizza l’orrore che l’ideologia provocherà nel Novecento): “Sappiate che l’umanità può fare a meno degli Inglesi, che può fare a meno della Germania, che niente è più facile per lei che fare a meno dei Russi, che per vivere non ha bisogno né di scienza né di pane, ma che soltanto la bellezza le è indispensabile, perché senza bellezza non ci sarà più niente da fare in questo mondo”.

Non c’è nessuno che abbia il senso tragico del momento che viviamo. Nessuno che si alzi di un centimetro sopra gli avvenimenti e ne sappia leggere la logica (suicida), il punto di approdo e di crollo. Non solo nella “classe dirigente” (si fa per dire) italiana. La tecnocrazia europea è assai peggiore. Eppure la gente lo sente, avverte che abbiamo perduto l’essenziale. Vorrei sentir dire a qualcuno le parole di Robert Kennedy: Il dramma della gioventù americana è che sa tutto eccetto una cosa. E questa cosa è l’essenziale”. Continuerà a ignorarlo e ad affossarsi, la nostra gioventù, se – per esempio – le università saranno sempre nelle mani di minoranze fanatiche che inalberano cartelli dove sta scritto: “Non vogliamo padri” (come è accaduto all’Università di Roma per impedire l’arrivo del Papa).

A volte mi viene in mente un’invettiva
dell’autore del “Piccolo principe” che dice brandelli di verità: “Odio la mia epoca con tutte le mie forze. In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondo un problema più grande di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si può vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il fabbricarci una vera e propria prigione”.

Un inferno. Popolato di demoni e beni di consumo. Di monnezza e di palline da golf perdute. Di vecchi abbarbicati al potere e di giovani incapaci della più piccola nobiltà d’animo. Di assatanati del sesso. Di incapaci di rispettare i deboli. Di ragazze ridotte a cose da possedere anche a costo di violentarle. Di figli ridotti a prodotti da “fabbricare” a proprio gusto o da scartare ed eliminare se “difettosi”. Di una cultura che esalta solo e sempre la brama di possesso, il potere e il denaro (e soprattutto la loro esibizione), mentre la vita reale della metà delle famiglie italiane sta sprofondando letteralmente nella povertà. E se ne approfitta per produrre parole parole parole…

Giorni fa vedevo un programma d’informazione in tv che da anni fa la stessa puntata: non parla che delle bollette e delle buste paga, della finanziaria e della rata del mutuo. Da mesi e da anni. Oltretutto un parlare del tutto vano perché la gente, sempre più impoverita, non si sente dire la verità, non si sente dire “per colpa di chi”. E ora non riesce più neanche ad acquistare le medicine per curarsi. Nessuno ha il coraggio di dire la verità e nessuno la difende.

Ma mi chiedo se la vita e il destino di un popolo sia tutto e solo lì, nelle bollette. Oltretutto questo popolo non fa più figli, perché fare figli significa essere condannati alla povertà; perciò fra venti anni il popolo italiano sarà vicino all’estinzione. Senza speranza. Dicono certi sondaggi che quello italiano è un popolo triste e senza speranza. Nel dopoguerra eravamo molto più poveri, addirittura fra le macerie, un paese in ginocchio. Ma avevamo una grande risorsa che ha fatto “il miracolo”. Qual era? Cosa abbiamo perduto? Perché nessuno sa dirlo? Beh, lo dirò io: la fede cristiana. Questo abbiamo perso. Cioè l’amore alla vita.
“L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi. Io parlo perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete ritornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! Bisogna tornare al punto di prima, in-quel-punto dove voi avete imboccato la strada sbagliata”.

E’ il “folle di Dio”, Domenico, nel film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, che grida queste parole, poco prima di sacrificare se stesso sopra la statua del Marco Aurelio in Campidoglio. Ma in quale punto abbiamo “imboccato la via sbagliata”? A quale crocevia ci siamo smarriti? Sfogliando un libro di antiche icone russe, Alexander, il protagonista del “Sacrificio” (il successivo e ultimo film di Tarkovskij), si dice colpito da quelle splendide tavole per la “saggezza e spiritualità (…) profonda e virginale nello stesso tempo. Incredibile come una preghiera”. Ma aggiunge, con sconcerto: “tutto questo è andato perduto. Non siamo più neppure capaci di pregare”.

Due sequenze con le quali Tarkovskij ci dice che si sono perdute (o abbandonate) al tempo stesso la Bellezza e la Fede. Che poi sono la stessa cosa. Pavel Edvokimov scrive: “Ciò che è bello è la presenza di Dio fra gli uomini”. Un cataclisma si è dunque consumato agli esordi del Novecento. Preparato da qualche secolo. Si è preteso di cancellare – anche al prezzo di stragi e persecuzioni bestiali – la presenza di Dio fra gli uomini.

Così si è cancellato l’uomo. E si è cancellata anche la bellezza. Infatti non c’è più bellezza, neanche nelle chiese. Non c’è più la forma umana. E non c’è più neanche lo stupore per la realtà creata. Un filosofo straordinario come
Wittgenstein diceva: “E ora descriverò l’esperienza di meravigliarsi per l’esistenza del mondo, dicendo: è l’esperienza di vedere il mondo come un miracolo”. Non è più così. I “miracoli” sono stati aboliti innanzitutto dai teologi che si scagliano contro i santi e pretendono di legare le mani alla bontà di Dio. Ebbe modo di prevedere questa china quel grande che era Franz Kafka quando notò:Non ci sono più miracoli, ma solo istruzioni per l’uso. Ci sono solo norme, regole, vademecum, anche nella Chiesa che pure è il luogo dei miracoli, che pure sarebbe cielo e terra nuova, dove i miracoli veramente accadono. Dice Tarkovskij: “non si è più capaci di ammettere, neppure per ipotesi, il miracolo”. Perduto il significato siamo precipitati tutti – uomini, popoli e cose create - nell’assurdo e quindi anche nel brutto. L’arte si è disumanizzata e ha celebrato la distruzione del “personaggio uomo” e della realtà creata. Sono diventate “opere d’arte” gli orinatoi e la “merda d’artista”. Così “l’abolizione della bellezza è la fine dell’intelligibilità del mondo” (F. Schuon). Ma è anche la fine del mondo.

Antonio Socci
(da “Libero”, 24 febbraio 2008)

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domenica, 24 febbraio 2008

“Si diventa e si rimane cristiani perché si prova un piacere nell'aderire a Gesù Cristo
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Il papa pellegrino dal santo "peccatore”
Libero, sabato 21 aprile, Il papa pellegrino dal santo "peccatore" (A. Socci)

Agostino, studente a Cartagine, a 17 anni inizia a convivere - una "coppia di fatto" - con una giovane nordafricana che amerà per 14 anni avendo da lei anche un figlio (all'età di 18 anni). Chi è questo giovane "avventuriero" che in pochi anni diventa uno degli intellettuali più brillanti di Roma e di Milano? Si tratta di Agostino d'Ippona, colui che - convertendosi a 32 anni - diventerà uno dei più grandi santi della storia della Chiesa, il più grande fra i padri e dottori della Chiesa, colui alla cui tomba, a Pavia, Benedetto XVI oggi va a in pellegrinaggio (Ratzinger si laureò con una tesi su di lui e ha sempre considerato Agostino come il suo maestro).
Giuliano Vigini nel libro "Sant'Agostino", che ha la prefazione proprio di Joseph Ratzinger, scrive che quella "unione di fatto ottiene il risultato di porre un freno al dilagare delle passioni amorose di Agostino e diventa un elemento equilibratore nella sua vita affettiva". Nel 1998 il senatore Andreotti, presentando con il cardinal Ratzinger un libro sull'attualità di sant'Agostino, disse: "Mi ha colpito una cosa leggendo l'Enciclopedia Cattolica: laddove si parla di Sant'Agostino si dice testualmente che, quando andò a Cartagine, questo giovane diciassettenne 'si piegava a una certa regola, unendosi senza matrimonio, con una grande fedeltà, alla donna madre del suo figlio' ". E' il caso di ricordare che l'Enciclopedia Cattolica è un'opera assolutamente ortodossa, addirittura emblematica del pontificato di Pio XII. Quelle considerazioni la dicono lunga sulla saggezza della Chiesa che non è per niente impaurita dalla vita e dall'umano (come oggi caricaturalmente la si vuol rappresentare) e sa cosa è l'uomo senza la Grazia di Cristo.
In una delle sue prime interviste da papa, Benedetto XVI disse: "il cristianesimo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva.questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa". Insomma la Chiesa è una possibilità di vita più umana, più appassionante e felice di qualunque esistenza senza Cristo.
Come scoprì e poi proclamò Agostino che, pur essendosi convertito giovane, a 32 anni, prima aveva sperimentato - scrive il Papa - "quasi tutte le possibilità dell'esistenza umana. Il suo temperamento passionale" ricorda Ratzinger "gli fece imboccare numerose strade".
Ma di fronte a tutte le "avventure" che precedono il battesimo, Ratzinger non mette affatto la sordina, né le derubrica a errori su cui stendere un pietoso velo. Al contrario nella prefazione al libro di Vigini, per spiegare la grandezza dell'opera teologica di Agostino, l'attuale Papa scrive che "la sua teologia (di Agostino) non nacque a tavolino, ma venne sofferta e maturata nell'odissea della sua vita".
Aggiunge perfino che "non sono le teorie bensì le persone quelle che rendono credibile un modo di vivere" e Agostino "è così umano, così credibile proprio perché la sua vita non ebbe un andamento lineare e le sue risposte non furono solo teorie". Ma come possono il Papa e la Chiesa indicare come esempio un uomo che ha percorso tante vie di peccato? Quello che in realtà indicano come esempio è il suo desiderio inappagato di verità e felicità. Perché - spiega Ratzinger - Agostino fu sempre leale col suo cuore e non si accontentò mai di "felicità" fittizie, finché non gli si rivelò la vera Felicità (ed era Gesù Cristo stesso). "Solo questo egli non poté e non volle mai" scrive Ratzinger "accontentarsi di una normale esistenza piccolo-borghese. La ricerca della verità bruciava in lui con troppa passione perché egli potesse accontentarsi di spendere la vita in modo convenzionale". In effetti Agostino riconosceva (anche per tutte le sue peripezie intellettuali oltreché esistenziali) cos'era la vita in se stessa: "tutto quello su cui posavo lo sguardo era morte. Ero infelice, in un profondissimo tedio della vita e la paura della morte. Io costituivo per me stesso un luogo desolato, dove non potevo stare e da cui non potevo fuggire. Non c'era sollievo né respiro in nessun luogo".
Da questo "nulla" - come racconta nelle Confessioni - fu portato alla vita vera attraverso una serie di incontri decisivi a Milano con persone innamorate di Cristo: con Ambrogio, con Simpliciano e una quantità di giovani che - perfino in accordo con le ex fidanzate - decidevano di scegliere la castità e la vita in comunità come gli apostoli (era il primo monachesimo). E' lì che Agostino sente l'attrattiva di Gesù più forte dei piaceri carnali "perché ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te". Così esplode in un nuovo sorprendente impeto di adesione: "mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più a cercarmi una moglie". Quindi "fummo battezzati" (lui, con il figlio e gli amici) "e si dileguò da noi l'inquietudine della vita passata. Tu, che fai abitare in una casa i cuori umani, il Tuo perdono sprona il cuore a non assopirsi nella disperazione, a non dire 'non posso', a vegliare invece nell'amore, investito dalla Tua misericordia, forza di me debole".
La figura di Agostino è straordinariamente moderna. Su di lui esce in media nel mondo un libro al giorno. La sua riscoperta nella Chiesa, grazie a Benedetto XVI, potrà avere effetti straordinari. In che direzione? Nella "Sacramentum caritatis" il Papa ha scritto: "Con acuta conoscenza della realtà umana, sant'Agostino ha messo in evidenza come l'uomo si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio".
E' un cambiamento di mentalità che Ratzinger da tempo chiede ai cattolici e che potrebbe trasformare la percezione che i moderni hanno della Chiesa. Don Giacomo Tantardini, che all'Università di Padova da ben dieci anni tiene un ciclo di lezioni sulla figura e l'opera di Agostino, ha indicato quella frase del papa come decisiva: "il tempo della Chiesa è caratterizzato proprio da questa dinamica: l'incontro con un'attrattiva presente che corrisponde al desiderio dell'uomo".
In particolare "sant'Agostino arriva a dire, seguendo san Paolo, che tutta la dottrina cristiana senza la delectatio e la dilectio, senza l'attrattiva amorosa della grazia, è lettera che uccide. Non è la cultura, neppure la dottrina cristiana, che può stabilire un rapporto con un uomo per il quale il cristianesimo è un passato che non lo riguarda. è qualcosa che viene prima della cultura. Questo qualcosa che viene prima sant'Agostino lo chiama delectatio e dilectio, cioè l'attrattiva amorosa della grazia. Questo diletto, questa felicità è il motivo e la ragione per cui si diventa e si rimane cristiani".
Queste lezioni di Tantardini sono raccolte adesso in libro, "Il cuore e la grazia in S. Agostino" (Città nuova) che sarà presentato il 27 novembre prossimo a Padova dal patriarca di Venezia Angelo Scola, personalità molto rappresentativa della Chiesa di Benedetto XVI. Esse "costituiscono un 'caso' di grande interesse culturale" secondo l'agostiniano Nello Cipriani. "L'idea che si diventa e si rimane cristiani perché si prova un piacere nell'aderire a Gesù Cristo non è solo di Agostino ma anche di don Giussani, autore di un libro intitolato 'L'attrattiva Gesù'. Io credo che don Giacomo Tantardini" scrive Cipriani "abbia colto la profonda consonanza esistente tra l'esperienza cristiana vissuta e proposta tanti secoli fa da sant'Agostino e quella proposta oggi da don Giussani". Le sue pagine aiutano "gli ascoltatori e i lettori a scoprire o a riscoprire la bellezza e la gioia di un'autentica esperienza cristiana, che, al di là delle dottrine teologiche e dei riti religiosi, è soprattutto un incontro personale con Cristo, che, sempre vivo e presente, è capace ancora oggi di suscitare una profonda attrattiva nel cuore dell'uomo".
E' questo che Benedetto XVI annuncia a tutti.


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domenica, 20 gennaio 2008

l'Angelus è la politica di Dio
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Socci: l'Angelus è la politica di Dio
Postato il Domenica, 20 gennaio @ 09:42:41 CET di Peppone

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Dio fa politica.
La sua Costituzione si chiama Angelus
L’orazione che oggi pronuncia Ratzinger sintetizza la rivoluzione cristiana: a vincere sono i crocifissi…
di ANTONIO SOCCI


LIBERO 20 gennaio 2008


La preghiera dell'Angelus (che ricorda l'Annunciazione, il "sì" di Maria e l'incarnazione di Dio) è politica con la P maiuscola. Politica vera, non politichetta. È la politica di Dio: annuncia il ribaltamento del potere nel mondo, l'annientamento di tutti i poteri, l'inizio della loro fine (anche il presuntuoso potere degli intellettuali di cui Dio si infischia). È l'unica vera rivoluzione ed ha un bel volto di fanciulla: è la rivoluzione della tenerezza e dello stupore. Nessun potere può sentirsi più sicuro da quell'attimo in cui, alla periferia dell'Impero romano (e di tutti gli imperi della storia), una bellissima fanciulla quindicenne, inerme e indifesa, ma coraggiosissima e decisa a tutto per il Signore, ha detto il suo "sì" a Dio. È da quel "sì" che Dio volle domandare e a cui volle sottoporsi, che tutte le donne, considerate fino ad allora nulla in quelle civiltà, acquistarono il diritto, nella storia, di poter dire "sì" o "no", come creature libere. Grazie a quel "sì" è entrato nella storia l'unico vero Potente, l'unico vero Re. Pochi giorni dopo il suo sì, Maria, col cuore che scoppiava di felicità, cantando e danzando, ha svelato alla cugina Elisabetta cosa sarebbe accaduto. È la sua profezia: «(Dio) ha spiegato la potenza del suo braccio/ ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore/ ha rovesciato i potenti dai troni/ ha innalzato gli umili». Ha rovesciato i potenti dai troni? Ha innalzato gli umili? Ma quando e dove? La nostra generazione ha visto come il più vasto, duraturo e disumano degli Imperi del Male, quello che aveva provocato il più oceanico macello di cristiani della storia (più di 100 milioni di vittime), quello che si estendeva da Trieste all'Alaska e che nessuno immaginava di poter mai abbattere, in una notte si è totalmente disintegrato. Afflosciato su se stesso. La bandiera rossa è stata ammainata dal Cremlino il 25 dicembre del 1991, il giorno di Natale, quando nasce il Leone di Giuda, il vero Re. E la fine dell'Unione Sovietica era stata decretata l'8 dicembre 1991. Vi dice niente questa data? L'8 dicembre è la festa liturgica dell'Immacolata concezione che ci porta a Fatima. Dove la Madonna apparve ai tre bambini portoghesi, proprio nel 1917, preannunciando la rivoluzione bolscevica in Russia che infatti si sarebbe perpetrata di lì a poche settimane. E, dopo aver messo in guardia da immani persecuzioni, la Vergine concluse il suo drammatico messaggio così: «Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà». E così è stato l'8 dicembre '91, festa dell'Immacolata. Contro qualunque immaginazione umana o calcolo politico, sorprendendo tutti. Il crollo del potere più granitico e orrendo porta il segno dell'Immacolata. Questo è l'evento a cui ha assistito la nostra generazione. Ma da duemila anni, da quel "sì" pronunciato da una ragazzina ignota a tutti in terra, tutta la storia umana è stata ribaltata. Perché prima dominavano le tenebre più disumane e barbare. Tutti gli imperi e tutte le religioni della storia - come ha insegnato il grande René Girard - si fondavano sui sacrifici umani. Non solo quelli agli dèi, a migliaia, ma quelli decretati da re e imperatori per lotte e conquiste. Tutta la struttura sociale e civile si fondava sulla schiavizzazione, sull'arbitrio del potente sul debole. Non a caso nel Vangelo, nell'episodio delle tentazioni, Satana dice a Gesù (e rivela a noi: è un grande scoop politico) che tutti i regni della terra sono nelle sue mani. Tutti i poteri (anche quello che ciascuno di noi impone nei rapporti quotidiani). È per spazzar via questo crudele padrone che il Re è venuto. E ha vinto. Non con la forza, ma con l'amore. Non uccidendo, ma lasciandosi uccidere. E mostrando - come ripete Benedetto XVI che a vincere nella storia sono i crocifissi. A vincere oltrecortina non è stato il feroce Stalin che sembrava onnipotente e che oggi è polvere, ma i tanti inermi martiri, macellati in odio a Cristo. Alla fine il loro amore e la loro fede hanno aperto la strada alla potenza di Dio che domina la storia e vince. Per questo i cristiani sentono la preghiera dell'Angelus con tanta commozione. Perché è l'annuncio che la notte è finita. La storia umana secondo Hegel è una immensa macelleria. Ebbene, da quel "sì" di Maria sulla notte della storia, che gronda sangue innocente e crudeltà, è esplosa l'alba, il volto di un Re potente e buono che vince. Dante, nella Divina Commedia, racchiude in una bellissima terzina l'attimo cruciale dell'Annunciazione come il momento in cui finalmente il Cielo si apre sul mondo, soccorre gli uomini e piove una pace nuova, sconosciuta alla storia umana: "L'angel che venne in terra col decreto/ de la molt'anni lagrimata pace, / ch'aperse il ciel del suo lungo divieto". Per restare a Firenze, c'è un bellissimo filmato della Rai, in bianco e nero, dove compare Giorgio La Pira che si lancia in una vertiginosa lettura teologica del pianeta terra. Il sindaco santo è inquadrato davanti all'antico convento di San Marco, dove lui viveva, e dice col suo candido sorriso: «Firenze è il centro del mondo, San Marco è il centro di Firenze e l'Annunciazione del Beato Angelico (che è affrescata lì, nda) è il centro di San Marco. Quindi l'Annunciazione è il cuore della storia». Da quell'Annuncio nel mondo è entrata la luce. E di conseguenza - tutto quello che nella nostra civiltà c'è di vero, di buono e di bello. In quella terra, l'Europa, che ha accolto l'annuncio cristiano è fiorita l'umanità. È sbocciata la pietà per gli ammalati e sono stati inventati gli ospedali, la passione per la conoscenza (e sono nate le università e la scienza), la sacralità di ogni persona umana ed è sorta la libertà dei popoli. E la passione per la bellezza che ha fatto fiorire di arte la nostra terra, soprattutto nel ricordo di quella ragazzina di Nazaret, la donna più rappresentata e amata, in ogni angolo d'Italia e d'Europa. La preghiera dell'Angelus - che fu carissima a Giovanni Paolo II - forse è di origine francescana. E non stupisce, considerato l'amore di Francesco per la Madre di Gesù. La prima notizia infatti è datata 1269, quando san Bonaventura da Bagnoregio, generale dell'ordine, a un Capitolo prescrisse ai suoi frati di salutare ogni sera la Madonna col suono della campana e la recita di alcune Ave Maria in ricordo dell'Incarnazione di Dio. Fece propria questa pratica anche fra' Bonvesin de la Riva, grande letterato milanese (12401313), dell'Ordine degli Umiliati, cosicché nella città di Milano si cominciò ogni sera a suonare l'Ave Maria. Da Milano questa pratica dilagò. Accade perciò che Papa Giovanni XXII (1245-1334) ordina al suo Vicario che a Roma si suonino ogni giorno le campane affinché ciascuno "si ricordi" di recitare tre Ave Maria in memoria dell'Annunciazione. La preghiera si chiamerà popolarmente "il saluto dell'Angelo". E dal 1400 si cominciò a recitarla anche al mattino, finché nel 1456 papa Callisto III ordinò che le campane suonassero l'Angelus anche a Mezzogiorno. Il re di Francia, a quel suono, s'inginocchia va sulla nuda terra come il più umile dei suoi contadini. In ricordo di quel "sì" di Maria. Memorabile resta il quadro del pittore francese Jean François Millet (1814-1875), intitolato "Angelus", dove un giovane contadino e la sua giovane donna, in un campo, al tramonto interrompono il lavoro e recitano, raccolti, quella preghiera. Perché dopo quell' "Ave" (che è l'in verso di "Eva"), la Vergine, la nuova Eva, ci ha donato il Liberatore ed è iniziata la nuova storia del mondo, la nuova creazione. Non solo "un altro mondo è possibile", ma c'è già.
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maria, benedettoxvi, socci

lunedì, 03 dicembre 2007

 IL SEGRETO DI PADRE PIO
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617INTERVISTA  AD ANTONIO SOCCI

  • IL SEGRETO DI PADRE PIO

  • Postato da: giacabi a 19:29 | link | commenti
    santi, socci

    lunedì, 29 ottobre 2007

    Il vero volto del comunismo

    LA LEZIONE DEL 28 OTTOBRE…
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    Il 28 ottobre prossimo in Vaticano saranno beatificati 498 martiri della feroce persecuzione religiosa esplosa in Spagna dopo il 1931 e specialmente fra il 1934 e il 1936. Una cerimonia di massa di tali proporzioni non ha precedenti. Aveva cominciato Giovanni Paolo II beatificando nel 1987 tre suore carmelitane che erano state crudelmente massacrate per le strade di Madrid. Poi papa Wojtyla celebrò altre undici cerimonie di beatificazione per un totale di 465 martiri spagnoli. Domenica prossima saranno dichiarati beati 2 vescovi, 24 preti, 462 religiosi e religiose, 2 diaconi, 1 seminarista e 7 laici, tutti vittime di quella persecuzione. Sarà l’occasione per conoscere una delle più sanguinarie tempeste anticristiane scatenate nell’Europa del nostro tempo ad opera dei rivoluzionari repubblicani (una miscela di comunismo, socialismo, anarchia e laicismo).Mai nella storia d’Europa e forse in quella del mondo” ha scritto Hugh Thomas “si era visto un odio così accanito per la religione e per i suoi uomini”. Chiese e conventi (con una quantità di opere d’arte) furono incendiati e distrutti. In pochi mesi furono ammazzati 13 vescovi, 4.184 sacerdoti e seminaristi, 2.365 religiosi, 283 suore e un numero incalcolabile di semplici cristiani la cui unica colpa era portare un crocifisso al collo o avere un rosario in tasca o essersi recati alla messa o aver nascosto un prete o essere madre di un sacerdote come capitò a una donna che per questo fu soffocata con un crocifisso ficcato nella gola.

    Molti vescovi o sacerdoti sarebbero potuti fuggire, ma restarono al loro posto, pur sapendo cosa li aspettava, per non abbandonare la loro gente. Non colpisce solo l’accanimento con cui si infierì sulle vittime, inermi e inoffensive (per esempio c’è chi fu legato a un cadavere e lasciato così al sole fino alla sua decomposizione, da vivo, con il morto).

    Ma colpisce ancora di più la volontà di ottenere dalle vittime il rinnegamento della fede o la profanazione di sacramenti o orribili sacrilegi. Qua c’è qualcosa su cui non si è riflettuto abbastanza. Faccio qualche esempio. I rivoluzionari decisero che il parroco di Torrijos, che si chiamava
    Liberio Gonzales Nonvela, data la sua ardente fede, dovesse morire come Gesù. Così fu denudato e frustato in modo bestiale. Poi si cominciò la crocifissione, la coronazione di spine, gli fu dato da bere aceto, alla fine lo finirono sparandogli mentre lui benediva i suoi aguzzini. Ma è significativo che costoro, in precedenza, gli dicessero: “bestemmia e ti perdoneremo”. Il sacerdote, sfinito dalle sevizie, rispose che era lui a perdonare loro e li benedisse. Ma va sottolineata quella volontà di ottenere da lui un tradimento della fede. Anche dagli altri sacerdoti pretendevano la profanazione di sacramenti. O da suore che violentarono. Quale senso poteva avere, dal punto di vista politico, per esempio, la riesumazione dei corpi di suore in decomposizione esposte in piazza per irriderle? Non c’è qualcosa di semplicemente satanico?

    E il giovane
    Juan Duarte Martin, diacono ventiquattrenne, torturato con aghi su tutto il corpo e, attraverso di essi, con terribili scariche elettriche? Pretendevano di farlo bestemmiare e di fargli gridare “viva il comunismo!”, mentre lui gridò fino all’ultimo “viva Cristo Re!”. Lo cosparsero di benzina e gli dettero fuoco. Qua non siamo solo in presenza di un folle disegno politico di cancellazione della Chiesa. C’è qualcosa di più. A definire la natura e la vera identità di questo orrore ha provato Richard Wurmbrand, un rumeno di origine ebraica che in gioventù militò fra i comunisti, nel 1935 divenne cristiano e pastore evangelico, quindi subì 14 anni di persecuzione, molti dei quali nel Gulag del regime comunista di Ceausescu.

    Anch’egli aveva notato – nei lager dell’Est – questo oscuro disegno nella persecuzione religiosa. In un suo libro scrive: “
    Si può capire che i comunisti arrestassero preti e pastori perché li consideravano contro rivoluzionari. Ma perché i preti venivano costretti dai marxisti nella prigione romena di Piteshti a dir messa sullo sterco e l’urina? Perché i cristiani venivano torturati col far prendere loro la Comunione usando queste materie come elementi?”. Non era solo “scherno osceno”. Al sacerdote Roman Braga “gli vennero schiantati i denti uno ad uno con una verga di ferro” per farlo bestemmiare. I suoi aguzzini gli dicevano: “se vi uccidiamo, voi cristiani andate in Paradiso. Ma noi non vogliamo farvi dare la corona del martirio. Dovete prima bestemmiare Iddio e poi andare all’inferno”. A un prigioniero cristiano del carcere di Piteshti, riferisce Wurmbrand, i comunisti ogni giorno ripetevano in modo blasfemo il rito del battesimo immergendogli la testa nel “bugliolo” dove tutti lasciavno gli escrementi e costringevano in quei minuti gli altri prigionieri a cantare il rito battesimale. Altri cristiani “venivano picchiati fino a farli impazzire per obbligarli a inginocchiarsi davanti a un’immagine blasfema di Cristo”.

    Si chiede Wurmbrand, “cos’ha a che fare tutto ciò con il socialismo e col benessere del proletariato?
    Non sono queste cose semplici pretesti per organizzare orge e blasfemie sataniche? Si suppone che i marxisti siano atei che non credono nel Paradiso e nell’Inferno. In queste estreme circostanze il marxismo si è tolto la maschera ateista rivelando il proprio vero volto, che è il satanismo”.

    In effetti il libro di Wurmbrand s’intitola “Was Karl Marx a satanist?” ed è stato tradotto in italiano dall’ “editrice uomini nuovi” col titolo “L’altra faccia di Carlo Marx”. L’autore si spinge, indagando negli scritti giovanili di Marx e nelle sue vicende biografiche, fino a ritenere che trafficasse con sette sataniste. Peraltro nel brulicare di sette e società esoteriche di metà Ottocento sono tante le personalità che hanno avuto strane frequentazioni. E su Marx anche altri autori hanno fatto ipotesi del genere. Wurmbrand sostiene soprattutto che la filantropia socialista non era l’ispirazione vera di Marx, ma solo lo schermo, il pretesto per la sua vera motivazione che era la guerra contro Dio. Realizzata poi su larga scala con la Rivoluzione d’ottobre e quel che è seguito (nei regimi comunisti fatti, correnti, episodi e personaggi che portano in quella direzione sono chiari).

    Sul satanismo non so pronunciarmi, ma
    gli effetti satanici dell’esperimento marxista (planetario) sono sotto gli occhi di tutti anche se rimossi clamorosamente dalla riflessione pubblica: la più colossale e feroce strage di esseri umani che la storia ricordi e la più vasta guerra al cristianesimo di questi duemila anni. Siccome capita di sentir formulare, in ambienti cattolici, giudizi indulgenti sugli “ideali dei comunisti”, che sarebbero poi stati traditi nella pratica o mal tradotti, è venuto il momento di definire una buona volta la natura satanica dell’ideologia in sé e di tutto quel che è accaduto. Visto che un grande filosofo come Augusto Del Noce da anni ha dimostrato quanto l’ateismo sia fondamentale nel marxismo e niente affatto marginale o facoltativo. La tragedia spagnola, su cui il popolo cristiano non sa quasi niente (e che fu perpetrata anche da altre forze rivoluzionarie e laiciste) dovrebbe far riflettere, se non altro per le proporzioni di quel martirio.

    Antonio Socci

    Da “Libero”, 21 ottobre 2007



    Postato da: giacabi a 17:13 | link | commenti
    comunismo, santi, cristianesimo, ateismo, socci

    sabato, 14 luglio 2007

    La Rivoluzione Francese

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    intervista a Pierre CHAUNU:
    Come l'89 c'è solo Hitler
    tratto da Il Sabato, 29.4.1989, n. 17, p. 72-76
    Di Antonio Socci
    "Un'aula della Sorbona, a Parigi. Fuori un tiepido gennaio. Dentro comincia la prima lezione dell'anno 1989. Sulla cattedra è il professor Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro dell'Institut de France, con una sessantina di titoli al suo attivo.
    Esordisce in tono sarcastico: "Dunque questa è la prima lezione dell'anno: voi sapete che cadono nell'89 una quantità di anniversari importanti". E snocciola una filza di eventi storici, scientifici, economici, ma neanche una parola sulla Grande Commemorazione, quella che infiamma la Francia da otto anni: "Ho dimenticato qualcosa?" chiede beffardo il professor Chaunu, "no, non mi sembra ci sia altro di importante da ricordare". È stato il Grande Guastafeste del bicentenario della Rivoluzione. Brillante, corrosivo, preparatissimo, ha appena dato alle stampe un libro di fuoco, La révolution declassée, dove fa a pezzi il mito della Rivoluzione dell'89 e soprattutto il conformismo degli intellettuali di corte e la retorica di regime di questo bicentenario. I suoi stessi avversari non osano contestarlo: persino Max Gallo, obtorto collo, lo ha definito "un ottimo storico". Ed è praticamente invulnerabile, non essendo né cattolico, né reazionario (è infatti protestante e liberale). C'è una lunga tradizione liberale di critica aspra alla Rivoluzione, che comincia addirittura a fine Settecento con l'inglese Edmund Burke. Ma Chaunu si è spinto oltre. Ha guidato le ricerche di alcuni giovani e brillanti storici francesi fra documenti e dossier finora rimossi dalla storiografia ufficiale, e ne sono venuti fuori libri esplosivi, sconvolgenti, come quelli di Reynald Secher sul genocidio della Vandea.
    Incontriamo Chaunu nella sua casa di Caen.

    - Professore, il suo libro è uscito in Francia a marzo, già da alcuni anni lei si è ribellato al coro degli intellettuali e alle ingiunzioni del potere politico, contestando la legittimità di queste celebrazioni. Perché?
    - È una mascherata indecente, un'operazione politica che sfrutta le stupidaggini che la scuola di Stato insegna sulla Rivoluzione. Pensi alle bétises del ministro della Cultura Lang: "L'89 segna il passaggio dalle tenebre alla luce". Ma quale luce? Stiamo commemorando la rivoluzione della menzogna, del furto e del crimine. Ma trovo scioccante soprattutto che, alle soglie del '92, anche tutto il resto d'Europa festeggi un periodo dove noi ci siamo comportati da aggressori verso tutti i nostri vicini, saccheggiando mezza Europa e provocando milioni di morti. Cosa c'è da festeggiare? Eppure qua in Francia ogni giorno una celebrazione, il 3 aprile, il 5, il 10. È grottesco.

    - Ma è stato comunque un evento che ha cambiato la storia.
    - Certo, come la peste nera del 1348, ma nessuno la festeggia. Ad un giornalista tedesco ho chiesto: perché voi tedeschi non festeggiate la nascita di Hitler? Quello è sobbalzato sulla sedia. Ma non è forse la stessa cosa?

    - Dica la verità, lei è diventato reazionario. Ce l'ha con la modernità?
    - Io sono liberale, con una certa simpatia per l'illuminismo tedesco e inglese. Ma proprio questa è la grande menzogna che pare impossibile poter estirpare: tu sei contro la Rivoluzione, dunque tu sei contro la modernità, sei per la lampada a petrolio e per la carrozza a cavalli. Al contrario. Io sono contro la Rivoluzione francese proprio perché sono per la modernità, per la penicillina, per il vaccino contro il vaiolo. Perché non festeggiamo Jenner che con la sua scoperta, dal '700 a oggi, ha salvato più di un miliardo di vite umane? Questo è il progresso. La Rivoluzione ha semmai bloccato il cammino verso la modernità; ha distrutto in pochi anni gran parte di ciò che era stato fatto in mille anni. E la Francia, che fino al 1788 era al primo posto in Europa, dalla Rivoluzione non si è più sollevata.

    - Ma lei lo può dimostrare?
    - Guardi, circa trent'anni fa ho contribuito a fondare la storia economica quantitativa, e oggi, con i modelli econometrici, chiunque può arrivare a queste conclusioni. Sono fatti e cifre. Tutte le curve di crescita del mio Paese si bloccano alla Rivoluzione. Era un Paese di 28 milioni di abitanti, il più sviluppato, creativo, evoluto, con un trend da primato: la Rivoluzione, insieme alle devastazioni sull'apparato produttivo, ha scavato un abisso di due milioni di morti, un crollo di generazioni che ha accompagnato il crollo economico. Nella produzione media pro-capite, Francia e Inghilterra, i due Paesi più sviluppati del mondo, avevano rispettivamente, nel 1780, un indice 110 e 100. Ebbene nel 1815 la Francia era precipitata a 60, contro 100 dell'Inghilterra, che da allora non ha avuto più concorrenti. È stato il prezzo della Rivoluzione.

    - Ce ne spieghi almeno un motivo.
    - Attorno al '93 - e per un decennio - la Francia ha cominciato a vivere al 78 per cento del prelievo sul capitale e per il 22 per cento sulle tasse e le rendite, che non venivano reinvestite, ma consumate, bruciate e rubate per arricchire la Nomenklatura. È stata una dilapidazione spaventosa, un impoverimento storico. Quando Chateaubriand è tornato in Francia, nel 1800, ha avuto un'intuizione fulminante: "è strano: da quando sono partito non hanno più pitturato persiane e porte". Quando le finestre sono sverniciate e le latrine non funzionano può star certo che c'è stata una rivoluzione.

    - Ma comunque la Rivoluzione ha spalancato il pensiero umano.
    - Oh, santo cielo! Ma è stata una colossale distruzione di intelligenze e di ricchezze. Se lei taglia la testa a Lavoisier, il fondatore della chimica moderna, a 37 anni, il costo per l'umanità è enorme. Moltiplichi quel caso per cento. Come finì tutta l'élite scientifica e intellettuale? Quelli che non sono emigrati sono stati massacrati. Una perdita gigantesca. Sarebbe questa la conquista della civiltà? Il 43 per cento dei francesi, nel 1788, sapeva firmare, sapeva scrivere. Dopo la Rivoluzione si crolla al 39 per cento, perché si erano sottratti i beni alla Chiesa (che per secoli aveva educato il popolo) e si erano distribuiti alla Nomenklatura.

    - E le chiese trasformate in porcili e i tesori d'arte devastati.
    - È vero: fecero a pezzi le statue di Notre Dame, distrussero Cluny, e quasi tutte le chiese romaniche e gotiche... Le ripeto: furto, menzogna e crimine, questa è la vera trilogia della Rivoluzione, che ha messo a ferro e fuoco l'Europa. I francesi sono persuasi che la democrazia sia nata nell'89 e che l'umanità abbia imitato loro. È pazzesco! In realtà la sola rivoluzione da festeggiare sarebbe quella inglese del 1668: da lì è venuto il sistema rappresentativo e il governo parlamentare, lo Stato liberale che tutta Europa ha imitato.

    - Ma qualcosa di buono ci sarà pur stato: per esempio la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.
    - Quello fu l'inganno più perverso. Le due Costituzioni più democratiche che siano mai state fatte sono quella sovietica di Stalin del 1936 e quella dei ghigliottinatori francesi del 1793. I loro frutti furono orrendi. Al contrario, il Paese che ha fondato la libertà, l'Inghilterra, non ha mai avuto Costituzioni. Delle Dichiarazioni io me ne infischio! E d'altra parte libertà, fraternità e uguaglianza non esistono che davanti a Dio. Le dirò che il miglior giudizio sulla Dichiarazione dei diritti dell'uomo lo formulò Fustelle de Coulange, il più grande storico francese dell'800 e mio predecessore all'Accademia di scienze morali e politiche. Egli disse: questi principi hanno mille anni, semmai la Dichiarazione li formula in modo un po' astratto. Ma una cosa nuova c'è: hanno spacciato dei principi antichi per una scoperta loro e l'hanno usata come un'arma contro il passato. Questo è perverso.

    - La conseguenza politica della Filosofia dei Lumi, no?
    - No. L'Illuminismo c'è stato in tutta Europa. Kant non era certo da meno di Voltaire. Ma la Rivoluzione c'è stata solo qui da noi. Non si può certo credere che i francesi fossero gli unici a pensare, in Europa. Dunque non c'è un nesso storico. È una menzogna anche parlare di fatalità storica, inevitabile. La persecuzione contro la Chiesa e il progetto di sradicare il cristianesimo dalla Francia ebbe come sua prima causa degli interessi finanziari, non questioni metafisiche.

    - Ci spieghi, professore.
    - Nel XVII secolo tutti gli Stati europei hanno istituzioni rappresentative. La Francia però, a poco a poco, le lasciò cadere in desuetudine. Per questo divenne una sorta di paradiso fiscale, perché - è noto - non si possono aumentare le imposte senza istituzioni rappresentative. Un esempio: la pressione fiscale fra 1670 e 1780 in Francia rimane ad un indice 100, mentre in Inghilterra sale da 70 a 200, in proporzione. La Francia si trova così ad avere uno Stato moderno, un moderno esercito, 450mila uomini, una potenza di prim'ordine, ma con risorse finanziarie vicino alla bancarotta perché per poterle mantenere come l'Inghilterra dovrebbe aumentare le tasse del 100 per cento.

    - Dunque viene chiamata ad affrontare la questione la rappresentanza del popolo, gli Stati generali.
    - Sì, i rappresentanti eletti però sono la più colossale assemblea di dementi che la storia abbia mai visto. Irresponsabili. Sfrenati solo nelle pretese, perché nessuno voleva farsi carico dei sacrifici (basti pensare che fra i deputati del Terzo stato c'erano un banchiere, 30 imprenditori e 622 avvocati senza causa). Non capiscono nulla di economia, hanno chiaro solo che a pagare devono essere gli altri. Così cominciano a vedere cosa possono confiscare: prima sopprimono la decima alla Chiesa, che nessuno nel popolo chiedeva di sopprimere perché significava sopprimere i finanziamenti per le scuole e gli ospedali. Si confiscano i beni del clero, donati alla Chiesa nel corso dei secoli, che ammontavano però solo al 7-8 per cento delle terre. Si comincia a diffondere l'idea che la Chiesa nasconda i suoi tesori, si confiscano i beni delle Abbazie.

    - E l'operazione si dà pure una maschera ideologica.
    - Certo. Si impone la Costituzione civile del clero, perché senza modificare e manomettere la struttura della Chiesa non avrebbero potuto rubare. I beni della Chiesa, che da secoli mantenevano scuole e ospedali, vengono accaparrati da una masnada di 80mila famiglie di ladri, nobili e borghesi, destra e sinistra: è per questo che tuttora la Rivoluzione in Francia è intoccabile! Perché fu una Grande Ruberia a vantaggio della classe dirigente. Il furto ha bisogno della menzogna e della persecuzione perché non era facile imporre ai preti e al popolo il sopruso. Per questo si impose il giuramento ai preti e chi non giurò fu massacrato. La Rivoluzione è stata una guerra di religione.

    - E in Vandea cos'è accaduto?
    - Il popolo si ribellò per difendere la sua fede. Il Direttorio voleva imporre la coscrizione militare obbligatoria (è una loro invenzione perché fino ad allora solo i nobili andavano a far la guerra e per il tributo del sangue erano esonerati dalle tasse). Nello stesso giorno chiudono tutte le loro chiese. I contadini vandeani si sono ribellati: allora tanto vale morire per difendere la nostra libertà. Hanno imposto ai nobili, assai refrattari, di mettersi al comando dell'esercito cattolico di Vandea e sono andati al massacro, perché sproporzionata era la loro preparazione al confronto di quella dell'esercito di Clébert. Così la Vandea è stata schiacciata senza pietà. Ma vorrei ricordare che
    sotto le insegne del Sacro Cuore combatterono anche dei battaglioni dei paesi protestanti della Vandea. Cattolici, protestanti ed ebrei affrontarono insieme la ghigliottina, per esempio a Montpellier, per difendere la libertà.

    - Ma in Vandea non finisce così.
    - Questo è il capitolo più orrendo.
    Nel dicembre 1793 il governo rivoluzionario dà ordine di sterminare la popolazione delle 778 parrocchie: "Bisogna massacrare le donne perché non riproducano e i bambini perché sarebbero i futuri briganti". Questo scrissero. Firmato dal ministro della Guerra del tempo Lazare Carnot. Il generale Clébert si è rifiutato di eseguire quell'ordine: "Ma per chi mi prendete? Io sono un soldato non un macellaio". Allora hanno mandato Turreau, un cretino, alcolizzato, con un'armata di vigliacchi.

    - Fu il massacro?
    - Nove mesi dopo il generale Hoche, nominato comandante, arrivò in Vandea. Restò inorridito. Scrisse una lettera memorabile e ammirabile al governo della Convenzione: "Non ho mai visto nulla di così atroce. Avete disonorato la Repubblica! Avete disonorato la Rivoluzione! Io porto alla vostra conoscenza che a partire da oggi farò fucilare tutti quelli che obbediranno ai vostri ordini...". Cosa aveva visto? 250.000 massacrati su una popolazione di 600.000 abitanti, paesi e città rase al suolo e bruciate, donne e bambini orrendamente straziati. A Evreux e a Les Mains si ghigliottinavano a decine colpevoli solo di essere nati a Fontaine au Campte. Questo fu il genocidio vandeano. È questo che festeggiamo?

    - Fece scandalo, nel 1983, quando lei, per la prima volta, usò la parola genocidio, imputando la Rivoluzione. Perché?
    - I fatti parlano. Nessuno ha saputo negarli. E nulla può giustificare un simile orrore. Ma prima di me, nel 1894, fu un rivoluzionario socialista, Babeuf, che denunciò "il popolicidio della Vandea" (in un libro introvabile che noi abbiamo fatto ristampare). Non c'è differenza alcuna fra ciò che ha fatto il governo rivoluzionario in Vandea e ciò che ha fatto Hitler. Anzi una c'è. Hitler era scaltro e non dette mai per scritto l'ordine di eliminazione degli ebrei. Questi dell'89, oltreché assassini, erano anche stupidi e dettero l'ordine per scritto e lo pubblicarono perfino su Le Moniteur.

    - Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità.
    - Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione, Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."
    Antonio Socci

     

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    lunedì, 09 ottobre 2006


     SE EINSTEIN E IL BIG BANG DANNO RAGIONE A RATZINGER
    A proposito del premio Nobel per la Fisica assegnato a Mather e Smoot, ricordando lo splendido discorso del papa a Ratisbona…
    Gli Accademici di Svezia (forse) non lo sanno e nessuno sui media se n’è accorto, ma aver dato quest’anno il Nobel per la fisica a Mather e Smoot per la famosa “fotografia del Big Bang” (hanno cioè misurato la radiazione cosmica di fondo), significa indirettamente “premiare” papa Ratzinger per l’ esplosivo discorso di Ratisbona e addirittura concordare con il famigerato Manuele Paleologo. Paradossalmente (ma non tanto) oggi è la fisica moderna – e innanzitutto il suo pilastro, Albert Einstein – a dare la conferma più clamorosa alle parole del Paleologo citate dal Papa. L’imperatore bizantino – com’è noto – contestava all’intellettuale islamico “la conversione mediante la violenza”, ma qui non ci interessa tanto questa polemica quanto la precedente discussione teologica. Ecco la due posizioni.

    Per la dottrina musulmana Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà” spiega Ratzinger “non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza”. Invece per il Paleologo e per i cristiani è vero quanto annuncia il Vangelo di S. Giovanni: “in principio era il logos e il logos è Dio”. Cioè Dio agisce, crea il mondo, con il logos (che significa ragione e parola). Per questo il cosmo è conoscibile alla mente umana che ne scopre le leggi razionali. L’affermazione centrale di Manuele II che Ratzinger ha fatto propria è questa: “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”.

    Se volessimo fare un salto di secoli troveremmo lo stesso identico concetto del Paleologo formulato da Albert Einstein: “Dio non gioca ai dadi”. E’ la battuta con cui il grande fisico si contrapponeva a una certa concezione della fisica quantistica, quella di Niels Bohr e altri, per i quali la “mirabile struttura della realtà” svaniva, come i suoi nessi di causa ed effetto, la sua razionalità e alla lunga gli stessi concetti univoci di “essere” e di “conoscenza”.

    Einstein non accettò mai che il cosmo fosse governato dal caso e affermò strenuamente due principi senza i quali la scienza si dissolve.
     Il primo:la fede in un mondo esterno indipendente dal soggetto che lo percepisce è la base di ogni scienza naturale”.
     Il secondo: “è certo che alla base di ogni lavoro scientifico si trova la convinzione, analoga al sentimento religioso, che il mondo è fondato sulla ragione e può essere compreso”.

    Einstein è affascinato da questo mistero: “la comprensibilità del mondo”. Lo definisce “un miracolo” perché “sicuramente, a priori, ci si dovrebbe aspettare che il mondo fosse caotico, inafferrabile in qualsiasi modo dal pensiero”. Invece non è così. Ed Einstein spiega: “la mia religiosità consiste in una umile ammirazione dello Spirito infinitamente superiore che si rivela in quel poco che noi, con la nostra ragione debole ed effimera, possiamo capire della realtà. Ratzinger a Ratisbona ha ribadito lo stesso concetto: “
    la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata, esista una vera analogia”.

    La convinzione di Einstein derivava dai suoi stessi studi di fisica teorica. Le sue “scoperte” non sono mai state sperimentali, ma derivavano da calcoli e deduzioni logiche fondate sulla certezza che la realtà risponda a leggi razionali. Così le sue formule (come la più celebre E = mc² ) sono state confermate da scoperte fatte molti anni dopo. Anzi, la sua “Teoria generale della relatività” del 1915 conteneva implicitamente una “predizione” di immensa importanza di cui lo stesso Einstein, al momento della formulazione, non si rese conto: “la predizione di un universo non statico”. Se ne accorse invece il russo Fridman che la esplicitò e puntualmente i fatti s’incaricarono di dimostrarla. Nel 1929 l’astronomo Edwin Hubble si rese conto che, in qualsiasi direzione si osservi, le galassie si allontanano da noi: ciò significa che l’universo si sta espandendo, che “in passato, gli oggetti che lo compongono dovevano essere molto più vicini tra loro di quanto non siano oggi e che” spiega Hawking. “circa dieci o venti miliardi di anni fa, tutti gli oggetti dovettero trovarsi esattamente nello stesso luogo in cui, perciò, la densità dell’universo era infinita”. Questa scoperta, una delle grandi rivoluzioni intellettuali del XX secolo, pose alla scienza il problema dell’ “inizio dell’universo” risolto di lì a poco con la teoria del Big Bang, cioè la grande esplosione iniziale grazie alla quale da un punto infinitamente piccolo e infinitamente denso ha preso origine sia il tempo che lo spazio che da allora si sta espandendo. “A questo punto” scriveva Alan Guth in un celebre articolo su Scientific American “
    è forte la tentazione di fare un altro passo avanti e ipotizzare che tutto l’universo sia nato letteralmente dal nulla”.

    E’ l’idea di creazione, che presuppone un Creatore. E’ la spiegazione più ragionevole. Perché, come dice l’insospettabile Stephen Hawking, “è difficile rendersi conto di come condizioni iniziali tanto caotiche possano aver dato origine a un universo così omogeneo e regolare, su una scala tanto grande quanto quella del nostro universo attuale”. Ma torniamo al Big Bang: ha lasciato la sua traccia verificabile da qualche parte? Sì, è la radiazione cosmica di fondo (una sorta di rumore di fondo che riempie l’universo) che fu rilevata, quasi per caso, nel 1965 da Penzias e Wilson. Il Nobel per la Fisica di quest’anno è andato a Mather e Smoot perché studiando per venti anni questo fiume di microonde riuscirono nel 1992 ad elaborare una mappa dell’universo che “fotografava” l’universo stesso poco dopo la sua nascita. E confermava la teoria del Big Bang.

    Ritenete che abbia arbitrariamente chiamato in causa il discorso di Ratisbona? Rispondo ancora una volta con l’insospettabile Hawking:L’intera storia della scienza è stata una graduale presa di coscienza del fatto che gli eventi non accadono in un modo arbitrario, ma che riflettono un certo ordine sottostante”.
    E’ un ordine misterioso, spiega Ratzinger, che i filosofi greci hanno chiamano “logos”. Come pure san Giovanni che aggiunse però un avvenimento storico accaduto duemila anni fa: “Il logos si è fatto carne”. La Razionalità che salva l’universo dall’assurdo, secondo san Giovanni, è diventata un uomo: Gesù Cristo. Egli è la consistenza di tutto, dalle stelle agli occhi della persona amata. Il cristianesimo è questo annuncio.

    Hawking, alla fine di un suo famoso libro sul Big Bang, si chiede “perché esiste l’universo?”. Ora, avendo conosciuto il logos fatto uomo, sappiamo la risposta: per Amore. Hawking, che non lo sa, nota che fino a oggi la maggior parte degli scienziati si è occupata di descrivere “che cosa sia l’universo”, ma che adesso occorre chiedersi “perché?” e conclude:
    “se riusciremo a trovare la risposta a questa domanda, decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana: giacché allora conosceremmo la mente di Dio”.

    Ebbene la mente di Dio, la sua Sapienza creatrice, si è fatta uomo e ha rivelato che l’essenza di Dio è Amore.
    Per amore ha creato tutto ciò che è. Così, per conoscere Dio in questa sua rivelazione definitiva non serve la fisica o la matematica, ma l’amore. E’ la conclusione di Ratzinger a Ratisbona: “
    Dio come logos ha agito ed agisce pieno di amore in nostro favore” e “l’amore sorpassa la conoscenza”. Per questo possiamo dire che conoscere e amare Cristo è – citando Hawking – “il trionfo definitivo della ragione umana”.

    Antonio Socci  © “Libero”, 8 ottobre 2006
    evolweb5

    Postato da: giacabi a 17:57 | link | commenti
    ragione, socci

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