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giovedì 23 febbraio 2012

Soloviev


E Solov'ëv smascherò l'Anticristo
***


Centodieci anni fa, il 31 luglio del 1900, a Uzkoe, presso Mosca, si spegneva Vladimir Sergeevic Solov’ëv. Aveva quarantasette anni ed era nella pienezza del suo fervore intellettuale e religioso. Un autore che aveva lasciato una traccia indelebile nella letteratura e filosofia / teologia russa del suo tempo, con capolavori come le Lezioni sulla DivinoumanitàI fondamenti spirituali della vita e soprattutto quello che viene considerato il suo testamento spirituale, I tre dialoghi

Ad ascoltarlo erano accorse personalità del calibro di Dostoevskij e Tolstoj. Per la sua passione per i Padri della Chiesa fu definito amabilmente da Bernard Dupuy l’«Origene dei tempi moderni». Hans Urs von Balthasar lo accostò a Tommaso d’Aquino come «il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero». Anche Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio lo collocò tra i pensatori che hanno condotto una «coraggiosa ricerca» sul rapporto tra filosofia e parola di Dio, assieme a figure come John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain e Pavel Florenskij. 

«Uno dei motivi della sua grandezza – rileva 
Adriano Dell’Asta, docente di Letteratura russa all’Università Cattolica di Milano e direttore dell’Istituto italiano di cultura a Mosca – è proprio l’aver realizzato una sintesi armonica tra fede e ragione, tra teologia e filosofia. Per Solov’ëv la pienezza dell’uomo si raggiunge solo quando questi si apre alla fede e la fede gli si spalanca, permettendogli uno sviluppo integrale delle sue facoltà e di viverle in pienezza». Dell’Asta ricorda poi il suo cristocentrismo, così affine a quello di Dostoevskij, l’interesse per Hegel e Kant, di cui fu un eccellente traduttore e divulgatore, la concezione divino-umana di Cristo proclamata dal Concilio di Calcedonia come il filo rosso della sua ricerca teologica, così come la grande tenerezza con cui parlava del Salvatore: «Si racconta spesso questo aneddoto: molti amici gli chiedevano perché si facesse il segno della croce prima di una conferenza o di mangiare. E flemmatica era la sua risposta: "Non voglio che nessuno possa sospettare che io mi vergogno del mio Cristo". Il suo era un cristianesimo senza compromessi».

Un debito di riconoscenza verso Solov’ëv lo serba 
Michelina Tenace, docente di Antropologia teologica alla Pontificia Università Gregoriana, e che è stata tra le prime in Italia a studiarlo in profondità dal punto di vista teologico, grazie ai suggerimenti dei suoi «maestri di sempre», il gesuita Marko Ivan Rupnik e il cardinale Tomáš Špidlík: «Riprendendo e radicalizzando un’espressione di Dostoevskij, Solov’ëv afferma che "la bellezza salva il mondo". Cosa significa concretamente? La salvezza è già in atto lì dove la materia si lascia trasfigurare dalla forza del contenuto divino, dalla luce, dalla vita, dall’amore. La bellezza quindi ha a che fare con la discesa dello Spirito Santo (ispirazione) e con la trasfigurazione della realtà in vista del Figlio».

L’ultimo scritto del pensatore russo è senz’altro quello più celebre, il Breve racconto sull’Anticristo. Il testo narra di un uomo dotato di virtù eccezionali che riesce a pacificare l’umanità e sa anche ridare unità ai cristiani divisi da secoli di separazioni e scismi. La sua opera viene contrastata e sconfitta e lui smascherato come l’Anticristo da un nucleo irriducibile di cristiani. «L’inganno più pericoloso dell’Anticristo è nel far credere – commenta il critico letterario de La Civiltà Cattolica, il gesuita 
Ferdinando Castelli – che sia lui il vero Messia, il salvatore, venuto a perfezionare anzi a correggere l’opera di Cristo. Il profeta della Galilea ha complicato la vita, l’ha resa dura, violenta, impraticabile; egli, al contrario, la rende facile e piacevole perché elimina le divisioni e le contraddizioni. E nella società odierna dei cosiddetti consumi facili, di una certa messianicità alla portata di tutti, noi siamo sedotti e tentati di seguire il richiamo di questo Anticristo, piuttosto che il vero messaggio evangelico». 

Un saggio che, secondo il sacerdote ortodosso e docente di Letteratura russa alla Cattolica di Brescia, 
Vladimir Zelinskij, deve essere riletto anche nella sua forte tensione ecumenica: «Per tutta la vita egli ricercò l’unità visibile nella storia, tuttavia nella sua ultima opera profetizzò il ritorno all’unità non prima del Giudizio finale. La sua eredità più grande è il messaggio di riconciliazione fra Oriente e Occidente cristiano, fra l’intelligentsia agnostica e la Chiesa, fra il cristianesimo e il popolo ebraico, fra la razionalità e la mistica, così come la ricerca di una risposta comune alla sfida delle forze anticristiane. Un lascito che a 110 anni dalla sua morte resta ancora da scoprire e vivere pienamente». 

Nelle pagine dell'Anticristo vive sottotraccia la discussione con l’autore di Guerra e pace – a cui Solov’ëv indirizzò nel 1894 una lettera sulla Resurrezione di Cristo – sull’autenticità del messaggio evangelico. «La parabola letteraria dell’Anticristo richiama l’urgenza di un discernimento da parte dei cristiani di fronte alla falsificazione del "bene" – sottolinea la Tenace –: è falso quel bene che rende vana la croce di Cristo, vana la fede nella Resurrezione, vana la Rivelazione divina. Persino il Vangelo può diventare ideologia, ossia teoria sulla pace, sul benessere e la riconciliazione. Questo è il motivo della sua opposizione a Tolstoj».

Tre anni prima di morire, il 13 febbraio 1896, Solov’ëv aderì alla Chiesa cattolica, sostenendo che essa è fondata su Pietro «il pastore del gregge di Cristo». «Solov’ëv nell’arco della sua breve vita – è la riflessione finale di padre Castelli – ha difeso la Rivelazione cristiana dal materialismo e positivismo dominanti in quegli anni in Russia. Non ha soprattutto voluto relegare Cristo in un ambito puramente umano e filantropico. Contro questa corrente si è schierato assieme a Dostoevskij. Entrambi hanno testimoniato, in opere dense di dottrina e di arte, che senza Cristo, Verbo incarnato, Dio si confonde con gli idoli e l’uomo si configura a un viandante senza meta. L’idea portante del suo dramma sull’Anticristo è nell’affermazione trionfale: "Il nostro signore è Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente". E in questo sta la sua cifra di grande pensatore e di cristiano».
Filippo Rizzi 

Fonte:
http://www.avvenire.it/Cultura/solovev+anticristo+anniversario_201007300757537470000.htm

Postato da: giacabi a 21:31 | link | commenti
soloviev

martedì, 02 agosto 2011

Dio è con noi
***
Nell'ombra dei secoli si è ormai dileguata quella notte in cui,
stanca di male e di affanno, la terra posò nelle
braccia del cielo,
e nel silenzio nacque Dio-è-con-noi.

Molte cose oggi non sono, che erano possibili ieri: i re più non scrutano il cielo,
e i pastori non ascoltano nel deserto come gli angeli parlino del Signore.

Ma ciò che di eterno in quella notte fu rivelato non può essere ormai più corrotto dal tempo; e il Verbo nato in quell'evo remoto, sotto a una greppia, ti rinasce nuovo nell'anima.

Sì - Dio è con noi: ma non già sotto l'azzurro padiglione, non al di là dei confini dei mondi innumerevoli, non nel perfido fuoco, e non nel fiato delle tempeste,
non chiuso nella sopita memoria dei secoli.

È qui Egli, adesso; e tra l'effimera vanità, nel torrente torbido
delle ansie della vita, tu possiedi un segreto onnigioioso:
- impotente è il male, e eterni noi siamo: Dio è con noi.

Vladimir S. Solov'ëv
Emanuele (1892)

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gesù, soloviev

lunedì, 02 agosto 2010


E Solov’ëv smascherò l’Anticristo
***


Moriva il 31 luglio del 1900 il filosofo russo citato nella «Fides et Ratio», che gettò un ponte fra Oriente e Occidente • Ferdinando Castelli: «Non ha voluto relegare Cristo in un ambito umano e filantropico» • Michelina Tenace: «Ha denunciato quel falso 'bene' che rende vana la Croce e la Resurrezione» • Adriano Dell'Asta: «Il suo era un cristianesimo senza compromessi». • Vladimir Zelinskij: «Un messaggio di riconciliazione fra razionalità e mistica»
di Filippo Rizzi
Tratto da Avvenire del 30 luglio 2010

Centodieci anni fa, il 31 luglio del 1900, a Uzkoe, presso Mosca, si spegneva Vladimir Sergeevic Solov’ëv. Aveva quarantasette anni ed era nella pienezza del suo fervore intellettuale e religioso. Un autore che aveva lasciato una traccia indelebile nella letteratura e filosofia/teologia russa del suo tempo, con capolavori come le Lezioni sulla Divinoumanità, I fondamenti spirituali della vita e soprattutto quello che viene considerato il suo testamento spirituale, I tre dialoghi.
Ad ascoltarlo erano accorse personalità del calibro di Dostoevskij e Tolstoj. Per la sua passione per i Padri della Chiesa fu definito amabilmente da Bernard Dupuy l’«Origene dei tempi moderni». Hans Urs von Balthasar lo accostò a Tommaso d’Aquino come «il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero». Anche Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio lo collocò tra i pensatori che hanno condotto una «coraggiosa ricerca» sul rapporto tra filosofia e parola di Dio, assieme a figure come John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain e Pavel Florenskij.
«Uno dei motivi della sua grandezza – rileva Adriano Dell’Asta, docente di Letteratura russa all’Università Cattolica di Milano e direttore dell’Istituto italiano di cultura a Mosca – è proprio l’aver realizzato una sintesi armonica tra fede e ragione, tra teologia e filosofia. Per Solov’ëv la pienezza dell’uomo si raggiunge solo quando questi si apre alla fede e la fede gli si spalanca, permettendogli uno sviluppo integrale delle sue facoltà e di viverle in pienezza». Dell’Asta ricorda poi il suo cristocentrismo, così affine a quello di Dostoevskij, l’interesse per Hegel e Kant, di cui fu un eccellente traduttore e divulgatore, la concezione divino-umana di Cristo proclamata dal Concilio di Calcedonia come il filo rosso della sua ricerca teologica, così come la grande tenerezza con cui parlava del Salvatore: «Si racconta spesso questo aneddoto: molti amici gli chiedevano perché si facesse il segno della croce prima di una conferenza o di mangiare. E flemmatica era la sua risposta: 'Non voglio che nessuno possa sospettare che io mi vergogno del mio Cristo'. Il suo era un cristianesimo senza compromessi».
Un debito di riconoscenza verso Solov’ëv lo serba Michelina Tenace, docente di Antropologia teologica alla Pontificia Università Gregoriana, e che è stata tra le prime in Italia a studiarlo in profondità dal punto di vista teologico, grazie ai suggerimenti dei suoi «maestri di sempre», il gesuita Marko Ivan Rupnik e il cardinale Tomáš Špidlík: «Riprendendo e radicalizzando un’espressione di Dostoevskij, Solov’ëv afferma che 'la bellezza salva il mondo'. Cosa significa concretamente? La salvezza è già in atto lì dove la materia si lascia trasfigurare dalla forza del contenuto divino, dalla luce, dalla vita, dall’amore. La bellezza quindi ha a che fare con la discesa dello Spirito Santo (ispirazione) e con la trasfigurazione della realtà in vista del Figlio».
L’ultimo scritto del pensatore russo è senz’altro quello più celebre, il Breve racconto sull’Anticristo. Il testo narra di un uomo dotato di virtù eccezionali che riesce a pacificare l’umanità e sa anche ridare unità ai cristiani divisi da secoli di separazioni e scismi. La sua opera viene contrastata e sconfitta e lui smascherato come l’Anticristo da un nucleo irriducibile di cristiani. «L’inganno più pericoloso dell’Anticristo è nel far credere – commenta il critico letterario de La Civiltà Cattolica, il gesuita Ferdinando Castelli – che sia lui il vero Messia, il salvatore, venuto a perfezionare anzi a correggere l’opera di Cristo. Il profeta della Galilea ha complicato la vita, l’ha resa dura, violenta, impraticabile; egli, al contrario, la rende facile e piacevole perché elimina le divisioni e le contraddizioni. E nella società odierna dei cosiddetti consumi facili, di una certa messianicità alla portata di tutti, noi siamo sedotti e tentati di seguire il richiamo di questo Anticristo, piuttosto che il vero messaggio evangelico».
Un saggio che, secondo il sacerdote ortodosso e docente di Letteratura russa alla Cattolica di Brescia, Vladimir Zelinskij, deve essere riletto anche nella sua forte tensione ecumenica: «Per tutta la vita egli ricercò l’unità visibile nella storia, tuttavia nella sua ultima opera profetizzò il ritorno all’unità non prima del Giudizio finale. La sua eredità più grande è il messaggio di riconciliazione fra Oriente e Occidente cristiano, fra l’intelligentsia agnostica e la Chiesa, fra il cristianesimo e il popolo ebraico, fra la razionalità e la mistica, così come la ricerca di una risposta comune alla sfida delle forze anticristiane. Un lascito che a 110 anni dalla sua morte resta ancora da scoprire e vivere pienamente».
Nelle pagine dell’Anticristo vive sottotraccia la discussione con l’autore di Guerra e pace – a cui Solov’ëv indirizzò nel 1894 una lettera sulla Resurrezione di Cristo – sull’autenticità del messaggio evangelico. «La parabola letteraria dell’Anticristo richiama l’urgenza di un discernimento da parte dei cristiani di fronte alla falsificazione del 'bene' – sottolinea la Tenace –: è falso quel bene che rende vana la croce di Cristo, vana la fede nella Resurrezione, vana la Rivelazione divina. Persino il Vangelo può diventare ideologia, ossia teoria sulla pace, sul benessere e la riconciliazione. Questo è il motivo della sua opposizione a Tolstoj».
Tre anni prima di morire, il 13 febbraio 1896, Solov’ëv aderì alla Chiesa cattolica, sostenendo che essa è fondata su Pietro «il pastore del gregge di Cristo». «Solov’ëv nell’arco della sua breve vita – è la riflessione finale di padre Castelli – ha difeso la Rivelazione cristiana dal materialismo e positivismo dominanti in quegli anni in Russia. Non ha soprattutto voluto relegare Cristo in un ambito puramente umano e filantropico. Contro questa corrente si è schierato assieme a Dostoevskij. Entrambi hanno testimoniato, in opere dense di dottrina e di arte, che senza Cristo, Verbo incarnato, Dio si confonde con gli idoli e l’uomo si configura a un viandante senza meta. L’idea portante del suo dramma sull’Anticristo è nell’affermazione trionfale: 'Il nostro signore è Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente'. E in questo sta la sua cifra di grande pensatore e di cristiano».

Quando Biffi evocò la profezia di Vladimir

«L’Anticristo potrebbe benissimo nascondersi in un pacifista come in un ecologista». Fu uno dei passaggi centrali della meditazione quaresimale alla Curia romana, presente Benedetto XVI, del cardinale Giacomo Biffi nel febbraio del 2007. In quel frangente l’arcivescovo emerito di Bologna, durante gli esercizi spirituali predicati al Papa, prese spunto dagli scritti profetici di Vladimir Solov’ëv per richiamare i rischi più gravi per il cristianesimo contemporaneo.
All’autore russo Biffi ha fatto spesso riferimento durante il suo ministero episcopale (memorabili sono stati i suoi interventi al Meeting di Rimini del 1991 e nel 2000 a un convegno dedicato a Solov’ëv proprio a Bologna). «Oggi corriamo il rischio – aggiunse Biffi durante quegli Esercizi spirituali – di avere un cristianesimo che mette tra parentesi Gesù, con la sua Croce e risurrezione. Certo se ci limitassimo a parlare di valori condivisibili saremmo ben più accettabili nelle trasmissioni televisive come nei salotti. Ma così avremmo rinunciato a Gesù. Questo è stato, il suo richiamo, è un pericolo che i cristiani corrono nei nostri tempi». (F. Riz. )

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soloviev

giovedì, 24 dicembre 2009

EMANUELE
***
Caravaggio

Nell’ombra dei secoli si è ormai dileguata quella notte in cui, stanca di male e di affanno, la terra posò nelle braccia del cielo, e nel silenzio nacque Dio-è-con-noi.

Molte cose oggi non sono, che erano possibili ieri: i re più non scrutano il cielo, e i pastori non ascoltano nel deserto come gli angeli parlino del Signore.

Ma ciò che di eterno in quella notte fu rivelato non può essere ormai più corrotto dal tempo; e il Verbo nato in quell’evo remoto, sotto a una greppia, ti rinasce nuovo nell’anima.

Sì – Dio è con noi: ma non già sotto l’azzurro padiglione, non al di là dei confini dei mondi innumerevoli, non nel perfido fuoco, e non nel fiato delle tempeste, non chiuso nella sopita memoria dei secoli.

È qui Egli, adesso; e tra l’effimera vanità, nel torrente torbido delle ansie della vita, tu possiedi un segreto onnigioioso: - impotente è il male, e eterni noi siamo: Dio è con noi.
Vladimir S. Solov’ëv 1892




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natale, soloviev

sabato, 08 agosto 2009

Credo nella Chiesa Cattolica
 ***
« Quale membro della vera e venerabile Chiesa ortodosso-orientale o greco-russa, che non parla per mezzo di un sinodo anticanonico, ne per mezzo di impiegati del potere secolare, ma con la voce  dei suoi grandi Padri e Dottori, io riconosco come giudice supremo, in materia religiosa, colui che è stato riconosciuto da sant’Ireneo, da Dionigi il grande, sant’Atanasio il Grande, san Giovanni Crisostomo, san Cirillo, San Flaviano, il Beato Teodoro lo Studita, Sant’Ignazio ecc.- ossia l’apostolo Pietro che vive nei suoi successori e che non ha udito invano le parole del Signore:« Tu Sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Con ferma i tuoi fratelli. Pasci le mie pecorelle, pasci i miei agnelli»
Vladimir Solov’ev da :La Russia e la Chiesa universale


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chiesa, cattolico, soloviev

domenica, 30 novembre 2008

Il problema dell'uomo
***
Una delle tragedie del mondo contemporaneo, invece, ciò che ha reso la sua vita insopportabile e piena di angoscia è il fatto che l'uomo ha creduto di potersi affermare meglio e più pienamente liberandosi di Dio, ma in realtà ciò che ha ottenuto è esattamente il contrario: «Il problema fondamentale dei nostri giorni non è il problema di Dio - come pensano molti, come pensano spesso anche i cristiani che esortano alla rinascita cristiana, - il problema fondamentale dei nostri giorni è innanzitutto il problema dell'uomo», avrebbe detto più tardi Berdjaev, e quindi avrebbe precisato: «gli uomini hanno rinnegato Dio, ma così facendo non hanno messo in dubbio la dignità di Dio, bensì la dignità dell’uomo. L'uomo non può tenersi in piedi senza Dio. Per l'uomo Dio è appunto l'idea suprema, - la realtà che edifica l'uomo».

Senza Dio l'uomo finisce prima o poi per stancarsi di se stesso e della vita tutta, in un'ansia suicida di cui oggi vediamo le manifestazioni più clamorose in certe forme di terrorismo nichilista, ma le cui origini erano già state colte lucidamente dalla filosofia religiosa russa nelle premesse dell'umanesimo antropocentrico.

Gli uomini, rinnegando Dio, non hanno soltanto rinnegato l'uomo, ma hanno finito col distruggere il mondo stesso e la vita: senza un Dio davanti al quale riconoscere il proprio peccato e dal quale attendere la salvezza, l'uomo non solo è ridotto a un essere inevitabilmente senza speranza, ma i suoi mali e le sue disgrazie restano appese al nulla; è quanto dimostra, dice Berdjaev, «la filosofia di Heidegger, nella quale l'essere è decaduto nella sua essenza ma non è decaduto da nulla»: su tutto regna appunto il nulla, non solo l'uomo si è stancato di se stesso, ma lo stesso mondo si è stancato di sé.

L'ateismo moderno, così come viene messo in luce dalla filosofia religiosa russa, è ben diverso da quello classico: il suo vero nemico non è Dio, ma il mondo di Dio e ciò che sta al centro del mondo di Dio, l'uomo e la sua vita; è sempre Berdjaev che lo dice in maniera esplicita: «le eresie generate dalla civiltà attuale sono molto diverse dalla eresie dei primi secoli del cristianesimo, non sono eresie teologiche, sono eresie della vita stessa».

Il rovesciamento di questa distruzione dell'uomo, il carattere rivoluzionario della risposta che la filosofia religiosa russa contrappone all'ateismo moderno sta tutto nel fatto che questa risposta non tende a ripristinare innanzitutto i diritti di Dio e del mondo religioso: se l'uomo non può essere il padrone del mondo e non può pretendere di esserlo e di dominare il mondo, questo non significa che l'uomo debba essere dominato e debba accettare di essere dominato, anzi, l'uomo deve aspirare alla propria grandezza, ma può essere veramente libero e grande proprio a patto che si liberi dalla sua pretesa di costruire un mondo totalmente antropocentrico, pretesa che è contraria alla sua realtà e alla sua natura di essere «a un tempo terreno e celeste»; allora, avendo riconosciuto il fatto che lo costituisce, il fatto di non essere al mondo da sempre ma di aspirare comunque all'immortalità, l'uomo si riconosce innanzitutto come creatura di Dio, e qui la sua originaria dipendenza da Dio assume la forma e il nome di creaturalità: l'uomo si riconosce creato a immagine e somiglianza di Dio. Ritrovando se stesso nel Dio che si è fatto uomo, l'uomo si trova innalzato a livello di Dio, liberato dalle forze della natura e della società e cosciente del fatto che la sua irriducibilità a qualsiasi grandezza finita è radicata proprio in questa origine celeste.

La scoperta di questo nucleo irriducibile di umanità è l'esito dell'esperienza che i rappresentanti della filosofia religiosa russa fanno nel cuore del mondo contemporaneo e di quella sua molteplice crisi (umana, politica, spirituale, artistica, culturale, e religiosa) che in breve tempo avrebbe portato la Russia alla tragedia della rivoluzione e il mondo alla tragedia del totalitarismo nazista e della seconda guerra mondiale; ma questa scoperta è nello stesso tempo ciò che li rende capaci di cogliere questa crisi. Dallo sconcerto di un mondo che sembra aver addirittura rimosso la nozione stessa di un senso e di una verità e nel quale è scomparso il «criterio stesso di verità» nasce la nostalgia di una verità incrollabile; dallo smarrimento di un mondo nel quale «l'uomo ha smesso di distinguere la realtà dai prodotti dell'immaginazione [...] che offrono un'utilità vitale e sociale» nasce appunto la domanda infinita di un senso che porta la ragione umana ad aprirsi alla rivelazione e a rispondere alla chiamata insita nella rivoluzione stessa.

La creazione dell'uomo a immagine e somiglianza di Dio è ad un tempo il fondamento oggettivo (immagine) dell'essere dell'uomo e della sua irriducibilità a qualcosa di finito e il motivo per cui l'uomo stesso si sente chiamato a compiersi nella persona (somiglianza), che «è diversità, unicità, irripetibilità, originalità, non somiglia ad altri, [...] è l'eccezione e non la regola», rende l'uomo continuamente eccedente rispetto a qualsiasi realizzazione propria o a qualsiasi tentativo di riduzione.

Per quanto possa salire in alto o per quanto possa cadere in basso l'uomo continua a sentire una vocazione a qualcosa di più alto e di incommensurabile che prova la sua grandezza e la sua origine: come avrebbe detto Vladimir Losskij, un altro grande pensatore russo della prima metà del XX secolo, «la persona significa l’irriducibilità dell'uomo alla sua natura». «Irriducibilità» e non «qualcosa di irriducibile» o «qualcosa che rende l'uomo irriducibile alla sua natura», appunto perché qui non può trattarsi di «qualcosa» di distinto, di un' «altra natura», ma di qualcuno che si distingue dalla propria natura, di qualcuno che supera la propria natura, pur contenendola, che la fa esistere come natura umana attraverso questo superamento e, tuttavia, non esiste in se stesso, al di fuori della natura che egli "enipostatizza" e che supera incessantemente».
Adriano Dell’Asta 


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persona, berdiaev, soloviev


Il problema dell'uomo
***
Una delle tragedie del mondo contemporaneo, invece, ciò che ha reso la sua vita insopportabile e piena di angoscia è il fatto che l'uomo ha creduto di potersi affermare meglio e più pienamente liberandosi di Dio, ma in realtà ciò che ha ottenuto è esattamente il contrario: «Il problema fondamentale dei nostri giorni non è il problema di Dio - come pensano molti, come pensano spesso anche i cristiani che esortano alla rinascita cristiana, - il problema fondamentale dei nostri giorni è innanzitutto il problema dell'uomo», avrebbe detto più tardi Berdjaev, e quindi avrebbe precisato: «gli uomini hanno rinnegato Dio, ma così facendo non hanno messo in dubbio la dignità di Dio, bensì la dignità dell’uomo. L'uomo non può tenersi in piedi senza Dio. Per l'uomo Dio è appunto l'idea suprema, - la realtà che edifica l'uomo».

Senza Dio l'uomo finisce prima o poi per stancarsi di se stesso e della vita tutta, in un'ansia suicida di cui oggi vediamo le manifestazioni più clamorose in certe forme di terrorismo nichilista, ma le cui origini erano già state colte lucidamente dalla filosofia religiosa russa nelle premesse dell'umanesimo antropocentrico.

Gli uomini, rinnegando Dio, non hanno soltanto rinnegato l'uomo, ma hanno finito col distruggere il mondo stesso e la vita: senza un Dio davanti al quale riconoscere il proprio peccato e dal quale attendere la salvezza, l'uomo non solo è ridotto a un essere inevitabilmente senza speranza, ma i suoi mali e le sue disgrazie restano appese al nulla; è quanto dimostra, dice Berdjaev, «la filosofia di Heidegger, nella quale l'essere è decaduto nella sua essenza ma non è decaduto da nulla»: su tutto regna appunto il nulla, non solo l'uomo si è stancato di se stesso, ma lo stesso mondo si è stancato di sé.

L'ateismo moderno, così come viene messo in luce dalla filosofia religiosa russa, è ben diverso da quello classico: il suo vero nemico non è Dio, ma il mondo di Dio e ciò che sta al centro del mondo di Dio, l'uomo e la sua vita; è sempre Berdjaev che lo dice in maniera esplicita: «le eresie generate dalla civiltà attuale sono molto diverse dalla eresie dei primi secoli del cristianesimo, non sono eresie teologiche, sono eresie della vita stessa».

Il rovesciamento di questa distruzione dell'uomo, il carattere rivoluzionario della risposta che la filosofia religiosa russa contrappone all'ateismo moderno sta tutto nel fatto che questa risposta non tende a ripristinare innanzitutto i diritti di Dio e del mondo religioso: se l'uomo non può essere il padrone del mondo e non può pretendere di esserlo e di dominare il mondo, questo non significa che l'uomo debba essere dominato e debba accettare di essere dominato, anzi, l'uomo deve aspirare alla propria grandezza, ma può essere veramente libero e grande proprio a patto che si liberi dalla sua pretesa di costruire un mondo totalmente antropocentrico, pretesa che è contraria alla sua realtà e alla sua natura di essere «a un tempo terreno e celeste»; allora, avendo riconosciuto il fatto che lo costituisce, il fatto di non essere al mondo da sempre ma di aspirare comunque all'immortalità, l'uomo si riconosce innanzitutto come creatura di Dio, e qui la sua originaria dipendenza da Dio assume la forma e il nome di creaturalità: l'uomo si riconosce creato a immagine e somiglianza di Dio. Ritrovando se stesso nel Dio che si è fatto uomo, l'uomo si trova innalzato a livello di Dio, liberato dalle forze della natura e della società e cosciente del fatto che la sua irriducibilità a qualsiasi grandezza finita è radicata proprio in questa origine celeste.

La scoperta di questo nucleo irriducibile di umanità è l'esito dell'esperienza che i rappresentanti della filosofia religiosa russa fanno nel cuore del mondo contemporaneo e di quella sua molteplice crisi (umana, politica, spirituale, artistica, culturale, e religiosa) che in breve tempo avrebbe portato la Russia alla tragedia della rivoluzione e il mondo alla tragedia del totalitarismo nazista e della seconda guerra mondiale; ma questa scoperta è nello stesso tempo ciò che li rende capaci di cogliere questa crisi. Dallo sconcerto di un mondo che sembra aver addirittura rimosso la nozione stessa di un senso e di una verità e nel quale è scomparso il «criterio stesso di verità» nasce la nostalgia di una verità incrollabile; dallo smarrimento di un mondo nel quale «l'uomo ha smesso di distinguere la realtà dai prodotti dell'immaginazione [...] che offrono un'utilità vitale e sociale» nasce appunto la domanda infinita di un senso che porta la ragione umana ad aprirsi alla rivelazione e a rispondere alla chiamata insita nella rivoluzione stessa.

La creazione dell'uomo a immagine e somiglianza di Dio è ad un tempo il fondamento oggettivo (immagine) dell'essere dell'uomo e della sua irriducibilità a qualcosa di finito e il motivo per cui l'uomo stesso si sente chiamato a compiersi nella persona (somiglianza), che «è diversità, unicità, irripetibilità, originalità, non somiglia ad altri, [...] è l'eccezione e non la regola», rende l'uomo continuamente eccedente rispetto a qualsiasi realizzazione propria o a qualsiasi tentativo di riduzione.

Per quanto possa salire in alto o per quanto possa cadere in basso l'uomo continua a sentire una vocazione a qualcosa di più alto e di incommensurabile che prova la sua grandezza e la sua origine: come avrebbe detto Vladimir Losskij, un altro grande pensatore russo della prima metà del XX secolo, «la persona significa l’irriducibilità dell'uomo alla sua natura». «Irriducibilità» e non «qualcosa di irriducibile» o «qualcosa che rende l'uomo irriducibile alla sua natura», appunto perché qui non può trattarsi di «qualcosa» di distinto, di un' «altra natura», ma di qualcuno che si distingue dalla propria natura, di qualcuno che supera la propria natura, pur contenendola, che la fa esistere come natura umana attraverso questo superamento e, tuttavia, non esiste in se stesso, al di fuori della natura che egli "enipostatizza" e che supera incessantemente».
Adriano Dell’Asta

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persona, soloviev

venerdì, 12 ottobre 2007

Dio è con noi!
 ***

Dio con noi! Non nell'azzurra volta, non al di là degli infiniti mondi, non nel fuoco violento ed in tempesta, non nell'oblio dei trascorsi tempi. Egli ora è qui! Fra i vani e tristi casi, nel fiume, che la vita ansiosa turba... Dio è con noi!
Vladimir Solov'ev


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chiesa, gesù, soloviev

lunedì, 08 ottobre 2007

L’umanità cristiana
***
«Al mondo antico era sufficiente contemplare la Divinità come idea; il nuovo mondo, che ha già visto la Divinità come manifestazione reale, non può limitarsi alla contemplazione, ma deve vivere e agire in virtù del principio divino che si rivela in esso, trasformandosi a immagine e somiglianza del Dio vivente. L'umanità non è tenuta a contemplare la divinità ma a rendere se stessa divina. Non si tratta di una creazione dal nulla, ma di una trasformazione, di una transustanziazione della materia nello spirito, della vita carnale nella vita divina».  Vladimir Solov’ev,

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cristianesimo, soloviev


Cristo Verità viva incarnata
***
«Se esaminiamo tutto il contenuto teoretico e morale della dottrina di Cristo nel Vangelo vediamo che l’unica cosa nuova specificamente diversa da tutte le altre religioni è l’insegnamento di Cristo su se stesso, la sua dichiarazione di essere la verità viva incarnata: “Io sono la via, la verità e la vita; chi crede in me avrà la vita eterna”. Perciò se cerchiamo il contenuto caratteristico del cristianesimo nell’insegnamento di Cristo dobbiamo riconoscere che questo contenuto si riduce anche qui a Cristo stesso»
 Vladimir Solov’ev

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verità, gesù, soloviev

domenica, 23 settembre 2007

Gesù è esistito
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L'esistenza storica di Cristo, la realtà del suo carattere, come ce lo conservano i Vangeli, non si può seriamente mettere in dubbio. È impossibile che qualcuno potesse inventare un carattere simile, e questa figura pienamente storica è la figura di un uomo perfetto, un uomo che poteva dire: Sono nato da Dio e inviato da Lui, e già prima della creazione del mondo ero tutt'uno con Dio. È la stessa ragione che c'induce a credere a questa testimonianza, perché l'apparizione storica di Cristo come dell'Uomo-Dio è legata indissolubilmente a tutta l'evoluzione del mondo: se la si nega, viene a cadere tutto il significato e la finalità del mondo stesso.                            VLADIMIR SOLOVIEV

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gesù, soloviev

sabato, 20 gennaio 2007

Da: galatro



L’estremismo islamico riassume l’eredità delle due principali eresie imperiali del Basso Impero: la negazione della libertà umana, la devozione cieca dei fedeli e un’umanità che non viene chiamata a realizzare alcun progresso. Così scriveva Soloviev, sul finire dell’Ottocento, nel suo “La Russia e la Chiesa universale”
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di Vladimir Soloviev


Il vero dogma centrale del cristianesimo è l’unione intima e completa del divino e dell’umano senza confusione e senza divisione. La conseguenza necessaria di questa verità (per limitarci alla sfera pratica dell’esistenza umana), è la rigenerazione della vita sociale e politica attraverso lo spirito del Vangelo, e cioè lo Stato e la società cristiana. Invece di quest’unione sintetica ed organica del divino e dell’umano, si ebbero successivamente la confusione dei due elementi, poi la divisione e da ultimo l’assorbimento e la soppressione dell’uno o dell’altro. Dapprima si confusero il divino e l’umano nella maestà sacralizzata dell’Imperatore. Come nell’idea confusa degli Ariani il Cristo era un essere ibrido, più di un uomo e meno di un Dio, così il cesaropapismo – questo arianesimo politico – confondeva senza unirle la potenza temporale e la potenza spirituale e faceva dell’autocrate qualcosa di più di un capo di Stato, senza poterne fare il vero capo della Chiesa. Si separò poi la società religiosa dalla società profana, confinando la prima nei monasteri e abbandonando il forum alle leggi e alle passioni pagane. Il dualismo nestoriano, condannato in teologia, divenne la base stessa della vita bizantina. Per un altro verso, si ridusse l’ideale religioso alla contemplazione pura, cioè all’assorbimento dello spirito umano nella divinità, ideale evidentemente monofisita. Quanto alla vita morale, le si tolse la sua forza attiva imponendole come ideale supremo la sottomissione cieca al potere, l’obbedienza passiva, il quietismo, cioè la negazione della volontà e dell’energia umane: eresia monotelita. Infine, nel quadro di un ascetismo esasperato, si tentò di sopprimere la natura corporea, di spezzare l’immagine vivente dell’incarnazione divina: applicazione inconscia ma logica dell’eresia iconoclasta.


Nell’islam non c’è libertà

Questa contraddizione profonda tra l’ortodossia professata e l’eresia praticata era per l’impero bizantino un principio di morte. Ed è questa la vera causa del suo crollo. Era giusto che finisse, ed era giusto anche che finisse ad opera dell’islam. L’islam è il bizantinismo coerente e sincero, liberato da ogni contraddizione interiore. È una reazione piena e completa dello spirito orientale contro il cristianesimo, è un sistema nel quale il dogma è intimamente legato alle leggi della vita, nel quale la credenza individuale è in perfetto accordo con lo stato sociale e politico. Già sappiamo che il movimento anticristiano, che si era manifestato nelle eresie imperiali, era culminato nel VII e nell’VIII secolo in due dottrine, l’una delle quali (quella dei monoteliti) negava indirettamente la libertà umana, mentre l’altra (quella degli iconoclasti) rifiutava implicitamente la fenomenalità divina. L’affermazione diretta ed esplicita di questi due errori costituì l’essenza religiosa dell’islam, che vede nell’uomo una forma finita senza alcuna libertà e in Dio una libertà infinita senza alcuna forma. Una volta che Dio e l’uomo siano stati così fissati ai due poli opposti dell’esistenza, non vi è più alcun nesso fra loro, ed ogni realizzazione discendente del divino al pari di ogni spiritualizzazione ascendente dell’umano resta del tutto esclusa; e la religione si riduce a un rapporto puramente esteriore tra il creatore onnipotente e la creatura che è privata di qualsiasi libertà e non deve altro al suo signore se non un semplice atto di devozione cieca (è questo il senso del termine arabo islam). Questo atto di devozione, espresso in una breve formula di preghiera che si deve ripetere immutabilmente ogni giorno ad ore fisse, è tutta l’essenza religiosa dello spirito orientale che ha detto la sua ultima parola per bocca di Maometto.

Onestamente anticristiani

A questa semplicità dell’idea religiosa corrisponde una concezione non meno semplice del problema sociale e politico: l’uomo e l’umanità non sono chiamati a realizzare alcun progresso essenziale; non si dà rigenerazione morale per l’individuo e a maggior ragione per la società; tutto è abbassato al livello dell’esistenza puramente naturale; l’ideale è ridotto ad una misura che gli garantisce una realizzazione immediata. La società musulmana non poteva avere altro scopo se non l’espansione della sua forza materiale e il godimento dei beni della terra. Tutto il compito dello Stato musulmano, compito che gli sarebbe ben difficile non adempiere con successo, consiste nel diffondere l’islam con le armi e nel governare i fedeli con un potere assoluto e secondo le regole di una giustizia elementare fissate nel Corano. Nonostante l’inclinazione alla menzogna verbale, tipica di tutti gli orientali come individui, il perfetto accordo tra le credenze e le istituzioni dà a tutta la vita musulmana un carattere di verità e onestà che il mondo cristiano non è mai riuscito a raggiungere. La cristianità nel suo insieme è senz’altro in via di progresso e di trasformazione; e l’altezza stessa del suo ideale non ci consente di giudicarla definitivamente sulla base dei suoi diversi stati passati ed attuali. Ma il bizantinismo, che è stato ostile per principio al progresso cristiano, che ha voluto ridurre tutta la religione ad un fatto compiuto, ad una formula dogmatica e ad una cerimonia liturgica - questo anticristianesimo nascosto sotto una maschera ortodossa - ha dovuto soccombere nella sua impotenza morale di fronte all’anticristianesimo aperto ed onesto dell’islam. È curioso constatare come la nuova religione, con il suo dogma fatalista, sia apparsa proprio nel momento in cui l’imperatore Eraclio inventava l’eresia monotelita, quella cioè dietro la quale si celava la negazione della libertà e della energia umana. Con questo artificio si voleva consolidare la religione ufficiale, e ricondurre all’unità l’Egitto e l’Asia.

L’errore dei Bizantini

Ma l’Egitto e l’Asia preferirono l’affermazione araba all’espediente bizantino. Se non si tenesse in conto il lungo lavorio anticristiano del Basso impero, non vi sarebbe nulla di più sorprendente della facilità e della rapidità che caratterizzarono la conquista musulmana. Cinque anni furono sufficienti per ridurre a un’esistenza archeologica tre grandi patriarcati della Chiesa orientale. Il fatto è che non vi erano conversioni da compiere, ma solo un vecchio velo da strappare. La storia ha giudicato e condannato il Basso Impero. Esso non solo non ha saputo compiere la propria missione – fondare lo Stato cristiano – ma si è attivamente adoperato per far fallire l’opera storica di Gesù Cristo. Non essendo riuscito a falsare il dogma ortodosso, lo ha ricondotto a una lettera morta; ha voluto minare alla base l’edificio della pace cristiana attaccando il governo centrale della Chiesa universale; e nella vita pubblica ha sostituito la legge del Vangelo con le tradizioni dello Stato pagano. I Bizantini hanno creduto che, per essere veramente cristiani, fosse sufficiente conservare i dogmi e i riti sacri dell’ortodossia senza preoccuparsi di cristianizzare la vita sociale e politica; hanno creduto che fosse cosa lecita e degna di lode confinare il cristianesimo nel tempio e abbandonare l’agone pubblico ai principi pagani. Non poterono certo lagnarsi del loro destino. Hanno avuto quello che volevano: hanno conservato il dogma e il rito e solo la potenza sociale e politica è caduta in mano ai musulmani, eredi legittimi del paganesimo.

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